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INDUSTRIA 4.0
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
ANNO ZERO PER LA SERVITIZATION ITALIANA
Molti i vantaggi del modello della servitizzazione, sia per chi lo propone sia per chi lo fruisce. Ma non mancano criticità.
Rincari dei costi energetici, ritardi nelle consegne: le imprese industriali italiane nella congiuntura attuale affrontano difficoltà non da poco. Dinamiche che, tra le altre cose, hanno l’effetto di rafforzare l’interesse per il digitale e per le tecnologie che abilitano il paradigma Industria 4.0. Se oggi le soluzioni più adottate in questo ambito sono il monitoraggio da remoto e la fabbrica connessa (cioè l’Industrial IoT), gli ambiti di innovazione sono innumerevoli e mostrano tutti prospettive di crescita importanti, come emerge dai risultati della “Smart Manufacturing Survey 2022” di The Innovation Group e ContactValue. La trasformazione digitale richiederebbe però anche lo sviluppo di nuovi modelli di business: uno su tutti, quello della servitizzazione, o servitization, ossia il passaggio da modelli basati sul concetto di prodotto a nuovi paradigmi che vedono il sistema prodotto-servizio come un tutt’uno. Nel campo industriale questo può significare la cessione di una macchina da parte di un fornitore a un cliente attravercome erogatore di servizi verso i clienti finali e alla stregua di un intermediario finanziario. Il cliente può usufruire della macchina pagando in base all’utilizzo e con un contratto di servizio pluriennale.
so un contratto di servizio. Si tratta di una transizione che ha difficoltà a farsi strada in Italia a causa del perdurare di approcci tradizionali. Ma è la naturale evoluzione per un comparto industriale che è sempre più connesso e collaborativo. Obiettivi come risparmio energetico, competitività, sostenibilità aziendale possono oggi essere raggiunti con un salto in avanti verso l’innovazione e la digitalizzazione. “La servitization è il processo con cui le aziende trasformano strategia, capacità, competenze e processi interni, con l’obiettivo di creare valore nel passaggio dalla vendita del prodotto alla vendita di un sistema “prodotto-servizio”, spiega Giuditta Pezzotta, professore associato dell’Università degli Studi di Bergamo. “In un’ottica relazionale con il cliente, il valore non si crea più solo all’atto di vendita ma sempre di più si parla di value in use, ovvero della possibilità di creare valore durante l’intero ciclo di vita del prodotto”. Un modello di servitization impatta su ogni singolo aspetto del business di un’impresa industriale. L’azienda produttrice di macchinari si posiziona
I molti vantaggi della servitizzazione Dal punto di vista dei produttori industriali, i benefici di un approccio più spinto alla servitization sono molteplici, e non riconducibili soltanto alla vendita aggiuntiva di servizi collegati al prodotto (servizi oggi già molto diffusi, di assistenza tecnica, monitoraggio, manutenzione preventiva e predittiva, formazione dei tecnici). La connettività e la raccolta di dati legati all’impiego delle macchine permettono, infatti, alle imprese industriali di avvantaggiarsi di un’enorme ricchezza di informazioni, ad esempio sul grado di utilizzo dei sistemi, su consumi e fonti energetiche, sui materiali utilizzati, sul costo dei fattori produttivi. Diventa così possibile risolvere, in ottica di manutenzione predittiva, alcune delle problematiche che potrebbero insorgere durante l’intero ciclo di vita della macchina, ma anche anticipare soluzioni che vanno incontro alle esigenze del cliente. Inoltre, i nuovi servizi che nascono dalla disponibilità dei dati di produzione possono favorire il raggiungimento di obiettivi di riduzione dei consumi energetici, di efficienza e sostenibilità ambientale. La cosiddetta service economy, come noto, permette di comprendere come migliorare continuamente e di sviluppare e lanciare servizi innovativi molto più rapidamente del tempo richiesto per la produzione di un nuovo modello di macchina industriale. Altro punto di forza importante è la relazione di partnership di lungo periodo che si instaura con i clienti, grazie all’approccio fortemente customer-oriented. Dalla comprensione delle esigenze del cliente si arriva all’attivazione di processi che creano valore condiviso nel tempo. In settori molto compe-
titivi, fidelizzare il cliente con un servizio a forte valore aggiunto può essere l’unico modo per evitare che si rivolga a qualcun altro. Altri benefici ascrivibili alla servitization sono l’incremento sostanziale dei margini (non dimentichiamo che la marginalità sui servizi è più alta, fino al 25% o 30% in base al settore); la stabilizzazione prospettica del cashflow grazie a flussi di ricavi costanti e ricorrenti; la gestione ottimale delle giacenze dei ricambi; il miglioramento della reputazione del con connotazioni Esg (Environmental, social, and corporate governance), dato che i produttori possono gestire i propri macchinari in ottica di economia circolare.
Lo scenario italiano
A che punto siamo oggi in Italia nello sviluppo di un mercato dei servizi di Industria 4.0? “Osserviamo molto fermento”, illustra Pezzotta. “Siamo in una fase in cui molte aziende cercano di capire come raccogliere dati che siano affidabili, un passaggio non così immediato. L’Industrial IoT è sviluppato ma c’è ancora timore, soprattutto per aspetti di privacy e cybersecurity. Un altro ambito su cui si punta molto è quello dell’everythingas-a-service e delle piattaforme cloud: è diventato una moda parlare di coolingas-a-service, heating-as-a-service, manufacturing-as-a-service. Varie aziende stanno elaborando questi concetti ma molte sono ancora in una fase sperimentale, con poche applicazioni commerciali già diffuse. Molto fermento c’è anche attorno agli algoritmi di intelligenza artificiale, usati a supporto della manutenzione predittiva, del miglioramento di attività operative di service e di customer service. Abbiamo poi soluzioni basate su realtà virtuale e aumentata, oggi utilizzate in realtà manifatturiere, nel mondo dei veicoli, delle macchine movimento terra, a supporto di manutenzione, del training dei tecnici e di tutti gli attori della service chain. Sono tecnologie che durante la pandemia hanno visto un ulteriore sviluppo, poiché hanno consentito a molte aziende di continuare a erogare servizi anche da remoto, sfruttando i dati delle macchine connesse, con costi competitivi”.
Requisiti e criticità da affrontare
“La servitizzazione è un processo di trasformazione che riguarda tutta l’azienda, non solo la divisione Service”, sottolinea Pezzotta. “Uno degli errori più comuni è proprio pensare che si fermi lì. Invece è l’intera azienda a dover cambiare, dalla progettazione (che deve essere fatta avendo in mente un sistema prodotto-servizio e il suo intero ciclo di vita, le tecnologie richieste, chi erogherà il servizio) alla vendita. La forza commerciale dovrà capire che vendere soluzioni è diverso rispetto al vendere prodotti: cambiano le logiche di relazione con il cliente, le marginalità, il fatturato e il rischio che l’azienda assume”. Il coinvolgimento dell’intera azienda è, dunque, un primo requisito da soddisfare. Inoltre è opportuno considerare alcune criticità insite nel modello della servitizzazione. “Uno dei punti più difficili è creare il giusto rapporto con il cliente”, prosegue Pezzotta. “Bisogna conoscerne il business e soprattutto aver instaurato un rapporto di forte fiducia reciproca”. Se dal punto di vista delle tecnologie non ci sono limiti, il problema è individuare le modalità più corrette per scambiare dati tra aziende diverse, mantenendo elevato il trust, condividendo le informazioni in tutti i punti decisionali. Inoltre in alcune aziende i reparti vendite tendono a frenare l’adozione di un modello di questo tipo e restano legati a una cultura prodotto-centrica. Un’altra sfida è la ricerca di competenze sulle tecnologie e su aspetti di data science da parte di chi svilupperà i nuovi servizi. Va citata, poi, la difficoltà nell’individuare il pricing più corretto per un servizio che deve essere basato sull’analisi di molti rischi, essendo il ciclo di vita del bene molto lungo. Uno dei principali vincoli lato produttori rimane ancor oggi la possibilità di esporsi finanziariamente per offrire nuovi servizi. Se, infatti, il produttore decide di non vendere più il prodotto ma solo il suo utilizzo (come avviene oggi in una serie di esperienze molto avanzate a livello internazionale, pensiamo ai casi di Abb, Rolls Royce, GE, Canon, Ricoh), allora manterrà la proprietà del bene, non potrà contare su un cashflow immediato ma su ricavi diluiti nel tempo, e si assumerà il rischio del mancato utilizzo del bene. Dal punto di vista delle aziende fruitrici dei prodotti servitizzati, invece, a fronte di benefici attesi come la garanzia di un livello di servizio elevato (quindi, l’annullamento dei malfunzionamenti e tempi di fermo) e la possibilità di collaborare con il fornitore in una partnership di lungo periodo, permangono nel mercato italiano alcuni freni che limitano ancora la diffusione di servizi connessi avanzati. Si tratta soprattutto della maggiore propensione all’acquisto di prodotti (eredità di anni di incentivi che hanno fortemente privilegiato le spese Capex rispetto alle Opex) e di retaggi culturali, come la paura di perdere know-how e di scambiare informazioni sui processi produttivi considerate critiche.
Giuditta Pezzotta
Elena Vaciago
IL RISCHIO FINANZIARIO DA AFFRONTARE
Quali difficoltà frenano il passaggio alla servitization, e come superarle? Il punto di vista della società di management consulting Strategia & Controllo.
Una trasformazione da modelli di business product-oriented a modelli service-oriented è una tendenza che sta sempre più prendendo piede nel mondo industriale e soprattutto nei Paesi anglosassoni, dove è già realtà da tempo. “La servitizzazione”, spiega Dante Laudisa, partner della società di management consulting Strategia & Controllo, “ha i suoi vantaggi innegabili, che conseguono la possibilità per il produttore di assicurarsi entrate continuative. Un tema che negli ultimi tempi, con pandemia, guerra, carenza di materie prime e problemi nelle consegne, ha acquistato molta importanza”. Così come molto importante è la possibilità di avere un rapporto più stretto con i clienti finali, conoscerli “intimamente” e poter basare su un approccio data-driven lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi. In aggiunta, la digital servitization fa bene all’ambiente, perché le macchine devono essere costruite per erogare servizi flessibili, hanno più cicli di vita, sono predisposte strutturalmente per l’economia circolare. Quali sono, invece gli aspetti che frenano l’evoluzione in chiave service economy? “Con questo modello di business”, aggiunge Laudisa, “il produttore deve avere una struttura patrimoniale adeguata, deve finanziare l’erogazione del servizio mantenendo la proprietà delle macchine: questo non è per tutti. Il problema che ci siamo posti e a cui abbiamo trovato risposta con la nostra soluzione Paradigmix, quale modello brevettato di Risk Management e Performance, è stato appunto quello di individuare una soluzione al finanziamento dei contratti di servizio associati ai pro-
Dante Laudisa dotti”. Paradigmix calcola lo scoring relativo a ogni asset in gestione e permette di darne un’immediata e sintetica visibilità dello stato di salute, degli indicatori di rischio osservati. Lo scoring andamentale, attraverso la certificazione su blockchain della prestazione dell’asset, può essere utilizzato tramite un’operazione di cartolarizzazione, tramite operazioni di finanza alternativa (come l’emissione di Bond), in modo che il produttore possa accedere a una nuova fonte di autofinanziamento. “L’altro tema che abbiamo affrontato”, prosegue Laudisa, “era invece come aiutare i produttori a modificare l’organizzazione, in modo da mettere al centro i clienti, attivando modelli di ascolto completi, in grado di attraversare tutta l’azienda. Ci siamo, infatti, convinti che adottare la Digital Servitization richieda un approccio olistico, un completo ridisegno di processi e attività, un ripensamento degli aspetti finanziari, di marketing, industriali. Poiché la formazione è molto importante in Strategia e Controllo, con riferimento al progetto europeo Thing+ abbiamo lanciato le sessioni formative della nuova figura professionale certificata del servitization manager, che supporta l’azienda nel reinventare il proprio modello di business in tutte le diverse fasi: dal generare nuove idee al renderle realtà e, successivamente, nell’adozione delle tecnologie e degli strumenti più idonei a sostenere e favorire la servitizzazione”.
Elena Vaciago
IL MONDO DEL PACKAGING SI APRE AI SERVIZI
Anche i produttori di sistemi per il confezionamento stanno trasformando i modelli adottati. Il caso di Ima Digital.
Ima Group è un colosso del packaging, cui fanno capo decine di aziende, per un totale di 80 Paesi rappresentati e 54 impianti produttivi. Ima Digital rappresenta l’anima più innovativa, focalizzata sullo sviluppo di servizi digitali, soluzioni di robotica e applicazioni per la manifattura 4.0. Con Martina Stefanon, business development manager dell’azienda, abbiamo parlato del percorso verso la servitization.
Qual è la vostra visione sulla servitization? Sul piano teorico è uno scenario plausibile, pensiamo che in futuro il mercato possa andare in questa direzione. Ma al momento non indirizziamo questo modello di business: richiederebbe strutture finanziarie in grado di sostenerlo, non banali su impianti spesso molto complessi come i nostri. Inoltre, avendo a disposizione tutti i dati della
Martina Stefanon macchina connessa, possiamo utilizzare algoritmi per ottimizzare sempre più i processi produttivi muovendoci verso servizi performance-based, incentrati su contratti vincolati alla performance della macchina. L’esperienza aumenta, i clienti stanno crescendo in questo senso e vediamo che questi progetti hanno sviluppi sempre più interessanti.
Quali sono oggi le vostre priorità? Obiettivo di Ima Digital è portare innovazione nel settore manifatturiero, tramite servizi basati sulle tecnologie più avanzate, in un percorso che ci fa passare da fornitori di macchine a fornitori di soluzioni tecnologiche. Oggi il nostro focus sui servizi è molto forte e abbiamo un portafoglio che, a partire dal dato generato dalla macchina utilizzata in contesto produttivo, comprende monitoraggio, assistenza da remoto, formazione dei tecnici. Il tema delle competenze è oggi molto sentito: noi rispondiamo con tecnologie avanzate di training digitale. Abbiamo sviluppato un concetto di algorithm-as-a-service e una “Algo Kitchen”, una “cucina” che sforna algoritmi i quali, posizionati in un “Algo Market”, possono essere riutilizzati per un’ampia gamma di macchine. Oggi molte industrie vivono la difficoltà ad approvvigionarsi di componenti e questo sta allungando i tempi di consegna: con i nostri modelli di virtual commissioning è possibile testare in un ambiente virtuale una macchina senza che essa sia completamente montata. In questo modo alcune divisioni hanno recuperato fino a cinque mesi nei tempi di consegna.
Nell’offerta di servizi per il mondo industriale prevale un approccio standard o customizzato? Vediamo entrambe le opzioni. Avendo internamente il controllo su tutti gli sviluppi, siamo molto flessibili nel venire incontro alle esigenze specifiche dei clienti. Alcuni servizi machine-insensitive sono molto standard e possono essere utilizzati su qualsiasi tipologia di macchina, già oggi li eroghiamo anche per sistemi di costruttori terzi. Va però considerata l’unicità del cliente, che ha modalità di produzione, ambienti e requisiti molto specifici.
Come dare risposta a questa unicità? Ima ha una grandissima esperienza su tantissimi clienti di settori diversi, quindi, su svariate necessità, bisogni, organizzazioni. Studiando il customer journey di ciascuno siamo in grado di aiutarlo a costruirsi il proprio ecosistema digitale, da indossare come un vestito sartoriale. Sviluppiamo poi progetti specifici, tipicamente per grandi multinazionali, in modo da fornire un aiuto più verticale, per attività di cosviluppo di algoritmi, mettendo a disposizione la nostra competenza tecnologica con sinergie molto interessanti. Dalle esperienze fatte in questo senso abbiamo avuto conferma che la servitization porta il rapporto con il cliente a un livello più elevato. All’inizio siamo percepiti come un consulente (su temi come produrre in modo più efficace o come strutturare l’ecosistema digitale), alla fine diventiamo un partner di cosviluppo, creando in questo modo una relazione win-win con il cliente. E.V.