Impatto Mag - ISSUE #2

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issue #2 - anno 2 - 13 gennaio 2015

SIGNORI SONO IL NUMERO divulgare la bellezza

maduro e mujica

A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte ed innamorarsi di essa. Da Tiepolo a Carrà.

Venezuela e Uruguay. M e M, storia di due iniziali che modificano gli equilibri di Paesi antichi e rivoluzionari.

La vita di un clown. I falsi sorrisi e gli spettacoli beffardi. Tutto per celare le tristi paure dell’uomo dietro la maschera.


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precipitano


!MPATTO - Sommario N.2 | 13 Gennaio 2015

CONTENUTI

Il ponte delle vocali

Divulgare la bellezza Pennellate che incantano e divulgano la bellezza. A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte e amarla: Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fondazioni. Promossa dalla Fondazione Cariplo, per una collaborazione fra le Fondazioni in nome di un comune impegno: creare e fare cultura attraverso l’arte.

21.

7. Sono il numero 3

Una maschera come volto fino a perdere l’identità o fino a trovare la vera identità. La dicotomia di un clown. Il sentimento del contrario scatenato da una risata in un mondo circolare chiuso in un’arena.

31.


Indice di progresso sociale

59.

Il 2014 segna l’ingresso dell’indice di progresso sociale teorizzato dagli economisti Sen e Stiglitz.

!MPATTO magazine di approfondimento

www.impattomagazine.it info@impattomagazine.it

La Banca 41. del tempo

Contributi Anna Annunziata Giorgia Mangiapia Marina Finaldi Flavio Di Fusco Gennaro Battista Marco Tregua Liliana Squillacciotti Eleonora Baluci Valerio Varchetta Josy Monaco Armando De Martino Grafica Ennio Grilletto

Nell’era della solitudine, dove al termine popolo sostituiamo la parola individui, dove la paura più grande è di essere un perdente agli occhi degli altri. Loser è l’uomo che ha dimenticato ormai di essere un animale sociale. Un animale che, per sua natura, tende ad aggregarsi.

Edito da Gruppo Editoriale Impatto IT 07802041215 gruppo.impattomagazine.it gruppo@impattomagazine.it Coordinamento Pulseo IT 07369271213 www.pulseo.biz info@pulseo.biz

45.

L’era della solitudine ci sta uccidendo

Je suis Jean Claude Juncker

Direttore Responsabile Emanuela Guarnieri

65.

Testata Registrata presso il tribunale di Napoli con decreto presidenziale numero 22 del 2 Aprile 2014. Le foto presenti su Impatto Mag sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, lo possono segnalare alla redazione (tramite e-mail: info@ impattomagazine.it) che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.

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Divulgare la bellezza, da Tiepolo a Carrà Un universo collezionistico mostra temi universali: la vita e la morte, l’amore e la maternità, il lavoro. Pennellate che incantano e divulgano la bellezza. A Milano, in Piazza Scala, una mostra per avvicinarsi all’arte e amarla: Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fondazioni. Promossa dalla Fondazione Cariplo, per una collaborazione fra le Fondazioni in nome di un comune impegno: creare e fare cultura attraverso l’arte.

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I

l museo deve aprirsi a coloro a cui appartiene”. In una frase è racchiuso, emblematicamente, il senso di un progetto. Una vocazione: il far sentire, il portare anima e il riuscire non solo a conservare ma a divulgare e comunicare l’arte perché sia avvicinabile a tutti. Perché l’arte è di tutti. Perché l’arte è bellezza e come tale bisogna educare alla bellezza affinché non solo l’occhio e lo sguardo ma anche la mente e l’anima desiderino e si protendano verso l’eccellenza della vita, verso il sublime del mondo che ci circonda, per squarciare il velo dal volto e poter godere del motore che spinge l’uomo a creare, per poter entrare in un quadro, trarne l’intimità ed uscirne arricchito, caricato di energia e curiosità. Come è stato sottolineato ripetutamente dalla Responsabile della collezione d’arte della Fondazione Cariplo Lucia Molino: l’arte deve essere a disposizione di tutti e deve affascinare. Il progetto in questione è la mostra Da Tiepolo a Carrà. I grandi temi della vita nelle collezioni delle Fondazioni, ospitata nelle sale prestigiose di Gallerie d’Italia, Piazza Scala, a Milano. La Fondazione u

Commiato di Socrate dalla moglie Santippe Un raggio di luce investe una donna. Il suo profilo di severa bellezza e l’elegante accostamento cromatico la eleggono dolente protagonista della morte del grande Socrate. (Pittore neoclassico, 1800 - 1810)

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Cariplo ed altre sette Fondazioni di origine bancaria (Ente Cassa di Risparmio di Firenze, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forli, Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, Fondazione di Venezia) hanno messo a disposizione ventitré capolavori che svelano un patrimonio culturale nazionale. Un percorso alla scoperta di una storia comune. Una storia locale dei territori. Una sto9

ria che percorre e attraversa realtà territoriali grazie al nodo stretto che esiste fra opere e luoghi.

D

a Tiepolo a Carrà rientra nel progetto R’accolte sviluppato dall’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio spa (Acri) e realizzato dalla Commissione per le Attività e i Beni Culturali con “l’obiettivo di inventariare, in conformità ai criteri ministeriali, le opere conservate nelle collezioni d’arte delle associate

e costruire una banca data on-line”. Nel giro di pochi anni, il progetto R’accolte ha portato all’inventariazione e alla documentazione fotografica di oltre 11.000 opere d’arte fra sculture, dipinti, ceramiche, stampe, disegni, numismatica e arredi. Il tutto è accessibile sul sito raccolte.acri.it con un catalogo che concretizza un rapporto di collaborazione e di interscambio fondamentale per una conoscenza preziosa e di valorizzazione. La prima sosta del percorso: Bologna. La rassegna Il barocco emiliano (6 dicembre 2012-3 u


Donna che cuce e due bambini Figure che emergono dallo sfondo scuro, volutamente indifferenziato, con prepotenza in un primo piano per sottolinearne la povertĂ . Dagli strappi e dai buchi alle malformazioni e ai volti dei bambini dallo sguardo adulto. (Meaestro della tela jean, XVII)

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febbraio 2013) che univa ventuno importanti dipinti legati al territorio. La seconda sosta, quella milanese, ha un fulcro nazionale. Nel visitare la mostra, si potrà godere non solo dei dipinti della Fondazione Cariplo ma anche delle opere delle altre Fondazioni con cui poter intrecciare “un dialogo intessuto di convincenti rimandi tematici e stilistici, di assonanze iconografiche e compositive”. Nasce così un viaggio suggestivo attraverso tre secoli di pittura italiana, dal Seicento al Settecento al Novecento. Nel grande teatro della vita, offertoci da Cariplo, in cui ci si ritrova da spettatori a guardarsi attraverso dei dipinti, la prima tela ha un impatto straordinario.

C

apriccio italianizzante con scena di mercato, nella sua maestosa enormità (210x330 cm), dell’artista fiammingo Simon Johannes van Douw con il suo capriccio architettonico in cui si mescolano gli elementi dell’archeologia dell’Urbe, la pittura dei paesaggi, la natura morta e la raffigurazione di animali in una fiumana umana. Uomini nelle più svariate attività: dal commercio, al gioco, al divertimento, al lavoro con le greggi. L’uomo e la vita. In un respiro epico. In una monumentalità che racchiude un mondo abbracciato dalle nuvole e dalle montagne. Nel passeggiare lungo un sentiero d’arte esemplare ci si troverà di fronte a temi universali, come la vita e la morte, la maternità e il lavoro, l’amore. I capolavori esposti, perché di capolavori si tratta, con le loro tematiche, richiamano l’impegno profuso da sempre da Cariplo. L’agire della Fondazione è sociale, è fortemente e volutamente centrato sul benessere della propria comunità. Un occhio di riguardo volto ai giovani e alle fasce fragili della società. Dall’intervista a Lucia Molino è emersa questa forte u 11


Sir Charles Watson La precisione filologica del costume attraverso una tecnica dalla resa accurata, quasi tattile, per un giovane dai lineamenti morbidi e signorili, colto in una posa di estrema naturalezza. (Pompeo Girolamo Batoni, 1775)

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k volontà, ancor meglio vocazione, al creare e fare cultura attraverso un lavoro di collaborazione. “Creare una rete per una divulgazione culturale, per una compartecipazione di competenze. Per la realizzazione di un prodotto finale superiore. Mettere insieme per creare un valore aggiunto”. In questa visione intelligente e costruttiva di un progetto culturale, artistico e umano rientrano anche un fitto calendario di visite guidate rivolte agli adulti e laboratori dedicati ai più pic13

coli. Mostre per le famiglie con attività didattiche laboratoriali per i bambini. Per consentire un avvicinamento e per fare cultura.

P

erché non basta custodire la cultura o trasmetterla agli addetti ai lavori. Sarebbe un lavoro troppo semplice. Non rientrerebbe in un’ottica così vasta e profonda di vocazione come quella che la Fondazione Cariplo di prefigge. Educare alla cultura.

Essere capaci di comunicarla, trasmetterla, farla sentire attraverso gli sguardi, consentire che venga percepita come ricchezza e che sia interiorizzata per un accrescimento emotivo e mentale. E per far ciò ci si deve mettere in gioco, alla prova. Ecco l’impegno della Fondazione. Nel sostare tra un dipinto e l’altro, ci si troverà immersi negli occhi del Cacciatore a cavallo di Giovan Battista Tiepolo. In una figura ornata del suo costume, nell’irruenza di un braccio u


Socrate beve la cicuta In un serrato dialogo, di straordinaria potenza espressiva, di gesti e sguardi tra il filosofo e il suo aguzzino. In diagonali opposte per mostrare le diversa tempra dei personaggi e la loro stautura morale differente. (Giocacchino Assereto, 1640-1649)

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scoperto sotto la manica arrotolata, il suo sguardo fissa audacemente chi si trova di fronte. Sono gli stessi occhi degli autoritratti di Tiepolo, definito dai veneziani il “Tiepoletto”. “Quest’uomo piccolino, manieroso, mite […] covava dentro di sé un mare di fantasie, era agitato da una bruciante passione per l’arte”. Così lo ha descritto Antonio Morassi. Arte significa: fermare su tela una potenzialità creatrice senza limiti, erompere con una passione sensuale che è genialità, creare vibranti pennellate di eternità o di

morte che hanno in sé l’estro creatore di cui l’uomo, nella sua eterea essenza, è capace e che può stendere in un quadro.

F

ar amare l’arte è: saperla comunicare in modi diversi per giungere a chi ne è a digiuno. Per affascinare chi crede di esserne lontano. Per conquistare chi non sa soffermarsi. L’obiettivo delle Fondazioni va oltre un impegno sociale ed economico. È un impegno altamente umano ed educativo.

La vocazione che spinge ad agire l’organizzatrice Molino e gli altri collaboratori è stimabile e serve da exemplum per qualsiasi progetto a sfondo sociale. Partire dal “piccolo”, dal basso, per costruire una solida base su cui innalzare un edificio di cultura. Nella collezione della Fondazione ritroviamo i dipinti di Francesco Hayez, Giuseppe Molteni, Giovanni Migliara, Domenico e Gerolamo Induno, Giuseppe Canella, Angelo Inganni, Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Emilio Gola; leonardo Bazzaro, Gaetano u

Venere con amorini La morbidezza dei paesaggi chiaroscurali, accuratamente studiati dal vero. Un misterioso paesaggio con case e boschi che affiora in lontananza e un impianto scenico con Venere che discosta da sé il tendaggio nella sua superba bellezza. (Carlo Cignani, circa 1685)

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l Previati, Telemaco Signorini che rappresentano la Milano del XIX secolo - la Milano capitale morale, culturale ed economica – ma la mostra Da Tiepolo a Carrà vuol mostrare l’altra faccia delle collezioni della Fondazione. Altri secoli e altri artisti non legati solo all’ambiente milanese: Tiepolo, Guidonono, Van Douw; il Maestro della tela Jeans, Dudreville, Funi, Gemito, Mènageot, Annigo17

ni, Cignani, Assereto, Batoni, Carrà, De Maria, Kauffmann per far conoscere al pubblico dei secoli non così privilegiati, ma caratterizzati da dipinti di assoluta bellezza, per coinvolgerne la sensibilità. Per potersi perdere e ritrovare nei giochi cromatici, nei rimandi tematici, nel realismo magico e nei miti moderni raccontati per immagini in una dimensione narrativa che solo l’arte può creare.

P

er il progetto R’accolte prossima sosta del percorso sarà Firenze. Intanto si percorrano i sentieri della mostra. Si osservino quei volti puntati ad interrogare e a far sì che lo spettatore s’interroghi, in un’affezione empatica, sui valori della quotidianità che racchiudono in sé il significato della vita.


Ritratto della famiglia Tiepolo La nobile famiglia Tiepolo, dedita al commercio della seta, ritratta in una studiata composizione neoclassica. Le figure sono fermate nella loro dimensione familiare semplice e quotidiana. (Francoise MĂŠnageot, 1801)

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Il ponte delle vocali di Emanuela Guarnieri Venezuela e Uruguay: le rivoluzionarie del cambiamento. Un cambiamento ora macchiato di sangue, ora inondato di semplicitĂ . Maduro e Mujica: in un gioco di lettere scomposte a confronto. In un modo di porsi e pensare scenicamente e diametralmente agli opposti. Tra miseria, mutamento, mescolanze, due iniziali determinanti per due mondi antichi.

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M

aduro e Mujica. Due cognomi di sei lettere, entrambi cominciano per M. M come madre, M come miseria, M come mutamento. Venezuela e Uruguay. La piccola Venezia e il piccolo staterello. Quando Vespucci arrivò nel 1499, quel golfo con le palafitte fuori dalle acque gli ricordò una Venezziola, una Venezuola, e poi gli spagnoli gli cambiarono la e. Questi ultimi, nel 1516, trovarono invece in Uruguay la strenua resistenza dei Charrúas, gli indigeni di cui oggi resta traccia, oltre che nei dipinti murali delle loro caverne di lottatori, nel nomignolo della nazionale di calcio uruguaiana. Oggi, Venezuela e Uruguay, rimandano a un’unica parola: cambiamento. Cambiamento voluto, propagandato, imposto o naturalmente dato? La risposta non è univoca, ma quel che è certo, è che questa idea è passata di bocca in bocca all’indomani della morte di Hugo Chávez che come ultime parole aveva pronunciato “Yo no quiero morir, por favor no me dejen morir”, “Non voglio morire, per piacere non lasciatemi morire”. E così fu. Salito al potere Nicolás Maduro, dallo stesso u

Mujica per il bene sociale Un atipico presidente povero e dà esempio per i suoi cittadini. Nessun conto in banca e tanta umanità. L’esempio di una dirigenza semplice ma concreta.

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Il Comandante del Venezuela Sulla scia del socialismo boliviano, per un Governo macchiato dal sangue. In un paese produttore che perde quota e mostra le deboli basi economiche e finanziarie.

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Chávez designato come possibile successore, il Venezuela ha deciso che, il suo Comandante, non sarebbe mai morto davvero. Sette giorni di lutto nazionale, giornate in segno di rispetto organizzate in tutta l’America Latina, l’annuncio, poi ritirato, di imbalsamazione del corpo , la messa, a Genova, celebrata da un rivoluzionario nostrano: Don Andrea Gallo. Il mondo si è mosso per celebrare il cambiamento attuato nell’unione di culture differenti e nella lotta al

capitalismo, un cambiamento che non poteva e non può avere fine con la morte.

P

er quanto Maduro si sia mosso sulla linea del socialismo bolivariano firmato Chávez, comunque, questo cambiamento è avvenuto in negativo, sporcato dal sangue di oppositori al governo, che sia nella seconda metà del 2013, che nel 2014, sono stati uccisi a causa delle loro proteste anti Maduro e la violenta crisi economica

e finanziaria, oggi diventata una vera e propria tragedia con l’aggravarsi di quella petrolifera: il Venezuela è un paese produttore, con le riserve di idrocarburi più grandi del mondo e proprio per questo il crollo delle quotazioni petrolifere preme oggi sul governo a svalutare il bolivar, la moneta nazionale. Più che odore di cambiamento, si sente puzza di bruciato, una puzza che sa di default. Bell’esempio di cambiamento, è invece stato quello dell’Uruguay, che, u 24


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in coerentissima linea con la rivoluzione del “papa povero”, ha potuto godere, fino a qualche mese fa, di un “presidente povero”, un “atipico” che ha stupito il mondo intero: José Pepe Mujica, oggi sostituito da Tabaré Vazquez, proveniente dal suo stesso partito, il Fronte Ampio. Tanto diverso dai presidenti che l’hanno preceduto, e decisamente opposto al populismo e personalismo che ha invece caratterizzato l’altra figura carismatica di cui abbiamo appena parlato, el “Comandante” Chávez. Ma quale è stato l’apporto al cambiamento di Mujica? Innanzitutto la legalizzazione della marijuana, scelta 25 73

rischiosa e coraggiosa, e per questo probabilmente vincente, nel continente dei narcos, a due passi dal Paraguay, il maggiore produttore ed “esportatore illegale” di marijuana in America Latina.

D

i proteste, anche qui ce ne sono state: non solo per la marijuana, ma anche per la legalizzazione dell’aborto, libero fino alla dodicesima settimana, per la legge che rende automatica la donazione degli organi (salvo firma preventiva di una dichiarazione di rifiuto) e l’unione matrimoniale omosessuale. Quello che ha stupito il mondo, però, è stata la

sua semplicità: il rifiuto della residenza presidenziale e la scelta di continuare a vivere nella sua piccola fattoria vicino Montevideo, “approfittando” appena di mille euro, il 10% del suo stipendio come capo di stato, per il resto completamente devoluto al sociale. Unici beni posseduti: due maggiolini e tre trattori. Conti in banca: nessuno. Maduro e Mujica. Due cognomi di sei lettere. Uno finisce per O, l’altro per A. O come odio, A come Amore. In mezzo servirebbe un ponte, l’unico che, passando dalla O di odio alla A di Amore, può condurre (invertendo la tendenza) al mutamento, che comincia per M. AMO, solo così, CAMBIO.


La forza della coerenza Libertà mentale e apertura. Unica ricchezza: un maggiolino e una vita in una fattoria per l’uomo del cambiamento. Le idee decisive di un Presidente che hanno permesso una svolta.

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Maduro successore di ChĂ vez Un presidente segue ad un altro e, da Chavez a Maduro, si assiste alla vita di due presidenti che non lasciano lo stesso segno. Il primo onorato per sette giorni, il secondo tra proteste e crolli petroliferi.

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Signori! Io sono il numero Una vita che diventa una finzione e una finzione che diventa vita. Una maschera come volto fino a perdere l’identità o fino a trovare la vera identità. La dicotomia di un clown. Il sentimento del contrario scatenato da una risata in un mondo circolare chiuso in un’arena con il terreno sotto i piedi e l’odore acro di animali in gabbia. Come un animale in gabbia o come un domatore al centro dell’arena.

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A

ltra corsa. Altro incastro. Autostrada, campagna, soste. Nitriti e odore di zampe pietrificate. Paura, disincanto, appartenenza. La vita sotto il bianco. Il nero sotto il rosso. Le misure del cielo si assottigliano sotto gli occhi di chi si arrampica e salta. Per divertire. Per far ridere. Le tende sotto il sole. Nascondono le anime incallite di chilometri. Sotto le ruote dei camper, sospiri a fuochi spenti. Il fumo che si alza dalle braci e l’acquolina che si densa tra le labbra di una tigre. Morta. Inginocchiata al suo padrone. Unghie curate come la peggiore sgualdrina di Parigi del primo 900. Dà un’occhiata a Bengo, color avorio. Di fronte a lei. Alza appena il lungo naso per salutarla. Lei gli sorride. Sbadigliando gli dà coraggio. Lui si scrolla di dosso l’ultimo alito di un nano malconcio e si avvicina alle sbarre. Barrisce. Sembra una risata. La tigre apprezza. Si guarda le unghie inermi. Gira la lingua sulla bava. Mi guarda. Mentre il cerone va via con un colpo di panno. Dall’altro lato si allungano le scimmie. In prova sul selciato si guadagnano la zuppa. Oreste le dirige. Ha un orecchio tagliato. u

Il fascino ambiguo di un’arena Dove regna la logica della finzione, incontrastati sono i costumi, il trucco ed un sorriso tirato fino allo stremo. Signori e signore, benvenuti al circo.

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Sogni surreali Come da svegli sognando ad occhi aperti o nella fase rem in cui domina l’inconscio. Le paure e i desideri assumono le forme piÚ improbabili.

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È

cileno. Parla uno spagnolo masticato. Parla. Lo capiscono solo loro. Le due scimmie si grattano le ascelle. Lui le ammaestra come fossero sue figlie. Attente. Si fermano all’improvviso e saltano ogni volta che lui batte la mano sulla gamba. È stanco Oreste. Segue la carovana da dieci anni. “La vita è andare ovunque non ci sia nessuno ad aspettarti”. Mi disse una volta, mentre seduto, giravo una sigaretta spenta tra le dita. “Nessuno che ti aspetta. Ricorda. Siamo animali. Loro però ridono di noi: gli animali. Ci deridono e ci odiano. Perché li rendiamo inermi. Loro potrebbero am-

maestrarci. Se solo volessero e fossero uniti. Invece prevale la legge del più forte. La legge della fame. La legge del territorio.” Mi faceva riflettere molto. Guardavo la mia giacca a rombi colorati. Il mio naso rosso che mi stringeva le narici. Io non appartengo a quel mondo là. Sono una cartina per posti lontani. Strappo sorrisi. Non li ottengo naturalmente. La gente non vuole pagliacci. Vuole persone reali. Se mi guardo intorno il mondo è costruito e comandato da chi impone la propria forza. Da chi è più forte. Da chi è capace di rendere inerme un altro, un popolo, una nazione. Un continente. Io sono un pagliaccio per scelta. La

gente lo sa per questo ride a malapena. Si rattrista. Io espongo un disegno di libertà condizionata. Ho catene legate all’ombelico, che mi stringono la bocca in una morsa. Sono un omino di paglia, non ho il potere di cambiare le cose. Dietro ogni pagliaccio c’è un uomo che ha un conto aperto con i propri passi. Per questo non riesce a camminare ordinato. Per questo la mia bocca è ingigantita, per poter cacciare fuori quanta più rabbia, merda e schifo possibile. Sul palco a tener su l’umore di un bambino, che mangia pop-corn sulle gambe del padre. La bocca ingerisce quell’immagine perfetta, di un’infanzia lasciata u

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in Belgio a dodici anni. Sul camper C del cirque de Paris. Il bambino ride. Ho bisogno del pubblico meno di quanto il pubblico abbia bisogno di me. Ho bisogno di uno specchio profondo. Che guardi dentro. Che non si appanni. Che rifletta l’immagine del mio stomaco. Il bambino mangia pop-corn e ride. Il silenzio del mio petto però contrasta con le risate. Il pagliaccio annerisce il velo bianco dell’innocenza. Il pagliaccio decide che quello è il momento di proiettarsi in 35

un altro mondo, che gli appartiene solo il tempo dello spettacolo e poi svanisce, nell’oblio di una vita che dondola le incertezze come neonati insonni. Andavo a scuola. Mi piaceva la storia. Amavo la storia. Quel mattino decisi di non andarci. Dovevano accompagnarmi i miei genitori. Io non glielo dissi. Non ci andai. Vidi Bengo che camminava per le strade e sopra Renaud lanciava volantini del circo. Andai li. C’erano le gabbie. C’era puzza di animali. Posai

lo zaino sull’erba e mi avvicinai alla tenda delle prove. I giocolieri, i mangiafuoco, i trapezisti, ed io. Fermo. Mi innamorai. Nessuno si accorse di me. Mi sembrò un segno. Nessuno si accorse della mia presenza. Mi sentivo a casa. Cercai un deposito del trucco. Lo trovai. Era una specie di camerino. Mi truccai gli occhi, misi il cerone; mi allargai la bocca con il rossetto e feci il naso grande e rosso. Mi presentai dal capo. Dissi: “Sono un pagliaccio”. “Qual è u


Una smorfia sorridente Coperti di bianco cerone per nascondere, labbra rosse per coprire, linee nere per delimitare ma occhi impossibili da mascherare.

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E poi Il trucco lo sguardo dov’è? si perde Il nell’inganno È sogno di viverti e nel e goderti tra le fabbriche, l’amianto confondere, nel mostrare e lo sporco e che ammala, perchè nascondere, mentire guardarti fingendo è un amore malato di confessare. da cui non Finché si vuol il trucco guarire. (Napoli non viene - Lungomare svelato. e Golfo)

73 37


il tuo numero ragazzo?”. Io sono il numero, non ho altri numeri. Cominciai da allora ad aspettare il mio turno, in fila, dietro lo sportello della vita. Lui mi guardò “Sai che perderai tutto?” mi guardò fisso, ebbi timore. “Dipende, potrei anche guadagnare tutto”. Come dice Oreste quando è ubriaco fradicio, e fuma ebra, la prospettiva

è importante. Niente è per forza ovvio. Il mare non è solo acqua, è anche strada. Il cielo non è solo aria è anche speranza; la terra non è solo risorsa ma anche morte. Io non perdevo tutto. Guadagnavo tutto. La libertà servile. La vigliaccheria manifesta, di nascondermi dietro al trucco, protetto sopra ad un palco, a recitare per la vita un

ruolo. Guadagnavo un ruolo. Una posizione. Un pasto. Un animale. Un labrador bastardo, un incrocio. Bello. Nick. Stava sempre con me. Dividevamo anche la birra. Gli preparavo il riso con i miei avanzi nella birra. Gli piaceva la birra. Quella chiara. Abbaiava. Era l’unico in grado di riconoscermi, e leccarmi anche di primo mattino. u 38


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Era l’unico che mi saltava in braccio anche senza trucco. Nick dal pelo corto. Mi fece dormire nella tenda con due nani. Mi diede una notte per trovare un numero da presentare la mattina. Guardavo i nani dormire. Io disteso a pancia all’aria con le mani dietro la testa pensavo al provino all’indomani. Non sapevo cosa proporre. Mi tornava in mente la mia risposta “Io sono il numero”. Io dovevo essere il numero. La notte era lenta. Fuori la 39

luna si accucciava attenta dietro ad una nuvole densa. Il russare degli animali si accordava a quello dei nani. Ed io pensavo a cosa proporre al capo. Mi addormentai tardi. Mi svegliò il ruggito di un leone cucciolo. Mi lavai. Mi truccai. Mi presentai dal capo. “Buongiorno, non vi mostro alcuna caduta, non vi mostro alcuno impaccio, mi seggo e aspetto. Io sono il numero, la tristezza che fa ridere, giocando con i vostri occhi. Basto io per far ridere,

non c’è bisogno che spruzzi acqua dal naso, bastano già le mie pupille, non c’è bisogno che lanci coriandoli dal petto, bastano già i miei capelli. Sono il numero che toccate tutti in fila per guardarmi. Sono un pagliaccio, uno che a stento riesce ad essere credibile per se stesso. Datemi una scimmia, e saprò tenere la gente in pugno. I nostri discorsi saranno semi per fragorose risate. Io sono il pagliaccio, l’immagine della mia anima”.


Rosso vermiglio di verità Il vero se prima o poi si manifesta. L’identità si perde per ritrovarla fino alla frantumazione e dispersione di chi si è è di ciò che si rappresenta.

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41


u u u

LA

BANCA

del tempo E Lo splendido

UNIVERSO DELLA MONETA

SOLIDALE

W

illiam Shakespeare ci aveva visto lungo quando a suo tempo compose “Il tempo che fugge”. In una società dove essere retribuiti è quasi un lusso, ci pensano le Banche del Tempo a rendere giustizia a chi offre la propria professionalità o ha bisogno di servizi che non può pagare. Sono associazioni che si creano tra gruppi di persone abbastanza vicini e che operano per lo scambio gratuito di tempo. Per esempio, un socio della Bdt, paga con un assegno di un’ora la riparazione del PC mentre, in questo lasso di tempo, può dedicarsi ad altro. Barattare la preparazione di una torta con la manutenzione di un rubinetto, fare l’orlo ai pantaloni in cambio di un massaggio, ottenere una consulenza legale da una madre avvocato e in cambio fare la baby sitter, insegnare una lingua al costo di un po’ di compagnia, pulizie domestiche, liste della spesa, traduzioni, impacchettamento di regali, preparazione fisica e sportiva, attività di commercialista, volontariato per diversamente abili, app dedicate, sono solo alcune delle molteplici attività proposte dalla Banca del Tempo. Un vero e proprio Istituto di Credito con tanto di conti e sportelli che anziché il denaro, monetizza le ore. Occorrono pochi u 42


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u elementi per dare vita

ad una Banca del Tempo. É sufficiente mettere insieme un gruppo di una decina di persone disposte a compilare un documento dove oltre ai propri dati inseriscono quello che sanno fare, che vorrebbero ricevere e scambiare con gli altri, diffondere le copie di tali dichiarazioni e distribuirle ad ogni associato. Anche i requisiti per aprire una banca del tempo sono minimi: buona volontà, cuore, un dispositivo di comunicazione per mettersi in contatto con gli altri, materiale cartaceo per documenti e assegni e autofinanziamento. Ogni ora che si presta, fa salire il proprio conto temporale. Quando si consumano ore, quest’ultimo si riduce. Per usufruire dei servizi della Banca del tempo, si cerca una prestazione, ci si accorda con chi la offre e quando viene ricevuta si stacca un assegno di un’ora. Nel caso delle piattaforme virtuali, si dà anche un voto pubblico.

C’

è una persona che coordina la banca e che controlla periodicamente i conti e i blocchetti e predispone il bollettino mensile delle disponibilità di tempo, convoca riunioni, ha uno sportello, esamina le domande di adesione. La monetizzazione del tempo è stata messa in atto per la prima volta nella Gran Bretagna degli anni ‘80 attraverso i LETS o Local Exchan43

ge Trading System. Nel giro di qualche anno, le Bdt si sono diffuse a macchia d’olio in altri paesi come Francia con le Sel – Systèmes d’èchange, Spagna e America con i TROCA, Germania con le ZeitBank o Zeitbörse, Tauschringe o cerchi di scambio, i Talents, in Olanda con AktieStrohalm. Nella New York degli anni ‘90, ad Ithaca sono state stampate persino delle monete locali note come le Ithaca-Hours accettate da bar, ristoranti e cinema. L’Argentina ha visto invece sorgere i Club de Treque e in Senegal sono

nati i SEC – Systèmes d’Echanges Communautaires.

I

n Italia, nel 1991, l’istituzione della prima Banca del Tempo si deve a Giuliana Rossi, segretaria provinciale del sindacato UIL di Parma. La Banca del tempo ha dimostrato di essere un sistema rivoluzionario che, con il passare degli anni, ha preso una piega positiva tale da arginare i problemi economici, aumentare le occasioni di lavoro e di esperienza fino ad avere la possibilità di fare del bene al prossimo. Una u Concentrarsi sugli altri Meditare e offrire il proprio tempo. Chiudere gli occhi per concentrarsi sugli altri. Una pratica che dona pace interiore e fa sentire bene noi stessi e chi ci circonda.


u u u

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Sembra che esistano ancora gruppi di persone che preferiscono condividere il proprio tempo anziché scrivere sui social network. Infatti la Banca del Tempo è sbarcata nel mondo digitale con piattaforme specifiche. dimensione che si rende profonda in un’epoca come quella attuale caratterizzata da condivisione con l’intangibile e riservatezza con ciò che è vicino.

U

n’era dove la favola del lupo cattivo del quale diffidare, dello sconosciuto da tenere alla larga, inizia a colorarsi con i dettami delle Banche del Temp, o dove la ricchezza si costruisce attraverso la monetizzazione solidale delle ore. Viene messo in pratica quello che filosoficamente parlando si definisce cura di sé e cura degli altri. Lo

spirito che attualmente vige nell’anima degli abitanti dell’era della velocità, del tutto e subito e dell’egoismo trova indulgenza attraverso questi particolari istituti di credito. Sembra che esistano ancora gruppi di persone che preferiscono condividere il proprio tempo anziché scrivere post sui principali social network. Infatti, in linea con i trend della rivoluzione attuata dai new media, la Banca del Tempo è sbarcata nel mondo digitale con piattaforme web e app specifiche. Emblematico è TimeRepublik, un social network dove ogni utente una volta registra-

tosi può offrire la propria competenza in cambio di ore e ottenere persino un feedback che può avere riscontri positivi sul fronte lavorativo. La tecnologia è solo la ciliegina sulla torta di un valore più profondo che si esplica attraverso le pratiche del credito del tempo. Tutti vengono messi sullo stesso piano. Non esistono livelli o caste sociali di appartenenza. Quello che conta sono le capacità che si decide di mettere a servizio degli altri. Insomma un Istituto di credito che fa bene al cuore e che si fonde con i sentimenti più nobili e reconditi dell’animo umano. Una realtà che quasi si può definire come l’antidoto ad una delle principali cause dei mali dell’umanità: il denaro. Attraverso il valore dello scambio, si creano relazioni, si riscopre il piacere di donare una parte di sé al prossimo. Una sorta di giustizia nei confronti di chi si vede ogni giorno rubare il tempo senza ricevere indietro gratificazione alcuna. Infine, sulla scia della reciprocità, dello scambio di doni e di patti che surclassano qualsiasi contrattazione monetaria al punto tale da far scomodare l’anima di un certo Adam Smith c’è da chiedersi quali saranno gli step successivi. Lo stesso valore temporale potrebbe muoversi tra online e off-line superando i confini delle azioni locali di solidarietà. Qualche esempio? Redigere file di testo a distanza in cambio della realizzazione di un sito web oppure perché non ipotizzare di scambiarsi ore per la consegna di documenti cartacei in città diverse? 44


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L’era della solitudine ci sta uccidendo di George Monbiot (The Guardian) Nell’era della solitudine, dove al termine popolo sostituiamo la parola individui, dove la paura più grande è di essere un perdente agli occhi degli altri. Loser è l’uomo che ha dimenticato ormai di essere un animale sociale. Un animale che, per sua natura, tende ad aggregarsi. L’uomo versus l’uomo si rannicchia su se stesso e su rapporti para- sociali, legati e limitati. Limitanti e involutivi, regressivi e depressivi.

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C

ome dovremmo chiamare questo tempo? Non è l’era dell’informazione: il crollo dei movimenti di educazione popolare ha lasciato un buco riempito dal marketing e dalle teorie cospirative. Come nell’età della pietra, del ferro e dello spazio, l’età digitale dice molto sui nostri manufatti ma poco riguardo la nostra società. L’antropocene, l’era in cui gli esseri umani hanno cominciato a condizionare pesantemente la biosfera, non distingue tra questo secolo e il ventesimo. Quale chiaro cambiamento sociale divide il nostro tempo da quello che ci ha preceduto?

Per me è ovvio. Questa è l’età della solitudine. Quando Thomas Hobbes sostenne che nello stato di natura, prima che nascesse un’ autorità per tenerci sotto controllo, fossimo coinvolti in una guerra in cui “ogni uomo era contro ogni altro uomo”, non poteva avere più torto. Eravamo creature sociali fin dall’inizio, le api dei mammiferi, che dipendevano del tutto l’uno dall’altro. Gli ominidi dell’Africa orientale non sarebbero sopravvissuti una sola notte da soli. Noi veniamo formati, in misura maggiore di qualsiasi altra specie, dal contatto con gli altri. L’età in cui stiamo entrando, in cui le nostre esistenze sono sepa-

rate, è diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. Tre mesi fa abbiamo letto che la solitudine è ormai diventata un’epidemia tra i giovani. Ora veniamo a scoprire che affligge altrettanto gli anziani. Uno studio condotto dall’Indipendent Age dimostra che le vite di 700mila uomini e 1 milione e 100 mila donne over 50 sono afflitte da una grave solitudine, e i numeri stanno crescendo con una velocità sorprendente. È improbabile che ebola possa ammazzare più di questa malattia. L’isolamento sociale è così potente da causare tante morti precoci quanto lo farebbe fumare 15 sigarette al giorno; la solitudine, se- u

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condo la ricerca, fa il doppio dei morti dell’obesità. Demenza, alta pressione sanguigna, alcolismo e incidenti – tutto questo, e anche la depressione, la paranoia, l’ansia e il suicidio, diventano più probabili quando vengono tagliate le connessioni col mondo. Non possiamo affrontare la vita da soli.

S

ì, le fabbriche hanno chiuso, le persone viaggiano in auto invece che nei bus, usano Youtube piuttosto che andare al cinema. Ma questi cambia49

menti non sono sufficienti a spiegare la velocità del crollo della nostra socialità. Questi cambiamenti strutturali sono accompagnati da un’ideologia che nega la vita, e rafforza e celebra il nostro isolamento sociale. La guerra di ogni uomo contro tutti gli altri – la concorrenza e l’individualismo, in altre parole – la religione del nostro tempo, giustificata da una mitologia di cavalieri solitari, imprenditori visionari, self made man, tutti che vanno da soli. Per la più sociale delle creature, che non può prosperare senza amore,

non c’è niente che somigli a una società, soltanto eroico individualismo. Ciò che conta è vincere. Il resto è un effetto collaterale.

I

bambini britannici non sognano più di guidare treni o fare gli infermieri – più di un quinto di loro dice di voler “solo essere ricco”: benessere e fama sono le uniche ambizioni del 40% di loro. Uno studio del governo pubblicato nel mese di Giugno ha rivelato che la Gran Bretagna è la capitale europea della solitudine. Siamo u


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meno propensi degli altri europei ad avere amici stretti o conoscere i nostri vicini. Chi può sorprendersi, quando ovunque veniamo esortati a combattere come se fossimo cani randagi che si contendono un bidone?

A

bbiamo cambiato il nostro linguaggio per riflettere questo cambiamento. L’insulto più grave che possiamo rivolgere a qualcuno è “Loser”, perdente. Non parliamo più di “people”, popolo. Ora li chiamiamo “individuals”, individui. È così pervasivo questo termine alienante, atomizzante, che ormai anche le associazioni che combattono la solitudine lo usano per descrivere le entità bipedi precedentemente note come “human beings”, esseri umani. Difficilmente possiamo completare una frase senza farla diventare “personal”, individuale. “Personalmente (per distinguere me stesso dal manichino di un ventriloquo) preferisco avere amici personali alla varietà impersonale e alle credenze personali riguardo cose che non mi appartengono. Anche se questa è soltanto la mia personale opinione, altrimenti nota come la mia opinione”. Uno dei tragici esiti della solitudine è che le persone si rivolgono ai loro televisori per consolarsi. Due quinti delle persone anziane riferiscono che il Dio da un solo occhio è la loro principale compagnia. Questa automedicazione peggiora la malattia. Una ricerca degli economisti dell’università di Milano suggerisce che la televisione aiuta a sviluppare aspirazioni competitive. Rafforza fortemente il paradosso reddito-felicità: il fatto che, all’aumentare dei redditi nazionali, la felicità non cresca insieme a loro. L’aspirazione, che cresce col reddito, fa sì che il punto d’arrivo, di soddisfazione imperitura, si allontani da noi. I ricercatori hanno scoperto che coloro che guardano molta TV ottengono meno sod- u 51


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disfazione da un dato livello di reddito rispetto a quelli che guardano meno televisione. La tv accelera il tapis roulant dell’edonismo, costringendoci a sforzarci ancora di più per ottenere lo stesso livello di soddisfazione. Basti solo pensare ai provini muro contro muro dei TV show come Dragon Den, The Apprentice e la miriade di altre competizioni basate sulla carriera celebrate dai media, l’ossessione generalizzata per la fama e la ricchezza, la sensazione pervasiva, guardandoli, che la vita sia diversa da quella in 53

cui sei immerso, che potrebbe essere come quella in TV.

A

llora, qual è il punto? Cosa ci guadagniamo da questa guerra che vede tutti contro tutti? La competizione spinge alla crescita, ma la crescita non ci fa stare meglio. Le cifre pubblicate questa settimana mostrano che, mentre il reddito dei dirigenti è cresciuto di più di un quinto, i salari per la manodopera nel complesso sono precipitati, in termini reali, nel corso dell’ultimo

anno. I padroni guadagnano – scusate, voglio dire prendono – 120 volte di più del lavoratore medio a tempo pieno (nel 2000, era 47 volte). E anche se la competizione ci ha fatti più ricchi, non ci sta facendo più felici, dato che la soddisfazione derivata da un aumento di salario è compromessa dagli impatti sull’aspirazione della competizione. L’1% più ricco possiede il 48% della ricchezza globale, ma neppure loro sono felici. Un sondaggio del Boston College condotto su persone con un patrimonio netto me- u


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dio di 78 milioni di dollari ha scoperto che anche loro sono state assalite da ansia, insoddisfazione e solitudine.

M

olte di loro hanno riferito di sentirsi economicamente insicure: per raggiungere un terreno sicuro credono di necessitare, in media, almeno del 25% in più di denaro (E se ci riuscissero? Senza dubbi avrebbero bisogno di un altro 25%). Uno degli intervistati ha detto che non

si sarebbe sentito al sicuro finché non sarebbe arrivato ad avere 1 miliardo di dollari in banca. Per questo, abbiamo fatto a pezzi il mondo naturale, degradato le nostre condizioni di vita, ceduto le nostre libertà e le prospettive di appagamento per un compulsivo, atomizzante, edonismo privo di gioia, in cui, avendo consumato tutto il resto, abbiamo iniziato a mangiarci da soli. Per tutto questo, noi abbiamo distrutto l’essenza dell’umanità: la nostra connessione. Sì, ci sono palliativi, intelligenti e

deliziosi schemi come “Men in Sheds” e la “Walking Football” sviluppati dagli enti di beneficenza per gli anziani soli. Ma se vogliamo rompere questo ciclo e stare insieme ancora una volta, noi dobbiamo abbattere il sistema carnivoro e mangia-mondo in cui siamo stati imprigionati. La condizione pre-sociale di Hobbes era un mito. Ma noi stiamo entrando in una condizione post-sociale che i nostri antenati avrebbero creduto impossibile. Le nostre vite stanno diventando nauseanti, brutali e lunghe.

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u u u

Il debutto

dell’indice di progresso

sociale

dei Nobel

Sen e Stiglitz

D

di Marco Tregua

opo la versione beta del 2013, il 2014 vede la pubblicazione dell’indice del “Progresso Sociale”, nato sulla base del pensiero e degli scritti di alcuni tra i più acclamati economisti degli ultimi anni, tra cui i premi Nobel Amartya Sen e Joseph Stiglitz. Le risultanze ambientali e sociali sono il cuore delle valutazioni proposte con il Social Progress Index, a differenza delle numerose valutazioni che nel tempo si sono radicate attorno a variabili di matrice strettamente economica. Nel dettaglio le componenti dell’indice sono il soddisfacimento dei bisogni umani elementari, spesso conosciuti come esigenze alla “base della piramide”, gli elementi fondamentali del benessere e le opportunità che un paese offre ai propri cittadini. Andando più a fondo, tra i bisogni elementari si ritrovano l’alimentazione, la disponibilità di cure mediche e la sicurezza personale, mentre il benessere dipende dall’accesso alle cono- u 59


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u scenze di base, al benessere fisico e alla sostenibilità ambientale; infine, l’area delle opportunità guarda ad aspetti sociopolitici, quali l’accesso all’istruzione superiore, la libertà personale e di scelta, il rispetto dei diritti della persona e le politiche di tolleranza.

L

a contemporanea considerazione delle tre classi di fattori descritte ha portato la Nuova Zelanda ad agguantare la vetta di questa prima edizione dell’indice, grazie soprattutto all’ottima performance rispetto alle opportunità che il paese offre. Poco più dietro si colloca la Svizzera, che primeggia per soddisfacimento dei bisogni di base e per i risultati in termini di benessere. Proprio il benessere è il vanto anche dell’Islanda che conclude lo speciale podio di questa classifica.

G

li altri paesi che occupano le posizioni principali del Social Progress Index sono i Paesi Bassi, la Norvegia, la Svezia, il Canada, la Finlandia, la Danimarca e l’Australia. Singolare è la posizione della Danimarca, che primeggia per soddisfacimento dei bisogni di base, ma il suo ranking è affievolito da risultati meno eccellenti nell’ambito delle opportunità. Il mondo occidentale primeggia, dunque, in termini di progresso sociale e le altre aree del mondo, così come per gli aspetti economici, arrancano; nel Centro - America, ad esempio, i più fortunati sono i costaricensi (25° posto), seguiti dai primi sudamericani (Uruguay) e poco più dietro dagli abitanti delle Mauritius, primi tra gli africani, al 34° posto. Il 2015 spingerà verso l’alto alcune di questi paesi, con la convinzione che gli aspetti economici non sono l’unica necessità, come mostrano i problemi riscontrati da alcune potenze o l’eccellente performance del Ruanda per partecipazione alla scuola primaria.

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Je suis Jean C. Juncker Un piano strutturale e la creazione di un nuovo fondo destinato agli investimenti strategici si pongono l’obiettivo di riuscire a mobilitare 315 miliardi di euro nel prossimo triennio. Sicurezza, salute, protezione costituiscono l’incipit di un pensiero. Il pensiero di una mente di spicco: Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione europea del Parlamento.

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“L

a mia prima priorità sarà far sì che le politiche che servono a creare crescita ed occupazione siano al centro dell’agenda politica della Commissione europea. Per fare tutto ciò, abbiamo bisogno di un ingrediente chiave: dobbiamo creare un mercato unico digitale per consumatori ed imprese. Voglio riformare e riorganizzare la politica energetica europea in una nuova Unione energetica europea. Come Presidente della Commissione, sarò anche molto chiaro sul fatto che non sacrificherò gli standard europei sociali, di sicurezza, di salute e di protezione dei dati sull’altare del libero scambio. In particolare, la sicurezza del cibo che mangiamo e la protezione dei dati personali dei cittadini europei saranno per me, da Presidente della Commissione, principi non negoziabili.” Tre valori chiave: leadership efficiente, solidarietà tra popoli e Nazioni, forte visione del futuro. Ruolo chiave nella firma del trattato di Maastricht, pilastro fondante dell’Unione Europea. Meritevole di aver forgiato la riforma del Patto di Stabilità e Crescita. u

Jean-Claude Junker Politico e avvocato lussemburghese. Presidente della Commissione Europea. Il volto di una politica fondata su efficienza, solidarietà in una forte visione del futuro.

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Q

uale personaggio più adatto per guidare, dal 1 novembre 2014, la Commissione Europea, degno erede dell’illustre predecessore Santer? Jean- Claude Juncker ha seguito le sue orme, succedendo a Santer sia come Premier che come presidente della Commissione Europea. Può essere considerato uno dei leader con maggiore esperienza in Europa. Potrebbe tranquillamente essere definito “l’uomo delle prime volte”: difatti la sua grande esperienza e la sua innegabile competenza lo hanno portato ad essere Primo Presidente per-

manente dell’Eurogruppo, venendo meno alla prassi di assicurarne la presidenza semestrale al Ministro delle Finanze dello Stato esercitante la presidenza semestrale del Consiglio dell’UE. Per la prima volta, il Presidente della Commissione Europea viene eletto a maggioranza qualificata e non nominato all’unanimità, a causa del dissenso di Cameron e Orbàn. Juncker non ha guidato il Lussemburgo per una o due legislature, ma per vent’anni. Primo ministro, nonché ministro delle Finanze, del Lavoro e del Tesoro. Vent’anni durante i quali il Paese si è arricchito immensamente,

diventando la residenza fiscale di almeno 340 delle più importanti compagnie internazionali, senza contare fondi di investimento di quasi 3 mila miliardi di euro di attività, secondi solo agli Stati Uniti. È anche grazie a queste operazioni che il granducato è diventato una delle nazioni più ricche al mondo, secondo solo al Qatar.Luci,luci che hanno reso Juncker uno degli uomini più potenti, dall’interminabile curriculum vitae colmo di onorificenze e incarichi prestigiosi. Ma anche ombre, ombre lunghe che investono la sua figura e inducono a porsi tanti, troppi interrogativi. Lo scandalo u

Uno sguardo lungimirante Alla guida del Lussemburgo per vent’anni, Junker ha reso il Paese un paradiso fiscale per almeno 340 compagnie internazionali, attraendo così cospicui fondi d’investimento all’interno del già ricco granducato.

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LuxLeaks, uno dei temi più scottanti e gettonati degli ultimi tempi, tanto da guadagnarsi titoloni e titoloni sulle maggiori testate economiche, da Bloomberg al Financial Times, è associato in automatico al suo nome. Eppure, prima ancora del sorgere di questo scandalo definito senza precedenti – che di scandaloso, agli effetti, non avrebbe proprio nulla- dubbi e perplessità sono stati sollevati sia al momento della sua elezione come Presidente della Commissione Europea. Anche prima, in realtà.

I

chiaroscuri della elezione di Juncker. Uno stile in linea a quello dei “padri europei” - Nel discorso di presentazione al Parlamento europeo, Juncker aveva sottolineato tra le sue priorità «la necessità di 69

rimettere l’Europa al lavoro, presentando nei primi tre mesi del suo mandato un programma di occupazione, crescita e investimenti per 300 miliardi di euro nei prossimi tre anni». Ha promesso di sostituire la ‘troika’ - «lo spauracchio delle istituzioni finanziarie che hanno gestito la crisi di questi ultimi anni», con una struttura «più democratica e legittima con un programma di aiuti sostenuti da uno studio approfondito del loro impatto sociale». Ha anche evocato un accordo commerciale con gli Stati Uniti «ragionevole ed equilibrato», e soprattutto «trasparente», una politica estera veramente comune con un «ampio portafoglio a sostenerla» e una nuova politica di asilo basata sulla solidarietà ma anche sulla legalità, «con paletti comuni», perché l’Europa possa

diventare una destinazione di spicco per attirare i talenti di tutto il mondo. Un contentino finale alla parità di genere e un invito a tutti a «mostrare al mondo che insieme possiamo ridare un nuovo slancio all’Europa». I “chiaroscuri” dell’elezione di Juncker sono stati ben sintetizzati da Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio italiano per il Movimento Federalista Europeo. Secondo Dastoli, non solo “c’è stata molta esagerazione nel ritenere che questa elezione rappresenti un passo avanti in direzione di una maggiore democratizzazione dell’Europa, ma, Juncker, parlando a Bilt, ha detto che è stata Angela Merkel a conferirgli l’incarico di capolista dei popolari. Juncker nasce quindi da una decisione di Angela Merkel, non è stato eletto dai cittadini u


Luci e ombre di un leader Luci e ombre nella politica e nelle scelte di un uomo che si è posto l’obiettivo di rimettere l’Europa al lavoro: occupazione, crescita e investimenti, solidarietà e collaborazione.

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perché la gran parte dei cittadini non sapeva nemmeno che Juncker fosse candidato”. Lo “stile” Juncker, secondo i molti detrattori, si richiama direttamente a quello dei “padri” dell’Unione Europea: all’indomani di elezioni in cui tutti i partiti in lizza avevano invocato meno rigore, più democrazia e più trasparenza, Juncker incarnerebbe la figura dell’uomo giusto al momento giusto. Leali e obbedienti, soprattutto perché ricattabili: è la regola d’oro in base alla quale il super-potere sceglie i suoi ineffabili candidati. Ombre lunghe, dunque, sulla nomina di Juncker al vertice della Commissione Europea: Angela Merkel, che l’ha imposto alla Gran Bretagna con la collaborazione di Renzi e Hollande, sa di poter sempre contare sulla fedeltà di un uomo molto chiacchierato, storica pedina dei poteri forti e accusato, nel suo paese, di aver fatto schedare migliaia di persone a loro insaputa, dopo aver coperto la strategia della tensione di marca Gladio.

U

na vicenda dallo stile tipicamente italiano - La storia processuale della Gladio del Lussemburgo ricorda quella delle tante stragi italiane: processi rinviati, amnesie, testimoni scomparsi, sparizione delle prove. Juncker ha annunciato le dimissioni dal governo del Lussemburgo nel 2013, a seguito di uno scandalo riguardante i servizi di intelligence, accusato di aver schedato illegalmente centinaia di migliaia di cittadini. L’accusa, nello specifico, è per la mancata vigilanza sulle operazioni della Srel, l’agenzia di servizi segreti lussemburghese. In un rapporto della commissione d’inchiesta presentato al Parlamento, emergono le violazioni commesse tra il 2003 e il 2009 che includono un giro di tangenti, corruzione e intercettazioni telefoniche, sulle quali il premier avrebbe chiuso un occhio. La Gladio in Lussemburgo era stata sciolta ufficialmente nel 1990, come in altri paesi europei. Tuttavia i funzionari dei servizi segreti avrebbero poi continuato a spiare illegalmente singoli individui per motivi privati senza che il premier intervenisse. L’establishment politico tentò di fermare la magistratura che stava cercando di far luce su quegli strani episodi di terrorismo. Per zittire il giudice Robert Biever, che era giunto ad accusare direttamente il ministro della giustizia Luc Frieden di sabotare le indagini, fu scatenata una campagna di disinformazione e discredito, arrivando a incolpare il magistrato di turismo pedofilo in Thailandia. Gli oscuri attentati degli anni ‘80 contro l’innocuo Lussemburgo, in 71


Nello stile dei Padri dell’Unione Lo scandalo LuxLeaks tra le ombre che oscurano la sua immagine. Uno scandalo che non scandalizza e che non lo lascia senza poltrona ma che lo fa sentire indebolito per le accuse contro la sua etica e la sua morale.

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realtà «servivano a creare una tensione allarmante nella popolazione, al fine di far accettare leggi restrittive e un controllo totale su ogni singola persona», come afferma lo storico svizzero Daniel Ganser, che denuncia i contatti “coperti” tra l’intelligence lussemburghese e il Bnd, il servizio segreto della Germania. L’affare Gladio diventava una guerra interna tra il governo, la magistratura e le diverse famiglie di alto rango implicate. Chiamato a deporre insieme al ministro Frieden, lo stesso Juncker disse di non sapere nulla e che non era suo dovere sapere cosa facessero i servizi

segreti. A smentirlo provvide Marco Mille, direttore dell’intelligence, che attirò Juncker in una trappola: doveva essere un colloquio privato, ma fu registrato con una microspia nascosta nell’orologio del generale – cosa che scatenò le proteste di Juncker, indispettito per la registrazione “illegale” e la diffusione di informazioni “protette da segreto di Stato”. Non fece mistero delle ombre lunghe di Gladio, invece, un altro politico lussemburghese, Jacques Santer, predecessore di Juncker sia come Premier che come Presidente della Commissione UE. Juncker alla rivista “Focus” dichiarò: «Nulla

deve essere portato in pubblico, noi del gruppo Europa Unita discutiamo tutto in segreto, e quando la cosa diventa seria dobbiamo dire esclusivamente le bugie».

L

uxLeaks: lo scandalo ... non scandalo - Francese ed ex dipendente della società di revisione e consulenza fiscale Price waterhouse Coopers (PwC): queste le sole informazioni che si conoscono sull’identità della presunta “talpa” che con le sue rivelazioni ha innescato lo scandalo LuxLeaks, scoperchiando il vaso di Pandora su trattamenti fiscali estremamente u

Il caso Juncker Juncker: il primo Presidente della Commissione europea eletto dal Parlamento Europeo su proposta del Consiglio europeo, partendo dai risultati delle elezioni europee in cui i candidati alla guida della Commissione erano stati indicati dalle famiglie politiche europee prima del voto.

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vantaggiosi per oltre 370 multinazionali, ed mettendo nei guai Juncker. Un’inchiesta giornalistica di ICIS, Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, definita Luxembourg Leaks, pubblicò nel novembre del 2014 i nomi di più di 300 aziende e multinazionali direttamente coinvolte nelle decisioni fiscali prese da Juncker nel suo governo tra il 2002 e il 2010. Si è parlato di accordi vantaggiosi sui prezzi di trasferimento globale, collegati con direttive dell’UE, che riguardavano il regime fiscale del Lussemburgo. Sarebbero state garantite, insomma, esenzioni fiscali e minori imposizioni. Addirittura trattamenti fiscali ridotti al minimo, il 2 % appena, per gruppi finanziari intenzionati a basare i loro assets nel Granducato. Tra le 35 nuove aziende citate nei documenti ottenuti dal Consorzio internazionale dei giornalisti di inchiesta figurano anche Skype, Walt Disney, Telecom Italia e Koch Industries Apple, Amazon, Ikea, Pepsi, Heinz, Verizon e AIG. L’obiettivo era per tutti lo stesso: ridurre al minimo l’imposizione fiscale. Un’operazione che negli anni ha drenato miliardi di euro alle casse dei paesi europei. Nel dettaglio, il sistema di accordi denominato tax ruling permette a una società di chiedere a un paese in che modo ha intenzione di trattare la propria situazione fiscale in un modo da ottimizzare le proprie imposte. Una volta ottenuta la risposta le aziende scelgono anche dove prendere la residenza fiscale o dove completare una determinata operazione. Juncker è finito così nel mirino, destabilizzato a meno di una settimana dalla sua nomina al vertice della Commissione Europea. Eppure egli si è tenuto bel stretta la sua poltrona, proclamando, anzi, lotta serrata all’evasione fiscale e informazione maggiore in materia di tax ruling. “Non ho nulla da rimproverarmi, ma mi sento indebolito, perché Luxleaks lascia credere che io abbia partecipato a delle manovre che non rispondono alle regole elementari dell’etica e della morale. Io non sono l’architetto del sistema, ma ne sono politicamente responsabile”, ha asserito in sua difesa Juncker. Inizia, dunque, a concentrarsi il fuoco su Juncker, anche da parte di testate economiche come Bloomberg e il Financial Times, che evidenziano come il ruolo di Juncker sarebbe in conflitto d’interessi dal momento che oggi si trova a capo dell’istituzione che sta indagando le pratiche fiscali da lui supervisionate quando era Primo ministro. Non solo: a rendere forse ancora più complessa la sua situazione è il fatto che l’arricchimento del Lussemburgo sotto la guida di Juncker è avvenuto, di fatto, u 75


Fautore della logica europea Rappresentante della logica europea e del nuovo trattato transatlantico alla cui base vige un’idea di assoluta liberalizzazione dei mercati.

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L’appoggio pieno di Draghi E poi La BCE loaccoglie sguardototalmente si perde Il piano il sognoJuncker di viverti perchè e goderti tra le fabbriche,lel’amianto spingerà riforme strutturali e lo sporco che ammala, perchè all’attuazione rapida, guardarti agli è un amore malato da cuicon investimenti nonelevato si vuol guarire. (Napoli ed ritorno - Lungomare opportunità. e Golfo)

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a scapito delle nazioni che, fra le altre, oggi fanno parte dell’Unione Europea. Lo scandalo ha suscitato reazione viscerali, generando un vero e proprio scontro sotterraneo tra Paesi forti e deboli dell’UE. Dall’ Ikea a Finmeccanica, da Deutsche Bank a Unicredit a Fiat. Tutte operazioni che hanno permesso ai grandi ricchi di sottrarre miliardi di tasse ai Paesi nei quali il reddito viene generato. Tutte cose che non erano affatto segrete, ma anzi propagandate per mostrare come il Granducato fosse un bengodi.

I

l vero scandalo Luxleaks non può affatto essere inteso come uno scandalo. Il motivo è semplice, logi-

co, elementare. Nessuno può negare di sapere che il Lussemburgo è il paradiso fiscale per eccellenza, che Juncker per 18 anni è stato padrone assoluto della politica lussemburghese. Forse non tutti comprendono che è frequente che un Paese possa “contrattare” le sue condizioni di insediamento, che la moneta unica sia stata introdotta senza prima un’armonizzazione fiscale. Juncker è stato semplicemente fautore e più autorevole rappresentante della logica europea, del nuovo trattato transatlantico. Alla base della governance europea c’è un’idea di liberalizzazione assoluta, presente fin dal Trattato di Lisbona, oltre che nella direttiva Bolkenstein: gli Stati concorrenti

sul terreno fiscale, avrebbero abolito o reso simbolica la tassazione sulle attività economiche. Il vero scandalo sarebbe stato, da parte di Juncker, rifiutare di prestarsi a questa truffa a vantaggio di emissari di banche e aziende in cerca di assoluzioni fiscali. L’ironia del rigorista divenuto Arcangelo del paradiso fiscale, quale è il Lussemburgo, non è affatto incomprensibile. Tutto ciò è ironico ma non strano o inspiegabile. Il rigore europeo si riferisce esclusivamente agli strumenti con cui si deve far fronte al debito pubblico e al deficit di bilancio, non di sicuro al livello di tassazione delle aziende. Juncker ha il profilo perfetto, le caratteristiche più adatte. 78


!MPATTO - Innovation N.2 | 13 Gennaio 2015

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2015 Consumer

Electronic

Show T

ra il 6 e il 9 gennaio, in quel di Las Vegas, si è svolta la più importante fiera al mondo relativa all’elettronica di consumo (Per il mercato professionale esiste il CeBIT di Hannover, per quella enthusiast il Computex di Taipei). Proprio per questa particolare caratteristica, grande risonanza mediatica hanno avuto quei prodotti dedicati all’utenza casalinga, in particolare Televisori e Smartwatch. Partendo dai primi, sono stati presentati numerosi modelli di TV caratterizzati da una risoluzione 4K (3840x2160) o superiore. Constatato che i modelli in grado di riprodurre contenuti in 3D si sono rivelati un flop commerciale, le case hanno deciso di puntare su fattori fruibili da un pubblico più ampio, e cioè la risoluzione video e la qualità del pannello. Ad esempio, LG ha presentato le SmartTV della serie UF, caratterizzate da uno schermo OLED con risoluzione 4K in grado di riprodurre colori u

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u molto più realistici rispetto ad un classico

schermo LCD e dall’integrazione del sistema operativo webOS 2.0 in abbinamento ad un SoC quad core. Samsung, altro gigante del settore, ha presentato le SmartTV della serie SuHd, sempre con schermo 4K, le quali saranno equipaggiate con il sistema operativo proprietario Tizen, in sostituzione ad Android di Google. Con questa mossa Samsung spera di poter entrare da protagonista nel mercato software, aprendo un proprio Store di App, aumentando i già notevoli introiti.

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assando agli Smartwatch, fanno la propria comparsa i primi modelli che forse possono essere considerati utilizzabili, dopo che l’iniziale ondata di modelli, circa due anni fa, è stata un buco nell’acqua dal punto di vista commerciale. Garmin presenta tre modelli, tra i 249 e i 599 euro, destinati a tre tipologie di acquirenti: il Fenix 3 è uno sportwatch destinato agli sportivi, in quanto integra, oltre al GPS, diverse funzionalità specifiche dedicate a chi pratica anche sport estremi (altitudine, distanze percorse, pendenze, ritmo cardiaco, calorie bruciate, ecc). Epix, invece, è uno smartwatch dedicato a chi pratica escursionismo, in quanto integra anche una mappa europea topografica. L’ultimo modello, Vivoactive, è dedicato a chi pratica fitness e sport classici in quanto, ad esempio, nella memoria interna sono memorizzate le mappe di oltre 38.000 campi da tennis dislocati in tutto il mondo. LG, al contrario di Garmin, offre uno smartwatch decisamente più classico, il G Watch R, realizzato in collaborazione con AUDI ed in grado di controllare alcune funzionalità delle auto della casa tedesca tramite la connessione NFC.

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aturalmente non sono mancate altre interessanti new entry, come ad esempio il SoC nVidia Tegra X1, dedicato al mercato Automotive (lo si vedrà integrato nelle auto di AUDI, Wolkswagen e Porsche), e l’introduzione dei primi monitor per videogiocatori dotati di tecnologia FreeSync, in grado di limitare il fastidioso effetto di tearing (difetto per cui lo schermo, durante la riproduzione di un video o di un gioco, appare “strappato” in due o più punti). Contrariamente a quanto si è visto gli anni passati, questo 2015 si è dimostrato un ottimo anno per il CES, finalmente ricco di interessanti novità a 360°. 82


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