12 minute read
ITALIA DIGITALE
REGIONI, GLI INTERMEDIARI DELLA DIGITALIZZAZIONE
Foto di StartupStockPhotos da Pixabay
Gli enti locali non possono essere lasciati soli nel percorso di trasformazione digitale dei servizi al cittadino. Serve un mediatore, che li aiuti a restare al passo con la PA centrale.
Negli ultimi anni c’è stato un importante cambiamento di approccio nell’attuazione della trasformazione digitale in Italia. Si è passati dal definire progettualità di sviluppo con finanziamenti assegnati ai territori su larga scala in assenza di un quadro univoco di indirizzo dal livello centrale (la prima fase e-gov, con i finanziamenti soprattutto orientati a progetti di portali Web e di servizi online), per arrivare poi alla definizione di linee guida e framework di riferimento entro cui le amministrazioni potevano muoversi (il Piano Triennale e le Linee Guida del Team Digitale e di AgID ne sono l’esempio più efficace) e infine a realizzare vere e proprie piattaforme uniche nazionali che erogano servizi dal livello centrale (come Anpr, Spid, pagoPA, app IO e Pdnd, la Piattaforma Digitale Nazionale Dati) e con cui i diversi sistemi informativi degli enti devono interfacciarsi. Si è così venuta a creare la prima vera discontinuità nel percorso di digitalizzazione del Paese, uniformando finalmente in modo netto e enti locali. Ci sarà dunque ancora molto da lavorare, seguendo il percorso delineato dalle recenti linee guida per il Punto di Accesso Telematico, e molto da collaborare fra territori ed enti centrali per poter arrivare a una uniformazione dei frontend digitali della Pubblica Amministrazione che tenga conto dei sistemi esistenti e delle piattaforme uniche di livello nazionale. Il paradigma mobile-first aiuta sicuramente nel cambiare approccio e nel portare le semplificazioni estreme che i cittadini e le imprese giustamente esigono, ma ci sono ancora molte azioni da fare su procedimenti amministrativi, la modulistica nazionale, regionale e locale e sui relativi processi di digitalizzazione ed automazione, prima di poter inserire il 100% dei servizi digitali di un ente sulla app IO. Inoltre, dialogare con queste piattaforme nazionali richiede sviluppi negli applicativi gestionali degli enti: queste piattaforme evolvono con lo stato della tecnologia e con le trasformazioni normative nazionali ed europee, per cui occorre un lavoro di allineamento perio-
deciso per l’intero livello nazionale alcuni asset di base e i relativi servizi ai cittadini. Contemporaneamente, cercando di aggiungere al punto di vista di livello nazionale anche quello dei territori, occorre tenere in considerazione anche altri aspetti.
I passi ancora da compiere
Il framework di servizi abilitati da Spid, pagoPA e app IO ancora non copre il 100% dei servizi pubblici digitali degli
Gianluca Vannuccini
dico fra gli sviluppatori di queste piattaforme nazionali, gli enti dei territori e i relativi fornitori. È quindi sempre più importante entrare in una logica di collaborazione e comunicazione bidirezionale fra pagoPA Spa e gli enti, sia nell’ordinario (per aprire canali sempre più rapidi di dialogo in caso di problematiche lato cittadini) sia nella pianificazione (per poter programmare per tempo gli sviluppi sui gestionali in modo da essere rispondenti alle nuove release delle piattaforme nazionali). Infine, last but not least, tutto questo scenario, dinamico, complesso, ma molto innovativo e orientato alla uniformazione dei front-end e dei servizi della PA si scontra con una situazione dei territori in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, i piccoli Comuni sono soggetti a forti vendor lock-in con i fornitori di software. È chiaro che se sono questi medesimi fornitori a dialogare con le piattaforme nazionali, e se non c’è un presidio da parte degli enti nei processi di interconnessione con queste piattaforme, allora il vendor lock-in sarà sempre più vincolante per gli enti. È altrettanto vero che i Comuni e gli organismi territoriali, in costante carenza di organico, sono sommersi da una moltitudine di problematiche quotidiane su centinaia di servizi pubblici (digitali o meno) e che comprendere le loro esigenze e processi per una completa digitalizzazione è un’attività da svolgersi in modo costante e permanente. Un’attività che richiede conoscenza dei contesti dei territori e che idealmente sarebbe bene fosse presidiata da colleghi che lavorano in Pubbliche Amministrazioni, piuttosto che da fornitori o consulenti di fornitori.
Il ruolo delle Regioni
Ecco dunque definirsi, anche in vista della programmazione per il 2021-2027, del Prnn e delle nuove sfide che ci aspettano, per le Regioni un ruolo di intermediari consolidati verso i territori, fondamentalmente su tre ambiti. In primo luogo, a supporto dell’attuazione delle politiche di digitalizzazione del Paese, con presidio costante delle esigenze anche del più piccolo dei Comuni. In secondo luogo, nella realizzazione di piattaforme di intermediazione che traghettino gli enti locali verso le piattaforme nazionali, senza renderli dipendenti totalmente dal prodotto del vendor di turno, il cui cambio verso un altro fornitore richiederebbe uno sforzo che il singolo Comune non è attrezzato per gestire. Infine, come propulsori di progettualità allo stato dell’arte che portino nei territori e anche nei Comuni più piccoli le innovazioni introdotte dal livello europeo e nazionale, innovazioni che senza una intermediazione pubblica “vicina” al territorio il piccolo Comune avrebbe ben poche chance di conoscere. Ma come si può concretizzare il ruolo di intermediari delle Regioni sui diversi ambiti del Pnrr? Per quanto riguarda la banda ultralarga, come intermediari fra i Comuni, il Ministero dello Sviluppo Economico e Infratel nell’assicurare che ogni territorio sia coperto e previsto nelle mappature in corso di definizione da parte degli enti centrali. Sugli sviluppi legati al 5G e alle nuove tecnologie wireless, nel fare da stimolo con i territori per produrre progettualità, applicazioni, e sinergie con Internet of Things e altre reti wireless. Sulla migrazione al cloud, nel valorizzare i data center presenti sulle varie Regioni come satelliti interconnessi al Polo Strategico Nazionale, costituendo una rete nazionale federata di data center pubblici di alta qualità e massima sicurezza, secondo indicazioni e standard europei e nazionali. Sui servizi online come piattaforme condivise e multi-ente, in sinergia costante con app IO, valorizzando le piattaforme promosse finora, sviluppandone di nuove, implementando semplificazioni sempre più efficaci e usando nuove metodologie di snellimento procedurale. Quest’ultimo sarà uno dei prossimi fronti su cui sarà indispensabile attuare un’innovazione significativa, trasformando il concetto di modulistica orientata al cartaceo verso una interoperabilità sempre più automatizzata e basata su dati strutturati tra sistemi nazionali, regionali e locali di erogazione di servizi online. Sulla cybersecurity e la protezione dei dati personali, il ruolo di intermediario delle Regioni può essere quello di diffusori nei territori di indicazioni, buone pratiche e linee guida promosse dalle Agenzie nazionali, ma anche quello di erogatori di servizi di assessment, informazione e formazione a supporto di tutti i Comuni e gli enti regionali, creando comunità e reti di colleghi in costante aggiornamento. Sui dati, l’intermediazione può assumere la forma di piattaforme data lake regionali connesse al Pdnd in modo bidirezionale e inoltre le Regioni possono diffondere nuovi modelli di cooperazione applicativa per i piccoli Comuni. Infine, possono essere dei propulsori per le competenze digitali. La molteplicità degli ambiti di intervento fa comprendere la portata della sfida a cui la Pubblica Amministrazione, in tutti i suoi livelli, è chiamata. Le Regioni possono svolgere un ruolo baricentrico, di cerniera tra le esigenze dei territori più fragili e periferici e lo stato centrale. Mettere i territori, tutti, nelle condizioni di poter competere allo stesso livello con le sfide globali è un compito ambizioso, che dovrà guidare l’azione dei governi regionali.
Gianluca Vannuccini, direttore, direzione Sistemi Informativi, Infrastrutture Tecnologiche e Innovazione della Regione Toscana
(Intervento tratto da “Digital Italy 2020. Execution: l’innovazione digitale del Paese dai piani ai fatti”, The Innovation Group, ed. Maggioli)
LA PA PUÒ RINASCERE CON L’INTELLIGENZA
ARTIFICIALE
Un approccio “umano-centrico”, abbinato alla tecnologia, potrebbe trasformare i rapporti fra cittadini e Pubblica Amministrazione.
Foto di Tara Winstead da Pexels
La pandemia ha fatto emergere con chiarezza l’importanza del tema della qualità del sistema PA e della sua efficacia. L’attenzione sui beni essenziali, come la salute, le relazioni sociali o gli spazi comuni, ha portato a una rivalutazione delle istituzioni pubbliche quali garanti e principali soggetti detentori della possibilità di miglioramento di tali beni. Dopo anni in cui la Pubblica Amministrazione era rimasta al margine dell’agenda politica e ignorata da parte dell’opinione pubblica, ora emerge in modo chiaro che è giunto un tempo in cui si può e, anzi, si deve tornare a investire nella PA. Le opportunità che gli strumenti digitali offrono non vanno sprecate, anzi rappresentano una risorsa fondamentale. Più ancora della tecnologia contano però le persone, le quali sono la principale leva del successo o insuccesso di questa impresa. L’impiegato che meccanicamente respinge il cittadino poiché “il modulo non è compilato a dovere”, perché “la situazione presentata non rientra tra i casi previsti dalla circolare”, perché “nel nostro procedimento questo imprevirocrazia cieca e disumana, e lo raccontano bene film come Io, Daniel Blake di Ken Loach e Le invisibili di LouisJulien Petit. Questa narrazione della PA ha inoltre generato nella società civile una spasmodica ricerca di trovare la “falla” al sistema per poter avanzare ricorsi giuridico-formali a ogni livello. Nella mente di qualche esperto di Ict c’è tuttavia l’idea che si possa arrivare ad avere macchine che possano prendere tutte le decisioni possibili, relegando sempre in via residuale la grande ed esclusiva prerogativa della responsabilità personale della quale solo l’essere umano è dotato, ma che tanta fatica richiede per essere utilizzata. Anche se lo abbiamo pensato non è difficile immaginare come una applicazione incentrata esclusivamente su freddi algoritmi e rigide norme procedurali prefiguri scenari da incubo. Per dirla ancora con i film, pensiamo al lontano ma visionario 2001, odissea nello spazio di Stanley Kubrick o alla più recente serie dei film Matrix di Lana e Lilly Wachowski. Il rischio relativo alla Pubblica Amministrazione è che si generi un mix disa-
sto non è processabile” non dà forse il tipo di risposte che meno apprezziamo ma che rappresentano bene l’attuazione pratica di un modo di regole che escluda lo spazio discrezionale? E in fondo, non è la stessa deviazione “fanatica” di una digitalizzazione che prenda le decisioni al nostro posto?
L’umanità della tecnologia
La segreta speranza che esista un “algoritmo”, una “procedura” che elimini la responsabilità, la professionalità e l’innovazione è però il preludio di una bu-
Michele Bertola
stroso tra i limiti potenziali di un’applicazione spinta della digitalizzazione e i limiti storico-culturali insiti nella PA stessa. Questo è proprio ciò che dobbiamo evitare! Il “mito” che tutto possa essere definito da norme, che possa esserci l’assenza assoluta di soggettività e che venga esclusa ogni forma di discrezionalità ci ha portato ad una ipertrofia delle norme, dei controlli, dei ricorsi. Questo assioma è probabilmente anche all’origine della prevalenza della professionalità “giuridica” presente tra i funzionari della PA a scapito di altre specializzazioni che forse aiuterebbero ad avere attenzione alle diverse dimensioni alla persona, all’originalità e specificità delle singole situazioni. È innegabile che sia necessario l’innesto di robuste e numerose professionalità tecniche nel campo della digitalizzazione, ma occorre evitare che tale operazione generi un mostro peggiore dell’attuale. Le enormi opportunità che la tecnologia mette a disposizione non devono escludere ma anzi devono incentivare la ricerca della personalizzazione, della responsabilità, della relazione, della prossimità e della fiducia. Le potenzialità della digitalizzazione devono essere viste in quest’ottica perché solo così la “sfida etica” che sottostà alla introduzione della Intelligenza Artificiale nella PA può essere vinta.
Valutare gli impatti con l’AI
Un primo grande limite intrinseco nella PA è quello di non valutare gli “impatti” del proprio agire, né in fase di progettazione né in fase di verifica o rendicontazione. Il limite non è tecnico ma culturale. Quando viene attuato un intervento, un’opera pubblica, un servizio, tutta l’attenzione si concentra sulla fase di progettazione, poi sul rispetto delle procedure amministrative. A volte, addirittura, il successo o il risultato raggiunto lo si identifica con l’approvazione dell’atto amministrativo. Nel migliore dei casi si arriva a verificare se costi e tempi preventivati siano stati rispettati, mai invece si prova a misurare gli impatti dell’azione intrapresa. Anche il percorso del Pnrr mostra gli stessi limiti: diversi osservatori (ad esempio Asvis) hanno fatto notare che nell’attuale formulazione è trascurato il tema della individuazione e misurazione degli impatti del piano, contrariamente alle indicazioni dell’Europa. Lo stesso libro bianco dell’Agenzia per l’Italia Digitale richiama la necessità di misurare l’impatto della tecnologia nell’esistenza degli individui e delle organizzazioni, nelle sue “diverse sfaccettature, economiche e tecniche, ma anche sociali, culturali, psicologiche e antropologiche”. Con le opportunità derivanti dalla digitalizzazione, dall’interoperabilità dei dati e dalle applicazioni di intelligenza artificiale si possono ipotizzare alcune opportunità. In fase di progettazione di un’opera pubblica quanto potrebbero essere utili infatti, simulazioni attivabili con un’implementazione della AI finalizzata a prefigurare gli impatti. Il parco pubblico, la strada, il campo sportivo, la scuola, la pubblica illuminazione sono spesso progettati solo riferendosi in maniera precisa agli aspetti di tipo architettonico o ingegneristico senza mettere altrettanta attenzione all’impatto che questa opera genererà sulle relazioni, sull’ambiente, sulle interazioni con quanto già esistente nel territorio. Nei casi più innovativi viene messa in campo almeno un’interazione di tipo partecipativo con i cittadini e i portatori di interesse, ma anche qui senza un vero utilizzo di tutti i dati esistenti e rinvenibili per guidare un confronto reale sugli impatti. In questo modo, anche la partecipazione diventa un confronto ideologico o di misurazione del potere di influenza delle realtà locali. Al contrario, un confronto sulla simulazione degli impatti sarebbe più proficuo. Questo approccio permetterebbe anche di fare tesoro delle esperienze per modificare la programmazione ed evitare di ripetere errori. L’attenzione agli impatti aiuterebbe, inoltre, a far comprendere meglio i disagi che alcuni interventi arrecano in fase di costruzione.
Un digitale che crea “bellezza”
L’esperienza della PA locale in questa fase di emergenza è stata determinante per affrontare sfide nuove in uno scenario emergenziale. Nella fase di realizzazione del Next Generation EU potrà e dovrà far leva sulle grandi opportunità che la tecnologia mette a disposizione per riappropriarsi appieno di un ruolo che per troppo tempo è stato dimenticato. Ciò però avverrà se le persone saranno poste al centro. Relazioni, prossimità, fiducia dovranno necessariamente essere i criteri guida di questo processo. Credo che il connubio tra intelligenza artificiale e PA, se ben guidato, potrà dare vita a un sistema virtuoso in grado di creare non solo economie di scala ma anche e soprattutto una nuova società del benessere inteso nel senso più ampio. Tutto ciò che sapremo creare per semplificare la vita, per togliere adempimenti, per far risparmiare tempo inutile ai cittadini andrà reinvestito. Ma dovrà essere reinvestito in “bellezza”, ciò di cui abbiamo bisogno. Con le conoscenze fornite dalla digitalizzazione e con le persone che costituiscono la PA faremo, teatri, musei, parchi, piste ciclabili... Insomma, bellezza.
Michele Bertola, direttore generale del Comune di Bergamo e presidente di Andigel
(Intervento tratto da “Digital Italy 2020. Execution: l’innovazione digitale del Paese dai piani ai fatti”, The Innovation Group, ed. Maggioli)