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LA GESTIONE EFFICIENTE DELL’ACQUA NELLA RISICOLTURA

Al congresso europeo del riso si è parlato delle pratiche agronomiche e delle tecniche di coltivazione che favoriscono un uso sostenibile della risorsa idrica e la mitigazione delle emissioni di gas serra.

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Sostenibilità agronomica e ambientale della risicoltura, di questo e di molti altri temi legati all’attualità, anche alla luce delle conseguenze dei cambiamenti climatici, si è discusso durante il 2° Congresso Europeo del riso che si è tenuto lo scorso novembre a Milano. Ad aprire gli interventi il dirigente del Dipartimento di agronomia e protezione delle colture del Centro Ricerche sul riso, Marco Romani, che ha approfondito le pratiche agronomiche e le tecniche di coltivazione privilegiate per un uso sostenibile della risorsa idrica e per la mitigazione delle emissioni di gas serra.

La tecnica sostenibile della sommersione invernale

Partendo dalla premessa che la risicoltura non spreca acqua perché il sistema complesso delle risaie permette di trattenere provvisoriamente l’acqua proveniente dalle Alpi e restituirla successivamente ai fiumi, completando il suo ciclo naturale, tra le tecniche di coltivazione citate da Romani c’è la sommersione invernale. Questa pratica agronomica, che consiste nella sommersione degli appezzamenti alla fine della stagione colturale per un periodo che va dall’autunno-inverno fino all’inizio della primavera successiva, consente di ricaricare il livello della falda freatica in una stagione in cui l’acqua è abbondante poiché non necessaria ad altre colture, come quella del mais o della soia. Un altro effetto positivo della sommersione invernale si riscontra sulla degradazione dei residui colturali che, da un lato, rilascia nel terreno preziosi nutrienti per la coltura e, dall’altro, riduce le emissioni di metano nell’atmosfera. Anche la pratica AWD (Alternate Wetting and Drying), che prevede l’alternanza di sommersioni e asciutte nella risaia, si è dimostrata una strategia vincente per mitigare le emissioni di gas serra, visto che contribuisce a una rapida degradazione delle paglie.

La protezione della biodiversità

La tutela della biodiversità animale e vegetale è un altro privilegio che la coltivazione sostenibile di riso può vantare. Durante il Congresso ne ha parlato François Clement, direttore e responsabile tecnico del Centre Français du Riz, in riferimento alla ricchezza florofaunistica presente nella zona della Camargue, dove le risaie sono in grado di preservare l’habitat delle zone umide e di fungere da terreno di alimentazione e riproduzione, ospitando una moltitudine di specie animali, tra cui anfibi, insetti e uccelli. Il terzo intervento della mattinata, a cura di Pedro Monteiro, vice presidente di Casa do Arroz, ha messo in luce l’unicità del patrimonio varietale del riso japonica portoghese, in particolare del Carolino, la cui superficie di coltivazione si estende su circa 30.000 ettari distribuiti nelle aree prossime ai tre fiumi più importanti del Portogallo: Mondego, Tejo e Sado. I portoghesi, definiti “gli asiatici dell’Europa”, possiedono il primato del più alto consumo pro-capite annuo dell’UE, con 200.000 tonnellate di riso bianco consumato.

Diffondere conoscenza sul riso made in EU

Il Congresso è stato preceduto da una conferenza stampa, inaugurata con il saluto dell’assessore all’agricoltura, alimentazione sistemi verdi di Regione Lombardia, Fabio Rolfi, durante la quale il direttore generale di Ente Nazionale Risi, Roberto Magnaghi, il vice presidente di Casa do Arroz, Pedro Monteiro, e il direttore e responsabile tecnico del Centre Français du Riz, François Clement, in rappresentanza del Syndicat des Riziculteurs de France et Filière hanno presentato agli stakeholder italiani gli obiettivi del progetto di cui sono promotori, Sustainable EU Rice - Don’t Think Twice. Un programma triennale finanziato con il supporto dell’Unione Europea la cui ambizione è quella di diffondere conoscenza sulla produzione risicola e sugli utilizzi in cucina del riso Made in EU e rafforzare la consapevolezza del valore della risicoltura in termini di sostenibilità e tutela delle risorse naturali. La mattinata si è conclusa con uno show cooking interattivo che ha saputo mettere in evidenza la versatilità del riso europeo nella preparazione di tre diverse ricette in rappresentanza dei Paesi target: riso di Camargue ai frutti di mare come a Marsiglia (accompagnato da una bouillabaisse), risotto con una crema di gorgonzola e pesto di erbe di campo autunnali con la varietà Carnaroli e un arroz de Cabidela preparato col cappone.

PROSCIUTTO DI SAN DANIELE: UN IMPIANTO MIGLIORERÀ

IL RECUPERO DEL SALE ESAUSTO

Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele annuncia l’apertura di un impianto per il recupero del sale esausto e delle salamoie che sarà avviato nella primavera del 2023 a circa 15 chilometri dalla città di San Daniele del Friuli, in provincia di Udine. Con questo innovativo progetto, il Consorzio si è posto l’obiettivo di incrementare le iniziative a supporto della circolarità della filiera come la valorizzazione del rifiuto e la riduzione dell’impatto ambientale del sistema produttivo. L’impianto sarà dotato di macchinari ad alto contenuto tecnologico che permetteranno di vagliare e sottoporre il sale ad un lavaggio igienizzante, mentre la salamoia verrà purificata sfruttando specifici processi chimico-fisici e biologici. In questo modo il cloruro di sodio verrà cristallizzato e confezionato per poi essere riutilizzato – ad esempio come antigelo per le strade, nella concia delle pelli o per altri usi industriali diversi da quelli alimentari – mentre l’acqua verrà fatta evaporare e reimmessa nel ciclo naturale. Il sale, oltre alle cosce di suino italiano, è l’unico ingrediente ammesso dal Disciplinare di produzione del Prosciutto di San Daniele DOP. Agli inizi del processo produttivo, nella fase della salatura, ogni coscia viene ricoperta dall’elemento salino e riposta nelle apposite celle per alcuni giorni. Al termine di questa lavorazione ne viene recuperata l’eccedenza dai prosciutti insieme alla salamoia, per essere totalmente raccolti e smaltiti. Il riciclo degli scarti è stato gestito e coordinato dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele fin dal 2009 per tutti i 31 produttori, con una media annua di sale recuperato di circa 3.700 tonnellate. Grazie a questo impianto si stima che potranno essere recuperate circa 8.000 tonnellate di sale e salamoie. La vicinanza alla città di San Daniele di Friuli permetterà di abbattere le emissioni di CO2 derivanti dal trasporto su gomma, oggi smaltiti a oltre 350 km di distanza dalla zona di produzione.

CSQA CERTIFICA LE PRIME DUE INDICAZIONI GEOGRAFICHE INDONESIANE

Sono state certificate da CSQA le prime due indicazioni geografiche indonesiane, frutto di “Arise+ Indonesia”, il progetto internazionale di sostegno al commercio al centro del quadro di cooperazione tra la UE e il Paese asiatico. Dopo una missione formativa in Italia per conoscere il diffuso modello italiano delle DOP IGP agroalimentari, il progetto chiude il suo primo importante step operativo. A rappresentare l’Indonesia tra le DOP IGP mondiali saranno due prodotti iconici del maggiore stato-arcipelago del mondo, il sale marino Garam Amed Bali/Bunga Garam Amed Bali DOP e lo zucchero di cocco Kulonprogo Coconut Sugar. Il Garam Amed Bali (sale) e il Bunga Garam Amed Bali (fior di sale) sono dei sali marini raccolti manualmente e prodotti con metodi tradizionali da oltre 700 anni nella regione di Amed sull’isola di Bali. A sostenerne la produzione è una filiera di 20 operatori che da generazioni portano avanti il prodotto di eccellenza. Il 14 ottobre 2022 la DOP è stata ufficialmente registrata a livello UE concludendo gli step per l’ingresso sul mercato come produzione certificata. Il Kulonprogo Coconut Sugar è uno zucchero di cocco, celebre per il gusto e l’aroma speciali dovuti all’ambiente naturale, al suolo e al clima dell’area di Kulon Progo. È frutto di una filiera costituita da 13 aziende di raccolta, 283 operatori agricoli e 4 confezionatori con una produzione stimata di 200.000 kg. Ricevuta la dichiarazione di conformità e stabilito il piano dei Controlli da CSQA, questo prodotto è in attesa della conclusione del percorso di inserimento nel registro europeo delle DOP IGP.

UN PROGETTO PER SVILUPPARE PRODOTTI A BASE DI MICROALGHE

Le microalghe, note anche come fitoplancton, sono diventate oggetto di grande attenzione poiché rappresentano una fonte di proteine più sostenibile rispetto ad altre fonti convenzionali, per esempio il bestiame. Sono minuscoli microrganismi vegetali che vivono in vari ambienti acquatici, dove costituiscono la base della maggior parte delle catene alimentari. Le microalghe sono costituite da un’unica cellula o da un piccolo numero di cellule riunite in una struttura molto semplice, che può crescere rapidamente e moltiplicarsi in una grande biomassa ricca di sostanze nutritive. Presentano forme e colori diversi e possono essere utilizzate per molti scopi industriali, dagli alimenti ai mangimi, dai cosmetici alla produzione di biocarburanti. Tra le specie di microalghe più note troviamo la spirulina e la clorella, utilizzate negli integratori alimentari. Oltre ad avere un alto contenuto proteico, contengono anche nutrienti preziosi come composti fenolici, vitamine e minerali. In Europa l’uso delle microalghe come alimento è ancora piuttosto raro ai più e pertanto è interessante scoprire in che modo i nuovi prodotti a base di questi microrganismi vegetali vengono accolti dai consumatori. Cercare di realizzare nuovi prodotti alimentari con proprietà nutrizionali migliorate e senza compromettere le proprietà sensoriali quali il gusto e la consistenza è indubbiamente una sfida complessa. Tra gli alimenti arricchiti di microalghe attualmente in fase di sviluppo troviamo: il pane, le creme vegetali e gli snack, tra cui muffin, grissini e cracker. Questi prodotti alimentari sono in fase di sviluppo e test come parte del progetto ProFuture finanziato dalla UE nell’ambito di Horizon 2020 con l’obiettivo di aumentare la produzione di microalghe e preparare il mercato all’accettazione delle proteine da microalghe come ingrediente per prodotti alimentari e mangimi innovativi e sostenibili. Il progetto segue una strategia multilivello dal laboratorio alla produzione su grande scala, che vede tutti i partners lavorare congiuntamente per ottimizzare la filiera produttiva delle microalghe, dalla coltivazione fino al prodotto finale che arriva sulla tavola dei consumatori. Al progetto, avviato alla fine del 2019, partecipano 31 organizzazioni europee che si occupano di ricerca, creazione di prodotti, valutazioni ambientali, studi sui consumatori, aspetti legali e comunicazione. COOP è uno dei partner del progetto ProFuture: partecipa nelle prove con consumatori per valutare l’accettabilità dei nuovi prodotti e per divulgare informazioni relative al progetto. Il coordinamento è affidato all’Istituto di Ricerca e Tecnologia Agroalimentare IRTA con sede in Spagna.

L’ANNATA PIÙ DIFFICILE PER LA CAMPAGNA DEL POMODORO

In Italia il settore chiude con 5,5 milioni di tonnellate di prodotto trasformato, in calo del 10% rispetto al record del 2021. L’Anicav: “Ora un’agenda programmatica a tutela di un emblema del made in Italy”.

I risultati di una campagna condotta all’insegna delle difficoltà e dei rincari e una serie di proposte di intervento a tutela dell’intera filiera da sottoporre al governo. Sono stati questi i principali temi affrontati durante l’assemblea pubblica di Anicav, la più grande associazione di rappresentanza delle imprese di trasformazione del pomodoro al mondo, tenutasi lo scorso ottobre a Parma nel corso dell’annuale appuntamento Il Filo Rosso del Pomodoro, giunto alla sua decima edizione. “Strategie competitive a sostegno di una filiera da primato” era il tema scelto come filo conduttore. “È necessario che il nostro comparto, che rappresenta, per qualità e dimensioni, un’eccellenza dell’industria agroalimentare italiana, assuma una posizione strategica nelle politiche di sviluppo di settore e faccia sentire in maniera incisiva la propria voce”, ha dichiarato Marco Serafini, presidente di Anicav. “Per questo abbiamo ritenuto indispensabile definire un’agenda programmatica, da condividere con tutte le anime della filiera, dal mondo agricolo alla distribuzione, e da sottoporre al governo”.

I numeri del 2022

Nella campagna di trasformazione conclusa in Italia sono state trasformate circa 5,5 milioni di tonnellate di pomodoro, con una riduzione del 10% rispetto ai risultati record dello scorso anno. Un dato che, sostanzialmente, riflette quello relativo agli ettari investiti pari a 65.180 ( -8,5% rispetto al 2021), di cui 37.024 al Nord e 28.156 al Centro Sud. In particolare, nel Bacino Centro Sud le aziende hanno trasformato 2,59 milioni di tonnellate – con un decremento del 12% rispetto al 2021 – mentre in quello del Nord il trasformato finale è stato di 2,89 milioni di tonnellate (-6.3% rispetto allo scorso anno). Buone le rese agricole in entrambi i bacini produttivi, nonostante la siccità nel bacino Nord e le alte temperature che hanno causato non poche difficoltà soprattutto nella parte iniziale della raccolta. Sul fronte delle rese industriali, di contro, si è registrato un peggioramento con la necessità di utilizzare maggiori quantità di materia prima per riuscire a garantire i nostri elevati standard qualitativi. Il dato si inserisce in una situazione di riduzione generale a livello europeo (-17,6%) e mondiale (-4,9%) con Spagna e Portogallo che, complessivamente, hanno ridotto la produzione del 29%. Fa eccezione la Cina che, con 6,2 milioni di tonnellate, ha fatto registrare un incremento del 29,2% dopo la flessione del 2021. L’Italia, terzo trasformatore mondiale di pomodoro dopo gli USA e poco distante dalla Cina, ma primo trasformatore di derivati destinati direttamente al consumo finale, rappresenta il 14,8% della produzione mondiale (pari a 37,3 milioni di tonnellate) e il 56,5% del trasformato europeo, con un fatturato totale di 4 miliardi di euro. “Immaginavamo che questa campagna di trasformazione sarebbe stata caratterizzata da grandi difficoltà, ma la realtà è stata di gran lunga peggiore delle nostre aspettative”, ha commentato Giovanni De Angelis, direttore generale di Anicav. “Come più volte denunciato negli ultimi mesi Il comparto è stato messo in ginocchio dall’aumento dei costi di produzione del tutto fuori controllo. In particolare, l’aumento del costo dell’energia è stato un colpo davvero difficile da assorbire per un sistema ad alta stagionalità come il nostro. L’incidenza di questa spesa sul conto economico aziendale è cresciuta in maniera esponenziale, passando dal 4% al 22%”.

Un’agenda per l’intera filiera

Dalla tavola rotonda, che ha visto protagonisti i principali player dell’industria di trasformazione del pomodoro privata e cooperativa, sono venute fuori una serie di proposte di intervento che dovranno confluire in un’agenda programmatica da condividere con l’intera filiera. In merito al complesso rapporto col mondo agricolo è emersa la necessità di avviare un’analisi dei costi di produzione agricola nelle diverse aree del Paese per capire se si scontano problemi di inefficienza organizzativa e gestionale o se, invece, si tratta di meri comportamenti speculativi, e l’esigenza di una ridefinizione del perimetro di competenza e del modello operativo alla base delle relazioni interprofessionali. Altri temi di discussione la crescente difficoltà nel reclutamento di manodopera stagionale e la mancanza di profili tecnici specializzati, l’importanza di investire in ricerca e sviluppo e in attività di promozione, valorizzazione e tutela, oltre alla necessità di un sostegno alle imprese.

Il presidente di Anicav Marco Serafini

INFLAZIONE ALIMENTARE ANNUA

OLTRE IL 16% A OTTOBRE/NOVEMBRE

L’indagine condotta da Unioncamere con la collaborazione di BMTI e REF Ricerche prospetta una crescita dei prezzi pagati dalle Centrali di Acquisto della GDO all’industria alimentare del +2,2% nel bimestre ottobre-novembre, portando così i prezzi su di un livello atteso pari al +16,6%, rispetto allo stesso bimestre del 2021. A settembre si è rilevato un aumento del +1,2% per la media dei 46 prodotti alimentari maggiormente consumati, con rincari evidenti per il tonno all’olio di oliva (+6,1%), la carne in scatola (+5,1%), la birra nazionale (+4,8%) e i biscotti (+4,0%). Su base annua l’incremento è del +15,3%, con i rialzi maggiori per la farina di grano tenero (+37,0%), il tonno all’olio di oliva (+31,9%), la pasta di semola (+29,1%). Marcata anche la crescita negli oli e grassi per burro (+22,7%) e olio extravergine di oliva (+19,8%). Le indicazioni fornite dalle Centrali di Acquisto della GDO prospettano significativi aumenti anche per il bimestre ottobre-novembre. Nello specifico, ci si attende un aumento per l’olio extravergine di oliva (+8,2%), su cui pesano anche le attese di una netta contrazione produttiva, tonno all’olio di oliva (+7,6%), birra nazionale (+7,3%) e carne in scatola, cresciuta del +6,7%. In calo solo l’olio di semi vari (-1,7%), complice il rientro, negli ultimi mesi, dai picchi raggiunti dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino. Su base annua, l’inflazione attesa per il bimestre è pari al +16,6%, con i rincari maggiori previsti per olio di oliva (+43,6%), tonno all’olio di oliva (+37,9%), pasta di semola (+34,2%), farina di grano tenero (+33,8%) e olio extravergine di oliva (+29,0%). Significativi anche gli aumenti annui attesi per i formaggi freschi (+19,8% per la mozzarella di latte vaccino, +21,2% per lo stracchino) e i molli (+16,3% per il gorgonzola, +17,4% per il provolone). Le anticipazioni raccolte sui prezzi pagati dalle Centrali d’Acquisto della GDO all’industria alimentare suggeriscono che l’inflazione alimentare al consumo, a causa dei rincari delle materie prime energetiche, rimarrà sostenuta su valori superiori al 10% sino alla fine del 2022. Per la media dell’anno 2022 la previsione è ora all’8,4%.

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A CREMONA FOCUS SU LATTE E POTENZIALITÀ DELL’OVICAPRINO

Alle Fiere Zootecniche Internazionali della città lombarda si è discusso della difficile congiuntura per il latte vaccino, pur sostenuto dall’export, e sul futuro del settore ovicaprino, in cui la produzione italiana gioca un ruolo primario in Europa.

Se da un lato l’Italia vive quotidianamente il problema della produzione del latte, acuito dalla crisi internazionale e dall’ulteriore aumento dei costi causato dal conflitto russo-ucraino, dall’altro può contare sul potenziale del settore ovicaprino, ancora sottovalutato e non sufficientemente inserito nelle politiche di programmazione e sviluppo nelle varie regioni italiane. Su questi temi è stato fatto il punto nel corso delle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona, a dicembre, con l’intervento di Confagricoltura. “Quello del latte vaccino è un settore che riesce a salvarsi grazie all’export, ma bisognerà fare ancora tanti passi in avanti

puntando sull’alta specializzazione che abbiamo costruito in questi anni in Italia”, ha detto Roberto Biloni, presidente di CremonaFiere. “L’altro settore importante che riteniamo faccia parte del comparto zootecnico è quello ovicaprino, che vogliamo aiutare a crescere mettendo a disposizione il sistema di rete che a Cremona abbiamo creato includendo chiunque abbia voluto e voglia apportare idee di sviluppo”.

La situazione del lattiero-caseario

La situazione del comparto lattiero caseario sta attraversando una fase di forte volatilità. C’è meno latte ed il suo prezzo continua a salire. Sono aumentati molto anche i costi di produzione e gli allevatori reagiscono ad esempio riducendo il mangime acquistato ed eliminando le vacche meno produttive e a fine carriera. L’effetto è una minore disponibilità di latte vaccino, che subisce costanti aumenti di prezzo: entro la fine dell’anno salirà a 60 centesimi, il 40% in più di un anno fa. Su tali preoccupazioni incombe inoltre la riforma della Pac, in vigore da gennaio, che diminuirà progressivamente i contributi previsti. E poi ci si domanda come reagiranno i consumatori nei confronti di un’inflazione crescente e una diminuzione del loro potere di acquisto. Il settore dovrà trovare un nuovo equilibrio, dal momento che in poco più di due anni

il prezzo del latte è aumentato del 63%. I prezzi in aumento al consumo di prodotti lattiero caseari stanno disincentivando i consumi in quantità: sfiora il 3% il calo di formaggi e latticini nei primi nove mesi del 2022, mentre il carrello della spesa per latte e derivati è aumentato di oltre il 4%. A ottobre, secondo l’Istat, i prezzi su base annua per formaggi e latticini sono saliti del 14,8%. Positivo invece l’export di formaggi e latticini, cresciuto in valore e in quantità. Il fatturato del settore del solo latte vaccino è di 16,7 miliardi di euro, incidendo per circa l’11% sul totale del fatturato industriale dell’agroalimentare, con una spesa delle famiglie annua dedicata al comparto di circa 21 miliardi di euro. “Oggi dobbiamo far capire ai consumatori che cos’è il tema zootecnico”, ha affermato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura. “La battaglia non si vince solo dicendo no al cibo sintetico, ma facendo una riflessione sui modelli nutrizionali. Rispetto a un mondo che sta cambiando il proprio modo di alimentarsi, occorre capire quale modello agricolo realizzare. Come Confagricoltura, pur guardando a un futuro diverso, partiamo dal tema della competitività delle imprese. Dobbiamo capire quale modello e quale filiera dobbiamo costruire per andare incontro al consumatore. Finalmente si inizia a discutere in Europa di scienza e di tecnica applicata, ma sui temi della sostenibilità ambientale dobbiamo necessariamente riflettere sul modello che ci viene richiesto. Ci sono realtà zootecniche che sono fortemente avanzate, hanno investito e diversificato anche i ricavi, contribuendo sul fronte ecosistemico. È in questa direzione che dobbiamo andare”.

Italia primo produttore europeo di formaggi di pecora

L’Italia ha un ruolo determinante nella produzione ovicaprina a livello europeo: il nostro Paese è al primo posto per produzione di formaggi a base di latte di pecora, al terzo per la produzione di latte ovino dietro Grecia e Spagna e al settimo posto per la produzione di carni ovicaprine. Benché con circa 0,8 miliardi di euro di valore della produzione il comparto ovicaprino incida solo per poco più dell’1% sulla produzione agricola nazionale ed il 4,4% del valore della produzione zootecnica, esso costituisce, specie per alcuni territori, un presidio essenziale e anche un elemento notevole per la crescita e l’occupazione di alcune aree vocate. Diciotto formaggi DOP ed IGP rappresentano praticamente la metà della produzione complessiva di formaggi ovicaprini. Mentre tre IGP delle carni ovine rappresentano circa il 20% della produzione di carni ovicaprine nazionale.

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