18 minute read

STORIA DI COPERTINA

Next Article
RETI 5G

RETI 5G

TECNOLOGIE E FIDUCIA

NEL CUORE DELL’ESPERIENZA

Il rapporto fra aziende e utenti che acquistano prodotti o servizi continua a trasformarsi, tra pagamenti biometrici, live shopping e le promesse del metaverso.

L’esperienza è tutto, o quasi. Oggi, ancor più che nel recente passato, la customer experience è diventata una priorità per le aziende che vendono beni e servizi. Dall’online al mondo offline, dal B2C al B2B, in qualsiasi mercato si operi è imperativo considerare le esigenze del cliente in tutte le attività, a partire dallo sviluppo prodotto e fino alla comunicazione, alla vendita e al post vendita. Lo dicono i numeri: secondo le stime di Juniper Research, il giro d’affari delle cosiddette Customer Data Platform oggi vale circa 1,7 miliardi di dollari ed è destinato a crescere del 250% nell’arco di cinque anni, arrivando nel 2027 a un giro d’affari annuo di 6 miliardi di dollari. Si tratta di piattaforme software che raccolgono, classificano e correlano

dati sulle azioni, le abitudini, i gusti, i desideri, l’identità degli utenti quando fanno acquisti online o in negozio, quando navigano sul Web, interagiscono con i social media o anche, semplicemente, quando scelgono di leggere o di cestinare un’email. Dal punto di vista della domanda, il mercato è alimentato soprattutto dagli operatori di e-commerce e dai retailer, mentre dal punto di vista dell’offerta i nomi di riferimento sono Oracle, Salesforce, Microsoft, Tealium, per citare i principali. Se i dati (la loro disponibilità, ma soprattutto la capacità di interpretarli) sono le fondamenta di qualsiasi buona strategia di customer experience, a valle ci sono le applicazioni, le interfacce, le interazioni. E questo è un mondo in costante mutamento, che spesso accoglie le ultime frontiere della tecnologia in anticipo rispetto ad altri ambiti: pensiamo ai chatbot che hanno in parte sostituito il personale umano nel servizio clienti, o agli algoritmi per l’analisi delle azioni e conversazioni online, che permettono di personalizzare le azioni di marketing in modi sempre più sofisticati. Omnicanalità e personalizzazione sono ancora i modelli di riferimento, ma sempre più è necessario metterli in pratica sfruttando tecnologie di automazione e di intelligenza artificiale che aiutino a gestire grandi volumi di dati senza restarne sommersi, e possibilmente in tempo reale. Perché il cliente, effettivo o potenziale, il tempo non ce l’ha quasi mai e la soglia di tolleranza verso una user experience non soddisfacente si abbassa progressivamente. Colpa (o merito) della banda ultralarga, che ci ha abituati a navigare in Internet senza troppi rallentamenti, e delle applicazioni per smartphone, progettate per essere user friendly. Similmente, per ridurre il tasso di abbandono anche le procedure di pagamento devono essere facili e snelle, oltre che sicure. A tal proposito, viene da domandarsi se prenderanno il largo, finalmente, i pagamenti biometrici. Juniper Research ne è convinta e pronostica che il giro d’affari dei servizi di mobile payment basati su riconoscimento facciale, lettura dell’impronta digitale o altri metodi biometrici triplicherà il proprio valore nell’arco di cinque anni. Si passerà dai 332 miliardi di dollari del 2022 ai 1,2 miliardi di dollari del 2027 ed Apple Pay, naturalmente, sarà uno dei protagonisti.

Il bisogno di trasparenza

Se l’usabilità delle interfacce è un aspetto centrale della CX, altrettanto lo è la trasparenza. Purtroppo è ancora diffuso, specie nel settore di viaggi e turismo, il ricorso ai cosiddetti dark pattern: letteralmente, “percorsi oscuri” con cui un sito Web o un’applicazione induce l’utente ad acquistare servizi aggiuntivi senza quasi accorgersene. Nella migliore delle ipotesi, il cliente si sentirà raggirato ed eviterà di rivolgersi ancora a quell’azienda o marchio; nella peggiore, potrebbero scattare denunce e class action. In ogni caso, se la fiducia si erode servirà poi molto tempo per ricostruirla. Per garantire una CX soddisfacente e presupposto di fidelizzazione, dunque, le buone intenzioni sono importanti almeno quanto la tecnologia. Peraltro la voglia di trasparenza emerge chiaramente dalle indagini di mercato più recenti (ne parliamo anche a pagina 9), come quella realizzata tra gennaio e febbraio scorsi da Adobe su oltre 16mila consumatori e duemila dirigenti aziendali di 15 nazioni: il 73% degli utenti sospetta che le compagnie possano usare i loro dati per scopi diversi da quelli dichiarati; oltre la metà delle delle persone (55%) non comprerebbe mai più da un’azienda che ha dimostrato di non meritare fiducia, e i giovani della Generazione Z si mostrano particolarmente intransigenti su questo punto (il 60% non acquisterebbe più). Queste tendenze valgono anche nel nostro Paese, come suggerito da una ricerca di Salesforce che ha coinvolto oltre 17mila consumatori e manager aziendali in 29 nazioni: per l’87% degli intervistati italiani, in tempi di cambiamento il valore della fiducia è diventato ancora più importante; per l’89%, l’esperienza fornita da un’azienda non è secondaria alla qualità dei suoi prodotti o servizi.

La scommessa del metaverso

Oltre ai chatbot, tecnologia già consolidata e in continuo miglioramento, le frontiere più innovative dell’esperienza clienti sono probabilmente i pagamenti biometrici, la realtà virtuale e quella aumentata. Queste ultime non hanno finora trovato applicazione se non in sperimentazioni di nicchia, ma lo scenario potrebbe cambiare grazie ai grandi investimenti di Facebook in ciò che Mark Zuckerberg ha chiamato “metaverso”, ovvero una dimensione digitale immersiva e non volatile, che continua a svilupparsi di sessione in sessione e nella quale l’utente si cala in forma di avatar. Il successo o insuccesso di questa scommessa dipenderà, probabilmente, non tanto dalle tecnologie quanto dalla loro adozione di massa, perché attualmente i visori di realtà virtuale sono ancora un oggetto costoso e non appetibile per l’utente medio. E dipenderà, in egual misura, dalla capacità dei social network di attrarre aziende inserzioniste, disposte a pagare per pubblicizzare sé stesse nel metaverso. Intanto alcune sperimentazioni fanno scuola, anche nel made in Italy: Holding Moda, gruppo che racchiude diversi marchi di abbigliamento di imprese nostrane medie e piccole, anche artigianali, ha allestito il proprio showroom parigino con visori e guanti tattili (dotati di tecnologia aptica) che permettono ai visitatori di esplorare

OSTACOLI E STIMOLI NELLE AZIENDE ITALIANE

La nuova, rafforzata centralità della customer experience (CX) trova conferma nella “Digital Business Transformation Survey 2022” condotta da The Innovation Group su un campione di 213 imprese private e organizzazioni pubbliche italiane. La quota di aziende che considerano il miglioramento dell’esperienza dei clienti come una priorità per il 2022 è intorno al 24%: un dato non altissimo, ma in forte crescita (+71%) rispetto a quanto emerso dall’edizione precedente della ricerca. Inoltre la seconda priorità più citata (39% degli intervistati), cioè il lancio di nuovi prodotti o servizi, è un tema indirettamente legato alla customer experience. A che punto siamo, oggi, in Italia? Domina l’idea di una certa maturità, reale o percepita che sia: il 65% del campione ritiene che la propria società od organizzazione abbia già un’elevata competenza in ambito CX, mentre il 27% rientra nella categoria dei “principianti” e appena l’8% in quella dei completi “inesperti”. Le aziende con una competenza elevata sono più orientate a offrire una eccellente CX e a migliorare la customer satisfaction, mentre quelle meno mature puntano direttamente all’aumento delle vendite e all’acquisizione di nuovi clienti (senza però preoccuparsi troppo di fidelizzarli o di trasformarli in portavoce del loro marchio). A tendere, si può prevedere un graduale spostamento di aziende ed enti pubblici verso una maggiore maturità in ambito CX, ma questo non sarà un percorso privo di ostacoli. I principali sono la scarsa collaborazione fra l’IT e il business, la difficoltà nell’integrare i diversi touchpoint (cioè i “punti di contatto” tra l’utente e l’azienda o marchio), i costi elevati degli investimenti che andrebbero sostenuti, e ancora il basso grado di adozione di tecnologie adeguate, l’assenza di una strategia chiara, la mancanza di competenze e il fatto che non venga percepito il valore della customer experience. Se questi sono gli ostacoli, d’altra parte non mancano gli strumenti che aiutano a condurre attività di CX sempre più evolute. Il primo, fondamentale, è il Crm (customer relationship management), a cui fa ricorso il 61% delle organizzazioni del campione. Seguono i software che misurano il grado di soddisfazione degli utenti (28%), quelli di analytics di tipo Big Data (24%), le piattaforme di gestione dei dati (data management platform, 19%), gli strumenti di servizio clienti automatizzati come i chatbot (14%), le applicazioni di chiamata e videochiamata (13%) e l’Internet of Things (11%). Solo il 2% già usa applicazioni di realtà aumentata rivolte ai clienti, ma questa è una frontiera promettente e che inizia a prendere piede in ambiti come l’immobiliare, l’arredamento e la cosmesi.

Foto di Sara Kurig da Unsplash collezioni di abiti non presenti in sede, verificandone la qualità e le caratteristiche dei tessuti. Peraltro il progetto è stato curato da un’azienda italiana, la fiorentina Monogrid, a testimonianza del fatto che nel nostro piccolo possiamo rappresentare l’eccellenza anche nel campo del made in Italy, per così dire, digitalizzato.

All’inseguimento della Cina

Calarsi in un mondo virtuale immersivo può essere coinvolgente, ma anche restando più tradizionalmente davanti allo schermo di un Pc o smartphone è possibile vivere esperienze d’acquisto interattive ed empatiche. Nato in Cina da oltre un decennio, il fenomeno del live shopping (anche detto livestream shopping) ha accelerato la propria crescita solo recentemente, specie grazie agli investimenti di colossi come Amazon, Google (tramite YouTube), Meta (Facebook e Instagram), TikTok, Twitter e Pinterest. Gli eventi trasmessi in diretta streaming, integrati con strumenti per l’interazione e l’acquisto, servono innanzitutto ad attirare traffico, amplificando la notorietà di un marchio e le sue campagne di marketing. Inoltre hanno dimostrato di poter aumentare il tasso di conversione: gli utenti non solo guardano, ma comprano. Secondo le stime della società di consulenza e analisi Coresight Research, nel 2021 in Cina il mercato del live shopping ha raggiunto un valore di 300 miliardi di dollari, mentre negli Stati Uniti ha toccato appena quota 11 miliardi ma salirà a 25 miliardi già nel 2023.

Valentina Bernocco

IL METAVERSO È UN NUOVO MODO DI IMMAGINARE

La dimensione virtuale immersiva potrà rivoluzionare l’esperienza dei consumatori, ma le big tech dovranno fare da apripista, mobilitando grandi investimenti.

La customer experience è a un punto di svolta, oppure il metaverso sarà un fuoco di paglia? Ne abbiamo parlato con Marco Zanuttini, fondatore e Ceo di TechStar. La giovane azienda, nata nel 2021, realizza soluzioni e progetti basati su realtà aumentata, virtuale e intelligenza artificiale.

Quali sono oggi le tecnologie più innovative per la customer experience? Nell’evoluzione dei sistemi informativi, inspiegabilmente, l’interfaccia utente dei software è sempre rimasta indietro. Abbiamo sempre un menu riferito a una struttura ad albero, che permette di arrivare a una pagina, poi a un’altra, per finire magari su una landing page con un modulo da compilare. Comunicare, comprare, interagire, iscriversi a un servizio, ricavare delle informazioni: la struttura è sempre simile, mentre ogni utilizzatore potrebbe avere necessità di una sequenza di navigazione che non è quella progettata. Perché allora non creiamo software che adattano la propria struttura all’esperienza dell’utente? Ed eccoci quindi a ragionare sull’intelligenza artificiale, e in particolare sull’uso del machine learning: grazie a esso possiamo immaginare un sistema che, dopo un certo numero di interazioni, impara e si adatta, presentando all’utente l’interfaccia più efficace per arrivare al suo obiettivo, come scaricare un documento o chiedere informazioni, invece di obbligarlo a un percorso standard. E dall’altro lato eccoci al metaverso, un canale d’interazione nuovo, completamente da costruire.

Marco Zanuttini

A proposito di metaverso, rappresenta davvero qualcosa di innovativo? Se ne parla relativamente da poco, ma le tecnologie di base, come la realtà virtuale, non sono nuove. C’è stato invece un cambiamento radicale nel modo di usare questi strumenti. Ora abbiamo non solo la possibilità ma anche la volontà e consapevolezza strategica per creare degli spazi virtuali che esistono indipendentemente dalla nostra presenza, dove attraverso un avatar ci si può incontrare e interagire. C’è stato un grande cambiamento concettuale, reso possibile dal fatto che alcuni dei big player sul mercato hanno teorizzato questo nuovo mondo e hanno deciso di investire su di esso. Potremmo dire che, proprio per cercare di superare i limiti che i social network tradizionali cominciano a mostrare, è stata teorizzata la possibilità di un social tridimensionale.

Da una ricerca di Gartner risulta che oggi solo il 37% dei dirigenti aziendali sta pensando di adottare tecnologie di metaverso... Vero, ma confesso di non essere d’accordo sulla parola “solo”: il 37% è una percentuale davvero significativa, se pensiamo che si sta parlando concretamente di metaverso da pochi mesi. Anche tra le aziende italiane l’interesse è alto, c’è la consapevolezza che siamo di fronte a un’evoluzione in grado di avere un impatto enorme. Sta a noi capire e accogliere questo interesse, aiutare i nostri clienti a comprendere che siamo all’inizio, ma proprio per questo siamo davanti a un terreno di sperimentazione estremamente ricco. Perché allora non provarci subito, perché lasciare che siano gli altri a fare le prime esperienze di un mondo che impatterà, anzi sta già impattando sulla nostra comunicazione e sulla società intera?

Dunque il metaverso è destinato a trasformare la customer experience? Assolutamente sì. Se pensiamo anche a cose ordinarie, come a un sito di ecommerce, è possibile che ci troviamo di fronte a una rivoluzione totale dell’esperienza. Un visitatore entra in un negozio e noi possiamo supportarlo con un’esperienza immersiva che impara dal suo comportamento attraverso l’intelligenza artificiale, e gli offre le informazioni di cui ha bisogno in maniera dinamica e interattiva. Pensiamo anche al brand storytelling, a come possiamo presentare il nostro marchio non più proponendo un testo ma invitandolo a “vivere” il nostro brand in uno spazio virtuale, Si apre, insomma, un mondo completamente nuovo per la user experience e per la customer experience. Un mondo del quale, in effetti, non abbiamo ancora nemmeno immaginato tutto. V .B.

INTERAZIONI HUMAN-LIKE CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

I programmi voicebot imparano a rispondere sempre meglio alle domande dei clienti e a sostenere conversazioni anche complesse.

Per molto tempo, come clienti siamo stati abituati a interagire con i fornitori in modo diretto, di persona o al telefono, trovando dall’altra parte un essere umano in grado di replicare alle nostre richieste o necessità. Quell’epoca non è certo ancora passata, ma oggi è sempre più frequente trovarsi a poter dialogare con un interlocutore virtuale. I chatbot sono uno strumento piuttosto diffuso, ma ora sta arrivando il tempo dei voicebot, programmi in grado di lavorare sul linguaggio naturale, sulla sua comprensione e interpretazione. Come ci stiamo arrivando? Ne abbiamo parlato con Giovanni Mannarino, sales director Italy di Spitch.ai.

L’intelligenza artificiale è davvero uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo” della customer experience? Nelle interazioni completamente umane, le tecnologie sono intervenute nel tempo soprattutto per mettere ordine nei flussi conversazionali e guidare gli operatori nel supporto al cliente. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale è divenuto possibile ridurre i flussi di ingaggio attraverso gli Ivr (Interactive Voice Response, ndr) conversazionali, primo passo di un’interazione fra macchina e uomo. Il vero scoglio, tuttavia, è sempre stato rappresentato dalla comprensione del linguaggio naturale. Le prime esperienze sono state negative, poiché i sistemi di automatic speech & recognition non erano in grado di cogliere le sfumature e la varietà delle espressioni usate dalle persone. Ora, invece, i voicebot possono arrivare a risolvere problemi perché sanno non solo riconoscere l’intento della

Giovanni Mannarino comunicazione, ma anche gestire temi e porre domande funzionali alla richiesta iniziale.

Come fanno questi programmi a capire domande magari molto specifiche? La speech analytics esiste già da diverso tempo, ma prima era usata solo per capire che cosa volessero i clienti. I voicebot, invece, devono essere in grado di gestire interazioni evolute, quindi devono lavorare su dataset di training per poter articolare risposte sempre più pertinenti. Per fare un esempio pratico, il settore energetico è stato per molto tempo statico, fatto di poche tariffe e varianti. Oggi le dinamiche dei costi e fattori come la guerra in Ucraina stanno ridisegnando il panorama, con richieste che un automa vocale non sarebbe in grado di supportare, per esempio il pagamento rateizzato. Il prodotto di Spitch.ai analizza tutte le interazioni machine-to-human, raccogliendo intenti che la macchina prima non sapeva come risolvere. Avendo dipartimenti di data analytics interni evoluti, si possono impostare anche in un giorno nuovi intenti.

Quali mercati in Italia sono più reattivi a queste evoluzioni tecnologiche? Sicuramente il citato comparto dell’energia sta trainando, per sfruttare anche opportunità connesse a bonus e aperture al mercato libero. Banche e assicurazioni si sono mosse con una certa decisione da qualche tempo, mentre retail e telecomunicazioni stanno inseguendo. Può apparire singolare che le telecomunicazioni siano più indietro, ma occorre tener presente le dinamiche sociali e una tradizione più legata ai classici call center.

Roberto Bonino

ALLA RICERCA DELL’EMPATIA, ANCHE DIGITALE

Uno studio di Sitecore dipinge il profilo di un consumatore sempre più mosso da valori etici, voglia di trasparenza e di relazioni autentiche.

I consumatori hanno voglia di autenticità e di empatia. Valori tipicamente legati alla relazione faccia a faccia, quella tra un cliente e il commesso di un negozio, ma che oggi devono trovare posto anche nelle interazioni mediate dalla tecnologia. Uno studio di Sitecore, “Brand Authenticity”, condotto su consumatori italiani (mille intervistati), britannici, francesi e statunitensi, ha evidenziato le necessità dell’esperienza clienti in un mondo inevitabilmente sempre più digitalizzato. Ce ne parla Federico Tota, regional vice president di Sitecore Italia.

Le esigenze di CX stanno cambiando? Dalla nostra ricerca è emerso un panorama del rapporto brand/consumatore sempre più diversificato, molto complesso, non superficiale. Un panorama che richiede alle aziende di costruire una relazione di fiducia con il consumatore. Negli ultimi due anni, per i molti cambiamenti figli della pandemia, la fedeltà al marchio è stata messa a dura prova e proprio per questo i valori che orientano gli utenti sono più forti e differenzianti. Il 68% consumatori italiani vorrebbe che i brand comunicassero maggior empatia e coinvolgimento, entrando in relazione diretta con loro. C’è un forte bisogno di trasparenza, per esempio il 97% vorrebbe maggior chiarezza sugli aumenti di prezzo. Ma sono anche importanti i valori etici: il 92% chiede ai brand di dimostrare di agire in modo equo e il 54% è disposto a pagare di più per i prodotti di aziende che garantiscono al personale retribuzioni adeguate.

E la tecnologia come entra in gioco? La richiesta di maggior empatia e coinvolgimento da parte dei consumatori si traduce per le aziende nella necessità di dar vita a esperienze digitali sempre più ricche. Colpisce il fatto che chi ha meno di 44 anni o è impiegato si descrive come “convertito al digitale”, e questo è un dato interessante. Per questi consumatori il telefono sta diventando il canale di shopping online privilegiato, e dunque bisogna curare molto l’esperienza d’uso anche in ottica di omnicanalità. Inoltre le aziende oggi non possono prescindere dal dato per offrire un’esperienza sempre più seamless, come si suol dire, e prodotti personalizzati.

Come vedete il metaverso? Avvalersi di tecnologie come intelligenza artificiale, machine learning e realtà aumentata non è un ostacolo all’empatia. Tutti i grandi brand stanno cercando di capire come poter avere una presenza nel metaverso, che può rappresentare una risorsa ma è ancora un punto interrogativo.

Federico Tota

Nella trasformazione della CX a che punto sono le aziende italiane? Molte hanno cominciato a ragionare sulla user experience, sull’interfaccia e sulla comunicazione del servizio, anche sull’onda degli insegnamenti portati da Amazon con il suo e-commerce. Ma Amazon è anche un esempio di buona comunicazione. Molte aziende italiane in passato hanno lanciato servizi creativi e innovativi ma li hanno comunicati male.

Qual è il contributo di Sitecore alla customer experience “empatica”? Certamente, come azienda leader nella customer experience stiamo portando il valore dell’empatia nella relazione con i nostri dipendenti e soprattutto verso i nostri clienti e partner. Crediamo che laddove esiste una employee experience di valore, con un forte coinvolgimento e un forte legame con l’azienda, quell’esperienza si rifletta anche nel rapporto con i clienti. Grazie a un investimento di 1,2 miliardi di euro nel 2021 che ha generato ben quattro acquisizioni (Four51, Boxever, Moosend, Reflection) e l’apertura di nuovi uffici e team residenziali nel Sud Europa in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, Sitecore sta rivoluzionando la prospettiva digitale dei prossimi anni con approccio componibile e non monolitico. Con 5.200 clienti nel mondo e referenze importanti come Volvo, L’Oreal, Puma, Aston Martin e Zurich e ben 800 partner, proponiamo oggi una piattaforma digitale componibile abilitata Sas per migliorare i contenuti, l’esperienza cliente e la promozione dell’e-commerce. V.B.

LO SMART RETAIL: IBRIDO E RESILIENTE

Milano | 6-7 Luglio 2022

Hotel Melià

Giunto alla terza edizione, Retail & Fashion Summit è l’unico evento della comunità imprenditoriale e manageriale italiana pensato per promuovere il dialogo tra business e tecnologia e, coinvolgendo i diversi interlocutori interessati ai processi di innovazione, insieme agli stakeholder che predispongono politiche di incentivazione e promozione della trasformazione dei settori Retail, GDO e Fashion del nostro Paese.

Nei due anni di pandemia, gli imprenditori e i manager più illuminati hanno utilizzato il “tempo sospeso” dei lockdown e delle restrizioni per investire in tecnologia e accelerare il processo di trasformazione delle proprie aziende. Oggi quindi il retail italiano, nonostante le difficoltà, si trova nella condizione di riprendere con ancora maggior efficienza. Le minacce però non mancano, sul fronte geopolitico e quindi anche dei costi energetici, logistici e delle materie prime, fattori che rendono lo scenario complesso e sfidante. In quest’ottica, i temi dei finanziamenti (PNRR ma anche molte altre iniziative di sostegno e rilancio), quelli delle strategie energetiche e di approvvigionamento, quelli della gestione avanzata e intelligente dei cicli di vita del prodotto e più in generale della transizione ecologica si affiancano al filone principale dell’evoluzione tecnologica in ottica smart del retail: Cloud, Intelligenza Artificiale, Realtà Virtuale, Aumentata e Metaverso.

L’evento avrà, come di consueto, un’ottica “bifocale” che comprende un taglio più strategico di scenario e allo stesso tempo i tavoli di lavoro volti a distillare le istanze più importanti per la crescita del settore.

INFO MAIL

#TIGINNOVATION

This article is from: