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N.12 | 25 Dicembre 2014
CONTENUTI
Totally Off the Wall
Terra d’odio Terra d’amore Betlemme, Nazareth, Gerusalemme: la nascita, la vita, la morte e il ritorno alla vita. Nei luoghi divinatori e terreni. nelle terre in cui è germinata la verità, in cui sono stati tracciati i sentieri di un amore universale, in cui sono state diffuse parole di uguaglianza manca ancora la pace, la convivenza, la verità. Nell’attesa che cadano muri divisori nello scontro tra civiltà così vicine e così diverse.
41.
7. Buon Natale 3
Viaggio. Viaggio con la mente. Alle battaglie in cui si credeva di aver reso l’Italia un paese emancipato. Un paese dove la l’orizzonte doveva essere la linea che univa popolo e Stato in un parallelismo comune di intese, interessi, vantaggi.
25.
E il settimo giorno ...
31.
Il Ministro dell’Economia francese Macron punta all’apertura delle attività anche nei giorni festivi.
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Direttore Responsabile
C’abbast 51. e C’a
Emanuela Guarnieri Responsabile Editoriale Guglielmo Pulcini Contributi Anna Annunziata Giorgia Mangiapia Marina Finaldi Flavio Di Fusco Pierluigi Patacca Gennaro Battista Marco Tregua Liliana Squillacciotti Eleonora Baluci Valerio Varchetta
Il nutrirsi: un bisogno primario. Uno dei piaceri della vita. Il primo piacere della vita. L’estasi del sapore e la gioia della condivisione. La scoperta nell’assaporare e la sensualità del toccare. Il cibo come un viaggio di curiosità e scoperta. Il cibo come soddisfazione e felicità. Cucinare per creare. Mangiare per gustare.
Josy Monaco Armando De Martino Grafica Ennio Grilletto Vittoria Fiorito
61.
La Vita La Felicità
La scrittrice che non scrive
35.
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N.12 | 25 Dicembre 2014
םילשורי
Terra d’odio Terra d’amore Betlemme, Nazareth, Gerusalemme: la nascita, la vita, la morte e il ritorno alla vita. Nei luoghi divinatori e terreni. nelle terre in cui è germinata la verità, in cui sono stati tracciati i sentieri di un amore universale, in cui sono state diffuse parole di uguaglianza manca ancora la pace, la convivenza, la verità. Nell’attesa che cadano muri divisori nello scontro tra civiltà così vicine e così diverse. 7
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na capanna e della paglia in cui qualcuno è stato adagiato. Una bottega in cui ha lavorato come falegname Una croce e la tomba in cui qualcuno è risorto. Betlemme, Nazareth, Gerusalemme: luoghi di verità rivelate e di odio manifesto. Accade così che, dopo duemila anni, all’ultima luce del giorno, in una delle città vecchie, s’intraveda un aquilone all’estremità di un filo ma il bambino che lo tiene su sia nascosto da un muro. Un muro su cui sventolano bandiere. Un muro invisibile, spesso e pregnante di una separazione storicamente stagnante. Gerusalemme. Città santa. Città eterna. Desiderata. Amata. Contesa. Dilaniata. Luogo sacro per le tre grandi religioni monoteiste. In primis per l’Ebraismo e il Cristianesimo e - dopo La Mecca e Medina - anche per l’Islam. Gerusalemme che “gioca a nascondino fra i suoi nomi. Gerusalemme, al-Quds, Geru, Ieru. Sussurra nell’ombra: Yebus, Yebus, Yebus. Piange in preda alle proprie nostalgie: Elia Capitolina, Elia, Elia. Si avvicina ogni uomo che la chiama di notte da sola”. Nomi di donna, di una donna prigion- u
Una tradizione stretta in un pugno Un abito che ricorda il passato. il nero della compostezza. il bianco della propria onestà. In una tradizione fatta di simbologie. (Ph. Bernat Armangue - 2011)
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Passi nel silenzio Negli antichi atri, il camminare lento della meditazione. L’incedere deciso della pace interiore. (Ph. Bernat Armangue - 2011)
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iera dei suoi amori: Yebus conquistata da Davide. Elia edificata dall’imperatore Adriano. Tutti la amano e tutti l’abbandonano nella sua solitudine. Nelle sue pietre, nelle sue rovine, nella sua storia. In una poesia in cui il nome di Gerusalemme è reso immortale si immagina che da un terrazzo traspaia l’umanità del nemico che asciuga il sudore perché, come Abramo cacciato dall’Eden, l’uomo dovrà coltivare la terra col sudore della sua fronte fino a quando tornerà polvere della terra. Destino comune a tutti i nemici. Un aquilone volteggia nel cielo e un bambino lo guida nell’illusione falsa e costruita di tregue sventolate, ostentate, fiere come
bandiere. Bandiere al di sopra di un muro. Aquiloni al di sopra di un susseguirsi di pietre massicce che emanano un senso di costrizione, di divisione nell’impossibilità di vedere il proprio “nemico” precostruito e stabilito da altri. Così appare Gerusalemme nelle parole e nei versi di chi la abita. Velata di un senso triste e smascherato dell’illusione perché i registi della messinscena della barriera voluta vogliono convincere che da quel lato del muro si è felici, anzi no dall’altro lato del muro lo si è di più. L’importante è convincersi e convincere che tutto vada bene. Meglio da un lato del muro rispetto all’altro e viceversa.
L
a verità è un’altra: non si è felici a Gerusalemme. Non lo si è a Betlemme né a Nazareth. Non si è liberi. Non si è nati liberi. Non si ha libertà nativa.. Le pietre innalzano un muro. A Gerusalemme, un muro del pianto, sacro agli ebrei dal 1967, dal momento in cui Gerusalemme – contesa, ama a e ripudiata – fu posta sotto la sovranità israeliana. Unico resto del Tempio di Gerusalemme dalla Storia antica e ora attrazione per turisti e capi di Stato stranieri. Un muro che merita rispetto, che assume un significato intimo per gli ebrei. Un muro di cinta che resta in piedi nonostante la sconfitta, nonostante u
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l’assedio. Una promessa fatta da Dio, segno del legame immutato con il popolo ebraico sconfitto da Tito. In quelle rocce vi è un potere. Attraggono, si lasciano toccare, accarezzare. Tra le loro fessure si lasciano fogli. Fogli ripiegati di speranze, preghiere, invocazioni. Gerusalemme che, con la legge fondamentale, è “unita e indivisa […] capitale d’Israele”. Legge considerata dall’ ONU priva di validità e violazione del Diritto Internazionale perché ostacolo al raggiungimento della pace in Medio Oriente.
G
erusalemme tra Israele e Palestina. Dove l’antica strada meridiana della Giudea si unisce con la via che risale dalle aree costiere. Dove confluisce la conurbazione di Tel Sviv-Giaffa. Il fulcro del mondo brucia tra le guerre, diviso tra frontiere di cemento armato. Il poeta Amicha, il più importante poeta israeliano del 1900, emigrato con la famiglia in Palestina e stabilitosi poi a Gerusalemme, con amara ironia, paragona date e numeri di linee di autobus con le innumerevoli trattative di pace in cui demoni del passato incontrano quelli del futuro. Una città in cui si danno nomi alle distanze come se si trattasse di esseri umani. Una città in cui i demoni del passato s’incontrano con quelli del futuro. Chi abita a Gerusalemme vive e inciampa su linee di confine e di demarcazione, in confini e limiti, in una storia eterna che lo raggiunge e riaffiora tra le macerie della città. Le trattative di pace e le tregue sorvolano la testa degli uomini, come le granate, senza sfiorare terra. Senza concretizzarsi. Senza toccare realmente le vite. Le granate sì. La pace e la libertà no. Bisogna guardare con cautela al futuro. Bisogna far attenzione per il pericolo continuo, per una condanna che sembra insinuata nelle ossa di Gerusalemme. u 11
Un agire in una fervente profonditĂ La bianca saggezza su vesti severe nella propria onestĂ di fede, nella dedizione totale ad un credo. (Ph. Bernat Armangue - 2011)
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Ora pro nobis Mani aperte ad una forza e forma divina. Senza paura di cadere. Nella convinzione di potersi aggrappare ad una preghiera. Ad una corona. (Ph. Bernat Armangue - 2011)
Provandola e sgretolandola per le difficili relazioni tra gli insediamenti arabi e i coloni israeliani.
I
l giornalista e scrittore Paul Salopek, nel suo giro del mondo a piedi, Out of eden walk, ha raggiunto Gerusalemme – Blessed. Cursed. Clained – e ha incontrato gli abitanti del posto. I pastori. Come in 13
un presepio vivente che ha perso i suoi personaggi. “I miei piedi sono congelati. Hamoudi ammicca e sorride. Dormirà col pugnale nella coperta di sabbia. Domani è Natale”.
N
atale a Gerusalemme è il Natale dei turisti. È il Natale di chiese sparse nel quartiere cristiano della
Città Vecchia, intorno alla Città Vecchia e nel quartieri di Ein Karem, è nel pellegrinaggio in Terra Santa, è a 6 chilometri verso Betlemme. È in quei luoghi sponsorizzati e pubblicizzati per far girare il mercato e il turismo. È nelle icone in mosaico dorato dove Maria ha in braccio Gesù. Dove Yeshu’a - in aramaico ַעּוׁשֵי, - o anche Yehoshu’a – in ebraico – ַ ׁעֻשֹוהְי
ovvero Gesù, appare maestoso nell’abside centrale accogliendo chi cammina verso di lui. Ma nella quotidianità è un luogo in cui le lotte per la terra alimentano odio e diffidenza. Da secoli inarrestabili e incontrollabili. È nell’infanzia di Aziz Abu Sarah, un ragazzo palestinese di Gerusalemme, a cui è stato torturato e ucciso un fratello. Un ragazzo che,
per ribellione, non ha mai voluto imparare l’ebraico, anche se era obbligatorio a scuola, perché lo considerava un linguaggio “nemico”. Il Nemico al di là del muro, al di sotto delle bandiere e dell’aquilone, ritorna e prende la forma di una lingua di cui si rifiuta una sola parola che non scivola tra le labbra perché provoca dolore e rabbia, senso
d’impotenza e di ribellione. Finché si rende conto che per entrare all’Università, deve imparare e deve aprirsi ad un’altra cultura. Unico palestinese in classe, per la prima volta, incontra degli ebrei che non siano soldati con le pistole ai posti di blocco. Viene accolto, racconta la propria storia, ascolta la storia di coloro che aveva chiamato u 14
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nemici per tutta la vita. aveva due strade da poter scegliere: rimanere vittima controllata della persona che aveva ucciso suo fratello o scegliere un percorso più duro, più articolato perché fatto di riflessione per superare la rabbia. Aziz sceglie la strada più lunga. Quella da costruire ogni giorno. Da allora Aziz Abu Sarah s’impegna socialmente per costruire relazioni e non muri nel mezzo del conflitto israelo-palestinese. Alla ricerca di un terreno comune in una terra che viene contesa e reclamata.
A
ziz cammina tra le strade. Si muove tra bandiere palestinesi e ragazzi con maschere sul volto pronti a lanciare, a colpire prima di essere colpiti. Vuole agire in un luogo in fermento perché vuol trasformare il suo dolore distruttivo in qualcosa di costruttivo. Senza dover essere d’accordo con l’ altro così diverso da sé ma cercando di capirne le azioni e i perché. Non cambierà nulla a livello politico, naturalmente, ma nella sua vita Aziz avrà fatto la differenza. In queste parole è racchiuso il senso del Natale. Quello vero. Quello che va oltre il Dio di una singola religione. Il Natale è attesa per un cambiamento. Un cambiamento generato dalla conoscenza dell’ altro considerato, da troppo tempo, nemico. Se la parola italiana nascere deriva dal latino noscere, ovvero “cominciare a conoscere” - nel suo significato etimologico - il Natale porta con sé la nascita di un sovrano ma anche di una conoscenza. Oltre un muro. Nell’attesa di un aquilone e di un Bambino che, alla sua estremità, lo tiene su. 15
Un’unica voce in preghiera Un popolo in cammino da millenni. Un popolo alla ricerca di una pace. Un popolo unito, da sempre, in preghiera. (Ph. Yahudi Haredim - 2012)
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Nel profumo d’incenso Una luce piccola flebile e intensa illumina i passi in una notte che conserva la magia del suo calore. (Ph. Bernat Armangue - 2011)
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Un gesto d’amore quotidiano Inginocchiarsi per accudire. Aprire le proprie mani per nutrire. Far crescere una vita è amare. (Ph. Bernat Armangue - 2011)
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La fierezza di piccoli passi Un marciapiede lastricato, carte al vento e l’incedere sicuro del bianco della giovane purezza. (Ph. Italy Cohen - 2010)
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BUON NATALE
S
tanco pomeriggio di domenica. Tutto tace. Il mio albero lampeggia. Il mio presepe giace fermo in un angolo. Odore di foglie secche che bruciano in qualche camino. Hanno ammazzato un bambino. Oramai si sa tutto di quel che bambino. Diventiamo tutti legali, psichiatri, opinionisti. È morto un bambino, è tutto il paese si accorge di conoscere la verità. Piazza Fontana invece è ancora un mistero per tutti. Decido di farmi il mate. È un regalo apprezzato. Metto l’erba nel contenitore, un cucchiaio alla volta. Con attenzione. Minuziosamente, non voglio sprecarne. Niente si spreca. In questo periodo in cui l’unica cosa in eccesso è la confusione che aleggia nelle nostre teste. I sindacati in piazza protestano con le bandiere rosse. Il Governo di sinistra, almeno ambidestro, dice che i sindacati sono un male del paese. Anni buttati. Anni di conquiste accartocciate come palline di carta straccia e lanciati nel cestino, con un morbido gioco di polso. Ambidestrismo. La capacità di usare due mani allo stesso modo. Come un esercizio di stretching. Pugno chiuso braccio teso. Passando, per cause di atrofie, la maggior parte del tempo con il braccio teso. I lavoratori. Specie protetta da un’ideale antico. I proletari non esistono. Esistono pre- u 26
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u cari. Metto a bollire l’acqua. Non deve
però bollire tutta. Appena vedo le prime bollicine devo spegnerla. Nel frattempo accendo una sigaretta e metto su una canzone degli Iggly Pop. “ I’m the passenger and I ride..” Viaggio. Viaggio con la mente. Alle battaglie in cui si credeva di aver reso l’Italia un paese emancipato. Un paese dove la l’orizzonte doveva essere la linea che univa popolo e Stato in un parallelismo comune di intese, interessi, vantaggi. Invece ora si parla di un bambino ammazzato di cui tutti sanno tutto. Nessuno però sa chi ha ammazzato Aldo Moro. Che fine hanno fatto gli appunti di Borsellino. Chi giace dietro “Mafia Capitale.” Le bollicine appaiono. Una, due e piano diventano decine,centinaia. Cosi doveva essere allo-
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ra. Cosi si riempivano le piazze in quel periodo. In piedi. Sotto il sole, sampietrini e grandine. Prima di assaggiare la morbida pelle di una poltrona. Spengo il fuoco. Verso l’acqua nell’erba. Si riscalda. Spariscono le bollicine. Centinaia, decine, due, uno. Sono parte dell’erba. Della bombilla che tira su il liquido. Un sorso. Scotta. Come la fronte di chi si chiede dove sono gli ultimi spiccioli di un salvadanaio di promesse. C’è chi tace. Chi urla. Chi aspetta. Chi ha sfruttato l’occasione buona e gioca a dadi con la faccia degli altri. Il mate scende e riscalda. Tiene svegli dicono. Fa freddo. È quasi Natale. A Roma il freddo è nelle stanze dei bottoni. Accendo il PC. Il giro consueto sui social network. Politici locali analfabeti che sognano il grande salto. Sono confusi però. Ricordano il grande Pci e dichiarano
la loro totale sottomissione a Renzi. C’è addirittura chi rimpiange Craxi. Altro sorso. Apro la finestra. Si sente una canzone natalizia dai balconi addobbati di un kitsch che fa ribrezzo. Sfoglio l’ipocrite righe dei media sociali. Associazioni che si auto investono di francescana missione, sotto l’effige della solidarietà e del volontariato. Non ci credo. Sono solo spot e guadagni. Sono solo investimenti per profitti futuri. Sono solo esche per sponsor. Addobbi per alberi di Natale, dei doni da scartare da soli, in stanze chiuse. L’acqua è finita. Mi vesto. Metto il cappellino di lana. So già che a lei non piacerà. Ma ho freddo. Si gela la testa. Per le strade la gente cammina con buste enormi. Regali, giocattoli, panettoni. È Natale anche quest’anno. È Natale, e la capanna spoglia che ospita l’avvento del cambiamento,
pullula di pastori del pensiero, e di arrivisti zampognari, che suonano la novena del buonsenso, del perbenismo, per catturare la minima nota positiva del proprio operato. “Io sono il passeggero, io sono dietro al vetro” e non mi scollo. Dietro una campana di rifiuto. Entro in un negozio. Mi piace fare regali. Adoro fare regali. Non mi aspetto mai che me ne facciano. Però io adoro quando li faccio e li consegno. Quell’attesa mi rende sereno. In fondo siamo esausti, democraticamente morti, necessariamente avulsi, ma restiamo animali sociali. Regalare è seriamente una cosa importante. Vuol dire dare qualcosa senza pretese. Questo ci riappacifica l’anima. Esco con il mio bottino di spesa. Mi seggo alla panchina ad aspettare l’autobus. Fa sempre più freddo. Una signora si lamenta del prezzo del pesce. Un’altra del tempo che ci vorrà per friggerlo. Un signore maledice le feste. Io sono il passeggero, guardo attraverso l’asfalto i passi del mio tempo che avanzano disordinati, tra le righe di una storia da rifare. Riscrivere. Senza memoria. Distrutta. Nel gioco al massacro etico della politica. Del rispetto. Nel secolo degli impiegati di Stato che rappresentano solo il culo che posano sulle poltrone. Il bus arriva. Buon Natale a chi risponde con un sorriso ai miei regali. Buon Natale a chi accende la candela e aspetta che si consumi, seduto tenendo le mani al suo sogno, a lei accanto, al suo instancabile vizio di essere vero. 28
stanco della
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E il settimo giorno l’uomo non si riposò... di Marco Tregua Riforma del mercato del lavoro come risposta alla crisi. Tra dubbi, incertezze e contraddizioni, il Ministro dell’Economia francese Emmanuel Macron punta all’apertura degli esercizi commerciali anche nei giorni festivi, per una ripresa economica d’Oltralpe che vuole coinvolgere le masse.
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H
a scatenato un acceso dibattito la proposta di Emmanuel Macron, ministro dell’economia francese, che vuole aumentare il numero di occasioni in cui anche di domenica gli esercizi commerciali transalpini resteranno aperti. Una potenziale spinta per i consumi, un modo per rilanciare l’economia francese, ma anche un modo per rispondere alle variate esigenze delle famiglie, sempre più prese dal lavoro nei precedenti sei giorni.
Le forze politiche sono spaccate, al momento la condizione di cinque aperture domenicali era sembrata il giusto compromesso, caldeggiato dai conservatori, del tutto contrari a variare le regole del gioco in vigore, in quanto non foriero di un miglioramento dei livelli di occupazione, mentre i socialisti sono propensi a un incremento moderato – fino a sette – e alcune forze minori sono pronte a spingere fino a quindici gli appuntamenti domenicali dello shopping. Il Ministro francese ha proposto l’idea anche in risposta alle sollecitazioni della cancelliera Angela Merkel di riformare il mercato del lavoro come risposta alla crisi, ma numerose autorità locali sembrano opporsi a tale misura, soprattutto per le conseguenze che si potrebbero verificare sulle u
Il giovane condottiero Emmanuel Emmanuel Macron, classe 1977, figlio dell’alta borghesia di Amiens, dopo un passato nella Banca Rothschild, è l’attuale Ministro dell’Economia. (Ph. Fred Dufour - 2014)
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u tradizioni domenicali –
religiose e non – e per la contraddizione che scaturirebbe rispetto al contratto sociale in essere. Cosa ne pensano però i commercianti e i cittadini francesi? L’opinione pubblica, pur restando spaccata, sembra propensa all’aumento delle aperture domenicali, anche se alcuni tra i grandi operatori della distribuzione credono che la misura possa soltanto portare a una diversa collocazione delle spese durante la settimana, perché il problema fondamen33
tale resta lo scarso potere d’acquisto. Per gli operatori che, invece, patiscono maggiormente la concorrenza degli acquisti online, la possibilità di vendere al pubblico anche di domenica sembra un possibile toccasana, in particolare nei confronti degli acquirenti che per scarsità di tempo puntano sui loro mouse o sui loro tablet anziché sugli scaffali e sulle vetrine. Nei grandi centri gli amministratori locali sono favorevoli alla proposta, puntando sulla forza di spesa dei turisti, e propongono l’estensione dell’idea an-
che agli esercizi situati nelle stazioni e negli altri punti di transito a maggiore affluenza. I cittadini, infine, sono i più entusiasti dell’idea del Ministro Macron e due francesi su tre vorrebbero beneficiare della possibilità di cui usufruiscono in queste settimane di apertura per favorire lo shopping natalizio e di fine anno. Dopo il Black Friday, il Cyber Monday e il Boxing Day assisteremo anche alle Folles Dimanches francesi? Al Parlamento francese l’ardua sentenza.
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Lo strano caso della
scrittrice
che non
scrive Z
oe Sugg è una You Tuber inglese, il suo canale conta quasi sette milioni di iscritti, e su Twitter è seguita da oltre due milioni e mezzo di follower. Cosa ha fatto di così eccezionale la giovane star per guadagnarsi un seguito così vasto? Niente. I suoi video - a dire il vero - sono piuttosto noiosi e banali: Zoe parla di moda, make-up e racconta ai fan cosa ha fatto durante la giornata, come farebbe qualsiasi ragazza con le amiche; a sua discolpa, però, va detto che ha un bel faccino. Recentemente Zoella ha pubblicato nel regno unito il suo primo libro, Girl Online (edito da Penguin). Appena uscito, il romanzo ha venduto ben 78.109 copie, un record di vendite assoluto per un’opera di esordio, almeno da quando Nielsen Bookscan ha iniziato a raccogliere i dati di vendita u del settore, ovvero dal 1988.
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u Girl Online ha così battuto successi letterari del calibro di Harry Potter e la pietra filosofale, romanzo di esordio di J.K. Rowling e capostipite di una saga capace di generare profitti per centinaia di milioni di dollari, e ancora l’Angeli e demoni di Dan Brown, altro “la” di una saga di successo mondiale, che coi suoi fantasiosi misteri religiosi ha prima fatto arrabbiare il Vaticano e poi sdoganato definitivamente la moda del complottismo, prima relegato a fenomeno di nicchia e ora vero e proprio mercato nel quale sguazzano tutti i più grandi produttori di entertainment. Infine, è stato battuto persino il successo letterario pseudo-erotico di E.L. James, Cinquanta sfumature di grigio, del quale è già pronto un film
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Storia di uno scandalo non troppo sorprendente
per la cui visione, pare, i fan abbiano già prenotato, con mesi di anticipo, i posti delle sale cinematografiche che lo trasmetteranno, facendo registrare, per molte proiezioni, dei quanto mai insoliti pre-sold-out. E il successo di Zoella sembra destinato a continuare imperterrito, con i diritti del libro già venduti per altri 25 paesi. Ma la famosa youtuber, se di sicuro non sta scrivendo indelebili pagine della storia del web, sarà almeno una buona scrittrice? Beh in realtà, il libro… non l’ha scritto lei. Nei ringraziamenti posti all’inizio del volume, La Sugg citava esplicitamente Siobhan Curham, autrice per lo più di romanzi di formazione, genere che nella cultura anglosassone prende il nome di “young-adult”. Sul web, soprattutto su Twitter, quindi, notando affinità stilistiche piuttosto palesi tra Girl Online e le opere della Curham, qualcuno si è chiesto se a scrivere il volume non fosse stata proprio l’esperta
scrittrice, assunta per fare da ghostwriter alla ben più celebre star del web 2.0. Dopo incessanti pressioni, Zoe Sugg si è vista costretta a scrivere un comunicato in cui ha dichiarato: “Tutti hanno bisogno di un aiuto quando provano a fare qualcosa di nuovo”, tenendoci però a precisare che personaggi e storia del romanzo sono tutti suoi. La casa editrice Penguin ha poi dato ulteriore conferma: “Il nostro ruolo di editori è cercare i migliori talenti e aiutarli a raccontare le loro storie”. Un ruolo che si è tradotto in una vera e propria opera di supporto totale: “Zoe ha lavorato con una squadra di editor che l’ha aiutata a far vivere i suoi personaggi e le sue esperienze all’interno di una storia commovente e coinvolgente”. Ma che, comunque, per la Penguin, non si è tradotta nel fare di Zoe soltanto una prestanome. Nell’onda delle polemiche, la 24enne star del web ha quindi pubblicato un tweet diventato subito virale, in
cui dichiarava di aver deciso di andare “in pausa” dal suo canale Youtube, sul quale non pubblicherà video per un po’. Questa scelta è seguita alla conferma da parte della Curham di essere la vera autrice del romanzo di Sugg. In un post pubblicato sul suo sito web, la ghostwriter ha comunque difeso la giovane star, dicendo che “Zoe ha scelto di creare una trama che affronta problemi molto seri – presa dal desiderio di esser d’aiuto per i suoi fan. E, quando mi è stata offerta la possibilità di lavorare con lei, ho visto la possibilità di poter essere d’aiuto a trasmettere messaggi molto forti e importanti alla sua enorme fan-base. Messaggi che riguardano il credere in sé stessi, l’ansia, la sessualità e il bullismo online. Questa è stata l’unica motivazione per cui ho accettato l’incarico”. Siobhan Curham ha poi fatto notare che il ghostwriting è una pratica piuttosto diffusa nell’editoria contemporanea, e che non riguarda solo Girl Online. “Penso che sarebbe salutare avviare un ampio dibattito riguardo la trasparenza delle pubblicazioni delle celebrità” aggiungendo che “è stupido condannare Zoe per una pratica che va avanti da anni”. E infatti, nonostante le polemiche, il libro continua a vendere molto bene, e i fan sul web di Zoella continuano ad aumentare, anche e nonostante il suo temporaneo ritiro. Ma l’ultima dichiarazione della Curham apre sicuramente un dibattito più grande, che riguarda la natura della letteratura e dell’editoria, tutto da afu frontare. 38
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L’industria letteraria, e le pretese d’esser per forza arte... u Il libro è per molti qualcosa
di sacro, si tratta di un oggetto che trascende il suo contenuto: è un simbolo di cultura e crescita personale. Sono perciò sempre più numerosi i movimenti di pensiero, anche e soprattutto in Italia, che si schierano contro la letteratura di consumo, e tutte quelle opere che riducono la potenza simbolica del libro a una mera operazione commerciale. Alcuni di essi sono giunti addirittura a boicottare particolari case editrici. Non si può celare che pubblicazioni come Girl Online abbiano poco a che fare con la cultura e molto di più con la possibilità di far profitti, ma non si può neppure negare che, in fondo, la maggior parte del mercato chiede questo, e gli editori, in quanto imprese di profitto e non enti di erogazione, rispondono soltanto a una domanda che 39
viene dalla maggior parte dei lettori (o potenziali tali). Il romanzo, secondo la Treccani, è un’opera letteraria di carattere narrativo, destinata a dilettare il lettore. Più che con le case editrici, per quanto possano esser subdole pratiche come quella del ghostwriting, gli indignati delle buone letture dovrebbero prendersela con i lettori meno sofisticati, che tra l’altro sono i più, aprendo magari a questioni di carattere macrosociologico, riguardanti la formazione culturale media della popolazione. Non è un caso se nell’800 dilettarsi significava leggere Tolstoj o Manzoni, ed oggi si corre dietro alla biografia più o meno autografa dell’ultima meteora dei talent show o di internet, mentre le statistiche di vendita fanno segnalare trend negativi in quasi tutto il mondo. Si legge
sempre meno e peggio, ma a dar la colpa ai fornitori (che assieme a Zoe Sugg, o il nostrano Francesco Sole, continuano anche a pubblicare grandissimi autori quali Philip Roth, David Grossman e, tanto per fare un nome italiano, Stefano Benni) si fa solo un banale errore tipico di ogni idiota e ignorante caccia all’untore. Il problema, se c’è, riguarda la domanda, i consumatori, ed è quindi un problema di formazione culturale. Se solo pensiamo alle scuole italiane, ci accorgiamo che nonostante ci si prodighi costantemente nell’elogio della cultura umanistica, del classicismo e dell’impostazione “vetusta” ma “profonda” dei programmi di studio dei nostri licei, la maggior parte degli studenti risulta poi mediocre tanto nelle discipline scientifiche quanto in quelle letterarie,
e in questo, se le cattive letture sono solo una manifestazione indiretta del fenomeno, i dati dei test OCSE PISA rappresentano una solida certezza. Le capacità di “reading” ovvero di comprensione del testo di uno studente italiano medio, secondo l’indice del test, valgono 490 punti, quando gli studenti cinesi di Shangai raggiungono un livello pari a 570. I dati, poi, se ci allarghiamo alla popolazione non più in età scolastica, diventano ancora più imbarazzanti: Il 5% degli italiani tra i 14 e i 65 anni non è in grado di decifrare singole cifre o lettere. È del tutto analfabeta. Il 33% ha difficoltà persino a leggere frasi semplici, ma soprattutto “non può decifrare un testo scritto che riguardi fatti collettivi – scrive il linguista Tullio De Mauro – di rilievo anche nella vita quotidiana. Un grafico con qualche percentuale è per loro un’icona incomprensibile”. In totale oltre il 70% degli italiani si trova sotto il livello di comprensione di un testo scritto di media lunghezza. Dunque non è in grado di leggere una rivista, un giornale, la pagina del televideo o le istruzioni di un prodotto. Nel 2011, al netto delle persone sotto i sei anni di età, il 54,7% della popolazione (ossia 31 milioni e mezzo di italiani) non leggeva neppure un libro all’anno. Ovvero: non ha mai letto. Neanche un romanzo di serie B come può essere quello di Zoella. Forse, più che condannare gli editori, i salotti culturali del paese dovrebbero passarsi una mano sulla coscienza, sulla formazione che continuano a difendere, e ringraziare se qualcuno, almeno, sa ancora leggere.
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TOTAlLY
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i sono aziende che scrivono la storia del marketing e della imprenditoria internazionale. Aziende che pur alimentandosi dell’esperienza e delle competenze accumulate nel corso degli anni, guardano continuamente e con interesse al futuro. Consapevoli che non bisogna adagiarsi sugli allori. Che in questo mondo ipercompetitivo e ipertecnologico – quale è il nostro - chi si ferma, chi non s’aggiorna, è perduto. E rischia di gettare alle ortiche quanto di buono ha fatto negli anni. Vans è l’emblema dell’azienda moderna. Un’azienda che sa coniugare alla perfezione tradizione ed
innovazione. Un team che non dimentica le proprie radici – anche dopo il passaggio di mano del 2004 – ma che ha avuto, ed ha tutt’oggi, l’abilità di stare al passo coi tempi, creando prodotti che soddisfano le nuove e moderne esigenze della clientela. Un’impostazione aziendale che non è così scontata come si potrebbe pensare: la storia economica è ricca di esempi illustri caduti in rovinosi fallimenti, perché incapaci di prevedere e soddisfare le nuove necessità dei consumatori. La storia della fondazione di Vans ricorda i tradizionali film statunitensi. Boston. Anni ‘30. Nasce Paul Van Doren. Un ragazzo scapestrato , che
non nutre una grande passione verso i libri e lo studio, ma che in compenso ama moltissimo le corse di cavalli. La madre – una sarta – spazientita, ma soprattutto timorosa per l’avvenire del figlio, costringe Paul a mollare le competizioni equestri e a dedicarsi a un’attività lavorativa tosta: lavare i pavimenti da Randy’s, la famosa fabbrica di scarpe, che produceva calzature indossate anche da Bob Cousy – celebre cestista degli anni ’50. Paul è un ragazzo molto intelligente e con grandi doti imprenditoriali. Dopo qualche anno di gavetta, riesce a farsi nominare vicepresidente esecutivo di Randy’s, trascinando l’azienda ai u
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vertici del comparto. Pochi anni dopo, Paul decide di voltare pagina. E di trasferirsi in California, dove l’ambizione e le sue idee imprenditoriali lo inducono a fondare – insieme al fratello James e ai suoi due partner, Serge D’Elia e Gordon Lee - la Van Doren Rubber Company, nota ai più nota come VANS.
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aul – come tutti i più grandi manager – è un visionario. È uno che guarda il presente con gli occhi del futuro. Ha una geniale intuizione che ha rivoluzionato il commercio delle calzature USA. In quegli anni, infatti, i più importanti produttori di scarpe vendevano i loro prodotti ai negozianti, i quali, poi, li rivendevano ai consumatori finali. Paul intuisce che saltando il secondo anello della catena – i negozianti – e vendendo i suoi prodotti direttamente ai clienti consumatori finali, avrebbe incrementato i profitti in maniera esponenziale. Per questo motivo, il 16 marzo 1966, alla 704E Broadway, in Anaheim, California, fonda il primo negozio Vans. L’unico a vendere i prodotti direttamente ai consumatori finali, dalla casa madre. Paul e i suoi tre partner decidono di farsi coadiuvare da skateboardes e ciclisti di BMX nella produzione dei nuovi modelli. Una scelta che paga perché Vans diventa, di lì a poco, un’azienda di nicchia, molto nota negli ambienti frequentati da chi pratica sport estremi e che le ha consentito, nei mesi successivi, di aprire oltre 70 negozi in California. All’inizio degli anni ’80, Paul decide di defilarsi e nonostante il successo e le ottime vendite, Vans è costretta a dichiarare bancarotta, per incapacità di soddisfare i diritti dei suoi creditori. Un rovinoso arresto di battuta, correlato soprattutto alla decisione di ampliare la gamma di prodotti – snaturando l’idea iniziale del progetto aziendale – per competere con i brand più famosi del settore, come Nike u 45
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e Reebook. Dopo un breve periodo di transizione, Vans riesce a riassestarsi e a salire alla ribalta internazionale, soprattutto grazie alla scelta del CEO Gary Schofield di interrompere il settore produttivo dell’azienda. E alla fine degli anni ’90, l’azienda riesce anche a quotarsi in borsa, con un titolo che oggi viene scambiato sul Nasdaq Stocl Exchange. 47
I
l successo di VANS è riconosciuto in tutto il mondo, tant’è che nel 2000 (e nel 2001) la prestigiosa Forbes premia l’azienda come una tra le “Best Small Companies”. Nel 2004 la società entra nell’orbita di VF Corporation, che l’acquista per 936mln USD. Vanity Fair corporation è la più grande azienda d’abbigliamento
statunitense. I marchi che gravitano al suo interno sono tra i più conosciuti a livello mondiale (Wrangler, Lee Jeans, Timberland, Eastpak, The North Face, solo per citane alcuni). Nonostante il passaggio di mano, Vans mantiene un’impostazione aziendale molto vicina a quella del passato. E questo perché l’idea del board di VF Corporation è proprio quella
di mantenere un certo grado di libertà ai vari brand e di non recedere i legami e le tradizioni del passato. E non è un caso se tutt’oggi una parte della vecchia governance della Van Doren Rubber Company partecipa alle riunioni dell’attuale team amministrativo. Oggi – a distanza di qualche decennio dalla fondazione - la forza di Vans, la sua capacità di in-
crementare profitti e di conquistare posizioni di mercato – nonostante gli anni di crisi – è raccolta tutta nello spirito innovativo e, come recita il famosissimo motto della compagnia, nell’approccio #outofthebox al mercato. Pensare fuori dagli schemi, appunto out of the box e non conformarsi. E soprattutto cimentarsi in ciò che si crede, in ciò che più appassiona. È
un messaggio forte che ha attirato e attira tantissimi consumatori. Probabilmente poiché in assoluta controtendenza con la nostra società, troppo impegnata a far passare messaggi e tendenze convenzionali, o mainstream. Vans, al contrario, si pone come “creative expression”, espressione di creatività. E l’emblema e il simbolo di quest’idea è u 48
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l’House of Vans, nata a Londra soltanto qualche mese fa, sotto la Waterloo Station di Londra, all’interno dei famigerati Old Vic Tunnels.
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ouse of Vans è un contenitore di idee, un luogo in cui artisti provenienti da tutto il mondo possono esprimersi, mettere in mostra e far innamorare del proprio talento. È una sede permanente, visitabile da cittadini londinesi e turisti, aperta cinque giorni alla settimana, in cui è possibile cimentarsi nell’attività di skateboard o assistere a eventi live sul mondo dell’arte. Un’idea che va al di là del “semplice” prodotto. Un progetto che mette al centro la persona. E questa è una vera e propria carta vincente, che va ben oltre il processo di fidelizzazione col cliente e che sposa l’approccio marketing degli anni duemila, improntato sulle persone e le loro esigenze, piuttosto che sulla sola produzione.
A
ltre due keys del successo del brand stanno nella decisione di investire nei grandi eventi (ne è un esempio lo Spring Classic – tenuto quest’anno a Napoli) che forse rappresentano il modo migliore per raggiungere e creare contatto con la clientela. E nella forte partecipazione sui social network, che sono il più potente mezzo di comunicazione degli ultimi anni. Perché la condivisione di video (soprattutto sulla piattaforma offthewall. tv), immagini e quant’altro le consentono di entrare nella quotidianità dei consumers. E di essere “virale”. E se i manager dell’azienda oggi vantano importantissimi traguardi di fatturato è anche perché hanno intuito che i competitors attuali non sono soltanto gli altri produttori di scarpe o di capi d’abbigliamento: oggi i competitors delle aziende di moda sono anche i cinema, le discoteche e i tour operator, perché i ragazzi oggi hanno budget limitati che devono saper ripartire in maniera oculata. Probabilmente la strategia di Vans è vincente soprattutto perché trasmette un messaggio che paga sempre: essere sempre se stessi e credere in ciò che si fa.Ma la verità è che ci sono aziende che scrivono la storia. E aziende che non si limitano solo a questo: la storia la cambiano, quotidianamente. Perché sono lungimiranti e rivoluzionarie. Vans ne è l’esempio. Una piccola azienda Californiana, legata a uno specifico segmento di mercato, che ha avuto l’ambizione e l’abilità di invadere il mercato. E di cambiare le abitudini dei consumatori. Le aziende vincenti sono queste. Imprese che vivono una mutazione periodica, capaci di offrire prodotti e idee manageriali che sono una sintesi tra passato e futuro. 49
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c’abbast e c’a Il country Manager Italy di VANS in una lezione #offthewall ... all’ombra del Vesuvio!
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mpeto irruento di comunicare. Creatività. Idee che si fondono. Connessione. Emozionalità. Passione. Originalità. Sintesi e simultaneità. Dinamismo alla massima portata mondiale. Radici e innovazione. Come in un moderno Manifesto Futurista, parole in libertà esprimono l’essenza di un brand appassionato ed appassionante. Perché Vans è contaminazione. Vans è uno stato dell’Arte. Vans è design. È il nome che ti ritorna alla mente come il Tick Tick Boom dei The Hives. È un modo di essere fuori dagli schemi. Vans è off the wall e si pone l’ obiettivo di diventare “a global leader in youth culture”. Come il movimento d’avanguardia di inizio Novecento inglobava tutte le arti perché inseparabili dalla vita ma espressione della vita stessa, nella loro fusione e nel loro intreccio, senza più confini e spazi limitati, e si esprimeva attraverso esse proponendo balzi in avanti per esplorare un mondo di modernità e di velocità per incuriosire con la forza profetica e divinatrice dell’arte, spezzando confini in un momento di crisi e transizione, per interagire liberamente con lo spazio globale circostante, Vans è “l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno” – citando Tommaso Marinetti – ed è cambiamento u innovativo. 52
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u È l’onda di pietra cavalcata con lo skateboard alla ricerca del volo perfetto. È il trick che consente di sognare e far sognare, scivolando, planando, come se la forza di gravità non esistesse più. Sula cresta di un’onda cavalcata nel 1966 in California come fabbrica di scarpe da skate e che si è ripiegata anche su se stessa negli anni per poi riprende volume e quota, Vans è stata acquisita dalla VF Corporation nel 2004, la più grande multinazionale di urban fashion al mondo ed è oggi quotata nella Borsa di New York. “È una macchina da guerra” come l’ha definita il country manager Stefano Melis, durante la Conferenza tenutasi il 12 Dicembre presso la Facoltà Federico II al Corso di Economia e Gestione
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Passion is powerful. Connection is powerful. Platforms are powerful. delle imprese e che ha visto l’adesione di un folto numero di studenti interessati alla gestione e alla promozione della Corporation detentrice di brand come anche Timberland, Wrangler, Eastpack, The North Face, Lee ed altre ancora. Il country manager sa parlare ai ragazzi. Sa cogliere l’attenzione e sa toccare i tasti giusti dell’entusiasmo puntando sulla dinamicità, sulle immagini, sulle parole veloci e dirette per un messaggio concreto: “In un momento in cui l’offerta è illimitata, quello che fa la differenza è portare coinvolgimento. Questo sappiamo fare meglio. Portarvi uno spaccato
reale ed essere come Vans: off the wall”. Con strategia e abilità di marketing che guarda lontano e punta al 17x17 bilions come obiettivo dichiarato per il 2017. Seventeen x Seventeen. Perché, senza giri di parole, il marketing gira intorno al denaro. È proprio così. Ma lo si può fare alla maniera di Vans. Seguendo un life style. Creatività, diversità e opportunità prendono corpo e forma a Londra nella Waterloo Station in uno spazio sotterraneo di proprietà dell’attore Kevin Spacey. Si indice un concorso di idee e Vans arriva in finale con Apple. Vince. Entusiasmo che trasuda. Orgoglio che si tocca
con mano. Vans trasforma i tunnel sotterranei in gallerie d’arte per artisti emergenti e locali, crea cinema, dà vita ad un ristorante e ad uno spazio per la musica. La musica è una costante. È il motore dell’interesse. È lo strumento della comunicazione emotiva. House of Vans London è comunità. Aperta a tutti, gratuita, sempre disponibile. Eventi, workshop per coinvolgere e offrire opportunità. Luogo di compartecipazione per un brain storming continuo. Tremila metri quadri di creatività. Di idee. Di parole in libertà. Di confini che si spezzano e limiti che si rompono per il piacere di continuare a fare, meglio che si può, quello in cui si crede. Ciò che si ama. Per vivere Vans e sentirsi parte di esso. “Sei Vans? Sei un artista. Sei uno che si sa divertire”. Sei uno che non si ferma ma escogita il modo per emergere, per mettere a frutto i propri interessi perché, in un mondo che non offre facili sbocchi lavorativi, bisogna imparare a ragionare diversamente. Bisogna trovarsi le occasioni e farle fruttare e se si restringono le opportunità, si deve uscire dagli schemi. Tentare, respirare l’ossigeno del cambiamento. La madre del consiglio viene da Melis: “Cercate con rabbia le opportunità. Buttatevi. Non pensate al momento di crisi. Bisogna crederci e lottare”. Fine della Conferenza. Gli studenti si alzano. Gli sguardi vibrano. Melis ha raggiunto il target. Il suo “Passion is powerful. Connection is powerful. Platforms are powerful. Diversity is powerful” ha aperto le menti. Ora si è davvero un po’ tutti Vans: off the wall. 54
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masanelliana rivolta etnico-storica-sociologica, un invito ai posteri, un’esortazione a riprendersi il perduto splendore. Ad oggi Napoli può apporre il tutto-esaurito sulle sue porte, teatro di una primavera all’insegna della creatività e della varietà artistica in cui spaziano gli eventi della quale è stata, è e sarà protagonista almeno fino al prossimo mese. Un variopinto Maggio dei Monumenti, volto a valorizzare i tesori nostrani, un’organizzata serie di eventi zainetto-in-spalla e taccuino-alla-mano e un paesaggio mozzafiato sono bella e grande festa agli occhi, l’anno zero conta già tredici giorni di potente e carnosa vita. Uno Skate che sa di Vesuvio.
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l “Fate presto!” esposto al PAN viene colto ed è subito terremoto di attività, la città dei lazzari felici diventa off the wall, riesce per qualche giorno a -s-vestirsi di californiano, spogliandosi della maglia bianca e andando in giro a torso nudo su uno skateboard azzurro –non a caso- fatto di pizze e “curnicielli”, maschere, miti e vulcani, emblema dell’evento Vans – Off the Wall Spring Classic 2014, solitamente svoltosi a Varazze e approdante in prima battuta sul territorio campano. La reunion internazionale di skater colora il lungomare all’ombra del Vesuvio per ben tre giorni con pastelli nuovi, gli scugnizzi smettono di correre dietro al famoso pallone arancione scolorito dal sole e si cimentano in acrobazie sulla minirampa messa a disposizione dei più, cercando di emulare gli ottanta skater internazionali scesi in arena su una half-pipe da capogiro, bastasse la vista offerta dagli spalti. Gennaro Esposito torna a casa con un nuovo taglio di capelli offerto dai barbieri d’oltremanica del popup AONO x HBAD, sua madre non capirà mai in quale vicolo sia capitato distratto, né capirà come abbiano fatto degli scapestrati a colorare per intero l’autobus di linea dell’Anm sul quale viaggia ogni giorno per spostarsi da un lato all’altro della città, “li chiamano graffiti, questi giovani d’oggi”; lo sentirà vagheggiare con aria sognante chitarre e palchi, un concerto gratuito tenutosi sabato scorso dei The Hives, punk-rock band scandinava, megaevento musicale inseritosi ad arte in un perfetto week-end primaverile. Lo sentirà vagheggiare a lungo la sua città, finalmente viva e giovanile, ancora neonata, al suo primo anno zero. 57
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La vita La felicità Il nutrirsi: un bisogno primario. Uno dei piaceri della vita. Il primo piacere della vita. L’estasi del sapore e la gioia della condivisione. La scoperta nell’assaporare e la sensualità del toccare. Il cibo come un viaggio di curiosità e scoperta. Il cibo come soddisfazione e felicità. Cucinare per creare. Mangiare per gustare. Stando in compagnia o da soli. Seduti attorno ad una tavola in un convivio moderno. Nel tripudio dei colori e nell’incontro dei sapori.
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i sono tante cose importanti nella vita, la prima è mangiare, le altre non le conosco”. Mangiare è uno dei bisogni primari per eccellenza, presente, seppur con forme e modi diversi, in ogni specie animale e vegetale; per l’uomo però l’atto del mangiare corrisponde a qualcosa di più che “ingerire sostanze alimentari solide o semisolide a scopo di sostentamento” e diventa bisogno di evasione, di scoperta, di pace interiore. Una vera e propria ricerca della felicità che si compie pasto dopo pasto, giorno dopo giorno, pietanza dopo pietanza, attraverso forme, sapori, colori, profumi, che inebriano il palato. La domanda allora sorge spontanea: perché non possiamo non essere felici a tavola? Si dice che tra umore e cibo esista una relazione biunivoca, in quanto il cibo è in grado di influenzare l’umore ma l’umore a sua volta condiziona le scelte alimentari di ognuno: quante volte quando si è tristi si sogna del cioccolato o se si ha voglia di festeggiare viene desiderio di pizza, ma allo stesso tempo quante volte dopo un buon pasto ci si sente u
Con la testa immersa nel gusto Risvegliarsi al mattino. Lasciare il proprio letto e, in cucina, tra gli odori di casa, trovare la colazione preparata da mani affettuose. (Ph. Joakim Eskildsen - 2014)
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u rigenerati,
nutriti si potrebbe dire, con lo spirito e tutti e cinque i sensi. Questo accade perché il cibo, da sempre ed in ogni angolo del pianeta, è veicolo, ed allo stesso tempo risultato, di molti sentimenti e stati d’animo.
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l cibo è amore, per se stessi in primo luogo, perché avere un buon rapporto con il cibo è il primo passo verso l’auto-accettazione, verso l’apprezzamento non solo del proprio corpo ma anche dell’io interiore. Non a caso la maggior parte dei disturbi psicologici portano in primis ad allontanarsi dalla tavola, e non solo se ci si riferisce a problemi strettamente con-
nessi all’alimentazione, come anoressia e bulimia; in tanti casi il cibo diventa un nemico, i pranzi e le cene diventano momenti in famiglia da evitare a tutti i costi e le uscite con gli amici all’insegna di pizza e birra sono rifuggite come momenti di imbarazzo ed ansia. Ma il cibo rappresenta anche amore per gli altri, che inizia dal momento in cui si scelgono le ricette, si comprano gli ingredienti o si riceve un invito a cena, amore che si espleta attraverso la nobile arte del cucinare, l’apparecchiare e decorare la tavola, fino al momento in cui ci si siede a gustare il piatto; non importa se si è in coppia o nu-
merosi, non importa se la pietanza sia abilmente cucinata o se l’abbinamento dei sapori sia perfettamente riuscito o no, in cucina l’amore è ovunque. Amore per il buon cibo, amore per un particolare piatto o ingrediente, amore per l’arte del cucinare tout court, amore per la persona per cui si cucina, sia essa figlio, marito, genitore, amico, amore verso chi ha consacrato la tavola donando sorrisi. La dolcezza di una mamma che si alza prima di tutti al mattino per preparare la colazione, la tenacia di un’adolescente che prova a preparare una torta per il compleanno del suo primo ragazzo, la gentilezza di un collega che a lavoro u
Tragiche differenze La pienezza dell’obesità e la magrezza delle ossa. I conflitti mentali si manifestano nel rapporto col cibo. Somatizzare o renderlo manifesto agli altri? (Ph. Joakim Eskildsen - 2014)
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u porta un caffè bollente mentre fuori piove, l’affetto di un amica che spazza via la tristezza con un carico di cibo “non propriamente salutare”.
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l cibo è famiglia, famiglie piccole o numerose, naturali o acquisite, condivisione di momenti tristi e felici, piaceri e difficoltà. La massima espressione di questo concetto sono i pranzi e cenoni delle feste, ma non bisogna dimenticare che in molte culture si organizzano banchetti anche per i funerali, si preparano pasti veri e propri per i defunti, si porta cibo al cimitero: cibo e famiglia, famiglia e cibo, anche nel dolore, anche oltre la vita. Il cibo che fa da tramite tra la vita e la morte, che mette in comunicazione due mondi altrimenti destinati a non incontrarsi mai.
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l cibo è inoltre amicizia, attraverso la condivisione, istinto che nasce fin dai primi anni di vita. Condivisione di pasti alla stessa tavola, condivisione di idee, di ideali, di sogni e speranze. Fin da bambini, attraverso il cibo, si conoscono nuove persone e nuovi mondi, si allacciano nuovi rapporti, a partire dai dolci di sabbia o fango che si realizzano per gioco per poi essere offerti, al tè con le bambole servito in deliziosi servizietti di porcellana, alle cucine giocattolo super accessoriate, fino alle feste di compleanno con i compagni, i film al cinema tra amici sgranocchiando popcorn, le merende preparate dalla mamma mentre si studia in gruppo. La gioia di stare insieme che trova il suo compimento negli atti del mangiare e del bere, condivisione del cibo come condivisione del proprio io, aprirsi all’altro, all’estraneo, ricavandone nutrimento per il corpo e per lo spirito. Un semplice istinto di sopravvivenza, il nutrirsi, che diventa veicolo di vita, che permette all’uomo non più solo di sopravvivere ma di iniziare a vi vi- u 65
Sister act in cucina La gioia della fede interiore traspare nella preparazione di dolci, manicaretti e di ogni pietanza realizzata con amore. (Ph. Ivor Prickett - 2014)
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u vere. Rapporti ed amicizie
che grazie al cibo germogliano e fioriscono, fecondati da complicità e risate, perché sì il cibo porta con se anche tante risate. Non si possono apprezzare un buon piatto, una tazza di tè, un bicchiere di buon vino senza che scappi almeno un sorriso, non ci si gode una lieta serata tra amici se tra i commensali non si sente almeno una ri67
sata. A tavola non si può non essere di buon umore, anche quando la vita attorno sembra crollare su se stessa e sembra che i problemi siano insormontabili; il momento del pasto diventa così una perfetta sfera di cristallo che isola i commensali, lasciando il mondo fuori. Si ride ai banchetti dei matrimoni, alle sagre di paese, ridono gli abitanti delle favelas
brasiliane quando riescono a conquistare una pagnotta, ridevano i soldati in guerra nascosti nelle trincee consumando il rancio, ridono i bambini malati in ospedale alla vista di un clown con in mano un leccalecca tutto per loro. Il cibo è viaggio, sia reale che ideale. Il cibo è un viaggio reale portando in tavola ingredienti e ricette provenienti da ogni parte del
Il mio grasso grosso matrimonio incerto Sguardi distratti ad una tavola imbandita. L’insicurezza di una scelta o la certezza di uno sbaglio? Di fronte a tali dubbi cartesiani, la soluzione è una: mangia che ti passa. (Ph. Taylor Lind - 2014)
mondo, mescolando usanze e culture diverse, fondendo credi, riti, razze e popoli, cucendo insieme, con un accumulo di esperienze, storia, geografia, religione, arte, con la gastronomia; è anche un viaggio reale attraverso la cultura gastronomica del proprio Paese, alla scoperta o spesso, più propriamente, alla riscoperta di antiche ricette, di
tecniche di lavorazione ormai desuete, di alimenti che si credevano scomparsi. Il cibo è un viaggio quando si getta uno sguardo nei taccuini ormai ingialliti delle nonne, leggendo ricette che richiamano i sapori dell’infanzia, quando si fa pulizia in cantina e si ritrovano, sepolti sotto strati di polvere, attrezzi e contenitori un tempo di uso
comune in cucina ma ormai abbandonati in nome della praticità, quando nonna e nipote impastano insieme allo stesso tavolo con i grembiuli sporchi di farina. Ma il cibo è anche un viaggio ideale attraverso i sapori, è una scoperta di nuove sensazioni, emozioni: è un viaggio attraverso se stessi alla ricerca del sapore puro e quindi della felicità. u 68
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Sopravvivere insieme Corpi vicini legati da occhi negli occhi e mani che creano cibo dal nulla, da quel poco che si ha. Mentre si attende e si pensa, dialoga, ci si aggrappa. (Ph. Matthieu Paley - 2014)
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u Infine l’atto del mangiare è an-
che musica, se si pensa alle pietanze portate in tavola come una perfetta sinfonia di sapori, odori, colori, come tanti tasti di un pianoforte premuti da mani sapienti, come corde di violino che generano note. Inoltre non si può non considerare che, fin da epoche remote, c’è sempre stato un connubio tra cibo e musica, a partire dall’antica Roma in cui, nelle case più ricche, nel corso del banchetto, si svolgevano musiche, balli, esibizioni di giocolieri e acrobati, declamazioni di poeti, per intrattenere gli ospiti, e dall’antica Grecia in cui dopo ogni sontuoso pasto si svolgeva il simposio, accompagnato dal dolce suono della lira, della cetra e dell’aulos, antico strumento a fiato. Tale rapporto si ritrovò durante il medioevo nelle feste di corte, animate da giullari e trovatori, per raggiungere il suo culmine nelle fastose feste alle corti italiane, durante il Rinascimento. Non si può non essere felici a tavola perché, da sempre nella cultura dei popoli, mangiare non è solo un semplice istinto di sopravvivenza, mangiare è amore, amicizia, famiglia, risate, viaggio, musica: alimentarsi, crescere, far fiorire corpo ed anima.
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ilmano scritto L’
amore è qualcosa di straordinario. Oh si. È quella voglia di starsene senza far nulla, di rimandare ogni impegno per trascorrere giornate intere a contemplare la perfezione dell’oggetto dei desideri. Perfezione? Macché! Credo che a quei tempi, delle enormi fette di prosciutto mi siano finite sugli occhi al posto della maschera antirughe a base di uva. É per questo che voglio raccontare la mia esperienza sia alle donne e sia agli uomini a prescindere dagli orientamenti sessuali. Lo faccio perché Natale non è Natale se non si compiono buone azioni. Ebbene, circa vent’anni fa, quando ancora vedevo gli asini volare nel cielo, presi una decisione: lasciai Napoli per trasferirmi a Londra. Avevo bisogno di fare un’esperienza all’estero e pertanto partii con l’intenzione di accettare qualsiasi lavoro senza rinunciare al mio progetto di vita: scrivere un romanzo e pubblicarlo. Lungi dal tediarvi con la descrizione dell’iter di emigrata in cerca di fortuna, vado direttamente al dunque. Erano trascorsi circa due mesi dal mio trasferimento. Avevo pochi amici ma poco mi importava. Ci pensava il mio manoscritto a tenermi compagnia. Mi ero sistemata bene. Vivevo nei pressi di Clifton Hill e lavoravo con una modesta paga settimanale, presso una caffetteria. Un giorno, esattamente il 25 ottobre, c’era una promozione formidabile: fette di torta al cioccolato a solo 1 sterlina. Quanti nuovi clienti quel giorno! Verso ora di chiusura, entrò un ragazzo, più o meno della mia stessa età. Denim jeans, cappotto di pelle lungo, mocassini rossi e una chitarra senza custodia. u 74
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a Natale
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(non) tutti sono più buoni u Mi avvicinai per chiedere
cosa desiderasse e non mi rispose. Mise una mano nella tasca sinistra dei suoi jeans e cominciò a scavare. Senza preoccuparmi di avere garbo nelle parole, gridai esclamando: «Oh Cielo! Un maniaco!». Lui, per nulla disturbato dalla mia reazione, tirò fuori una moneta e mi disse che era tutto ciò che aveva. Imbarazzata gli portai una fetta di torta al cioccolato, l’ultima rimasta per giunta. Poi, tentando di riparare alla figuraccia e non potendo di certo rimettere denaro di tasca mia, creai una sorta di frullato con gli avanzi delle bibite consumati dagli altri clienti. Fortuna che nulla ancora era finito nella pattumiera! Riuscii a recuperare un po’ di latte, un po’ di succo di mirtilli e panna montata. Con la stessa precisione che contraddistingue gli analisti di laboratorio, con un coltello piatto prelevai la panna da un pezzetto di torta alle fragole e la versai in una terrina dove a piccole dosi aggiunsi il succo di mirtilli. Cominciai a mescolare, ag-
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giungendo man mano anche il latte. Con un frullatore da cappuccino che mi ero portata dietro dalla mia Napoli, diedi il colpo di grazia. Infine, dopo aver versato il composto in una tazza prugna , il tocco finale riuscii a darlo guarnendo il tutto con un paio di zollette di zucchero di canna. Che schifezza pensai. Presi la fetta di Torta e gliela servii insieme all’omaggio della casa da me creato. Pur se frettolosamente, mangiò e bevve di gusto. Lasciò poi la sua unica moneta e andò via.
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na decina di minuti dopo anche io, feci lo stesso. Aspettai l’autobus, che come sempre arrivò puntuale. Salii e come sempre facevo, aprii la mia borsa di feltro e presi un quaderno ad anelli sul quale appuntavo le mie storie e mi dedicai alla decima lettura del manoscritto che avrei dovuto consegnare agli editori di lì a pochi giorni. L’autobus effettuò la prima fermata. Vi salì, proprio il ragazzo
incontrato prima nella caffetteria. Mi riconobbe e decise di sedersi accanto a me. Premettendo che non voglio essere frettolosa ma solo giungere al dunque al più presto, vi dico che iniziammo a conversare e per forza di cose, mi chiese di poter dare uno sguardo al manoscritto. Fu in quel momento che mi spiegò di essere a capo di una casa editrice proprio nei pressi di casa mia e che nella miriade di impegni da assolvere aveva lasciato il portafogli nel suo studio. Ecco perché aveva solo una sterlina con se. Ad ogni modo, si offrì di leggere il mio manoscritto e se avessi accettato di lasciarglielo, l’indomani, sarebbe tornato in caffetteria a darmi il suo parere. Persa nei suoi enormi occhi neri a mandorla, ingenuamente accettai. Sbagliai, e tanto perché divenne la mia ossessione. Per quasi due mesi, la notte e il giorno si diedero il cambio mentre deretani e labbra con la propria storia e le proprie caratteristiche occuparono i tavoli e le sedie della caffet-
u u u teria, e dissetando il palato con le stesse tazze al pari della circolazione del denaro. Lui, del quale nemmeno seppi il nome, non fece più ritorno. Per lo stesso lasso di tempo, andai in cerca della casa editrice nei pressi di casa mia dove aveva detto di lavorare ma non la trovai. Non conoscevo nemmeno il suo nome, eppure io non so spiegarvi il perché mi ero innamorata di due occhi incontrati per caso. Poi, dieci giorni circa prima di Natale, vidi che una cliente, stava leggendo un libro con un titolo che non mi era nuovo. Si trattava di quello che avevo dato al mio manoscritto. Chiesi la gentilezza di sfogliarne qualche pagina. Ogni parola, persino le virgole corrispondevano alle mie. Capii allora, che forse per una causalità, quel ragazzo incontrato tempo fa, mi aveva truffata.
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ulla copertina il nome dell’autore corrispondeva ad Orazio Faggetti. Un autore italiano quindi. L’oggetto dei miei desideri aveva finalmente un nome. Nel giro di pochi attimi, il mio sogno d’amore si era però trasformato in quello di una vendetta che cominciai ad organizzare sin da subito. Proposi ai colleghi e al capo di organizzare la merenda di Natale alla napoletana nella caffetteria con degustazione di dolci tipici che io stessa, viste le mie origini avrei preparato. Avremmo di certo attirato u
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!MPATTO - Stories
N.12 | 23 Dicembre 2014
u molti emigrati italiani e anche
amanti dell’Italia. Sarebbe stato un enorme successo. Così, mi misi alla ricerca degli ingredienti per la preparazione di sfogliatelle, babbà, pastiere e struffoli. Qualcosa lo ordinammo da Napoli e ci venne spedito, qualcosa lo trovai al supermercato e altro lo adattai alle esigenze. Per dare maggiore brio all’evento, ben pensai di provare ad invitare come ospite d’onore Orazio Faggetti. Ebbene feci questa seconda proposta al mio capo che con molto entusiasmo accettò al punto tale da promuovermi ad un ruolo maggiore: organizzazione generale della caffetteria. Dunque, in quanto organizzatrice, dovevo assumermi la responsabilità di reperire Orazio Faggetti e di convincerlo ad essere ospite d’onore della merenda di Natale.
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opo vari fallimenti, riuscii a mettermi in contatto con la casa editrice con la quale fissai un appuntamento per quel giorno, nel pomeriggio. Non impiegai molto perché realmente l’indirizzo risultava essere appena a pochi isolati da casa mia. La casa editrice si trovava in un palazzo rosso poco più avanti della strada con le strisce pedonali più famose di tutto il Regno Unito. Bussai. La porta si aprì, intravidi un paio di mocassini rossi a me molto familiari. Mi aprì la porta proprio il ragazzo che incontrai quasi due mesi prima, il presunto ladro del mio manoscritto. Non mi ero sbagliata, Orazio Faggetti era proprio lui. Mi invitò ad entrare. Sembrava che non mi avesse riconosciuta e così io decisi di stare al gioco. Così, di fronte ad una tazza di buon the, gli feci il mio invito. Accettò con sommo piacere. Mi chiese indirizzo, nome della caffetteria e orario e poi mi congedò molto 77
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Arrivò in perfetto orario. Fu accolto con applausi e ovazioni. velocemente. Con molta soddisfazione, una volta lasciata la casa editrice, feci un saltello di gioia: il mio piano stava funzionando. Il giorno di Natale arrivò in fretta, tutto sembrava pronto. Apparecchiai ogni tavolino con tovaglie bianche con un bordino di velluto rosso. Ogni centro tavola era rivestito con giacchette rosse da cameriere e anche le tazze, già a tavola, erano rosse con tanti fiocchi di neve. Al centro della sala, decisi di posizionare un pupazzo di neve con in mano
il libro di Orazio Faggetti. I clienti arrivarono numerosi ed ognuno prese posto al tavolo dove si era prenotato.
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ominciai a servire le sfogliatelle ricce e frolle che avevo preparato con cura in attesa dell’ospite d’onore che non si fece attendere. Arrivò in perfetto orario. Fu accolto con applausi e ovazioni. Gli proposi di sedersi al tavolo che si trovava accanto al pupazzo di neve per firmare
autografi a tutti i suoi ammiratori. Così fece. Poi, io, in quanto organizzatrice annunciai che ogni cliente sarebbe stato omaggiato con la nuova bevanda calda della caffetteria: Latte & Faggetti. Era una sorpresa. Né i miei colleghi e né il mio capo lo sapevano. Era la ricetta di una bibita inventata con il nome dello scrittore più amato dell’ultimo periodo in segno di gratitudine verso il suo meraviglioso romanzo. Feci in modo che lui fosse il primo a berlo. Era bollente, si scottò la lingua. Si alzò in piedi dal dolore e cominciò ad avere forti mal di pancia fino a scappare al bagno. Lo raggiunsi e messo con le spalle al muro lo minacciai di dire la verità davanti a tutti e cioè che aveva rubato il mio manoscritto. Così fu. Tornò nella sala principale della caffetteria e confessò il reato. Di conseguenza, ogni cliente, ogni fan, uno ad uno, fecero a pezzi le copie del romanzo . Ogni pagina fu appallottolata e gli fu lanciata contro. La rabbia di tutti fu tanta al punto tale che a nessuno venne in mente di riconoscermi il merito di essere l’autrice della storia che aveva appassionato tutto il Regno Unito. Riuscii però a fare giustizia a tutti quegli autori che ogni giorno perdono la paternità delle proprie opere. La fermata di Clifton Hill era vicina, mi preparai per scendere e salutai con piacere il mio compagno di viaggio che per non perdermi di vista mi lasciò un biglietto da visita con sopra riportato nome e indirizzo di una casa editrice... 78
!MPATTO - Innovation
N.12 | 25 Dicembre 2014
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uote di mercato delle GPU Mobile L’agenzia Jon Peddie Research ha pubblicato uno studio in cui si notificano le variazioni delle quote di mercato dei produttori di GPU nei SoC per Smartphone e Tablet nell’ultimo trimestre. Qualcomm mantiene la prima posizione con il 29,7%, seguita da Imagination Technologies con il 29,1%, da ARM con il 26,2%, dalla cinese Vivante con il 12,2% e da Intel con il 2,2%.. La californiana nVidia chiude in ultima posizione con appena lo 0,7%.
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amsung inizia la produzione del SoC A9 di Apple - La coreana Samsung annuncia di aver iniziato la produzione di pre-serie, presso la FAB di Austin (Texas) - con processo produttivo a 14nm FinFET - del nuovo SoC A9 di Apple, il quale dovrebbe andare ad equipaggiare i futuri iPhone e iPad attesi nella seconda metà del 2015. Anche TSMC, nel mentre, ha confermato che produrrà il SoC A9 per Apple con nodo 16nm FinFET, ma a partire dal 2015.
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oogle News lascia la Spagna per colpa dell’Associazione Editori - Il Governo spagnolo ha recentemente varato una legge che costringerebbe Google a pagare una tassa per ogni estratto di articolo pubblicato sul portale Google News. Quest’ultimo è un servizio aggregatore, libero da pubblicità invasive, che serve a condensare in un unico luogo gli articoli pubblicati su diversi siti, raggiungibili attraverso hyperlink. Si tratta, quindi, un servizio in grado di semplificare la vita ai lettori. Gli editori spagnoli, ed in particolare l’AEDE (Association of Daily Newspaper Publishers), hanno fatto pressioni sul governo per tassare questo servizio, in quanto violerebbe le regole sul copyright. Google, in risposta a ciò, ha deciso di chiudere la redazione spagnola di Google News. L’AEDE, non immaginando una decisione così drastica, ha chiesto allora a Google di ripensarci, in quanto la chiusura di tale servizio potrebbe compromettere seriamente i ricavi delle testate giornalistiche.
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Huawei presenta phablet Honor 6 Huawei ha presentato ufficialmente il “phablet” Honor 6 Plus, versione maggiorata dell’Honor 6. Caratterizzato da un ottimo rapporto qualità-prezzo, è dotato di uno schermo da 5,5” con risoluzione Full-HD, di un SoC octa-core Kirin 925, integrante la GPU Mali-T628 MP4, il tutto accompagnato da ben 3GB di RAM. Troviamo una doppia fotocamera posteriore in grado di scattare foto da 13 MPixel, una fotocamera anteriore da 5 Mpixel, un’unità di memorizzazione interna da 16Gb o 32GB e, in ultimo, una batteria da 3600 mAh. Disponibile in due versioni, con Modem LTE 3G o 4G, e dotato di sistema operativo Android 4.4 KitKat, al momento è disponibile solo in Cina al prezzo di partenza di 230 dollari al cambio. 80
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