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CYBERSECURITY

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IL MERCATO DIGITALE NEL GOLFO DELL’INCERTEZZA

Roberto Masiero

Il coronavirus non solo sta avendo un impatto drammatico a livello sanitario, umano e sociale, ma sta anche determinando la più grave crisi economica globale dell’ultimo secolo. Alcuni autorevoli analisti prevedono che il Pil italiano nel 2020 possa subire una riduzione fino al 9%, mentre Confcommercio ipotizza uno scenario in cui 50mila piccole imprese potrebbero essere costrette a chiudere, con una perdita di 300mila posti di lavoro. Eppure queste tetre considerazioni non devono riflettersi automaticamente sulle prospettive del mercato digitale. Anzi, sembra di assistere al capovolgimento del paradosso di Solow, che negli anni Ottanta affermava: “Si vedono computer ovunque, tranne che nelle statistiche sulla produttività”. Esaminiamo l’evoluzione delle dinamiche del Pil e del mercato digitale nel nostro Paese negli ultimi quindici anni, dal 2004 al 2019. Identifichiamo due momenti di maggiore discontinuità: la grande crisi del 2008, in conseguenza della quale il Pil subì una flessione del 5,5% a fronte di una contrazione pari al 2,9 del mercato digitale; e l’inversione del 2015, il primo anno in cui il la spesa in digitale tornò a registrare tassi di crescita superiori a quelli del Pil. Pare dunque che il mercato digitale tenda ad avere un andamento sostanzialmente pro-ciclico rispetto al Pil. La spiegazione potrebbe essere che, in anni in cui consumi e investimenti si contraevano, le aziende tendessero a tagliare gli investimenti in innovazione, che invece venivano rilanciati soprattutto dalle imprese più lungimiranti negli anni più floridi. Il che dovrebbe farci prevedere, nel caso si avverasse la previsione di un calo del Pil intorno al 9%, una contrazione simile in proporzione a quella avvenuta nel 2009, stimabile quindi intorno al 6%. Ma alcuni indicatori fanno ritenere che per la prima volta potremmo assistere a una decisa inversione di tendenza e a una sostanziale tenuta del mercato digitale, nonostante l’atteso crollo del Pil. Una nostra ricerca sul campo, effettuata nelle scorse settimane interpellando Cio e Cxo di 99 imprese italiane, ha fatto emergere risultati sorprendenti: in piena crisi coronavirus, con il Paese in stato di lockdown, a fronte di un 29% di intervistati che si attendevano una riduzione del budget IT complessivo rispetto a quello precedentemente concordato, il 34 % si aspettava invece un aumento parziale o addirittura “considerevole” del budget stesso. Riteniamo non si tratti di un semplice wishful thinking, ma di un vero e proprio cambiamento della natura del ruolo degli investimenti in digitale, che di fronte alla gravità della crisi vengono ad assumere una natura anticiclica. A sostegno di ciò stanno alcune considerazioni da noi rilevate nel corso di conversazioni con vari opinion leader ed executive del settore: pochissime tra le grandi imprese hanno interrotto le attività, alcune hanno addirittura raddoppiato i budget IT per uscire dalla

crisi con un maggiore vantaggio competitivo; l’esigenza di passare allo smart working e di sviluppare rapidamente soluzioni quick & dirty di e-commerce ha imposto a molte medie aziende scelte e investimenti che venivano posticipati da anni; il fiorire di creatività nella didattica, guidato da migliaia di insegnanti che dal basso tentano di supplire all’inadeguatezza degli strumenti a loro disposizione, impone un salto di qualità negli investimenti della Pubblica Amministrazione in aree chiave come la scuola e la sanità. In poche parole: per la trasformazione del Paese ha fatto di più il coronavirus in un mese che tre anni di chiacchiere sulla trasformazione digitale. Anche per questo, sulla base delle informazioni raccolte, riteniamo ragionevole la stima per cui, proprio per la natura anticiclica che essa viene oggi ad assumere, la spesa in digitale nel corso del 2020 possa addirittura registrare un moderato incremento, nell’ordine dell’1%. Questo è naturalmente il caso migliore; il worst case scenario, che tiene conto di numerosi fattori inibitori, vede invece una flessione del 3%. È quello che definiamo il “golfo dell’incertezza”. Roberto Masiero, presidente di The Innovation Group

FLASH E CLOUD, LE TENDENZE FORTI DELL’ARCHIVIAZIONE

Il mercato dello storage è in bilico fra innovazioni e dinamiche di prezzo, come testimoniato da Pure Storage.

Il mercato dello storage presenta, in questa fase storica, tratti controversi. Numerosi fattori di scenario lasciano intravedere prospettive di crescita del giro d’affari per i vendor, dall’incremento della richiesta di soluzioni cloud all’affermazione dello storage a oggetti (adatto per i dati non strutturati), dall’abbassamento dei costi della tecnologia flash fino al consolidamento di strumenti come i container e l’intelligenza artificiale. In direzione opposta, tuttavia, spingono altri fenomeni: innanzitutto il ribasso sui prezzi, cui si aggiungono elementi destabilizzanti come gli effetti macroeconomici negativi prodotti dalla diffusione del coronavirus. In questa dicotomia si rispecchia Pure Storage: l’ultimo esercizio si è chiuso con una crescita del 23% nel volume d’affari, che ha raggiunto gli 1,32 miliardi di dollari, ma anche con utili in perdita per 201 milioni di dollari. Da un lato continua ad aumentare il numero di clienti nel mondo (al ritmo di cinquemila in più in un trimestre), ma dall’altro la pressione sui prezzi si fa sentire. “Siamo ben lontani da un mercato in crisi”, commenta Alfredo Nulli, Emea cloud architect di Pure Storage. “Ogni anno aumenta la richiesta di capacità, mentre a calare è il valore del gigabyte. Noi abbiamo il vantaggio di offrire una soluzione di piattaforma e non solo dispositivi per memorizzare i dati. Quando dieci anni fa siamo partiti puntando tutto sulla tecnologia flash, abbiamo lanciato una sfida basata su una visione di lungo termine. Siamo stati i primi e oggi ne raccogliamo i frutti. La riduzione dei costi è destinata a stabilizzarsi nel 2020 e beneficeremo della progressiva sostituzione di storage tradizionale anche per la memorizzazione di dati meno pregiati”. Quest’ultimo fenomeno fa leva sull’arrivo di nuove tecnologie di memoria allo stato solido, come Storage Class Memory e Qlc (celle di memoria composte da più livelli), che si adattano alle applicazioni più sensibili alla latenza ma allo stesso tempo estendono il potenziale del flash anche a quanto finora conservato su disco magnetico. L’abbinamento con il protocollo Nvme (l’interfaccia degli Ssd più veloci), ormai esteso al comples

Alfredo Nulli

so dell’offerta FlashArray, permette di superare i colli di bottiglia dell’interfaccia tradizionale Scsi, portando non solo ai dischi flash locali ma anche a quelli esterni dei benefici in termini di maggiori Iops (operazioni di input / output al secondo) e bassa latenza. L’andamento di Pure Storage in Italia riflette quello globale e conferma la generale diffusione del flash. “Il mondo del finance”, racconta Nulli, “sta innovando in modo sorprendente per estrarre valore dai dati, mentre la Pubblica Amministrazione ha intrapreso con decisione strategie cloud-first, che non mettano però in discussione gli investimenti già fatti. Anche il manifatturiero sta utilizzando il flash per ottimizzare i processi industriali in un’ottica di automazione. Questo scenario ci fa ritenere di poter radicare ulteriormente la nostra presenza, soprattutto a discapito dei concorrenti diretti”. R.B.

L’Italia è al secondo posto, dopo la Germania e prima della Francia, nella classifica dei Paesi europei più colpiti dal ransomware, mentre a livello mondiale è settima. Così emerge dai IL RANSOMWARE TORMENTA GLI ITALIANI monitoraggi di Trend Micro relativi all’intero 2019, periodo in cui nel mondo gli episodi rilevati sono aumentati del 10% rispetto all’anno precedente, per un totale di 61 milioni di attacchi ransomware. Il settore più colpito è quello della sanità, nel quale oltre 700 organizzazioni hanno subìto almeno un attacco nel corso dei dodici mesi.

IL 5G DI HUAWEI È GIÀ PRONTO A RIPARTIRE

Subito prima dello scoppio della pandemia, la multinazionale aveva presentato nuovi apparati e illustrato l'attuale stato di adozione delle reti di quinta generazione.

Mentre in Italia scattavano i primi allarmi sul coronavirus, a Londra il 20 febbraio Huawei, nonostante l’annullamento del Mobile World Congress di Barcellona, mostrava le ultime novità delle soluzioni 5G che avrebbe dovuto presentare in fiera. “Nel 2020 oltre 170 operatori lanceranno il 5G nel mondo”, ha detto Ryan Ding, executive director del board e presidente del Carrier Business Group, aprendo la conferenza. “E già oggi molte telco stanno sperimentando la monetizzazione dei servizi basati sulle capacità del nuovo standard in termini di traffico, latenza e numero di connessioni contemporanee, in particolare nei segmenti dei servizi video B2C, intrattenimento, sport e gaming, per esempio”. La strategia di Huawei per vincere le ultime resistenze all’adozione del 5G (a cui si sono aggiunte recentemente le improbabili teorie fasulle sul ruolo che il nuovo standard avrebbe avuto nella diffusione del

Ryan Ding

virus pandemico), si articola su due filoni: la produzione di componenti sempre più innovativi e la divulgazione di modelli economici atti a dimostrare il rapido ritorno dell’investimento. Un esempio è la nuova base station, dal peso di soli 25 chilogrammi invece dei 40 degli apparati precedenti, oppure il primo chip industriale 5G al mondo. L’efficienza operativa nella realizzazione dei nuovi impianti è decisamente più elevata rispetto al passato: l’azienda stima riduzioni fino al 45% (rispetto alla precedente generazione di stazioni base) su costi operativi di installazione, spazi fisici necessari al posizionamento delle antenne e consumi energetici. “A oggi Huawei ha firmato 91 contratti commerciali per il 5G, di cui 47 in Europa, e consegnato oltre 600.000 unità di antenne Massive Mimo 5G (AAU, Active Antenna Units)”, ha specificato Ding. “La compattezza delle nuove base station e antenne”, gli ha fatto eco Peng Song, presidente marketing and solution della divisione Carrier, “dovrebbe favorire lo sviluppo della rete soprattutto in Europa, dove il 90% delle stazioni di trasmissione ha un solo palo”. Nonostante l’effettiva adesione di interi Paesi (per esempio la Corea del Sud) al programma di sviluppo del nuovo standard, in Europa il 5G viene implementato ancora a macchia di leopardo, al netto dello stop imposto dalla pandemia, in gran parte per i noti problemi di frammentazione dello spettro di frequenze adottato nei diversi territori. “Abbiamo individuato in questa fase oltre dieci mercati verticali che possono già da subito beneficiare delle potenzialità del 5G e oltre 125 casi applicativi”, ha detto Alex Sinclair, Cto di Gsma (l’associazione di riferimento per lo standard Gsm, formata da oltre 750 operatori telco). Grazie al 5G, i progetti basati su Internet of Things genereranno oltre 700 miliardi di dollari di fatturato entro il 2030. Per il 21% arriveranno dalla sanità e per il 19% dal manifatturiero”. Ed è probabile che per gli investimenti della sanità si verifichi un’accelerazione proprio alla luce del coronavirus e dell’importanza ancor maggiore assunta da questo settore. E.M.

IL CLOUD NON SARÀ MONOLITICO

La tendenza a creare un “mosaico” di servizi di fornitori diversi aumenterà in futuro: lo svela un’indagine commissionata da Equinix a Dynata, per la quale sono stati intervistati circa 2.500 responsabili IT di 123 Paesi. In Italia il 79% delle aziende ha in programma di spostare nel cloud un maggior numero di attività e processi, in particolare database e strumenti di produttività. Per quasi un responsabile IT su due, il 45%, la strategia tecnologica da seguire prevede il “multicloud”, cioè la scelta e l’integrazione dei servizi di più fornitori. Tuttavia attualmente solo il 20% delle imprese ha già adottato tale approccio. “C’è ancora un divario significativo tra le ambizioni delle aziende e l’implementazione dell’adozione del cloud”, ha commentato Emmanuel Becker, managing director di Equinix Italia.

SERVIZI GESTITI, IL VERO VALORE DEL CANALE

Achab, distributore milanese, sta traghettando i propri partner verso il modello del managed service provider. Così potranno spiccare sulla concorrenza.

Il tempo del “box moving” per il canale sta ormai tramontando. Sopravvivere e produrre margini oggi come oggi significa saper proporre un servizio percepito come tale da un cliente finale a sua volta preparato all’idea di non essere più il proprietario di apparati e licenze. La conversione verso una logica da managed service provider (Msp) è la missione che il distributore milanese Achab ha intrapreso negli ultimi anni, riqualificando in tal senso la propria rete di partner e individuando nuovi soggetti pronti a far evolvere il loro modello di business, in particolar modo sul mercato della sicurezza. “Negli ultimi due anni l’acronimo Msp è diventato molto più conosciuto fra gli operatori di canale”, racconta Andrea Veca, fondatore e Ceo di Achab. “Noi vogliamo mettere i nostri partner nelle condizioni di rivestire un ruolo da consulenti di fiducia, con soluzioni che risolvano i

Andrea Veca

problemi reali e generino opportunità legate alla fornitura di servizi correlati”. In questa direzione vanno le più recenti evoluzioni del portfolio d’offerta proposto dal Vad milanese. L’ultima aggiunta è Altaro, società specializzata in soluzioni di backup e replica, un tassello fino a oggi mancante nella proposizione di Achab. Il prodotto di punta si chiama Vm Backup e ha la prerogativa di racchiudere in un unico software il salvataggio di macchine virtuali sia in ambiente Vmware sia Hyper-V. Piuttosto recenti sono altri due accordi di distribuzione siglati da Achab. Uno riguarda Vade Secure, titolare di una soluzione antispam che filtra e “pulisce” le email monitorando in tempo reale i link e gli allegati dei messaggi e che blocca anche le minacce provenienti dall’interno. “Potrebbe sembrare anacronistico parlare di antispam oggi, ma basti pensare che oltre il 90% degli attacchi informatici viene perpetrato via email per capire quanto sia ancora attuale”, sottolinea Veca. Il secondo accordo riguarda Dark Web ID, azienda che ha sviluppato una piattaforma per il monitoraggio sul dark Web di credenziali compromesse e messe in vendita. La crescita del comparto Msp del canale appare dunque fondamentale per lo sviluppo del business di Achab. Lo spazio da colmare resta ampio, se pensiamo che due anni fa il peso dei servizi gestiti sul totale di mercato dei service provider era all’incirca del 10%, mentre oggi siamo arrivati al 20%. “Si sta cominciando a capire quale importanza ci sia dietro il concetto di automazione”, sottolinea Veca. “Purtroppo, però, l’80% dei fornitori si ostina ad avere un approccio reattivo, usando risorse costose e foriere di potenziali errori per attività poco strategiche. La logica del business di un partner deve cambiare, passando da una misurazione in ore a una basata sul canone”.

Roberto Bonino

La divisione Data Center Group di Lenovo ha da poco presentato due nuove famiglie di apparati che faciliteranno l’adozione di architetture “edge-to-cloud”: il server Think Agile Mx1021 e la soluzione di storage Think System Dm7100. “Si tratta di due novità che permettono di raccordare alcuni dei trend più significativi di oggi: edge computing, IoT e 5G”, L’EDGE-TO-CLOUD SECONDO LENOVO ha dichiarato Alessandro De Bartolo, a capo della divisione Dcg di Lenovo in Italia. Gli elementi qualificanti della nuova offerta sono il cloud e l’iperconvergenza, in particolare quella targata Microsoft. “Gli ambiti che possono beneficiare di più di queste nuove soluzioni”, ha proseguito De Bartolo, “sono, tra gli altri, il retail, il manufacturing e l’healthcare”. Il server Think Agile Mx1021 è un mattone fondamentale per l’edge e nello stesso tempo ha caratteristiche di alta resistenza anche in ambienti “ostili”. L’appliance Dm7100, invece, si distingue per la capacità di gestire in autonomia dove memorizzare i dati: sull’appliance stessa (anche in configurazione all-flash), onpremise o in cloud (in particolare Azure).

L’ITALIA GUIDA LA CRESCITA DI SALESFORCE

Per la società da 17 miliardi di dollari di fatturato, sinonimo di Crm, lo Stivale è un mercato forte e in ascesa.

Per ogni azienda, la crescita si misura sul volume d’affari e sulla quantità dei clienti acquisiti. Il 2019 di Salesforce ha mantenuto fede alle attese con un balzo in avanti del fatturato dai 13,2 miliardi di dollari del 2018 ai 17,1 miliardi dell’anno seguente. Il 2020, inevitabilmente, presenta maggiori punti interrogativi per l’effetto dell’epidemia di coronavirus, ma lo specialista del Crm può contare su qualche certezza legata, da un lato, alle acquisizioni che ne hanno ampliato il raggio d’azione e, dall’altro, a un modello basato sulle sottoscrizioni. Un modello indubbiamente più stabile rispetto quelli basati su isolate grandi commesse o su vendite “spot”. La filiale italiana farà leva su questi elementi per sperare di avvicinarsi il più possibile al risultato dello scorso anno, che l’ha portata ad avere il tasso di crescita più elevato tra tutti i mercati in cui l’azienda è presente. “Operiamo in un comparto che mostra maggior dinamismo rispetto ad altri”, fa notare Federico Della Casa, country leader di Salesforce Italia, “soprattutto perché si sta passando dal concetto di una pura vendita di prodotti e servizi a quello di una relazione il più possibile personalizzata con la clientela. I nostri sviluppi e le acquisizioni più recenti vanno verso una visione olistica e completa del ciclo di vendita, a partire da ciò che avviene in fase di ingaggio, per arrivare a una durata nel tempo garantita dai servizi di supporto classici e digitali”. Questa strategia si traduce nella proposizione di uno strumento come Customer 360 (basato n gran parte sulla tecnologia dell’acquisita MuleSoft), che consente di centralizzare i dati e di interagire fra le varie applicazioni e cloud di Salesforce. All’acquisizione di Mulesoft si sono aggiunte in tempi più recenti quelle di Tableau, che ha consentito di aggiungere la componente analitica , e quella di Vlocity, un partner storico, che porta in dote varie applicazioni sviluppate per mercati verticali (comunicazioni, media, sanità, entertainment, energia, assicurazioni e servizi pubblici).

Federico Della Casa

Su tali basi tecnologiche Salesforce farà leva per rafforzarsi in Italia anche in un difficile 2020. Le performance d’eccellenza rispetto ad altri Paesi si fondano anche sulla presenza del più alto numero di utenti certificati (+51% anno su anno) e su una clientela che ha superato le 1.400 aziende. “Storicamente”, sottolinea Della Casa, “ci siamo radicati nel manufacturing e poi nelle utilities, settore in cui abbiamo rapporti con nove delle prime dieci realtà in Italia. Negli ultimi anni ci siamo rafforzati nel fashion e nel retail, mentre ora, dopo aver avuto successi rilevanti nel finance, ci aspettiamo l’onda della Pubblica Amministrazione”. R.B.

Nonostante l’ascesa dello smart working conseguente alla pandemia di coronavirus, per i Pc sarà un anno difficile. Nuovi dati di Idc e di Canalys fotografano una situazione contraddittoria, in cui da un lato le consegne di nuovi computer desktop, workstation e notebook diminuiscono per colpa delle interruzioni di supply IL PARADOSSO DEI PERSONAL COMPUTER chain, e dall’altro la domanda aumenta. Secondo le stime preliminari di Idc, nel primo trimestre del 2020 le consegne di Pc tradizionali (da scrivania, workstation o portatili) sono calate del 9,8% anno su anno, toccando quota 53,2 milioni di unità. Un declino marcato che è “il risultato delle riduzioni di forniture dovute all’emergere del covid-19 in Cina”, primo Paese al mondo esportatore di Pc o di componenti per Pc. Simili i dati di Canalys: i 53,7 milioni di sistemi desktop, workstation e notebook distribuiti nel primo trimestre 2020 segnano un calo dell’8% rispetto all’analogo periodo del 2019. Ovvero il peggior declino a volume degli ultimi quattro anni.

LA “MCDONALD’S” DELLA UNIFIED COMMUNICATION

Il mercato delle soluzioni di Unified Communication è affollato e competitivo. Da qualche tempo si stanno facendo spazio i fornitori UCaaS (Unified Communication as-a-Service), che propongono un’offerta basata su cloud puntando su strategie di marketing e di prezzo agguerrite. Trattandosi di un comparto tradizionalmente presidiato dal canale, ci può essere per qualche operatore la tentazione di associarsi a questi nuovi player, magari a discapito delle relazioni con vendor dalla storia più consolidata. Dai pericoli di questa tentazione Wildix ha messo in guardia i propri partner, radunati a Barcellona (e in parallelo a Dallas) per l’annuale Ucc Summit. “Lavorare con questa categoria di ‘fornitori vampiri’ significa farsi sottrarre rapidamente la propria base di clienti”, ha ammonito il Ceo, Stefano Osler. “Società come RingCentral, Fuze o Vonage fanno leva sulla propria immagine e su un brand reclamizzato su scala globale per attrarre clienti che tendono a fidarsi poco di un operatore locale. Le loro proposte cloud-based vanno progressivamente a eludere l’operato dal partner. Pur pesando non più del 25% del mercato, godono di una copertura mondiale e richiamano l’attenzione con prezzi aggressivi”. Per difendersi da questa concorrenza,

Stefano Osler

Wildix invita il canale a focalizzarsi sempre di più sulla competenza da mettere al servizio del cliente. “Dal punto di vista tecnologico è sempre più difficile differenziarsi”, ha proseguito Osler. “Non bisogna più pensare di vendere Pbx, bensì di aiutare le aziende a raggiungere i loro obiettivi di business”. In sostanza, l’invito al canale è quello di dimenticarsi del proprio piccolo spazio e territorio di riferimento, per presentarsi sotto il comune cappello di Wildix, un’organizzazione globale radicata e capace di offrire valore. Si tratta del primo passo di un progetto che dovrebbe sfociare in una vera e propria strategia di franchising, sulla falsariga del modello di McDonald’s, che è proprietaria di meno di tremila degli oltre 37mila punti vendita recanti la propria insegna. Wildix, azienda che ha base a Tallinn ma ha l’anima italiana dei fondatori Stefano e Dimitri Osler, mette a disposizione dei partner non solo le soluzioni e gli strumenti utili per mantenere il corretto presidio del mercato, ma anche un programma fatto di corsi di formazione sulla metodologia Kanban e sul framework ValueSelling con Unicomm, con cui poter acquisire competenze sulla vendita a valore. La speranza dei fratelli Osler è naturalmente quella di rafforzare un tasso di crescita che nel 2019 è stato già notevole, +32% rispetto all’anno precedente. In questa visione del mercato i prodotti restano i “mattoni” con cui costruire un’ideale “casa” comune. Fra le novità più recenti introdotte da Wildix c’è Wizyconf, soluzione di Web conference con monitor touchscreen, funzionante su Chrome Os e basata sulla tecnologia WebRtc. All’applicazione per Android e iOS di Collaboration App, invece, è stata aggiunta una funzione di chat di gruppo. Il sistema di Ucc Kite, che finora ha permesso di effettuare videochiamate, condividere schermate e inviare documenti e chat, è stato migliorato con un funzionalità di notifica via Sms dei tentativi di contatto. R. B.

GIOIE E DOLORI DELL’E-COMMERCE

Le forzate chiusure dei negozi seguite al coronavirus hanno fatto impennare gli ordini dell’e-commerce, ma non per tutte le categorie di beni e servizi. Quest’anno, secondo le stime di Juniper Research, nel mondo il commercio digitale vedrà calare il proprio giro d’affari del 14% rispetto al valore del 2019, scendendo da 11.200 miliardi a 9.700 miliardi di dollari. A soffrire di più sarà l’e-ticketing, ovvero la vendita di titoli di viaggio e di ingresso ad attrazioni, spettacoli ed eventi: per questo segmento si prevede addirittura un crollo del 59%. “I vendor del commercio digitale”, ha commentato Nick Maynard, analista di Juniper Research, “nel 2020 affronteranno stravolgimenti, ma lo spostamento della spesa dall’offline ai canali online rappresenta un’opportunità cruciale per il mercato. I vendor devono agire per far fruttare l’aumentata digitalizzazione dei servizi durante la pandemia, così da alimentare la futura crescita”.

CHE COSA SERVE DAVVERO ALLE STARTUP?

Il commercialista Francesco Salvetta ha strutturato il suo studio a supporto del tessuto industriale e delle startup della provincia di Trento, facendo leva sulle automazioni digitali.

Lo Studio Salvetta di Trento da sempre guarda alla tecnologia per emergere e differenziarsi. Il suo fondatore, Francesco Salvetta, ha strutturato lo studio a supporto del tessuto industriale locale sulla base della propria mentalità poliedrica e, soprattutto, aperta alla tecnologia e ai suoi vantaggi. Le startup possono ricevere consulenza grazie alle soluzioni digitali di Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia, azienda partner dello Studio Salvetta, che lo ha dotato di applicativi moderni ed efficienti per automatizzare al massimo tutte le operazioni contabili, dichiarative e di bilancio, consentendo così l’offerta di servizi innovativi. L’automazione, la trasformazione digitale, la Business Intelligence e la dematerializzazione targate Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia hanno consentito a Francesco Salvetta di distinguersi per offerta consulenziale innovativa e a alto valore aggiunto. “La collaborazione con enti pubblici e aziende provinciali orientano la nostra necessità di dotazioni digitali”, racconta Salvetta. E spiega quello che davvero serve a una startup per avviare con successo le proprie attività: “Dobbiamo essere super precisi, efficacissimi e anche veloci nelle risposte. Per esempio lavoriamo per introdurre startup nei Bic (Business Innovation Center) della società provinciale Trentino Sviluppo. La società ha creato degli spazi incubatori per startup, dove le neoaziende hanno la possibilità di sviluppare i loro business model e le loro idee, sgravate dalle incombenze e necessità aziendali. All’interno di un contratto le startup ricevono spazi e servizi, tra i quali quello amministrativo e contabile, che assume ogni giorno un’importanza crescente, perché non c’è impresa innovativa o startup che non abbia bisogno di una consulenza amministrativa e di finanza e controllo di gestione. Fare impresa oggi significa ‘far di conto’ e Trentino Sviluppo offre questa fondamentale pratica anche attraverso la nostra capacità di commercialisti e esperti contabili”. Gli incubatori d’impresa nella provincia di Trento sono attualmente sette: Trento, Pergine Valsugana, Mezzolombardo, Borgo Valsugana, Pieve di Bono e due a Rovereto, dove opera un Polo della Meccatronica e si sta sviluppando un Progetto Manifattura. È la trasformazione digitale dello Studio Salvetta a consentire l’operatività anche in mobilità e Wolters Kluwer Tax & Accounting Italia è il suo importante partner tecnologico. “Tutto quello che è necessario per la cura del cliente ce lo fornisce Wolters Kluwer Italia”, assicura il fondatore, “dagli applicativi per la contabilità di base all’archiviazione telematica, dal portale collaborativo alla piattaforma digitale per la gestione efficace di contabi

Francesco Salvetta

lità, dichiarazioni e bilancio, fino alla fatturazione elettronica e alla dematerializzazione documentale e conservativa dei registri fiscali e del libro giornale, oltre che dei dichiarativi. Tutto è applicato per la soddisfazione del cliente in termini di efficienza sugli adempimenti e tutto è utilizzato per l’analisi e la consulenza manageriale”. A fronte di tutte queste soluzioni digitali, il contatto diretto con il cliente è ancora importante, e come? “Limitiamo il coinvolgimento della clientela al minimo”, spiega Salvetta, “ma sfruttiamo quei momenti, ad esempio la raccolta della firma sui dichiarativi, per rendere consapevole il cliente del lavoro dello studio. Proprio l’automazione e la trasformazione digitale rendono lo studio così efficiente da non far percepire al cliente il lavoro che invece c’è dietro, e che resterà anche in futuro. Diversa è la condizione del commercialista come consulente. Qui il rapporto è diretto tra commercialista e imprenditore, e la nostra prerogativa è quella di affiancare il cliente e creare un clima collaborativo per sviluppare una capacità di analisi possibilmente neutra e non emotivamente coinvolta. Il Cfo – ed è quello il mio ruolo per tante Pmi e startup locali che un Cfo non se lo possono permettere al loro interno – dev’essere un analista, un visionario, un creativo, deve avere ampiezza mentale. Per questo ha bisogno di conoscere i dati dell’azienda e di saperli analizzare e interpretare. Cosa che ci riesce benissimo, grazie ai software di casa Wolters Kluwer Italia”.

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