4 minute read

FINTECH

Next Article
ITALIA DIGITALE

ITALIA DIGITALE

BANCHE AL BIVIO: ESSERE DIGITALI O ANTIQUATE?

Un nuovo report di S&P Global Ratings evidenzia pesanti rischi all’orizzonte per gli istituti bancari che non investiranno nell’innovazione digitale con un’adeguata strategia.

Il mondo delle banche, anche in Italia, è di fronte a un bivio. Una parte degli istituti ha saputo adattarsi alle evoluzioni tecnologiche e di mercato o almeno sta provando a trasformarsi per non dover temere le concorrenza delle nuove banche digitali e dei servizi fintech. Altre, invece, restano ancora molto legate al vecchio modo di lavorare e alle offerte tradizionali. E questo per loro è un grande rischio. Un recente report di S&P Global Ratings (titolato "Tech Disruption In Retail Banking: Italian Banks Not Adapting To The Digital World Quickly Will Be Left Behind”) prevede un rischio di progressiva emarginalizzazione per le banche che non sapranno adottare strategie di trasformazione digitale, con il supporto dei necessari investimenti. In realtà la maggior parte delle realtà nel settore bancario italiane si sta adattando al mondo digitale, puntando a migliorare i processi interni, a proporre ai clienti soluzioni multicanale e a collaborare con le fintech. Su scala mondiale già lo scorso anno uno studio di Capgemini (condotto

con interviste di profondità su una sessantina di dirigenti bancari di 23 Paesi) aveva evidenziato un predominante atteggiamento di apertura delle banche verso le fintech: il 70% degli intervistati si era detto propenso ad avviare collaborazioni per creare nuovi servizi e per distribuire quelli esistenti attraverso nuovi canali. E collaborare con le fintech significherà anche accettare di condividere e integrare dati con le loro piattaforme, secondo quanto previsto dalla direttiva PSD2 (Payment Services Directive 2) attraverso il modello Open Banking. In Italia, tuttavia, il percorso di apertura alle fintech e più in generale quello di digitalizzazione potrebbe essere più lungo che altrove. Vero è che la disponibilità di nuove tecnologie per i clienti italiani continua e che l’adeguamento alla PSD2 probabilmente favorirà la trasparenza e l’ingresso di nuovi operatori sul mercato. Il forte attaccamento verso i fornitori di servizi finanziari tradizionali e un certo conservatorismo dei clienti italiani nell’approcciare nuovi servizi finanziari rappresentano due ostacoli all’adozione di massa dell’Open Banking, spiega S&P Global Ratings. Inoltre c’è un altro problema da considerare: a tendere, alcuni prodotti bancari “core” diventeranno sostanzialmente delle commodity, dunque non rappresenteranno un valore aggiunto spendibile per attrarre e conservare clienti. Cambiare sarà un obbligo, più che una scelta. S&P Global Ratings ritiene dunque che nei prossimi anni emergerà una chiara biforcazione tra le realtà capaci di crescere in modo significativo e quelle ancorate al passato. Le grandi banche, dotate di maggiori economie di scala, potranno sfruttare la solida capacità di investimento per strategie di innovazione digitale, miglioramento dell’efficienza e diversificazione dei prodotti. Allo stesso tempo alcune realtà più piccole,

L’ESPERIENZA DEL CLIENTE FARÀ LA DIFFERENZA

Vincerà chi punta sull’esperienza, o sulla experience che dir si voglia. Soltanto le banche capaci di mettere il cliente al centro delle proprie offerte di prodotti e servizio potranno garantirsi fidelizzazione in uno scenario sempre più competitivo. Eppure tutte, chi più e chi meno, nei loro slogan e nelle loro campagne di marketing affermano di farlo, ma è davvero così? In Italia pare proprio di poter affermare che no, non lo è. Dall'annuale studio di Bain & Company sulle tendenze del retail banking visti dalla prospettiva dei clienti (130mila quelli intervistati in 22 Paesi del mondo) è emerso che nel nostro Paese i progressi sono molto lenti. Dal 2016 al 2019 il Net Promoter Score, un indice che misura la qualità della relazione tra azienda e cliente con valori compresi -100 e +100, per le banche italiane è migliorato solo di nove punti. In parole povere, in tre anni è cambiato ben poco nella complessiva capacità delle banche di rendere i propri clienti più soddisfatti e fedeli. Di contro, è aumentata la distanza tra il Net Promoter Score delle banche che lo studio etichetta come “leader” della buona esperienza del cliente e quelle definite “follower”: oltre cinquanta punti. “Nell’era di Amazon, Google e Facebook, la leadership anche per le banche potrà essere tale solo se sarà una leadership di esperienza e non di prodotto”, spiega Luigi Esposito, partner di Bain & Company. Come dovrebbe essere, allora, una buona customer experience? Innanzitutto, dovrebbe puntare sugli strumenti digitali per le operazioni più semplici, come la richiesta di una carta di credito o l’apertura conto, e riservare le interazioni umane ai prodotti bancari maggiormente complessi, come l’apertura di mutui e le consulenze sugli investimenti. In secondo luogo, spiega Bain & Company, dovrebbe essere ottimizzata per l’interazione attraverso i dispositivi mobili, ancor prima che attraverso il Pc. Bisognerà, infine accettare la sfida di un mercato più aperto, visto che i clienti (in particolare gli under-35) si dicono tendenzialmente disponibili ad acquistare prodotti finanziari da aziende fintech.

con modelli di business più agili e costi ridotti, potrebbero riuscire ad adattarsi rapidamente all’evoluzione delle preferenze dei clienti e a soddisfare esigenze specifiche, riempiendo nuove nicchie di mercato. Chi rischia di più, probabilmente, sono le realtà collocate a metà strada. “Dal nostro punto di vista”, spiega l’analista Mirko Sanna, “un certo numero di altri istituti, ovvero le banche di dimensioni medio-piccole più deboli e alle prese con il loro passato, saranno più esposte al rischio di una disruption perché potrebbero non riuscire a gestire la crescente pressione competitiva inevitabilmente creata dalla digitalizzazione”.

Valentina Bernocco

This article is from: