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L’INTEGRAZIONE CARENTE

I Big Data sono fondamentali nelle iniziative di trasformazione aziendale. Ma spesso l'approccio è sbagliato.

Un approccio strutturato alla governance dei dati è essenziale nell'implementazione di un progetto di trasformazione digitale. E questo è ancor più vero in un'epoca di ibridazione delle infrastrutture e delle normative. Fra regolamentazioni europee sempre più strette e la volontà di andare verso segmentazioni sempre più fini, con cui poter personalizzare al massimo la user experience, le aziende sono pressoché costrette a disporre di dati di alta qualità e ben organizzati. La “Digital Business Transformation (Dbt) Survey 2020” di The Innovation Group, realizzata su un campione di 145 business manager di aziende italiane medio-grandi, conferma l’importanza delle tecnologie Big Data: sono un’area di forte attrazione di investimenti per le imprese che hanno “cantieri aperti” verso l'innovazione, anche se l'emergenza legata alla diffusione del covid-19 inevitabilmente rallenterà lo sviluppo dei progetti in corso. Già nel 2019 la voce Big Data figurava al secondo posto, dietro le piattaforme di digital marketing, nelle porzioni di budget destinati dalle imprese italiane alla trasformazione digitale. L'anno in corso dovrebbe, compatibilmente con la congiuntura, confermare questa scala di valori, con l'inserimento prepotente delle tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning.

Governance sottovalutata

La presenza di piani di data governance ben definiti, tuttavia, scarseggia: è la voce meno citata tra quelle incluse nella lista proposta dalla survey. La percentuale di citazioni del 31% appare misera, soprat- tutto se confrontata con il 58% delle progettualità realizzate con il coinvolgimento del management e con il 50% dei progetti di multicanalità orientati al tracciamento delle relazioni con i clienti. D'altra parte, si evidenziano ancora contraddizioni nella diffusione di una cultura digitale all'interno delle imprese, poiché al 48% di realtà che hanno già assicurato in modo pressoché completo l'accesso alle informazioni da qualsiasi luogo, dispositivo o momento della giornata si contrappone il 27% di quelle che hanno avviato iniziative per spingere internamente un approccio datadriven. Queste lacune si traducono in carenze lamentate un po' su tutta la filiera di un marketing che già si vorrebbe fortemente digitale, con punte negative sulla capacità di avere una visione unica dei clienti su diversi touch point (appena il 27% delle aziende del campione può dire di averla ottenuta) e sulla disponibilità di analytics avanzati dei dati (23%).

Silos duri a morire

Una delle difficoltà più evidenti nell'utilizzo strutturato dei dati a supporto dei processi di trasformazione digitale è la presenza dei famigerati “silos” che creano dispersione, a cui sommano la tendenza ad affidarsi sempre più al cloud e la quota crescente di informazioni derivanti dal Web e dai social media. In un mondo ideale, si dovrebbe passare da una gestione punto a punto nei data warehouse a un approccio di tipo "data hub", in cui tutto è concentrato e da lì si parte per redistribuire le informazioni verso diversi destinatari. La realtà appare differente e la soluzione non è mai universale. Ogni azienda dovrebbe individuare la propria traiettoria di riconciliazione dei dati interni ed esterni

in funzione dell'uso che intende farne, dei costi e della rapidità di esecuzione. L'interazione e l'interoperabilità sono importanti per una buona gestione dei dati e il cloud può rappresentare una soluzione architetturale adatta ai tempi, soprattutto perché in grado di assicurare flessibilità e capacità di evolvere in futuro. Per un'efficiente strategia di governance servono un'analisi preventiva affidata a team dedicati in azienda e strumenti possibilmente orientati a un approccio olistico, in cui tutto viene gestito in modo integrato. A complemento di ciò, vanno considerate risorse come il Master Data Management (che può convogliare i dati critici in un solo luogo di riferimento) e i software per la data quality e per la gestione dei metadati. Il tutto, evitando di creare altri silos.

Alla ricerca del chief data officer

Gartner ritiene che i progetti data-driven rappresentino oltre i tre quarti delle iniziative di trasformazione digitale attualmente in corso. Se in passato toccava ai Cio raccogliere, organizzare e produrre report, spesso retroattivi, sui dati aziendali, oggi questo compito deve necessariamente passare a figure più specializzate, nella fattispecie i chief data officer (Cdo). Si tratta di professionisti dotati di competenze tecniche e capaci di guidare i progetti di governance, gestione e protezione dei dati aziendali, magari integrando sistemi di intelligenza artificiale per automatizzare determinati flussi e ridurre l'incidenza dei processi manuali. Anche alla luce degli effetti negativi generati dall'emergenza covid-19, appare importante per le aziende lavorare sui dati per trovare fonti di risparmio e presidio del mercato. Mancano esempi eclatanti in Italia, ma anche da noi occorrerà riuscire almeno ad avvicinarsi ad approcci simili a quello di Netflix, che ha trovato il modo di risparmiare un miliardo di dollari all'anno sulla customer retention, oppure a quello di Walmart, che è in grado di trattare 2,5 PB di dati sui clienti ogni ora, usandoli per aumentare le vendite.

Roberto Bonino

LENTO PROGRESSO PER LE ITALIANE

Spending review post coronavirus permettendo, le tecnologie Big Data quest’anno dovrebbero attrarre investimenti in crescita da parte delle aziende italiane. Ma piani ben definiti per la gestione dei dati sono ancora poco presenti. Ne abbiamo discusso con Yari Franzini, regional director di Cloudera Italy.

Nelle aziende italiane ci si occupa poco di governance dei dati. Perché? Stiamo vivendo un processo graduale. Le aziende si stanno rendendo conto di quanto i dati rivestano un ruolo cruciale per il loro business. C’è molto da fare, considerando che secondo Gartner il 91% delle organizzazioni oggi non sa ancora i sfruttare al meglio i dati che ha a disposizione. Le aziende stanno iniziando a investire in tecnologie che consentono di analizzare e usare al meglio questo patrimonio, ma per farlo devono ripensare anche a come le singole organizzazioni interne collaborano e condividono i dati stessi. Contemporaneamente, stanno avviando programmi di discovery interna per capire come e dove i dati vengano creati, consumati e gestiti in azienda. Questo secondo processo appare più lento, ma è già in corso e potrà ottenere spinta ulteriore dalla disponibilità di piattaforme unificate, in grado di considerare tutti i dati presenti all’interno di un’organizzazione in modo unitario, indipendentemente dalla loro natura e collocazione.

Che cosa è mancato finora alle nostre aziende in termini di approccio? Si potrebbe dire che finora sia mancata una visione di insieme e che le organizzazioni si siano mosse in ordine sparso, sulla base di singole urgenze e opportunità. Non è sbagliato, ma certo questo approccio opportunistico rappresenta solo un primo passo nella giusta direzione. Potendo riscontrare vantaggi operativi e di business su casi e progetti specifici, le aziende sono sicuramente invogliate a guardare oltre e ad estendere questo approccio data-driven a tutta l’organizzazione. Si tratta di un processo graduale, che chiama i vertici aziendali a ridisegnare processi ed equilibri, ma certo la disponibilità di piattaforme aperte, modulari e basate su standard come quella di Cloudera può contribuire a rendere questa evoluzione non solo indolore, ma anzi immediatamente positiva per il business.

I settori più ricettivi al cambiamento? Tipicamente, i settori che si muovono in anticipo sono quelli ad alta intensità di dati e quelli in cui questi stessi dati rivestono un ruolo particolarmente critico. Il primo esempio è sicuramente quello del finance nella sua accezione più estesa (banking & insurance), in cui i dati sono fondamentali e anche straordinariamente sensibili, per cui devono essere gestiti in modo efficace almeno quanto sicuro. Un’efficace analisi proattiva dei dati permette anche di sviluppare servizi avanzati, con l’obiettivo di creare vantaggio competitivo, e penso alle telco e al comparto energy e utilities. R.B.

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