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EXECUTIVE ANALYSIS

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L’OT GUIDA IL PERCORSO DIGITALE DELLA MANIFATTURA

Nel mondo del produzione industriale la trasformazione 4.0 è avviata da tempo, ma molto lontana dal suo traguardo. Le tecnologie operative hanno un ruolo chiave.

Sintetizzando l’opera dei principali studiosi della materia, potremmo dire che la trasformazione digitale applicata al mondo manifatturiero riguarda l’integrazione di tecnologie avanzate all’interno di processi e prodotti, allo scopo di migliorare l’efficienza e la qualità della produzione, tenendo sotto controllo o riducendo i costi. Se le aspettative dei clienti e la crescente pressione competitiva sono i motori dell’innovazione a lungo termine, altre dinamiche hanno agito nel breve periodo: dalle chiusure della pandemia allo carenza di dei componenti, per arrivare all’aumento dei costi energetici. Questi fatti hanno evidenziato come la disponibilità di dati in tempo reale, l’automazione di attività a basso valore e la capacità di pianificare flussi o interventi siano fattori chiave per i responsabili della produzione chiamati a rispettare gli obiettivi loro assegnati. Storicamente, il mondo della produzione ha sempre seguito un proprio percorso di gestione e sviluppo, oggi presieduto dalle cosiddette figure OT (Operational Technology), alle quali fanno capo responsabilità che spaziano dalla pianificazione e continuità operativa all’implementazione e al controllo della robotica negli impianti. L’adozione di tecnologia digitale si è concentrata inevitabilmente sulle macchine, già a partire dal tradizionale controllo numerico, per arrivare oggi a quella che, nell’ambito dell’evoluzione verso la logica dell’Industria 4.0, si chiama fabbrica connessa. Su un altro fronte (fino a poco tempo fa completamente distinto) si è collocata l’Information Technology, con i propri sviluppi legati alle progressive esigenze di evoluzione di componenti e processi gestionali. I due mondi hanno viaggiato su binari separati per diverso tempo, ma le evoluzioni più recenti, come il cloud, i Big Data analytics, il wireless e l’intelligenza artificiale, hanno creato un terreno di sviluppo comune. Un terreno che però in buona parte dev’essere ancora esplorato. Sulla percezione dell’avanzamento della digitalizzazione nel campo della produzione industriale, The Innovation Group, in collaborazione con Technopolis, ha realizzato una ricerca qualitativa che ha coinvolto oltre quindici aziende manifatturiere di primo piano in Italia. Abiamo scelto di acquisire il punto di vista di executive e business manager del mondo OT.

Efficienza in primo piano

Le figure di direttori della produzione, Coo (chief operating officer) e assimilabili coinvolti nella ricerca interpretano il peso e l’apporto della digitalizzazione innanzitutto in funzione dei propri obiettivi di ottimizzazione dei processi, riassumibili nel concetto di Overall Equipment Effectiveness (Oee). Si tratta di un indice standard che misura le performance degli stabilimenti, partendo dalle macchine e comparando le prestazioni ottimali con quelle teoricamente massime. È chiaro, pertanto, che tutte le innovazioni spinte e introdotte dall’OT puntano in prima battuta a massimizzare l’efficienza produttiva dei macchinari, riducendo nella pratica e cercando di prevenire i fermi, presidiando la continuità operativa e garantendo rapidità di intervento in caso di anomalie. Gli effetti della progressiva digitalizzazione si traducono nella moltiplicazione dei dati generati. Nei casi più virtuosi, il loro indirizzamento verso il cloud e gli analytics genera azioni mirate soprattutto alla manutenzione predittiva degli impianti, all’individuazione di punti di rottura (non rintracciabili facilmente con il solo intervento umano) o a correttivi di pianificazione. Nelle situazioni più ordinarie, i dati restano perlopiù confinati nel mondo della produzione, e da qui vengono manipolati e utilizzati per necessità operative e organizzative.

Le frontiere dell'innovazione

Negli anni più recenti, una serie di sviluppi tecnologici ha progressivamente trovato spazio negli ambienti di produzione, supportando responsabili e operatori tanto nelle attività di routine quanto in un processo decisionale divenuto via via sempre più rapido, in qualche caso prossimo al concetto di tempo reale. Due tecnologie si staccano dal pacchetto di strumenti innovativi oggi a disposizione: il machine learning e l’IoT industriale (Industriale Internet of Things). Si tratta di categorie affini e molto spesso complementari. I macchinari industriali, i robot e anche oggetti di uso comune progressivamente sono stati dotati di sensoristica, inizialmente con lo scopo di segnalare anomalie o altre tipologie di fenomeni. La capacità di questi dispositivi di generare dati è stata sfruttata per migliorare l’efficienza produttiva, individuando elementi di criticità o aiutando a prevenire blocchi derivati da guasti di qualche componente dell’impianto. Quello che ancora si rileva in diverse realtà è la difficoltà a condividere questi dati con figure o aree aziendali che potrebbero far compiere un salto di qualità all’attività di stabilimento, sia in termini di pianificazione e forecasting della produzione, sia in termini di capacità di prevedere i guasti ed evitarli con interventi mirati. I volumi si sono moltiplicati nel tempo, i data scientist non sempre sono presenti o non sono dedicati alla produzione e le capacità analitiche all’interno dei team OT non sono particolarmente diffuse. Gli eventi congiunturali più recenti, dalla pandemia agli aumenti dei costi energetici, dallo shortage di componenti o materie prime alla crisi russo-ucraina, hanno acuito la necessità di poter disporre di strumenti e capacità in grado di fornire forecast divenuti estremamente complessi. La reattività ai rapidi cambi di scenario è un elemento critico e qui entrano in gioco sistemi di tracciatura o di visibilità complessiva sulla catena di approvvigionamento, che non sono sono il diretto il controllo del manufacturing, ma hanno un impatto misurabile anche su performance e tempi di produzione.

Il rapporto “bipolare” con l’IT

Se n’è già fatto cenno, ma certamente la digitalizzazione dei processi industriali richiede un intervento diretto dei dipartimenti IT delle aziende e funziona meglio quando si crea una collaborazione costruttiva con l’OT. Veniamo da trascorsi nei quali le reti industriali e quelle “di ufficio” hanno viaggiato in modo indipendente e separato. Le metodologie usate sono state (e sono) differenti, perché diverse sono le rispettiva preoccupazioni. L’OT persegue soprattutto la continuità operativa e la sicurezza di persone e macchine, mentre l’IT ricerca la centralizzazione dei dati e l’integrità dei sistemi. Formazione e linguaggio sono scogli che hanno spesso impedito di instaurare un dialogo efficace. Stanno cambiando le cose con l’avvento dello smart manufacturing, di tecnologie come le piattaforme Big Data e l’IoT, con la necessità di lavorare in tempo reale su dati e analisi ben definite? Dal nostro campione emerge un quadro che potremmo definire “bipolare”. In alcune realtà, se non di convergenza in senso stretto, si può parlare comunque di proficua collaborazione. Questa si traduce in un dialogo costante, nell’organizzazione di team sui progetti che comprendono figure appartenenti a entrambi i dipartimenti, nella definizione di processi strutturati nei quali si parte dall’esposizione di un’esigenza, per poi passare per la costruzione di proposte allineate ai requisiti iniziali e stabilire congiuntamente quale percorso scegliere. Al lato opposto si collocano aziende nelle quali permane una gestione piuttosto compartimentata delle rispettive attività. I manager della produzione e della supply chain imputano all’IT l’incapacità di comprendere con precisione i loro bisogni e di essere piuttosto lento nei tempi di risposta. Si aggiunge, in qualche caso, l’accusa di voler proporre una soluzione probabilmente molto efficace e all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, ma non adatta a risolvere i problemi che assillano l’operatività della produzione.

Roberto Bonino

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’EFFICIENZA

Nella nostra declinazione del concetto di efficienza operativa, mettiamo comunque al centro l’essere umano. Anche molta tecnologia è stata adottata per migliorare le condizioni di lavoro, dal punto di vista sia della sicurezza sia della riduzione degli errori. Produciamo treni e, per quanto sembri paradossale, utilizziamo una logica quasi artigianale. La continuità del processo di produzione è basilare, ma sempre correlata all’operato delle persone e alla loro capacità di imparare e comunicare velocemente. Roberto Balbis, industrial director, e Matteo Bonamico, responsabile testing engineering di Alstom Ferroviaria

La digitalizzazione interviene in molti aspetti dell’operatività industriale, in termini di miglioramento continuo, monitoraggio delle prestazioni e visualizzazione di cruscotti sulle linee. Abbiamo diverse applicazioni anche molto innovative, che fanno leva sull’intelligenza artificiale per intervenire in modo predittivo sui nostri impianti, mentre la realtà aumentata serve per valutare in tempo reale cambiamenti sulle linee o controlli di qualità. Enrico Giaquinto, chief industrial operations officer di Angelini

Un punto di svolta per noi è arrivato con l’introduzione del Mes (Manufacturing Execution System) nei nostri stabilimenti. Ora riusciamo a individuare tutte le opportunità di efficientamento che prima non si potevano a evidenziare. In taluni processi, inoltre, quali l’assemblaggio dei seggiolini di sicurezza per le autovetture, abbiamo potuto efficientare ulteriormente gli aspetti di tracciabilità dei prodotti. Roberto Bresciano, direttore industriale di Artsana

Negli ultimi anni abbiamo lanciato un programma che abbiamo battezzato Cementir 4.0. Lo scopo è integrare nell’innovazione tutti i processi produttivi che ruotano intorno al cemento, ma anche i servizi di manutenzione, la logistica interna ed esterna agli impianti. Così è stato possibile individuare le aree dove intervenire con tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale sui macchinari o la geolocalizzazione dei mezzi per lo spostamento dei materiali interni di una fabbrica. Paolo Zugaro, group Coo di Cementir

Nella nostra azienda il driver principale è la business continuity e questo non è un argomento che possa essere trattato separatamente. Dentro il concetto si integrano la continuità del processo di produzione, la riduzione degli scarti e la sicurezza del luogo di lavoro. Il contributo delle tecnologie digitali è rilevante soprattutto nella configurazione delle macchine e nella riduzione degli errori. Antonio Magnelli, head of global manufacturing division di Gruppo Chiesi

I dipartimenti IT e OT di Conserve Italia condividono lo stesso hub e non è un caso, tant’è vero che gli investimenti tecnologici per le esigenze di Operational Technology sono in buona misura definiti, concordati e gestiti dal IT. In questa fase vogliamo caratterizzare meglio questa scelta, per cui stiamo creando un team specializzato in soluzioni di Industria 4.0 e alcune persone dell’IT faranno parte di questa nuova squadra, a disposizione di tutte le fabbriche: vogliamo che possano comprendere meglio le problematiche da risolvere. Purtroppo, in questo momento la cybersecurity sta rallentando questo processo. Enrico Parisini, direttore della produzione di Conserve Italia

In questa fase siamo focalizzati sul potenziamento dei sistemi Mom e Mes, quindi sulla connessione diretta tra macchine e sulla capacità di disporre di informazioni fruibili e immediate per metterci nelle condizioni di poter decidere in real time. Ma il digitale serve anche per migliorare le modalità di passaggio delle informazioni attraverso i processi e una continuità che si estenda dal design fino alla realizzazione dei prodotti. Mattia Rinaldis, executive vice president manufacturing di Danieli

Negli ultimi anni abbiamo lavorato molto sulla digitalizzazione dello shop floor, per avere visibilità e tracciabilità end-toend dei processi industriali e della qualità del prodotto. A complemento, però, abbiamo introdotto strumenti per la gestione della skill force matrix, in pratica un digital twin della forza lavoro, che ci permette di avere un quadro preciso delle competenze delle nostre risorse in base alle posizioni occupate e progressivamente, grazie a logiche di machine learning, occupabili. Questo permette di assicurare che ogni persona sia nella posi-

zione giusta e abbia le giuste competenze per migliorare l'efficienza complessiva di processo e garantire qualità premium ai nostri consumatori. Nicola Serafin, Cto & Coo di De’ Longhi Group

Possiamo contare su diverse applicazioni di Industrial IoT, ma sappiamo che la vera differenza deriva dalla capacità di gestione. La fase preparatoria è certamente molto impegnativa, ma riusciamo a ottenere risultati importanti. Oltre a far sì che sia il macchinario a comunicarci direttamente un eventuale fermo, possiamo monitorare costantemente l'andamento della produzione e verificare con luci di tipo semaforico se c'è qualche rallentamento. La capacità di analisi sui dati sarà il prossimo step. Marcello Casadei, head of manufacturing fabric care and Dish Care Europe di Electrolux

L’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale ha subìto una forte accelerazione da circa un anno a questa parte. Utilizzando aggregatori di dati presi da vari componenti sul campo, per esempio, monitoriamo le utilities e, in funzione dei piani produttivi, i sistemi regolano automaticamente i set point dei principali vettori energetici. Sono coinvolti i consumi di gas ed elettricità, che in questo momento stanno generando i maggiori problemi sia in termini di efficienza sia di costi. Paolo Cobianchi, direttore industriale di Granarolo

Siamo in una fase in cui diventa fondamentale seguire passo per passo tutta la catena del valore legata al cliente, dall'ordine alla consegna. Dal punto di vista interno, questo significa tenere sotto controllo il rapporto con i fornitori che devono consegnare i diversi componenti, verificare le capacità del plant in relazione alle risorse disponibili e alla logistica inbound e outbound, oltre a garantire la tracciabilità del prodotto in tempo reale. Sempre più la digitalizzazione dei processi deve avvenire in una logica integrata. Federico Baiocco, head of supply chain di Iveco Group

Siamo un’azienda verticalmente integrata e questo ci porta a gestire internamente tutti i processi industriali end-to-end, dal concept di un prodotto fino ai servizi post vendita. La tecnologia funge da spina dorsale nella nostra organizzazione e il digitale è presente in tutti gli anelli della catena: dal design ai prototipi, dalla produzione fino alla presentazione ai clienti per la vendita. In produzione, con il sistema Mes che abbiamo messo a punto, possiamo controllare in tempo reale il livello di funzionamento delle macchine, gli scarti di prodotto o le attività di avanzamento del semilavorato e gestire tempestivamente eventuali non conformità. Giorgio Striano, Coo di Luxottica

La manutenzione predittiva rappresenta un’applicazione concreta dell’Industrial IoT, ma nel nostro caso consideriamo molto interessanti le applicazioni relative alla realtà aumentata, perché consentono di accedere a sistemi collocati in remoto, con la possibilità di sviluppare percorsi formativi utilizzando un ambiente virtuale e sicuro, certamente più efficace e interattivo rispetto alla formazione eseguita attraverso tool tradizionali. Inoltre, la realtà aumentata ben si adatta a fornire istruzioni in tempo reale agli operatori mentre eseguono il loro lavoro, come ad esempio una checklist di collaudo. Stefano Cortiglioni, global head of manufacturing di Marelli

Nell'ambito del processo di trasformazione complessiva di Pirelli, abbiamo creato team cross-funzionali, costituiti da figure di Smart Manufacturing e Operations, della Ricerca e Sviluppo, e del Digital. Il lavoro di squadra parte dall'analisi del processo e dagli input di business, provenienti dall’OT, per arrivare - tramite la digitalizzazione, l’utilizzo efficace dei dati, e l’Artificial Intelligence -, a migliorare ulteriormente l’efficienza dei processi produttivi e la qualità del prodotto finito. Enrico Verdino, head of manufacturing, e Pierpaolo Tamma, chief digital officer di Pirelli

La digitalizzazione dei processi industriali nel settore farmaceutico risente in modo particolare dell'impianto normativo in continua evoluzione. Gli aspetti collegati si devono integrare con i desiderata tipicamente industriali e tutto va con piattaforme che siano il più possibile trasversali al mondo dell'azienda. Noi stiamo lavorando molto nella logica del lean manufacturing, con digitalizzazione delle linee per la raccolta dati, in modo tale da poter intervenire con la soluzione all'eventuale problema, sia esso di tipo manutentivo, organizzativo o tecnologico. Roberto Teruzzi, executive vice president group industrial operations di Recordati

In Sacmi Beverage le operations hanno come focus la soddisfazione del cliente e si occupano dei processi direttamente collegati alla realizzazione dei prodotti e dei servizi: pianificazione, acquisti, produzione, logistica, gestione installazioni, avviamento e collaudo in tutto il mondo e servizio tecnico di help desk. La tecnologia supporta la ricerca e l’utilizzazione del dato per ottimizzare la supply chain e la gestione delle attività in produzione e in cantiere, facendo sì che i componenti si trovino al posto giusto e nel momento giusto (nelle isole di montaggio e presso i clienti) e supportando le attività in remoto. Gianluca Lorentini, director of operations di Sacmi Beverage

DATA-DRIVEN BANKING, UN VIAGGIO ALLE PRIME TAPPE

Banche e istituzioni finanziarie stanno imparando a far leva sui dati per migliorare la relazione con il cliente e, soprattutto, per razionalizzare i propri processi interni.

Anche nel mondo finanziario, e particolarmente in quello bancario, il ruolo dei dati sta diventando centrale nella definizione dei processi decisionali e delle strategie di approccio al mercato. Viene da pensare, in prima battuta, ai cambiamenti nel comportamento dei clienti indotti dalla pandemia: dalle visite in filiale, in molti hanno spostato le proprie abitudini sulle interazioni digitali. Il presidio sul customer journey rappresenta certamente una delle sfide più importanti per chi opera nei servizi finanziari. Ma la possibilità di disporre di dati correttamente consolidati, organizzati e accessibili dalle funzioni di business è un’esigenza rilevante anche per affrontare temi come la compliance normativa, la multicanalità, la prevenzione dalle frodi e persino la sostenibilità ambientale. Banche e altre realtà del mondo finanziario dispongono oggi di una vasta quantità di dati interni ed esterni, da quelli di tipo transazionale a quelli demografici, dalle indicazioni comportamentali a quanto reperibile sui social media. L’affidabilità di quanto è disponibile resta un tema aperto, a cui si aggiunge una certa carenza di competenze nell’elaborazione e analisi dei dati. Alla base, dovrebbero esserci una data strategy costruita su una piattaforma unica, il presidio costante di un team guidato dai chief data officer (Cdo) e neutrale rispetto a IT e business, e infine processi di gestione e accesso ai dati ben strutturati. Su questi temi The Innovation Group ha realizzato una ricerca qualitativa costruita su una quindicina di banche e società di servizi finanziari fra i più importanti in Italia, concentrandosi sulle figure dei Cdo e dei responsabili delle data architecture.

Dati al servizio dell’innovazione

Volendo riassumere l’attuale stato dell’utilizzo dei dati a supporto dei processi più innovativi in corso, si possono delineare tre ambiti principali. Il primo riguarda il time-to-market, non tanto inteso come capacità di rilascio rapido e puntuale di nuovi prodotti o servizi in linea con le

aspettative del mercato, quanto come velocità di risposta alle richieste provenienti prima di tutto dall’interno degli stessi istituti finanziari e bancari, e secondariamente dalla clientela che si presenta davanti a uno sportello o a un computer con un problema specifico da risolvere nell’immediato. Sostanzialmente con parità di peso, c’è poi il tema del supporto all’allineamento normativo, che tocca numerosi aspetti operativi delle banche: dall’antiriciclaggio alla privacy, dalla direttiva Psd2 alla governance, molti sono i fronti di attenzione in cui dati supportano il lavoro dei responsabili preposti. Uno dei contesti più caldi è certamente quello della gestione del rischio, un ambito in cui diversi istituti si sono attrezzati per poter contenere le necessità di accantonamento, sfruttando soprattutto fonti esterne per ricavarne modelli comportamentali applicabili alle richieste di credito. Le considerazioni appena fatte ci portano verso il terzo grande filone di sviluppo perseguito negli ultimi anni. Stiamo parlando della definizione di una vera e propria data strategy, quasi sempre associata all’implementazione di una piattaforma a supporto della gestione dei flussi e non semplicemente con funzione di repository più o meno strutturato.

Il ruolo del chief data officer

I ruoli aziendali che ruotano intorno ai dati si sono definiti in modo più chiaro negli ultimi anni, proprio in relazione all’istituzione del Cdo, in precedenza non presente (e ancora non lo è ovunque, per ragioni specifiche di ciascuna società). A questa tipologia di manager spetta la responsabilità di definire le modalità di utilizzo e la governance sui dati, ormai in molti casi divenuta centralizzata. Il suo obiettivo primario è ricavare un valore correttamente percepito e sfruttato in azienda. L’ownership dei dati, tuttavia, è molto spesso lasciata alle funzioni di business che li generano. Le strutture che presiedono si occupano di “fornire” dati consistenti e affidabili a chi deve farne uso. Anche l’accesso è un compito che spetta ai responsabili dei dati, che sono chiamati a definire regole e privilegi. Il ruolo del Cdo è sicuramente distinto rispetto al dipartimento IT, che di fatto opera come fornitore primario dei dati e mette a disposizione la tecnologia necessaria per raccoglierli, archiviarli e consentirne l’accesso. In qualche caso, sono presenti anche figure di chief digital officer separate per ruolo e competenze, incaricate di estrarre valore dai dati e individuare nuove frontiere di utilizzo o casi d’uso che possano essere messi in produzione. In altri istituti le due funzioni sono compattate nella stessa persona.

Curare il customer journey

In termini pratici, ci sono diversi ambiti in cui l’uso dei dati dovrebbe già supportare oggi gli sviluppi per banche e società di servizi finanziari. Quello che appare più naturale riguarda l’evoluzione delle modalità di relazione/interazione con la clientela, in linea generale finalizzata alla creazione di nuovi servizi. Come abbiamo visto, questo compito spetta, laddove presenti, alle figure di chief digital officer, ma più in generale deriva da un lavoro di stretta collaborazione fra Cdo o ruoli assimilabili e team di marketing, commerciali e quant’altro. Il percorso è certamente avviato e in diverse realtà i dati stanno già supportando evoluzioni interessanti. Tuttavia, non si può fare a meno di registrare una certa latitanza della capacità di offrire una vista unificata, “a 360 gradi”, sulla clientela. Se i limiti legati alle normative sulla privacy impediscono eccessive personalizzazioni, tuttavia in presenza degli adeguati consensi e di strumenti di analisi e visualizzazione questa dovrebbe essere la base da cui partire per studiare evoluzioni dell’offerta, soprattutto in direzione dei servizi digitali. Sicuramente già radicato e metabolizzato è il percorso verso la multicanalità nel mondo bancario, tant’è, come noto, che alcuni istituti hanno creato entità specifiche dedicate al supporto delle evoluzioni verso il digitale e alla relativa proposta commerciale. Tuttavia, se l’offerta si è arricchita per seguire il progresso del mercato (e soprattutto dei consumatori), la situazione è ancora in divenire per quanto riguarda l’istituzione di un presidio strutturato del journey del cliente.

Un cambiamento sostenibile

Si sta assistendo a qualche sviluppo interessante, in compenso, sul fronte della sostenibilità, argomento prioritario ormai anche in ambito finanziario. Il tema Esg è entrato nelle banche in tempi piuttosto recenti e ha portato alla creazione di unità dedicate, impegnate a studiare la realtà operativa e le opportunità da cogliere (anche quelle collegate al Pnrr). Soprattutto nei grandi istituti sono stati già messi a punto piani strutturati e l’utilizzo dei dati interni è già finalizzato al raggiungimento di obiettivi su questo fronte. Nel campo della gestione dei dati o dell’impiego di strumenti di advanced analytics, infine, si pone il problema di come srfuttare le opportunità offerte dal cloud. La responsabilità decisionale su questo tema è tipicamente lasciata all’IT, nell’ambito di una strategia di migrazione più complessiva, a cui il mondo dei dati non può che allinearsi. La percezione dei vantaggi in termini di scalabilità e possibilità di gestire efficacemente grandi quantità di dati esiste, ma l’evoluzione delle banche verso il cloud sta avvenendo con molta cautela e nella necessità di trovare il giusto equilibrio con una componente legacy ancora preponderante. Anche fra i Cdo o responsabili della data governance, tuttavia, permane qualche remora sull’effettiva allocazione dei dati e sulla sicurezza del cloud.

Roberto Bonino

VELOCITÀ E CONSISTENZA, DUE ESIGENZE PRIMARIE

La velocità di risposta alle richieste di finanziamento è un elemento cruciale per noi, ma allo stesso tempo dobbiamo evitare di esporci a rischi di insolvenza. Per questo, poter lavorare con dati correttamente validati e strumenti analitici efficaci fa parte delle componenti strategiche e, non a caso, stiamo cercando di internalizzare il più possibile le competenze su questo fronte. Sergio Rossi, chief digital transformation officer di Agos Ducato

I processi che hanno maggior interesse a poter disporre di dati innovativi e in tempo reale sono quelli di tipo commerciale, sia per poter realizzare campagne mirate sia per poter sfruttare analisi e valorizzazioni derivanti dall’uso di strumenti di advanced analytics e machine learning. Si tratta per noi di un processo in divenire, ma l’obiettivo è individuare il journey del cliente all’interno dei nostri canali e definire il suo ecosistema. Andrea Bandera, responsabile ufficio gestione e protezione dei dati di Banca Popolare di Sondrio

Da oltre due anni utilizziamo un’infrastruttura tecnologica completamente sviluppata in cloud per supportare la raccolta e la gestione dei dati. Ora siamo pronti a lanciare nuovi prodotti che si affiancano a quelli “core” per le Pmi e sono rivolti a un nuovo target di clienti privati, a cui offriremo servizi a valore aggiunto completamente integrati. Davide Rossi, chief digital officer di Banca Progetto Abbiamo inserito il pilastro dei dati all’interno del nostro piano strategico di gruppo e lo decliniamo sui tre assi portanti della trasformazione, ovvero le persone, i processi e le tecnologie. Sulla parte di business si tratta di un tema fondamentale, come lo è la capacità delle persone di utilizzare correttamente e confrontare le informazioni, ma altrettanto sfidante è saper rappresentare i dati per conoscere i nostri clienti e migliorare la loro esperienza. Angelo Maria Milano, chief data officer di Banca Sella

Al nostro interno c’è una distinzione piuttosto chiara fra data owner, data manager e utenti responsabili. I primi appartengono al mondo del business, i secondi all’IT, mentre gli ultimi sono figure bancarie che si occupano delle applicazioni. Tutto viene presidiato da un governo che all’accessibilità associa adeguate misure di protezione. Claudio Mariani, head of enterprise architecture di Banco Bpm

Il nostro attuale piano progettuale ha messo al centro la necessità di spingere sulla digitalizzazione ed evolvere verso l’idea di banca data-driven. Il progetto, strutturato su un arco di tre anni, poggia sui pilastri della definizione di una data strategy, la governance e la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Questo riflette la crescita del nostro gruppo, fatta anche di acquisizioni, come quella recente di Carige. Giuseppe Maifredi, chief data officer di Bper La raccolta delle informazioni avviene secondo una logica multicanale, grazie alla differenziazione dei rapporti con il cliente, attraverso call center, canali digitali e filiali. Da questo deriva un patrimonio informativo che noi elaboriamo per creare dati strutturati partendo da fonti disomogenee. Il contributo dei nostri data heroes (esperti nell’analisi dei dati) si spinge alla generazione di insight utili per creare nuovi prodotti, sviluppare azioni in direzione, per esempio, della prevenzione dalle frodi, o migliorare processi al fine di generare servizi di qualità per i nostri clienti. Stefano Zoni, chief data & analytics officer di Credem

L’ambito principale di utilizzo dei dati concerne per noi l’offerta verso i clienti, nell'ottica del servizio e del time-tomarket. Queste sfide non riguardano solo la gestione immagazzinamento dei dati, ma più complessivamente il sistema informativo, poiché tutto l’apparato applicativo deve arrivare a un execution prossima al tempo reale, specialmente in ambiti come l’anticipazione dei bisogni della clientela o la gestione del credito. Alessandro Allini, responsabile data management di Crédit Agricole Italia

Nella nostra organizzazione coesistono funzioni che producono dati e altre che ne fruiscono, supportate dall’IT che mette a disposizione le soluzioni tecnologiche per facilitare l’estrazione di valore dalle informazioni. Il chief data officer assicura che il modello operativo

di data governance evolva verso la datadriven organisation, dove esistono ruoli identificati che sono garanti della qualità, della disponibilità e della gestione del ciclo di vita delle informazioni. In totale sinergia, il chief digital officer estrae valore e mette a terra idee per lo sviluppo di nuovi servizi alla clientela, utilizzando le tecniche di intelligenza artificiale. Chiara Pellistri, chief data officer & chief information security officer di Deutsche Bank

Il tema dei dati ha per noi una rilevanza fondamentale in almeno tre ambiti. Il primo riguarda la raccolta delle informazioni necessarie per proporre al cliente il prodotto migliore nel luogo e nel momento in cui si trova. Il secondo riguarda la prevenzione dalle frodi, un bisogno sempre più pressante e impegnativo. Il terzo copre l’assistenza ai clienti, con l’obiettivo di ottimizzare il lavoro degli operatori senza intaccare la customer experience. Andrea Coppini, responsabile divisione digital innovation & multichannel di Iccrea Banca

Il miglioramento delle relazioni con la clientela fa leva sulla conoscenza, per cui stiamo lavorando sulla creazione di una vista unificata “a 360 gradi”, che sia ricca, aggiornata e coerente su tutti i nostri canali, affinché poi le interazioni siano governabili in modo semplice. A monte, la collaborazione fra chi gestisce e chi possiede i dati passa per un processo di democratizzazione della fruizione e per la conseguente creazione di valore. Davide Corda, group senior director data strategy & transformation di Intesa Sanpaolo

Fare una reportistica al top management sui dati di business divisionali, rispettando doverosi requisiti di qualità e tempestività, rappresenta il nostro primo focus. Ma altrettanto importante è far fronte a una wave normativa sempre più incalzante, che comporta una costante riconciliazione con il mondo delle segnalazioni di vigilanza e con l’informativa finanziaria. Alessandro Bulfone, group chief data officer di Mediobanca

La collaborazione tra i Cio e i Cdo, senza dimenticare i direttori marketing, si è fatta nel corso del tempo sempre più importante. Ai primi compete la decisione sulle tecnologie e il framework abilitante la strategia di business, mentre i secondi si occupano di come integrare le informazioni e del modello dei dati. L’interazione fra le due funzioni resta un fattore chiave di accelerazione. Roberto Monachino, executive data leader nel banking & former chief data officer di Unicredit

UNA DATA STRATEGY AL SERVIZIO DI TUTTI

Per quanto la maggior parte delle organizzazioni sia ben consapevole delle opportunità offerte dai dati, esiste un divario piuttosto importante tra le aspirazioni aziendali di operare e prendere decisioni a partire proprio dalle informazioni a disposizione, e la reale capacità di estrarre valore dai dati e trasformali in un asset strategico a favore del business. Banche e istituzioni finanziarie non fanno eccezione, e stanno iniziando a far leva su dati necessariamente consistenti, credibili, condivisi fra le diverse aree e accessibili in ottica di decision-making non solo per presidiare il customer journey, ma anche per razionalizzare i processi interni. Ma da dove si parte per gettare basi solide per estrarre valore dai dati e impostare una data strategy vincente? In primo luogo, è utile identificare ruoli e regole alle quali le persone possono fare riferimento: gli owner del dato, chi lo amministra e chi lo analizza. Questa fase vede il coinvolgimento di molti attori e implica la rivisitazione di processi aziendali che corrono paralleli a quelli legati alla data strategy. È vitale che i dati siano fruibili da tutte le persone all’interno dell’organizzazione, e che tutti siano in grado di lavorare con i dati in maniera efficace ed efficiente. La tecnologia è in grado di semplificare e supportare sia le persone sia i flussi tra di esse, rendendo gestibile e amministrabile la governance dell’intero sistema su cui si basa la strategia del dato. La velocità con la quale i dati vengono creati e gestiti è un fattore cruciale. Basti pensare all’importanza di possedere dati aggiornati in reaI time quando si tratta di prendere decisioni di business. Ad oggi c’è una consapevolezza diversa sull’importanza dei dati e ci sono diverse realtà che stanno portando avanti evoluzioni interessanti, ma c’è ancora tanto da fare all’interno delle aziende nella gestione dei dati, nell’utilizzo di strumenti di advanced analytics e nella divulgazione dell’alfabetizzazione sui dati tra dipendenti. Eppure il futuro è dietro l’angolo, e non bisogna farsi trovare impreparati.

Stefano Nestani, country leader di Qlik Italia

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