Quaderns Catalans de Cultura Clàssica N.
http://revistes.iec.cat/index.php/ITACA ISSN (ed. impresa): 0213-6643 ISSN (ed. electrònica): 2013-9519
Comitè assessor / Advisory Commitee
Angelo Casanova (Università degli Studi di Firenze), Eugen Cizek (Universitatea din Bucuresti), Catherine Darbo-Peschanski (CNRS, Paris), Riccardo di Donato (Università di Pisa), Bruno Gentili (Università degli Studi di Urbino), Jürgen Hammerstaedt (Universität zu Köln), Emilio Suárez de la Torre (Universitat Pompeu Fabra).
Director / General Editor
Carles Miralles (Universitat de Barcelona).
Consell de redacció / Editorial Board
Jaume Almirall (Universitat de Barcelona), Àlex Coroleu (Universitat Autònoma de Barcelona)Montserrat Jufresa (Universitat de Barcelona), Marc Mayer (Universitat de Barcelona), Jaume Pòrtulas (Universitat de Barcelona), Josep Lluís Vidal (Universitat de Barcelona), Mariàngela Vilallonga (Universitat de Girona).
Secretari / Secretary
Carles Garriga (Universitat de Barcelona — cgarriga@ub.edu).
Objectius i temàtica / Goal and themes Ítaca és la revista anual de recerca en estudis clàssics que des de 1985 publica la Societat catalana d’estudis clàssics (SCEC), filial de l’Institut d’Estudis Catalans (IEC), adscrita a la Secció Filològica (SF). Ítaca pretén col·laborar en la redimensió de tota la cultura clàssica des d’una òptica interdisciplinària i amb rigor filològic. Aplega estudis i materials relatius a aquest camp del coneixement. Sotmet els treballs publicats a un procés d’avaluació extern i anònim.
Ítaca is a journal published once a year by the SCEC (Catalan Society of Classical Studies), a subsidiary section of the IEC (Institute of Catalan Studies) belonging to its SF (Philological Section). Ítaca wants to contribute to a higher dimension of the whole classical culture from an interdisciplinary perspective and taking much care of the necessary philological rigor. It covers studies and all sort of documents related to this field. All papers submitted undergo a double-blind peer review process.
Versió electrònica / Electronic version http://revistes.iec.cat/index.php/ITACA
© 2015, Institut d’Estudis Catalans Carrer del Carme, 47. 08001 Barcelona
Primera edició: gener de 2015
Compost per gama, sl Travessera de les Corts, 55, 2n 1a 08028 Barcelona
Imprès a Service Point FMI, SA
ISSN: 0213-6643
Dipòsit Legal: B. 49865-1998
Índex
Tragèdia grega: interpretació i posteritat
Aesch. Suppl. 825-902. Vittorio Citti ............................................................................... 9
Dret, Llei i Poder a la història dels Atrides segons P. P. Pasolini. M. Cecilia Angioni ............................................................................................................... 29
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador. C. Garriga ................................... 43
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides. J. Almirall .... 59
Quan les paraules no mouen a compassió. Tragèdia, dansa i gestualitat a la novel·la d’Aquil·les Taci (III 10-11). R. Homar .................................................... 77
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ i de les heroïnes tràgiques gregues a la Commedia del Dant i a l’Infern gòtic català (I).
J. A. Clua .............................................................................................................................. 95
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully. E. Marcos ......... 115
Greek de Steven Berkoff (1980): l’arriscada conversió de l’Èdip rei de Sòfocles en una love story. P. Gilabert ..................................................................... 135
Heiner Müller i Medea. M. Camps .................................................................................. 155
L’ Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica. N. Palomar ........................................................................................................................... 195
Dioniso o Penteo? Il lavoro sullo spettatore nel Teatro del Lemming. M. Munaro ............................................................................................................................ 223
Tragèdia grega: interpretació i posteritat
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 9-28
DOI: 10.2436/20.2501.01.47
Aesch. Suppl. 825-902 *
Vittorio Citti Bologna vittorio.citti@gmail.com
ABSTRACT
It is very difficult to give a reliable text of the verses 825-902 of the Suppliants. Provisionally, I will try to give a first account of the critical situation of these verses and to expose my perplexity about some attractive but perhaps too bold propositions (e.g. 871 Συρίαισιν Badham, West; 877 Κυπριγένει’ ἱλάσκου West; 880 ὁ μέγας Πότμος West).
KEYWORDS: Greek Tragedy, Aeschylus, Suppliants, textual criticism
Il quarto stasimo delle Supplici (825-902) è certamente la sezione peggio trasmessa di questa tragedia. Il testo dell’unico manoscritto è stato gravemente danneggiato probabilmente già in una fase antica della trasmissione e nessuno ormai pensa che si possa fare molto di più che riprodurre le testimonianze esistenti, di testo e scoli (alcuni di questi ultimi fanno riferimento a un testo più integro di quello di cui disponiamo e sono indispensabili), rendere conto di quanto si è fatto per migliorare l’esistente e ricostruire per quanto possibile lo svolgimento dell’azione 1; vorrei tuttavia rinunciare ad alcune
* Sono indebitato nei confronti dei colleghi che hanno avuto la cortesia di intervenire nel corso del convegno barcellonese e in occasione di un seminario che ho tenuto in seguito all’università di Salerno: la loro competenza ha attirato la mia attenzione su alcuni punti che ho cercato di illustrare, per quanto potevo, rispondendo oralmente e nell’ambito di questo testo. Per molte precisazioni non solo di metrica sono debitore a Liana Lomiento, che mi ha anticipato quanto scrive in LOMIENTO 2015.
1. Ragionevolmente i due studiosi cui più siamo indebitati per lo studio delle Supplici, H. Friis Johansen e Edward W. Whittle, dichiarano nel paragrafo in cui introducono questo
Vittorio Cittiproposte, brillanti ma forse non sufficientemente fondate, avanzate dagli editori dell’ultimo trentennio. In questa fase della mia ricerca mi sono basato essenzialmente sul dibattito critico a partire dall’edizione commentata di Friis Johansen e Whittle, comprendendo soprattutto i contributi di West e di Sommerstein. Infine, per una discussione adeguata dello stato del testo non si può prescindere da un esame delle strutture metriche e colometriche, per cui rinvio a Lomiento 2015. Per questo il mio intervento ha un carattere provvisorio di messa a punto di alcuni problemi, per giungere un giorno a uno studio organico di questa sezione della tragedia.
ὅ ὅ ὅ, ἅ ἅ ἅ 825
ὅδε μάρπ<τ>ις [ 825
νάϊος [ 826 a
γάϊος[ 826 b
Il manoscritto qui non porta segni di interlocuzione; tradizionalmente i vv. 825-6 sono stati attribuiti alle Danaidi, sulla base degli scoli 825 e 826a2; ma West ha confrontato 825, ὅ ὅ ὅ, ἅ ἅ ἅ, con le esclamazioni semiferine dei satiri nello scoprire le tracce delle vacche di Apollo rubate dal neonato Hermes, Soph. Ichn. 176 ss. ὗ ὗ ὗ ψ ψ ἆ ἆ3, e ha attribuito questo verso agli Egizi,
segmento della tragedia: «in general, however, the task of reconstructing the most seriously corrupt passages (825ff., 847-53, 859-65, 877-9, 896-8) is a hopeless one and has rightly been abandoned by recent editors» (FJW 1980 III 171).
2. Sch. 825
826 a
3.. WEST 1990, 152 s., cf. MAAS 1979, 73 «i versi lirici che nelle Supplici di Eschilo sono attribuiti all’araldo egiziano (836-865) non corrispondono all’ethos abituale delle monodie degli attori; perciò, secondo un suggerimento orale del Wilamowitz, sarei propenso ad attribuirli al coro degli Egiziani (cf. Soph. Ichn. 170 = 142)». Sulla base di WILAMOWITZ 1929, West aggiunge, a proposito di questi versi: «at some earlier time Wilamowitz had regarded them as a chorus, but when he came to prepare his edition and the Interpretationen he had forgotten this idea (as he records in Hermes 64 (1929) 461 = Kl. Schr. IV 479). When Maas reminded him of it and asked why he had abandoned it, he reverted to it, and he has been followed by Murray and Johansen-Whittle». Si deve aggiungere peraltro che, come già Maas, anche Murray e FJW si riferivano ai vv. 836 ss., MERKELBACH 1974, 7 per primo indicò questa attribuzione anche ai vv. 825 ss, contro l’indicazione degli scoli; FJW 1980 III 174 e 176 hanno acceduto a questa attribuzione, esprimendo l’ipotesi che gli scoli 825 e 826 a debbano essere riferiti ai vv. 817-21. A questo proposito, un punto è certo. M è impaginato con il testo sulla sinistra, lasciando un margine abbastanza stretto che sul recto è dalla parte della legatura (i vv. 825 ss. si trovano sul foglio 186 r); gli scoli stanno normalmente verso la destra, allineati alle porzioni di testo corrispondenti. Lo scolio 825 a, ταῦτα ...
ἰδοῦσαι è invece scritto sul margine sinistro, ammucchiato in sei righe per essere contenuto nel margine. Sembrerebbe che lo scriba che aggiungeva gli scoli nello spazio che la prima mano gli aveva lasciato libero non sia riuscito a collocarlo al suo posto, ovvero che in un primo tempo lo avesse tralasciato e poi fosse stato costretto a metterlo dove gli era possibile, a sinistra invece che a destra. Non è dubbia la sua intenzione di collocarlo all’altezza del v. 825, perché all’altezza del v. 817 il margine è rimasto libero, ma questa scelta potrebbe essere stata erronea: non siamo nel caso degli scoli allineati a destra, che evidentemente rispecchiano l’impaginazione dell’antigrafo. In questo caso un margine di errore era possibile. Più difficile tuttavia la verifica dell’ipotesi di FJW e West a proposito dello scolio 826 a. Anche questo, ὁ ἐλθὼν ἐπὶ τὸ μάρψαι ἡμᾶς, non è collocato sulla destra, ma nell’interlineo, sopra ὅδε μάρπ<τ>ις: tuttavia, se lo scolio 825 a potrebbe essere riferito al
Aesch. Suppl. 825-902 11
che entrando in scena e scorgendo le prede che stanno cacciando si annunciano con urla scomposte di gioia lussuriosa e di bramosia 4 . Anche ὅδε μάρπ<τ>ις, già attribuito alle Danaidi, secondo lui è pronunciato dagli Egizi; il v. 827 che segue, τῶν πρό, μάρπτι, κάμνοις, ἰόφ sarà replica delle Danaidi5. Questa attribuzione di ὅδε μάρπ<τ>ις potrebbe essere credibile anche perché ὅδε esprime spesso la persona che parla, e le due battute si risponderanno così: ‘eccomi qui, io che sono venuto per catturarti’; ‘prima di quel momento 6 , tu che vuoi afferrarmi, possa crepare’; spesso, nella tragedia eschilea, in un dibattito appassionato lo stesso termine, enunciato da una delle due parti, viene ribattuto dall’altra 7. I vv. 825 s. potrebbero essere la realizzazione di ciò che si annuncia ai vv. 817-21, dove le ragazze sconvolte gridano che gli Egiziadi le inseguono volendole prendere a forza; qui poi quelli entrano in scena e gridano la loro soddisfazione animalesca vedendo la preda 8. Per ἰόφ, mentre FJW scartano il suggerimento dello scolio ( ἰόφ·
) e pensano a una parola tronca, West lo accoglie, riconoscendovi la mano di un commentatore tardoantico9. Le Danaidi riacquistano così il diritto di dire ‘puah!’, nei confronti di quei maschi lubrichi e schiamazzanti.
v. 817, ὁ ἐλθὼν ἐπὶ τὸ μάρψαι ἡμᾶς difficilmente potrà essere staccato dal v. 826 ὅδε μάρπ<τ>ις, sopra il quale è collocato, per riferirlo a 821 λαβεῖν, formalmente molto diverso; di norma, lo scolio riecheggia i termini del testo che illustra, e che sono indicati nel lemma.
4. «It is drammatically fitting that the Egyptians should announce themselves with a brief vociferation before the Danaids address them (827 f.) and react to their presence».
5. Il ms. ha πρoμάρπτι; Vettori lo ha corretto sulla base dello scolio che segue: τῶν πρό, μάρπτι, κάμνοις·
6. Il dimostrativo τῶν esprime compendiosamente il momento temuto in cui gli Egizi le raggiungeranno, come intende lo scolio e suggerisce WECKLEIN 1902, 99 «es bezieht sich also πρὸ τῶν [...] auf den in μάρπτις enthaltenen Gedanke»; l’antico e il moderno esegeta condividono la fiducia nella compendiosità dello stile eschileo; non è quindi giusta l’osservazione di FJW « τῶν has no reference], cf. 826n.; the idea supplied in Σ , (πρὶν) ἡμᾶς συλλαβεῖν cannot, pace Wecklein, be got from the subst. μάρπτις in 826».
7. Osserva WEST 1990, 154: «the repetition of μάρπτις in the vocative at 827 becomes easier if it is the Danaids answering back», e rafforza il suo punto di vista sull’interlocuzione osservando di seguito: «similarly, 834 δύσφορα ναΐ κἀν γᾷ will pick up the Egyptians νάϊος ... γάϊος».
8. Un altro problema potrebbe essere costituito da 826 c νάϊος γάϊος] ὁ πρώην μὲν ἐπὶ νηός, νῦν δὲ ἐπὶ γῆς γεγονώς, che farebbe pensare a una scrittura continua dei due segmenti di testo; la colometria invece, frapponendo tra essi uno spazio, suggerisce due righi distinti. Questo argomento mi sembra più forte di quello metrico addotto da WEST 1990, 154, per giungere alla stessa conclusione: «but it is impossible to understand why the sequence νάϊος γάϊος, two cretics, should have been divided between two lines».
9. Nel lessico dei grammatici δασύνειν indica la pronuncia aspirata. A questo ἰόφ, secondo WEST 1990, 155, dovrà essere riferito lo schol. 827 b τοῦτο διὰ μέσου, per indicare che si tratta di una interiezione. In realtà nel ms. troviamo allineati nello stesso rigo τῶν πρό, μάρπτι, κάμνοις, ἰόφ e immediatamente sulla destra τοῦτο διὰ μέσου. Chi ha copiato gli scoli non aveva modo di distinguere il segmento di testo cui doveva essere riferito il commento che stava ricopiando, e soltanto l’acutezza dell’interprete può stabilire con una certa probabilità il riferimento.
12
Vittorio CittiSegue il v. 828 ὄμ , evidente residuo di una parola scomparsa con il suo contesto nel guasto dell’antigrafo 10, seguito da spazio, e quindi αὖθι κάκκας; κάκκας è stato corretto da Stanley in καββάς sul fondamento dello scolio <κάκκας>] κατακάσεις, corretto a sua volta da Pier Vettori in καταβάσεις11 ; quindi al v. 829 si ha νυ, ancora spazio, quindi δυϊαν βοὰν ἀμφαίνω. Per νυ Paley ha proposto νῦν, secondo l’indicazione dello scolio οὐκέτι παρὰ τοῦ πατρὸς ἀκούσασα, ἀλλ’αὐτόπτης γενομένη βοῶ (la parafrasi, compiuta da chi aveva davanti un testo migliore del nostro, indica che parlano le Danaidi)12
Il v. 830, ὁρῶ τάδε φροίμια πράξαν
, wqwwqwwqqwq/ wqqwq, è ametrico secondo FJW; in realtà risulta di due cola, dei quali il secondo è un docmio, e il primo potrebbe intendersi come un prosodiaco seguito da un cretico oppure anche come sequenza di giambi lirici ( ὁρῶ τάδε φροίμια
, wqwq, qwq, wqwq. Il colon è, comunque, problematico anche per la presenza della forma senza aumento πράξαν = ἔπραξαν 13. West afferma con sicurezza: «I have no doubt that Aeschylus wrote ὁρῶ
, ‘here I see the beginning of troublesome violence for my protector’»14, ma sembra strano che le Danaidi, sconvolte per l’apparire degli Egizi e per le loro grida animalesche, ben identificate da West, si preoccupino per la sorte di Pelasgo15. Prudente-
10. WEST 1990, 155-156: «it is difficult to make ὄμ[ in this context into anything other than a case of ὄμμα, in the sense ‘out our sight’, for they do not want the Egyptians to go back to the shore with themselves in tow. Cf. 949 (Pelasgus to the Herald) κομίζου δ’ ὡς τάχιστ’ ἐξ ὀμμάτων . The accent of ὄμ excludes the genitive plural, but we might have, e.g. ὄμ[ματος ἐκτὸς ] αὖθι καββάς [ἅλα. The singular ὄμματος seems legitimate in view of its frequent use in the phrase κατ’ ὄμμα, ‘face to face’. ‘Before you achieve that, Seizer, may you grow weary — ptah! — and get out of our sight down to the sea’».
11. Durante il mio seminario salernitano Paola Volpe, procedendo per una via decisamente diversa, mi ha fatto una proposta di qualche interesse: al posto del tràdito κάκκας si potrebbe congetturare κακκλάσας , riferito a μάρπτι del v. 827, integrando ὄμ[ματα (cf. West, richiamato alla n. precedente), e richiamando a confronto ὄμματα κατακεκλασμένα “occhi stravolti” in Aristot. Phgn. 808a 8, riferito a chi è ἄθυμος. κακκλάσας ὄμματα verrebbe qui ad indicare la condizione di prostrazione nella quale il coro si augura possano cadere i suoi inseguitori. Di fronte a un testo così disastrosamente trasmesso non credo che nessuna sarcitura sia possibile, tanto più che il testo invocato a confronto esula completamente dalla lexis tragica e non può essere considerato un elemento di tradizione indiretta.
12. Il resto del verso, combinato con lo scolio αὐτόπτης γενομένη, ha suggerito la correzione εἰδυῖα di Hartung per δυϊαν (forse ‘dolorosa’) di M, che potrebbe avere però una sua funzione, ‘emetto un grido di dolore’ ed essere quindi mantenuto risparmiando una congettura per cui manca una conferma. A favore di δυϊαν βoὰν potrebbe essere forse invocato Pers. 280 s. βoὰν δυσαιανῆ
13. Se però non si applica la correptio attica, e si considerano lunghe le sillabe δε φρ- e α πρ-, potremmo avere al v. 830a un trimetro giambico lirico con un cretico al posto del secondo metron, wqwq, qwq, wqwq.
14. Osserva (1990, 159): «Pelasgus has become the Danaids’ πρόξενος (419, 491), and it has been foreseen that the Egyptians’ attempt to abduct them will involve Argos in war (342, 400f., 439, 475). It is to this, not merely to their personal plight, that they refer here».
15. In tutto lo stasimo, ovviamente, non si parla più di questa ipotetica inquietudine per la sorte di Pelasgo.
Aesch. Suppl. 825-902
mente Sommerstein stampa: ὁρῶ †τάδε φροίμια πράξαν† πόνων βιαίων †ἐμῶν†. Vorrà forse dire ‘io vedo: fecero (πράξαν = ἔπραξαν) questo inizio delle sofferenze che io subisco a forza’16. Meglio, forse, la congettura dello stesso Sommerstein πράξαντ<ας>, che fornisce nello stesso tempo l’oggetto di ὁρῶ ed è scandito come prosodiaco-giambo, oppure giambo-creticodocmio17
Le Danaidi si rivolgono quindi a se stesse: ἠέ, ηέ, βαῖνε φυγᾷ πρὸς ἀλκάν (v. 832): l’ἀλκή, verso la quale si precipitano, sarà per metonimia la comunità degli dèi da cui aspettano soccorso. Segue βλοσυρόφρονα χλιδᾷ: se χλιδᾷ è un verbo (cf. PV 971 χλιδᾶν ἔοικας
παροῦσι πράγμασιν) il primo segmento significa ‘lussureggia con animo prepotente’, giacché βλοσυρόφρονα sarà un accusativo neutro plurale con valore avverbiale18, e di questo scatenamento dicono che è δύσφορα
, «in a savage minded way unbearable on the ship and on land», traducono FJW, consapevoli che la connessione del discorso è solo sommariamente comprensibile; Wilamowitz supponeva lacuna, che West propone di colmare: «very probably one dochmius is missing. I suggest <κνώδαλα γὰρ τάδε>»: non è una proposta irragionevole, ma è poesia di West, anche se questi versi sono pieni di immagini ferine e quindi κνώδαλα, in bocca alle Danaidi, si adatta agli Egiziadi19. Segue l’invocazione conclusiva, γάϊ’ ἄναξ, προτάσσου , ‘signore della terra, schierati a nostra difesa’. FJW si chiedono se ‘signore della terra’ sia Pelasgo oppure Zeus, e scelgono il primo, sulla base dello scolio20 e perché il verbo implica lo schieramento di un corpo di armati a difesa, προ-τάσσου. Sommerstein pensa invece a Zeus: «perhaps more likely to be addressed to Zeus (cf. 811, 824, 885, 892) that to the absent Pelasgus»21. Preferisco l’altra posizione: le Danaidi sono sconvolte dal terrore e dal dolore, e non hanno altri da invocare se non Pelasgo, che ha promesso di aiutarle. Questo verso non contiene un messaggio indirizzato a Pelasgo, quanto un’espressione di smarrimento e di disperazione, senza che ci sia un preciso destinatario. Gli Egizi replicano imponendo alle Danaidi di seguirli verso la nave, σοῦσθε σοῦσθ’ ἐπὶ βᾶριν ὅπως ποδῶν, ‘muovetevi, muovetevi verso la nave con tutta la velocità dei piedi!’ (v. 836)22. L’espressione è fortemente ellittica, e lo scoliaste ci soccorre: ὡς ἔχετε
(sappiamo così che il testo ap-
16. Di questo uso di πράσσω non saprei dare esempi, e potrebbe apparire forzato.
17. SOMMERSTEIN 2010, 17.
18. Cf. FJW III 179 «an Aeschylean φρήν may have a tongue (775), eyes (Ch. 854), or a black tunic (Pers. 115)». Per West invece questi aggettivi neutri non sono avverbiali, ma hanno riferimento a un termine scomparso, che egli esemplifica con κνώδαλα, cf. infra.
19. Viene così meno l’ipotetico neutro plurale cui West concorda βλοσυρόφρονα. Ad ELLIS 1893, 21 va il merito della correzione di κἀν
in ναῒ
ἄναξ: il fenomeno della geminatio, diffuso in questo coro, avrà indotto in errore un copista.
20. Σ 835a ὦ Πελασγέ, πρὸ ἡμῶν παράταξαι.
21. FJW 1980 III 181, SOMMERSTEIN 2008, 394 s.
22. La prima mano di M aveva σοῦσθεσὲσθ’, σοῦσθε σοῦσθ’ è di quella che ha scritto gli scoli; così βᾶριν per βάριν è correzione di Tournebus (tratta da EtGud α 990).
pariva ellittico anche a lui)23, e ancora gli Egizi accumulano termini di minaccia in strutture geminate, prevalentemente asindetiche e asintattiche, οὔκουν οὔκουν
, ‘se no, se no strappi strappi e marchiature’24, cioè, in termini discorsivi: ‘se no, vi strapperemo i capelli e vi marchieremo a fuoco!’, oltre tutto con «the ellipse of ἔσονται or γενήσονται ...highly abnormal in classical Greek (FJW)». Chi studia gli anacoluti di Eschilo dovrà considerare anche questo strazio della sintassi25, in bocca agli Egizi ubriachi di libidine, continuato in una minaccia sanguinaria, che massacra la sintassi come vorrebbe massacrare le Danaidi, πολυαίμων
, ‘decapitazione omicida sanguinaria’(FJW si chiedono come possano le guardie degli Egizi minacciare di morte le donne dei loro padroni 26, ma forse parlano proprio gli Egizi, la cui bramosia bestiale degenera in immagini di sangue e di morte27: la vicenda delle donne violentate e ammazzate fa parte ancora della storia recentissima dell’Europa, e non solo di essa), e si conclude in una frase in cui il guasto della tradizione si somma all’oscurità espressiva del poeta: σοῦσθε
ἀμίδα, ‘muovetevi, muovetevi, maledette, verso lo scafo’: σοῦσθε σοῦσθ(ε) dovrebbe essere autentico, perché itera il comando già formulato28, ma la successiva geminatio non è possibile senza turbare il senso29, e infine la destinazione delle ragazze è indicata ἐπ’ ἀμίδα, con variatio synonymica rispetto a ἐπὶ βᾶριν del v. 836, un termine che pochi versi dopo, al v. 847, West ripresenta con la
23. «The explanation of the Σ suggests, though it does not prove, that ἔχετε was not in his text; but the omission is hardly tolerable»: così FJW 1980 III 182. Gli stessi citano quasi subito dopo «the only exx. where the fut. is probably to be understood are Pr. 915 ἐγὼ
and S. OC 402
l’ellissi del futuro, piaccia o non piaccia, è possibile in tragedia.
24. Cf. Schol. 838 οὐκοῦν] ἰδίως
25. NOVELLI 2012 fa luce su molti casi di questo fenomeno fondamentale nella lexis eschilea.
26. FJW 1980 III 184: «the Egyptians cannot be so ignorant or imbecile as to suppose that their masters have authorized, or would autorize, the execution of their intended brides. The threat must therefore be intended purely to terrify the Danaids into submission». Se pensiamo che qui parlino non gli attendenti degli Egiziadi, ma loro stessi, possiamo pensare che la tensione del lungo inseguimento e la bramosia del possesso fisico spinga la loro fantasia a immagini assurde di violenza nel momento in cui stanno per avere in loro potere le Danaidi.
27. Queste immagini sono emozionalmente marcate dalla geminatio τιλμοὶ τιλμοί e dalla somma dei sinonimi πολυαίμων φόνιος, sottolineate da FJW. Per la variatio synonymica, cf. CITTI 2006, 22 n. 55, 38, 40, 76, 102, 107 n. 55, 184, 196 e n. 102, 197 n. 106, 220 n. 29.
28. Cf. ancora FJW: «the succession of two geminations (οὐκοῦν
) as an indication of strong emotion is not unique in Aeschylus, cf. Pers. 1010
, 1039 αἰαῖ αἰαῖ δύα δύα, Ag. 1489, Pr. 694»; in questo stesso stasimo si possono indicare i vv. 834, 841, 860 (dubium), 888, 900, su cui tutti gli editori concordano. A torto dunque Page annotava in apparato: «alterum οὐκοῦν delendum».
29. Non si riesce a capire quale sarebbe la funzione dell’acc. ὀλόμεν(α). La soluzione proposta da Robortello, e riproposta in seguito da SCHÜTZ 1808, 105 espungendo ὀλόμεν’, semplifica il problema senza risolverlo. FJW osservano non senza qualche ragione che la difficoltà di ὀλόμεν(α) potrebbe essere superata «by deletion of ὀλόμεν’ as a dittography (Schütz, followed by several other editors), but this is an insecure procedure in a passage characterized above all by word-gemination».
Aesch. Suppl. 825-902
variante fonetica ἐπ’ ἀμᾶδα (perché?). Ma questi sono problemi minori rispetto alla scelta che obbliga gli editori a sforzi da contorsionisti30. Alla mia tarda età le contorsioni non sono possibili, e le croci sono la soluzione più appropriata.
I primi quattro versi della strofe che segue sono evidentemente pronunciati dalle Danaidi e rivolti all’araldo, cui si augura di morire ‘insieme all’arroganza dei tuoi padroni’ (v. 845): non comportano problemi testuali31. Questi sorgono invece nel resto della strofe, pronunciato dagli Egizi. Nel Mediceo si legge: αἵμονες ὡς
φρενί τ’ ἄταν / ἰὼ ἰὸν / λεῖφ’
/
/ ἀτιέτανα
. Al v. 847, per avere la responsione con 859 wqwwqwwqx, manca una sillaba breve: sul fondamento dello scolio ᾑμαγμένην σε καθίζω, αἵμον’ ἕσω σ’ ἐπ’ ἄμαλα, Weil ha proposto <δί>αιμον, generalmente accolto dagli editori più recenti, e Paley ha interpretato l’explicit di (αἵμον)ες ὡς, in ἕσω σ’32; gli editori in generale tendono risolvere il tràdito incomprensibile ἐπάμιδα con ἐπ’ ἀμᾶδα perché «is closer to the tradition» (FJW), un’opinione condivisa da West (perché la seconda sillaba deve esser lunga) e Sommerstein. Al v. se30. FJW rendono dettagliatamente conto delle presenze di questo termine ἀμίς / ἀμάς, e delle varie forme in cui esso ricorre: esso è attestato in EM 75.22 ἁμάδα (sic) τὴν ναῦν Αἰσχύλος, Et. Gen. A. 990 L.-L.; Hesych. α 3404 ἄμαλα: τὴν ναῦν, ἀπὸ τοῦ ἀμᾶν
Πρωτεῖ σατυρικῷ [214 R.]; Phot. 86, 24 R ἅμαξα: ἡ ναῦς
ἡ λέξις παρ’ Αἰσχύλῳ . Ma cf. anche Hesych. α 3675 L. ἀμίς· σταμνίον e Phot. α 1197-99 Th.. e in particolare 1198 ἁμίδας· τὰ ὑπηρέσια. | ἰδίως δὲ
(54.4) τὰ σταμνίσκια, οἷς ἐνούρουν λέγεται δὲ ἁμὶς καὶ ἡ χύτρα. Per Fozio, la disponibilità dell’ed. Theodoridis cambia radicalmente la situazione, ma anche da Esichio qualcosa di più si può ricavare. Secondo FJW «the lemmata appear to have been corrupted and the etymologies to have been accommodated to the new lemmata, cf. Solmsen BGW I.182-3, Latte praef. to Hesychius I, p. XVI. It is better to correct ἐπαμίδα (ME: sc. ἐπ’ἀμίδα, cf. 846) to ἐπ’ἀμάδα (Schütz) than to ἐπ’ ἄμαλα (Hermann): ἀμάδα is closer to the tradition than ἄμαλα, and there is no realiable evidence that the latter word ever existed in Greek, whereas ἀμάδα was accepted by lexicographers and given an etymology (sc. from ἀμᾶν, cf. λυσσάς ~ λυσσᾶν, φοιτάς~ φοιτᾶν)». Il problema meriterebbe un’analisi sistematica, per designare la forma esatta e il valore proprio. Lascio agli studiosi di lessicografia il compito di precisare il primo punto: per la scelta in Eschilo West, pur crocifiggendo il passo, dichiara la propria preferenza per ἀμάδα che ricorre al v. 847 (nel suo testo, ma M ha ἐπάμιδα), oltre che nell’EM (così già Schütz): un minimo di normalizzazione, in riferimento allo stesso oggetto nominato a pochi versi di distanza, sarà inevitabile, mentre sembra che il valore di base di ἀμίς / ἀμάς sia ‘contenitore’, che può essere detto anche di una nave come di un vaso. Qualche commentatore ha preferito indicare a questo proposito il valore che il termine ha in Demostene (54.4, ‘vaso da notte’), ma non capisco con quale costrutto. Io temo che i lessicografi si riferiscano al fr. 214 R. di Eschilo, e che nelle Supplici il testo sia disperato. Ringrazio Renzo Tosi per la consulenza in merito a questo problema.
31. FJW osservano, a proposito di πολύρυτον per πολύρρυτον di M «Wellauer’s correction of πολύρρυτον, by making the line into a dochmiac creates responsion with 854 as transmitted» Marginale poi, per quanto appropriata, l’osservazione degli stessi «Restoration of δεσποσύνῳ (Stephanus) [...] assumes, most improbably, that Aeschylus is less likely to have employed a hapax than a copyist to have introduced it». Degli stessi FJW merita ancora di essere richiamata l’osservazione stilistica «ἀλμήεντα πόρον: possibly loosely modelled on the epic formula ἁλμυρὸν ὕδωρ (Od. 8x, Hes. Fr. 141.1, h.Ap. 435)».
32. WEIL 1866, 86; PALEY 1844, 127.
guente ησυδουπια τἀπιτα, dove West, appoggiandosi allo scolio ἀπιόντα κατὰ συγκοπήν, legge ἥσυχ’ οὖν, ἔα τἀπιτά, ‘lascia dunque senza resistenza ciò che se ne deve andare’, preferisco indicare cruces con Sommerstein, mentre a 849 s. κελεύω βία μεθέσθαι·<wq>/ ἶχαρ, φρενί τ’ ἄταν si può accettare, con tutti gli editori moderni, βοᾶς di Rogers per βία e quindi intendere con West ‘ti ordino di smettere di gridare, di far tacere33 le (tue) pretese’34. Segue, nel testo di West, φρενί τ’ ἄσαν (per ἄταν di M), ‘malattia per la mente’, correzione accolta da Sommerstein. Mi sembra non necessaria: preferirei mantenere ἄταν, ‘rovina per la mente’35. Pacifici i due versi che seguono, con la correzione elementare di Robortello ἕδρανα per ἵδρανα. Sommariamente, la traduzione di questi versi potrebbe essere: ‘ti getterò insanguinata sulla nave [...]; ti ordino di smettere di gridare, di far tacere le vostre pretese, rovina della vostra mente [...]36. Abbandona il luogo dove sei, vieni verso la nave, tu che non meriti considerazione in una città di uomini pii’37
Quasi senza storia i primi quattro versi dell’antistrofe (854-57), dove il testo del manoscritto viene riprodotto da tutti con le correzioni ἴδοις di ScaligeroMaas per ειδοι, e ἀεξόμενον di Stephanus e Portus per δεξόμενον del ms.38; in essi il Coro riprende le sue imprecazioni contro i cugini, ‘possa tu non tornare mai più a vedere l’acqua che nutre il bestiame, dal quale nutrito fiorisce il sangue datore di vita per i mortali’.39
Anche nell’antistrofe il testo è tormentato fin dall’inizio (v. 859). Il manoscritto ha ἄγειος ἐγὼ βαθυχαῖος
. Per la costituzione del testo sono importanti gli scoli 859-60
859
861-864
κακοπαθῶν. FJW riportano il giudizio di Wilamowitz, che crocifigge tuto il v. 859, †ἄγειος
, annotando: ‘foede corrupta omnia, nec est ubi tuto insistas’, e aggiungono ragionevolmente:
33. Se accettiamo l’integrazione σβέσον di West.
34. FJW 1980 188 s. indicano dapprima una soluzione meno costosa («if Robortello’s correction of βία (ME) into βίᾳ suffices to restore the original text, which it possibly does, the line means ‘I order you to give in to (my/our) violence’»), ma poi preferiscono un intervento più radicale per ragioni linguistiche («but βίᾳ μεθέσθαι is not a too convincing phrase; βίας (Hartung) or βίαν (Oberdick) makes the Egyptians ascribe violence to the Danaids, which is surprising but may have been somehow justified by the context. βοᾶν (Headlam) or (better) βοᾶς (R. Ellis [ma sarà piuttosto ROGERS 1894, 29, giacché ELLIS 1893, 33 discute i vv. 847 s., non 849, cf. anche l’apparato di West]) would give unproblematical sense».
35. Penso ad ἄτη, ‘smarrimento’, nel senso che illustra DODDS 1959, 1-31.
36. Continua il motivo terroristico del sangue, cf. supra 840 e n. 28.
37. E pertanto, sottintendono quelli, esse non meritano la protezione degli Argivi. Cf. WEST 1990, 158.
38. Gli errori che presuppongono queste correzioni sono tutti riconducibili a tipi ben noti.
39. Cf. la n. 48 infra, per questo richiamo al Nilo cui si allinea quello della seguente antistrofe.
Aesch. Suppl. 825-902 17
«but ἐγώ could well be sound, cf. 860 σὺ δέ». Questo è certo, come è certo che lo scolio 859-60 si riferisce a quei versi, per quanto ‘balbutiens’ (West, app.), e ce ne dà il senso; sempre West propone ἄρειος per ἄγειος40, mentre per βαθυχαῖος approfondisce la notizia dello scolio βαθυχαῖος· ἡ μεγάλως
εὐγενής confrontandolo con Theocr. 7.5 χαοί e la forma laconica χάϊος in Ar. Lys. 90f., e 1157, ed Hesych. χ 220 H.-C. χάσιος· ἀγαθός, χρηστός che secondo Wilamowitz risalirebbe a un antico * χασός . Pertanto, con West: «Aeschylus’ compound should be probably βαθύ-χα-ος , not βαθυ-χά-ιος ».
ἄρειος sarebbe una rivendicazione dell’eccellenza della nobiltà degli Egizi, offesa dal rifiuto delle Danaidi: se la prima proposta è una acquisizione, non sarei altrettanto sicuro per l’altra41. Al v. seguente tuttavia West e Sommerstein gettano la spugna apponendo cruces. La geminatio βαθρείας βαθρείας fa pensare certamente allo stile eschileo, mentre γέρον potrebbe essere un vocativo rivolto all’araldo, come dice lo scolio: ἐγὼ ... ἀναξία ταύτης τῆς βαθρείας, ὦ γέρων: FJW rifiutano l’idea che l’araldo sia anziano, perché questa sua qualità non è indicata altrove: la motivazione è decisamente inadeguata, e potremmo invece trarre da qui questa informazione. Comunque non ricaviamo nulla di certo da †βαθρείας βαθρείας γέρον†, pur se la geminatio attira la nostra attenzione 42. I tre versi che seguono, con qualche ritocco 43 , danno un senso che potrebbe essere ‘tu invece sulla nave, sulla nave andrai presto, che lo voglia o non lo voglia; con la forza si compiono molti atti di forza’, mentre i seguenti due, dopo un nuovo invito ad andare, βᾶτε che potrebbe essere duplicato nel seguente βαθ’, non dicono nulla di chiaro44
La seconda strofe, vv. 866 ss., inizia con cinque versi pronunciati dal Coro, che nuovamente augurano agli Egizi una triste morte per mare, ‘Ahimè ahimè! Se tu perissi di mala morte nella distesa umida del mare, vagando
40. WEST 1990, 157: «emendation of the vox nihili ἄγειος to ἄρειος ( Pers. 1026, Sept. 122, Prom. 420) resolves the problem. βαθύχαος becomes supplementary to ἄρειος, ‘I am a warrior of long pedigree’».
41. Mi chiedo se ἄγειος non potrebbe significare ‘privo di diritti’, secondo il destino di un esule, e quindi voler recriminare il torto fatto ai nobili Egiziadi. HEADLAM 1900, 35 propone ἔγγαιος ‘I am a native’, come «an easy alteration of ἄγειος»: si intenderà ovviamente che ἄγειος è una facile corruzione di ἔγγαιος, e mi pare una proposta attraente. Quanto alla nobiltà degli Egizi, osserva West 1990. 157: «but why should the Egyptians boast of their nobility, when the theme of the strophe, so fa as we can discern it, is ‘we are stronger than you, and you will board our ship whether you like it or not? ».
42. Ardua l’ipotesi che WEST 1990, 159 s. avanza come un sospetto: «I suspect that βαθρείας γέρον conceals βαρειᾶν χερῶν, the Homeric phrase expressing the exercise of physical force (Il. 1.89, al.). If so, the first βαθρείας conceals a nominative (probably in -ίας or -έτας) upon which the genitive depends. If Aeschylus wrote, for example, ἀρχέτας (‘I am a commander of heavy hands’ = ‘I have them at my disposal’), we might imagine the corruptions to have been caused in part by the invasion of αρει- and βαθ- from the line above, in part by misinterpreted corrections: ἀρχέτας
+ marg.
43. δ’ἐ<ν> BURGES 1821, 30; βόα βόα πολλᾷ ROGERS 1894, 20, ovvero, in alternativa, βίᾳ
πολλᾷ WEST 1990,159.
44. Cf. le cruces in FJW, WEST e SOMMERSTEIN, e le problematiche analisi di FJW 1980 III 198200.
18
Vittorio Cittipresso il tumulo di Sarpedone’, e fin qui si può procedere senza ostacoli, ma al v. 871 andiamo vagando anche noi, non meno pericolosamente degli Egizi. Il manoscritto ha εὐρειαις εἰν , inintelligibile, corretto da Paley in εὐρείαισιν, derivato dal nome del dio dei venti, Εὖρος, che non sembra dire molto; Hermann suggerì ἀερίαισιν αὔραις: «quum Aegyptus Ἀερία dicta sit, posui ἀερίαισιν», cf. Aesch. Suppl. 75 Ἀερίας ἀπὸ γᾶς45; FJW, sulla traccia di Hermann, intesero ‘by misty winds’, ‘ad opera dei venti nebbiosi’, richiamando a confronto Eur. Ph. 1534 ἀέριον σκότον , mentre Badham propose Συρίαισιν46, e lo seguono West e Sommerstein. Forse, dato che il tumulo di Sarpedone era in Cilicia, è stata preferita la determinazione geografica più prossima. Credo comunque preferibile ἀερίαισιν αὔραις di Hermann, che si può difendere con un piccolo intervento, peraltro necesssario, sulla colometria di M, spostando -ψει- dall’explicit del quinto colon della strofe all’incipit del colon 6, in modo da salvare la responsione47; i venti che spiravano dall’Egitto, dove si dirigevano gli Egizi, potevano respingere indietro la nave sulle coste della Cilicia. Potremmo essere di fronte a una paretimologia del tipo di ἑλέναυς detto di Ἑλένη in Ag. 469, ‘Elena distruttrice delle navi’: qui l’aggettivo viene interpretato sulla base dell’omerico ἀήρ, “mist, haze”, cf. Il. 5. 776 περὶ
ἔχευεν, Od. 7. 14 s.
ἠέρα
. E’ vero che LSJ intende semplicemente ἀέριος “in the air”, ma per il derivante ἀήρ il valore di “nebbia” è costante in Omero e in Esiodo, come avviene per altri derivati, cf. Od. 2. 263 ἐπ’ ἠεροειδέα πόντον (5 x Od.), Od . 3. 294 ἐν ἠεροειδέϊ πόντῳ (6x Od .), Od . 11. 57 ὑπὸ ζόφον ἠερόεντα ( ὑπὸ/ποτὶ 3 x Od. ): ἀερίαισιν indicherebbe così un elemento inquietante di pericolo, molto più significativo di una semplice notazione geografica48 . Nel manoscritto seguono quattro versi attribuiti all’araldo degli Egizi (87275): Oberdick suggerì di scambiare la collocazione tra questi e 882-84, senza altra giustificazione se non che la trasposizione era suggerita dal contesto49; FJW portano tuttavia argomenti in favore di questa operazione, cioè che se 882-84 segue 871, l’araldo apre i suoi giambi ricapitolando in forma distesa gli argomenti espressi dai suoi compagni, secondo la struttura dispositiva in cui un personaggio ripete in versi giambici le espressioni liriche espresse in
45. PALEY 1844, 130; HERMANN 1849 II 44.
46. BADHAM 1865 VI. Ringrazio Antonella Candio, che mi ha trovato in archive.org il file del libro di Badham.
47. Cf. FLEMING 2007, 95; LOMIENTO 2015.
48. Anche se spesso Eschilo non disdegna queste precisazioni, cf. FJW “the similar effect of the ethnical detail included in the wish Ch. 345-7
also the geographical fixation of the scene in Ag. 190s.
followed immediately by the particularization of the wind necessary to prevent the Greek fleet from crossing to Troy,
e cf. i molti dettagli di località nelle descrizioni delle peripezie di Io nel Prometeo, vv. 676 s., 707-35, 790-815, 827-47.
49. OBERDICK 1869, 174: «in den Handschrift folgen nunmehr die drei Verse des Herolds ἴυζε
Der Zusammenhang ergibt aber klar und deutlich, daß wir hierhin die folgenden drei
stellen haben».
Suppl. 825-902
tono più concitato da lui o da altri: questo argomento stilistico però difficilmente può essere considerato cogente. Aggiungono che l’apparente allusione a maltrattamenti fisici del v. 877 ( λύμα -) sembra riferirsi alla minaccia dell’araldo al v. 884, ma questa è un’impressione, né è facile fondarsi sul v. 877, il cui testo è incerto, crocifisso da molti tra cui gli stessi FJW. Inoltre, per i nostri commentatori, se 872-5 seguono 881, il v. 872 κάλει θεούς allude al desiderio espresso a 879-81 (ὁ μέγας Νεῖλος ὑβρίζοντ’ ἐπιτρίψειεν ἄϊστον ὕβριν)50: in effetti, con la traiectio, κάλει θεούς viene a trovarsi dopo l’invocazione al grande Nilo 51 , ma la prima invocazione diretta a un dio, οἰοῖ πάτερ, che qui sarà Zeus, è ancora più oltre, al v. 885. Fino a quel momento si incontrano espressioni di desiderio, come μήποτε πάλιν ἴδοις (854),εἰ γὰρ δυσπαλάμως ὄλοιο (867), λάσκοις o che sia (877) e ὁ μέγας Νεῖλος
ἐπιτρίψειεν (879): in ogni caso κάλει θεούς (872) non segue una invocazione agli dèi, con o senza traiectio52. Mi riprometto di approfondire il problema aperto dall’intervento di Oberdick, ma per il momento non sono particolarmente convinto della sua proposta.
Ai vv. 872-75 l’araldo degli Egizi avverte le Danaidi che le loro preghiere saranno inutili, e che non potranno sfuggire alla nave che le riporterà in Egitto. I primi due trimetri non creano problemi testuali: ‘grida e strilla e invoca gli dèi; non sfuggirai la nave egizia’53; ad essi segue un terzo trimetro, ἴυζε καὶ βόα πικρότερ’ ἀχέων (wqwq, wqwww, qwq ), che potrebbe significare qualcosa come “lamenta e grida risuonando in modo assai aspro”, ma è certamente un problema aperto, mentre ben distanziato da uno spazio, sulla destra si legge οἰζύος ὄνομ’ ἔχων, che potrebbe essere una glossa del successivo v. 876 οἶ οἶ οἶ οἶ οἶ, e alludere in qualche modo, perché difficilmente si può indicare un referente di ἔχων , al fatto che questi suoni esprimono il nome dell’οἰζύς54
50. Con un’ipotesi nell’ipotesi, essi assumono che la divinità di cui si parla non sia il Nilo («of whom would hardly speak lightly») ma Zeus («of whom he might well do so»): in realtà l’araldo dice semplicemente che a nulla serviranno le invocazioni agli dèi, con un atteggiamento di hybristès che ricorre anche altrove in Eschilo, cf. la dichiarazione orgogliosa del Titano in PV 938, ἐμοὶ δ’ ἔλασσον ∆ιὸς ἢ μηδὲν μέλει.
51. Cf. la n. precedente e infra la discussione del problema relativo al v. 880.
52. Secondo FJW infine κάλει θεούς deve riferirsi alla preghiera formulata in 811s., che l’araldo non ha ascoltato; ma è invece legittimo pensare che, quando gli Egizi arrivano per portar via le Danaidi, si attendano da quelle l’atteggiamento normale del debole che in difficoltà invoca gli dèi: non è per nulla necessario che l’araldo faccia riferimento a una particolare preghiera.
53. FJW 1980 intendono Αἰγυπτίαν, ‘di Egitto’, piuttosto che ‘Egiziana’, richiamando a confronto Il. 2.54 Νεστορέῃ παρὰ νηΐ. Mi pare che il parallelo non funzioni: qui si tratta dell’origine della nave piuttosto che della sua proprietà. Invece non mi è chiaro Αἰγύπτιον del testo di Sommerstein.
54. Sono debitore di questa lettura originale di M a Liana Lomiento; su ἴυζε καὶ βόα già Hermann sollevò sospetti (Hermann 1849 II 45 s.), mentre FJW e West li crocifiggono, Sommerstein li ignora semplicemente; infine FJW 1980 III 213 ss. forniscono una rassegna dettagliata dei numerosi tentativi di restaurare la sequenza πικρότερ’ ἀχέων οἰζύος ὄνομ’ ἔχων, concludendo eloquentemente “it is not surprising if even the best of the numerous attempts of restoration are unconvincing”, mentre West e Sommerstein la includono inte-
L’antistrofe, intonata dal Coro, inizia con un lamento, οἰοῖ, οἰοῖ, che fortunatamente non crea problemi; nelle parole che seguono gli editori più recenti, West e Sommerstein, distinguono concordi λύμας, ‘gli oltraggi’55, ma poi M ha ισὑπρογασυλάσκει, con οι aggiunto alla fine supra lineam. West negli Studies pensa a qualcosa come Κυπρογένει’ ἱλάσκου , un’invocazione ad Afrodite perché sia mite, e richiama a confronto un frammento, probabilmente da un epitalamio, di Partenio, Suppl. Hell. 649 ἵλαος ὦ Ὑμέναιε56. Qui non sembra proprio che ci sia l’atmosfera di un canto imenaico. In Partenio pare che una donna chieda al dio dell’unione sessuale di non essere troppo violento57, cioè di non farla soffrire nella deflorazione, mentre le Supplici urlano e si disperano all’idea di essere deflorate. Opportunamente West non riporta a testo la sua congettura, e stampa per questo verso e l’inizio del seguente †ισὑπρογασυλάσκει58 / περικαμπτὰ†; Sommerstein invece preferisce la ricostruzione di Friis Johansen59 λύμας
λάσκοις, ‘vorrei che tu latrassi i tuoi oltraggi sotto terra’: sono incerto, anche se la proposta mi attira, e metricamente darebbe una corrispondenza esatta con la strofe. Nei versi che seguono, abbiamo solo ipotesi per περιχαμπτά e ὃς ἐρωτᾶς: preferisco, con gli altri editori, segnare queste parole con le croci60; βρυάζεις, ‘sei insolente’ è chiaro ma resta decontestualizzato; infine si ha chiaramente espressa una maledizione, ὁ μέγας Νεῖλος
ἐπιτρίψει-/εν ἄϊστον ὕβριν, dove ἐπιτρίψειεν è correzione di Portus per ἀπὸ τρέψει/εν di M, ‘distolga’, meno convincente di ἐπιτρίψειεν, ‘distrugga’ di Portus, con ἄϊστον predicativo del verbo reggente: ‘il grande Nilo possa calpestare, annientandola, la tua arroganza’. West tuttavia non è convinto:
«i) the Nile appears elsewhere in the play as a source of life and growth (...): it is perhaps divine, as other rivers are divine, but it is no part of its function to deal with men who commit ὕβρις; ii) The Nile cannot pos-
ramente fra cruces. Forse la lettura della Lomiento non risolve tutti i problemi, per ora, ma potrebbe essere una via originale per avviare a soluzione un indovinello che finora ha deluso tutti i tentativi di venirne a capo.
55. Invece FJW 1980 III 206 dividono λύμασις ὑπρογασυλάσκοι, ma segnano cruces prima di λύμασις fino a περιχαμπτά del v. seguente, e definiscono il testo del ms. «the transmitted gibberisch».
56. WEST 1990, 161; nell’edizione si trova un compendioso riferimento in apparato.
57. Cf. REITZENSTEIN 1900, 98 n.1.
58. Come si è detto, οι è nel ms. sopra ad ει, di cui costituisce evidentemente variante, e così è riprodotto da West e Sommerstein.
59. Non riportata a testo in FJW, dove è riferita nel commento a p. 208, insieme a λύμας εἴθ’ ὑπὸ γᾷ σὺ λάσκοις di M. Schmidt come «a restoration of unconventional type», meritevole comunque di considerazione.
60. FJW 1980 III 37 forniscono una nutrita serie di congetture per questo luogo: «Here is a selection of conjectures: ἐριώλαις Burges, ὃς ἐπωπᾷ σ’ Bamberger (δ’ Martin), ὁ δ’ ἐπώπας Oberdick, ἐπαρωγὸς δ’ Donner, ὁ δὲ βώτας Hermann, εὐρώτας δ’ Todt»: tra queste hanno una certa attrattiva ὃς ἐπωπᾷ δ’ di MARTIN 1870, accolto a testo da Murray, oppure, meglio anche dal punto di vista paleografico, ὃς ἐπωπᾷ σ’ (BAMBERGER 1866 [1842], 132) ripreso da Wilamowitz. Il tema della ὄπις θεῶν ha in Eschilo, in particolare in questa tragedia, una rispettabile importanza.
sibly act anywhere but in Egypt. The Danaids might concevably pray for it to withdraw its blessings from these Egyptians after their return home, but it makes no sense for them to ask it to avert the outrageous behavior which threatens them imminently on Argive soil».
Quindi, «if Νεῖλος is an intrusive gloss, what has it displaced? The only plausible answer I can offer is Πότμος», e alla sua audace congettura trova appoggio in Pind. Pyth. 3.86, ὁ μέγας Πότμος «where it seems to mean ‘good Fortune’; in Aeschylus, if I am right in restoring it, it will have a sense corrisponding rather to Πότμος ἄναξ in Pind. Nem. 4.42». Sommerstein condivide questa proposta. Io no, e cercherò di dire perché.
Le Danaidi, native dell’Egitto, chiedono l’intervento del Nilo contro una violenza che ricevono da altri egiziani: il Nilo è protettore dell’Egitto e della sua gente, e, per proteggere le Danaidi, non deve tollerare la ὕβρις degli Egizi. Sul fatto che il potere del Nilo sia limitato all’Egitto, West potrebbe aver ragione, ma mi chiedo se le Danaidi, disperate, dovessero preoccuparsi di questi problemi di competenza territoriale: per quanto sia stato osservato autorevolmente che le strutture narrative e le ‘figure’ dei personaggi in Eschilo hanno limitata consistenza, non credo che il poeta si sia spinto a tanto 61. Così anche le Supplici, anche se arrivando e augurando benefici ad Argo hanno reso doveroso omaggio agli dèi argivi, quando il pericolo le incalza si rivolgono al loro santo protettore. Se poi Eschilo avesse ripreso qui, a dieci anni di distanza, Pind. Pyth. 3.86, probabilmente del 47462, ne avrebbe rovesciato il senso, che non sarebbe stato certamente ‘good Fortune’; è pur vero che πότμος, formato dalla radice di πέτομαι, è per natura una vox media e può ammettere un senso inverso in diversi luoghi, ma ciò non toglie che se Eschilo avesse ripreso a dieci anni di distanza la stessa frase, con un senso nettamente diverso, le avrebbe dato un sapore marcatamente parodico, il che sarebbe molto strano, ancora più strano dato che πότμος non è un termine frequente nel suo lessico, quindi sarebbe probabilmente prelevato da Pindaro. Per questo credo che ὁ μέγας Νεῖλος debba essere mantenuto al v. 88063 .
61. Cf. DAWE 2007 (1963), 17-62.
62. BOWRA 1964, 404 e 413.
63. Il ms. ha al v. 881 ἄϊστον ὕβριν, FJW crocifiggono ἄϊστον, West stampa ἄϊστον ἄτᾳ, Sommerstein ἄητον ὕβριν. La spiegazione di queste proposte sta nel commento di FJW 1980 III 211: ἄϊστον non potrebbe essere predicativo dell’oggetto di ἀποτρέψειεν; ma questa obiezione non può valere per ἐπιτρίψειεν, e non riesco a vedere come si possa dire che ἄϊστον, riferito a ὕβριν, sia «linguistically suspect», né ha senso dichiarare «not very plausible» che le Danaidi si augurino l’annientamento «of the ὕβρις and not of its practiser»: la metonimia è un procedimento corrente nella lingua poetica di antichi e moderni, presente in questo stesso stasimo al v. 832. Gli stessi FJW forniscono ancora una larga scelta di soluzioni alternative: «ἄσωτον (HFJ: cf. Ag. 1597) is in this respect better than (e.g.) ἄλαστον (Hermann; cf. Pers. 990) or ἀπευκτόν (EWW, cf. 790, Ag. 638). ἄνοιστον (Margoliouth) = ‘intolerable’ would be unparalleled, see LSJ s.v.; ἄατον (JFJ1) has inadequate support from Hschl A. 1524 ἀήτους: μεγάλας.
Ἀθάμαντι». Credo che si possa mantenere ragionevolmente la lezione di M, come ho indicato supra considerando ἄϊστον come predicativo di ὕβριν e traducendo, come ho fatto: ‘il grande Nilo possa calpestare, annientan-
L’araldo egiziano riprende la parola ai vv. 882 ss., βαίνειν
οὐδάμ’ ἄζεται, che non presenta grossi problemi testuali64, se non il termine ἀντίστροφον , che è stato corretto in ἀμφίστροφον sul fondamento dello scolio
ἀμφιέλισσαν e dell’Etymologicum Gudianum 261.2365. Secondo FJW, il testo del manoscritto «yields no possible sense; there is no evidence that this word can mean “turned about, ready for her homeward voyage” (Rose)»66. Per loro, lo scolio βᾶριν ... ἀμφίστροφον parafrasa la formula epica νηῦς ἀμφιέλισσα, con 19 esempi in Omero, e quindi si pongono il problema di come Eschilo avrebbe potuto intendere questo appellativo. Essi ricorrono per questo ad Apollon. Lex. 26.1 ἀμφιέλισσας: επιθετικῶς
, intendendolo sul fondamento dello scolio omerico a Il . 2, 65 Σ ἀμφοτέρωθεν
καὶ ἐρεσσομένας , e concludendo «on this evidence ἀμφίστροφον should mean either ‘with rotation (of oars) on both sides’[...], presumably with reference to the oars directing the ship». Ma anche adottando la testimonianza della tradizione indiretta, che cosa potrebbe dire in questo caso che la nave è disposta a ripartire in senso inverso? Non possiamo che ricordare i discorsi dell’araldo, che incalza le Danaidi perché facciano presto 67 , restaurare ἀντίστροφον del manoscritto, che etimologicamente può dire ‘volta in direzione opposta’ e avremo un aggettivo funzionale al contesto tragico: la nave è pronta per riportare le Danaidi in Egitto68
Resta la terza coppia strofica, con intercalati due versi pronunciati dall’araldo egizio. Ai vv. 885 s. in M si legge οἰοῖ πάτερ, βροτιοσα / ροςαταιμαλδαάγει; lo scolio ha ἡ
πάτερ sarà verosimilmente Zeus, cf. 892 (FJW e Sommerstein) 69. Sul fondamento dello scolio e dal confronto con Eust. 1422.19 ἄρος τὸ ὄφελος παρ’ Αἰσχύλῳ ἐν Ἱκέτισι , Abresch ha ricostruito βρέτεος ἄρος , generalmente condiviso; quindi da dola, la tua arroganza’. A proposito di 854 s. e del Nilo, FJW 1980 III 191 osservano che «the introduction of Nile in both antistrophes (855-7, 879-80) is suggestive». Non è certo una prova per mantenere il testo tramandato ὁ μέγας Νεῖλος, ma un indizio che si aggiunge a quelle che a me sono parse prove.
64. Il groviglio οὐδαμάζεται è stato opportunamente diviso già da Pauw.
65. βᾶρις: ... τὸ
66. ROSE 1957, 73: «edd. since Porson mostly prefer the Sch.’s reading; I incline towards the other, seeing little force in an epithet which seems to mean that the ship can go either way».
67. Cf. 838
68. ‘Contrario’ in senso logico è tra i significati indicati da LSJ 163: Eschilo lo ha applicato invece in senso proprio. Linguisticamente è importante l’osservazione di FJW 1980 al v. 884: « The Herald’s sarcasm expresses itself in an urbane generalization characterized by personification ( ὁλκὴ ἅζεται ), didactic over-emphasis ( οὔτι ... οὐδάμ’ ) ed elevated diction (ἅζεται)»; quest’ultimo concetto è chiarito dal rilievo che segue: « the insertion at the end of the sentence of this high-style epicism, only rarely used by Aesch. in iambics (cf. 652n. ἅζονται), creates a baroque contrast with the ignobility of the content».
69. Pure molti moderni commentatori e traduttori intendono πάτερ per Danao.
Suppl. 825-902
βλάπτει με dello scolio Wilamowitz ha ricavato l’ipotesi che il manoscritto dovesse avere ἀτᾷ μ’: così aveva inteso Musgrave suggerendo ἀτᾷ μ’ ἅλαδ’
ἄγει, accolto da FJW; per conto suo, Bamberger ha corretto ἀτᾷ in <μ>ατᾷ, e troviamo questa congettura in West e Sommerstein70, integrata da <βίᾳ δέ> (West) per avere un senso compiuto: βρέτεος ἄρος / <μ>ατᾷ· <βίᾳ δέ> μ’
ἅλαδ’ ἄγει71, ‘il soccorso dell’immagine mi inganna72, e a forza mi trascina verso il mare...’. Le parole che seguono sono intelligibili, ἄραχνος ὣς βάδην/
ὄναρ ὄναρ μέλαν , ‘come un ragno, passo per passo, un sogno, un sogno nero’. Si potrebbe però forse avere una integrazione meno costosa se tenessimo il testo stampato ultimamente da FJW, βρέτεος ἄρος / γ’ἀτᾷ μ’· μ’ ἁλάδ’
ἄγει, ‘il soccorso dell’immagine è la mia rovina, e mi trascina verso il mare ...’. Riguardo all’azione, FJW 1980 osservano: «it is clear from these lines, as well as from 895-7, that the Herald, and probably his men, are now approaching the altar in order to carry out a forcible abduction of the girls; see further 905n., 886-7 ἄγει ... βάδην appears to be an exaggeration, cf. 895 πέλας, but may refer to movements executed by the two choruses». Essi hanno ragione parlando di ‘esagerazione’, e potrebbero aver ragione anche suggerendo che si tratti dei movimenti dei due cori, che mimano il ratto: potrebbe certo esser così; ma c’è anche la fantasia stravolta delle Danaidi, che percepiscono l’avvicinarsi (πέλας) degli Egiziadi come se essi le stessero trascinando passo passo (βάδην) verso il mare.
L’efimnio che segue, μᾶ γᾶ, μᾶ γᾶ, βοᾶν φοβερὸν
γᾶς παῖ, Ζεῦ, che potrebbe essere tradotto: ‘o madre terra, o madre terra, allontana il terribile βοᾶν, o Zeus Padre, figlio della Terra!’73. Costituisce problema βοᾶν, riaccentuato da Pauw in βοάν, che secondo lui significava duellum, «id est, vim terribilem. Scis, βοαν pro pugna, tumultu, vi, aliisque, quae comitantur, sumi» 74; Wecklein, che lo ha ripreso, argomenta « βοὴν φοβερός wie βοὴν ἀγαθός»75. Questa scelta testuale fu accolta da Wilamowitz, ma considerando
70. ABRESCH 1743 II 199, Musgrave ap. West app., WILAMOWITZ 1914, 370, BAMBERGER 1866 (1842), 132.
71. Sommerstein lo segue anche in questa congettura.
72. Si tratta di un’espressione compendiosa che deve essere intesa: ‘il soccorso che mi aspettavo dagli dèi, le cui immagini io supplicavo, mi delude’; con la stessa compendiosità soggetto di ‘a forza mi trascina’ non sono gli Egiziani, ma gli dèi che abbandonano nelle mani di quelli le Danaidi.
73. A questo proposito FJW 219 annotano: «this ephymnion invokes the same gods as does the third stasimon, Ge (cf. 776) and Zeus (cf. 816); but the description of Zeus as γᾶς παῖ shows that Ge is viewed as Mother Earth than as the land of Argos, and Zeus as the universal father rather than as the Danaids’ ancestor, though there may be a degree of ambiguity here»; queste distinzioni teologiche nascono da un esprit de géométrie estraneo alla religione greca: l’ambiguità in quest’ultima è la norma, ed è possibile che la connotazione (non la denotazione!) propenda verso l’uno o l’altro polo a seconda dal sentimento o dall’interesse di chi nomina o invoca la divinità.
74. PAUW 1745, 1091 s.; egli rifiuta l’idea delle grida dell’araldo, giacché «non clamat Praeco, non clamant Aegyptii»: questo argomento verrebbe meno con l’attribuzione di 825 s. agli Egizi.
75. WECKLEIN 1902, 104.
φοβερός femminile 76 , βοὰν φοβερόν , come poi Murray; Page crocifigge βοᾶν. FJW sospettano l’espressione,
«less suspect than 635 ἄχορον βοάν, since φοβερός is not an ἀ- privative compound, and the general quality ‘fearful’ may be said to subsume one category of cries, but it is still strange because in its normal meaning, exemplified here, φοβερός, unlike the adjs. which are normally combined with an acc. of respect (ἀγαθός, κακός, μικρός, ὠκύς, etc.) does not simply denote a quality but carries a pass. verbal meaning (‘feared’, ‘to be feared’): if the nearest Aeschylean parallel to βοὰν φοβερόν, Pers. 27 δεινοὶ ... μάχην, is not alltogether a reassuring one, it is exactly because in Attic δεινός does not normally carry a corresponding verbal meaning»;
quindi passano in rassegna le altre soluzioni proposte. Il trasmesso βοᾶν non può essere connesso con φοβερόν, se non nel senso qui inaccettabile (e probabilmente forzato) ‘spaventato delle grida’, ma φοβερός è colui che fa paura, non colui che ha paura; l’interpretazione di Wilamowitz è criticabile perché «one does not ‘drive away’ a sound in Greek any more than, e.g., in English»; «Oberdick (followed by Mazon) reads βόαν (Stanley77) = ‘den Scheier’, but this word cannot prove to have existed in Greek and would be an abnormal formation»: la prima obiezione non ha senso per un poeta in cui sono attestate più di 1500 neoformazioni, per lo più però mostruose, a differenza da questa, ma la seconda può essere criticata: Chantraine 1933, 26 ss., elenca una serie di maschili in -α, tra i quali alcuni connessi con verbi in -άω: Ἁιδοφοίτης, ἱππονόμας, in cui -α- ha nello stesso tempo la funzione di radicale (in questo caso sarebbe βοα-) e di suffisso. La difficoltà per me insormontabile è ci attenderemmo un articolo, trattandosi di persona determinata: ‘den Scheier’, o un infinito (‘il gridare’). Inoltre Headlam ha accolto βόαν, pensando al serpente boa, noto da Plin. nat. 8.37: ma FJW osservano che nulla fa pensare che derivi dal greco, né ci sono tracce di questo nome né in greco né in egiziano 78. Questa obiezione è decisiva. Infine viene presa in considerazione la proposta di Hermann βοᾷ, che semplificherebbe la sintassi, come in Th. 2. 98. 4 πλήθει φοβερώτατος: essa è stata accolta nella traduzione di Headlam, ‘drive him away fearful by thine aid’79, che però dà a βοᾷ un significato sconosciuto, ma è significativa «as ab attempt to achieve what
76. WILAMOWITZ 1914, 370 app. «terribiles eos clamores edunt Aegyptii isti, dum impetum in puellas faciunt. Ideo vociferantur virgines. φοβερός femininum ut φανερός Eur. Bacch. 993, Ag. 328».
77. FJW 1980 III 220; ma non pare esatto: STANLEY 1663, 618 s. ha βοᾶν φοβερόν, e traduce clamorum terrore, mentre nelle annotazioni inedite pubblicate da Butler negli anni 180916 aggiunse «pro βοᾶν φοβερόν lege
» (nell’edizione di HALLE 1832 sta alla p. 709).
78. HEADLAM 1904, 242.
79. HERMANN 1849 II 46; HEADLAM 1900, 36.
Aesch. Suppl. 825-902 25
unfortunately seems to be an impossibility, viz. a logical connection between φοβερόν and 893 οὔτοι φοβοῦμαι κτλ .». Seguono ulteriori riflessioni: βοᾷ può anche essere inteso come una forma verbale, cioè: βοᾷ φοβερόν· ἀπότρεπε, ma: a) φοβερόν sembra non attestato, per quanto il tipo sia normale, cf. KG. I.309; b) βοᾷ φοβερόν può essere considerato come un’informazione ovvia da parte delle Danaidi alla terra; c) tutta l’espressione suggerisce timore del chiasso dell’araldo piuttosto che della sua violenza. Queste ultime osservazioni non mi sembrano decisive, soprattutto l’ultima. Tuttavia, di fronte a questo problema, preferisco mantenere βοᾶν del manoscritto, indicando le mie incertezze con le cruces desperationis80 L’araldo replica a questa strofe con due trimetri: οὔτοι φοβοῦμαι τοὺς δαίμονας τοὺς ἐνθάδε· οὐ γάρ
θρέψαν,
τροφῇ, riprodotti nella forma con aumento μ’ ἔθρεψαν οὐδ’ ἐγήρασαν da tutti gli editori fino a FJW, secondo lo scolio εἰς γῆρας μ’ ἤγαγον ; per il senso, basterà citare la traduzione di Mazon: «va, je ne crains pas les dieux de ce pays: ils n’ont élevé mon enfance ni nourri mes vieux jours»; una nota dello stesso rinvia per lo stesso atteggiamento al v. 92281 .
FJW concludono che
«1) neither the sigmatic aor. nor any other form of γηράσκειν or of γηρᾶν or of any on their numerous compounds [...] is ever attested as trans. [...]. 2) With ἐγήρασαν, the meaning of the line must be: ‘I have not lived in Argos either in my youth or in my old age’ (cf. Ch. 908 ἐγώ σ’ἔθρεψα, σὺν δὲ γηράναι θέλω82), but then τροφῇ is not a witty reinterpretation of ἔθρεψαν (see above), but disturbing tautological».
Il secondo argomento non tiene conto dell’accumulazione di sinonimi che è una caratteristica dello stile eschileo, ma il primo deve essere preso in considerazione.
West ha ripreso l’ argomento del valore intransitivo di γηράσκω , ma ha obiettato a FJW che essi
«adopt Peiper’s ἐγήρασ’ ἂν, which is supposed to mean ‘I would not have reached old age on their nurture’, a ‘sneer at the poverty of Greek diet’. This is far-fetched, and still leaves us with the awkward reference to the Herald being elderly. Johansen-Whittle also consider A.Y. Campbell’s οὐδέ γ’ ἤρεσ’ ἂν τροφή, ‘nor indeed would I have found
80. Seguo in questa scelta West e Sommerstein.
81. Là l’araldo risponde a Pelasgo che lo accusa di empietà:
, e il re gli replica: οἱ
82. Clitemestra, rivolta ad Oreste che la incalza per ucciderla.
. Cf. MAZON 1920, 45.
their nurture of my liking’. But that is of dubious relevance, ant the pairing of τρέφειν and γηράσκειν ought not to be abandoned in view of Cho. 908 ἐγὼ σ’ ἔθρεψα, σὺν δὲ γηράναι θέλω».
Egli ha certamente ragione per l’inadeguatezza dell’argomento riguardo alla povertà della dieta greca rispetto a quella egiziana, che costituisce certo una stranezza, e soprattutto ha ragione a sottolineare che non possiamo ignorare l’esistenza della ripresa della coppia verbale τρέφειν / γηράσκειν nelle Coefore. Tuttavia mi lascia perplesso la proposta alternativa che avanza:
«I suggest γηράσω, ‘they did not rear me, and I shall not be growing old under their care’. The Herald is from Egypt, and he has every intention of returning to Egypt shortly and remaining there; hence the gods of Greece are of no concern to him. The line of the Choephoroi support this, inasmuch as there too the first verb looks back to the past, the second forward to the future»83
Forse le cruces ancora una volta potrebbero essere la dichiarazione della mia perplessità, se non altro per segnalare la necessità di una riflessione ulteriore. Infine, la terza antistrofe inizia con un verso intelligibile, μαιμᾷ πέλας δίπους ὄφις, cui segue ἔχιδνα δ’ ὥς με: ‘il serpe bipede infuria presso di me, come una vipera’. Contro la lezione tràdita FJW osservano che ἔχιδνα è regolarmente usato in paragoni che riguardano donne (cf. Cho. 249, 994, Soph. Ant. 531, Eur. Alc. 310 [...]; non conosciamo il sesso del referente in Hippon. 79.11, ὡς ἔχιδνα συρίζει, mentre ἔχις (non attestato prima di Platone) si trova in similitudini che riguardano uomini, [...], e non ci si attenderebbe qui ἔχιδνα, bensì ἔχις (HFJ): appunto ἔχις essi riportano a testo84. Ma pare che ἔχιδνα, come l’italiano ‘vipera’, non indichi specificamente la femmina di questo serpente. Mi fa piacere che West e Sommerstein, pur non prendendo posizione espressa, nel loro testo abbiano la forma tramandata dal manoscritto85 .
BIBLIOGRAFIA
CH. BADHAM 1865, Plato, Euthydemus et Laches, Jenae et Londini.
F. BAMBERGER 1866 (1842), Opuscula philologica, Lipsiae.
C. M. BOWRA 1964, Pindar, Oxford.
G. BURGES 1821, Aeschyli Supplices, London.
P. CHANTRAINE 1933, La formation des noms en grec ancien, Paris.
83. FJW 1980 III 223, WEST 1990, 165.
84. Mi sembra debole l’argomento addotto per spiegare l’origine di quello che essi considerano l’errore: «The replacement of ἔχις by ἔχιδνα may be connected with the fact that the latter is a notorious Biblical word (once in LXX, 5 times in NT)».
85. Dopo due versi irrimediabilmente mutili, ritorna l’efimnio.
V. CITTI 2006, Studi sul testo delle ‘Coefore’, Amsterdam.
R. DAWE 2007 (1963), «Inconsistency of Plot and Character in Aeschylus», in R.D. DAWE, Corruption and Correction, Amsterdam 2007, pp. 17-62.
E. R. DODDS 1959, The Greeks and the Irrational, Berkeley and Los Angeles; tr. it., I Greci e l’irrazionale, Firenze 1959.
R. ELLIS 1893, «On some fragments of Aeschylus, and on the Supplices», J.Ph 21, pp. 25-36.
TH. J. FLEMING 2007, The Colometry of Aeschylus, a c. di G. Galvani, Amsterdam.
FJW 1980, The Suppliants, by H. FRIIS JOHANSEN AND E. W. WHITTLE, Kopenhagen.
W. HEADLAM 1900, Aeschylus, The Suppliants, transl. by W. HEADLAM, London.
W. HEADLAM 1904, «Notes on Aeschylus» , CR 18, pp. 241-243.
J. G. J. HERMANN 1849, Aeschyli Tragoediae, Lipsiae-Berolini.
L. LOMIENTO 2015, «Eschilo, Supplici 825-902, Considerazioni su colometria e testo», in corso di pubblicazione su Lexis 33.
P. MAAS 19792 (1929), Metrica greca, Firenze (Leipzig-Berlin 1929).
P. MAZON 1920, Eschyle, Les Suppliantes, les Perses, les Sept contre Thèbes, Prométhée enchainé, Paris.
R. MERKELBACH 1974, Kritische Beiträge zu antiken Autoren mit den Fragmenten aus Ekphantos ‘Uber das Königtum’, Meisenheim am Glan.
S. NOVELLI 2012, Anomalie sintattiche e costrutti marcati: l’anacoluto in Eschilo, Tübingen.
J. OBERDICK 1869, Aeschylus, Die Schützflehenden, Berlin.
J. C. DE PAUW 1745, Aeschyli tragoediae, Hagae Comitum.
R. REITZENSTEIN 1900, «Die Hochzeit des Peleus und der Thetis», Hermes 35, pp. 73-105.
A. M. ROGERS 1894, Emendations in Aeschylus, Baltimore.
H. J. ROSE 1957, A Commentary to the Surviving Plays of Aeschylus, Amsterdam.
C. G. SCHÜTZ 1808, Aeschyli tragoediae III, Halae.
A. H. S OMMERSTEIN 2008, Aeschylus, Persians, Seven against Thebes, Suppliants, Prometheus Bound, London-Cambridge Mass.
A. H. SOMMERSTEIN 2010, «Textual and other notes on Aeschylus», Prometheus 36, 1-22.
STANLEY 1663, Aeschyli tragoediae cum versione et commentario, Londini.
N. WECKLEIN 1902, Äeschylus, Die Schutzflehenden, Leipzig.
M. L. WEST 1990, Studies in Aeschylus, Stuttgart.
M. L. WEST 19982 , Aeschylus, Tragoediae, Stuttgart u. Leipzig.
U. VON WILAMOWITZ-MÖLLENDORFF 1914, Aeschyli tragoediae, Berlin.
U. VON WILAMOWITZ-MÖLLENDORFF 1929, «Lesefrüchte», Hermes 64, pp. 458-490.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 29-42
DOI: 10.2436/20.2501.01.48
Dret,
Llei i Poder a la història dels Atrides segons
P. P. Pasolini1
M. Cecilia Angioni
Universitat de Barcelona
ceciliaangioni@gmail.com
ABSTRACT
This study means to research the sense —one of the senses— that Pasolini confers to Atridaes’ history, in his translation of the Orestea of Aeschylus (1960). Following the semantic developement of conceptual meaning such as Right, Law and Power, from Aeschylus to Pasolini, and through the analysis of the textual variations there emerges an original point of view. The principal meaning that underlines the translation is explicitly political and specifically marxist. Moreover, widening the investigation to other work of Pasolini, such as the Pilade (1967, an ideal sequel of the trilogy, completely dominated by a pessimistic — maybe nihilistic— perspective) or to the documentary film Appunti per un’Orestiade africana (1968-69, set in contemporary Africa), the analysis focuses on the principal difference between the ethical and political system of Aeschylus and that of Pasolini. The italian poet considers the Atridaes’ history as a symbolic possibility of a synthesis (the passage from the Erinies to the Eumenides, from the Irrational to the Rational without loosing the archaic point of the mythical past); but, in his text, we can clearly see his point of view, buried before in the original greek text: the synthesis —the Rational— is at the same time irrational and outreageous, still archaic but totally new. This synthetic possibility cannot exist in the contemporary world (capitalistic as it is and a world wich is based on consumerism). The drama of Orestes (and of all human beings) ends in the only way it can: the ethical and political disaster of the Pilade. If not we have
1. Agraeixo de tot cor la revisió del català als amics Felip Giráldez i Puvill i Jordi de la Vega i Garcia.
30 M. Cecilia Angioni
to move to another world, to another space/time situation, possibly the African one of the Appunti.
KEYWORDS: Orestea, Pasolini, Aeschylus, Pilade
Pasolini, com és natural, quan tradueix l’Orestea interpreta la paradigmaticitat de la història dels Atrides: aquesta, ja des d’ara convé aclarir-ho , és per ell essencialment política, com diu la nota que precedeix la traducció:
«Il significato delle tragedie di Oreste è solo, esclusivamente, politico. Clitemestra, Agamennone, Egisto, Oreste, Apollo, Atena, oltre che essere figure umanamente piene, contraddittorie, ricche, potentemente definite e potentemente indefinite [...] sono soprattutto —nel senso che così stanno soprattutto a cuore all’autore— dei simboli o degli strumenti per esprimere scenicamente delle idee, dei concetti: insomma, in una parola, per esprimere quella che oggi chiamiamo una ideologia»2 .
La ideologia és obertament marxista (sobreposant a la història narrada l’esquema ternari tesi-antítesi-síntesi), que li arriba des de la línia interpretativa de Thomson3. En considerar d’aquesta manera la tragèdia, temes com el dret, el poder i la llei assumeixen un sentit molt particular i es lliguen entre ells de manera original.
El terreny de la recerca serà, a part de la traducció de l’Orestea (feta per a la representació al teatre grec de Siracusa, 1960, amb la direcció de GassmanLucignani), també el drama Pilade (1967), que constitueix una continuació ideal de la trilogia, juntament amb el film documental Appunti per un’Orestiade africana (1968-69)4; ambdós, tot i que a posteriori, reflecteixen la manera d’entendre la història dels Atrides i el seu sentit. El text grec de referència serà el de Mazon5, que Pasolini tenia —diu ell explícitament— al seu escriptori mentre traduïa.
Al llarg de la trilogia hi ha una complicada xarxa de referències a la δίκη; constantment, les accions dels herois se’ns presenten com a contradictòries: d’una banda injustes, però alhora ben justes. En Èsquil, almenys segons la interpretació de Di Benedetto6, que comparteixo, aquesta contradicció engendra el patiment a través del qual ha de passar l’aprenentatge: el τῷ πάθει μάθος (Ag. 177) que constituiria almenys un dels missatges ètics que el poeta ens proposa. Èsquil construeix per als seus personatges dues alternatives
2. Cf. la nota de Pasolini a la traducció, a SITI; DE LAUDE 2001, 1007-1009.
3. G. D. THOMSON 1973.
4. A aquestes obres es pot afegir, pel valor documental, també una Nota per l’ambientazione dell’Orestiade in Africa (cf. SITI; ZABAGLI 2001, 1199-1201) i la Atena Bianca, un tema que ha quedat inèdit (cf. ibid., pp. 1202-04).
5. MAZON 1925.
6. DI BENEDETTO 1978, 137-175 i, en particular, pp. 154-156 i 165-175.
Dret, Llei i Poder a la història dels Atrides segons P. P. Pasolini 31
que des del punt de vista del dret resultarien legítimes; tot i així, en presenta una més èticament incorrecta.
Agamèmnon, per exemple, simplificant un discurs que hauria de ser molt més articulat, mata la seva filla per tal de poder finalment portar la guerra a Troia, però, tot i que la guerra fos legitimada per Zeus, l’occisió d’Ifigenia resulta un acte impiu. En la parodos anapèstica el Cor recorda la preparació de l’expedició i compara la ira i la voluntat de guerra dels dos Atrides amb la de dos voltors que veuen llur niada arrabassada dels petits; un déu —Apollo, o Pan, o Zeus— guiarà les Erínies com a compliment de llur voluntat. En aquesta secció de versos els termes que indiquen l’expedició pertanyen al lèxic jurídic (la parella dels Atrides és un μέγας ἀντίδικος al v. 41; la flota és definida στρατιῶτιν ἀρωγήν al v. 47) que subratlla la legitimitat de l’expedició, la qual hom ha de dur a terme perquè ha estat volguda per Zeus7; i, en general, el caràcter jurídic de l’expedició és constantment evocat pels seus participants 8; en un context com aquest, l’Erinis ‘que a la fi puneix’ (v. 58 ὑστερόποινον ), enviada per Zeus, és garant del sistema de justícia. Igual com l’expedició és enviada per Zeus Xenios (v. 70), així també l’Erinis. L’occisió d’Ifigenia, d’altra banda, ens és presentada de manera que tota la compassió de l’espectador es dirigeixi cap a la noia, mentre ens fa sentir un cert rebuig cap al rei9; el canvi en l’ànim d’Agamèmnon, doncs, és ‘impiu, impur, sacríleg’ (vv. 220-21 ἄναγνον, ἀνίερον, τόθεν / τὸ παντότολμον φρονεῖν μετέγνω).
En Èsquil, doncs, independentment de la manera com es vulguin interpretar aquests passatges —i la discussió és oberta i ha produït una plètora de literatura exegètica— és palès que hi ha una problemàtica en la perspectiva de l’acció humana.
Pasolini, atès que dóna la interpretació política que s’ha esmentat abans, deixa de banda aquesta problemàtica, i s’interessa sobretot a veure en la història dels Atrides l’evolució política (la síntesi marxista d’abans) que l’acompanya. L’acció dels personatges és definida per un destí més coercitiu en comparació amb el text d’origen; i l’accent és posat en el com evoluciona la història dels Atrides, cap on evoluciona, i no en el per què. Tot és jugat pel Destí, que és un personatge més del drama, ‘l’instrument escènic’ —per fer servir l’expressió pasoliniana esmentada abans—, potser més rellevant10
7. cf. FRAENKEL 1950, II, 27-28.
8. Cf. per exemple, el v. 451, on els Atrides són dits προδίκοις, el v. 534 ὀφλὼν
pronunciat pel missatger i referit a Paris («condemnat per rapte i per furt» ( RIBA 1934); els vv. 812 ss.
, on Agamèmnon parla de la justícia que dugué a terme sobre la ciutat de Príam. En el primer cas l’adjectiu no és traduït per Pasolini, mentre en el segon, Paris és anomenat «colpevole», i en el tercer, el rei diu que els dèus l’han adjutat a «vendicarmi di Troia». Es passa, doncs, des de l’esfera del dret, de la legalitat, a una altra reglada per una venjança més instintiva.
9. Cf. la disjunció als vv. 206-17 on el segon element, o sigui la mort d’Ifigenia, resulta molt més llarg, i també la cèlebre descripció de la mort de la noia als vv. 227-247.
10. Resultaria aquí massa llarg examinar els molts passatges en què tot això és evident; només s’indicaran, doncs, les referències als versos; cf. Ag. 988-89 P., 1044 P., 1063 P., 1085 P.; Ch. 34 P., 85 P., 149 P., 311 P., 442-43 P., 617 P., 907 P., 912-13 P.
A la traducció de Pasolini de la parodos, de fet, hi ha moltes innovacions respecte del grec:
Un decennio è passato: e Priamo ha fatto esperienza di una coppia spietata di nemici, i due Atridi: 45 muniti da dio d’una doppia potenza, doppio trono e doppio scettro, essi hanno raggiunto la sua terra con mille navi, il cuore ossesso, avidi di guerra: 50 come due avvoltoi —ciechi di dolore sopra il loro nido manomesso— che girano, girano in alto, facendo fischiare al vento le ali pazzi di pena, 55 alla vista, laggiù dei loro figli. E un dio, su loro —Apollo, o Pan, o Zeus— con strilli d’uccello, non sordo a quegli stridi d’umili ospiti del cielo, 60 guida lo spirito delle Erinni.
Agamèmnon i Menelau, μέγας ἀντίδικος (v. 41), són presentats per Pasolini com «una coppia / spietata di nemici: i due Atridi» (vv. 44-45 P.), amb una
Dret, Llei i Poder a la història dels Atrides segons P. P. Pasolini 33
connotació negativa que no hi era, referint-se a la violència ‘despietada’ —que se’n desfermarà— més que no pas a la grandesa i a la terrible i legítima potència dels dos reis. Hom passa d’una perspectiva ‘jurídica’ a una visió en què es materialitza tota la violència de la guerra. Encara, omet el que significava el sintagma στρατιῶτιν ἀρωγήν, o sigui «sostegno di soldati», present en la versió de Mazon («pour prêter à leur cause le secours des armes»); l’expressió μέγαν ἐκ θυμοῦ κλάζοντες Ἄρη, que equivaldria literalment a ‘granment cridant Ares des del cor’, reificant el crit de guerra dels dos Atrides, esdevé «avidi di guerra» i la menció del cor (ἐκ θυμοῦ κλάζοντες) és anticipada i acostada a la idea de l’obsessió, que no era en Èsquil: «il cuore ossesso, avidi di guerra». En la comparació dels voltors Pasolini insereix una connotació arrelada al nucli semàntic de l’obsessió i de l’atrocitat, constants en la traducció: els rapaços són descrits com a «ciechi di dolore», mentre que al grec hi havia el datiu de causa ἐκπατίοις ἄλγεσι, («per l’altíssim dolor»). ἐκπατίος indicava pròpiament una cosa que es queda fora d’un camí i és, doncs, excessiva11, concepte reprès per Mazon («éperdus du deuil»), i d’aquí s’arriba al «pazzi di pena», que no troba correspondència en el vers esquileu (55 P).
La bella metàfora dels rapaços que volen amb els rems de les ales és suprimida; Mazon tampoc la recull i tradueix de manera opaca «battant l’espace à grands battiments d’ailes»; en canvi Pasolini, a través de la duplicació del predicat verbal («girano, girano in alto»), crea una imatge nova i contundent, malgrat que ometi el locus classicus 12 : reforça la sensació d’obsessivitat, aconseguida gràcies a la iteració del verb, que descriu el vol exasperant al cel dels voltors; i a sobre introdueix en el text l’esfera sonora («facendo fischiare al vento le ali»), fent encara més fosca la imatge dels rapaços. Pasolini augmenta l’atmosfera de violència i atrocitat de manera que el presagi de les àligues, la consegüent ira d’Àrtemis, i el sacrifici d’Ifigenia, narrats pel Cor, resultin relacionats en una xarxa de sentit diferent. En Èsquil tot girava significativament al voltant de l’eix central de la dike13 És significatiu que dels vv. 58-59 ὑστερόποινον / πέμπει παραβᾶσιν Ἐρινύν quasi res sobrevisqui en Pasolini. Èsquil deia a l’espectator, des del principi de la trilogia, que el déu envia als transgressors una Erinis venjadora, tot i que tardana (ὑστερόποινον), mentre que el poeta modern conclou ràpidament «[il dio] guida lo spirito delle Erinni», eliminant l’adjectiu ὑστερόποινον, fonamental al text, i modificant el sentit del verb. Mazon també traduïa πέμπει del grec amb un predicat de significat anàleg, dépêcher; el ‘guiar’ de Pasolini, llavors, afebleix el paper de Zeus en la venjança, que seria ‘guiada’ i no puntualment volguda i introduïda per ell: l’acció de les Erínies resulta
11. Cf. LSJ, 515, s.v. «out of common path, excessive».
12. Aquesta metàfora, a través de Virg. Aen. 6.19 («remigium alarum»), arriba fins al dantesc «de’ remi facemmo ali al folle volo» (Inf. XXVI, 125).
13. El sistema de la dike constitueix la malla de referència en la qual el Cor confia per comprendre els fets; aquest sistema conceptual, però, resultarà del tot incoherent, amb la consegüent frustració de la recerca de sentit per part del Cor, cf. BOLLACK 1981, 58 ss.
M. Cecilia Angioniconsiderada, diguem-ne, desarticulada des del molt complex marc jurídicoinstitucional construït per la poesia esquilea.
El dret, doncs, lluny de ser un tret problemàtic, almenys en els termes que proposava Èsquil, esdevé en Pasolini una eina de legitimació del poder a través de la llei; en la societat d’Agamèmnon i Clitemestra abans, i després en la nova que s’instaura amb l’absolució d’Orestes i amb la síntesi de les Erínies en Eumènides.
Aquests dos tipus de poder resulten en Pasolini ben definits: el regnat d’Agamèmnon i el poder de Clitemestra pertanyen a un món ancestral, fosc, ben representat per la irracionalitat de les Erínies. Ja Medda ha assenyalat14 que aquesta personal lectura no troba una efectiva correspondència en el text d’Èsquil; però ara no es tracta d’analitzar Èsquil, sinó l’Èsquil pasolinià.
La perspectiva marxista, on té un paper fonamental una certa dosi d’esquematisme, posa les coses ben clares: a la tesi (regnat d’Agamèmnon i després de Clitemestra) s’oposa l’antítesi a través de l’occisió de la reina. Amb l’absolució d’Orestes, finalment, es passa a la síntesi, reificada en el passatge de les Erínies a Eumènides. Pasolini, de manera constant, quan troba una referència als poders d’Agamèmnon i, després, de Clitemestra, subratlla mitjançant markers semàntics (l’atrocitat, per exemple, o l’obsessió i l’angoixa)15 com aquests poders són alimentats per una irracionalitat sanguinària. En el Pilade (1966-70), el drama que Pasolini escriu com a conclusió de l’Orestea, tot allò que en la traducció quedava forçadament lligat al text d’Èsquil pot esdevenir explícit; el Cor, al principi del Pilade, a la plaça d’Argos, explica el que va passar: els cadàvers de Clitemestra i Egist s’han quedat allí, sota el sol, en una imatge que de manera immediata ens porta al piazzale Loreto de Milà, amb els cossos de Mussolini i de la Petacci penjant:
I corpi di Clitemestra e di Egisto sono rimasti per molti giorni qui, nella piazza, sotto il sole.
Li abbiamo guardati, abbiamo ricordato il nostro passato, l’antico regime.
Poc després Pasolini els defineix «tiranni feroci». La imatge ve clarament de Ch. 973-74 (= 949-50 P.), on davant les portes del palau, Orestes mostra al poble els cadàvers de Clitemestra i Egist: «qui davanti a voi sono i corpi dei due tiranni / che hanno ucciso mio padre e perso la mia famiglia». Els regnats abans del canvi de la societat al final de les Eumènides, per tant,
14. Cf. MEDDA 2006, 114-116.
15. Cf., només exempli gratia perquè els llocs on figuren aquests nuclis semàntics són molt més nombrosos; pel que fa a l’‘atrocitat’, cf. Ag. 112 P., 152 P., 180 P., 399 P., 494 P., 1175 P., 1258 P., 1532 P.; Ch. 983 P., 1020 P.; pel que fa a l’‘obsessió’, cf. Ag. 215 P., 423 P., 465 P., Ch. 34 P., 40 P., 289 P., 335 P., 1040 P.; Eum. 312 P., 355 P.; pel que fa a l’‘angoixa’, cf. Ag. 13 P., 113 P., 453 P., 490 P., 670 P., 881 P., 894 P., 1188 P., 1244 P., 1344 P., 1509 P.; Ch. 93 P., 347 P., 503 P.
Dret, Llei i Poder a la història dels Atrides segons P. P. Pasolini 35
són règims tirànics; els reis són definits com a ‘patrons’, la llibertat té un sentit polític, i termes com ‘serf’ o ‘esclau’ surten de l’esfera concreta del passat grec per ésser considerats des d’una perspectiva, encara, política i de lluita de classes.
Un exemple de tot això es pot trobar en els vv. 916-29 P. de les Coèfores.
Gridate di gioia nella reggia, libera dei gemiti, libera dei sacrileghi padroni che godevano ricchezze avute uccidendo!
Pasolini fa servir la figura de repetició per subratllar el concepte de llibertat: la fugida dels mals i de l’engrunament de les riqueses, ἀναφυγᾷ κακῶν καὶ κτεάνων τριβᾶς (v. 943)16 esdevé «la reggia libera dei gemiti, libera dei sacrileghi / padroni che godevano / ricchezze avute uccidendo»; els dos sacrílegs (δυοῖν μιαστόροιν, v. 944) esdevenen els «sacrileghi / padroni» (vv. 917-18 P.), on el fort enjambement posa en relleu el terme ‘padroni’, que, com en altres llocs 17, transporta de sobte i contundentment els fets del palau dels Atrides dins un context modern de, diguem-ne, una ‘lluita de classes’. Mentre abans la traducció de δόμος era «casa», ara és «reggia», indicant de manera concreta el lloc del poder. Ben vista, però, la perspectiva pasoliniana resulta encara més pregonament influïda pel substrat polític: en Èsquil el punt de partida era la casa, el seu alliberament de la desgràcia i del consum de les seves riqueses per part de Clitemestra i Egist. En Pasolini, en canvi, el punt de vista es focalitza tot sobre els ‘padroni’; els vv. 917-19 P. ens donen la imatge ja no de la casa, sinó d’ells que en gasten la riquesa, i a més, amb un ritme que ho subratlla a través de l’encadenar-se dels enjambement, de manera que els patrons es trobin amb el verb ‘gaudir’ i, paral·lelament, les riqueses (v. 918 P.), en el vers següent, amb el verb ‘matar’ (v. 919 P.). Pasolini dibuixa els sacrílegs que maten per apoderar-se del poder i que gaudeixen gastant la riquesa18 .
El poder de la societat Agamèmnon-Clitemestra-Egist representa una ‘fase’ arcaica19 que s’haurà de sobrepassar. Seran Orestes i Electra, aleshores, els qui podran guiar una ‘revolta’, el capgirament que desembocarà en la instauració de la Raó (finalment el regnat d’Atena a Atenes amb un tribunal fet per homes, amb les Fúries que esdevenen Eumènides). Així, al principi de les
16. Cf. MAZON 1925: «Ah! jetez un cri d’allégresse sur le palais de vos maîtres enfin délivré de ses maux, ainsi que des deux sacrilèges qui, pour dévorer ses richesses, avaient pris un chemin de mort!».
17. Cf., per exemple, Ag. 35 P., 1364 P., 1683 P., 1679 P.; Ch. 23 P., 88 P., 143 P., 917-18 P.
18. Un tema, el del poder desenfrenat en el gaudiment, que serà investigat contundentement en la pelicula Salò.
19.. És remarcable la fascinació que exerceix sobre Pasolini l’‘encant’ d’aquest món arcaic, d’altra banda sanguinari i atroç; cf., per exemple un personatge com Medea: ella també tan arcaica i màgica i alhora atroç i sanguinària.
M. Cecilia AngioniCoèfores, el personatge d’Electra es dibuixa com a solidària amb les seves esclaves —al capdavall en comparteix la mateixa sort— i la seva funció, en la perspectiva marxista de l’estructura del drama, és la d’ajudar el seu germà a subvertir el règim.
Als vv. 84-105 per primera vegada parla la noia:
Donne, povere serve della mia casa, poiché siete venute qui con me a questo triste rito, 95 siatemi vicine, datemi qualche consiglio... [....]
Che cosa devo fare? Compagne, consigliatemi. 111 In questa casa noi coviamo uno stesso rancore.... Ah, non nascondetemi il cuore, per paura. Liberi o servi siamo uguali davanti al destino. Parlate, se avete per me una buona parola! 115
Significativament, Pasolini descriu les Coèfores, en llur relació amb la casa, més com a serves20 —i ‘pobres’, adjectiu d’inserció pasoliniana que remet a un sentiment de pietat21— que no pas com a botí de guerra, com pròpiament indicava el sintagma δμῳαὶ γυναῖκες22. La sort comuna a ella i les Coèfores és afirmada en els vv. 103-04 τὸ μόρσιμον γὰρ
/ καὶ τὸν πρὸς ἄλλης δεσποτούμενον
; l’oposició, en grec, és entre qui és lliure i qui és comandat per la mà d’un altre23, mentre que en Pasolini la frase es fa lapidària: «liberi o servi siamo uguali davanti al destino». Ara, en la reducció de Pasolini es nota en primer lloc el canvi de subjecte; el ‘nosaltres’
20. El incipit grec, δμῳαὶ γυναῖκες (v. 84), qualificava les dones del Cor abans que tot com a ‘captives’ (i així tradueix Mazon), coherentement amb l’esment de la captivitat de les noies dels vv. 75 ss.; Pasolini comença la seqüència, en canvi, amb «Donne, povere serve della mia casa».
21. Pasolini fa servir sovint l’adjectiu per a marcar, de vegades, un to irònic i, de vegades, com aquí, una coparticipació emotiva a l’estat de la persona a qui es refereix: cf., per exemple, Ag. 478 P., 486 P., 688 P., 786 P., 764 P., 1092 P., 1185 P., 1368 P., 1141 P., 1538 i 1567 P., 1565 P.; Ch. 161 P., 167 P., 539 P., 746 P., 982 P., etc.
22. Això, conjuntament amb el tema patró-serf desenvolupat en el principi del drama (cf. vv. 23 P., 87 P., 92 P.), ens proposa una lectura particular de la relació entre Electra i les Coèfores: la noia es dirigeix a elles amb una actitud més participativa que en grec, abans que tot per aquest incipit i, després, al v. 96, amb la requesta «siatemi vicine» que no és en el text grec (on Electra demana a les noies que li siguin conselleres, v. 86 γένεσθε τῶνδε σύμβουλοι πέρι); encara, al v. 111 P. Electra, amb una sol·licitud que sembla sortir-li del cor, demana «Che cosa devo fare? Compagne, consigliatemi»: l’incís ‘companyes’ tradueix el grec ὦ φίλαι («amies» en Mazon) i apropa afectivament la situació de la filla dels reis amb la de les serves, acomunades pel mateix rancor, com és explicitat en el vers següent (v. 101 κοινὸν
, v. 112 P. «In questa casa noi coviamo uno stesso rancore...»).
23. RIBA 1934: «el que és fatal, espera tant el lliure com l’asservit a la mà d’un altre». La perífrasi del segon element (ésser comandat per la mà d’un altre) ja resulta canviada en Mazon, «la même sorte est réservé à l’homme, qu’il soit libre ou esclave au pouvoir d’un maître», amb la inserció dels temes del ‘poder’ i del ‘patró’.
Dret, Llei i Poder a la història dels Atrides segons P. P. Pasolini 37
d’una banda apropa més Electra a les esclaves, d’una altra dóna alhora a la màxima un valor general (hi ha implícit un subjecte com ‘tots nosaltres, els humans’). En queda, per tant, una lapidària oposició entre lliures i serfs. En tots els punts considerats és remarcable que Pasolini no parli de l’esclavitut com a botí de guerra, com era la situació concreta de les Coèfores, sinó que insisteix sobre el tema serf (aquí, v. 114 P.)/serves (v. 94 P.)/servir (v. 87 P.).
La distància és mínima però rellevant. L’esclavatge, que era coherent amb la situació de les noies, captives, esdevé més adaptable en l’escena moderna com als patrons.
Considerem, encara, el passatge on l’Orestes pasolinià descriu els preceptes de l’oracle d’Apol·lo:
Ma anche se non lo facessi, dovrei lo stesso agire: ne avrei mille ragioni: oltre al dolore dovuto agli dèi, c’è il dolore vero, per la morte del padre.
E c’è la miseria vergognosa in cui vivo.
E, soprattutto, c’è il desiderio che finisca per i miei cittadini uno stato di schiavitù: essi, i vincitori di Troia, servi di due donne!
Perchè anche lui, ha un cuore di donna: e se non è vero, lo sapremo presto tutti.
305
El perill a través del qual l’oracle el força a passar (v. 270 τόνδε κίνδυνον περᾶν) esdevé una ‘lluita’ (v. 276 P. «[l’oracolo] che mi ha imposto d’affrontare questa lotta») i quan al final el noi esmenta els ciutadans, ho fa deplorant llur condició de ‘subjectes’ a dues dones (Clitemestra i Egist), δυοῖν γυναικοῖν ὧδ’ ὑπηκόους πέλειν (v. 304); aquí Pasolini amplia el tema traduint ὑπηκόους, ‘sotmesos’, amb «servi» ( v. 308 P.): la lluita contra Clitemestra i Egist es dibuixa no tan sols com una necessitat religiosa, que pertany a l’oracle, sinó també política. A la voluntat del déu, Orestes afegeix la seva (vv. 301 ss.)24, però l’Orestes pasolinià afegeix que els Argius no siguin sotmesos de tal manera a dues dones, dos versos que no tenen correspondència en grec, i que són, doncs, del tot pasolinians «E, soprattutto, c’è il desiderio che finisca / per i miei cittadini uno stato di schiavitù» (vv. 306-07 P.). Mentre que en grec el sentit girava entorn del tema de l’honor25, en Pasolini trobem una altra vegada una perspectiva marcadament política (i, de fet, la victòria d’Orestes es perfilarà, en la interpretació pasoliniana, també com la victòria de la democràcia sobre la tirania).
24. Cf. els vv. 301-05:
25. En grec la oposició és més aviat entre la gloria dels ciutadans vencedors de Troia, dits ‘els més il·lustres entre els mortals’ (v. 302
), que derrocaren Troia amb ‘gloriós esperit’ (v. 303
), i la vergonyosa situació d’ésser subjectes a les dones (v. 304 ὑπηκόους).
La matança dels ‘tirans’, Clitemestra i Egist, és doncs duta a terme pels dos germans al final de les Coèfores, que acabaven amb el fosc esment de la tempesta sobre la casa dels Atrides i amb la pregunta densa d’inquietud sobre on s’acabaria finalment la ira d’Ate.
Pertoca doncs al final del tercer drama, després de la sang deguda, després de la tesi i de l’antítesi, donar pas a la construcció —o millor la ‘utopia’, com s’ha dit26— de la síntesi.
Sobre les Eumènides de Pasolini s’ha escrit molt, perquè justament representen el punt final de l’evolució política segons la qual el poeta interpreta la trilogia esquilea. Pasolini, que en aquest drama s’allunya més que no pas els altres del text d’origen, inserint-hi la seva poesia, intensifica l’aspecte polític d’allò que signifiquen la institució de l’Areòpag i la transmutació de les Fúries.
Com passava amb la qüestió de la dike, en el tema del tribunal deixa de banda la complexitat esquilea i ho considera tot en funció de la reducció esquemàtica que la lectura marxista li imposava: per ell, l’Areòpag representa una democràcia electiva 27 , però, com justament observa Medda 28 , difícilment Èsquil hauria pogut presentar aquell tribunal, que és el que quedava del poder aristocràtic dins el nou context cívic de la polis i que justament el democràtic Efialtes havia limitat poc abans com a símbol de democràcia. I, de fet, en el text, els jutges no són pas elegits; és la mateixa Atena qui els designa. Pel que fa a la transmutació de les Erínies, Pasolini llegeix, potser més proper a Èsquil, una síntesi: elles no es transformen en qualsevol altra cosa, sinó que romanen elles mateixes però amb una actitud diferent; no es tracta d’un capgirament, sinó d’un ‘aglutinament’ d’aspectes nous, pròpiament una síntesi. Tot i això, en Pasolini, com es veu des de la introducció a la traducció29, la dimensió política es fon completament amb la psicoanalítica. La síntesi opera en els dos nivells alhora, com era d’esperar en un poeta on l’heterodòxia marxista arrelava en la constant consideració d’un mateix, en una perspectiva existencial, com a eix central de la interpretació del món. L’excavació en el fons de l’home del segle XX ja es notava en la traducció del tercer estàsim de l’Agamèmnon (vv. 975-1034 = 990-1061 P., i sobretot vv. 995-1000 = 1014-22) on tota la xarxa del coneixement esquileu, en tensió
26. Així FUSILLO 1996.
27. Cf. L’Atena bianca, SITI; ZABAGLI 2001, 1203 i la nota que Pasolini adjuntava a la traducció en què diu: «Atena istituisce la prima assemblea democratica della storia» (SITI; DE LAUDE 2001, 1009.
28. MEDDA 2006, 115.
29. Cf., en la nota a la traducció, SITI; DE LAUDE 2001, 1009: «Tuttavia certi elementi del mondo antico, appena superato, non andranno del tutto repressi, ignorati: andranno, piuttosto, acquisiti, riassimilati, e naturalmente modificati. In altre parole: l’irrazionale, rappresentato dalle Erinni, non deve essere rimosso (ché poi sarebbe impossibile), ma semplicemente arginato e dominato dalla ragione, e così l’irrazionale diventa energia attiva, passione producente e fertile. Le Maledizioni si trasformano in Benedizioni. L’incertezza esistenziale della società primitiva permane come categoria dell’angoscia esistenziale o della fantasia nella società evoluta».
Dret, Llei i Poder a la història dels Atrides segons P. P. Pasolini 39
vers l’adquisició d’una norma ètica30, entre φρένες i καρδία, esdevenia una relació entre consciència i inconsciència (vv. 1018-20 P.: «Il cuore che inconscio danza / alla coscienza del giusto e del vero, / prefigura sempre i fatti reali»)31. A les Eumènides el tema és reprès en la traducció dels vv. vv. 517-25 = 543-54 P. on el Cor proclamava la necessitat de permanència del τὸ δεῖμα en un context civil com a base de la saviesa (σοφρωνεῖν); a Pasolini això es trasllueix en una secció de versos on el nivell polític resulta estrictament entrelligat al psicoanalític:
La tirannia è oscura, ma oscura
è anche l’anarchia: 545
è al sentimento della misura che dio dà forza, vittoria sui contrari.
Non mi stanco di urlare: l’angoscia nasce 550 dall’incoscienza, nasce dalla coscienza quella felicità ch’è la meta mortale.
Aquí, potser, trobem la clau més pregona del sentit que Pasolini dóna a la Orestea: la tirania, com també l’anarquia, resulten dos extrems que no duen a cap lloc. La solució és la síntesi, la mesura, la victòria sobre els dos contraris. I aquests dos tipus de poder estan lligats a la inconsciència que engendra angoixa; la meta, la felicitat està en la conciència, o sigui, en la mesura. Els plans psicoanalític i existencial coincideixen de manera perfecta amb el polític.
Ara, en la conclusió de la trilogia esquilea, aquesta síntesi es compleix, segons Pasolini, gràcies a la intervenció d’Atena, la Raó. Però, malgrat que el text esquileu doni a Pasolini un terreny aprofitable per la seva poètica i una marcada consonància expressiva, de tota manera el limita a significar el que
30. En la trilogia el tema del coneixement és encarat des d’una perspectiva ètica i no merament intel·lectual, per la qual el φρονεῖν i el σωφρονεῖν «coinvolgono in prima istanza il comportamento dell’uomo, nella misura in cui nelle sue azioni egli sa attenersi a una regola di saggezza, di moderazione» (DI BENEDETTO 1978, 140 ss.). En la versió pasoliniana, en canvi, emergeix de manera evident una visió psicoanalítica de la qüestió a través de la força de l’expressió antinòmica, els pols de la qual són l’inconscient i la consciència. El do de Zeus en el cèlebre ‘himne a Zeus’ de l’Agamèmnon, en Pasolini és la ‘raó’ (i no la saviesa, τόν φρονεῖν), i el resultat del procés del sofriment és el ‘saber’ (i no l’ésser ‘savi’, σωφρονεῖν); l’eix del discurs, doncs, és traslladat des d’una norma ‘comportamental’ fins a un procés d’apropració de la raó, que, simbòlicament representada per Atena, s’acomplirà al final de la trilogia.
31. Cf. Ag. 1014-21 P. (994-1000): «E il canto che sgorga / dal nostro profondo / non inganna mai. / Il cuore che inconscio danza / alla coscienza del giusto e del vero, / prefigura sempre i fatti reali. / Ma mi faccio l’augurio / che finisca in niente questo mio disperato pensiero!».
40 M. Cecilia Angioni
conté, tot i que es pugui, com fa Pasolini, arrossegar-lo fins a altres metes interpretatives.
Pasolini, doncs, per a expressar el seu punt de vista ha de crear noves expressions. L’eina expressiva segueix sent Èsquil: com diu en una entrevista32, després d’haver-lo traduït no pot deixar d’expressar el seu propi teatre a la manera esquilea. Però per tornar a parlar d’Argos i dels Atrides el tema ha de ser nou (Pilade) o d’ésser traslladat a un altre lloc i a una altra cultura (Appunti per un’Orestiade africana).
Només en una altra cultura, de fet, la utopia de la síntesi esquilea podria ser possible: l’Àfrica dels anys ’70, encara no del tot afectada pel neocapitalisme imperant a occident, pot ser l’únic lloc/temps on reproposar la mateixa història amb el final ‘progressiu’ que li donava el poeta grec. Altrament, el final ja no podrà ésser aquest i haurà de ser escrit de nou. Així hom arriba a la catàstrofe del Pilade. Aquest drama narra els esdevenivements posteriors a les Eumènides: l’aliança entre Atena i Orestes acaba per produir un benestar nou i feroç, tirànic en l’apropriació de la voluntat fins i tot dels més revolucionaris, i assumeix les formes d’un poder neocapitalista, mentre que Electra retrocedeix fins a revitalitzar aquell feixisme contra el qual tant havia combatut — el vell món de les Fúries. Sol, al bell mig, es queda Pilade, el pur i somiador, la «Diversità fatta carne», l’escàndol —clarament portador de la matriu de l’autor— que no pot fer altra cosa que constatar, conscientement, com qualsevol lluita pel poder duu a dins seu la derrota. Així, es lliura, com succeeix necessàriament a l’home tràgic contemporani, a la inacció33
El punt és la Raó-Atena34. Aquesta, per Pasolini, no coincideix amb la norma ètica que s’amagava al text d’Èsquil, ni amb aquella eina moderna, il·lustrada, capaç de racionalitzar l’existència —i la producció—; es tracta, més aviat, d’una ‘raó passional’: era justament en aquest punt que havia d’acomplir-se la síntesi de què parlava el seu Èsquil. Si tornem al tercer estàsim de l’Agamèmnon resulta evident: el coneixement no és en el σωφρονεῖν esquileu, ni en una raó diguem-ne amb un joc de paraules, ‘racional’, sinó en la relació que el cor, tot i que inconscient, estableix amb la consciència del just i del ver. Aquest tipus de consciència és la meta dels mortals en Eum. 550-54 P. Així era el text d’Èsquil, forçat per Pasolini. Quan, en canvi, és ell mateix que en construeix un de nou, farà explicar a l’Orestes del Pilade , al començament del drama, la síntesi que hauria hagut de desenvolupar-se a partir de la història de l’Orestea:
Folli erano quelle Dee col nome di Furie e folli dovevano restare col nome di Eumenidi.
32. Cf. el documental Il mestiere di Dioniso: Vittorio Gassman e Elena Zareschi, AFI (Archivio Fondazione Inda/Siracusa), 2005, min. 10:48 ss.
33. Cf. VITALI 2006, 55-68.
34. Cf., sobre l’argument, SICILIANO 2006, 69-78.
Dret, Llei i Poder a la història dels Atrides segons P. P. Pasolini 41
Ma la loro follia, da quel giorno in poi, non sarebbe più stata la follia della paura, bensì la follia dell’uomo che sogna: una follia feconda e lieta, sorella delirante e ispirata della Ragione. Questa decisione di Atena era così giusta, che sembrò naturale: e fu subito accolta da tutti.
Così le Furie cessarono di contorcersi e danzarono; cessarono di urlare, e cantarono; i loro capelli si sciolsero lievi come spighe sui lievi colli, intorno ai lievi sorrisi.
La fredda e severa Ragione fu in loro lieve danza. Così danzando se andarono sui monti che circondano lievi le nostre città.
No es tracta de la Raó, sinó de la seva germana, delirant i inspirada, una follia «dell’uomo che sogna / una follia feconda e lieta». Si aquesta no pot ésser, a l’heroi Pilade-Pasolini no li queda cap més solució que deixar el teatre lliurant-se a la inacció:
Sorge il sole su questo corpo degradato Ah, va’! Va’ nella vecchia città
la cui nuova storia io non voglio conoscere.
Perché temere la vergogna e l’incertezza?
Che tu sia maledetta Ragione, e maledetto ogni tuo Dio e ogni Dio.
El sistema dret-llei-poder, juntament amb el sistema existencial entrelligat a aquesta estructura, en Èsquil anava en progressió, és a dir en la confortable possibilitat d’una síntesi; aquesta no sembla ja realitzable per Pasolini en l’únic món en què ens toca viure. La possibilitat de «l’incontro e la compresenza del vecchio e del nuovo a significare que la cosa sacra, una volta dissacrata, non viene meno»35 era evidentement l’eix que apropava tant la sensibilitat pasoliniana al text d’Èsquil — i al tema del mite en general—, i quan aquesta posibilitat no es dóna, a l’home tràgic modern no li queda res més que rebutjar amb força i coratge qualsevol altra solució.
35. Trec aquesta citació (en J. DOUFLOT 1983) d’A. BELTRAMETTI 2012, 87, que tracta magistralment i amb intelligent sensibilitat el tema del vell i del nou en Pasolini, abraçant-ne gran part de la produció lligada al mite grec.
M. Cecilia AngioniBIBLIOGRAFIA
A. BELTRAMETTI 2012, «La storia incomincia là dove finisce», I Quaderni di Dioniso, n. s. 1, pp. 85-94.
J. BOLLACK 1981, L’Agamemnon d’Eschyle, Lille.
V. DI BENEEDETTO 1978, L’ideologia del potere e la tragedia greca. Ricerche su Eschilo, Torino.
J. DOUFLOT 1983 (ed.), Il sogno del Centauro, Roma.
E. FRAENKEL 1950, Aeschylus. Agamemnon, Oxford.
M. FUSILLO 1996, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, Firenze.
P. MAZON 1925, Eschyle, II, Paris.
E. MEDDA 2006, «Rappresentare l’arcaico: Pasolini ed Eschilo negli Appunti per un’Orestiade africana», in E. FABBRO (ed.), Il mito greco nell’opera di Pasolini, Udine, pp. 109-126.
C. RIBA 1934, Èsquil, L’Orestea, Barcelona.
E. SICILIANO 2006, «Pilade, politica e storia», in E. FABBRO (ed.), Il mito greco nell’opera di Pasolini, Udine, pp. 69-76.
W. SITI; S. DE LAUDE 2001 (edd.), Pier Paolo Pasolini Teatro, Milano.
W. SITI; F. ZABAGLI 2001 (edd.), Per il cinema, Milano.
G. D. THOMSON 1973, Aeschylus and Athens, London.
L. VITALI 2006, «La colpa, il sacrificio e il destino degli antieroi», in E. FABBRO (ed.), Il mito greco nell’opera di Pasolini, Udine, pp. 55-67.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 43-58
DOI: 10.2436/20.2501.01.49
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador
Carles Garriga Universitat de Barcelona cgarriga@ub.edu
ABSTRACT
The trial scene in the Eumenides of Aeschylus has been interpreted as a notorious example of tragic ambiguity, where beside the joy remains the ancestral anguish. An unbiased reading of the text and a closer study of the Athenian myths and rituals helps to interpret the scene in a more appropriate manner to the cultural context of Aeschylus.
KEYWORDS: Aeschylus, Eumenides, trial scene, ambiguity
A les Eumènides, Atena organitza el judici en el qual Orestes acabarà sent absolt. L’absolució, efectivament, és necessària, no només per respectar la llegenda, que ja explicava que Orestes havia estat declarat innocent1, sinó també per donar una causa dramàtica a la ira de les Erínies. És clar que Èsquil hauria pogut presentar la transformació de les Erínies i la seva inserció en la vida de la ciutat com a cosa espontània i automàtica a continuació del veredicte, però això hauria causat greus perjudicis tant des del punt de vista de les idees religioses com del de la consistència dramàtica i la versemblança de la tragèdia. En efecte, és pròpia de les Erínies la seva associació amb la contaminació causada pels crims de sang; elles mateixes són tant l’efecte com la causa d’aquesta contaminació. Presents en escena, no poden canviar de caràcter sense que quedi absolutament clar que el seu potencial contami-
1. Però no és del tot segur que hagués estat en un judici celebrat a l’Areòpag: cf. JACOBY 1954, 24-25 (a propòsit d’ Hel·lànic 323a F 1). Per a un resum de les llegendes i la seva relació amb la versió d’Èsquil, cf. PODLECKI 1989, 2-5; SOMMERSTEIN 1989, 1-6.
Carles Garriganant desapareix i passen a ser honorades i venerades per la ciutat que se les farà seves. Així, al diàleg epirremàtic subsegüent a l’absolució, les Erínies canten en dues odes corals el seu despit i les seves amenaces contra la ciutat (vv. 778-793 = 808-823 e 837-847 = 870-880); es refereixen a la seva atimía als vv. 780 (= 810) ἄτιμος, 792 (= 822) ἀτιμοπενθεῖς, 839 (= 872) ἀτίετον, φεῦ, μύσος, 845-47 (= 878-80)2 ἀπό με γὰρ τιμᾶν δαναιᾶν / θεῶν δυσπάλαμοι / παρ’ οὐδὲν ἦραν δόλοι3, on les amenaces prenen la forma de descripció de malalties contaminants i el despit es manifesta sota el signe de la lamentació pel deshonor4: al v. 839 (= 872) l’expressió ἀτίετον, φεῦ, μύσος uneix els dos aspectes, de tal manera que la sutzura que, segons elles, hauria d’haver afligit Orestes, ara recaurà en elles mateixes perquè el crim no ha estat compensat, i no serà fins que elles rebin les honors que els escauen (cf. v. 891 εἶναι δικαίως ἐς τὸ πᾶν τιμωμένη on Atena els pronostica que seran convenientment honorades i v. 894 τίς δέ μοι τιμὴ μένει; on demanen en què consistirà l’honor que els espera) que deixaran de ser agents de pol·lució. Des del punt de vista de les representacions religioses, doncs, es feia imprescindible posar en escena la cerimònia de la transformació de les Erínies, i això només era possible si es posava clarament de manifest que eren agents d’impuresa tant abans del judici com després; una impossible condemna d’Orestes hauria fet impensable qualsevol possibilitat de canvi de les Erínies.
També des del punt de vista teatral l’absolució és necessària. Serveix, com ja he dit, per justificar la ira de les Erínies. Sense aquesta escena, passaríem immediatament a les benediccions finals, i la llargària de la tragèdia s’hauria hagut d’obtenir o bé dilatant l’acció prèvia a l’absolució o bé allargant les benediccions finals: procediments possibles, però que en qualsevol dels dos casos haurien contribuït a fer un espectacle molt menys excitant. Però a part de l’evident pèrdua de l’efecte dramàtic s’introduiria en l’obra un greu problema de versemblança i de motivació, ja que, com es justificaria la presència de les Erínies a Atenes si es tracta d’uns éssers que només es fan presents quan es tracta de venjar els crims? Amb la condemna d’Orestes les Erínies haurien de desaparèixer i no pas restar a l’Àtica, i si de cas hi restarien com a éssers sinistres, que és com han estat presentades reiteradament al llarg de la tragèdia. Tot això són especulacions sense sentit, ja que Èsquil va compondre l’obra que tenim ara i no pas una altra. Però serveixen per insistir en un fet que s’hauria de considerar essencial: Orestes ha de ser absolt perquè la seva absolució és la base per a la transformació de les Erínies.
Legítimament, però potser una mica impròpiament, molts estudiosos han desviat la seva atenció des de la dada essencial, potser perquè sembla massa òbvia, de l’absolució, per passar a fixar-se en els detalls del veredicte: con-
2. Per a la relació de l’adjectiu ἀτίετον, del verb τίειν, amb τιμή, cf. CHANTRAINE 1968-77 s. vv.
3. Per a la colometria, qüestions textuals i interpretació global d’aquests cants, cf. GARRIGA 2010.
4. En els Scholia vetera als vv. 789-90 llegim una apreciació encertada: ἔμιξε
‘ha unit de manera artística la timoría i el thrênos’ (SMITH 1976, 63, ll. 22-23).
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador
45
cretament en el fet que la resolució del tribunal no es produeix per unanimitat sinó que hi ha un empat. A més, s’ha fet servir de matèria de reflexió a fi de trobar-hi indicis per a la interpretació de la tragèdia. Però que hi hagi empat es pot considerar irrellevant si argumentem que no podia haver estat d’una altra manera. Ens podem preguntar si hauria estat possible un altre resultat (descartem, d’entrada, i suposant un total de dotze vots, que la distribució fos 9 a 3, per exemple, i en qualsevol dels sentits: seria complicar absurdament les coses). Si tots els vots haguessin estat contraris a Orestes la condemna hauria estat inevitable, en contra de la voluntat dels déus olímpics i també en contra de la llegenda. Però quin benefici dramàtic n’hauria obtingut Èsquil? Quines paraules hauria hagut de posar en boca d’Apol·lo i d’Atena per fer-los renunciar a les posicions que havien pres prèviament? I, com hauria pogut aspirar a guanyar el premi en el concurs tràgic? Amb l’altra possibilitat, la de fer que tots els vots fossin favorables a Orestes, caldria raonar per què Èsquil s’havia pres tantes molèsties posant un cor en escena per convertir-lo en insignificant després del judici, algun del personatges en escena hauria d’explicar com és possible que molts dels principis morals que les Erínies havien expressat es continuarien mantenint malgrat la seva derrota, i no hi hauria cap motiu per entronitzar-les a la ciutat ni seria versemblant que fos així. I en cap de les dues possibilitats no tindríem l’aítion del vot de gràcia d’Atena perquè ja no seria necessari. El més raonable des de tots els punts de vista és, doncs, acceptar que els termes del veredicte són els únics possibles d’acord amb el plantejament de la tragèdia.
Per tant, l’empat és imprescindible. Però hi ha disputa entre els estudiosos sobre la visualització precisa de la votació. Vota també Atena junt amb el jurat creant així un empat per, a continuació, activar la regla segons la qual en cas d’empat l’acusat és absolt 5 o bé només aplica la regla després que el tribunal humà ha votat a parts iguals? En el primer cas el nombre de jurats humans seria senar; en el segon, parell. Per resoldre la dificultat hauríem de conèixer com es produïa en escena la votació; i per determinar què es veia en escena ens hem de fixar en les paraules pronunciades pels personatges.
Però el text d’Èsquil no és prou clar al respecte i, com recorda TAPLIN 1977, 392, crec que sarcàsticament, «there is a venerable controversy over whether they were an odd or even number». Els termes de la controvèrsia ja apareixen perfectament definits en la que va sostenir HERMANN 1835, 188-99 amb MÜLLER 1833, 161 i MÜLLER 1834, 40-44 (nombre dels jutges senar i parell, repectivament)6; després, sense noves evidències apreciables, reapareixen, volgudament o no, en treballs significatius: GAGARIN 1975 i HESTER 1981 (nombre senar i nombre parell), i PODLECKI 1989, 211-13 i SOMMERSTEIN 1989, 221-26 (nombre parell i nombre senar).
5. Cf. Eum. 741 νικᾷ
codd ἰσόψηφον WEST 1990, 288, basant-se en el fet que Orestes no pot ser dit ἰσόψηφος, sinó que en tot cas ho seria la disputa o el judici; a manca d’un substantiu proper, suggereix ἰσοψήφως o bé, preferiblement, ἰσόψηφον (acusatiu neutre adverbial), interpretant κριθῇ com un passiu impersonal.
6. Per als detalls, cf. FERRARI 1984.
Els espectadors de les Eumènides sabien de quants membres estava format el jurat perquè ho estaven veient. També veien d’una manera o altra con s’efectuava la votació i el recompte. Nosaltres ens farem una imatge de l’escena segons quines siguin les nostres conjectures, i la qüestió és si les conjectures, a part d’orientar en un sentit o en un altre la nostra visualització de l’escena, ens poden donar algun altre tipus d’informació. Jo ho dubto, almenys en l’estat dels nostres coneixements actuals. Si el nombre de jutges humans és parell hi ha un empat, evidentment; si Atena vota junt amb els humans produint així l’empat, la situació és la mateixa, perquè en aquest cas és evident que Atena actua com un humà més7. Per tant, no sembla que el nombre de jurats humans sigui rellevant; a més, si ho fos, hauríem d’esperar que Èsquil indiqués d’alguna manera en què consistiria aquesta suposada rellevància, cosa que no fa en cap moment.
Això no obstant, hi ha hagut qui ha trobat en les particularitats del veredicte indicis per a construir una interpretació general de la tragèdia. En un estudi que ha esdevingut enormement influent, J.-P. Vernant escrivia:
Même chez le plus optimiste des tragiques, chez Eschyle, l’exaltation de l’idéal civique, l’affirmation de sa victoire sur toutes les forces du passé ont moins le caractère d’un constat, d’une tranquille assurance, que d’un espoir et d’un appel, où l’angoisse ne cesse jamais d’être présente, même dans la joie des apothéoses finales (VERNANT 1972 [1981, 25]).
Com explica a la llarga nota que segueix, les ‘apothéoses finales’ són les escenes finals de les Eumènides, i és sorprenent que no intenti superar la dificultat que representa el fet que els termes ‘joie’ i ‘angoisse’ siguin contradictoris; en lloc d’això, la nota comença remarcant precisament les «contradictions entre les dieux anciens et les dieux nouveaux, entre les génˉe nobles et le présent de l’Athènes démocratique du Ve siècle».
Vernant, i amb ell una bona part de les interpretacions recents de les Eumènides, estableix una polaritat entre la persuasió, pròpia d’una societat democràtica presumiblement proposada per Atena en el marc d’un llenguatge civil, i el caràcter violent i primitiu de les Erínies, font d’un terror elemental, necessari tanmateix per a l’existència de la ciutat8. A més, en la seva argumentació el dret de les Erínies —i correlativament el grau d’innocència o culpabilitat d’Orestes— es posa en relació amb la distribució dels vots. Per
7. Cf. SOMMERSTEIN 1989, 225 (que propugna un nombre senar d’humans): «both sides [s.e. Orestes i les Erínies] seem to regard the verdict as that of the πόλις as a whole»; «Athena ... votes as one of the jury»; «the human and divine inhabitants of the πόλις acting as one body».
8. A propòsit d’aquest punt, el revisor anònim em suggereix recordar GERNET 1955, amb els seu treballs «sobre dret i predret a la ciutat, dret de sang i conflictes entre el clan i la ciutat, etc.». Li n’estic agraït, així com a altres observacions seves que m’han permès subsanar algunes errades formals.
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador 47
donar suport a la seva tesi, Vernant, en la mateixa nota, es refereix al moment en què es produeix la votació que acaba amb l’absolució d’Orestes. Fa notar que el resultat deixa encara espai a les Erínies perquè els jutges s’han pronunciat majoritàriament contra Orestes: «les juges humains se sont prononcés à la majorité contre Oreste, puisque c’est seulement le vote d’Athéna qui rend les suffrages égaux» 9; i és la igualtat resultant com a conseqüència del vot d’Atena, continua, la que «l’absout légalement, par une convention de procédure, du crime de meurtre, mais elle ne l’innocente ni ne le justifie»10. És per això que Vernant, després de parlar de les contradiccions entre l’antic i el modern, afegeix: «l’ambiguïté tragique n’est pas liquidée: l’ambivalence demeure»11. Hi hauria, per tant, «une sorte d’équilibre, maintenu entre l’ancienne díkˉe des Erinnyes (...) et celle, contraire, des nouveaux dieux».
Les Erínies conservarien, doncs, el seu antic dret, davant del qual no serveixen ni la philía ni la peitho per mantenir els ciutadans units: «la philía, l’amitié mutuelle, la peíthˉo, la persuasion raisonnée, ne suffissent pas à unir les citoyens en une communauté harmonieuse»; per això, diu més avall, «en face du dieu de la parole, de Zeus agoraíos (974), de la douce Peíthˉo qui a guidé la langue d’Athéna, se profile l’auguste Erinnys, répandant le respect, la crainte, l’effroi».
Aquesta pintura, però, presenta alguns problemes. En primer lloc, com ja he dit, res no demostra que la distribució dels vots emesos per part dels jurats humans hagi de tenir més o menys efecte respecte de l’ambigüitat i les contradiccions. I pel que fa a la descripció de la situació en general, s’ha de recordar que la peitho d’Atena s’exerceix per convèncer les Erínies que no dirigeixin la seva ira contra l’Àtica i que hi restin com a benefactores; la persuasió, doncs, triomfa no contra les Erínies sinó a favor seu, com ho demostra el fet
9. S’inclina, doncs, per l’opinió que el nombre de jutges humans és senar i que Atena també emet el seu vot; per desfer l’empat, hi afegeix el seu vot qualificat. De tota manera, si es creu que el nombre de jutges humans ha de ser parell l’essència de l’argument de Vernant no seria alterada, perquè, com ell mateix diu, en definitiva hi ha igualtat de vots: si el que vol dir és que la ‘ambigüitat’ és causada per la igualtat de vots, no ha d’importar la manera com s’hi ha arribat. En conseqüència, la seva implicació que Atena vota amb els membres del jurat i que, per tant, els humans han votat majoritàriament contra Orestes, és absolutament innecessària.
10. Però la igualtat (íson, iso-) en grec suggereix fortament la noció de justícia: cf. Arist. EN 1131a. Vegeu VLASTOS 1947 i 1953; per a una anàlisi de les imatges de retribució, venjança, justícia i equilibri en la tragèdia grega, vegeu BATTEZZATO 2010, 13-59.
11. Se’ns invita així a interpretar el terme ‘ambigüitat’ com si es tractés d’una categoria tal que permeti acceptar proposicions contradictòries i que serveixi, si és el cas, com a clau interpretativa general de la tragèdia. Per al meu propòsit no és necessari discutir si aquest terme és el més apropiat per descriure el sentit de la tragèdia; per a la resistència a acceptar-ne l’ús, cf. DI BENEDETTO 1995, 188-190. En el que sembla ser un llarg comentari a la nota de Vernant, SEAFORD 1995 (que demostra que Vernant s’equivoca en creure que ha provat que el nombre de jurats humans és senar; però tampoc no és segur que tingui raó quan creu demostrar que és parell) interpreta que ‘ambigüitat’ és sinònim de ‘ambivalència’ (com, d’altra banda fa el mateix Vernant), però tampoc no és del tot clar quina ambivalència hi hauria al final de les Eumènides
Carles Garrigaque accedeixen a romandre a l’Àtica12. D’altra banda, la transformació de les Erínies és per al bé; al final de la tragèdia les Erínies són entronitzades a Atenes com a deesses protectores de la fertilitat, de la prosperitat i de la pau interna. El seu rostre terrorífic no és un fet estrany a la pólis sinó que n’és el fonament, del qual els ciutadans obtindran un guany (vv. 990-91). En la nota i la interpretació de Vernant, com en altres estudiosos moderns, hi ha implícita una estranya fascinació pels aspectes obscurs de les manifestacions culturals. En efecte, si l’argument és que hi ha hagut igualtat de vots, per comptes de dir que «l’angoisse ne cesse jamais d’être présente, même dans la joie des apothéoses finales» hauria pogut dir igualment que ‘la joie des apothéoses finales ne cesse jamais d’être présente, même dans l’angoisse’.
Al final de la nota, Vernant afirma, presumiblement amb el propòsit de situar la tragèdia en un context més general i antropològic, que Èsquil, en associar les Erínies a l’Areòpag i en caracteritzar aquesta institució sota el signe del Respecte (Sébas) i del Terror (Phóbos), no innova, sinó que remet a una coneguda tradició mítica i cultural (la que nosaltres ara coneixem a través de Pausànias I, 28, 5-6, que parla del santuari de les Erínies-Semnaí a l’Areòpag) amb la qual s’han de relacionar les indicacions de Diògenes Laerci a propòsit de les purificacions d’Atenes per obra d’Epimènides, que hauria fet sacrificar moltons blancs i negres deixats anar des de l’Areòpag i que hauria consagrat un santuari a les Eumènides (VERNANT 1972 [1981], 27); cf. Diog. Laert. 1, 110112 Dorandi, que atribueix la notícia sobre la fundació del temple de les Semnaí a Lobó d’Argos (fr. 8 Garulli). Aparentment això es pot entendre: Èsquil posaria el sentit de la seva tragèdia en el context de les institucions i dels mites atenesos. Qualsevol interpretació de les Eumènides té en compte aquesta evidència, ja des de MÜLLER 1833; cap novetat, doncs. El que sorprèn és els exemples que posa Vernant per caracteritzar l’entronització de les Erínies a Atenes com a indicador del Sébas (Respecte) i del Phóbos (Terror) que imperaran per comptes de la Peitho : el testimoni de Pausànias i la notícia sobre les purificacions dutes a terme per Epimènides. Pel que fa a la història del taumaturg de Creta, el més prudent és no només dubtar de la seva autenticitat sinó també de la seva antiguitat, de manera que no la podem fer servir de dada fiable13, tot i que és cert que les qüestions a l’entorn de la purificació impliquen d’una manera determinant les deesses. Vernant no podia citar la
12. El revisor anònim apunta la possibilitat que el tema de les figures que acaben sent protectores de la pólis, com també es troba en l’Èdip a Colonos i en l’Hipòlit, sigui tradicional d’un cert tipus de tragèdia. Si en poguéssim tenir evidències, seria evident que la funció de les Erínies transformades no consistiria a instaurar o a escampar la por.
13. Relació dels Alcmeònides amb l’Areòpag: SAMONS 1999; Ciló i les Dipolieia: NAKASSIS 2011; per a la hipòtesi que les Semnaí són les destinatàries de tota la intervenció d’Epimènides i que hi ha un lligam temàtic entre la llegenda i el final de l’Orestea, cf. S. I. JOHNSTON 1999, 279-284. Epimènides era identificat amb Bouzyges, l’heroi de les Dipolieia (Arist. fr. 386 Rose); sobre aquesta identificació, cf VISCONTI 2002, 159, 165-166 i n., 168. Sobre els dubtes que suscita la llegenda, cf. la ponderada exposició de WEST 1983, 45-46, que sospita que la llegenda d’Epimènides està fabricada a partir del mite de Bouzyges.
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador 49
llei sacra de Selinunt, que encara no havia estat publicada, i que malgrat les incerteses d’interpretació que presenta, ens informa, a la columna A, d’uns sacrificis a Zeus Eumenes , a Zeus Meilichios , als Tripopàtores impurs i als purs, i a les Eumènides (tot i que no podem assimilar-les a les Erínies-Semnaí); a la columna B es parla, sembla, dels rituals i de les purificacions que ha de dur a terme un αὐτορρέκτας (segurament un homicida) per alliberar-se d’un ἐλάστερος (un persecutor): les analogies amb les Eumènides han estat assenyalades14; però fins i tot si posem l’èmfasi en les qüestions de pol·lució i de purificació, el sentit de les Eumènides s’orienta indiscutiblement no en l’ambivalència sinó en la purificació final, cosa que també passa en el ritual de Selinunt i en tots els altres que es coneixen. Quant a Pausànias, és cert, el periegeta situa el santuari de les Erínies-Semnaí prop de l’Areòpag, però no s’està de remarcar que no ha vist res de terrible ni en les seves imatges ni en les d’altres divinitats subterrànies: τοῖς δὲ ἀγάλμασιν οὔτε τούτοις
τῶν ὑπογαίων (Paus. I, 28, 6). Les particularitats del culte a les Semnaí tal com es poden imaginar a partir de la lectura de les Eumènides són difícils de determinar; però el fet que les seves imatges no causin terror no ajuda a transmetre la idea que la ‘auguste Erinnys’, la ‘augusta Erinis’ es dreci «répandant le respect, la crainte, l’effroi» (VERNANT 1972 [1981], 26). La descripció de Pausànias, en tot cas, indica que es tracta de divinitats benèvoles que només són perilloses si són desateses, cosa normal en les divinitats subterrànies15 i que Èsquil remarca prou clarament; Atena ho recorda (Eum. 950-955)16: μέγα γὰρ δύναται πότνι’ Ἐρινὺς
παρά τ’ ἀθανάτοις τοῖς θ’
τοῖς μὲν ἀοιδάς,
molt és el que pot l’augusta Erinis prop dels immortals i prop dels infernals; i amb els homes, són elles que clarament i plenament disposen, als uns donant cançons, i als altres una vida llusca de llàgrimes (trad. RIBA 1934, 171).
14. Editio princeps (que és encara la de referència, amb excel·lent comentari) JAMESON & JORDAN & KOTANSKY 1993; interpretacions: BURKERT 1999; BURKERT 2000; CLINTON 1996 (ressenya a JAMESON & JORDAN & KOTANSKY 1993 amb importants suggeriments de millora tant del text com de la interpretació). Recentment, LUPU 2005, 359-387 (= LUPU 2009, 359-387); ROBERTSON 2010, 15-255 (innecessàriament escèptic a propòsit de la interpretació molt àmpliament compartida que la columna B tracta de la purificació d’un homicidi, però amb molta documentació); SALVO 2012 (una anàlisi detallada i equilibrada, amb àmplia bibliografia).
15. Sobre el sentit del culte a les Semnaí en la conclusió de les Eumènides, cf. PARKER 2009, 145-153.
16. I també ho recorda Vernant, però no en treu cap conclusió (o, probablement, només li sembla rellevant l’últim vers).
50
Carles GarrigaTanmateix, és veritat que al final de les Eumènides reapareix amb plenitud el tema de la necessitat del terror que inspiren les deesses (cf. per exemple, el que en diu Atena als vv. 990-991: ἐκ τῶν φοβερῶν τῶνδε προσώπων / μέγα κέρδος ὁρῶ
«d’aquests paorosos rostres veig per a aquest poble sortir un esplèndid profit» [trad. RIBA 1934, 172-173]). Segons Èsquil la reverència i la por faran que els ciutadans s’abstinguin de cometre injustícia tant de dia com de nit (Eum. 690-92: Atena es refereix a l’Areòpag i diu que ἐν δὲ τῷ σέβας /
τ’ ἦμαρ καὶ κατ’ εὐφρόνην ὁμῶς), suggerint que la justícia opera també i necessàriament en l’interior de les persones a causa de la por d’infringir la llei. Aparentment Èsquil vol dir que la por i el respecte són la mateixa cosa, que rep el nom de por si es pensa en termes de realització efectiva del càstig i de respecte si l’atenció es centra en la figura autoritzada a aplicar el càstig17. És a dir, el respecte i el terror no són la manifestació de l’Erinis encarnant la cara fosca de l’ordre sinó que són la justícia mateixa i el fonament d’una vida civilitzada. És un tema fonamental de les Eumènides: a la segona antístrofa del segon estàsim (vv. 51725)18 les Erínies canten sobre la conveniència de la por a fi de respectar la justícia; a la tercera estrofa (vv. 526-37)19 aconsellen la recerca d’un règim polític i moral consistent a allunyar-se tant de l’anarquia com del despotisme, des de la convicció que és en el terme mig i en el refús de la desmesura on hi ha la sanitat de la ment20. Més endavant, just abans de procedir a la votació, Atena acaba el torn d’argumentacions pronunciant un discurs que insisteix encara en l’elogi del tribunal que s’està creant: un tribunal venerable, incorruptible,
17. Relació entre por, respecte i sophrosyne: Eum. 517-25 i GROENEBOOM 1952, 169-70 ad vv. 517-25, amb connexió amb la doctrina del πάθει μάθος. També Soph. Ai. 1073-86 (i la nota de GARVIE 1998, 223-24 ad vv. 1073-76, amb altres testimonis).
18. ἔσθ’ ὅπου
20. Per Vernant és diferent: «ni anarchie, ni despotisme (...). En fixant cette règle la déesse souligne que le bien se situe entre deux extrêmes, la cité reposant sur l’acord difficile entre des puissances contraires qui doivent s’équilibrer sans se détruire» (V ERNANT 1972 [1981], 26). Però em sembla evident que el text grec diu que l’anarquia i el despotisme s’han d’eliminar i no pas que s’han de mantenir en equilibri.
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador 51
inflexible en defensa de la ciutat (vv. 700-706). La deessa, repetint els conceptes que ja havien estat expressats per les Erínies, també recorda els fonaments de la justícia: la por i la preservació d’un règim de vida que no sigui ni anàrquic ni despòtic (vv. 696-99)21. Tampoc aquí, doncs, no es veu com el terror es pot interpretar com un factor de desestabilització de les apoteosis finals.
Per acabar, passaré a comentar alguns aspectes de detall del raonament de Vernant, no pas amb el propòsit d’impugnar la seva tesi de l’ambigüitat, sinó per indicar que els elements singulars que el componen són més complexos del que els presenta i, per tant, podrien servir, llegits adequadament, si no per demostrar l’ambigüitat de la tragèdia, sí almenys per fer-ne evident la subtilesa de matisos.
Vernant 1972 [1981], 26, com ja hem vist, escriu: «la philía, l’amitié mutuelle, la peíthˉo, la persuasion raisonnée, ne suffissent pas à unir les citoyens en une communauté harmonieuse»; i poc després: «en face du dieu de la parole, de Zeus agoraîos (974), de la douce peíthˉo qui a guidé la langue d’Athéna, se profile l’auguste Erinnys, répandant le respect, la crainte, l’effroi». No és clar en quin lloc de les Eumènides en hem de fixar quan Vernant parla de philía, però no hi ha gaires dubtes. Si es refereix al v. 985, on el cor augura per al poble atenès «que escanviïn alegries entre ells, en un esperit de comú amor, i odiïn amb un sol cor» (trad. R IBA 1934, 172; vv. 984-986: χάρματα
), és clar que no es parla de cap insuficiència de la philía sinó més aviat de la seva necessitat, tant per a la cohesió interna com per a la defensa de l’exterior22; i al v. 999 tampoc no es pot dir que la philía sigui considerada d’importància secundària: ara el cor saluda el poble unit amb Atena, «estimant la que t’estima» (trad. RIBA 1934, 173:
Del respecte i del terror, Sébas i Phóbos, Vernant diu que substitueixen les potències religioses que regnen a l’àgora, com per exemple Peitho. Aquesta afirmació contrasta fortament amb el que diu Atena a propòsit de les Erínies als vv. 968-975:
Vegeu-ne el comentari
Garriga
en oir el que bondadosament asseguren al meu poble, m’omplo de joia, i sento grat als ulls de la Persuasió que vigilaven la meva llengua i la meva boca davant d’aquests feréstecs refusos. Ha vençut Zeus, el déu de la paraula; triomfa per a sempre la nostra obstinació de bé (trad. RIBA 1934, 172)23 ,
on, si Sébas i Phóbos són les potències pròpies de les Erínies, resulta que són vençudes per Peitho i per Zeus Agoraîos. Vernant, sembla, vol dir que Èsquil, conscientment o no, posa el terror en la base de la comunitat harmoniosa. És evident que ho fa, i, podem afegir que ho fa amb tota consciència; evidentment, a la base també hi ha la idea de la justícia, que és garantida per la por. Però això no té res de sinistre24
Les figures de Peitho i de Zeus Agoraîos suggereixen que la persuasió i la paraula són instruments de la raó. Vernant sembla posar-les en oposició a altres potències més profundes, com si digués que les paraules no arriben a penetrar una realitat obstinada, feta de terrors ancestrals i inevitables. Però seria simplificar les coses si penséssim que Peitho i Zeus Agoraîos s’expliquen només com a figures de la paraula.
L’expressió ὄμματα Πειθοῦς és estranya. W EST 1977, 101 recorda que «throughout Greek literature the rule prevails (...) without exception, that the regarding eye of divinity is singular, not plural»25; per això corregeix en ὄμμα
τὸ Πειθοῦς. Per mantenir la lectura transmesa s’ha de provar que aquí, a més de la referència a l’ull vigilant de la divinitat (el verb ἐπώπα és clar al respecte), l’expressió ha de voler dir alguna altra cosa. La retrobem a Nonnos XLVII, 315-318, en el que sembla ser una represa d’Èsquil:
la somrient Afrodita d’encís rialler cedia, si se’n feia la comparació, a la dolent Ariadna, i cedien també els ulls amorosos de la Persuasió, de les Gràcies i d’Eros davant les llàgrimes de la noia.
La Persuasió, associada amb Afrodita, les Gràcies i Eros, presenta així un aspecte de seducció que també s’exerceix a través de l’atracció sexual26. Sovint, quan
23. 971 ἐπώπα Schütz ἐπωπᾷ mss. La correcció de Schütz (el verb en imperfet) és amb el propòsit de fer coincidir en el passat tant els ‘feréstecs refusos’ de les Erínies com la persuasió d’Atena; Riba edita el present ἐπωπᾷ, però tradueix ‘vigilaven’. Per al sentit de la traducció ribiana «obstinació de bé», vegeu CITTI & GARRIGA 2012, 405-406.
24. Vegeu DI BENEDETTO 1995, 96-111 (‘La paura come fondamento dello stato’).
25. Per a un llistat d’exemples, vegeu PEARSON 1917, 11-12 (sobre el fr. 12 de Sòfocles τὸ χρύσεον
26. Vegeu RIZZINI 1999, que parteix precisament d’aquest lloc de les Eumènides; per a un co-
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador 53
es parla de la bellesa d’algú, d’una bellesa que indueix a l’afecte o a l’enamorament, es parla de la mirada, com ja va observar PEARSON 1909, 255-257, i en aquests casos apareix fàcilment el plural. Entre aquests, cal assenyalar Aesch.
Ag. 418-419 ὀμμάτων δ’ ἐν ἀχηνίαις / ἔρρει πᾶσ’ Ἀφροδίτα «a la fretura dels ulls li ha fugit tota Afrodita», on sembla clara la relació entre la mirada i el desig amorós (cf. DENNISTON – PAGE 1957, 107). Per tant, podem conservar el plural, la qual cosa, a més, té l’efecte benvingut de posar-nos en el camí correcte.
Al sud-oest de l’Acròpolis hi havia un santuari amb les imatges de Peitho i d’Afrodita (Paus. I, 22, 3, que en fa remuntar el culte al temps de Teseu). Es tractava d’Afrodita Pandemos (Apol·lodor 244 F 113 J = Harpocrat. s. v Πάνδημος Ἀφροδίτη), el caràcter polític de la qual és ben conegut, com també ho és el de Peitho27, amb un culte que potser existia ja al s. VI a. C., connectat amb les reformes de Clístenes (SIMON 1970). Per Èsquil Peitho no podia ser només una divinitat protectora de l’eloqüència, ni tan sols de la seducció amorosa; era també, i segurament d’una manera primordial en les Eumènides, la deessa que participa activament en el procés que condueix al vincle matrimonial. Que Èsquil era especialment sensible al paper que el matrimoni, com a símbol de la llei natural, té en l’ordre social es veu bé al final de les Suplicants; les Danaides agraeixen a la ciutat d’Argos que se’ls permeti romandrehi, però molt amb el seu caràcter no es poden estar de demanar de preservar la virginitat i de refusar-se a les noces. Llavors, el segon cor, compost pels argius que vigilen les donzelles, les rectifica enèrgicament (vv. 1034-1042)28:
no negligir Cipris, aquesta és una norma pia: aliada a Hera, pot gairebé tant com Zeus, i llavors la deessa de canviant ardit rep l’honor degut a les obres santes. Per assistir-la, són al costat de llur mare Desig, i aquella que no ha sofert mai un refús, l’encisera Persuasió; també a Afrodita ha estat feta part en el lot d’Harmonia, i al xiuxiuejant comerç dels Amors29
mentari específic d’aquest mateix lloc, vegeu KAMBITSIS 1973. Per a la funció de Peitho a la tragèdia grega, vegeu BUXTON 1982; per a l’Orestea, vegeu PUCCI 1994.
27. Vegeu PIRENNE-DELFORGE 1988; 1994, 26-40 i passim (Afrodita); 1991 (Peitho).
28. Vegeu JOHANSEN 1966 (1969), 61-64 (però la identificació de les figures que canten és dubtosa; en qualsevol cas, és evident l’oposició semàntica).
29. Trad. RIBA 1932, 46-47, lleugerament modificada per fer-la correspondre amb el text de WEST 19982, 183, que és el que aquí adopto no sense algun dubte; vegeu també WEST 1990,
Semblantment, a les Eumènides Apol·lo ha advertit a les Erínies que no s’han de menysprear «les penyores d’Hera, que perfà els matrimonis, i de Zeus» (v. 214), ni rebutjar Cipris, «a qui els mortals deuen les més cares delícies» (v. 216); al final, convençudes, les deesses ja esdevingudes Semnaí , ‘Venerables’, demanaran per a la ciutat i el seu bon ordre que les Moires donin «a les jovenetes amables una vida al costat d’un espòs» (vv. 959-960)30: immediatament abans que Atena digui «sento grat als ulls de la Persuasió» (vv. 969-970). Tampoc no haurà d’estranyar que Zeus Agoraîos sigui més que el déu de la paraula. Etèocles invoca els déus del país (Aesch. Sept . 271-272): ἐγὼ δὲ χώρας
... λέγω, «jo, als déus senyors d’aquest país, estadants dels camps o custodis de les nostres places ... declaro» (RIBA 1933, 20). Aquests déus del país es distribueixen entre els que tenen cura del camp i els que en tenen de la ciutat, és a dir els ‘custodis de les nostres places’ (ἀγορᾶς ἐπίσκοποι), on la plaça és sinècdoque de la ciutat com a tal, amb les seves institucions polítiques i les seves formes d’organitzar l’ordre social. Els déus custodis de les places són, si es vol dir més breument, els déus agoraîoi, que es troben en oposició estructural amb els déus celestials a Ag. 88-91:
de tots els déus de la vila, déus suprems i jussans, déus celestials i agorals, els altars són encesos d’ofrenes31
167-169, on explica les seves raons. A Argos, que és on se situa l’acció de les Suplicants i on Orestes retornarà després de la seva absolució en el judici celebrat a Atenes, Peitho rebia una atenció especial. La llegenda (Paus. II, 21, 1) explicava que Hipermestra hi va dedicar un santuari a Àrtemis Peitho perquè havia estat absolta en el judici a propòsit de Linceu. Hipermestra, una de les Danaides, va ser l’única de totes les germanes a estalviar la vida del marit; la dedicatòria del santuari té a veure amb el caràcter forense de l’acte, però és evident que també al·ludeix a la preservació del matrimoni. I encara a Argos, Peitho ens apareix en obscures tradicions mitogràfiques (Schol. Eur. Or . 932 i 1246 Schwartz, on Peitho s’uneix amb Foroneu i Schol. Eur. Ph. 1116 Schwartz on s’uneix amb Argos; vegeu-ne un breu comentari a BUXTON 1982, 35-36; PIRENNE-DELFORGE 1991, 406-407) que la vinculen, probablement, al procés de civilització i a la genealogia de la casa reial de la ciutat.
30. R IBA 1934, 145 ( Ἥρας
31. Traducció de RIBA 1934, 18, modificada: ‘celestials’ per ‘portalers’, en correspondència amb la lectura οὐρανίων (mss.) per comptes de θυραίων (Enger). Els dubtes sobre l’autenticitat de οὐρανίων es remunten a HEATH 1762, 57, que fins i tot proposava suprimir el vers sencer: «ουρανιων interpretatio est vocis ὑπατων, sicut αγοραιων vocis αστυνομων». Però la interpretació de HERMANN 1852, 371-372 és probablement correcta: «omnium in aris deorum ardet flama, qui urbem regunt, superum, inferum, quique in caelo degunt, quique hominum negotiis adsunt».
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador 55
Els déus agorals, en contrast amb els dels camps o amb els celestials (o amb els dels cultes privats, si s’accepta la correcció θυραίων), són els que presideixen els afers d’importància per a la col·lectivitat de la ciutat. Entre ells, el més important és Zeus, que, evidentment, és també el déu de la paraula tant en contextos forenses com polítics a l’assemblea; i encara més: com diu MARTIN 1951, 176,
«il est le dieu protecteur de la communauté, des institutions, garant du bon ordre, des tribunaux, de la justice, en un mot de toute l’organisation sociale harmonieuse (...). Il intervient dans les assemblées, moins pour en présider les débats (...), que pour leur éviter les souillures et les parjures (...). Il est le protecteur des suppliants et le garant des serments»32
La referència a Zeus Agoraîos és especialment adequada a les qüestions plantejades a l’Orestea, i concretament a propòsit del cas d’Orestes, que, arribat com a suplicant, és finalment absolt en un judici. Atena es refereix a això precisament: Zeus, que és qui havia determinat que Orestes vengés el seu pare en la seva pròpia mare incorrent així en una greu impuresa, serà qui en garanteix la purificació; el déu que el feia culpable ara protegeix el judici que declara innocent el suplicant que ha executat la seva justícia.
Hi ha, després de tot, ambivalència? Vernant, a la nota ja esmentada (VERNANT 1972 [1981], 25) diu que «l’ambivalence demeure»; potser seria millor dir que la tragèdia crea ambivalència. El mite, tal com arribava a Èsquil, era poc ambivalent: era una història d’una família maleïda, una història de violència i de recerca de justícia. Portant-la a escena, Èsquil va voler dotar de contingut religiós tant la història representada com la funció de les institucions polítiques d’Atenes33. Al final, el que resta és la convicció que els fonaments de la justícia no es troben en les voluntats humanes sinó en mans dels déus, que és com dir que la justícia és injustificable: cada vegada que s’hi vol trobar un sentit, reapareix la història antiga. Però això no passa només a les Eumènides; ha passat i passarà sempre, perquè no hi ha un fonament exterior a la justícia que sigui ell també justícia. Al final sempre ens trobem amb velles històries, que, confrontades amb les nostres pràctiques socials, fan que l’ambivalència sigui inevitable i normal. La gràcia és que Èsquil en va fer una obra d’art.
32. Les pàgines més importants sobre Zeus Agoraîos són a MARTIN 1951, 158-163; 174-183 (amb atenció especial a Èsquil). En la literatura tràgica, Zeus Agoraîos està associat amb la súplica d’una forma especialment clara a Eur. Her. 70: vegeu WILKINS 1993, 59-60.
33. Cf. DI BENEDETTO 1995, 100: «Eschilo (...) ha voluto (...) far leva sulla carica emotiva di cui era dotato il ghenos per proporre una rifondazione etico-religiosa dello Stato».
Carles GarrigaBIBLIOGRAFIA
L. BATTEZZATO 2010, «Introduzione», in Euripide. Ecuba, pp. 5-101.
W. BURKERT 1999, «Von Selinus zu Aischylos: ‘Reinigung’ im Ritual und im Theater», in Berlin – Brandenburgische Akademie des Wissenschaften. Berichte und Abhandlunben, Band 7, Berlin, pp. 23-38.
W. BURKERT 2000, «Private Needs and Polis Acceptance. Purification at Selinous», in P. FLENSTED-JENSEN, T.H. NIELSEN, L. RUBINSTEIN (edd.), Polis & Politics: Studies in Ancient Greek History. Presented to Mogens Herman Hansen on his Sixtieth Birthday, August 20, 2000 , Copenhagen, pp. 207-216.
R. G. A. BUXTON 1982, Persuasion in Greek Tragedy. A Study of Peitho, Cambridge.
P. CHANTRAINE 1968-77, Dictionnaire étymologique de la langue grecque: histoire des mots, Paris.
V. CITTI & C. GARRIGA 2012, «Carles Riba, traductor d’Èsquil», in Actes del III Simposi Carles Riba, Barcelona.
K. CLINTON 1996, «A New Lex Sacra from Selinus: Kindly Zeuses, Eumenides, Impure and Pure Tritopatores, and Elasteroi», CPh 91, 2, pp. 159-179.
J. D. DENNISTON – D. PAGE 1957, Aeschylus. Agamemnon, Oxford.
V. DI BENEDETTO 1995, «Introduzione», in Eschilo.Orestea, Milano, pp. 5-193.
F. FERRARI 1984, «L’Eumenidenstreit», ASNP s. III, XIV, 3, pp. 1173-1184.
M. GAGARIN 1975, «The Vote of Athena», AJPh 96, pp. 121-127.
C. GARRIGA 2010, «Aesch. Eum. 778-793 (=808-823); 837-847 (=870-880)», Lexis 28, pp. 113-131.
A. GARVIE 1998, Sophocles. Ajax, Oxford.
L. GERNET 1955, Droit et société dans la Grèce ancienne, Paris.
P. GROENEBOOM 1952, Aeschylus’ Eumeniden, Groningen.
B. H EATH 1762, Notae sive lectiones ad Tragicorum graecorum veterum Aeschyli Sophoclis Euripidis quae supersunt dramata deperditorumque relliquias, Oxonii.
G. H ERMANN 1835, Recension von Herrn K. O. Müllers Eumeniden des Aeschylus, Leipzig.
G. HERMANN 1852, Aeschyli Tragoediae, Lipsiae.
D. A. HESTER 1981, «The Casting Vote», AJPh 102, pp. 268-274.
F. JACOBY 1954, FGrH IIIb (Supplement), Leiden.
M. H. JAMESON & D. R. JORDAN & R. D. KOTANSKY 1993, A Lex Sacra from Selinous, Durham.
H. F. JOHANSEN 1966 (1969), «Progymnasmata», C&M 27, pp. 39-64.
S. I. JOHNSTON 1999, Restless Dead, Berkeley.
J. KAMBITSIS 1973, «῎Ομματα Πειθοῦς», Hellenika 26, pp. 5-17.
E. LUPU 2005, Greek Sacred Law. A Collection of New Documents (NGSL), Leiden-Boston.
E. LUPU 2009, Greek Sacred Law. 2nd Edition with a Postscript. A Collection of New Documents (NGSL), Leiden-Boston.
L’absolució d’Orestes i l’angoixa de l’espectador 57
R. MARTIN 1951, Recherches sur l’agora grecque, Paris.
K. O. MÜLLER 1833, Aischylos Eumeniden, griechisch und deutsch, mit erläuternden Abhandlungen, Göttingen.
K. O. MÜLLER 1834, «Calculus Minervae», in Anhang zu dem Buche Aischylos Eumeniden, griechisch und deutsch, mit erläuternden Abhandlungen, Göttingen.
D. NAKASSIS 2011, «Athens, Kylon, and the Dipolieia», GRBS 51, pp. 363-381.
R. PARKER 2009, «Aeschylus’ Gods: Drama, Cult, Theology», in Eschyle à l’aube du théâtre occidental, Genève (Fondation Hardt), 127-164.
A. C. PEARSON 1909, «Phrixus and Demodice», CR 23, 8, pp. 255-257.
A. C. PEARSON 1917, The Fragments of Sophocles, vol. I, Cambridge.
V. PIRENNE-DELFORGE 1988, «Épithètes cultuelles et interprétation philosophique. À propos d’Aphrodite Ourania et Pandémos à Athènes», AC 57, pp. 142-157.
V. PIRENNE-DELFORGE 1991, «Le culte de la persuasion. Peithô en Grèce ancienne», RHR 208, 4, pp. 395-413.
V. PIRENNE-DELFORGE 1994, L’Aphrodite grecque, Athènes – Liège.
A. J. PODLECKI 1989, Aeschylus. Eumenides, Warminster.
P. PUCCI 1994, «Peitho nell’Orestea di Eschilo», Museum Criticum 29, pp. 75138.
C. RIBA 1932, Èsquil. Tragèdies, vol. I. Les Suplicants. Els Perses, Barcelona.
C. RIBA 1933, Èsquil. Tragèdies, vol. II. Els Set contra Tebes. Prometeu encadenat, Barcelona.
C. RIBA 1934, Èsquil. Tragèdies, vol. III. L’Orestea, Barcelona.
I. RIZZINI 1999, «Gli occhi di Persuasione e la persuasione attraverso gli occhi», QUCC 62, 2, pp. 87-97.
N. ROBERTSON 2010, Religion and Reconciliation in Greek Cities, Oxford.
I. SALVO 2012, «A Note on the Ritual Norms of Purification after Homicide at Selinous and Cyrene», Dike 15, pp. 125-157.
L. J. SAMONS 1999, «Aeschylus, the Alkmeonids and the Reform of the Areopagos», CJ 94, 3, pp. 221-233.
R. SEAFORD 1995, «Historicizing Tragic Ambivalence. The Vote of Athena», in B. GOFF ed. History, Tragedy, Theory. Dialogues on Athenian Drama, Austin, pp. 202-221.
E. SIMON 1970, «Aphrodite Pandemos auf attischen Münzen», SNR 49, pp. 5-24.
O. L. SMITH 1993, Scholia in Aeschylum. Pars I, Stutgardiae et Lipsiae.
A. H. SOMMERSTEIN 1989, Aeschylus. Eumenides, Cambridge.
O. TAPLIN 1977, The Stagecraft of Aeschylus, Oxford.
J.-P. VERNANT 1972 [1981], «Tensions et ambiguïtés dans la tragédie grecque», in J.-P. VERNANT & P. VIDAL NAQUET, Mythe et tragédie en Grèce ancienne, Paris, pp. 19-40.
A. VISCONTI 2002, «Epimenide Bouzyges», in E. FEDERICO & A. VISCONTI edd. Epimenide cretese, Napoli, pp. 129-168.
G. VLASTOS 1947, «Equality and Justice in Early Greek Cosmologies», CPh 42, pp. 156-178.
Carles GarrigaG. VLASTOS 1953, «Isonomia», AJPh 74, pp. 337-366.
M. L. WEST 1977, «Tragica I», BICS 24, pp. 89-103.
M. L. WEST 1983, The Orphic Poems, Oxford.
M. L. WEST 1990, Studies in Aeschylus, Stuttgart.
M. L. WEST 19982 , Aeschyli tragoediae cum incerti poetae Prometheo, StuttgartLeipzig.
J. WILKINS 1993, Euripides. Heraclidae, Oxford.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 59-75
DOI: 10.2436/20.2501.01.50 Ἑλένη
Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides
Jaume Almirall Sardà
Universitat de Barcelona
ABSTRACT
Beyond the traditional image of Helen as being conscious of her nature as an instrument of divine punishment for mankind, Euripides constructs a “new” Helen, mistress of her destiny and authoress of an unexpected happy end. Clever and crafty Helen acts as a true δραματουργός, by creating a fictional ‘plot’ and instructing the ‘actors’. By his original treatment of the story, Euripides strengthens the expression of selfconsciousness of the power of his art.
KEYWORDS: Greek tragedy, Euripides, Helen, metatheater
(...) Here he remained for twenty days, in no danger, but in high discomfort, for the accommmodation was insufficient for the Queen. Helen had been to Egypt ten years before, under the larger guidance of Paris, and she could not but remark that there was nothing to see upon the island and nothing to eat and that its beaches were infested with seals. Action must be taken, Menelaus decided. He sought the sky and sea, and chancing at last to apprehend an old man he addressed to him the following wingèd word:
“What island is this?”
“Pharaoh’s,” the old man replied.
“Pharos?”
“Yes, Pharaoh’s, Prouti’s,”—Prouti being another title (it occurs in the hieroglyphs) for the Egyptian king.
“Proteus?”
“Yes.”
As soon as Menelaus had got everything wrong, the wind changed and he returned to Greece with news of an island named Pharos whose old man was called Proteus and whose beaches were infested with nymphs.
E. M. Forster, Pharos and Pharillon. An Evocation of Alexandria
Hèlena fou presentada a concurs l’any 412, juntament amb la perduda Andròmeda ; en tenim el testimoni segur en l’extensa paròdia que Aristòfanes fa d’ambdues obres en la seva comèdia Dones celebrant les Tesmofòries , representada l’any següent, així com en dos escolis d’aquesta mateixa obra i en un altre de Granotes , estrenada en 405 1. Ignorem, en canvi, els altres dos títols de la tetralogia. Alguns estudiosos han proposat de completar les tres tragèdies amb Ió , una obra que presenta una certa afinitat amb les altres dues. Dins la producció d’Eurípides, tant Ió com Hèlena pertanyen a un grup d’obres —amb Alcestis , Ifigenia entre els taures , Andròmaca , Hèracles i Orestes que tenen un notable tret argumental: la trama sofreix una dràstica capgirada que comporta el sobtat redreçament del destí dels protagonistes. Constitueixen una modalitat no ortodoxa de tragèdia, en relació a la definició aristotèlica del gènere: «un argument reeixit, doncs, ha de ser simple, i no, com afirmen alguns, ambigu, i ha de canviar no de la infelicitat a la felicitat, sinó al revés, de la felicitat a la infelicitat, i no per causa de maldat, sinó per causa d’un gran error...» 2 . En aquests drames, la resolució positiva del conflicte deixa sense efecte la compassió que en el públic hauria de provocar — sempre segons Aristòtil— la desventura que aclapara un heroi innocent. S’ha considerat que, més aviat, aquestes obres d’Eurípides produeixen una sensació d’alleujament, per efecte de la superació d’una situació que es preveia irremissiblement catastròfica 3
Més recentment, Matthew Wright ha suggerit que la tragèdia que completava la trilogia era Ifigenia entre els taures , tot adduïnt el fet que en totes tres obres el motiu central, altrament inusual en la tragèdia, és l’evasió d’una dona4. Els arguments de Wright es basen principalment en la interpretació de l’extensa paròdia d’Eurípides que constitueix gairebé tota la segona part de l’esmentada comèdia aristofànica. Els reiterats intents d’evasió del Sogre d’Eurípides són estratagemes explícitament extrets d’obres del dramaturg:
1. Veg. Aristoph. Thesm. 846-928, 1001-1131; sch. Thesm. 850, 1012; sch. Ran. 53.
2. Arist. Po. 1453a. Tanmateix, les asseveracions d’Aristòtil, especialment en aquesta secció de la seva obra, resulten d’una desconcertant incoherència.
3. Veg. A. P. BURNETT 1971.
4. Veg. M. WRIGHT 2005, 43-55.
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 61
Tèlef, Palamedes, Hèlena i Andròmeda5 L’engany final amb què Eurípides rescata el seu parent no conté cap referència explícita, però podria al·ludir a l’evasió d’Ifigenia: els arguments de Wright resulten força convincents, si bé una conclusió definitiva no és possible.
Sigui com sigui, la polèmica literària és assumpte principal de Dones celebrant les Tesmofòries, com ho és, també, de Granotes, representada poc després de mort d’Eurípides; ambdues obres fan una crítica despietada del teatre d’Eurípides, i tot i que els elements en joc són complexos, es pot resumir el punt de vista d’Aristòfanes dient que ataca una forma de tragèdia innovadora, alhora que reivindica el valor superior de les realitzacions tradicionals. El tractament dels mites i dels personatges, l’estructura de les obres, les solucions escèniques, les expressions lingüística, poètica i musical, tot allò que constitueix l’aportació més personal al gènere per part d’Eurípides, i especialment el darrer període de la seva producció, tot és igualment objecte de la crítica aristofànica. Aquest objectiu es resumeix en l’adjectiu ‘nova’ amb què el personatge del Sogre es refereix a Hèlena6. En el rebuig per Aristòfanes de la nova cultura, com a responsable de la degradació moral del ciutadà, el teatre d’Eurípides és vist com l’àmbit on es corromp el model d’heroi èpic. Des de l’aferrissada defensa de la tradició sostinguda pel comediògraf, els personatges euripidians, tan sovint desposseïts de la seva aura heroica i traslladats a una proximitat humana i quotidiana, plasmaven la nefasta influència de les noves idees en els valors de la ciutat. I, amb tot, la visió aristofànica d’Eurípides, que pot arribar a semblar obsessiva, revela en ocasions una certa fascinació per l’art del tràgic; en tot cas, es tracta d’una crítica que inclou aspectes complexos i no mancats d’ambigüitat7 . Pel que fa a l’Hèlena, es tracta d’una creació que mostra exemplarment l’àmplia varietat d’innovacions que el seu autor introduí en la dramatúrgia; però, a més —i aquesta és la idea que em proposo descabdellar a continuació—, en ella l’autor hi reflecteix en imatges la consciència del seu propi art.
2
Hèlena és la figura femenina més notable de tota la literatura grega. Ella és la causa necessària de la guerra de Troia, i la matèria troiana és el fonament argumental dels poemes homèrics, les obres que van exercir la influència més àmplia, més intensa i més duradora de tota la literatura antiga.
Hèlena, la més bella de les dones, i causa, alhora, de la més destructiva de
5. En la llarga escena paròdica (versos 846-1225), una cinquantena de versos d’Hèlena són posats en boca del Sogre (en el paper d’Hèlena) i d’Eurípides (en els de Teucre i, sobretot, de Menelau).
6. Veg. Aristoph. Thesm. 850; tant és si el terme s’interpreta en relació al nom del personatge o al títol de l’obra; en tot cas, em sembla molt preferible entendre el terme en el sentit de ‘nova’ que no en el de ‘recent’.
7. Veg. G. F. NIEDDU 2004, 137-159.
Jaume Almirall Sardàles guerres, reuneix en la seva persona les dues facetes que constitueixen l’ambigüitat característica de la dona en l’imaginari grec. Són incomptables els autors antics que indaguen sobre aquesta figura fascinadora i inquietant, molt sovint moguts per la mateixa pregunta: ¿fou culpable, o innocent? D’aquí que el mite d’Hèlena presenti un nombre tan gran de variants. En totes les versions, Hèlena és filla de Zeus. La part divina de l’heroïna és la raó de la seva bellesa; però, com s’esdevé en altres casos, rere aquesta bellesa i rere l’existència mateixa d’Hèlena hi ha els designis del déu, un pla preconcebut del qual ella és només l’instrument8
Zeus s’enamora de Leda i consuma subreptíciament el seu desig sota l’aparença de cigne, un animal que representa la bellesa, l’amor i el cant 9 . La presència del cigne justifica que, en algunes versions, la descendència de Leda sorgeixi d’un ou, o, també, de dos. Però en ell pot veure’s, així mateix, l’arrel i el fonament de la naturalesa enganyosa i inquietant de les dues filles, Hèlena i Clitemnestra.
Una altra versió fa néixer Hèlena de la unió de Zeus amb Nèmesis, que és la personificació de la ineluctable justícia dels déus. Habitualment Nèmesis encarna la divina set de venjança, que persegueix els criminals, els impius, els superbs, i que no descansa fins a atrapar-los i fer-los pagar les culpes. La Nèmesis que concep Hèlena, en canvi, representa els obscurs designis dels déus, les raons que aquests llancin damunt els homes el terrible flagell de la guerra i la destrucció: en la guerra, els més valents destaquen molt per damunt dels altres mortals, i assoleixen renom immortal, però, a canvi, hi perden la vida. En aquesta variant del mite, Zeus adopta la forma de cigne per tal d’unir-se a l’oca en què s’havia transformat Nèmesis; l’ou concebut per aquesta fou portat a Leda, la qual crià Hèlena com si hagués estat filla seva10 Clitemnestra s’integrarà tràgicament en el destí funest que aclapara el casal dels Atrides, i serà ella, com una autèntica Nèmesis venjadora, qui mati Agamèmnon, el destructor de Troia; amb Hèlena compartirà, també, la infidelitat a l’espòs. Hèlena, sempre revestida de divina bellesa, irradia una fascinació i una seducció irresistibles; per ella, des de nena i sempre, els homes es disputen, i esclaten guerres.
A Troia, Príam i Hècabe perceben el poder fascinador de la bellesa de l’estrangera, i l’acullen, amb una barreja de reverència i fatalisme, com a esposa del seu fill. Ni les ambaixades amistoses, ni l’arribada en so de guerra de l’enemic, nombrós i temible, no aconsegueixen que Hèlena sigui retornada a Menelau11. La guerra de Troia tindrà lloc.
Tant a la Ilíada com a l’Odissea Hèlena té moments de protagonisme. A demanda de Príam, ella identifica, de les torres de Troia estant, els més destacats guerrers de l’exèrcit hel·lè, i encara afirma que podria dir el nom de tots
8. Veg. Cypr. frag. 1 Bernabé.
9. Veg. Apollod. III 10, 7.
10. Veg. Cypr. frag. 9 Bernabé; Apollod. III 10, 7.
11. Veg. especialment, sobre Hèlena, les paraules dels ancians troians i de llur rei: Il. III 156165.
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 63
els altres12. ¿D’on li ve, aquest saber? Després del duel entre Menelau i Paris, que Afrodita interromp salvant el troià, la deessa ordena a Hèlena que acudeixi a casa, davant l’espòs. Hèlena replica queixant-se amargament de ser una joguina en mans de la dea, a la qual fa uns durs retrets: inútilment, perquè no té més remei que obeir. Aleshores aboca tota l’amargor del seu cor damunt Paris, que titlla de dèbil i covard; però ell desitja fruir de l’amor, i Hèlena calla i el segueix al llit13. Més tard, Hèctor troba dins el palau Paris, a qui retreu d’estar-se a resguard mentre tots els altres lluiten per causa d’ell. En aquest moment, Hèlena es dirigeix a Hèctor, lamentant-se que Paris sigui un covard14. Les seves paraules són expressió d’un coneixement, tan lúcid com estèril, de les raons ocultes dels fets: ella, que podria fer el catàleg dels grecs, com només està en condicions de fer-ho el poeta, sap que tot plegat no és sinó matèria per als cants que es perpetuaran entre la gent de demà. La resposta de l’apressat Hèctor deixa entendre, breu i tot com és, que entre ell i la seva cunyada hi ha hagut sempre simpatia i cordialitat. Aquests sentiments els fa explícits Hèlena al final del poema, quan el cos d’Hèctor ha estat finalment portat a Troia: Hèlena, l’última veu de la Ilíada abans de les darreres paraules de Príam, sap que, sense Hèctor, ella queda desemparada enmig de l’odi de tots els troians15 .
En totes aquestes aparicions, Hèlena, impotent, es lamenta, queixant-se per la seva sort, expressant el desig d’haver mort en néixer, o el dia que fou raptada. A la Ilíada, Hèlena no és simplement la causa de la guerra, sinó sobretot la consciència viva i dolorosa de ser-ho, la lúcida i aterrada consciència de complir un destí funest i inexorable. Per això mateix escau a Hèlena de ser una mena de memòria de la guerra; car no solament coneix i sap els noms de tots els nobles combatents hel·lens, sinó que mentre els homes lluiten anys i anys per ella, ella en plasma les gestes en les teles que teixeix16
Aquesta imatge, que és una transposició poètica del cant èpic, encara resulta reforçada per l’afirmació, formulada per boca d’Hèlena mateixa, que tot ha estat provocat per Zeus a fi que els homes de demà tinguin motius per a compondre els seus cants17 .
D’aquests cants, ja l’Odissea en dóna la prova: al palau dels feacis, Odisseu vessa llàgrimes d’emoció en sentir cantar les seves pròpies gestes troianes18
Mentrestant, Menelau i Hèlena, ja fa un temps retornats de la guerra, reben Telèmac i rememoren davant el jove sengles episodis protagonitzats per Odisseu. Hèlena conta com l’heroi es disfressà de captaire i entrà a Troia sense ser reconegut per ningú, sinó d’ella mateixa, que així i tot no el delatà,
12. Il. III 121-244.
13. Il. III 383-447.
14. Il. VI 343-364.
15. Il. XXIV 761-775.
16. Il. III 125-128.
17. Il. VI 356-358. La relació entre el teixit i l’activitat poètica ha estat posada de manifest des de diferents punts de vista; veg. PH. ROUSSEAU in M. BROZE & ALII (ed.) 2003, 9-43
18. Od. VIII 499-520.
Jaume Almirall Sardàperquè —segons declara— ja s’adonava de com havia estat obnubilada per Afrodita, i desitjava tornar amb els seus19. Menelau, per la seva banda, conta com Odisseu evità que els hel·lens emboscats dins el cavall de fusta es delatessin (ço que els hauria estat la mort) quan Hèlena els anava cridant pel nom amb veu que estrafeia la de l’esposa de cadascun d’ells. Novament, aquí, la virtut catalògica i el coneixement omniscient que fan que Hèlena es confongui amb el narrador20. Però ara ens sorprenen i ens admiren, també, els dots actorals d’aquesta dona extraordinària. En tot cas, d’aquests relats sorgeix un dubte més que raonable sobre la sinceritat de les explicacions d’Hèlena; però també això s’adiu amb la naturalesa ambigua del personatge, amb la seva essència dual i contradictòria. Quan en la mateixa escena, poc abans, tots els presents han esclatat en plors, commoguts per l’evocació de la fraternal amistat que unia Menelau i Odisseu i per altres tristos records, Hèlena ha barrejat dins el vi una droga que fa oblidar les penes més sentides i foragita tota ira; els relats, doncs, sorgeixen del record viu de la guerra, però no afecten les ments narcotitzades dels oients21
Abans de deixar Esparta, Telèmac rep, com s’escau, dons d’hospitalitat dels seus amfitrions; Hèlena li dóna la més gran i més bella de les teles que ella mateixa ha teixit, una peça de roba decorada amb brodats i destinada a la futura esposa del jove22. Per mitjà del treball en el seu teler, els records d’Hèlena —les gestes d’armes d’hel·lens i troians— viatgen a altres terres i es projecten cap al futur.
Pel que fa a la droga que tan prudentment Hèlena ha barrejat en el vi, aquesta procedeix d’Egipte, on els déus retingueren un temps Menelau en el seu llarg retorn des de Troia; allà, a l’illa de Faros, Menelau, gràcies al consell de Teònoe, filla del vell déu marí Proteu, aconseguí que aquest, sabedor de totes les coses passades, presents i futures, li indiqués la manera d’arribar per fi a Esparta; també per ell s’assabentà de la sort d’alguns dels seus companys d’armes, així com del destí immortal que els déus li tenien reservat pel fet de ser espòs d’Hèlena, filla de Zeus23. Perquè, com diria el senyor de Bearn, «al Cel no poden ser desatents i si conviden una senyora casada per força han de convidar també el marit»24 3
L’acció d’Hèlena transcorre a Egipte, al llunyà, exòtic i sorprenent país que es nodreix de les aigües del gran Nil: en aquella terra extraordinària on ni tan sols no hi plou com a tot arreu. També de les plantes, dels animals i dels ha-
19. Od. IV 240-264.
20. Od. IV 269-289.
21. Od. IV 183-188, 219-232.
22. Od. XV 104-108, 123-127.
23. Odissea IV 351-586.
24. Veg. LL. VILLALONGA 1961, 153.
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 65
bitants d’Egipte hom en conta tota mena de meravelles, que el públic coneix. Ja el vell Homer havia parlat de l’egipci Proteu, l’astut intendent de Posidó, que es transformà successivament en lleó, dragó, pantera, senglar, aigua i arbre, fins que finalment accedí a revelar a Menelau la raó que encara no hagués pogut tornar a la pàtria. En l’episodi és decisiva la intervenció d’Idòtea, la filla de Proteu, que es compadeix de l’heroi i li dóna instruccions perquè pugui aconseguir fer parlar el seu pare25. En Hèlena, el nom de Proteu correspon al d’un virtuós sobirà del país; pel que fa al saber omniscient del personatge, Eurípides el transfereix a la seva filla, Idòtea-Teònoe. Aquesta, que també posseeix del seu pare la noblesa de cor, no dubtarà a trair el seu propi germà, al final de l’obra, en benefici d’una causa justa. L’autor, doncs, pren determinats elements previs, els reelabora, hi introdueix algunes innovacions. Egipte, terra de prodigis, és un escenari ben adient per a Hèlena, amb una trama que es revelarà plena de sorpreses, de falses aparences, de canvis imprevistos i desconcertants, i d’un desenllaç inesperat. Aquí es descobrirà que els fets del passat que hom creia segurs eren falsos; i serà també per mitjà de falsedats i d’enganys com l’acció avançarà vers un final. Al mateix temps, però, Egipte és el lloc de la revelació i de la veritat lluminosa i salvífica: ho és per a Teucre, en el Pròleg, i ho serà, també, per a Hèlena i per a Menelau, al final de l’acció. Aquesta ambivalència o ambigüitat impregna profundament tota l’obra.
Per això, llevat de Teònoe, que posseeix el do de la profecia i que sap tot el que fou, és i serà, tots els altres personatges del drama han viscut en l’error, s’equivoquen, o són víctimes de les falses aparences: res, ni ningú, no és el que sembla. I, per començar, l’element més important de la trama, base d’un original i agosarat plantejament argumental: Hèlena no anà mai a Troia, sinó que fou ocultada a Egipte, mentre que Paris s’endugué una imatge, una còpia, una falsa Hèlena. Aquest fet, tan aparentment transcendental, no fou obstacle perquè esclatés la guerra de Troia, l’objectiu deliberadament desitjat pels déus. Les conseqüències desastroses del judici de Paris i del rapte d’Hèlena no foren evitades, i tot s’acomplí fatalment. El descobriment de quina fou la veritat accentua encara més l’arbitrarietat de l’acció divina i posa més en relleu la ceguesa i la indefensió dels humans.
Un cèlebre passatge de Plató (Fedre 243a) ha servit habitualment per provar que Eurípides reprèn un motiu del poeta Estesícor; són paraules de Sòcrates, a propòsit de sengles discursos sobre l’Amor, de Lísias i d’ell mateix:
Així doncs, amic meu, tinc l’obligació de purificar-me; i els que cauen en l’error a propòsit dels mites disposen d’una antiga purificació, que Homer no coneixia, però Estesícor sí. Car, privat que fou de la vista a conseqüència de les infàmies que digué d’Hèlena, no restà en la ignorància, com Homer, sinó que, com a poeta que era, en descobrí la causa, i al moment compongué aquests versos:
25. Veg. Od. IV 351-586.
Jaume Almirall Sardà«No és pas veritable, aquella història que circula, ni vas navegar en naus de bons bancs, ni arribares a la ciutadella de Troia.»
I així que hagué compost tota l’anomenada Palinòdia, immediatament recobrà la vista. Doncs bé, jo seré més savi que ells dos, si més no en una cosa: abans no em passi res a conseqüència de les infàmies que he dit d’Amor, intentaré rescabalar-lo amb la meva “palinòdia”...
Plató al·ludirà de bell nou al tema, tot referint-se explícitament al motiu de la falsa imatge d’Hèlena: «...així com fou la imatge d’Hèlena —segons diu Estesícor— l’objecte perquè es va combatre a Troia, per ignorància de la veritat.»26
De manera gairebé unànime, el testimoni platònic ha estat acceptat com a prova fefaent que un poema perdut havia constituït l’antecedent de l’Hèlena d’Eurípides. Però resulta sorprenent que Plató sigui l’únic testimoni d’aquella obra, i el fet que tots els testimonis posteriors semblen derivar no pas directament del suposat poema, sinó únicament de les pàgines del filòsof pot induir a considerar, si més no, si no es tracta d’una especulació deguda a Plató. No cal dir que en la interpretació que aquest fa d’Estesícor pot haver-hi influït la pròpia Hèlena d’Eurípides27 .
D’altra banda, també s’ha constatat que el motiu del doble d’Hèlena devia ser molt antic, per inferència de certs paral·lelismes observats en la mitologia vèdica, en la qual, en efecte, apareix una deessa o heroïna que és reemplaçada per una rèplica amb la finalitat d’evitar un raptor o un espòs indesitjat28
En rigor, els versos atribuïts per Plató a Estesícor només afirmen que Hèlena no arribà a Troia, i en això coincideix amb la coneguda variant del mite que situa Hèlena a Egipte. Aquesta versió, que en part desenvolupa l’episodi odisseic de Telèmac a Esparta i que havia tingut una certa difusió, ens és coneguda per Hecateu de Milet, Hel·lanic i, sobretot, Heròdot. Aquest darrer en fa un relat extens i detallat, tot afirmant que és una llegenda que havia recollit a Egipte. Segons aquest relat, després de raptar Hèlena, Paris es veu empès pels vents fins a Egipte; portat a Memfis, a presència del monarca, Proteu, aquest s’assabenta de la procedència d’Hèlena i decideix retenir-la en espera que Menelau la rescati. Paris arriba a Troia, i també els grecs, que es neguen a creure que Hèlena no sigui a la ciutat, sinó a Egipte, com el seu raptor afirma; però com que la dona no és trobada enlloc durant el saqueig, finalment Menelau es dirigeix a aquell país, on Proteu li retorna l’esposa29 .
26. Pl. R. 586c.
27. El més escèptic dels crítics considera que fins i tot els tres famosos versos d’Estesícor són del propi Plató: veg. M. WRIGHT 2005, 86-110.
28. Veg. P. JACKSON 2006, 84-86. El paral·lelisme s’estén a la presència dels Bessons divins, fills de Dyaus, estretament lligats a la figura femenina.
29. Hdt. II 112-120. En una altra versió, és Proteu qui, valent-se dels seus coneixements de màgia, confegeix la imatge de la falsa Hèlena i la dóna inadvertidament a Paris: veg. Tz. ad Lyc., v. 113.
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 67
Cal considerar, doncs, que també a Hèlena Eurípides reelabora motius preexistents, amb el resultat que la tragèdia presenta una forma del mite radicalment distinta de la que era convencional i admesa anteriorment, des dels poemes homèrics. I en absència de tot testimoni prou indiscutible, la innovació, en aquest cas, ha d’atribuir-se al dramaturg, tot i que, en general, el procediment habitual d’Eurípides sembla haver estat de combinar elements preexistents fins a obtenir variants dels mites lleugerament diferents. Per al motiu del doble d’Hèlena, Eurípides disposava, en la tradició literària, d’alguns notables precedents, el més antic i a la vegada el més afí dels quals és a la Ilíada. Apol·lo sostreu del camp de batalla Eneas i el transporta fins a la ciutadella de Troia, alhora que afaiçonava una imatge fidel de l’heroi amb les seves armes: «I entorn de la imatge troians i aqueus divins feien estralls els uns dels altres.»30 El fals Eneas, al voltant del qual els homes lluiten i moren, prefigura la fantasmal Hèlena, per la qual grecs i troians han combatut tants anys. El doble del guerrer ha estat forjat pel déu per tal de salvar-lo de les mans de Diomedes; el d’Hèlena, per tal de salvar-la de l’adulteri i de la infàmia. El motiu, en mans del dramaturg es desenvolupa i esdevé més ric de detalls, però sobretot adquireix una dimensió completament tràgica.
D’altra banda, el motiu de la falsa imatge està emparentat amb el dels espectres, visions incorpòries idèntiques als cossos dels quals provenen; recordi’s l’espectre de Pàtrocle, que Aquil·leu intenta inútilment abraçar31, o totes les ànimes del llibre XI de l’Odissea, entre les quals la d’Anticlea, que el seu fill intenta abraçar en va. Com el fantasma d’Hèlena, tots aquests espectres estan dotats de sentits i de paraula; el d’Hèlena, però, cal suposar que seria menys espectral, si més no entre els braços de Paris.
Per al públic d’Eurípides, la versió del mite que presentava Hèlena no fou una total sorpresa; el propi poeta n’havia esbossat tot l’argument alguns anys abans. Es tracta de la intervenció de Càstor en els versos finals d’ Electra , quan el déu, que compareix també allà ex machina a fi de resoldre la situació, en referir-se al cos de Clitemnestra, anuncia:
I Hèlena l’enterrarà; car ve de la casa de Proteu, després d’abandonar Egipte, i no va anar a Troia: Zeus, amb la intenció de causar als mortals dissensió i vessament de sang, envià a Ílion una imatge d’Hèlena32 .
Variants del motiu del doble apareixen en altres obres d’Eurípides, que el té per un recurs dramàtic bastant habitual. Recordi’s l’escena final d’ Alcestis, amb la presència espectral de la dona, rescatada per Hèracles dels braços de la Mort, i l’incrèdul Admet, que es resisteix a creure el que té davant dels ulls:
30. Il. V 451-453.
31. Il. XXIII 62-107.
32. Eur. El. 1280-1283.
Jaume Almirall SardàADMET.— ¿Estic veient de debò la meva muller, o m’entabana un déu amb una falsa il·lusió?
HÈRACLES.— No; estàs veient la teva pròpia esposa.
ADMET.— Que no sigui algun fantasma dels inferns33
Aquestes, com altres, són formes d’un motiu més ampli, de naturalesa filòsòfica: el conflicte entre el real i l’aparent, entre veritat i ficció. En l’expressió d’aquests temes, Eurípides recorre sovint a imatges procedents de les arts plàstiques. Així, Hèlena voldria anul·lar la seva bellesa, causa de tantes desgràcies, com si es tractés d’una imatge pintada.
En trobem un altre exemple en un dels fragments procedents d’Andròmeda, tragèdia perduda que formava trilogia amb Hèlena, i l’acció de la qual també transcorria en un país llunyà i exòtic. Són els mots de Perseu quan veu per primera vegada Andròmeda, exposada ran de mar al monstre que vindrà a devorar-la:
Oh! ¿Què és aquesta elevació que veig, batuda entorn per l’escuma del mar? És una imatge de donzella, una estàtua artísticament obrada, nascuda d’una formació rocosa natural35
Significativament, l’anomenada ‘vida ’ d’Eurípides també atribueix al poeta habilitats pictòriques («Es diu que també fou pintor —s’hi afirma— i que se’n mostraven algunes pintures a Mègara»), si no és que aquesta notícia és una altra fabulació induïda per la lectura capriciosa de les obres del dramaturg. Fos com fos, és segur que Eurípides conegué el cèlebre pintor Zeuxis, tant en els anys que aquest treballà a Atenes, com també a Pel·la, on ambdós coincidiren i on el segon s’ocupà de la decoració del palau d’Arquelau. Zeuxis, com és sabut, fou famós per la perfecció del seu art, que aconseguia obres d’un realisme extraordinari; entre aquestes, la més famosa fou una pintura que representava la més bella de les dones, Hèlena.
33. Eur. Alc. 1124-1126.
34. 262-266.
35. Eur. frag. 125 Kannicht.
δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 69 4
Tota la tragèdia atenesa fa seu un dels llocs comuns més ben assentats de la tradició mitogràfica, que remunta fins als poemes homèrics: la culpabilitat d’Hèlena en l’episodi més catastròfic mai ocorregut, és a dir, la guerra de Troia36. També en les obres d’Eurípides, Hèlena és la dona de bellesa nefasta, l’adúltera, la traïdora, l’odiada de tots37. La posada en escena d’una Hèlena fidel, virtuosa i innocent, qüestionant la versió universalment acceptada, no és un desafiament gratuït de la convenció, sinó un punt de partida carregat d’intencions. Una part molt important de l’efecte dramàtic de l’obra sorgeix precisament del contrast entre la ‘nova’ Hèlena que actua davant del públic i el personatge detestable que era familiar a tothom des de sempre. Per a la configuració d’Hèlena i per a la construcció de tota la trama argumental, l’autor recorre a determinats elements que li proporciona la tradició literària; entre aquests, destaquen els procedents de l’Odissea38 Es pot observar, per exemple, que els caràcters d’Hèlena i de Menelau executen papers equivalents, respectivament, als de Penèlope i Odisseu, tal com aquests apareixen en el poema homèric. La virtuosa Hèlena es resisteix als intents d’un pretendent impulsiu i prepotent, fent per mantenir-se fidel, més enllà de tota esperança, al marit llargament absent. Aquest, després de prendre Troia, d’errar penosament per mar i de perdre-ho tot en un naufragi, arriba per fi. Al cap de tants anys, els esposos es retroben i es conten l’un a l’altre les penalitats passades.
L’escena del reconeixement, amb la qual culmina l’Odissea, esdevingué un recurs força usual en el teatre. A Hèlena, però, aquesta escena no és el punt d’arribada de l’acció, sinó gairebé el seu inici, situada com està al final del primer terç de l’obra. A partir d’aquest moment, la iniciativa de l’acció passa totalment a les mans d’Hèlena, que continua manifestant, també aquí, una astúcia ben pròpia de Penèlope —recordem la tela que aquesta teixeix i desteixeix, així com la prova de l’arc—, però que sembla assumir alhora l’autèntica naturalesa del propi Odisseu: l’astúcia, el fingiment, l’engany.
A Hèlena abunden les situacions equívoques, a causa dels errors d’apreciació —fortuïts o fruit d’actes deliberats— en què els personatges cauen successivament. Aquest efecte, que en darrera instància també procedeix de l’Odissea, adquireix una notable dimensió com a recurs dramàtic en algunes obres de Sòfocles i, sobretot, d’Eurípides39. La ironia, però també l’humor, fan acte de presència en algunes de les obres del darrer període d’aquest
36. Significativament, catorze de les tragèdies conservades, gairebé la meitat del total, tracten motius del cicle troià, i tots els títols coneguts indiquen una proporció semblant.
37. Veg., per exemple, Andr. 103-108; Hec. 263-270; Tro. 860-880; IA 1253 s.; Or. 128 s. A Hèlena, els retrets, les injúries i les amenaces que Teucre formula contra ella formen part d’aquest mateix tòpic: veg. v. 72-74:
38. Veg. R. EISNER 1980, 31-37.
39. Veg. P. VELLACOTT 1975.
segon autor. Escenes com la de Menelau i l’anciana portera, a Hèlena40 , resulten, per a alguns comentaristes, completament inadequades per a la naturalesa d’una tragèdia. El desenllaç feliç, l’absència de morts, l’aparent frivolitat d’algunes situacions, aquests són els elements que han portat nombrosos crítics moderns a considerar que Hèlena i altres obres afins ja no pertanyen estrictament al gènere tràgic.
Però fins i tot una certa dosi d’humor és compatible amb la tragèdia. És obvi que totes aquestes obres no eren sinó tragèdies, tant per als espectadors del seu temps, com per a tots els tractadistes del món antic. Més encara, el darrer Eurípides esdevingué immensament popular, i una de les tragèdies preferides d’Aristòtil sembla haver estat Ifigenia entre els taures41 . Aquestes obres, en definitiva, no poden jutjar-se des d’idees preconcebudes i amb criteris reduccionistes.
Certament Hèlena té un final feliç, els protagonistes aconsegueixen salvar-se, i no mor cap dels personatges. Però no és pas possible afirmar que la mort sigui absent de l’obra, que renova ara i adés el record horroritzat de Troia i dels retorns catastròfics d’alguns grecs; la pròpia Hèlena hi contribueix i hi afegeix, a més, la seva lamentació reiterada per la mort de la mare i dels germans. I precisament l’evocació constant de l’horror de la guerra ha donat peu a una de les interpretacions més generalment admeses d’aquesta obra. Si Hèlena no anà mai a Troia, la guerra es revela com un absurd monstruós. La imatge fantasmal d’Hèlena representa els vans afanys dels contendents, la inutilitat de tantes morts i de tanta destrucció. Hom admet, així, que l’obra és un allegat contra totes les guerres. Al mateix temps, hom vincula Hèlena al context històric en què fou creada: la guerra del Peloponnès i els desastres que s’havien abatut, un rere l’altre, sobre Atenes. D’altra banda, la denúncia de les guerres és en el centre d’algunes obres d’Eurípides (Troianes, Andròmaca), i constitueix un motiu freqüent del seu teatre. I certament la segona antístrofa del primer estàsim d’Hèlena és un dels més profunds i més bells cants antibel·licistes de la literatura antiga.
I tanmateix aquest no és el principal motiu de l’obra. La guerra de Troia, amb totes les seves nefastes conseqüències, ha estat fruit de l’error, de la ceguesa humana, essencialment impossibilitada de reconèixer la realitat, de distingir el que és veritable del que és fals, el que és autèntic del que és il·lusori. La reflexió sobre l’absurd de la guerra és només part de la reflexió sobre un absurd molt més general i més tràgic.
I és impossible passar per alt el sagnant episodi de la fugida dels protagonistes, en el relat del Missatger. En efecte, una nova lluita esclata per Hèlena, com si un destí de mort acompanyés fatalment aquesta dona, ja es tracti de la seva persona o només de la seva imatge il·lusòria. Una Hèlena ben real ha estat, en aquesta ocasió, l’artífex de l’èxit, ja que ha estat ella qui ha concebut el pla que permet als grecs fugir. L’estratagema de la nau —observem l’èmfa-
40. Veg. vv. 437-482.
41. Veg. Arist. Po. 1455a 7ss.
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 71
si amb què es diu que és tot just acabada de construir—42 i dels grecs que s’hi esmunyen d’incògnit, armats, és la prova definitiva de l’astúcia i de la capacitat d’engany, ben odisseiques, d’aquesta dona; i el recurs resulta, en efecte, clarament inspirat en el del cavall de fusta prenyat de guerrers, la trampa fatal que permeté, a Troia, la victòria dels grecs. La lluita entre grecs i bàrbars a bord de la nau reviu la guerra de Troia. Menelau hi retroba per fi el seu paper natural de guerrer temible. Però és Hèlena mateixa qui encoratja els grecs, evocant la presa i la destrucció de la ciutat. Heus ací una altra Hèlena inèdita, posseïda de furor bèl·lic: una imatge terrorífica que cancel·la totes les lamentacions anteriors a propòsit de la guerra.
La salvació, doncs, és deguda a la intel·ligència, a les iniciatives i a les accions dels interessats, d’Hèlena sobretot, i de Menelau amb els seus homes; la intervenció dels Dioscurs es produeix quan tots ells ja s’han salvat. Així mateix, la decisió de Teònoe en favor dels fugitius no respon tampoc als dictats divins —per més que ella mateixa coneix i revela la voluntat dels déus—, sinó als seus propis principis morals. És l’individu, en definitiva, qui refiant-se dels seus recursos trobarà, si de cas, les solucions als seus problemes, perquè la divinitat ja no juga un paper decisiu. L’home es troba en un món completament inestable; la seva vida és fràgil en extrem; la prosperitat i la felicitat són estantisses i fugisseres; els déus, distants i indiferents, són inabordables i inescrutables. Aquesta no és una visió particular d’Eurípides, sinó que en bona mesura és l’expressió característica de la religiositat grega. Però Hèlena conté altres idees que són aportacions del pensament del seu autor, i és així com, en aquesta i en altres obres afins, les relacions dels homes amb els déus ja no ocupen una posició central. En un món regit per l’atzar, l’individu no troba valors transcendentals fixos, immutables, i per tal de compensar la seva impotència i la seva frustració ha de valer-se de la intel·ligència, de l’astúcia i del valor; però també farà ús d’altres recursos purament humans, com l’amistat, la fidelitat i l’amor. D’aquí resulten tragèdies, com Hèlena, amb trames aventureres i amb personatges que l’espectador sent propers. El veritable leitmotiv d’aquesta obra és la problemàtica relació entre realitat i aparença. Aquest conflicte s’expressa per mitjà d’una múltiple i variada successió de situacions inesperades i desconcertants. El motiu tradicional d’Hèlena representa el poder nefast de la bellesa il·lusòria i de la seducció enganyosa, la incertesa dels sentits, i els perills que sotgen rere les aparences: un pensament que prefigura les teories epistemològiques i l’idealisme filosòfic de Plató. Eurípides, a Hèlena, redueix el mite tradicional a error nefast, aguditzant encara més la confusió. A partir d’aquí, en l’obra, tot és incertesa, res no és el que sembla, se succeeixen les sorpreses, els equívocs, les ambigüitats i els enganys, sense que cap personatge se n’escapi en major o menor mesura. L’única excepció és el personatge d’Hèlena: només ella ha sabut en tot moment la veritat sobre l’engany dels déus. Per això, només ella és capaç de
42. Veg. v. 1531:
fer-se càrrec de la situació i de planejar-ne la sortida. I també el seu pla implica tramar un engany que faci creure que les coses no són el que semblen i que les persones no són qui semblen ser. El moment culminant d’aquest estratagema i la clau de l’èxit del pla el constitueix tot el tercer episodi43 En aquesta escena decisiva es descabdella una ficció que té per objectiu enganyar el jove rei: cal fer-li creure una història imaginària, i de la versemblança i de l’acceptació d’aquesta història en dependrà la salvació dels esposos i dels homes de Menelau. Però una acció tan decisiva no serà deixada a l’atzar de la improvisació, sinó que serà minuciosament disposada per endavant. L’engany de Teoclimen —que consisteix a fer-li creure que Menelau és mort i que cal realitzar un determinat ritus funerari— està plantejat en uns termes completament teatrals. En efecte, Hèlena i Menelau ‘actuen’ davant el rei, i representen uns papers i una història fictícis. Hèlena, en el seu rol de vídua afligida, adopta els senyals externs que li escauen —indumentària de dol, cabells tallats— i plora pel difunt. Menelau, per la seva part, fa el paper de Missatger i porta, com li pertoca, la notícia d’allò que s’ha esdevingut fora de l’escena; la seva identitat també es fonamenta convenientment en els parracs que el cobreixen. Aquest fals Missatger, que és Menelau, el suposat únic supervivent del naufragi de Menelau i els seus, conta al rei la seva pròpia, falsa mort. I després, a bord de la nau fenícia aconseguida amb engany, serà el destructor dels enemics egipcis, com a Troia, sorgint de l’enganyós cavall de fusta, ho fou dels troians. Però aquesta escena de lluita i fugida serà naturalment reportada per un Missatger, únic supervivent dels egipcis, autèntic Missatger aquesta vegada, si no és que el públic reconeix en ell el mateix actor que fins al moment havia fet el paper de Menelau... No hi ha, en tota l’obra, cap escena amb tantes expressions de doble sentit com aquí, on les paraules pronunciades —ja sigui deliberadament, com Hèlena i Menelau, o bé sense adonar-se’n, com Teoclimen— s’han d’entendre com carregades d’ironia. La ficció —una autèntica representació teatral en l’interior d’una obra de teatre— finalment triomfa. I tot ha estat curosament preparat per Hèlena en la darrera escena del segon episodi: en ella, com a autèntica autora del text i com a autèntica directora d’escena, ha donat les instruccions precises perquè la representació sigui un èxit. Hèlena, en tot moment més clarivident quant als perills de la situació en què es troben i a les possibilitats efectives de salvació, condueix hàbilment la conversa, de tal manera que es descarten les propostes de Menelau, mancades de tota possibilitat d’èxit, i porta l’espòs a creure que la iniciativa i la idea salvífica són seves. La metateatralitat de l’escena encara queda subratllada pel comentari de Menelau (v. 1056: «la proposta té un aire d’antigor»), que conté una allusió a l’Electra de Sòfocles, a Orestes que fingeix portar l’urna amb les seves pròpies cendres.
Hèlena, joguina i titella dels déus, ha decidit prendre l’acció en les seves mans: la seva consciència i el seu coneixement totals ara són posats al servei
43. Veg. vv. 1165-1300.
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 73
de la seva voluntat, i l’actriu consumada que sempre ha estat va més enllà del paper que fins ara se li ha adjudicat.
Una situació dolorosa i desesperada, provocada per l’engany dels déus, per la inestabilitat d’un univers incomprensible, només ha pogut ser resolta per mitjà d’un nou engany. Però amb el seu recurs metateatral Eurípides apel·la al poder de la ficció poètica, que és també pura il·lusió, però que és l’unic que pot salvar l’home.
Hèlena, que des dels primers versos de l’obra es revela com l’única persona que coneix l’autèntica naturalesa dels fets, és la consciència lúcida capaç, amb la seva saviesa i amb la seva intel·ligència creadora, de trobar en la illusió una sortida. Se situa, així, al nivell del creador, del poeta. Aquesta imatge se superposa, aquí, amb una força ben tràgica, a la de l’Hèlena que a la Ilíada representava en l’ordit i la trama del seu teler les gestes dels herois. En aquesta reflexió sobre la raó fonamental de la ficció poètica també el Cor d’Hèlena hi fa sentir la seva veu. Les tres intervencions corals configuren una progressió des del lament desesperat fins a la celebració continguda de la salvació. El primer estàsim expressa el dolor incommensurable per totes les penalitats esdevingudes; el segon conté el pressentiment rialler que s’aproxima la felicitat retrobada; i el tercer anticipa la joia que està a punt de coronar l’empresa. Cadascun dels moments d’aquesta progressió s’associa a la música, com una presència consoladora que dóna sentit al món: els tons luctuosos i bellíssims del cant del rossinyol, l’estrèpit sorprenent dels instruments que provoquen l’alegria de Demèter, i les danses que indicaran l’arribada a la pàtria.
La música i el cant esdevenen, en virtut del seu poder inefable, una veritable sublimació dels avatars de l’existència humana. El poeta, en la seva lucidesa, és conscient que es val d’una il·lusió fràgil i enganyosa; però sap que aquesta és també la grandesa del seu art.
BIBLIOGRAFIA
J. ALSINA 1957a, «La Helena y la Palinodia de Estesícoro», Estudios Clásicos 4, pp. 157-175.
J. ALSINA 1957b, «Studia euripidea, II: Helena en Eurípides», Helmantica 27, pp. 197-212.
J. ALSINA 1957c, «Helena de Troya. Historia de un mito», Helmantica 27, pp. 373-394.
J. ASSAËL 1987, «Les transformations du mythe dans Hélène d’Euripide», Pallas 33, pp. 41-54.
A. J. BEECROFT 2006, «“This is not a true story”: Stesichorus’s Palinode and the Revenge of the Epichoric», TAPA 136, pp. 47-70.
M. BETTINI, M.; C. BRILLANTE 2002, Il mito di Elena. Immagini e raconti dalla Grecia a oggi, Torí (trad. espanyola 2008, El mito de Helena. Imágenes y relatos de Grecia a nuestros días, Madrid).
Jaume Almirall SardàM. BROZE & ALII 2003, Le mythe d’Hélène, Brussel·les.
A. P. BURNETT 1971, Catastrophe Survived: Euripides’ Plays of Mixed Reversal, Oxford.
E. DELEBECQUE 1951, Euripide et la guerre du Péloponnèse, París.
M. DIRAT 1976, «Le lyrisme d’Hélène», REG 89, pp. 292-316.
R. EISNER 1980, «Echoes of the Odyssey in Euripides’ Helen», Maia 32, pp. 3137.
M. FUSILLO 1998, L’altro e lo stesso: teoria e storia del doppio, Florència.
L. B. GAHLI-KAHIL 1955, Les enlèvements et le retour d’Hélène dans les textes et les documents figurés, París.
I. E. HOLMBERG 1995, «Euripides’ Helen: most noble and most chaste», AJP, 116, pp. 19-42.
P. JACKSON 2006, The Transformations of Helen. Indo-European Myth and the Roots of the Trojan Cycle, Dettelbach.
D. M. JUFFRAS 1993, «Helen and the other victims in Euripides’ Helen», Hermes 121, 45-57.
G. A. KENNEDY 1986, «Helen’s web unraveled», Arethusa 19, pp. 5-14.
A. M. KOMORNICKA 1991, «Hélène de Troie et son “double” dans la littérature grecque (Homère et Euripide)», Euphrosyne 19, pp. 9-26.
M. B. LEFKOWITZ 1981, The Lives of the Greek Poets, Londres.
— 1989, «“Impiety” and “atheism” in Euripides’ dramas», CQ 39, pp. 70-82.
K. MATTHIESSEN 2002, Die Tragödien des Euripides (Zetemata 114), Munic. — 2004, Euripides und sein Jahrhundert (Zetemata 119), Munic.
G. S. MELTZER 1994, «“Where is the glory of Troy”?: kleos in Euripides’ Helen», CA 13, pp. 234-255.
A. MOREAU 2006, La fabrique des mythes, París.
F. MUECKE 1982, «“I know you – by your rags”: costume and disguise in fifthcentury drama», Antichthon 16, pp. 17-34.
W. NICOLAI 1990, Euripides’ Dramen mit rettendem Deus ex machina, Heidelberg.
G. F. N IEDDU 2004, «Un poeta al lavoro: qualche rifflessione sulla parodia dell’Elena nelle Tesmoforiazuse», in G. F. NIEDDU, La scritura “madre delle Muse”: alli essordi di un nuovo modello di comunicazione culturale, Amsterdam, pp. 137-159.
G. PADUANO 1968., La formazione del mondo ideologico e poetico di Euripide, Pisa.
V. PISANI 1928, «Elena e εἴδωλον», RFIC 56, pp. 476-479.
J. DE ROMILLY 1988, «La Belle Hélène et l’évolution de la tragédie grecque», LEC 56, pp. 130-143.
A. RUIZ DE ELVIRA 1974, «Helena. Mito y etopeya», CFC 6, pp. 95-133.
CH. P. SEGAL 1971, «The two worlds of Euripides’ Helen», TAPA 102, pp. 553614.
O. SKUTSH 1987, «Helen: her name and nature», JHS 107, pp. 188-193.
F. SOLMSEN 1934, «ONOMA and ΠΡΑΓΜΑ in Euripides’ Helen », CR 48, pp. 119.121.
Ἑλένη δραματουργός. Ficció dins la ficció en l’Hèlena d’Eurípides 75
V. I. STOICHITA 2006, The Pygmalion Effect. Towards a Historical Anthropology of Simulacra, Chicago (trad. espanyola 2006, Simulacros. El efecto Pigmalión: de Ovidio a Hitchcock, Madrid).
D. F. SUTTON 1972, «Satyric qualities in Euripides’ Ifigenia at Aulis and Helen», RSC 20, pp. 312-330.
K. TANGE 1994, «Kaine Helene: on Euripides’ Helen», CS 11, pp. 81-103.
P. VELLACOTT 1975, Ironic Drama: A Study of Euripides’ Method and Meaning, Cambridge.
LL. VILLALONGA 1961, Bearn, Barcelona.
P. VOELKE 1996, «Beauté d’Hélène et rituels féminins dans l’Hélène d’Euripide», Kernos 9, pp. 281-296.
M. L. WEST 1975, Immortal Helen, Londres.
C. WOLFF 1973, «On Euripides’ Helen», HSCP 77, pp. 61-84.
M. WRIGHT 2005, Euripides’ Escape-tragedies. A Study of ‘Helen’, ‘Andromeda’, and ‘Iphigenia among the Taurians’, Oxford.
N. ZAGAGI 1985, «Helen of Troy: encomium and apology», WS 19, pp. 63-88.
G. ZUNTZ 1958, «On Euripides’ Helen: theology and irony», in O. REVERDIN (ed.), Euripide, Entretiens sur l’Antiquité Classique 6, Ginebra, pp. 199-241.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 77-94
DOI: 10.2436/20.2501.01.51
Quan les paraules no mouen a compassió. Tragèdia, dansa i gestualitat a la novel·la d’Aquil·les Taci (III 10-11)
Roser Homar Universitat de Barcelona roserhomar@hotmail.com
ABSTRACT
Following the tradition of studies in ancient Greek novel where dramatic elements and various existing theatrical displays in the imperial era are studied, in this paper are largely commented the references to pantomime and tragedy that appear in chapters 10 and 11 of the third book of Leucippe and Clitophon. The relevant passage is also important because it anticipates the sacrifice scene, clearly mimic, of Leucippe (III book, chapters 14 and 15). Unlike the sacrificial scene, this monologue of Clitophon contains specific lexicon of pantomime and a reflection, although condensed and less explicit, on this dramatic genre, its function and utility. This reflection is very close to that we find more developed in other works, especially in The Dance of Lucian of Samosata. For this reason, other texts which refer to the same issues about pantomime and tragedy are quoted.
KEYWORDS: Achilles Tatius, pantomime, Lucian of Samosata, De Saltatione , tragedy
Leucipe, la protagonista de la novel·la d’Aquil·les Taci o Estaci, cau en el llibre III (capítols 14 i 15) a mans d’uns bandolers egipcis i és oferta com a víctima sacrificial davant els ulls de l’estimat, que contempla l’espectacle de lluny estant. El sacerdot, mentre entona —segons sembla per les ganyotes de la seva cara— un himne egipci, amb l’ajuda del seu acòlit, que toca la flauta, obre de dalt a baix el ventre de la noia, n’extreu les estranyes i, després de coure-les, les dóna per menjar als bandolers. Aquesta escena de sacrifici ca-
Roser Homarníbal resulta ser en realitat una ficció dramàtica, pensada i duta a terme per Sàtir i Menelau, companys de Clitofont, tal com ells mateixos ho revelen en els capítols del 18 al 21 del mateix llibre III. Al llarg d’aquests passatges els actors del drama descriuen amb tota mena de detalls l’engany, l’estratagema, la posada en escena, l’atrezzo i les disfresses de la peça teatral en qüestió. No és estrany que aquests passatges (14-15 i 18-21) hagin estat objecte de nombrosos articles i capítols de llibre durant els últims 20 anys1. La proliferació d’aquests estudis, en els quals aquesta escena es posa en relació amb diverses manifestacions dramàtiques, coincideix, al seu torn —i no és casualitat— amb l’aparició de monografies i articles sobre els espectacles dramàtics amb més requesta d’època imperial: el mim i la pantomima2 . Més recentment, Ruiz Montero3, en el seu article «Novela y pantomimo: vidas paralelas», assenyala els paral·lelismes entre ambdós gèneres (novel·la i pantomima), prenent com a referència per la pantomima La dansa de Llucià.
En l’estudi parteix dels termes que empra l’autor de Samòsata en aquesta obra per definir i caracteritzar la pantomima i per referir-se al contingut d’aquesta; inclou, també, les comparacions que estableix amb la retòrica, les obres pictòriques o amb altres elements i gèneres literaris, com la tragèdia, expressions artístiques ben presents en la novel·la. D’aquesta manera crida l’atenció sobre el fet que novel·la i pantomima comparteixen un món referencial comú, en un context social força semblant4
És així que el sacrifici fingit de Leucipe i la posada al descobert dels mecanismes teatrals de què es serveixen per ordir la ficció s’han relacionat amb els mims i pantomimes en general i, en particular, amb el mim anomenat Caritió5
En aquests estudis es contextualitza, es descriu i es cerquen paral·lels entre ambdós gèneres des del punt de vista de l’ambientació i l’execució de l’escena, dels elements escènics i del personatge que, de casualitat i involuntàriament, proporciona als actors i dramaturgs de la peça l’atrezzo professional per dur-la a terme. El personatge en qüestió, abans de morir en l’assalt al vaixell on viatjava, representava escenes homèriques disfressat amb la parafernàlia típica d’un guerrer homèric. És descrit de la següent manera (III 20, 4):
1. Vegeu per exemple CUEVA 2000; GARCÍA GUAL 1975; LAPLACE 1980; FUSILLO 1989, 33 i 34; MARINI 1993; MIGNOGNA 1997.
2. Les monografies més recents sobre el tema són GARELLI 2007; HALL & WYLES 2008; WEBB 2008.
3. RUIZ MONTERO 2014.
4. MORALES (2004, 717-77) també analitza els paral·lelismes entre ambdós gèneres, especialment pel que fa a les crítiques sobre la proliferació de personatges femenins i la impudicícia.
5. ANDREASSI 2002; MIGNOGNA 1997.
Quan les paraules no mouen a compassió
Entre ells n’hi havia un d’aquells que, de boca, representen els poemes d’Homer en els teatres. Armat amb la vestimenta homèrica i equipant també d’aquesta manera els que hi havia vora seu, van posar-se a lluitar.
La descripció d’aquest personatge, per a la qual no es fa servir cap terme tècnic ni específic, ha estat objecte d’algun article que vincula la seva professió amb la dels anomenats homeristes6 Igual com succeeix en aquest cas, en la resta de passatges que acabo d’esmentar (capítols 14-15, 18-21) no apareix cap terme específic de la pantomima, bé que en la descripció tant del sacrifici com del ‘making of’ s’evoca constantment l’univers escènic i dramàtic. És per aquest motiu que el comentari lèxic queda exclòs dels articles i llibres que se n’han ocupat.
A banda d’això, tot i que sembla clar que el lector havia de percebre ja en els capítols 14 i 15 la ficció, l’engany i el joc dramàtic de la mort de la noia, no existia cap argument de pes per negar la possibilitat d’una lectura ingènua del passatge (poc d’acord amb la idea de paròdia del gènere que sempre s’ha plantejat per a aquesta novel·la); una lectura, la ingènua, que avui dia algun lector que no conegui els mecanismes d’aquest gènere a l’antiguitat i l’ambient dramàtic de l’època podria experimentar perfectament.
És precisament per això que vaig trobar que els capítols 10 i 11 del llibre III de Leucipe i Clitofont donaven la clau al lector sobre com llegir l’escena del sacrifici de la protagonista. Aquests capítols ofereixen, a més, de manera molt condensada diverses idees sobre la funció d’aquest gènere dramàtic en el context d’un món multilingüe i multicultural, i dels seus vincles amb la tragèdia i la retòrica, reflexions que es desenvolupen de manera més extensa en La dansa de Llucià de Samòsata, autor contemporani del novel·lista. Pel que fa als capítols 10 i 11, la situació dels protagonistes enamorats és la següent: després de sobreviure a una tempesta, en la fugida de tots dos de casa de Clitofont, la parella arriba a Pelúsion i, d’allà, decideix fer cap a Alexandria per mirar de trobar els companys que han perdut enmig de la tempesta. Mentre naveguen pel Nil, l’embarcació en la qual viatgen és atacada per una turba de bandolers egipcis que acaben empresonant tripulació i viatgers per tal de conduir-los l’endemà com a botí al seu cabdill. De nit, mentre tothom dorm, Clitofont, que es troba vora Leucipe, inicia un monòleg interior7 en el qual es lamenta dels infortunis soferts. Comença i acaba així (III 10, 1; III 11):
6. Vegeu HILLGRUBER 2000, on s’estudia detalladament la figura dels homeristes en relació amb aquest personatge.
7. Sobre el discurs interior i el llenguatge, vegeu Ptolemeu, De iudicandi facultate et animi principatu 6.1- 6.10 on es tracta la qüestió del pensament racional (
) com a raonament interior (ὁ λόγος ὁ ἐνδιάθετος) i el llenguatge (διάλεκτος) com el mecanisme a través del qual s’expressen els pensaments (τὰ διανοηθέντα).
En fer-se de nit, mentre jèiem, encadenats com estàvem, i els guardes dormien, llavors —que va ser quan vaig poder—, vaig començar a doldre’m per Leucipe. Em considerava a mi mateix el responsable de tots els seus mals i em lamentava en el més profund de l’ànima, però amagava el sanglot del lament dins el meu cap: «Oh déus i divinitats» —vaig dir— «si és que existiu i escolteu, quin ultratge tan greu hem comès perquè en tants pocs dies ens trobem ofegats per tantes desgràcies? Ara ens lliureu a uns bandolers egipcis, de manera que no obtinguem ni tan sols compassió. [...] Així em lamentava, en silenci, sense poder plorar.
Es tracta d’un monòleg en què el protagonista no només rememora les seves dissorts en una queixa envers els déus, sinó que també mira de buscar de quina manera podria suscitar pietat en aquests bandolers bàrbars, que no parlen la seva llengua ni coneixen els mecanismes discursius convencionals de la súplica i que, per tant, no poden experimentar aquest sentiment tan típicament grec, que és la compassió (ἔλεος).
Clitofont, al llarg d’aquest discurs, on comunica els seus pensaments i les seves angoixes, es serveix (com ho faria un poeta tràgic, en el seu cas de l’actor que interpreta aquell personatge) de la veu d’un lector grec format i avesat a les declamacions en el teatre —que coneix, per tant, els mecanismes discursius mitjançant els quals provocar compassió— per suscitar pietat no als qui li volen mal, sinó a l’auditori que contempla, a través de les lletres o la veu del lector, els seus infortunis. Sembla com si el protagonista de la novella tingués al cap els mecanismes que Aristòtil descriu en la Retòrica 1386a 30-35 i els emprés:
Ara: com que les afeccions que semblen properes inspiren compassió, alhora que aquelles afeccions que s’han esdevingut o s’esdevindran en un espai de mil anys, afeccions que ni s’esperen ni es recorden, no inspiren compassió en general o bé no la inspiren de la mateixa mane-
Quan les paraules no mouen a compassió 81
ra, és necessari que aquells qui completen l’efecte de llurs paraules amb els gestos, amb els tons de la veu, amb els vestits i en general amb la mímica, siguin capaços de suscitar la compassió, car en fer que [el mal] aparegui clarament als ulls se’l fa semblar com una cosa pròxima...8
La distància temporal de què parla aquí Aristòtil equival en la novel·la a la distància no només temporal, sinó també física que existeix entre narrador/ personatge i lector, ja que en la novel·la no es pot donar una actualització dels fets mitjançant la presència física d’un rètor o actor. Per contrarestar aquesta distància, l’autor de la novel·la dota, mitjançant les paraules, el seu personatge, la disposició del discurs i l’ambientació enmig de la qual es produeix, dels recursos propis d’un rètor o actor. De manera molt intel·ligent, recorre a un discurs marcadament tràgic, afectat: el més efectiu a l’hora d’arrossegar l’auditori cap a les passions que es descriuen, i ràpidament identificable pel lector. Clitofont, jove instruït, que es delecta en la lectura9, hi introdueix, a més, motius típicament tràgics com el de les noces mudades en funerals10 —que Eurípides recull en Ifigenia a Àulida11—, quan diu12 (III 10, 5):
Bells són els ornats de les teves noces: una presó, la teva cambra; el terra, el teu tàlem; cadenes i cordes et fan de collars i braçalets; el teu padrí de noces és un bandoler. En comptes d’un himeneu, un lament fúnebre se t’ha de cantar.
De ben segur que el fet d’inserir aquest tòpic tràgic que, de fet, constitueix l’eix de la tragèdia d’Eurípides suara esmentada, justament en un passatge previ al del sacrifici de la protagonista no és casual i, molt possiblement, podria provocar en el lector de la novel·la un efecte d’anticipació dels esdeve-
8. Aristòtil, Retòrica Poètica. Traducció de Joan Leita, Barcelona 1998.
9. Aquil·les Taci I 6, 6:
«llavors, vaig alçar-me i intencionadament vaig passejar-me amb un llibre entre les mans per dins de casa, a la vista de la de la noia, llegint concentrat».
10. No és aquest, però, l’únic lloc on apareix aquest motiu; el trobem també en el llibre I 13, en boca del pare de Càricles, l’erómenos de Clínias.
11. Eurip. IA 905-6: σοὶ καταστέψασ’ ἐγώ νιν ἦγον ὡς
κομίζω· No és gens casual la proximitat entre aquesta tragèdia d’Eurípides i el passatge de la novel·la, donat que el sacrifici d’una donzella a punt de casar-se és l’element principal d’ambdues escenes.
12 A banda de les reminiscències tràgiques d’aquest passatge, Clitofont estableix també aquí una comparació entre la seva enamorada i l’Andròmeda del quadre que ha descrit a l’inici d’aquest mateix llibre (capítol VII).
niments. D’altra banda, pot tractar-se també d’una pista més que l’autor deixa al lector perquè, uns capítols més enllà, llegeixi el sacrifici de la noia com una peça dramàtica la font d’inspiració de la qual pot ben ser una tragèdia, gènere dramàtic clàssic els temes del qual recupera precisament la pantomima.
A diferència, però, d’aquest passatge de la novel·la on no es pretén commoure cap personatge de la ficció, sinó l’auditori/lector de la mateixa obra, en la tragèdia els discursos de súplica no estan ideats tan sols per moure el públic cap a aquest sentiment, sinó que també pretenen commoure el personatge a qui es dirigeixen, bé que, sovint, no s’obtenen els resultats desitjats. Els discursos de súplica de la tragèdia, tanmateix, poden arribar a ser tan persuasius com per commoure, fins i tot, uns bàrbars. Per posar un exemple significatiu quant a la proximitat entre tragèdia i novel·la, el discurs de súplica que pronuncia Helena en la tragèdia homònima d’Eurípides 13 mou a compassió una bàrbara egípcia, la filla de Proteu, que accedeix a encobrir-la en el seu engany14; també, en el diàleg que manté amb Teoclimen, el fill del mateix Proteu15, gràcies al qual l’home cedeix i accepta que Helena celebri els ritus funeraris en honor del seu espòs. És d’aquesta manera, fingint una mort, com la parella aconsegueix, per fi, retrobar-se, i tornar junts a casa. Però aquests egipcis de la tragèdia d’Eurípides no són uns bàrbars qualsevol, sinó que són de família règia i se’ls suposa, per tant, el coneixement de la llengua grega i la capacitat d’experimentar un sentiment determinat perquè el reconeixen en el discurs que escolten. En aquesta tragèdia, com en d’altres, el grec sembla ser una llengua universal que tots els pobles coneixen i parlen; no existeix un conflicte lingüístic entre diferents cultures16 . Els egipcis de l’episodi de la novel·la, en canvi, parlen una llengua bàrbara (ἐβαρβάριζον17) i, per la seva condició de bandolers, no posseeixen cap qualitat humana, ja que, essent bàrbars com són, no en tenen cap de natural.
A tot això s’afegeix que, per la seva condició, estan mancats de l’educació grega, estesa en aquesta època per tot l’imperi. Clitofont expressa, així, aquesta idea, deixant ben clar que un bandoler grec, tot i ser-ho, posseeix com a mínim la qualitat de commoure’s davant d’un discurs de súplica (III 10, 2-3):
13. Recordem que l’Helena s’insereix en el conjunt de tragèdies d’Eurípides que alguns estudiosos han definit com a novel·lesques
14. Eurip. Hel. 894-943; també Menelau a continuació (vv. 947-995).
15. Ibid. vv. 1193-1250.
16. Passa una cosa semblant a les pel·lícules americanes de fa uns quants anys en les quals tothom parla i entén l’anglès independentment de l’època i el lloc en què se situïn.
17. Aquil·les Taci III 9, 2: ἐβαρβάριζον δὲ πάντες.
Quan les paraules no mouen a compassió 83
Ara ens lliureu a uns bandolers egipcis, de manera que no obtinguem ni tan sols compassió. Perquè a un bandoler grec la veu humana el fa cedir i una súplica l’amolleix, ja que moltes vegades la paraula suscita compassió. Certament, en la súplica la llengua fa d’intermediària del patiment de l’ànima i podria amansir la insolència del cor dels qui escolten. Però, ara, amb quina veu suplicaré? Quins juraments esmentaré? Encara que fos més persuasiu que les sirenes 18 , un assassí no escolta.
En aquest passatge, Clitofont, emprant tot el lèxic de la paraula humana, raonada, a la seva disposició, posa com a problema central de la persuasió les barreres lingüístiques i, per tant, mentals que el separen dels seus agressors; un problema que, en general, no es planteja en la tragèdia, com acabem d’apuntar, però sí en diferents obres d’època imperial, i també en altres novel·les; és, doncs, aquesta una reflexió molt significativa de l’època en què la novel·la es troba inserida. A continuació, seguint aquest raonament, cerca una alternativa a la impossibilitat de comunicar-se mitjançant el llenguatge parlat. I és aquí on apareix la possibilitat de representar mímicament, mitjançant el ball, la seva súplica19 . Vegem ara com s’articulen les referències a la pantomima, en constatar que les paraules de súplica d’un grec ja no poden aspirar a produir compassió en un indret remot on els bàrbars que l’habiten no comprenen no només la llengua, sinó tampoc el sentit dels discursos en to de súplica (III 10, 3-4)20:
18. En aquesta època la imatge de les sirenes com a veu que persuadeix és molt utilitzada sovint en contextos teatrals. Vegeu, per exemple, Luc. Salt. iii.
19. Sobre la universalitat del llenguatge de la pantomima i el seu sistema codificat en relació amb el de la novel·la, vegeu RUIZ MONTERO 2014, 617-618).
20. VILBORG 1962, 72 relaciona aquest passatge amb Heliodor, Etiòpiques VI 8, 3. En bona part d’edicions i traduccions posteriors, ja sigui de la novel·la d’Aquil·les Taci com de la d’Heliodor, s’esmenta la proximitat entre ambdós passatges. En el cas de les Etiòpiques, però, tal com assenyalen els editors i traductors de Les Belles Lettres (Rattenbury, Lumb & Maillon 1960 2, 97) i de Gredos (Crespo 1979, 288), es tracta més aviat d’una al·lusió a les danses mímiques (ὑπορχήματα) que executaven els personatges de tragèdia en els solos En aquest passatge d’Heliodor, doncs, el motiu d’aquestes danses no té res a veure amb la comunicació mitjançant un llenguatge no verbal, tot i que, vist com és presentat aquest rampell de Cariclea, la seva actuació resulta molt propera a les representacions de passions de què parla Llucià al llarg de La dansa. D’altra banda, aquest passatge d’Heliodor ens permet constatar una vegada més que és certa l’afirmació de nombrosos estudiosos de la pantomima quan diuen que els solos de les tragèdies són l’antecedent directe de la pantomima. Pel que fa als ὑπορχήματα, vegeu Luc. Salt. xvi, on fa referència a aquesta mena de dansa en contextos rituals.
Només puc suplicar per senyals i mostrar la pregària amb gestos de les mans. Quantes desgràcies! Hauré de representar dansant el meu lament.
Pels meus infortunis, tot i que són fora mida, poc em dolc; pels teus, Leucipe, no tinc boca per entonar un lament, no tinc ulls per plorar-te.
El terme χειρονομία22 fa referència al complex i subtil moviment de les mans i dels braços sobre el qual existeixen normes i correspondències molt estrictes en la pantomima, ja que es tracta d’un espectacle on l’element visual té una preponderància absoluta per sobre de la música i el cant. El ballarí ha de conèixer el codi dels moviments de les mans; depenent de la posició i del gest d’aquestes, transmet un sentiment, una passió o un personatge determinats. Aquesta qualitat era tan important que el mateix Llucià, recollint les paraules d’un tal Lesbònax de Mitilene23, diu el següent (La dansa lxix):
En efecte, Lesbònax de Mitilene, home de bé, dóna als ballarins els sobrenom de manisavis ( χειροσόφους ) 24 i acudia a l’espectacle d’aquests amb la intenció de tornar del teatre millor (del que havia entrat)25
Sobre la immensa varietat de sentiments i d’accions que els gestos de les mans poden representar, en dóna notícia també Quintilià (Institutio Oratoria XI 3, 85-86):
Mas las manos, sin las cuales la acción sería defectuosa y débil, apenas puede decirse cuántos movimientos tienen, pues casi exceden al número de palabras. Porque las demás partes del cuerpo acompañan al que habla; pero éstas, casi estoy por decir que hablan por sí mismas (ipsae loquuntur). Porque ¿por ventura no pedimos con ellas? ¿No prometemos, llamamos, perdonamos, amenazamos, suplicamos, detestamos...?26
21. ἐξορχήσομαι és una conjectura de HIRSCHIG 1856 que accepta HEINEMANN 1947 en l’edició de la Loeb.
22. Sobre l’ús i significat d’aquest terme, que es remunta a l’època clàssica, vegeu LAWLER 1954, 155-156.
23. Podria tractar-se d’un rètor el fill del qual fou mestre de Tiberi.
24. Llucià empra aquesta mateixa paraula aplicada als ballarins a Lexiph. xiv i Rhet praec xvii.
25. Per a un comentari sobre aquest passatge, quant a la relació de la pantomima amb la filosofia, vegeu RUIZ MONTERO 2014, 618-619.
26. Quintiliano, Instituciones Oratorias vol. II, traducció de Ignacio Rodríguez y Pedro Sandier. Bilbioteca Clásica, Madrid 1942.
Quan les paraules no mouen a compassió 85
D’aquesta tècnica també es servien els oradors en els seus discursos; la manera com s’havia d’executar, però, no era idèntica. Així, Quintilià mateix alerta una mica més endavant que, tot i que l’orador ha de servir-se d’aquest recurs que tant dominen els ballarins, l’ús que n’ha de fer no ha de ser de cap manera igual a l’ús que aquests en fan ( Institutio Oratoria XI 3, 88-89):
Y estos ademanes de que he hablado acompañan naturalmente a las mismas voces. Otros hay que dan a entender la cosa por imitación, como significar un enfermo imitando al médico en ademán de tomar el pulso, o un citarista poniendo las manos a la manera del que hiere las cuerdas, lo cual debe evitarse todo lo más que se pueda en la acción. Porque un orador debe diferenciarse muchísimo de un bailarín, de manera que su ademán sea más acomodado al sentido que a las palabras (Abesse enim plurimum a saltatore debet orator, ut sit gestus ad sensus magis quam ad verba accommodatus ), lo cual acostumbran a hacer aun los comediantes de alguna gravedad.
Quintilià, marcant aquesta diferència entre uns i altres actors escènics, estableix implícitament una certa proximitat, que és assenyalada també per Llucià, en aquest cas, pel que fa a la claredat: igual com el rètor27 ha de gaudir sempre d’aquesta qualitat, el ballarí, donat que l’habilitat de les mans s’apropa a un codi que l’espectador ha de poder desxifrar, ha d’executar els moviments amb tota claredat, cosa indispensable per a la correcta comprensió del personatge i de l’escena que es representa. L’habilitat gestual, d’altra banda, es relaciona amb el silenci del ballarí (La dansa lxii), al contrari del que succeeix en els discursos, on aquesta qualitat va associada al llenguatge i les paraules:
Donat que és mimètic i s’esforça a mostrar a través del moviment allò cantat, li és obligat allò mateix que als rètors, entrenar-se en la claredat de manera que no necessiti cap exegeta que expliqui cada moviment, sinó que, tal com diu l’oracle d’Apol·lo, cal que qui contempla la dansa comprengui i escolti el ballarí silenciós i mut.
27. Per a un comentari d’aquest passatge i la seva relació amb la novel·la, vegeu RUIZ MONTERO (2014, p. 611).
La polaritat parla/gest, intensificada una mica més endavant, en aquest mateix capítol, contribueix a establir una equivalència entre l’acció de veure i la d’escoltar. Així ho exposa Llucià (La dansa lxiii 28-32), com abans Quintilià, a partir d’una anècdota en la qual Demetri contempla la performance del ballarí:
I va ser així que Demetri, complagut fora mida pel que s’havia esdevingut, dirigí la següent lloança, la més gran, al ballarí. Va cridar i amb forta veu exclamà: «Escolto, home, el que fas. No només ho veig, sinó que em fa l’efecte que parles amb les teves pròpies mans».
El silenci del ballarí i la loquacitat de les seves mans, que fan comprensible tot el que es vol transmetre, són subratllats en tot moment, com acabem de veure, per diversos autors; en aquest passatge de la novel·la és precisament per la impossibilitat de la paraula que Clitofont decideix recórrer la pantomima, donat que substitueix la paraula pels moviments i pels gestos de les mans. Uns llibres més endavant (V 5, 4-5), el mateix Clitotofont du a l’extrem l’assimilació entre mà i paraula, quan relata a la seva estimada el mite de Tereu i Filomela. L’explica així:
I, com que tenia por de la llengua de Filomela, li segà la flor de la seva veu i li donà com a presents matrimonials no parlar mai més. Però de poc li va servir, perquè la traça de Filomela trobà una veu callada. En efecte, teixeix un tapís, missatger d’ella, i cus amb llanes la història: la seva mà es converteix en llengua i revela als ulls de Procne el que haurien de sentir les seves orelles, explicant-li amb llana el que ha patit. Procne sent a través del tapís la violació i busca una venjança desfermada contra el marit.
En aquest cas el gest de la mà és el de teixir i sembla tenir poc a veure amb la pantomima. Tanmateix, la proximitat entre aquesta performance teatral i
Quan les paraules no mouen a compassió
les arts gràfiques és també apuntada en el diàleg de Llucià28, d’una banda, i en Heliodor, de l’altra. En el segon cas, Heliodor introdueix aquesta proximitat entre pantomima i arts plàstiques quan assimila als personatges d’un quadre29 els espectadors del doble retrobament, entre pare i fills, d’una banda, i entre els enamorats, de l’altra. Es tracta d’un passatge30, aquest, construït tot ell com un espectacle mímic en el qual es van succeint diferents escenes de reconeixement.
Però no només les mans són importants en l’execució d’aquest espectacle, sinó que els moviments ballats en són, també, part fonamental, així com les figures (σχήματα), més estàtiques, a través de les quals es reconeix un personatge concret i la seva situació. És per aquest motiu que en grec aquest espectacle dramàtic s’anomena ὄρχησις31, terme que designa les seves arrels: la dansa en general, i aquelles danses en particular que formaven part de les peces dramàtiques d’època clàssica. Llucià, que com Libani, estableix un parentesc paterno-filial entre tragèdia i pantomima32, deixa ben clar en el seu tractat que la paraula pantomim l’usen els itàlics, no els grecs, per referir-se al fet que un sol ballarí impersona una multitud de personatges33 . Seguint la tradició grega, en el passatge III 10, 3 de la novel·la, Clitofont empra la forma verbal d’ὄρχησις per explicitar que la seva alternativa al discurs de súplica és la dansa mímica. Malgrat que la versió més representada en els manuscrits és la forma ὀρχήσομαι34, en el text hem inclòs la conjectura de Hirschig (1856), ἐξορχήσομαι , ja que en el diàleg de Llucià (xv) apareix aquest mateix verb per referir-se a la divulgació de misteris secrets: Ἐῶ λέγειν, ὅτι
28. Luc. Salt. xxxv: «i no està allunyada en absolut de la retòrica, ben al contrari, participa d’ella, en la mesura en què és indicativa de comportaments i de sensacions, al que els oradors aspiren. Tampoc està allunyada de la pintura o de l’escultura, sinó que s’exhibeix imitant l’harmonia que trobem en aquelles, de manera que ni un Fídias ni un Apel·les no es mostren millors».
29. Heliod. Aeth. VII 7, 4:
30. Heliod. Aeth.VII 4-8. Sobre aquest passatge vegeu HOMAR en premsa.
31. Al llarg de tot l’escrit hem citat el diàleg de Llucià pel títol llatí tradicional. Tanmateix, el títol original grec és, seguint la denominació habitual grega d’aquest espectacle
32. Entre altres passatges, vegeu, per exemple, Luc. Salt. xxxi i Lib., Or. 64 112.
33. Luc. Salt. lxvii.
34.
M’estalvio dir que no es pot trobar cap ritual d’iniciació antic on no hi hagi dansa, atès que els instituïren Orfeu, per descomptat, Museu i els millors dansaires de llavors, de manera que establiren aquesta bellíssima llei: iniciar-se en els misteris amb música i dansa. I això és així: cal guardar silenci pel que fa les cerimònies per motiu dels no iniciats, però tots han sentit que, a aquells que han revelat els misteris), se’ls diu que els han divulgat tot dansant.
No està massa clar com cal traduir el verb; els significats que en donen els diccionaris són els següents:
BAILLY: 3 divulguer par une pantomime dansée: ἀπόρρητα, LUC Salt 15, des secrets; μυστήρια, LUC Pisc. 33, des mystères.
LIDL SCOTT. III. dance out, i.e. let out, betray, ἐ. τὰ ἀπόρρητα, prob. Of some dance which burlesqued those ceremonies, Luc. Salt . 15; τὰ μυστήρια Id. Pisc. 33, Alciphr. 3. 72, Ach. Tat. 4.8, Anon. Oxy. 411.25.
Pel context, sembla que el verb fa referència al fet que han divulgat dansant allò que no es pot explicar mitjançant les paraules.
Segons la conjectura de Hirschig, podem dir que, seguint la tradició de pensament que relaciona la novel·la amb certes iniciacions mistèriques, l’expressió dels sentiments més íntims que el protagonista té dins el seu cor i que no pot verbalitzar s’assimila amb alguna mena de misteri 35. En tot cas, queda clar que la dansa es vincula a la gestualitat entesa com un llenguatge universal comprensible per a tothom, quelcom que subratllen tant Quintilià com Llucià. El primer autor afirma el següent (XI 3, 87):
En tanto grado es esto, que siendo tan grande la variedad de lenguas que hay entre todas las gentes y naciones, me parece que éste es un lenguaje común a todos los hombres (Ut in tanta per omnes gentes nationesque linguae diversitate hic mihi omnium communis sermo videatur).
Llucià (lxiv) explica la següent anècdota, que recorda molt a allò que s’esdevé en el passatge de la novel·la de què tractem36:
35. És en aquest sentit com cal entendre aquest verb en Aquil·les Taci IV 8, 3: «Creu-me quan et dic, Menelau, —en les misèries et revelaré els secrets (
)— tan sols això, besades, he obtingut de Leucipe».
36. Les nombroses similituds temàtiques i de pensament entre Llucià i Aquil·les Taci han estat ja apuntades en algun article, bé que no s’ha aprofundit encara del tot en aquesta qüestió. Vegeu, per exemple, SCHWARTZ 1976.
Quan les paraules no mouen a compassió
I, ja que hem esmentat Neró, vull parlar-te del que succeí a aquest mateix ballarí amb un bàrbar, perquè podria ser la més gran lloança de l’art de la dansa. Va arribar a Neró un home regi dels bàrbars del Pont per un assumpte i contemplà juntament amb altres aquell mateix ballarí que ballava tan clarament, de manera que, tot i que no entenia el que es cantava — resulta que era semi-hel·lè— ho comprengué tot. Quan ja anava al casal de Neró, que l’havia acollit i que li ordenà que demanés tot el que volgués perquè es comprometia a donar-li-ho, ell digué: “Dóna’m el ballarí i m’oferiràs el més gran honor”. I, quan Neró li preguntà: “Per a què et seria útil aquest ballarí?”, ell respongué: “Tinc uns veïns bàrbars que no parlen la nostra mateixa llengua i no em resulta fàcil trobar intèrprets. Si necessito res, ell, fent senyals, serà el meu intèrpret en tot”. Tan impressionat quedà per la clara i la representativa dansa mimètica que havia exhibit.
Aquesta anècdota narrada per Llucià transmet les mateixes idees sobre el funcionament de la pantomima i la possible utilitat del ballarí més enllà dels escenaris que els capítols 10 i 11 del llibre III de la novel·la d’Aquil·les Taci. És així que tant en aquest episodi de la novel·la com en els passatges citats d’altres obres que parlen explícitament la pantomima i hi reflexionen, aquest gènere dramàtic és considerat un llenguatge universal, comprensible per a tothom i, alhora, transmissor dels valors hel·lènics. Fins i tot, com a hereu directe de la tragèdia clàssica, és un element educador37, quan aquesta deixa de ser operativa, ja que en un món multilingüe i multicultural aquest gènere dramàtic clàssic no es pot adaptar als canvis que la nova situació planteja.
En el cas de la novel·la d’Aquil·les Taci, ho veiem en el fet que s’enllaça el discurs marcadament tràgic amb la intenció de transmetre, mitjançant la dan-
37. Sobre la dansa com a element educador, vegeu Luc. Salt. xvi: «...quant instrueix i quantes coses ensenya, i com compassa les ànimes dels espectadors, les entrena en els més bells espectacles i les entreté amb els millors recitals; i exhibeix la bellesa comuna de l’ànima i del cos».
sa i els gestos, no tan sols una súplica, sinó també un sentiment específicament grec i tràgic: la compassió38
Aquest valor educatiu, que comparteix també amb la tragèdia, és subratllat per Libani en el seu Discurs 64, 112:
Just quan va florir la raça dels tragediògrafs, en els teatres hi havia presents uns mestres comuns per al poble. Però, quan aquests desaparegueren i els més afortunats gaudiren de l’educació en els museus, però la majoria en quedà privada, un déu s’apiadà de la manca de formació de la majoria i introduí en substitució l’ensenyament de la dansa, una de les antigues pràctiques de la multitud; i ara l’orfebre prou que podrà conversar sobre el casal de Príam i Laios amb algun dels entesos.
Les històries antigues dels grecs i els valors que aquestes contenien són ara transmeses a través del gest i del moviment, traspassant, així, la centralitat de la paraula a la de la visió. D’aquesta manera, en establir-se una polaritat entre paraula (discurs: tragèdia / retòrica) i gest, s’està marcant també una proximitat de mecanismes entre tragèdia/retòrica i pantomima, com ara la claredat en l’execució, ja que els termes per a definir aquesta activitat són manllevats de la teoria retòrica.
No ha de resultar, per tant, sorprenent el fet que establim una equiparació entre tragèdia i retòrica, que, d’altra banda es pot rastrejar perfectament en la novel·la39, atès que en època imperial la tragèdia clàssica, conservada en els textos, era entesa com un conjunt de passatges dels quals s’extreien mecanismes discursius que poguessin aprofitar els oradors. Però, si en la tragèdia (també en la retòrica, que pren moltes de les tècniques dels textos tràgics) les paraules provoquen que l’espectador presenciï, com si ho tingués davant els ulls ( πρὸ ὀμμάτων ) — per reprendre les paraules d’Aristòtil en Retòrica 1386a 30-35— allò que un personatge relata, en la pantomima succeeix el contrari: l’espectador sent allò que se li representa davant dels ulls. La novel·la, llavors, va més enllà integrant totes aquestes
38. Tant la pantomima com la novel·la presenten nombroses escenes ἐλεεινά. Vegeu RUIZ MONTERO (2014, p. 615).
39. Sobre aquesta qüestió en Aquil·les Taci, vegeu HOMAR 2008-2010, 166-178). Sobre la utilització que fa la retòrica de la tragèdia, vegeu per exemple CASTELLI 2000.
Quan les paraules no mouen a compassió 91
polaritats en un discurs interior on les paraules, a través de les lletres del text, ressonen en les orelles del lector/auditori i fan que els seus ulls s’afigurin allò que s’està relatant.
Igual com en l’anècdota de Llucià la mímica clara del ballarí el faria capaç de mudar en gestos unes paraules, per tal que, l’altra part, comprenent allò que veu, sentís, d’alguna manera, i comprengués, les paraules d’una llengua no coneguda; de la mateixa manera, Clitofont considera com a única possibilitat de salvació transformar-se en un ballarí per transmetre la seva súplica en un llenguatge comprensible per a tothom.
Sorprenentment, però, qui acaba convertint-se en un actor mímic no és Clitofont —a qui sobren les paraules i es comporta com un personatge de tragèdia quan elabora aquest discurs de súplica que, en el seu món multicultural i multilingüe, no pot funcionar— sinó Leucipe.
En un món de bàrbars que no coneix ni domina els procediments discursius típicament grecs, la tragèdia clàssica i els seus mecanismes, en aquest cas el discurs de súplica, només causa efecte en uns pocs privilegiats, els instruïts, però és inútil i incomprensible per als bàrbars.
És per aquesta raó que, de la incapacitat de Clitofont per traslladar el seu discurs tràgic a un llenguatge universal, quan les seves paraules no mouen a compassió els personatges del drama, neix una tragèdia, ja no a la manera clàssica, sinó en forma mímica (III 14 i 15): el sacrifici de la seva estimada. I Leucipe assumeix aquest paper de ballarí mut i silenciós quan, en preguntar-li l’estimat, un cop ha assajat dins el seu cap el discurs llastimós de les seves penes, per què està tan callada, ella respon (III 11, 2):
«Perquè» —va fer ella— «en la meva ànima, Clitofont, la meva veu està morta (τέθνηκεν)».
D’aquesta manera Leucipe es transforma en el personatge mut i silenciós, en la protagonista de l’escena de sacrifici caníbal de què parlàvem al principi. I el seu estimat, que pretenia salvar-la justament amb una pantomima, es converteix, llavors, en un espectador ingenu del drama, de la ficció mímica en què, fingint la mort de l’estimada, es preserva la seva vida. Cal contemplar també, però, la possibilitat que Clitofont no sigui un espectador de l’escena, o no només, sinó el cantant/narrador del que s’està esdevenint per al receptor de la novel·la, ja que és a través de les paraules de Clitofont que el lector s’assabenta del que succeeix a l’escena, a l’altra banda del fossar. Això no seria estrany ja que sabem que en la pantomima hi havia un cor o un solista que descrivia per a l’espectador l’escena que s’estava representant. És més, un rol semblant adquireix per al lector el narrador en l’escena d’Etiòpiques VII 4-8, que, com hem apuntat més amunt, es tracta d’un passatge molt proper als espectacles de pantomima. En aquest cas, però, la figura de cantant solista del narrador es combina amb la d’exegeta de quadres a través de la comparació que s’estableix entre els espectadors descrits entorn de les muralles i els personatges d’un quadre.
Roser HomarPerò de ben segur que un lector de novel·les entès i coneixedor de la realitat i diversitat dramàtica del seu temps, incloses les performances retòriques i els models discursius, resseguint les pistes d’aquest passatge, assistia al macabre espectacle amb els ulls d’un espectador que es complau en les ficcions teatrals i que sap destriar la realitat del món del teatre. És així que, una vegada més, els capítols 10 i 11 de llibre III de Leucipe i Clitofont ens mostren que la novel·la és un gènere integrador de molts altres, ja que apareixen condensats, en una escena de to dramàtic, la tragèdia clàssica i la d’època imperial (la pantomima), i també la retòrica40
No hem d’oblidar, però, que darrere aquesta integració de gèneres hi ha, bé que de manera implícita i condensada, una reflexió sobre què representen i quins són els límits de cadascun d’ells. Pel que fa a la tragèdia, vehiculada a través de la reflexió retòrica sobre el discurs de súplica, la llengua i els mecanismes discursius són els seus límits i, alhora mancances, enmig d’un món, el que es reflecteix en la novel·la, on hi ha pobles i gents bàrbares que ni coneixen la llengua, ni tampoc els referents dels discursos i els motius tràgics. La denominació de bàrbars, aquí fa referència tant al fet que parlen una llengua diferent com a la seva manca d’educació (παιδεία), basada en aquesta època en els models grecs. Com a alternativa a aquest gènere teatral, Clitofont es proposa acudir al seu hereu, la pantomima. Així ens ho mostren els termes que apareixen en aquest passatge χειρονομία i ὀρχοῦμαι , que, com hem demostrat amb diversos passatges d’altres autors, eren termes habituals i específics d’aquest gènere teatral.
Igual com en els textos exposats que versen sobre la pantomima s’estableix una correspondència i polaritat entre veure i escoltar, entre gest i paraula, en aquest passatge de la novel·la, Clitofont juga amb el camp lèxic de la paraula (φωνή, γλῶττα, λόγος) i la polaritza amb el lèxic dels gestos (νεῦμα, δελῶ, χειρονομία).
Hem de suposar, per tant, a la llum d’aquest estudi del passatge, un lector amb una formació hel·lènica suficient com per a detectar aquesta intertextualitat i també, com ja hem dit, coneixedor del món de l’espectacle de l’Imperi. Podria tractar-se, potser, d’un públic semblant al de la pantomima: variat, entre el qual hi hauria gent més formada i una massa de públic menys cultivada41
D’aquesta manera, igual com un actor tràgic pretén suscitar pietat (ἔλεος) en l’espectador, mitjançant les seves paraules, Clitofont, servint-se dels mecanismes dramàtics a què fa referència Aristòtil en Retòrica 1386a 30-35, fa exactament el mateix amb el receptor/lector de la novel·la, estratègia que, tal com ell exposa, no li servirà de res amb uns bandolers egipcis, per als quals serà més efectiu, segons ell, una pantomima.
Però el narrador, que deixa les pistes suficients al lector com perquè detecti
40. Sobre els referents de gènere que comparteixen pantomima i novel·la, vegeu RUIZ MONTERO 2014, 613.)
41. Sobre les dues menes de públic de la pantomima, vegeu Luc., Salt. lxxxiii. Per a una reflexió a propòsit del destinatari d’ambdós gèneres, vegeu RUIZ MONTERO 2014, 620).
Quan les paraules no mouen a compassió 93
la ficció del sacrifici, sí que amaga una sorpresa al seu lector: el cop d’efecte que el lector podria rebre en els següents capítols, no seria tant la sorpresa de que Leucipe no ha mort en el sacrifici fingit, sinó el fet que, tot i que Clitofont, en el capítol 10, sembla prometre a l’auditori una pantomima (la representació mímica de la seva súplica davant el cabdill dels bandolers), la vertadera pantomima la representa Leucipe (III 14 i 15), que assumeix el seu rol de manera ben silenciosa amb les paraules que hem citat més amunt i que acompleix fins al moment en què revelen la veritat a Clitofont (III 21-23).
BIBLIOGRAFIA
M. A NDREASSI 2002, «Il mimo tra “consumo” e “letteratura”: Charition e Moicheutria», Ancient Narrative 2, pp. 30-45.
C. CASTELLI 2000, Μήτηρ σοφιστῶν. La tragedia nei trattati greci di retorica, Milano.
E. P. CUEVA 1994, «Anth. Pal. 14.34 and Achilles Tatius 2.14», Greek, Roman and Byzantine Studies 35, pp. 281-286.
M. FUSILLO 1989, Il romanzo greco: Polifonia ed eros, Venezia.
C. GARCÍA GUAL 1975, «Apuntes sobre el mimo y la novela griega», Anuario de filología 1, pp. 33-41.
M. H. GARELLI 2007, Danser le mythe. La pantomime et sa réception dans la culture antique, Louvain.
E. HALL & R. WYLES (edd.) 2008, New directions on Ancient Pantomime, New York.
M. HILLGRUBER 2000, «Homer im Dienste des Mimus. Zur künstlerischen Eigenart der Homeristen», Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 132, pp. 63-72.
R. HOMAR 2008-2010, «Tragèdia i retòrica en la novel·la grega», Ítaca 24, 25 i 26, pp. 157-181.
— «Tύχη e innovación del drama. Un análisis de Etiópicas VII 4-8», Actas del XIII Cogreso de la Sociedad Española de Estudios Clásicos , Logroño 2011. En premsa.
I. L ADA -R ICHARDS 2007, Silent Eloquence: Lucian and Pantomime Dancing , London 2007.
M. LAPLACE 1980, «Les légendes troyennes dans le “roman” de Chariton, Chairéas et Callirhoé», Révue des Études grecques 93, 1, pp. 83-125.
L. B. LAWLER 1954, «Phora, Schema, Deixis in the Greek Dance», Transactions and Proceedings of the American Philological Association 85, pp. 148158.
N. MARINI 1993, «Il personaggio di Calliroe come “nuova Elena” e la mediazione comica di un passo euripideo», Studi italiani di filologia classica 11, pp. 204-215.
E. M IGNOGNA 1996, «Il mimo “Leucippe”. Un’ipotesi su PBerol inv. 13927 [Pack2 2437]», Rivista di Cultura Classica e Medioevale 1, pp. 161-166.
Roser Homar— 1996, «Narrativa greca e mimo: Il romanzo di Achille Tazio», Studi Italiani di Filologia Classica 5. 14, pp. 232-242.
— 1997, «Leucipe in Tauride: mimo e “pantomimo” tra tragedia e romanzo», Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici 38, pp. 225-36.
S. MONTIGLIO 1999, «Paroles dansées en silence: l’action signifiante de la pantomime et le moi du danseur», Phoenix LIII 3-4, pp. 262-280.
H. MORALES 2004, Vision and Narrative in Achilles Tatius’ Leucippe and Clitophon, Cambridge.
C. RUIZ MONTERO 2014, «Novela y pantomimo: vidas paralelas» Ágalma. Ofrenda desde la Filología Clásica a Manuel García Teijeiro, Valladolid, pp. 609-621.
N. SAVARESE 2003, «L’orazione di Libanio in difesa della pantomima» Dioniso 2, pp. 84-105.
J. SCHWARTZ 1976, «Achille Tatius et Lucien de Samosate», L’Antiquité Classique 45. 2, pp. 618-626.
R. WEBB 2008, Demons and Dancers: Theatrical Performance in Late Antiquity, Cambridge-Massachusetts.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 95-114
DOI: 10.2436/20.2501.01.52
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ i de les heroïnes tràgiques gregues a la Commedia del Dant i a l’Infern gòtic català (I) 1
Josep Antoni Clua SerenaUniversitat de Lleida jclua@filcef.udl.cat
ABSTRACT
A further comparative analysis of some allusions or episodes from the Divina Commedia, Dante’s masterpiece, let us reconsider the similarities and differences between literary models like Vergilius (Aeneid), Statius (Thebaid), Lucan (Pharsalia) or Ovid (Metamorphoses), and the allusion to Latin Descensus ad Inferos or Greek katabaseis and to Greek Heroes and Heroines, besides the Islamic eschatological elements of the culture of al-Andalus which were introduced to Europe, that Dante saw especially interesting and important. However, the aim of this paper, taking into account other Medieval works and iconography, is the comparison between some elements of Misogyny in Catalan medieval literature or some drawings of the Catalan Gothic Hell, which Dante perhaps didn’t know, but were popular at his time, and the mention of other Greek or Latin quotations from the Divina Commedia, especially when the poem describes Dante’s travels through Hell or mentions of some heroines of Greek drama.
KEYWORDS: Dante, the Catalan Gothic Hell, Greek Tragedy, Greek Heroines, Misogyny
1. Aquest treball s’ha beneficiat del projecte liderat per C. MIRALLES, ‘Usos y construcción de la Tragedia griega y de lo trágico’, FFI2009-10286, concedit per la Secretaría de Estado de Investigación del MICINN
Josep Antoni Clua Serena1. Introducció
És ben estesa entre els estudiosos del Dant la hipòtesi segons la qual aquest poeta no tenia cap hipotext ni cap ‘source text’ grec ans únicament les visions de l’altre món trobades als escrits populars, a les pintures i a l’escultura dels segles anteriors o coetanis a la seva composició, i, sobretot, els quatre poetes llatins2 Virgili, Estaci, Lucà i Ovidi (amb els seus models de mites de Narcís3, Faetó4, Ícar5 i Jàson6). Hom ha assenyalat també que el poeta italià va seguir Tomàs d’Aquí (en menys mesura), a banda del possible o versemblant rerefons escatològic musulmà, i que es va limitar a enumerar els mateixos personatges que sortien a l’Infern en escrits populars, però també a l’Eneida, amb una caracterització molt semblant. Per tot això, doncs, intentar dibuixar en poques línies el mapa de les fonts del Dant és com intentar dibuixar el mapa amplíssim del seu autor i, per tant, quelcom molt difícil. Amb tot, palesar les al·lusions concretes que s’identiquen en llegir determinats passatges de la seva Commedia permet albirar els seus gustos literaris i la seva ingent cultura literària.
Per bé que l’hipotext és el text més antic sobre el qual l’hipertext està basat o al qual l’hipertext fa referència, segons els Palimpsestes7 de G. Genette, tant l’hipertextualitat com l’hipotext tenen el ‘vincle’ com a element essencial. Així, quan ens referim a l’influx literari, o bé, tot emprant termes de teoria literària moderna, al que acabem d’anomenar hipotext de la Commedia del Dant, hom pot vincular-lo amb l’escatologia musulmana a través de la cultura d’Al-Andalus que va anar endinsant-se a Europa i preparant el seu esplèndid Renaixement, tot i que hi ha una gran densitat de fonts literàries i culturals a banda de la musulmana.
En efecte, una de les tesis més estudiades i no sempre acceptades per part de la crítica actual és la del referent musulmà a la Commedia del Dant. En aquest sentit, el treball de M. Asín Palacios sobre l’escatologia musulmana i la Commedia8 va intentar demostrar que el viatge ultraterrè del Dant va tenir el seu origen en la coneguda tradició islàmica de l’ascensió de Mahoma, sobre la qual hi hagué moltes versions europees que varen arribar al poeta florentí. De fet, l’aparició, a posteriori, d’uns manuscrits en llatí i francès d’un notari i escrivà d’Alfons Xè el Savi van acabar de reblar el clau d’aquesta teoria i van donar la clau interpretativa de la transmissió de les històries o llegendes musulmanes de l’inframón al Dant9 Però, alhora, comptem amb el treball, molt més decisiu i menys posat en
2. Cf. BROWNLEE [1993] 2007, 141.
3. Purgatorio 30, 76-78.
4. Inferno 17, 106-108.
5. Inferno 17, 109-111.
6. Paradiso 33, 15.
7. Cf. GENETTE 1982 [trad. espanyola: 1989; trad. anglesa: 1997].
8. Cf. PALACIOS 1919.
9. Cf. VERNET 1982, 88.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 97
entredit, d’A. Morgan 10, que abasta diverses obres medievals llatines (a la manera de la visió de Tundal, el viatge al Purgatori de sant Patrici, etc.) i, sobretot, alguns paral·lelismes amb l’obra del Dant 11 Aquest treball ens forneix una perspectiva molt més original sobre la representació del Dant i la vida més enllà i parteix del lloc convencional del poeta en relació amb la tradició que tots els crítics han tingut en compte i après d’aitals representacions a l’hora d’examinar el poema en el context de les creences populars. A més, l’autor remarca com a fonts principals del Dant no pas els ‘highly literary texts’, tals com l’ Eneida de Virgili o la Summa Theologica de Tomàs d’Aquí, que, en efecte, foren un context molt familiar del poema, sinó més aviat les visions de l’altre món trobades en els escrits populars, en les pintures o en l’escultura dels segles coetanis o anteriors a la seva composició i d’ací el nostre interès per la iconografia, com a possible i suggerent via de recerca sobre l’al·lusivitat a l’obra del poeta italià, així com els parions intertextuals i iconogràfics, com veurem a continuació. Així, la visió del Dant que emergeix d’aquesta recerca planteja una revisió molt radical de l’opinió moderna relativa a la natura de l’originalitat de la Commedia
En aquest treball volem basar-nos en una única i possible hipòtesi que caldrà anar demostrant al llarg del mateix: les similituds iconogràfiques i lligams intertextuals al voltant de la imatge de la ‘donna’ a l’Inferno de la Commedia del Dant i a la iconografia de l’Infern gòtic català així com a l’àmbit literari medieval, sense menystenir l’al·lusivitat i la identificació d’esquifits elements grecs, com ara la figura de Cassandra / Sibil·la, l’esment d’heroïnes tràgiques gregues o l’aparició del Ca Cèrber, entre d’altres, esmentats a la Commedia. Tot això partint de la base que el Dant-protagonista, en el seu recorregut per l’Inferno, es va trobant amb personatges que trobem a les quatre peces èpiques llatines esmentades, i que vinculen la Commedia amb aquests ‘authoritative model texts’12 i que alguns d’aquests personatges, com ara Amfiarau o Tirèsies, funcionen com a representacions metonímiques de les seves fonts textuals.
Cal, doncs, fixar l’atenció en el possible parió que ens forneix la literatura catalana medieval, sovint misògina, o bé en les imatges de l’Infern gòtic català i també en altres aspectes de la literatura catalana, per bé que C. Alvar ha assenyalat en un llibre recent13 que la dificultat de la Commedia i la distància que hi ha entre el viatge al·legòric respecte als preceptes establerts per Aristòtil i seguits pels mestres de poètica i de preceptiva literària del segle XVI i dels segles anteriors, fa que gairebé cap autor no mostri interès pel geni nascut precisament a Florència l’any 1265, «è da sempre e da
10. Cf. MORGAN, 1990.
11. Estudiats especialment en els capítols intitulats The Inhabitants of the other world i The guide. The classification of sin.
12. Cf. BROWNLEE [1993] 2007, 141-142.
13. Sobre aquest tema, cal remetre’s a FARINELLI 1922; Ídem 1905, 1-105, citat per ALVAR 2010, 473-491.
Josep Antoni Clua Serena
tutti ricordato come il sommo poeta » 14 , segons expressió emprada per S. Diacciati a propòsit del pare de la literatura italiana. Alhora, J. Arce15 remarca que la Commedia fou menystinguda a les literatures catalana i espanyola a excepció de la versió impresa que en féu Pedro Fernández de Villegas cap al 1515.
2. La poètica de l’al·lusivitat a la Commedia del Dant: la imatge de la ‘donna angelicata’
2.1. La ‘donna’ a la Commedia i a la literatura catalana medieval i a l’Infern gòtic català
És communis opinio que el Dant i principalment Petrarca16 tenien una idea de la ‘donna angelicata’, una dona que representava la virtut beatificant (‘spirto d’amor che mi ditta dentro’, ‘donna che è fonte di salvezza’, ‘la ricompensa trobadorica’), segons el corrent humanista. Però, alhora, és un fet també conegut i estudiat que, a partir de la mort de Beatriu, el Dant es va centrar en l’estudi del món especulatiu i va llegir Boeci, Ciceró i altres autors clàssics i medievals.
S’ha assenyalat mantes vegades que el Dant va esmerçar moltes rimes d’amor a Beatriu, morta l’any 1290, i va descriure-la a la manera de l’Stil Novo com un àngel, un ángelos grec o missatger, enviat per Déu a la Terra per a la salvació i purificació de la seva ànima. I sembla també acceptada l’opinió que la mort de la seva estimada el va dur a una angoixa creixent i, així, doncs, el Dant va tornar a tenir una imatge més aviat idealitzada de la seva Beatriu, tot imaginant-la com una mena de santa cristiana que, des del cel estant, continuava en favor seu la seva missió misteriosa, plena del que ell va anomenar ‘providència’, en el sentit cristià del terme.
Per tal de poder endinsar-nos en els temes que ens ocupen al voltant justament de la ‘donna’ en dues tradicions literàries i artístiques, i, com a primera fita, a propòsit sobretot de fra Francesc Eiximenis, a qui ens referirem, a con-
14. Dins el seu portal electrònic sobre la Storia di Firenze (Il portale per la storia della città), ‘Letterari e artisti’, capítol sobre el Dant, que degué començar aquesta obra cap al 1307 i la va concloure poc abans de la seva mort, i es tracta d’una narració al·legòrica en vers, d’una gran precisió i força dramàtica en què es descriu el viatge imaginari del poeta a través de l’Infern, el Purgatori i el Paradís.
15. Cf. ARCE 1984, 185-194, o també, MORREALE 1967, 2-44.
16. Vull agrair al prof. V. CITTI, de l’Accademia degli Agiati, Rovereto, present a la lectura inicial del nostre treball, dins el torn obert de preguntes del Congrés Internacional de tragèdia grega: Tragèdia, tragicitat i tràgic, celebrat a la Universitat de Barcelona els dies 19-20 d’octubre, la seva opinió emesa, i que coincideix, en bona part, amb les dades que havíem intentat fornir, ço és, que segurament cal plantejar la hipòtesi segons la qual el Dant no tenia cap hipotext grec ans únicament Virgili. El prof. V. CITTI va afegir, i subscrivim la seva afirmació, que Petrarca havia desitjat de debò Laura i l’havia retratat amb passió, mentre que el Dant dugué una vida real possiblement poc en consonància amb la idealització completa de Beatriu.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 99
tinuació, assenyalem els mots següents de M. Mayer 17 al respecte del segle XV, que marcarà el moment d’expansió de l’estudi dels clàssics grecs i llatins:
«Com s’esdevé en la gairebé totalitat dels coneixements científics, el bressol del conreu dels estudis clàssics als Països Catalans radica al monestir de Ripoll i concretament a la seva biblioteca, augmentada per l’abat Òliba fins a 200 volums. (...) És ben conegut que l’humanisme començà molt d’hora als Països Catalans: immediatament després que a Itàlia i abans que a França i Castella. Podem distingir en el seu desenvolupament fins a la plenitud del s. XV-XVI un moment particularment notable: el regnat de Joan I i Violant de Bar i, més tard, el de Martí I. Joan I, l’Amador de la gentilesa, apassionat recercador d’obres dels clàssics, el qual es relacionà amb l’hel·lenista aragonès Joan Femàndez d’Herèdia, gran mestre de l’Hospital. El cercle reial, la cancelleria, en què visqueren Bernat Metge, bon coneixedor de Ciceró, i fra Francesc Eiximenis, fomentà les traduccions dels clàssics (...)».
Assenyalem, a més, que la figura de Virgili precisament havia tingut una gran difusió a la Corona d’Aragó, en temps de Joan I (1387-1395), de Martí l’Humà (1396-1410), de Bernat Metge i d’Antoni de Vallmanya i d’Ausiàs March, un dels més emergents poetes clàssics, un metafísic, de la literatura catalana. I Virgili fou citat a Jaume Roig, Francesc Carrós, Rois de Corella i Lleonard de Sors, segurament vinculat al nom del Dant, l’obra del qual havia estat traduïda al català per Andreu Febrer; aquesta traducció, la primera realitzada en vers a Europa, va tenir molt d’èxit, com ha demostrat M. Dolç 18. Quant a aquesta darrera traducció, i al marge de les proves que dóna el mateix M. Dolç de l’èxit de la mateixa i, sobretot, sense pretendre negar l’afirmació d’aquesta informació (i tampoc aquest és el lloc per revisar a fons quin fonament té), podem assegurar que no coneixem dades que certifiquin la seva difusió, atès que només s’ha conservat en un manuscrit, que avui dia és a l’Escorial.
17. Cf. MAYER 1995, 483-495. En aquest article també s’assenyalen aquestes fites importants per a copsar millor el marc humanístic clàssic sobre el qual ens movem: «Bernat Metge traduí el pseudo ovidià De vetula en el seu Ovidi enamorat, però el pes fonamental serà representat pel Petrarca i el món cultural que ell representa, que marca de bon tros la seva obra i també els seus interessos envers el món clàssic malgrat la seva formació plenament medieval. Són datades en aquesta època la traducció de les tragèdies de Sèneca, feta per Antoni de Vilaragut, la de Boeci, de P. Sadana i d’A. Genebreda, i la remarcable versió de Valeri Màxim, obra del valencià fra Antoni Canals, que també traduí Sèneca. Cal esmentar també figures com Ferrer Sayol, traductor de Pal·ladi, Guillem Nicolau, traductor de les Heroïdes d’Ovidi. Sabem que al s. XIV foren traduïdes la Farsàlia de Lucà, i el De bello iudaico de Flavi Josef. S’ha perdut també la traducció de les Històries de Justí, feta per Arnau Simó, i s’ha conservat un Tit Livi, que alguns atribueixen a Guillem de Copons».
18. Cf. DOLÇ 1986, 397.
Josep Antoni Clua SerenaSi comparem, doncs, les idees suara esbossades a l’entorn de la ‘donna’ amb la tradició més catalana, i seguim algunes idees de J. Planas19, copsem que a les obres gòtiques del Principat les dones són representades en escàs nombre a I’lnfern o al Purgatori, (i remarquem l’adjectiu ‘escàs’, atès que la lectura del treball esmentat així ens ho ha fet constatar). Cal tenir en compte l’abundant literatura misògina a l’Edat Mitjana, curulla de judicis pejoratius sobre la dona. Aquesta aparent contradicció entre textos i imatges és resolta pels propis textos literaris, al·legant que la dona per la seva ‘fragilitat i debilitat de judici’ hom deia que pecava en menor grau i de forma inconscient, enfront de I’home, posseïdor per excel·lència de clar judici i enteniment, com ho demostra aquest fragment del Llibre de les dones d’Eiximenis20 prou eloqüent (amb les limitacions i el component irracional que no cal remarcar ara i aquí):
«(...) Un sant hermità fo arrapat en esperit e viu tot porgatori e tot infern. E viu en cascú d’aquests lochs una porció pus baxa en la qual aquells qui eren sofferien sens tota comparació major turment que no los altres qui aquí eren dalt, E viu-hi Salamó, e molts gran philosofs e famosos doctors e maestres passats, e diverses persones altres qui ell havia conegudes en diverses escoles, e estudis e corts de grans senyors, e no.y viu nenguna fembra. E demana a l’angel qui li ensenyara la visió que podia ésser que no. y havia nenguna dona. Respòs I’angel: Sàpies que peccat de fembra ve comunarnent per ignorància e mutabilitat e poch seny, e per tal no fan los peccats tan greus corn fan aquells qui péccan scientments contra lur consciéncia e contra la magestat de Déu, de la qual han gran conexensa, e qui s’encenguen a proposit per tal que no vegen lo peccat que cometen, lo qual clarament veen per lur seny natural e per lur saber artificial e per moltes altres vies.
E com sovín les dones agen a ssupportar a lurs marits rnolts d’aquests peccats per moltes malícies qui lo són fets per lurs marits maliciosament, donchs pus rahonabla cosa és que los marits les supporten en lurs passions e defalliments que han naturalment»21 .
De fet, poques pàgines més endavant, Eiximenis, dins l’àmbit de la misogínia que es respirava a l’Edat Mitjana22, exhorta els marits a estimar i a suportar les
19. Cf. PLANAS 1989, 95-122.
20. Vegeu EIXIMENIS 1981 (ed. WITTLIN). Eiximenis fou enviat l’any 1383 a València per Pere III, i hi va romandre fins al 1408. Fou en aquesta ciutat on va escriure la major part de les obres: Llibre dels àngels (1392), Llibre de les dones (1396), Vida de Jesucrist (1397-1398). Eiximenis fou un escriptor reconegut i popular en l’època. Les seves obres es van traduir a les principals llengües europees. Al seu Llibre de les dones, hi troben un reflex viu i detallat de la societat coetània, una font imprescindible per a analitzar, no sols les estructures econòmiques, socials i polítiques del segle XIV, sinó també els costums, les mentalitats, la religiositat, les fòbies i les fílies dels seus contemporanis.
21. Cf. EIXIMENIS 1981, 138.
22. He pogut consultar, per la seva importància, la comunicació de BATLLORI 2009, o bé, vegeu EIXIMENIS, edició de WITTLIN 1983.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 101
seves dones ‘en les seves passions’, ‘ja que Nostre Senyor les ha fetes flaques i fràgils, però no per aquestes raons deixen de posseir la seva gràcia i la seva glòria i donaran consol i companyia als homes al Paradís’.
No és la nostra intenció d’esmentar altres textos on l’ambigüitat entorn de la figura de la dona hi sigui present. Voldria assenyalar tan sols que el mateix C. Riba en un treball intitulat Dante i la dona 23—, va remarcar que a l’Inferno dantià només hi ha una figura de dona amb relleu individual i les figures femenines són molt escadusseres i queden al marge com a personificacions del vici, més aviat com a vici de la llegenda que no pas vici de la vida real24
Eiximenis tracta profusament sobre la condició femenina a Lo Crestià i el Llibre de les dones, tot seguint segurament una tradició que, ben segur, arrenca amb el conegut (o gens conegut pels medievals) Iambe de les dones de Semònides d’Amorgos, a la lírica grega arcaica. A més, Bernat Metge, a banda de detallar els defectes de la dona estimada pel mateix autor, en el darrer llibre de Lo Somni fa una laudatio de les dones i posa en dubte certs vicis masculins, mentre s’imposa la misogínia de l’endeví grec Tirèsies, conegut per la tradició antiga pel seu savoir a l’entorn de la dona.
D’altra banda, les dones estimades a la poesia d’Ausiàs March són vàries i no es poden identificar amb un mateix arquetip femení, que, si més no versemblantment, la mort de la dama devia inspirar els seus Cants de Mort Amb tot, mentre Laura i Beatriu, segons communis opinio, de vegades discutida 25, havien estat, des del cel, l’estímul de Petrarca i el Dant, la Teresa d’Ausiàs March és, ben al contrari, una dona real que ha conegut el pecat. D’ací la pregunta terrible que angoixa el poeta sobre la seva sort i la seva pròpia responsabilitat. I diem versemblant perquè el nom de Teresa només apareix en un poema de l’escriptor valencià. Quant a aquest poema A. Espa-
23. Treball fruit d’una conferència que va pronunciar a l’Institut de Cultura de la Dona de Barcelona en motiu de la inauguració d’una sala dedicada al poeta italià que havia d’acollir manuscrits de la traducció de la Commedia realitzada per Narcís Verdaguer i Callís. En aquest sentit, vegi’s ARQUÉS 2000, notes 11 i 12, o Ídem, 2011, 11-25. Pel que fa a Riba, paga la pena remarcar que a l’elegia IX de les seves Elegies, transcriu l’Inf. XXVI 129: «Homes que vau mesurar i acomplir accions més humanes/ per merèixer l’orgull d’ésse’ i de dirvos humans,/ jo em reconec entre els fills de les vostres sembres il·lustres:/ sé que no fórem fets per a un destí bestial», que, segons R. Arqués tradueix la veu de l’Ulisses dantesc («fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza») en funció política i moral Sobre l’influx del Dant en Riba, vegeu també MIRALLES 1995, 93: «un altre tema important, que demana un estudi detallat, és el de la influència de la filosofia ribiana. D’entrada, hi ha el fet que Riba és un poeta de l’amor, tot al llarg de la seva obra, i si això de vegades es manifesta en realitzacions que més que els grecs poden evocar Petrarca o Dante o bé Ausiàs March, l’arrel és sempre platònica».
24. Cf. RIBA 1933. Sobre la coneguda literatura misògina medieval, poden esmentar-se els llibres de J. Roig, Spill o llibre de les dones o el Corbaccio de Boccaccio, o també Les quinze joies du mariage, atribuïdes a Antoine de la Sale.
25. Cf. JACOFF 1991 sobre la importância i relleu del ‘female desire’ a la Commedia del Dant i, mês concretament, sobre el rol de Francesca com a ‘forbidden desire’ del Dant i de Laura a Il Canzoniere de Petrarca.
Josep Antoni Clua Serenadaler 26 ha arribat a la conclusió que en aquest cas més que representar la figura de l’estimada, el que A. March fa és desenvolupar una lloança a la dama segons els esquemes de l’elogi cortesà. Aquest gènere s’hauria de relacionar més amb el tema de les dones il·lustres i amb el panegíric que no pas amb el registre de l’amor i la representació de l’estimada27 . Hi ha, al capdavall, una certa contradicció a l’Edat Mitjana, tal com remarca J. Planas 28: l’acusació contra la dona com a filla d’Eva generadora del pecat que condemna la Humanitat, i per altra part, la seva veneració con a Mare de Déu i salvadora del gènere humà. Les obres d’art i els textos literaris, fruit de la seva època, traspuen aquest pensament de forma controvertida. Per tant, som del parer que cal insistir en els paral·lelismes literaris i iconogràfics entre aquesta literatura misògina i l’aparició, a la Commedia del Dant, de la dona a l’Inferno o, alhora, als inferns gòtics catalans. Vet ací un concepte de ‘dona’ i una iconografia d’Infern força decebedors i, certament, poc encoratjadors per dir-ho amb eufemismes. Però, alhora, veiem com la literatura misògina a la Corona d’Aragó troba el seu parió en les representacions femenines als inferns que podríem titllar d’inferns catalans o dels judicis finals dels segles XIV i XV. Normalment, des d’un prisma cristià, els pecats palesats més sovint són els pecats carnals tals com l’adulteri o la sodomia, i gairebé sempre amb el turment del foc com a rerefons. Amb tot, fins al segle XIII, la sodomia, per exemple, no era castigada a la majoria dels països europeus i no era més que un dels pecats que apareixien als textos eclesiàstics. L’actitud va canviar en el transcurs de les Creuades, a les quals la propaganda antiislàmica identificava els musulmans amb els sodomites que violaven bisbes i nens cristians.
26. Cf. ESPADALER 1997.
27. Sant Vicent Ferrer no deslliura al Dant de les penes infernals, justament perquè és associat pel dominicà amb les autoritats paganes i profanes i —en el fons— al corrent literari humanístic medieval, emmirallat en les ficcions poètiques. Tots plegats, sense distincions, són condemnats a l’infern. D’altra banda, fra Joan Pasqual, en el Tractat de las penas particulars de Infern, traducció del comentari de Pietro Alighieri a la Divina Commedia, deixa ben clar que el text del Dant és una ficció que en molts aspectes mostra un punt de vista divergent, i per tant erroni, al de les autoritats teològiques. El Tractat de las penas particulars de Infern no estalvia en el cercle dels luxuriosos la referència de Francesca i Paolo, dos amants condemnats pel Dant que apareixen en les llistes d’enamorats il·lustres de molts inferns d’enamorats. En els textos literaris amorosos l’autoritat del Dant és acceptada sens els recels que posaven els moralistes adés esmentats. Francesc Carrós Pardo de la Casta, autor de diverses composicions del Cancionero General (1511), en la seva Regoneixença i moral consideració contra les persuasions, vicis i forces d’amor no deixa d’esmentar Francesca i Paolo, en tractar de damnació amorosa. A més, en d’altres relats allegòrics, com és la Glòria d’amor de Bernat Hug de Rocabertí, on també apareixen Francesca i Paolo, els préstecs dantescos són moltes vegades relativament fàcils de localitzar, degut a la posició estratègica que ocupen: l’extraviament inicial, o també l’entrada a les regions del més enllà. Del mateix Ausiàs March, s’ha discutit si la recreació infernal del poema XIII està inspirada per la Divina Commedia. Vull agrair al dr. J. Mahiques algunes d’aquestes informacions esmentades en aquesta nota.
28. Cf. PLANAS 1989.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 103
IMATGE 1. Rafael Destorrents, Missal de Santa Eulàlia: detall de I’lnfern, 1403, Arxiu de la catedral de Barcelona, f. 7.
En alguns missals, hi veiem uns móns tenebrosos, com a l’Infern del Missal de Santa Eulàlia29 (imatge 1), on apareix, a la part inferior de la mateixa imatge, una dona envoltada de flames (el foc, com s’ha assenyalat sovint, torna a recordar el turment dels libidinosos); o al costat d’un bisbe situat al centre de l’Infern, on dues dones són assotades per un diable mentre una serp es recargola sobre el cos d’una d’elles, mentre una altra figura femenina estesa damunt del terra és subjectada, entre flames, per un altre diable, seguint, segons hem pogut constatar, els paràmetres de la Divina comèdia, on els se-
29. Cf. PLANAS 1989.
Josep Antoni Clua Serenaductors també són fustigats i reben càstig els adúlters. Els turments a través d’un rèptil són la icona de la idea de pecat carnal. Com podem copsar fàcilment, tot té un sentit moralitzador i, de vegades, hi apareixen dones torturades sota premses o bé estirades al terra, com pot veure’s a la part inferior de la imatge 1.
En altres, hi surten el Paradís, la ressurecció dels morts i l’Infern. Finalment, aquest és representat amb condemnats, majoritàriament de sexe femení, dins la gola de Leviatan (bestiola marina de l’Antic Testament, associada a Satanàs i creada pel Déu veterotestamentari, que en hebreu traduïm per ‘serpent enrotllada’) disposada a engolir els condemnats (imatge 2). Els diables representats remarquen la lascívia dels condemnats. Com assenyala
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 105
J. Planas30 en el treball al qual manllevo les dues il·lustracions i algunes dades que ens forneix de caire iconogràfic, la simbiosi diable-dona no és aliena als textos medievals escatològics, i presenta paral·lelismes amb les fonts musulmanes. I ja ens hem referit, a l’inici d’aquestes línies, sobre l’influx musulmà també al Dant, i d’ací el parió que es pugui establir.
D’altra banda, tot deixant els parions i tornant a la Commedia, i com remarca Joan F. Mira a la seva introducció de la seva traducció catalana31 de la Commedia, «és Beatriu qui ha acudit als llimbs a demanar al mestre que vingui en auxili del Dant i el guiï. I ho ha fet per iniciativa de la mateixa Mare de Déu. Però, què seria el Dant sense Beatriu?: un més del ‘rengle vulgar’ (v. 105), covard, incapaç de superar els perills del camí. Una altra qüestió és si Beatriu, que apareix ací amb tanta vivesa, és només la dona real que va estimar el poeta, o és també el símbol de la teologia i de la il·luminació per la fe. En tot cas, actua moguda per l’amor: o per l’Amor, amb majúscula, el que mou el cel i les estrelles».
El Dant, a la Vita Nuova de 1293 (una recopilació dels seus primers poemes lírics), descriu l’edat de la seva estimada Bice di Folco Portinari (Beatriu) a través de la fracció de grau angular que ha mogut l’esfera dels estels en un lapse de temps, com remarca l’astrofísic A. Gangui32 . Més endavant, si deixem l’Inferno, i passem a referir-nos momentàniament al Paradís, com a contraposició al nostre discurs, el Dant i Beatriu continuaran el seu periple adreçant els seus passos cap a les regions més exteriors del cósmos aristotèlic cristianitzat. En efecte, el Dant i Beatriu arriben a l’extrem del món físic i observaran les esferes dels àngels del món espiritual. I és que, arribats a l’esfera dels estels, l’stellatum o vuitè cel astronòmic, Beatriu suggereix al Dant de fer una pausa i mirar el camí ja recorregut (Paradís, XXII, 124-129):
‘Tu se’ sí presso a l’ultima salute’, cominciò Beatrice, ‘che tu dei aver le luci tue chiare e acute; e però, prima che tu piú t’inlei, rimira in giú, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei’ (...).
Beatriu mostrarà al seu estimat el motiu diví per mitjà del qual el món espiritual és així, no sense deixar d’esmentar la jerarquia d’àngels i les seves qualitats, segons el que va exposar el filòsof Pseudo Dionisi33, com pot veure’s en aquest gravat de Gustave Doré (1832-1883), il·lustrador de la Commedia del Dant (imatge 3):
30. Cf. PLANAS 1989, 110.
31. Cf, DANTE 2000, 27, versió de MIRA.
32. Cf. GANGUI 2008.
33. Aquest filòsof, també conegut com Pseudo Dionisi Areopagita, fou un teòleg neoplatònic que havia adoptat el cristinisme i místic. Va viure a Síria entre els segles V i VI dC.
Antoni Clua Serena2.2. Beatriu, Cassandra / Sibil·la, les heroïnes tràgiques gregues i Caront
En el seu llarg i insuperable poema, el Dant va escollir Virgili i això no fou quelcom casual. L’amor de Virgili el somriu, l’esperona i el duu de la mà per a endinsar-se a les coses que el poeta italià no dubta d’anomenar secretes. Per tant, el punt de partença és que l’hipotext del Dant és, sobretot, virgilià (i musulmà com a rerefons o basat en escrits populars, tal com hem assenyalat suara), atès que el Dant no coneixia a fons el grec, però coneixia bé l’Eneida virgiliana (o la Tebaida, la Farsàlia i les Metamorfosis). Així, el poeta inicia el seu viatge a l’Inferno a la meitat del seu camí de la seva vida. L’Infern ens és descrit en nou cercles. Els cinc primers constitueixen l’alt Infern i els quatre darrers l’inferior. Aquests es van fent cada cop més petits, tot formant una mena de continus cercles cap al centre de la Terra. El poeta recorre aquests cercles en vint-i-quatre hores, malgrat haver romàs allà un bon temps. I és guiat pel seu mestre Virgili (símbol de la raó), enviat per Beatriu (símbol de la teologia), que demana al poeta llatí de Màntua que esdevingui el seu guia a través de l’Infern (i el Purgatori), mentre que Beatriu ho serà del Cel.
El Dant es troba confós en un bosc que descriu com un bosc sense vida, a les fosques. Llavors, el poeta, a la selva obscura, abans d’entrar a l’Infern, ensopega amb una pantera (luxúria), i, després, amb una lloba (avarícia) i un lleó34
34. Sobre la simbologia del lleó en època medieval (i en l’època hel·lenística grega), aplicat a Alexandre El Gran i a d’altres autors, vegeu CLUA 2013 o bé MORENO 1995 a, 127 o Ídem, 1995 b, 140-142, tot deixant de banda la tradició, paper i ús de les faules en època medieval.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 107 (supèrbia i ambició), i inicia el seu recorregut, ja que hi apareix el seu mestre Virgili que l’ajuda a deixar enrere els perills de l’esmentat bosc. Tot recordant els parions intertextuals amb el Dant, diguem, a més, que el mateix Ulisses, dins la famosa Nekyia homèrica (Hom. Od., cant XIè), també davallava a l’Hades per tal de poder-se assabentar, a través de Tirèsias, del que s’esdevindria a la seva vida. Cal remarcar i deixar ben palès que ens estem referint, quan parlem d’Homer, a Tirèsies i no pas a Cassandra / Alexandra ni a la Sibil·la. Per tant, que Eneas, al cant VIè de l’Eneida, ara sí, a través de la Sibil·la, en arribar amb el seu estol a la riba de Cumes, davalli a l’Avern, és quelcom que l’equiparava, òbviament, amb Ulisses, i a Virgili amb Homer35 Quant a la Sibil·la de Cumes, propera a Nàpols, que fou citada a la Commedia del Dant, copsem que l’exemple de Cassandra no fou tingut en compte pel poeta florentí, tot i que aquest personatge ja apareixia a l’Agamèmnon esquili, a les Troianes d’Eurípides o a l’Alexandra de Licòfron. En tot cas, el rol de Cassandra com a endevinadora o profetessa inspiradora (Agamèmnon), i no pas com una mènade (‘a delirious maenad’ a les Troianes d’Eurípides, segons expressió de S. Mazzoldi 36, tindria uns trets més semblants a l’Alexandra licofronea, titllada com ‘an emotionally detached Sibyl-like figure’ i d’ací el parió que pot establir-se. En el treball de R. Rehm37 es diu que O. Taplin esmenta una Cassandra que caracteritza Clitemnestra com a criatura infernal, ‘breathing truceless war against her own, crying out, as though at the turning point of battle’ (1.23537). Sigui com sigui, en el cas de Cassandra, doncs, no es revela gens determinant l’al·lusivitat, directa o indirecta, que tria el Dant a la seva Commedia Fet aquest breu preàmbul del que podríem titllar com de tradició clàssica i deixant de banda altres katabaseis de la poesia grega, com la d’Hèracles, Teseu, Orfeu o Ulisses, o la del P. Fayum 2 (P. Brit. Mus. 1192) sobre la qual s’ha plantejat si estem davant un poema narratiu líric38, cal que ens endinsem en la consideració de la ‘donna’ (sensu lato) i d’altres al·lusions a heroïnes tràgiques gregues i a Caront a la Commedia del Dant.
El poeta italià es troba, a l’Inferno, amb heroïnes tràgiques gregues i romanes (i homes i dones històrics). Així, per exemple, al llibre IV, 121-129 el poeta segueix sempre el seu ordre de valors. Si havíem esmentat, de bell antuvi, els poetes, que són profetes i mestres de la vida humana i espiritual, alhora hi ubica els herois i els homes d’acció que funden la civilització i l’imperi.
El Dant comença amb Troia i esmenta Electra, filla del rei Agamèmnon i de Clitemnestra, i, per tant, princesa d’Argos, que, amistançada amb Zeus, engendra Dàrdan, fundador de la ciutat de Troia. Entre els descendents hi ha Eneas i Hèctor. Després segueix amb Cèsar guerrer i amb els personatges de la guerra d’ocupació d’Itàlia per Eneas: Camil·la, que va combatre els troians,
35. De fet, els rituals d’Eleusis i els òrfics postulen la possibilitat d’un retorn de la mort, d’un tornar a néixer i estan vinculats amb el canvi de les estacions.
36. Cf. MAZZOLDI 2001.
37. Cf. REHM 2002, que cita TAPLIN 1990, 312-313.
38. Cf. PÒRTULAS 2013.
Josep Antoni Clua Serenai Pentesilea. Més endavant, apareix Lucrècia, matrona romana que es va suïcidar per tal de sobreviure al deshonor i Júlia, filla de Juli Cèsar i esposa de Pompeu. Finalment, Màrcia, l’esposa de Cató, i Cornèlia, filla d’Escipió l’Africà i mare dels Gracs.
Però el Dant també fa esment d’Antígona però curiosament al Purgatori (llibre II), per bé que l’aparició d’aquesta heroïna tràgica grega mereixeria un comentari més aprofundit per tal de capir-ne el seu abast, tant pel que fa a la seva aparició en un lloc intermig, a cavall entre l’Infern i el Cel, com per la tria d’aquest tema i no pas d’un altre. Una possible explicació, entre d’altres, de l’aparició i esment d’Antígona no sigui grega sinó provinent del conegut poema èpic llatí intitulat la Tebaida (Thebais) d’Estaci, que és el source text del Dant39 en allò referent a Amfiarau i els Set contra Tebes i no pas les tragèdies gregues. En efecte, el paisatge tebà i el dantià sobre l’Infern és suggerit pel segon dels Set contra Tebes trobat a l’Inferno, ço és, Amfiarau, el vates argiu que és engolit per la terra i enviat directament a l’inframón, com es pot llegir a la Tebaida VII 690-82 i a VIII 1-210, tema mític que, de retop, pot vessar llum sobre la coneixença i esment d’Antígona com a mite en relació amb el dels guerrers que lluitaren contra Tebes, atès que es tracta d’un mite del cicle tebà. A més, al Purgatorio 22, 55-56 també hi trobem una caracterització tràgica de Iocasta, un personatge vinculat amb Antígona: ‘le crude armi / de la doppia trestizia di Giocasta’40 I si seguim amb els parions, ara masculins, podem esmentar-ne un altre d’important, ço és, el del riu Aqueront, o riu del dolor, al llibre III, que donava pas a l’Hades a l’Odissea d’Homer, o també l’encontre amb Caront, geni del món infernal, al llibre III, 82-99, que apareix gairebé com un dimoni de l’infern cristià i que fou un tema tractat pel mateix Llucià, en el seu Caront o els observadors, en diàleg amb Hermes sobre la riquesa, la felicitat i l’afany humà per les coses materials41. Doncs bé, vinculat precisament amb Caront, llegim al llibre VIè de la Commedia42 una formosa al·lusió al Ca Cèrber, pertanyent, com el propi Hades, al món de la mort (Tànatos)43, i titllat arreu de l’obra de dimoni Cèrber (‘demonio Cerbero’), que atordeix tant les ànimes que voldrien ser sordes:
6. 1 Al tornar de la mente, che si chiuse
6. 2 dinanzi a la pietà de’due cognati, 6. 3 che di trestizia tutto mi confuse,
6. 4 novi tormenti e novi tormentati
6. 5 mi veggio intorno, come ch’io mi mova
6. 6 e ch’io mi volga, e come che io guati.
39. Cf. BROWNLEE [1993] 2007, 149-150.
40. Vegeu l’al·lusió ovidiana, de Píram i Tisbe a la Commedia (Purgatorio 27, 28).
41. GÓMEZ 2012.
42. Ens basem en l’edició comentada digital següent, que recull l’edició digital de l’obra del DANT: http://www.letteratura.it/dantealighieri/index.htm.
43. Cf. REIG 2011, 18.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 109
6. 7 Io sono al terzo cerchio, de la piova
6. 8 etterna, maladetta, fredda e greve;
6. 9 regola e qualità mai non l’è nova.
6. 10 Grandine grossa, acqua tinta e neve
6. 11 per l’aere tenebroso si riversa;
6. 12 pute la terra che questo riceve.
6. 13 Cerbero, fiera crudele e diversa,
6. 14 con tre gole caninamente latra
6. 15 sovra la gente che quivi è sommersa.
6. 16 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
6. 17 e’l ventre largo, e unghiate le mani;
6. 18 graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.
6. 19 Urlar li fa la pioggia come cani;
6. 20 de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
6. 21 volgonsi spesso i miseri profani.
6. 22 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
6. 23 le bocche aperse e mostrocci le sanne;
6. 24 non avea membro che tenesse fermo.
6. 25 E’l duca mio distese le sue spanne,
6. 26 prese la terra, e con piene le pugna
6. 27 la gittò dentro a le bramose canne.
És evident, doncs, que la referència als viatges d’Eneas (presentats com a obstacles a superar), començant pel riu Aqueront i pel gos/dimoni Caront a l’Inferno del Dant, especialment al llibre III, 78-129, tenen el seu model textual en l’Eneida VI 295-330. Quant a l’esment a les heroïnes tràgiques a la Commedia del Dant, aquest és certament escadusser, segons el parer dels investigadors i de la nostra lectura personal, i poc important, puix que només hi són esmentades a tall de numeració com és el cas d’altres personatges masculins grecs o llatins o Caront.
Si abastem, doncs, el rol i la representació de la ‘dona’ i de les heroïnes tràgiques grecollatines, els influxos pictòrics devien ser potser més importants que no pas els literaris, per bé que ja hem assenyalat que el Dant, versemblantment, devia influir poc a nivell literari en pocs autors de les literatures catalana i castellana medievals, ateses les dificultats de la Commedia i la distància que ja hem dit que hi hagué entre el viatge al·legòric respecte als preceptes aristotèlics seguits pels mestres de preceptiva literària del segle XVI (i també podem extrapolar aquest influx als segles medievals anteriors).
Tanmateix, és cert, que a la literatura castellana medieval, a l’Arcipreste de Hita (Libro del Buen Amor), trobem, per exemple, sense anar més lluny, una descripció de doña Endrina seguint el model dantià. Amb tot, som del parer que poden haver-hi elements que sí que entronquen amb la tradició lírica italiana, sobretot la idea que l’amor entra pels ulls, tot i que això no és una idea exclusiva del Dant, perquè es troba perfectament documentada a l’esco-
Josep Antoni Clua Serenala siciliana44. Tot i que la vinculació amb el Dant es pot fer, és una relació general que podria extrapolar-se a molts altres autors:
¡Ay Dios, y quán fermosa viene doña Endrina por la plaça!
¡Qué talle, qué donayre, qué alto cuello de garça!
¡Qué cabellos, qué boquilla, qué color, que buenandança!
Con saetas de amor fiere quando los sus ojos alça.
Arcipreste de Hita, Conversación con Doña Endrina, 653.
3. Conclusió
A tall de conclusió, doncs, podem assenyalar com en el retrat literari de la ‘donna’ i de les heroïnes tràgiques que trobem a l’Inferno de la Commedia del Dant el parió de la iconografia de la dona a l’Infern gòtic català, així com de la literatura catalana medieval és, si més no, fructífer i suggerent, d’acord amb les dades que intentem aportar en aquesta primera aproximació a aquest tema.
El viatge del poeta a l’altre món, l’encontre amb la selva del pecat i de l’error, amb una pantera que representa la luxúria i amb una lloba que representa l’enveja, com hem vist, no serà fàcil. Tots i totes li barren el pas vers la virtut que cerca i el coneixement, llevat de Virgili, que ell va considerar el més alt de tots els savis i els poetes anteriors al Cristianisme. Amb tot, el Dant va escollir Virgili com a guia perquè ell, com Eneas, fou un gran desterrat45 .
La pretesa contraposició entre la Beatriu com a ‘donna’ del primitiu Humanisme procedent d’Itàlia, ‘donna di virtù’, apel·latiu cortès, que ha baixat (com una mena de katabasis) als llimbs, entre l’infern pròpiament dit i el cel, però que desitja ardentment tornar al seu lloc en les altures, no fou un referent bàsic, sens dubte, a la literatura catalana medieval ni a la iconografia gòtica catalana de l’Infern, pel que hem vist suara.
I és que la dona hi és simbolitzada més aviat entre flames, o representada amb condemnats de sexe femení, dins la gola de Leviatan o en forma de diable al gòtic català i com a pantera/ luxúria, com hem vist, a la Commedia del Dant. A més, a l’Inferno dantià (recordi’s les afirmacions de C. Riba esmentades), només hi ha ‘una figura de dona amb relleu individual’ i les altres figures femenines són més escadusseres. Però cal esmentar, alhora, la simbiosi diable-dona que no és aliena als textos medievals escatològics i que presenta alguns paral·lelismes amb les fonts musulmanes i també amb el Dant, i d’ací els possibles parions que es puguin establir entre ambdues tradicions, també a nivell iconogràfic.
44. Quan parlem d’‘escola siciliana’ ens referim a l’escola que va surgir al sud d’Itàlia a mitjans del segle XIII i que va imitar la lírica provençal dels trobadors. A aquesta escola van pertànyer Pier Della Vigna (de Càpua i citat pel Dant al cant XIII de l’Inferno), Inghilfredi, Guido i Odo delle Colonne, entre d’altres. La seva poesia es converteix en tota una reflexió sobre l’amor i una preocupació pel seu significat.
45. Cf. HIGHET 1951, 49.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 111
A l’Inferno 2 de la Commedia l’ auctoritas del poeta Virgili com a guia del Dant és palesa, però val a dir que la fa derivar de la Verge Maria, a través d’una altra ‘donna’, ço és, Beatriu, i, per tant, lluny de la misogínia que hem constatat a algunes representacions iconogràfiques. De fet, el Dant-protagonista ens és descrit com un nou Eneas cristianitzat, a través d’una doble negació: «No sóc Eneas, no sóc Pau» (2, 32).
Quant al foc, veritable turment a la iconografia gòtica cristiana i a la musulmana, està relacionat amb el pecat carnal. Així, a la Vision of Fursa, el sant irlandès del segle VII dC, ben conegut a Irlanda, el foc per als luxuriosos també és esmentat 46
Alhora, assenyalem que es fa esment del foc i dels luxuriosos a tres hadits musulmans, com remarca M. Asin Palacios47. Tanmateix, també hem vist que l’aportació d’A. Morgan, a l’entorn del caire popular de les fonts o hipotext del Dant és decisiva i cada cop més valorada. En efecte, hem vist que aquest autor enumera com a fonts principals del Dant no pas els ‘highly literary texts’, tals com l’Eneida de Virgili o la Summa Theologiae de Tomàs d’Aquí, que, en efecte, foren un context molt familiar del poema, sinó més aviat les visions de l’altre món trobades en els escrits populars, a les pintures o l’escultura dels segles anteriors o coetanis a la seva composició. Alhora, és quelcom fefaent que l’hipotext i les fonts textuals del Dant, tal com hem dit al llarg d’aquestes ratlles, basant-nos en els esments de la Commedia i en les fonts que manlleva, és, doncs, llatí — especialment Virgili, però també Estaci, Lucà i Ovidi— més que no pas grec. Concretament, el Dant prefereix més emprar per a la seva narració la Sibil·la que no pas Cassandra, com hem vist, i s’allunya força de la misogínia, més o menys abundosa, del gòtic català i de la literatura catalana misògina, que, certament, no devia conèixer pels motius que hem assenyalat suara.
Si el nostre poeta tingué una ignorància homèrica a l’entorn del retorn d’Ulisses a Ítaca 48, hem vist que alguns dels tòpics de l’estada a l’Infern / l’Inferno són presents a la Commedia i al món musulmà, però també a la literatura catalana i castellana medieval, per bé que amb una temàtica gens misògina, temàtica que sí que hem vist que era omnipresent a l’àmbit literari i iconogràfic medieval (recordi’s l’esmentat Missal de Santa Eulàlia 49, on els adúlters són castigats, així com a la Commedia els seductors també són fustigats), que tenia els seus orígens literaris (que no pas iconogràfics) en autors grecs arcaics com Semònides, autor líric grec que el Dant possiblement no conegué perquè, com ja hem dit suara, no coneixia bé la llengua grega.
La recepció del Dant és polièdrica i cadascuna de les seves obres planteja camins d’intertextualitat diferents (Eiximenis, B. Metge, Èsquil, Eurípides, el
46. Cf. PATCH 1983. Vegeu també HAMANN, 2011.
47. Cf. ASIN PALACIOS 1943, 15; ASIN PALACIOS, 1927, 198-201.
48. Cf. LÓPEZ CORTEZO 2000, 85-97.
49. Cf. PLANAS 1984, 57.
Josep Antoni Clua Serena
món musulmà, Virgili, Estaci, Lucà, Ovidi 50, els escrits populars, l’escultura...). El poeta italià usa els models clàssics grecollatins per a articular la veritat cristiana, i aquesta fou expressada en imatges com les que hem vist a propòsit de la ‘dona’ a la iconografia de l’Infern gòtic català, veritable brou de cultiu per generar idees i arquetips dels quals el Dant se’n féu ressò.
BIBLIOGRAFIA
J. ARCE 1984, «Dante y el Humanismo español», Cuadernos para la Investigación de la Literatura Hispànica 6, pp.185-194.
R. ARQUÉS 2000, «El rastro de la pantera perfumada (Dante en las poéticas catalanas de la modernidad)», Tenzone 1, pp. 179-214.
R. ARQUÉS 2011, «Il Dantismo contemporaneo in Spagna. Primo Bilancio», dins Letture classensi, vol. 39, a cura di M. Ciccuto, Ravenna, pp.11-25.
M. ASÍN PALACIOS 1919, La Escatología musulmana de la Divina Comedia, Madrid-Granada 1993.
M. ASÍN PALACIOS 1927, Dante y el Islam, Madrid.
K. BROWNLEE [1993] 2007, «Dante and the classical poets», in R. Jacoff (ed.), The Cambridge Companion to Dante, Cambridge, pp. 141-160.
J. A. CLUA 2013, «Alexandre el Gran, clergue-cavaller i el lleó: recepció d’un tema iconogràfic grecollatí en la literatura medieval», in J. A. CLUA & F. SABATÉ, Usos i tradició de les literatures clàssiques a les literatures medievals, Lleida, pp. 93-105.
M. DOLÇ 1986, «Fortuna di Virgilio nelle terre ispaniche», in Atti del Convegno internazionale (Napoli 24-26 ottobre 1983), La fortuna di Virgilio, Nàpols, p. 397.
F. EIXIMENIS 1981, Lo Llibre de les dones, edició a cura de F. NACCARATO, sota la direcció de J. COROMINES, revisada per WITTLIN & COMAS, Introducció i apèndixs de WITTLIN, vol. I, Barcelona.
F. EIXIMENIS 1983, De sant Miquel Arcàngel: el quint tractat del Libre dels àngels, introducció, edició i apèndixs de C. WITTLIN, Barcelona.
A.M. ESPADALER 1997, «El concepte de vergonya a l’obra d’Ausiàs March», in R. ALEMANY (ed.), Ausiàs March: textos i contextos, Alacant / Barcelona, pp. 77-93.
A. FARINELLI 1922, Dante in Spagna, Francia, Inghilterra, Germania (Dante e Goethe), Torí.
A. FARINELLI 1905, «Appunti su Dante in Spagna nell’ età media», Giornale Storico della Letteratura Italiana, 44, pp. 1-105 (citat per C. ALVAR, «Dante en español», in Ídem, Traducciones y traductores. Materiales para una
50. En el seu intent de privilegiar l’Imperi romà dins de la història de la salvació cristiana, la Commedia presenta Virgili com a auctor i l’Eneida com a punt cabdal de partença de la seva visió política, mentre que els altres tres autors llatins i les seves obres també són citats a l’obra del Dant, encara que no tingueren aquesta mateixa concepció del món i de la política.
La poètica de l’al·lusivitat en la imatge de la ‘donna’ 113
historia de la traducción en Castilla durante la Edad Media, Alcalá de Henares 2010, pp. 473-491).
A. GANGUI 2008, Poética Astronómica. El cosmos de Dante Alighieri, Mèxic.
G. GENETTE 1982, Palimpsestes. La littérature au second degré. Paris [trad. espanyola: Palimpsestos:la literatura en segundo grado Madrid 1989; trad. anglesa: Palimpsestes: Literature in the Second Degree. Lincoln 1997].
P. GÓMEZ 2012, «El aprendiz de rapsodo, o de cuando Homero cruzó la laguna Estigia (Lucianus, Cont. 7)», Emerita 80, 1, pp. 13-29.
S. HAMANN 2011, «St Fursa, the genealogy of an Irish saint: the historical person and his cult», Proceedings of the Royal Irish Academy, vol. 112 C, pp. 1-41.
G. H IGHET 1951, The Classical Tradition: Greek and Roman Influences on Western Literature. Oxford.
R. JACOFF, 1991, «Transgression and Transcendence: Figures of Female Desire in Dante’s Commedia», in M. BROWNLEE, K. BROWNLEE & ST. NICHOLS (eds.), The New Medievalism, Baltimore, pp. 187-199.
C. LÓPEZ CORTEZO 2000, «Acerca de la ignorancia “homérica” de Dante y el retorno de Ulises a Itaca», Cuadernos de filología italiana, 7, pp. 85-97.
M. MAYER 1995, «Per a una aproximació succinta a l’Humanisme clàssic als països Catalans», in Jornades d’Homenatge a Dolors Condom, Girona, 6 i 7 de març de 1992 in Annals de l’Institut d’Estudis Gironins. Vol. XXXV, Girona, pp. 483-495.
S. MAZZOLDI 2001, Cassandra, la vergine e l’indovina: identità di un personaggio da Omero all’Ellenismo, Pisa.
J. F. MIRA 2000, Dante Alighieri, Divina Comèdia, versió catalana, Barcelona.
C. MIRALLES 1995, «Els grecs a la poesia de Riba», Els Marges, 52, pp. 89-94.
P. MORENO 1995 a, «Alessandro e gli artisti del suo tempo», in Alessandro Magno, storia e mito, Roma, p. 127.
P. MORENO 1995 b, «L’immagine di Alessandro nella ‘maniera’ classica (323301 a.C.)», in Alessandro Magno, storia e mito, Roma, pp. 140-142.
A. MORGAN 1990, Dante and the Medieval Other World, New York (reprinted 2007).
M. MORREALE 1967, «Apuntes bibliográficos para el estudio del tema Dante en España hasta el siglo XVII », Annali del corso di Lingue e Letterature straniere della Università di Bari 8, pp.2-44.
H. R. PATCH 1983, El otro mundo en la literatura medieval, Madrid.
J. PLANAS 1984, «El Misal de Santa Eulalia», Boletín del Museo e Instituto Camón Aznar XVI, pp. 33-62.
J. PLANAS 1989, «La imatge de la dona als Inferns gòtics catalans», D’art: Revista del Departament d’Història de l’Art 15, pp. 95-122.
J. PÒRTULAS 2013, «Observations on the katabasis of P. Fayum 2 (P. Brit. Mus 1192)», in E. SUÁREZ DE LA TORRE & A. PÉREZ JIMÉNEZ, Mito y Magia en Grecia y Roma, Barcelona, pp. 149-160.
R. REHM 2002, The Play of Space: Spatial Transformation in Greek Tragedy, Princenton & Oxford.
Antoni Clua SerenaM. REIG 2011, «La veu de Tànatos i els fills de la nit en el catàleg hesiòdic: algunes consideracions sobre les veus del més enllà», Ítaca 27, pp. 9-21.
C. RIBA 1933, Dante i la dona, Barcelona.
O. TAPLIN 1990, The Stagecraft of Aeschylus, The Dramatic Use of Exits and Entrances in Greek Tragedy, Oxford.
J. VERNET 1982, El Islam y Europa, Barcelona.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 115-134
DOI: 10.2436/20.2501.01.53
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully
Ernest Marcos Hierro Universitat de Barcelona
ABSTRACT:
This paper deals with the reception of Euripides’ tragedy Alcestis in the context of the Quarrel of the Ancients and the Moderns during the reign of King Louis XIV of France through the analysis of three important works: the controversial opera Alceste (1674) with libretto by French dramatist Philippe Quinault and music by Italian composer Jean-Baptiste Lully, the defence of this play written by Charles Perrault and its critic by Jean Racine in the Preface of his Iphigénie. From these textes emerges a vision of all the defaults which both Ancients and Moderns of the century of Louis the Great perceived in Euripides’ works.
KEYWORDS: Euripides’ reception, Quarrel of the Ancients and Moderns, French Lyrical Tragedy
Entre les tragèdies àtiques que ens han pervingut, l’Alcestis d’Eurípides ha estat des de sempre objecte de controvèrsia. El relat més antic conservat sobre les circumstàncies de la seva creació al festival atenès de les Grans Dionísies del 438 a.C la col·loca, d’entrada, en el quart lloc d’una tetralogia dramàtica, el reservat, segons la tradició, per als denominats drames satírics1. No en surten de sàtirs a l’Alcestis, però la font esmentada —la hipòtesi deguda probablement al càlam del filòleg d’època alexandrina Aristòfanes de Bizanci (ca. 257-ca. 180 a.C)— assenyala expressament el seu caràcter més satíric
1. DALE 19782, V-VII i 3. D’acord amb la segona hipòtesi dels manuscrits, les obres integrants de la tetratologia d’Eurípides que va obtenir el segon lloc en el concurs del 438 a.C eren, per aquest ordre, Les cretenques, Alcmeó a Psofis, Tèlef i Alcestis
Ernest Marcos Hierroque no pas tràgic i justifica l’observació pel fet que la trama comença en la dissort i acaba amb felicitat i joia, tal com ho fan també —afegeix— les comèdies2. Sobre aquesta obra, doncs, planen des de l’antiguitat la incertesa i el debat a propòsit, primerament, de la seva funció en el marc dramàtic original i, en segon lloc, del seu caràcter, és a dir, de la seva adscripció a un o més d’un dels gèneres teatrals definits per la tradició aristotèlica. Això ho permet i ho promou, naturalment, el final feliç de l’acció que destaca l’escoliasta, present també, tanmateix, en altres obres d’Eurípides com les dues Ifigenies, l’Orestes i l’Hèlena, sobre el caràcter tràgic de les quals no hi ha hagut mai tants dubtes. Però també resulta decisiva en la gènesi d’aquesta discussió la caracterització inusitada dels protagonistes, que, en el cas d’Hèracles i d’Apollo, difereix prou dels trets que els atribueixen altres tragèdies, mentre que en els d’Admet i de Feres, per exemple, palesa unes peculiaritats, com a mínim, xocants. L’Alcestis, certament, no s’acomoda a les expectatives dels lectors familiaritzats amb la Poètica d’Aristòtil, sinó que recorda, per contra, d’una manera alarmant, les crítiques sagnants que Aristòfanes dedica al seu autor a Les granotes3. En aquestes circumstàncies, no és estrany que la seva recepció en època moderna i contemporània hagi estat també conflictiva. En una monografia publicada l’any 1998, la professora Kiki Gounaridou fa un repàs exhaustiu de les interpretacions de l’Alcestis ofertes pels filòlegs dels segles XIX i XX, des de Theodore D. Woolsey (1869) fins a Charles Segal i Nancy Sorkin Rabinowitz (1993) passant també per Josep Alsina (1958)4. L’autora ofereix una llista dels assajos de definició proposats —una ‘tragèdia realista’, una ‘comèdia seriosa’, una ‘obra pro-satírica’, un ‘drama domèstic’, una ‘tragicomèdia irònica’, un ‘conte de fades’, una ‘fantasia feliç’— i identifica amb claredat les qüestions més debatudes: quin és el protagonista central i figura de referència de la peça, Admet o Alcestis; quin paper hi juguen en l’obra els elements —diguem-ne— ‘còmics’; quins són els motius del sacrifici d’Alcestis: l’afecció conjugal, l’amor maternal, l’esperança de glòria o l’amistat; quines són les raons de la conducta d’Admet: la por a la mort, la seva superioritat de mascle, les obligacions de l’hospitalitat o l’egoisme; per què l’obra té un final feliç i quin significat l’hi atribuïm etc. En la seva pròpia proposta, Gounaridou emfasitza, finalment, l’ambigüitat i la indeterminació de la tragèdia, que transcendeix les convencions genèriques i s’instal·la, i instal·la els seus lectors i espectadors, en un territori fecund per a les especulacions agosarades, que hi identifiquen, per exemple, tota mena de qüestionaments transgressors de les relacions entre déus, herois i mortals o entre homes i dones. Aquestes característiques de l’obra, que Gounaridou considera sens dubte avantatjoses, resulten, per contra, força incòmodes per als estudiosos que l’aborden amb una mentalitat més tradicional en termes de gènere i caracterització.
2. DALE 19782, 3.
3 Vegeu l’enfrontament a l’Hades entre Èsquil i Eurípides amb Dionís d’àrbitre a Granotes, 830-1481, especialment, la paròdia de l’estil euripidi de lamentació als versos 1325-1362: BALASCH 1974, 155-184, especialment, 176-178.
4. GOUNARIDOU 1998, 4-26 amb les referències bibliogràfiques a les notes.
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 117
Aquesta mateixa incomoditat és, d’altra banda, també perceptible en els autors que han reprès modernament el tema de l’Alcestis. Trobem, certament, en el segle XX dramaturgs importants com T. S. Eliot (1888-1965), Thornton Wilder (1897-1975) i Heiner Müller (1929-1995), que ens han ofert visions complexes de la història euripídia i que en recullen, d’alguna manera i amb variants notables, els aspectes crítics i conflictius 5. En èpoques anteriors, per contra, ha estat predominant la correcció del to i de la trama de la tragèdia original a fi d’escamotejar-ne els punts polèmics i d’adaptar la peripècia a un propòsit d’edificació moral. Hem analitzat en un treball previ el cas paradigmàtic de l’òpera Alceste (1767) del llibretista Raniero de’ Calzabigi (1714-1795) i el compositor Christoph Willibald Gluck (1714-1787), que eleva Admet i Alcestis a la categoria d’herois epònims de l’amor conjugal6. L’objecte d’aquest text és analitzar un precedent de l’obra de Gluck que va ser fonamental, segons sembla, a l’hora de confegir el final definitiva de la seva versió parisenca de 1776. Es tracta de la ‘tragèdia lírica’ Alceste, estrenada a París l’any 1674 amb llibret de Philippe Quinault (1635-1688) i música de Jean-Baptiste Lully (1632-1687), una peça que fou l’objecte d’un dels episodis culminants de la famosa querella entre Anciens i Modernes del segle de Lluís XIV 7. Descriu aquest conflicte, amb la seva notòria animositat contra els Moderns, l’erudit francès Marc Fumaroli en el seu brillant assaig «Les abeilles et les araignées», publicat per l’editorial Gallimard l’any 20008. El relat dels fets és elegant i impecable, però la valoració de l’Alceste i de la literatura polèmica que ocasionà sorprèn per la seva violència partidista. En llegir-lo, ningú no pot dubtar que Fumaroli combrega apassionadament amb les crítiques dels enemics de Quinault i de Lully. Arriba, fins i tot, a portar-les a uns extrems tan inaudits que obliga el lector a llegir el seu text amb el distanciament prudent dels antics de debò, és a dir, cum grano salis9. Al cap i a la fi, hores d’ara colga la mateixa pàtina d’antiguitat tots els contemporanis del Rei Sol, amb independència de la seva adscripció durant la memorable discòrdia.
5. T. S. Eliot utilitza el mite d’Alcestis i, en particular, la figura del ‘convidat inesperat’ que actua com a desllorigador de la trama, en la seva obra The Cocktail Party, estrenada al Festival d’Edimburg del 1949. Thornton Wilder va confegir, per la seva banda, una tetralogia intitulada The Alcestiad or Life in the sun del 1955, que arrenca amb la servitud d’Apollo al casal d’Admet i acaba amb la segona mort d’Alcestis, convertida en una figura expiatòria similar a Èdip. El conjunt inclou també un ‘drama satíric’ protagonitzat per Apol·lo i les Moires. A l’últim, Heiner Müller ‘repinta’ l’Alcestis d’Eurípides en la seva peça Bilderbeschreibung, estrenada a Graz el 1985, sota les influències declarades de l’obra de teatre Nô Kumasaka, el cant XI de l’Odissea, la pel·lícula Els ocells d’Hitchcock i La tempesta de Shakespeare.
6. MARCOS HIERRO 2014.
7. Vegeu l’obra de Quinault i tots els textos generats per la querella consegüent a BROOKS 1994.
8. FUMAROLI 2001, 8-220 i, especialment sobre l’Alceste de Quinault i Lully, a 164-175.
9. Vegeu, per exemple, FUMAROLI 2001, 168: «la même distance sépare la tragédie d’Euripide du livret de Quinault que Notre-Dame de Paris de Hugo du scénario qu’en ont tiré, pour un public conditionné par les stéréotypes et le happy end hollywoodiens, les studios Disney».
Ernest Marcos HierroAmb aquesta obra, Philippe Quinault i Jean-Baptiste Lully prosseguien la seva empresa de creació d’un gènere operístic específicament francès, denominat amb gran propietat, com ja ha estat dit, tragédie lyrique 10 En ell hi confluïen totes les tradicions teatrals preferides per la cort i per la bona societat parisenca —les tragèdies i comèdies en vers, les òperes d’estil italià, els ballets amb argument i les pièces à machines, és a dir, les superproduccions amb efectes especials que deixaven bocabadat el públic— i s’hi infringien, a més, les regles sagrades de les unitats de temps, acció i espai, molt particularment, la darrera. Ambdós artistes havien pres part, juntament amb Molière (1622-1673) i Pierre Corneille (1606-1684), l’hivern de 1671 en el muntatge d’un gran espectacle, la tragédie-ballet Psyché, amb una exhibició impressionant de la maquinària dissenyada pel famós artista italià Carlo Vigarini (16371713), el futur intendent dels menus plaisirs du roi, per a la salle des Machines del Palau de les Tulleries. L’èxit d’aquestes representacions fou tan gran que Molière va portar l’obra al seu teatre del Palais-Royal, on també triomfà durant la tardor i l’hivern de 1672. Decidit a treure’n el major profit, Lully va obtenir aleshores de Lluís XIV, amb l’assentiment del seu poderós ministre del finances Jean-Baptiste Colbert (1619-1683), la institució de l’Académie Royale de Musique, l’instrument que necessitava per portar endavant els seus projectes operístics. Gràcies a la Psyché havia trobat un llibretista congenial en Philippe Quinault, comediògraf i tràgic de fama que tot just acabava d’ingressar en la Académie française, i amb ell va emprendre Lully l’escriptura d’obres d’argument mitològic, musicades, cantades i ballades íntegrament.
La seva associació artística, que va produir 11 òperes en 13 anys11, va començar al febrer de 1673 amb la representació a la sala del Jeu de Paume de BelAir de París d’una obra intitulada Cadmus et Hermione, una narració molt sui generis de les noces tebanes del príncep de Tir amb la «filla de Venus i Mart» 12. És ben sabut que no disposem d’un text tràgic original grec sobre aquest història, una circumstància que, d’una banda, privava Quinault d’un model prestigiós al qual referir-se, però, de l’altra, li concedia una llibertat absoluta de creació. El resultat és una obra molt bella musicalment, però una mica coixa i força extravagant, tal com veurem tot seguit, des del punt de vista argumental. Fa la impressió de ser un primer tanteig, un experiment no massa distingit en un nou gènere dramàtic i musical que es trobava encara en procés de definició. A desgrat d’això, és un producte interessant i mereix aquí una anàlisi somera com a precedent immediat de l’Alceste13 .
10. Vegeu BROOKS 1994, xiv-xxi.
11. Aquesta és la llista de les tragèdies líriques amb llibret de Quinault i música de Lully: Cadmus et Hermione (1673), Alceste ou le Triomphe d’Alcide (1674), Thésée (1675), Atys (1676), Isis (1677), Proserpine (1680), Persée (1682), Phaéton (1683), Amadis (1684), Roland (1685) i Armide (1686).
12. Vegeu dades sobre les primeres representacions a l’article dedicat a Cadmus et Hermione a http://jean-claude.brenac.pagesperso-orange.fr/Cadre_baroque.htm.
13. QUINAULT 1674.
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 119
En Cadmus et Hermione hi veiem, efectivament, alguns elements de construcció de la peça que apareixeran també en la segona obra del mateix equip artístic. Ens referim, en primer lloc, a l’existència d’una doble trama amorosa, protagonitzada en el nivell superior de l’obra pel triangle principal format per l’exiliat Cadmus, la seva estimada Hermione, princesa d’Eònia, i Draco, el tirà que governa despòticament la regió que més tard esdevindrà Beòcia. Mentrestant, en la banda inferior, reprodueixen el mateix esquema, però en un to còmic, Arbas, el lloctinent d’origen africà de Cadmus, Charite, una de les Gràcies i companya d’Hermione, i la dida madura de la noia. D’aquesta manera, la posició central que té en el primer triangle la bella princesa, objecte del desig dels dos mascles antagonistes, l’ocupa irònicament en el segon un home covard, primitiu i maldestre, que cobeja una dona que el menysprea i rebutja una vella que el pretén, atraient així damunt seu l’hostilitat d’ambdues. També aquí s’hi troba, tal com veurem amb més gran detall en la nostra anàlisi de l’Alceste, l’esforç per integrar narrativament dins de la trama en termes psicològicament creïbles figures i motius mitològics procedents de l’antiga saga, un propòsit dut a terme amb una llibertat d’innovació remarcable. Aquest és el cas, per exemple, del desdoblament del rèptil enemic de Cadmus, que sota la forma d’un drac veritable pereix a les mans de l’heroi en l’escena tercera del tercer acte14, mentre que amb la personalitat de Draco, el sobirà gegant, resulta, finalment, petrificat per acció de l’escut de Pal·las en l’escena cinquena de l’acte quart 15. Les divinitats olímpiques prenen part també de la peripècia de la parella protagonista, les unes oferint suport als seus desitjos, com Minerva, Júpiter, Venus i l’Amor mateix, i les altres tractant d’impedir-ne la realització, com Juno i Mart. Apareixen també grups de personatges exòtics, que amb els seus cants i balls amenitzen diversos passatges de la representació: una troupe de dansaires africans, els gegants servidors del rei injust, unes estàtues d’or animades màgicament pel déu Amor, deu amorets, deu sacrificadors que acompanyen un sacerdot de Mart, quatre Fúries, els terrígens que neixen de les dents sembrades del drac mort i una multitud de devots del déu Comus, d’hamadríades i de divinitats celestials, que assisteixen, en la conclusió, a les noces de Cadmus i Hermione. Aquesta presència massiva d’actors i figurants i els canvis incessants d’escena que ens indiquen les acotacions fascinaren, sens dubte, els seus primers espectadors, però no poden ocultar als nostre ulls les debilitats d’una obra que avança a empentes, com si els seus autors no tinguessin gens clares les línies del seu desenvolupament. Cadmus et Hermione va assolir, tanmateix, un gran èxit, que desvetllà en els seus autors la voluntat de repetir-lo el més aviat possible amb un nou plançó.
Durant la tardor i els primers mesos d’hivern de 1673, poeta i compositor van treballar en l’ Alceste al palau de Versalles sota la protecció de Madame de Montespan, que era aleshores l’amant en titre de Lluís XIV. D’aquesta mane-
14. QUINAULT 1674, 40-41. 15. QUINAULT 1674, 53-54.
120
Ernest Marcos Hierrora, el monarca, gran admirador de Lully des de la seva adolescència, fou testimoni privilegiat del procés creatiu i espectador dels primers assajos, que provocaren entusiasme16. Segons sembla, Lully portava la iniciativa artística atès que composava, d’habitud, primerament la música de les àries i demanava després a Quinault els mots necessaris per a cantar-les. També diuen que el feia corregir els versos dels recitatius a fi d’ajustar-los a les seves melodies i a les necessitats dels cantants, mantenint sempre com a objectiu principal la transmissió en les millors condicions possibles d’un text plenament intel·ligible. En aquesta ocasió, certament, l’empresa era molt més delicada que en el cas del Cadmus, perquè abordaven la reescriptura d’una tragèdia grega força llegida i coneguda. Amb ella Lully i Quinault havien d’inaugurar, a més, el nou local assignat a l’Académie Royale de Musique, el teatre del difunt Molière al Palais-Royal, que els havia estat concedit gràcies als bons oficis del seu amic Charles de Perrault (1628-1703), el màxim responsable dels edificis reials i mà dreta de Colbert. Perrault era, d’altra banda, el corifeu del partit dels Moderns i, per tant, l’enemic declarat dels més il·lustres representants dels Antics, el crític Nicolas Boileau-Despréaux (1636-1711), que era a punt, precisament, de publicar la seva Art poétique , i el dramaturg Jean Racine (1639-1699), que acabava de triomfar amb la seva tragèdia històrica Mithridade i preparava, després de l’Andromaque del 1667, una nova incursió en territori euripidi, la Iphigénie . Els autors de la nova ‘tragèdia lírica’ comptaven, per tant, amb amics poderosos disposats a defensar-los i cobrir-los d’honors, però els seus adversaris, com veurem tot seguit, podien ser també temibles17
Sota els excel·lents auspicis del favor reial, demostrat ben clarament a Versalles, l’estrena de l’Alceste va tenir lloc al teatre del Palais-Royal el dia 11 de gener de 167418. Com una de les seves primeres espectadores, Madame de Sevigné consigna en una carta a la seva filla l’emoció que li havia produït aquest prodige de beauté. En alguns moments de l’obra, diu, ni ella ni la seva famosa amiga Madame de La Fayette havien pogut contenir les llàgrimes19 El públic n’admirava obertament passatges com la simfonia, que també havia captivat el rei mateix, i cantava pels carrers els cors més populars, però els enemics de Quinault i de Lully muntaven també, segons el gust i l’habitud de l’època, les sòlites càbales de desprestigi. Tal com era previsible, incidien, sobretot, en l’aspecte més controvertit de la peça, que era el seu tractament molt innovador i agosarat de l’argument de la tragèdia d’Eurípides. En aquest punt, ni l’assistència de Lluís XIV en persona a una representació el dia 10 d’abril va aturar les crítiques. Per això, en el punt culminant de la polèmica, quan els lectors s’apressaven a llegir el nou llibre de Boileau com a testimoni
16. Ho sabem per una carta de Madame de Sevigné a la comtessa de Grignan amb data de l’1 de desembre de 1673: SÉVIGNÉ 1972, 631.
17. Sobre les enemistats personals que foren determinants per a l’esclat de la querella vegeu BROOKS 1994, xxviii-xxxv.
18. Vegeu BROOKS 1994, ix-xiii.
19. SÉVIGNÉ 1972, 686.
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 121
definitiu de l’autoritat del bàndol dels Antics, Charles de Perrault va prendre la determinació de publicar un opuscle en defensa de l’Alceste, convertida així en paradigma de l’acostament dels Moderns a les grans obres de l’antiguitat. El text, intitulat Critique de l’opéra ou Examen de la tragédie intitulée Alceste ou le Triomphe d’Alcide, és un testimoni d’excepcional interès sobre la recepció del teatre antic en la modernitat20. Aquest assaig crític, plantejat, segons el model, per exemple, del teatre de Molière, com un diàleg entre dos personatges de nom clàssic, però personalitat contemporània, ens proporciona les eines per analitzar, d’una banda, la ‘tragèdia lírica’ de Quinault i Lully, i per entendre, de l’altra, el sentit dels retrets que els Moderns li feien a Eurípides i que els portaven a promoure la seva revisió radical. Inicia la conversa el cavaller anomenat Cléon, la figura de Perrault en el diàleg, que comenta amb el seu interlocutor Aristippe la impressió de bellesa i el plaer que li ha procurat la representació de l’Alceste a la qual ha assistit. Aristippe creu, d’entrada, que el seu amic se’n burla, però quan comprèn que està parlant seriosament, el compadeix i s’apressa a obrir-li els ulls. També ell —diu— va trobar la peça admirable quan la va veure, però posteriorment les explicacions de Dorilas, un seu conegut molt instruït, li han fet veure que es tracta d’una obra ‘detestable’ i ‘molt enutjosa’21. En la seva irònica resposta, Cléon s’erigeix en portaveu dels ‘ignorants’ que no temen gaudir d’allò que els agrada i denuncia com a interessades les crítiques contra la tragèdia, atès que només en malparlen —especifica— els enemics dels seus autors, és a dir, els músics, actors i poetes que envegen els seus privilegis i la seva situació de favor a la cort. Preguntat pel seu company, Aristippe identifica, a continuació, com a objecte del blasme, la ‘poesia’ de la peça, és a dir, el text de Quinault, mentre que tant la ‘música’, el treball de Lully, com les ‘decoracions’, allò que ara anomenaríem la producció, resultarien acceptables. Segons Aristippe, a banda de criticar la qualitat dels versos i de les cançons, les persones de bon gust retreuen sobretot a l’autor el fet de no haver posat en la seva obra alguns dels moments més bells de la tragèdia d’Eurípides i d’haver afegit, en canvi, nous ‘episodis ridículs’, que no s’ajusten bé a l’altura del tema original22. Hom acusa, per tant, Quinault de falta de respecte i de destresa en el seu tractament d’un clàssic, dos pecats que, units de manera indestriable, caracteritzen sempre, als ulls dels Antics, els errors dels Moderns. Per boca del seu personatge Cléon, Perrault defensa, a continuació, el seu protegit mitjançant una denúncia radical dels defectes, segons la seva opinió, de la tragèdia euripídia i una justificació igualment valerosa de les innovacions de la nova Alceste, presentada com una operació de reescriptura conscient d’una història pèssimament explicada en la seva versió original. Fent exhibició d’una pretesa imparcialitat, Cléon procedeix a explicar, en primer lloc, els arguments de la tragèdia d’Eurípides i de l’obra de Quinault,
20. PERRAULT 1674 = BROOKS 1994, 79-102.
21. PERRAULT 1674, 2-4 = BROOKS 1994, 79-81.
22. PERRAULT 1674, 6 = BROOKS 1994, 81.
Ernest Marcos Hierrol’un darrere de l’altre23. L’exposició vol ser metòdica i neutral, perquè l’anàlisi i la comparació posterior constitueixen, com indica Aristippe, «le noeud principal de l‘affaire», però el resum que l’erudit dels Moderns ofereix de la peripècia antiga no és en absolut innocent. Ben al contrari, avança amb claredat mitjançant remarques subtils i punyents els passatges i les caracteritzacions conflictives que Quinault ha eliminat de la trama i que seran, a continuació, objecte d’un debat més minuciós. Aquests punts, segons la distribució convencional en quatre actes de la tragèdia, es localitzen, en el ‘primer acte’, en la conversa inicial entre Apol·lo i la Mort i en el relat de la criada, la ‘suivante d’Alceste’, sobre els escarafalls de la reina quan evoca el seu llit nupcial; en el ‘segon acte’, en les exhortacions que Admet adreça a la seva esposa perquè no vacil·li en el seu propòsit generós de morir en lloc d’ell; en el ‘tercer acte’, en la discussió entre Feres i Admet, i en el ‘quart acte’, finalment, en el comportant desordenat d’Hèracles quan encara ignora la dissort del casal i en les circumstàncies estranyes del retrobament dels esposos amb l’aparició d’Alcestis oculta sota el vel i muda. També és ben evident en la narració de l’argument de l’òpera de Quinault i Lully l’aprovació de Cléon per les innovacions introduïdes pel dramaturg modern. De fet, en el discurs justificador de la seva opinió que elabora tot seguit, l’orador estableix un vincle evident entre supressions i afegitons, que ell presenta com a dictats per la voluntat d’acomodar al ‘gust del segle’ una història percebuda com a inadequada atès que presenta costums i valors d’un passat llunyà i esdevingut inacceptable24 .
Les lloances a la labor d’adaptació de Quinault comencen, tanmateix, per una correcció que podríem definir únicament com a formal, perquè no afecta el contingut de la tragèdia euripídia. Es tracta del diàleg inicial entre Apollo i Tànatos, que Cléon troba inacceptable pel fet de ‘declarar’ de manera ben explícita tant el nus de l’obra, és a dir, el sacrifici d’Alcestis per la supervivència d’Admet, com el seu desllorigador, la intervenció salvadora d’Hèra-
23. PERRAULT 1674, 7-16 = BROOKS 1994, 81-84 (resum de l’Alcestis d’Eurípides) i 17-27 = BROOKS 1994, 84-87 (resum de l’Alceste de Quinault i Lully). Vegeu el text complet de la tragèdia de Quinault a BROOKS 1994, 5-72.
24. PERRAULT 1674, 27-29 = BROOKS 1994, 87-88: «bien que l’Autheur de l’Alceste de l’Opera ait retranché beaucoup de choses de celles qui sont dans Euripide, & qu’il en ait ajoûté aussi beaucoup de son invention, comme il paroist par l’abregé que nous venons de faire de ces deux Pieces; Neanmoins, les choses principales qu’il a retranchées, se peuvent reduire à celles-cy. La Scene d’Apollon & de la Mort. Le recit que fait une Suivante des regrets d’Alceste dans son Palais. L’entretien d’Alceste & d’Admette en se disant adieu. L’entretien d’Admette & de son père. Le discours d’un Valet qui se plaint de la brutalité d’Hercule. Et enfin, la manière dont Hercule rend Alceste à Admette, en la luy amenant voilée pour éprouver sa fidelité. Les choses principales que l’Autheur a ajoûtées de son invention, se peuvent aussi reduire a celles-cy. L’amour qu’il donne à Hercule pour Alceste. L’amour et la trahison de Lycomede. Les amours et l’inconstance de Cephise. La blesseure mortelle qu’Admette reçoit en delivrant Alceste. La recompense proposée par Apollon d’un monument eternel, à celuy qui mourra pour Admette. La surprise d’Admette en voyant la figure d’Alceste, qui luy fait connoistre qu’elle est morte pour luy. Et en dernier lieu, la Victoire qu’Hercule remporte sur luy-mesme, en cedant Alceste à son Epoux».
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 123
cles 25. El cavaller especifica que no és contrari als pròlegs que instrueixen sobre els fets anteriors a la trama, ni tampoc als que fan al·lusions fosques sobre el desenvolupament posterior de la narració. Tant en un cas com en l’altre, aquests passatges són útils per a la comprensió i el gaudi de la història present. Els pròlegs de les tragèdies gregues, en canvi, arrabassen als espectadors el plaer de la novetat de l’acció i els priven, en conseqüència, de «la sorpresa agradable dels esdeveniments i de la joia de veure’s alliberat mitjançant un desllorigador enginyós de l’embaràs i la inquietud en què els han posat la intriga i el nus de la peça» 26. Destrueixen de bell antuvi, per tant, allò que constitueix un dels màxims atractius del teatre modern, el desconeixement del final del trama i les expectatives que d’aquest ignorància es deriven. Tenint això present, Perrault considera que és una idea excel·lent prescindir d’aquesta mena d’introduccions. Després d’aquesta primera aprovació de l’activitat innovadora de Quinault, Cléon aborda coratjosament les seves iniciatives més agosarades, que tenen, segons ell, l’origen en el desig de corregir radicalment els caràcters dels personatges de la tragèdia àtica. En aquest punt es percep amb tota claredat la incomoditat que l’Alcestis d’Eurípides produïa en els Moderns del segle XVII, que trobaven inacceptables l’actitud diguem-ne psicològica i el comportament dels seus protagonistes. D’acord amb l’estructura de l’obra esmentada més amunt, Cléon al·ludeix críticament, en primer lloc, a la conducta de la reina de Tessàlia tal com l’exposa la criada en el seu parlament27. D’acord amb aquesta, Alcestis, segons ja ens ha dit l’orador prèviament en el seu resum de l’argument, mentre encomanava els seus infants als déus, no havia vesat cap llàgrima, no havia deixat anar el més mínim sospir, ni li havia canviat la color del rostre, però tant bon punt va veure el seu tàlem nupcial, va llançar-se damunt d’ell i va començar a plànyer-se’n28. Així evocava dramàticament la virginitat que en ell havia perdut i besllumava l’esposa futura del seu marit que d’ara endavant l’ocuparia, tot omplint el palau de crits i sanglots29. El cavaller, fent un exercici d’acostament historicista a la peça, concedeix irònicament que tal vegada els grecs podien trobar plaent veure una dama madura i amb fills en edat de casar-se plorant pel record de la seva donzellesa, però afirma taxativament que aquesta escena resultaria ridícula i
25. Alcestis, 64-71 a DALE 19782, 7. Vegeu RIBA 1977, 71: (parla Apol·lo) «ah, bé caldrà que cessis, dur com ara ets! / Veuràs al burg de Feres quin heroi vindrà, / que va per càrrec d’Euristeu a endur-se un tir / eguí d’uns llocs de Tràcia, on fa mal hivern. / El qual, rebut per hoste en el casal d’Admet, / per força aquesta dona arrencarà de tu. / I de nosaltres no tindràs agraïment: / faràs igual la cosa, i jo t’odiaré».
26. PERRAULT 1674, 31-32 = BROOKS 1994, 88: «mais d’en avoir declaré distinctement le nœud & le dénouement, c’est avoir dérobé aux Spectateurs tout le plaisir qu’ils auroient eu dans la suite, & leur avoir osté toute leur attention et toute leur curiosité».
27. PERRAULT 1674, 32-24 = BROOKS 1994, 88-89.
28. Alcestis, 141-212 a DALE 19782, 10-13 i RIBA 1977, 74-76.
29. RIBA 1977, 75: «oh llit, on l’home per qui moro desnuà / la meva donzellesa, adéu, que jo no et tinc / cap odi: per mi sola hauràs estat funest, / i és pel dubte de trair-vos, tu i l’espòs, / que moro. Una altra dona t’aconseguirà: / no pas més casta, però més feliç potser».
Ernest Marcos Hierroobjecte de blasme en un teatre contemporani. Davant l’explícita evocació d’una nit de noces en llavis d’una respectable matrona, els espectadors masculins, sentint-se sexualment provocats, se’n burlarien obertament, mentre que les dames, escandalitzades, envermellirien de vergonya, incapaces de comprendre la fredor aparent de l’heroïna a l’hora d’acomiadar-se dels seus fills. D’aquesta manera, Cléon assenyala amb tota claredat un dels trets més xocants de la tragèdia antiga a ulls dels seus contemporanis, el caràcter peculiar del personatge d’Alcestis, que abans que mare és esposa i que mostra, a més, un interès explícit i evident per les delícies de la vida conjugal. Com observa aquí per primera vegada l’orador, aquesta caracterització contravé completament, d’altra banda, les convencions teatrals del seu temps que els únics enamorats que toleraven eren els joves, galants i solters. Les tendreses entre persones d’edat resultaven, per contra, menyspreables. La supressió d’aquesta escena per Quinault havia estat, doncs, una decisió molt encertada, perquè evitava una ocasió de riure extemporani i d’incomoditat social.
La mateixa apel·lació al manteniment del decòrum propi d’un espectacle tràgic justifica la supressió d’una escena que els Antics i el seu portaveu en el diàleg, l’incaut Aristippe, consideraven «una de les coses més belles del món», la conversa entre Alcestis i Admet, que constitueix, segons l’esquema presentat per Perrault, el nucli del ‘segon acte’ de la tragèdia30. En el resum precedent de l’argument de la peça, a desgrat de la seva pretesa neutralitat, l’autor del tractat ja ha posat en evidència el prejudici amb què n’aborda l’anàlisi31 . D’una banda, quan descriu els laments que la reina adreça al seu espòs, emfasitza amb una intenció ben irònica els seus tres motius declarats de condol, que són l’enyorament de la llum del sol, de la bellesa del palau i, novament, del llit conjugal32. De l’altra, dóna un relleu especial a les promeses, presentades implícitament com extravagants, que li fa Admet a Alcestis: la confecció de la figura semblant a ella amb la qual el rei assegura que dormirà abraçat totes les nits i la privació futura de tota mena de plaers, que inclourà tant els festins amb els amics com el lleure amb el llaüt i la flauta. Segons Cléon, Admet fa aquestes promeses percebudes com a inadequades, perquè tem que la seva muller es faci enrere en l’últim moment i que sigui ell, finalment, la víctima de la Parca que ronda el palau. Perrault fa aquesta interpretació, objectivament esbiaixada, de l’escena, perquè, tal com assenyala triomfalment Jean Racine en el prefaci de la seva Iphigénie, llegeix una edició de la tragèdia en què s’atribueix erròniament a Admet en lloc d’Alcestis una expressió de terror davant de la proximitat de la mort33. D’aquesta lectura en deriva, consegüentment, una caracterització miserable i poruga del personatge, que resulta determinant per a la comprensió global de la tragèdia que presenta Perrault. Tot seguit en veurem també l’efecte en la seva valoració elogiosa de
30. PERRAULT 1674, 34-37 = BROOKS 1994, 89-90.
31. PERRAULT 1674, 9-11 = BROOKS 1994, 82.
32. Vegeu tot el diàleg a Alcestis, 244-391 a DALE 19782, 14-20 i RIBA 1977, 77-82.
33. Vegeu l’acusació de Racine a BROOKS 1994, 108-109, i la resposta de Perrault a BROOKS 1994, 115-118.
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 125
la supressió de l’escena de enfrontament entre Admet i el seu pare Feres, que té lloc, segons la seva anàlisi, en el ‘tercer acte’ de l’obra euripídia34 .
A l’hora de jutjar aquest passatge, Cléon proclama amb èmfasi que es tracta de la cosa més odiosa que mai ningú no ha posat en escena35. Hom podria esperar que allò que molestés el cavaller parisenc, com a molts espectadors i lectors de l’Alcestis, fos la reluctància de l’ancià a oferir la seva vida en lloc de les del fill i de la nora, però el seu motiu d’escàndol és ben diferent. El repugna, ben al contrari, l‘actitud d’Admet, que tracta el seu pare d’impudent i covard i li retreu no haver mort per ell. Segons la seva opinió, aquestes dues escenes arruïnen completament l’obra, perquè frustren l’empatia del públic amb el seu protagonista. La seva ‘deshonestedat’ fa el rei de Tessàlia tan «menyspreable i odiós» que ningú no sent cap joia quan escapa de la mort. A més, també contaminen l’apreciació del sacrifici d’Alcestis, que ha ‘emprat’ malament la vida per un home que no la mereix, i impedeixen alegrar-se del seu retorn de l’Hades, que li comporta, de fet, una condemna al costat d’un subjecte indesitjable36. Amb aquestes observacions demolidores ja n’hi ha prou per rebutjar completament la tragèdia d’Eurípides com un producte del tot inadequat per a l’escena del segle de Lluís XIV, però Cléon, seguint ordenadament l’estructura de l’obra, s’apressa, a continuació, a acarnissar-se en la crítica de la conducta d’Hèracles en el ‘quart acte’.
En comentar la narració del criat —‘le valet’— sobre els excessos del convidat inesperat, Perrault fa que el seu personatge s’acosti novament a l’obra antiga amb una perspectiva historicista37. De la mateixa manera que abans ha concedit que potser els grecs trobaven plaer en les expansions eròtiques d’Alcestis, ara accepta també que tal vegada els herois de l’antiguitat tinguessin llicència per ser golafres i ebris, especialment aquells que, com Hèracles, es caracteritzaven per la força del cos i la intrepidesa de l’ànima. Car és ben sabut —afegeix— que aquestes virtuts sovint van acompanyades de la intemperància i la brutalitat. Aquest retrat, però, ja no resulta acceptable avui, en el París contemporani, perquè atribueix al fill de Júpiter els trets propis d’un trinxeraire, absolutament incompatibles, per tant, amb la personalitat plena de virtuts que cal suposar en un heroi que gosa forçar les portes dels Inferns38. Ben significativament, Cléon es demana com Eurípides podia es-
34. PERRAULT 1674, 36-39 = BROOKS 1994, 90-91.
35. Alcestis, 614-740 a DALE 19782, 28-33 i RIBA 1977, 90-94.
36. PERRAULT 1674, 38-39 = BROOKS 1994, 90: «l’on voit un fils qui traite son père d’impudent & de lâche, & qui luy reproche avec une effronterie sans égale, de n’avoir pas voulu mourir pour luy, pendant que le mal-hereux et le poltron qu’il est, bien loin de donner sa vie pour un autre, consent non seulement ; mais oblige sa femme à mourir en sa place. Ce qui gaste la Piece entierement : Car la mal-honnesteté de ce personnage & si haïssable, qu’on n’a point de joye de le voir échapper à la Mort ; qu’on ne peut sçavoir gré à sa femme d’avoir si mal employé sa vie, & qu’on ne peut dans la suite se réjouir, quan Hercule la luy ramene des Enfers».
37 Alcestis, 747-772 a DALE 19782, 33-34 i RIBA 1977, 95.
38. PERRAULT 1674, 39-41 = BROOKS 1994, 91: «mais outre que le Valet pousse la chose un peu trop loin, ce n’est plus aujourd’huy l’idée que l’on a d’Hercule. Et le beau monde auroit
Ernest Marcos Hierroperar que els seus espectadors acceptessin de conciliar en un mateix personatge una tal grandesa d’ànim amb l’embriaguesa i la brutalitat. També li resulta xocant la lleugeresa amb què Hèracles li presenta a Admet Alcestis coberta pel vel i la prova grollera de la seva fidelitat que li planteja39. Com a bon espectador de les obres de Molière, el cavaller sap apreciar la ‘gentilesa’ d’aquest estratagema, un desllorigador ‘sorprenent’ i ‘plaent’. Tanmateix, aquesta ‘aimable tromperie’, que hauria estat de molt bon gust en una comèdia, resulta del tot inconvenient atribuïda al personatge d’un heroi tan ‘perfecte’ i ‘seriós’ com Hèracles, perquè l’engany i la broma han de romandre lluny d’ell40 Per mitjà de l’anàlisi dels passatges suprimits per Quinault en la seva adaptació d’Alcestis, Perrault ha exposat amb tota claredat quins són els trets de la tragèdia d’Eurípides que resultaven difícilment acceptables per a la sensibilitat dels lectors i espectadors del segle XVII. Per bé que hom pugui apreciar el seu estat original com un text diguem-ne ‘històric’, produït en una època de gust i convencions distintes de l’actual, per al protector dels creadors de la ‘tragèdia lírica’ era evident que en aquestes condicions no era possible portar l’obra euripídia a escena, perquè la seva alteritat radical resultaria causa d’escàndol. Cap dels seus tres protagonistes no s’ajusta als trets dels herois i de les heroïnes tràgiques tal com els entenien els espectadors dels drames, per exemple, de Pierre Corneille, i tots ells mostren, per contra, aspectes que els apropen perillosament a la caracterització dels personatges més grotescos de les comèdies: les velles enamorades, els egoistes patètics i els borratxos disbauxats. Confrontat amb la versió literal de la tragèdia, el públic reaccionaria, doncs, amb desconcert i disgust, incòmode per la diversió inadequada que li produiria una història cèlebre, per contra, pel seu enorme valor moral. A fi de realçar com s’escau el sacrifici coratjós d’Alcestis i l’acció valerosa d’Hèracles, calia, per tant, que un dramaturg de bon gust i amb les idees molt clares corregís la trama rebuda, tot suprimint, primerament, com hem vist, els errors del seu creador i afegint, a continuació, els nous elements que millor servissin per fer-ne palesa la utilitat. Aquesta era la tasca que, segons Perrault, Quinault havia dut a terme de manera exemplar, tal com el seu porta-
esté bien surpris, si on luy eût representé les fils de Jupiter, avec les qualitez d’un Crocheteur. Comme il est mal-aisé de s’imaginer qu’un homme aille forcer les Enfers, sans s’imaginer en mesme temps qu’il est remply de beaucoup de vertus, je ne sçay pas comment Euripide pretendoit disposer les Spectateurs à cette creance en leur donnant à entendre, que ce mesme homme estoit un yvrogne & un brutal».
39. Alcestis, 1008-1122 a DALE 19782, 45-47 i RIBA 1977, 103-107.
40. PERRAULT 1674, 41-42 = BROOKS 1994, 91: «je avouë que cet endroit est ingenieux, quoy que l’offre d’une femme qu’on ne voit point touche tres-peu. Mais je doute que cela soit là fort en sa place ; c’est une gentillesse tres-agreable pour une Comedie, & qui fait un dénoüement dont la surprise donne du plaisir ; mais cette aimable tromperie qui sieroit bien à un personnage ordinnaire, & dans une Piece enjoüée, ne convient guere à un Heros aussi parfait & aussi serieux que le doit estre Hercule, & qui doit s’éloigner également de la tromperie & de la plaisanterie quelles qu’elles soient, comme de deux choses incompatibles avec le caractere des Heros».
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 127
veu Cléon exposa, a continuació, en el diàleg de manera molt detallada i complexa. Atès que el seu discurs concerneix més als principis de la teoria dramàtica contemporània que no pas a qüestions de recepció de la tragèdia antiga, l’exposició d’aquesta part no seguirà estretament el desenvolupament de l’argumentació de Cléon en la seva conversa amb Aristippe, ans en presentarà només un resum en relació amb l’estructura de l’òpera41 Per tal de corregir la caracterització defectuosa dels personatges d’Eurípides, segons Perrault, Quinault els sotmet, com a primera mesura, a una operació de rejoveniment, que situa l’acció central de la peça —el sacrifici heroic d’Alceste— en una època molt anterior de les seves vides, concretament, en el moment previ al seu matrimoni 42. La heroïna de l’òpera és, efectivament, una noia encara verge quan decideix ofrenar la seva vida en lloc de la del seu promès, amb el qual no ha tingut abans cap mena de relació física. D’aquesta manera, els seus laments per haver-lo d’abandonar no presenten la incòmoda coloració sexual de la tragèdia àtica, ans s’inscriuen, ben al contrari, en la tradició perfectament respectable i, d’altra banda, també antiga, de la núvia que celebra, com, per exemple, Antígona, les seves núpcies funestes a l’Hades. Aquesta operació també té efectes benignes per al caràcter d’Admète, que ara és un cavaller jove i valerós, que no tem gens ni mica la mort. Com tants altres protagonistes dels drames del seu temps, representa més una il·lusió romàntica per a la seva promesa que no pas un home real de carn i ossos. En la seva anàlisi de les innovacions de la trama, Cléon vincula aquesta flamant personalitat heroica del príncep tessali amb la nova motivació de l’amenaça de la seva vida que introdueix Quinault. Segons el seu admirador, el dramaturg rebutja la malaltia com a causa del perill de mort del seu personatge, perquè presentar-lo malalt seria de mal gust i incòmode, a més, des del punt de vista dramàtic43. Calia trobar una raó més arrelada en el nou plantejament de la història i que fos una conseqüència del seu nou caràcter. En aquestes circumstàncies, no hi havia solució millor que presentar Admète ferit mortalment en el combat més noble possible, aquell que té, de manera invariable, com a objecte de disputa el més valuós de tots: la pròpia estimada. Així, en l’òpera, ambdós protagonistes atenyen el mateix cim d’heroisme: el príncep dóna, primerament, la vida per ella i l’estimada, a continuació, li retorna aquesta ofrena amb el seu sacrifici simètric. A fi de proveir el paper d’enemic malvat de la parella protagonista, Quinault crea la figura d’un rival d’Admète per l’amor d’Alceste, el rei Lycomède de Sciros, que en el primer acte de l’òpera rapta amb enganys la princesa després que ella hagi concedit la seva mà al jove cavaller tessali. En el segon acte lluiten en duel Admète i Lycomède i, tal com era d’esperar, resulta vençut i mort el monarca traïdor. Es produeix, però, una gran sorpresa: l’heroi triomfador és a punt de morir per les ferides rebudes i ja s’acomiada del
41. PERRAULT 1674, 42-60 = BROOKS 1994, 92-97.
42. PERRAULT 1674, 44-45 = BROOKS 1994, 92.
43. PERRAULT 1674, 52 = BROOKS 1994, 94.
Ernest Marcos Hierromón, feliç per haver rescatat l’estimada de les mans de l’enemic, quan Apollo mateix davalla del cel per anunciar en persona l’oferta de salvació. Veient que ningú no vol ocupar el lloc d’Admète, tampoc el seu pare ancià Phérès, Alceste ofrena la seva vida ben discretament en l’últim vers de l’escena primera del tercer acte: l’Amor — diu— és l’última esperança que li resta a Admète. Només el públic, que coneix la història prèvia, pot entendre què anuncia aquesta al·lusió. Els personatges de l’òpera, en canvi, ignorants de la seva condició mítica, es sorprenen molt de la curació inesperada del príncep que té lloc a continuació i assisteixen horroritzats a l’escena de la revelació de la identitat de la persona que ha mort per ell. Cléon considera, amb raó, aquest moment com una ocurrència extraordinària del dramaturg, que fa aparèixer miraculosament l’efígie d’Alceste en el monument funerari que Apol·lo havia fet erigir en honor de l’eventual salvador generós del príncep. D’aquesta manera, com diu el cavaller admirat, que invoca, per cert, amb ínfules d’erudit, com a precedent d’igual altura l’escena del descobriment del cadàver d’Antígona per Hemó, hom mostra visualment en l’escenari la resolució del misteri i s’estalvia una llarga i innecessària explicació de paraula44 . L’òpera ha arribat al seu punt culminant, conservant intactes, a diferència de la tragèdia d’Eurípides, l’honor i la integritat moral dels seus protagonistes. Quedava només per arranjar el desllorigador, enterbolit greument, com hem vist, per la caracterització errònia i les accions inadequades d’Hèracles. Calia, doncs, emprendre també en aquest aspecte una correcció radical i enèrgica de l’original.
En la seva anàlisi de les virtuts de l’obra de Quinault, Perrault per boca de Cléon lloa amb una intensitat especial la innovació que afecta Hercule/Alcide, perquè lliga —diu— més estretament el personatge a la trama, proveint-lo d’un motiu per intervenir que no tenia, certament, en la tragèdia original45. Segons les convencions de l’època, la millor raó per davallar als Inferns al rescat d’una donzella no podia ser altra que el fet d’estimar-la. Per això, l’heroi tebà esdevé en la tragèdia lírica el tercer pretendent d’Alceste, rival alhora d’Admète i de Lycomède en els antecedents narratius de la peça. A diferència del rei de Sciros, tanmateix, el pacient Hercule ha endurat amb dignitat i sentit del decòrum la seva derrota amorosa fins al punt que accepta d’assistir a les noces d’Admète i d’Alceste per tal de no ofendre els amics amb la seva absència. Quan la noia és raptada per Lycomède, participa molt activament en l’empresa de rescatar-la i és ell, de fet, qui l’allibera i l’entrega a Phérès, el seu futur sogre, mentre Admète i Lycomède lliuren el seu combat a mort46. Durant la crisi que segueix a la victòria in extremis del príncep de Tessàlia, Hercule roman silenciós a la cort, sense immiscir-se en l’acció, però un cop s’ha produït la mort d’Alceste, irromp amb la proposta d’anar a recuperar-la a l’Hades. En aquest punt, l’heroi de Quinault, vençut per la ‘feble-
44. PERRAULT 1674, 53-56 = BROOKS 1994, 95-96.
45. PERRAULT 1674, 42-44 = BROOKS 1994, 92.
46. BROOKS 1994, 41-42.
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 129
sa’, hi posa, tanmateix, una condició que l’Hèracles d’Eurípides mai no hauria expressat: obliga Admète a acceptar la cessió pacífica d’Alceste en cas de recuperar-la. No hi ha, doncs, en principi, cap altruisme en la decisió d’Hercule, que li permetrà, ben versemblantment, obtenir gràcies a la seva força la dona que l’havia prèviament rebutjat. Un gran mèrit, per contra, realça la conducta d’Admète, que no dubta a cedir l’estimada a l’amic i rival que la demana com a recompensa. Com ell mateix proclama, «Admète est trop héreux, pourvu qu’Alceste vive!»47
Amb aquesta operació d’involucrar personalment Alcide en la peripècia, Quinault crea, a més, la situació que constitueix el nus del cinquè acte de la seva peça i que substitueix aquella darrera escena de la tragèdia amb la dona misteriosa velada que pertorbava tant la sensibilitat de Cléon. Al final de l’acte quart, per segona vegada en l’obra, Alceste ha estat alliberada del captiveri gràcies a la intervenció d’Hercule. Pluton l’ha lliurada a l’heroi després que aquest hagi dominat fàcilment Cerbere i els altres dimonis de l’Avern. Tot està preparat per celebrar el matrimoni que ha de segellar el pacte contret entre els dos amics, quan el salvador percep en els ulls d’Admète l’amor que encara sent per Alceste i li retreu amb violència aquest sentiment. Tot seguit, tanmateix, Hercule s’adona de «la pena extrema» que corseca els dos amants i —en paraules de Cléon— pren aleshores «la generosa resolució de no pertorbar mai més llur joia»48. Si ha derrotat dos tirans, Lycomède i Pluton, Alcide no pot comportar-se també ell mateix com un tirà, ans ha de coronar les victòries obtingudes per una de més bella i més difícil, la del seu propi desig.
Així, retorna Alceste al seu promès i abraça com a única recompensa l’amor de la Glòria, la seva amant veritable. L’obra acaba, doncs, tal com canten els amants joiosament reunits, amb la realització de la gesta més heroica possible: «Le vainqueur de la Mort triomphe de lui même».
En el seu comentari, Cléon insisteix diverses vegades sobre la grandesa d’aquesta solució dramàtica, que lliga ‘meravellosament’, tal com ha estat dit, Hercule a la trama i li dóna, per escreix, la dimensió d’un autèntic heroi, tant en el pla físic com en el pla moral, una distinció que la tragèdia antiga, segons la percepció dels lectors i espectadors de la mena de Perrault, no li atorgava. D’aquesta manera, a més, la ‘faula’, en el sentit aristotèlic, que era en el seu origen simple, esdevé «en quelque façon» doble, perquè es mou en dos nivells 49 . D’una banda, com en Eurípides, posa en escena l’aventura emocionant, però, al cap i a la fi, humana, d’un home ordinari, Admète, profundament enamorat de la seva promesa. De l’altra, però, fa palès amb tota la seva dramàtica intensitat el destí dels homes extraordinaris, els grans herois que no poden gaudir de la felicitat domèstica de la gent comuna, perquè a ells els està reservada la glòria que només es conquereix mitjançant la renún-
47. BROOKS 1994, 54-55
48. PERRAULT 1674, 56-60= BROOKS 1994, 96-97. Vegeu l’escena corresponent de l’òpera a BROOKS 1994, 68-70.
49. PERRAULT 1674, 58 = BROOKS 1994, 96.
Ernest Marcos Hierrocia i el sacrifici dels sentiments massa febles. Mentre Aristippe lloa amb admiració la subtilesa de la interpretació del seu amic, Cléon li respon que una obra d’aquesta mena sense una ‘moralité’ no seria altra cosa que una diversió indigna d’ocupar l’atenció d’un esperit raonable50. Aquesta és, d’altra banda, la raó que ha emprat anteriorment també per justificar la presència en l’obra d’un triangle amorós de classe baixa, un tret denunciat com a escandalós pels seus crítics51. Constituït per Céphise, la criada d’Alceste, i per Straton i Lychas, els confidents, respectivament, de Lycomède i d’Hercule, la seva missió, com ja hem vist en el cas esmentat de Cadmus et Hermione, és oferir un contrapunt còmic i eròticament lleuger al triangle, o quadrangle, en aquest cas, seriós dels protagonistes, tot realçant així llur superioritat moral. Mentre els dos homes mantenen els trets generals del caràcters, per a mal i per a bé, dels seus patrons, Céphise no ateny l’altura moral de la seva senyora, ans decideix en el desenllaç romandre soltera per continuar gaudint dels plaers de l’amor. També en aquest punt, doncs, amb la condemna explícita de la seva frivolitat, la innovació de Quinault contribueix a ennoblir la història, atès que els personatges de classe inferior de la tragèdia euripídia —la suivante d’Alcestis i el valet del seu espòs— lluny d’atorgar-li grandesa, havien contribuït decisivament, per contra, a rebaixar-ne l’estil i el contingut.
Un cop enllestida l’anàlisi minuciosa d’ambdues peces, Aristippe formula de manera temptativa la lògica conclusió que permet Cléon de portar coratjosament endavant la seva argumentació. Si hom combrega amb les observacions del cavaller, que són totes elles molt raonables, és evident que Quinault ha superat brillantment Eurípides i que, per tant, s’ha produït «la més estranya de les paradoxes»: «non seulement on égale aujourd’huy les Anciens, mais on le surpasse»52. Heus aquí que l’espectador incaut, enganyat d’entrada pels enemics dels Moderns, ha arribat a plantejar la qüestió candent que es dirimeix, segons Perrault, en el marc d’aquest episodi d’una querella, en aparença, només sobre estètica contemporània: la licitud de desafiar l’autoritat sacrosanta dels clàssics quan hom percep amb tota claredat la necessitat de corregir-los a fi d’atansar les seves faules, les seves històries, a les circumstàncies del temps actuals, més desenvolupats i de millor gust —cal entendre— que no ho eren pas els seus53
Ara, en el desenvolupament de la seva argumentació de defensa dels drets dels Moderns, Cléon tempera el to amb què ha parlat de l’obra d’Eurípides
50. PERRAULT 1674, 60. = BROOKS 1994, 97.
51. PERRAULT 1674, 46-50 = BROOKS 1994, 93.
52. PERRAULT 1674, 61= BROOKS 1994, 97.
53. PERRAULT 1674, 61-62 = BROOKS 1994, 97: «vous avez pû remarquer que quand j’ay loüé nostre Autheur de n’avoir pas imité Euripide en plusieurs endroits, ce n’a pas esté parce que je trouve ces endroits-là absolument mauvais; mais parce qu’ils ne sont pas conformes aux moeurs de nostre Siecle. Ainsi, quelques bons et quelques divins que soient les sentimens d’Euripide, par rapport aux moeurs de son temps, les Critiques ont eu peu de raison de blâmer nôtre Autheur de ne les avoir pas employez dans sa Piece, parce qu’il ne suffit pas que les choses soient bonnes en elles-mesmes; il faut qu’elles conviennent aux lieux, au temps, et aux personnes; ainsi, vous ne me devez point reprocher d’avoir mal-traité Euripide».
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 131
en la part inicial del diàleg i concedeix al tràgic grec el lloc d’honor que li correspon entre els Antics54. Alhora, tanmateix, justifica el propòsit del seu partit, fent un ús superficial, però astut, de les armes tradicionals dels seus rivals, és a dir, de la Poètica d’Aristòtil i, ben significativament, de l’Art poètica d’Horaci, presentat ell mateix com un ‘modern’ respecte dels seus predecessors grecs. També usa, a continuació, aquestes autoritats a l’hora d’establir la necessitat de distingir entre les exigències que plantegen els diversos gèneres dramàtics —en aquest cas, ‘les pieces de machines’— amb les seves estratègies específiques55. A l’últim, clou el diàleg, tal com l’havia començat, arremetent contra els savis falsos i pedants, ‘les pretendus Connoisseurs’ que critiquen les obres segons els conceptes que han extret de les seves lectures —d’altra banda, errònies— dels tractats d’Aristòtil i d’Horaci56. D’ara endavant, diu Cléon, només donarà crèdit al judici estètic d’un home galant que, sense haver llegit cap d’aquests autors clàssics, li digui d’una obra, primerament, que li ha desvetllat l’atenció; segonament, que li ha ofert un nus ben comprensible i que li ha provocat inquietud; en tercer lloc, que l’ha alegrat en veure el final i, per acabar, que l’ha mogut a recomanar-la als seus amics i coneguts 57. Heus aquí, doncs, les característiques positives que una peça teatral del gust dels Moderns ha de tenir i que, segons l’opinió de Charles Perrault, l’Alceste de Quinault i de Lully posseeix en grau màxim. No ha d’estranyar, doncs, que hagi esmerçat tants esforços en la seva justificació i defensa. A penes sis mesos després, tanmateix, unes observacions afilades de Jean Racine sobre els coneixements lingüístics i literaris del portaveu dels Moderns condemnaren aquest opuscle, primerament, al desprestigi intellectual i, a continuació i en conseqüència, a l’oblit.
El febrer de 1675, en efecte, en el prefaci de l’edició de la seva tragèdia Iphigénie, que havia triomfat l’estiu i la tardor anteriors tant a la cort de Versalles com al teatre parisenc del Hôtel de Bourgogne, Racine atacava directament Perrault, tot assenyalant, en concret, dos errors de lectura de la tragèdia d’Eurípides continguts en el diàleg58. El primer, que era certament prou greu, ja ha
54. PERRAULT 1674, 62-65 = BROOKS 1994, 97-98.
55. PERRAULT 1674, 65-70 = BROOKS 1994, 98-100.
56. PERRAULT 1674, 69-73 = BROOKS 1994, 100-102.
57. PERRAULT 1674, 73-74 = BROOKS 1994, 101: «quand un galand homme, qui n’aura jamais leu Aristote ny Horace, me dira qu’une Piece luy a plû, qu’elle a attiré agreablement toute son attention, qu’il en a tres-bien compris le noeud; qu’il en a eu de l’inquietude; qu’ensuitte il a veu le dénoüement avec joye, et qu’il est sorty de la Comedie avec un grand desir de rencontrer quelqu’un de ses amis pour la luy raconter; je croiray que la Piece que ce galand homme a veuë, est bonne, et ce témoignage sera plus fort à mon égard, que toutes les raisons des demy Sçavans. Car la difference qu’il y a entre un homme sçavant, et un homme qui ne l’est pas, quand le bon sens est égal de part et d’autre, ne va point à leur faire ressentir diversement l’effet de la Comedie; ils se divertiront ou s’ennuyeront également à une Piece, avec cette difference seulement, que le Sçavant pourra dire pourquoy il s’est ennuyé, et pourquoy il s’est diverty; et que le galand homme qui n’a pas fait d’étude et de reflexions sur l’Art Poëtique, ne le pourra dire».
58. Sobre aquest atac de Racine a Perrault vegeu BROOKS 1994, xxxv-xxvii. El text del prefaci és editat també a BROOKS 1994, 105-110.
Ernest Marcos Hierroestat esmentat més amunt i consistia a atribuir erròniament a Admet una exclamació de terror davant la proximitat de Caront que en realitat corresponia a Alcestis59. El corifeu dels Antics posa en relleu, en primer lloc, la manca de coneixement del grec del seu rival, que havia llegit, segons ell, una traducció llatina del text sense les marques adequades dels parlaments. A continuació, desmunta, de manera abusiva, a partir d’aquí, la seva caracterització d’Admet com un personatge menyspreable, emfasitzant, ben al contrari, els moments en què el rei lamenta, en aparença, sincerament, la dissort de la seva muller. També s’acarnissa en la presentació que Perrault fa per boca de Cléon dels dos protagonistes de la tragèdia, als quals atribueix una edat madura i dos fills casadors. Citant dos passatges del cor, Racine demostra, per contra, la joventut de l’heroïna i la condició d’infants dels seus plançons, posant així novament en evidència la turpitud lectora del campió dels Moderns 60 D’aquesta manera, sobre la base de dues equivocacions identificades i de l’assumpció general implícita de moltes altres incorreccions, el dramaturg desqualifica en la seva totalitat l’argumentació de Perrault i li aconsella, condescendent, que llegeixi abans Eurípides si té la intenció prèvia de condemnar-lo. Amb aquest darrer cop, agreujat amb una oportuna citació de Quintilià, clou una invectiva d’efectes devastadors per a la supervivència posterior de la Critique de l’Opéra ou Examen de la tragédie intitulée Alceste. Perrault va respondre a aquest atac públic amb una carta oberta61 al secretari perpetu de l’Acadèmia, François Charpentier, en la qual provava, primerament, que l’atribució en l’edició que ell seguia dels versos disputats a Admet provenia del text original grec i no pas de la traducció llatina62. També afegia, a continuació, nous arguments per fonamentar de manera eficaç i convincent la seva percepció d’Alcestis com una dona d’edat madura, insistint així, novament, en el caràcter inadequat moralment i dramàtica de la tragèdia euripídia63, però els seus esforços foren en va. Com sentencia Marc Fumaroli amb la seva causticitat habitual en l’assaig esmentat més amunt, la majoria dels contemporanis de Perrault consideraren la carta a Charpentier una defensa maldestra i inútil de la pobra competència filològica del seu autor64 . Tot i així, paga la pena, per acabar, dirigir l’atenció a la primera part del famós prefaci de la Iphigénie, on l’autor justifica amb gran habilitat i finesa retòriques l’única variació que ha introduït en la seva obra respecte de la tragèdia d’Eurípides65. Com és ben sabut, consisteix en la incorporació a la ‘faula’ tradicional del personatge d’Ériphile, la filla secreta d’Helena i Teseu, que
59. BROOKS 1994, 109.
60. BROOKS 1994, 109-110.
61. BROOKS 1994, 113-122. Sobre les circumstàncies de la seva redacció vegeu BROOKS 1994, xxxvii.
62. BROOKS 1994, 115-118. Per confirmar la dada de Perrault vegeu el passatge en l’edició de les tragèdies d’Eurípides d’Aemilius Portus de 1597: PORTUS 1597, 432.
63. BROOKS 1994, 118.
64. FUMAROLI 2001, 172-174.
65. BROOKS 1994, 106-107.
La querella de l’Alceste: Eurípides corregit per Quinault i Lully 133
ocupa així en el desllorigador de la peça el lloc de la cérvola sacrificada en comptes d’Ifigènia. A fi d’emfasitzar el seu respecte pels autors antics, Racine proclama, en primer lloc, l’origen certament clàssic de la figura, esmentada per Pausànias, i reivindica, a més, a través d’una al·lusió molt erudita a Euforió de Calcis, la legitimitat de la seva operació d’identificar aquesta donzella amb una princesa vençuda i esclavitzada per Aquil·les durant la seva expedició a Lesbos. També dóna explicacions sobre el motiu d’introduir-la, que resulten, precisament, molt pertinents per denunciar el gust pel meravellós característic de les peces amb màquines, tal com ho eren les tragèdies líriques. Tal com subratlla oportunament Marc Fumaroli, tot lloant l’argumentació de Racine, gràcies a Ériphile s’evita en el desenllaç la intervenció d’una divinitat pagana, percebuda com a dramàticament arbitrària, a banda de moralment inacceptable pel públic cristià contemporani, i així «es treu», d’altra banda, «el desllorigador de l’obra del fons mateix de la peça», un fet que provoca, com és natural, un gran plaer en l’espectador66
Arribat a aquest punt, el lector del prefaci que conegui prèviament l’opuscle de Perrault adverteix d’immediat la identitat d’aquest argument amb els invocats per Cléon en la seva anàlisi laudatòria de les innovacions de l’Alceste de Quinault. Tant en un cas com en l’altre, hom emfasitza la cohesió més acabada i perfecta de la nova peça respecte de la tragèdia antiga, és a dir, la seva superioritat evident, almenys en termes de construcció dramàtica, en comparació amb el model original d’Eurípides. Constret pel seu parti pris pel prestigi superior dels autors antics, Racine no pot entrar a detallar ni a comentar —tal com ho fa, per contra, Perrault— els efectes radicals que la introducció d’Ériphile té sobre la faula euripídia, però cap lector de la seva tragèdia pot ignorar-los. Afegint a l’acció aquesta princesa apassionada i intrigant, el dramaturg francès, en efecte, no només proporciona a la seva peça, tal com proclama, una víctima substitutòria més versemblant que l’animal consagrat del text grec, sinó també un agent transformador de la peripècia i del caràcter dels personatges protagonistes amb conseqüències molt importants. A desgrat de contenir, tal com assenyala molt orgullosament al seu autor, citacions textuals de la tragèdia antiga, la Iphigénie de Racine és força distinta tant en el contingut com en l’estil de la tragèdia d’Eurípides i representa, de manera evident, un esforç de correcció i adaptació d’aquesta comparable, mutatis mutandis, amb el de Quinault respecte de l’Alceste
A la vista d’aquestes circumstàncies, fent abstracció de tot allò que separava, especialment en el camp de les declaracions de principis, els representants dels dos bàndols en la querella, trobem que resulta possible d’avançar una conclusió conciliadora en allò que correspon a la seva recepció comuna d’Eurípides: tant els Antics com els Moderns coincidien en la incomoditat que els provocaven les obres originals del tràgic atenès i en la necessitat peremptòria que sentien d’adaptar-les, chacun à son goût, per al públic teatral i lector del segle de Lluís XIV. Cal afegir, a més, una darrera consideració: re-
66. FUMAROLI 2001, 170-171.
134
Ernest Marcos Hierro
sulta prou significatiu que les seves pedres d’escàndol continuïn essent avui un motiu de preocupació tant per als filòlegs com per als dramaturgs que s’acosten a l’Alcestis. Més de tres segles després de la Querella de l’Alceste, encara perviu i ens pertorba l’estranyesa original d’Eurípides.
BIBLIOGRAFIA
M. BALASCH 1974, Aristòfanes, Comèdies volum V. Les tesmofòries. Les granotes, Barcelona.
W. BROOKS, B. NORMAN, J. MORGAN ZARUCCHI 1994, Philippe Quinault, Alceste suivi de La Querelle d’Alceste, Anciens et modernes avant 1680, Genève.
A. M. DALE 19782 [1954], Euripides, Alcestis, Oxford.
M. FUMAROLI 2001, «Les abeilles et les araignées», in M. FUMAROLI, La Querelle des Anciens et des Modernes. XVIIe-XVIIIe , París.
K. GOUNARIDOU 1998, Euripides and Alcestis: Speculations, Simulations and Stories of Love in the Athenian Culture, Lanham.
E. MARCOS HIERRO 2014, «L’Alceste de Christoph Willibald Gluck: Eurípides i l’«òpera de la Reforma»», in J. ALMIRALL, ΜΟΥΣΙΚΗ/MUSICA. La música en el món antic i el món antic en la música, Barcelona, pp. 71-86.
A. PORTUS 1597, Euripidis Tragoediae XIX (...), Heidelberg.
CH. PERRAULT 1674, Critique de l’opéra ou Examen de la tragédie intitulée Alceste ou le Triomphe d’Alcide, París.
M. DE SÉVIGNÉ 1972, Correspondance, I volum, París.
PH. QUINAULT 1674, Cadmus et Hermione. Tragédie representée par l’Académie Royale de Musique, París.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 135-154
DOI: 10.2436/20.2501.01.54
Greek de Steven Berkoff (1980)1: l’arriscada conversió de l’Èdip rei de Sòfocles en una love story
Pau Gilabert Barberà2
Universitat de Barcelona
pgilabert@ub.edu
Per a Salvador Oliva i Xabier Sànchez
ABSTRACT
Can Sophocles’ Oedipus Rex be transformed into a love story, as seen in Steven Berkoff’s Greek? While some critics read Greek simply as a provocative drama that by no means aims to justify incest, directors, actors and critics in the end become enthralled by the powerful love story that ensues between Eddy and his wife and mother. This would demonstrate that Berkoff’s adaptation, meant to illustrate the social degradation of Great Britain in the 1980s, becomes a quite risky proposition, as it implies a flat denial of the tragic awareness of contemporary men and women. However, if this is the case, readers and audience, apart from the undoubted pleasure they take in the performance of Greek , may wonder, even from a non-fundamentalist perspective within the classical tradition, whether it is sensible to take inspiration from Sophocles’ text, which shows precisely the great tragic awareness of the Greeks.
KEYWORDS: Steven Berkoff, Greek by Steven Berkoff, Greek tragedy, Sophocles, Oedipus Rex, classical tradition, English drama
1. L’estrena de Greek tingué lloc al Half Moon Theatre (Londres, 11/02/1980) sota la direcció del mateix Berkoff; les representacions es traslladaren després (setembre 1980) al Arts Theatre Club (Londres) i, finalment, es presentà una nova producció al Wyndham’s Theatre (Londres, 29/06/1988).
2. Professor titular del Departament de Filologia Grega de la Universitat de Barcelona. Gran Via de les Corts Catalanes 585, 08007 Barcelona. Telèfon: 934035996; fax: 934039092; correu electrònic: pgilabert@ub.edu; pàgina web personal: www.paugilabertbarbera.com
Pau Gilabert BarberàPer als professionals i amants de la tradició clàssica, que la tragèdia grega continuï colpint la sensibilitat i la consciència de l’home contemporani és motiu unànime d’orgull. No hi ha acord, en canvi, sobre la idoneïtat o no de denunciar els dèficits, ètics i de tota índole, de la societat contemporània o de qualsevulla altra representant un drama antic i confiant, potser en excés, que el lector o espectador ja n’aplicarà correctament la lliçó allí on calgui. La manca de llibertat sota règims diversos explica i justifica aquest fenomen, de la mateixa manera que la llibertat plena el fa, si més no, innecessari. Doncs bé, un dramaturg no condicionat com ara Berkoff és molt lliure de canviar els noms i de traslladar-nos a un marc històric i social diferent 3, però, si a Greek decidia reproduir en essència l’Èdip rei de Sòfocles i, tanmateix, volia introduir-hi un nou enfocament —al capdavall, els tràgics grecs ja excel·liren en aquest tipus d’exercici—, a parer meu hauria de ser conscient també de les servituds que li imposa un text com aquest, esdevingut ja un gran clàssic de la literatura occidental. O, dit altrament, per bé que els drames de Berkoff aspirin a transmutar en positiu els valors ètics d’un context politicosocial determinat, cal no subestimar la possibilitat, en el cas de Greek tan certa com paradoxal, d’aconseguir l’efecte contrari pel fet d’haver sobreestimat la capacitat hermenèutica dels lectors-espectadors, o, pitjor encara, perquè ell mateix, enfant terrible i provocador de l’escena dramàtica britànica amb un poder de seducció enorme, pot acabar obrint algunes ments —més nombroses que no pas sospitaríem— a una mirada i valoració ‘comprensives’ d’un tabú secular: l’incest.
Prolegòmens a banda, doncs, heus aquí l’argument de Greek:
Eddy és un jove criat a Tufnell Park, «una terra més imaginària que real... una amalgama d’algunes parts de Londres que la guerra havia convertit en zones totalment desolades»4. Els seus pares reals el van perdre de molt petit quan feien una travessia pel Tàmesi i el vaixell xocà contra una mina perduda de la Segona Guerra Mundial. Aquell nen, però, fou recollit de les restes del naufragi per un matrimoni sense fills que se n’enamorà i finalment optà per quedar-se’l — al capdavall, «la seva mare el deu donar per mort» 5. Tufnell Park és un exponent de la Gran Bretanya de Margaret Thatcher (1979-1990)
3. «Berkoff domesticates and urbanizes the source text through setting, characterization and language to invite us not only to reassess it through modern eyes but also to consider the effects of the intratext for the present and for our present reception to the source text» (FORSYTH 2002, 175). «In Greek, he draw from the Oedipus story for the central plot (the plague, the prophecy, the sphinx, killing his father, and marrying his mother), borrowed from his own experiences growing up in East London for the details, and made a political statement about Margaret Thatcher as Prime Minister» (GREEN 2003, 3).
4. «... a land more fantasized than real, being an amalgam of the deadening war zones that some areas of London had become» (97). Els passatges entre cometes d’aquest argument corresponen a l’author’s note de BERKOFF 1994, 97-98). Totes les citacions de Greek correspondran a aquesta edició i la numeració entre parèntesis s’hi refereix. La traducció al català, inèdita, és de Salvador Oliva, per gentilesa del qual puc ara reproduir-la.
5. «... his mum will think he’d dead anyway» (136).
Greek de Steven Berkoff (1980) 137
que havia esdevingut «una illa en descomposició, víctima de les hordes errants que no veien cap futur per a ells en una societat que no tenia ni ideals ni missatges per oferir. La violència inundava els carrers... una societat on havia arrelat una pesta sorgida dels instints... un lloc fred, il·luminat de tant en tant pel rugir de la bèstia de la frustració i de la ira» 6. Eddy abandona, doncs, la llar dels falsos pares per deixar enrere aquest món de degradació absoluta infestat de rates7, bo i tranquil·litzant així el seu pare, a qui un gitano de fira li havia predit que el seu fill el mataria i s’uniria amb la seva esposa. Passat un temps i com a resultat d’una baralla en un bar, Eddy en mata el propietari, el seu pare real, i acaba casant-se amb la muller, de qui s’enamora follament, alhora que ella l’accepta8 i, en un moment donat, li explica com
6. «... a gradually decaying island, preyed upon by the wandering hordes who saw no future for themselves in a society which had few ideals or messages to offer them. The violence that streamed the streets... a society in which an emotional plague had taken root... a cold place in my recollection, lit up from time to time by the roar of the beast —the beast of frustration and anger» (97).
7. «La pesta s’ha apoderat del país / mentre els partits de tots els colors es barallen per tenir el poder de treure la merda d’aquest femer / els marxistes i el Partit dels obrers demanen la violència per eradicar la violència, i els desgraciats proposen solucions dures com cadenes gruixudes i punteres de metall / dards enverinats robats en els bars / o tots els que volen matar, mutilar, destruir / piròmans, assassins i botxins són reclutats pel Partit revolucionari / els mariques liberals fan manifestacions violentes per poder-se-la mamar en els parcs públics quan s’acabi la vaga d’escombraries, i perquè no els persegueixin més quan els enxampen cardant al pis de dalt dels autobusos» («the country’s in a state of plague / while parties of all shades battle for power to sort the shit from the shinola / the Marxists and the Worker’s party call for violence to put an end to violence and likewise the wankers suggest hard solutions like thick chains and metal toecaps / poisoned darts halfinched from local taverns / anyone who wants to kill, maim and destroy / arson, murder and hack are being recruited for the new revolutionary party / the fag libs are holding violent demos to be able to give head in the public park when the garbage strike is over and not to be persecuted for screwing on the top deck of buses», 109).
8. Després d’una declaració ben singular per part d’Eddy: «no busquis més lluny d’aquí, dona / el teu caràcter m’ha guanyat / dona’m un bon cop d’ull / a la cara / fes que els ulls vagin lliscant avall / no és pas una llonganissa això que hi tragino / estic content de veure’t / segur que puc fer el mateix que ell / treu brillantor a aquesta verga / neteja’m els calçotets / et puc donar una pallissa excepcional... en lloc d’emmerdar-te el coixí amb vomitades, t’escamparé violetes als peus / t’espremeré els dits dels peus de nit quan els tinguis freds, i, quan passegem per jardins de roses et traure bufant les puces dels cabells / després de treballar, vindré a casa de dret sense perdre el temps en cerveses, i guardaré tot el meu esperma per vessar-lo dintre teu... t’enfonsaré el meu ceptre a dintre / t’obriré l’entrecuix i m’hi submergiré com una pedra calenta dins la mantega / dins un oceà d’èxtasi, perquè tu ets això per mi / un èxtasi de carn i de sang ... estic boig per tu / tu, noieta lúbrica, i senyora, noia i dona convertides en una de sola / et besaré el forat del cul com si fossin els llavis d’àngel / et prendré, amor, pel que ets!» («look no further mam than this / your spirits won me / cast thy gaze to me / my face / and let thine eyes crawl slowly down / that’s not a kosher salami I’m carrying / I’m just pleased to see you / sure I can do like him / polish my knuckleduster / clean my pants / I’ll give you a kicking with the best if that’s what you really want... I’ll not defile your pillow, but spread violets beneath your feet / I’ll squeeze your toes at night if they grow cold and when we through rose gardens walk I’ll blow the aphids from your hair / I’ll come straight home from work at night not idle for a pint and all my spunk I’ll keep for thee to lash you with at night as soft and warm as summer showers... I’ll heave my sceptre into thee / your thighs I’ll prise apart
Pau Gilabert Barberàhavia perdut el seu fillet9. Marit i muller prosperen, tot contribuint també al progrés de la ciutat amb la seva cadena d’establiments. La ciutat, però, té encara un càncer viu que cal extirpar, l’Esfinx, i Eddy s’hi enfronta i la venç. El feliç matrimoni invita ara els falsos pares d’Eddy a visitar-los i, quan aquests es decideixen finalment a revelar el seu secret10 tot explicant-los com i quan van trobar aquell nen, la tragèdia sembla inevitable. Doncs bé, la conversió del patró Èdip rei de Sòfocles en la love story esmentada en el títol consisteix a allunyar la ment i la consciència d’Eddy, protagonista principal de Greek, precisament del que Berkoff anomena Greek style i que obliga l’Èdip grec a descobrir-se com a màcula monstruosa i, en conseqüència, a assumir-ne l’expiació dolorosa11. Llegim-ho:
Eddy: Estimada esposa i, ara, la meva mare... Així, doncs, l’home que vaig matar amb paraules era el meu pare real / jo li vaig retallar el cervell amb paraules esmolades... / i ell era la meva font... / i els ulls es rebenten, s’esquerden i esquitxen... Jo que vull netejar la ciutat / aturar la pesta, destruir l’esfinx / jo era la font de tota aquesta merda / l’home de principis és un fill de puta / ah, mai més no tornaré a tastar la dolçor del coixí de la meva dona estimada... indigne incest, i els nens que arribin, si arriben, es convertiran en horrors de sis dits i dos caps, pobre Eddy... abraça’m fort i jo m’abraçaré a tu i no et deixaré anar mai... ¿Què importa que siguis la meva mare, t’estimaré encara que jo sigui el teu fill... No fem res més que estimar-nos... mare, no importa. ¿Per què m’hauria d’arrancar els ulls a l’estil dels grecs? ¿Per què t’hauries de penjar? / ¿Ha vist mai un nen nascut de mare i fill? No. ¿I jo? Doncs ¿per què hem de pensar que és dolent? / ¿M’he de mortificar tant?... ¿Amb les meves ungles i amb els meus dits he d’arrancar aquestes tendres boles tèbies de tremolosa gelatina amarada de sang? Èdip, ¿com ho vas
and sink like hot stone into butter / into an ocean of ecstasy for that’s what you are to me / an ecstasy of flesh and blood... I’m mad for you / you luscious brat and madam, girl and woman turned into one / I’ll take you love for what you are!», 117-118).
9. Eddy escolta la seva dona i pot reconèixer les fuetades del destí, però, com veurem després, ha nascut per fer-li front: «Quina història més trista / em sap greu per tu, estimada, quan veig que el dolor s’ha alimentat d’una persona tan jove i tan bonica / mentre que ha deixat lliures per cometre assassinats a d’altres que es mereixen més aquesta fuetada del destí» («that’s a sad tale / and I feel grieved for you my dear that woe should strike at one who was so young and fair / and let the others more deserving of fate’s lash to get away with murder» (119)
10. «Sóc de la vostra carn i de la vostra sang» («I’m your flesh and blood»). Pare i Mare: «...tu no ets el nostre fill» («But you’re not our son», 134). Eddy: «¿I què, si sóc adoptat? M’importa un colló de mico» («So what if I’m adopted / who gives a monkey’s tit», 135). Esposa: «Ah, merda, collons, hòstia! M’he pixat a les calces» («Oh shit and piss and fuck. I just pissed in my pants», 137).
11. Èdip: ‘... estic disposat a fer tot el que calgui: amb l’ajuda del déu ens en sortirem feliçment, o hi deixarem la vida’ (... ὡς
(145-146). El text grec correspon a l’edició de LLOYD-JONES & WILSON 1990; les traduccions al català de l’Èdip rei de Sòfocles són de CASTELLANOS 1998.
Greek de Steven Berkoff (1980) 139
poder fer? No poder veure mai més el rostre daurat de la teva dona... Quin horror que he comès, jo sóc la pesta podrida, arrenca-te’ls, Eddy, arrenca-te’ls del tot, buida-te’ls com si fossin boles de gelat, només has de prémer el polze per sota les òrbites, estirar-te’ls fins a trencar el nervi! La fosca ja cau. A la merda tot plegat. M’estimo més tornar a refer tot el camí i estirar els llençols i contemplar el cos daurat de la meva dona, i m’enfilaria fins al seu santuari, i refaria el camí fins que només se’m veiés el cap i m’amagaria allí dins còmodament, sa i estalvi. Sí, vull tornar-me a enfilar dins de la meva mare. ¿Què té de mal, això? És millor que fotre un cartutx de dinamita al cul d’algú i rebre una medalla per haver-ho fet... és amor el que sento... ¿què importa la forma que prengui, és amor el que sento pels teus pits, pels teus mugrons xuclats dues vegades, / pel teu ventre conegut dues vegades, / per les teves mans dues vegades acariciades, / pel teu pit olorat dues vegades, pels teus malucs, pel teu cony conegut dues vegades, la primera amb el cap, la segona amb la polla, estimat cony, sagrada mare esposa / font estimada del meu ésser, sortida del paradís / entrada del cel
My dearest wife and now my mum, it seems... So the man I verballed to death was my real pop / the man to whom my words like hardedged shrapnel razed his brain / was the source of me, oh stink / warlock and eyes break shatter, cracker and splatter... ! Me who wants to clean up the city / stop the plague destroy the sphinx / me was the source of all the stink / the man of principle is a mother fucker / oh no more will I tasted he sweetness of my dear wife’s pillow... foul incest and babies on the way which if they come will no doubt turn into sixfingered horrors with two heads / poor Eddy... “hold on to me / hold on to me and I will hold on to you and I’ll never let you go, hold on to me, does it matter that you are my mother, I’ll love you even if I am your son / do we cause each other pain, do we kill each other, do we maim and kill, do we inflict vicious wounds on each other? We only love so it doesn’t matter, mother, mother it doesn’t matter. Why should I tear my eyes out Greek style, why should you hang yourself / have you seen a child from a mother and son / no. Have I? No. Then how do we know that it’s bad / should I be so mortified? Who me. With my nails and fingers plunge in and scoop out those warm and tender balls of jelly quivering dipped in blood. Oedipus how could you have done it, never to see your wife’s golden face again, never again to cast your eyes on her and hers on your eyes. What a foul thing I have done, I am the rotten plague, tear them out Eddy, rip them out, scoop them out like ice-cream, just push the thumb behind the orb and push, pull them out and stretch them to the end of the strings and then snap! Darkness falls. Bollocks to all that. I’d rather run all the way back and pull back the sheets, witness my golden-bodied wife and climb into her sanctuary, climb all the way in right up to my head and hide away
Pau Gilabert Barberàthere and be safe and comforted. Yeh I wanna climb back inside my mum. What’s wrong with that? It’s better than shoving a stick of dynamite up someone’s ass and getting a medal for it. So I run back. I run and run and pulse hard and feet pound, it’s love I feel it’s love, what matter what form it takes, it’s love I feel for your breast, for your nipple twice sucked / for your belly twice known / for your hands twice caressed / for your breath twice smelt, for your thighs, for your cunt twice known, one head first once cock first, loving cunt holy mother wife / loving source of your being / exit from paradise / entrance to heaven (137-139).
Per uns breus instants, l’Eddy del desenllaç del drama de Berkoff s’emmiralla en Èdip i, per tant, se sap pesta y horror, font de tot el que embruta i infecta la ciutat, un ésser sense principis, incestuós indigne y pare de futurs fills hipotèticament monstruosos; ergo, hauria d’expiar-ho rebentant-se les òrbites dels ulls. Aquest mateix Eddy, però, renega tot seguit de la πτῶσις (ptôsis) o caiguda sostinguda que precipita l’Èdip de Sòfocles en l’abisme, després d’haver estat colpit insuportablement pel que han vist uns ulls, els de l’anagnòrisi, fets de coneixement i no pas de gelatina tendra i tèbia. L’Eddy de Berkoff abomina, en efecte, l’estil grec, propi, segons que ens fa entendre, dels qui són addictes a la mortificació. Ell, en canvi, respecta i preserva la bellesa dels ulls, i no dubta a titllar l’Èdip grec ‘d’incomprensible’ stricto sensu . A més, si els fruits de la unió mare-fill no es coneixen, per què no optar per l’examen clarificador de l’experiència? I, sobretot, si abans de néixer tothom ha romàs sa i estalvi en el ventre de la mare, per què d’adults els homes no haurien de voler enfilar-s’hi de bell nou, bo i tornant així al més sensual dels cels, sagrada esposa, i rescabalant-se d’una antiga i injusta expulsió del paradís, sagrada mare? En suma: l’amor, en totes les seves formes—també l’incestuós—, resta al marge de qualsevulla desqualificació ètica, i el seu imperi recolza en la constatació de la natural por humana—φυσικὸς φόβος (physikòs phóbos)—al dolor de la renúncia i en la no menys natural cerca humana del profit i gaudi personals.
Berkoff parteix certament de Sòfocles: «Greek came to me via Sophocles» (97), però no vol o no pot seguir-lo fins al final. I els espectadors? Com reaccionaran? De ben segur que el nivell de coneixement o simplement de memorització del text grec variarà molt. Alguns potser tindran presents les paraules de Iocasta: ‘I tu no tinguis cap por de les noces amb la teva mare, perquè són molts els mortals que en somnis han realitzat aquesta unió. Qui no es capfica per aquesta mena de problemes, té la vida més planera’12, i, consegüentment, o rebutjaran la gosadia de Berkoff o, vist que l’incest d’Eddy no és presentat precisament com un somni, miraran tal vegada d’entendre’l posant-se en la
Greek de Steven Berkoff (1980) 141
seva pell. Al capdavall, si fem cas del que afirmen anàlisis molt pessimistes, la majoria dels homes occidentals d’avui, per bé que Aristòtil ho hauria censurat, no són educats ja per saber valorar els efectes beneficiosos de la por, ni molt menys encara per saber sentir o rebre compassió13. Tampoc no creuen saludable capficar-se, sinó que aspiren a assolir una vida planera com més aviat millor, i, si recordaven fins i tot ‘la comprensió pel patiment’, τῷ πάθει μάθος (toi páthei máthos) de l’Agamèmnon d’Èsquil14, podria ser que ho tinguessin per una heroïcitat de naturalesa força patològica. El corifeu de l’Èdip rei de Sòfocles pregunta aterrit: ‘Quina acció horrible que has fet! Com has pogut destruir-te així els ulls?’15. Doncs bé, l’Eddy de Greek també ho pregunta, però la resposta no pot ser ja la del drama sofocleu: ‘Per què em calia veure-hi si, quan hi veia, res no m’era agradable de veure?... I què hi ha que jo pugui veure o estimar?’16. I no ho pot ser perquè, a diferencia dels grecs antics, molts homes contemporanis no accepten veure’s a si mateixos com a éssers sotmesos al sempre possible capgirament d’una vida còmoda, tranquil·la i plaent17; tanmateix, si la tragèdia arribava a la fi i la seva sorprenent mutació en gaudi depenia tan sols d’un acte conscient d’afirmació o rebel·lia, benvingut sigui. El lúcid advertiment amb què Sòfocles clou la seva tragèdia continuarà vigent: «és l’últim dia de la vida el que ha de considerar qualsevol mortal, i ningú no pot ésser tingut per feliç abans de passar el terme de la seva existència sense haver patit cap pena»18, però, des de la sensibilitat contemporània, l’èmfasi recaurà sovint en la potser folla però captivadora gosadia del desafiament, sigui quina sigui la naturalesa del límit a superar.
13. Recordeu el capítol VI 2-3 de la Poètica (KESSEL 1968 – la traducció és meva): ‘... la tragèdia és, doncs, imitació d’una acció seriosa i completa... on la representació recolza en l’acció i no pas en la narració, i per mitjà de la compassió i el temor acompleix la purificació de passions semblants’ (... ἔστιν
14. V. 177 de l’edició de PAGE 1972.
15. ὦ δεινὰ δράσας,
16.
(1327-1328).
/
γλυκύ; ... τί δῆτ’ ἐμοι βλεπτὸν ἦν / στερκτόν, ἢ προσήγορον (1334-1338).
17. Recordeu, per exemple, aquest cor de l’Èdip rei: «ai! Generacions de mortals, com penso que la vostra vida és igual a no res! Quin home, doncs, quin home aconsegueix major felicitat de la que s’imagina i, un cop s’ha imaginat que la té, aquesta s’esvaneix? Davant del teu exemple, davant del teu destí, infortunat Èdip, no puc considerar feliç res que sigui mortal... Qui ha suportat les penes i els dolors més terribles per culpa dels capgirells de la vida?’
» (1186-1206). O el missatger referint-se a Èdip: «ell abans era feliç i era amb justícia feliç. Avui, però, tot són plors, desgràcia, mort, vergonya, tots els noms que té el mal, ni li’n falta cap’ (
¿Hem arribat, doncs, al que abans anomenava una mirada i valoració ‘comprensives’ d’un tabú secular? Prou que ho sembla, però, si llegim per exemple el pròleg de Jorge Dubatti a la traducció castellana de Greek de Rafael Spregelburd19, veurem que anàvem errats. Diu així:
Berkoff descubre que para preservar el impacto político originario de la tragedia griega—en términos de Aristóteles, producir las emociones de la catarsis trágica: el horror i la piedad—, Edipo no debe cegarse sino hundirse irresponsable y libremente en el incesto, sin remordimiento ni represión. ¿Sigue siendo horroroso ver a Edipo autocastigarse, o acaso no es más horripilante verlo vivir impunemente? Un Edipo sin castigo, ilimitadamente parricida e incestuoso, devuelve al espectador contemporáneo al sentimiento de la tragedia: el horror no radica en la hamartía (error trágico) ni en la hýbris (el empecinamiento en el error) ni en el acontecimiento patético, sino en la ausencia de la ley correctora. Un Edipo sin justicia poética, reversión intolerable de las matrices moralizantes del teatro occidental: ¿puede concebirse mayor violencia simbólica? El Edipo de Berkoff transgrede las dos grandes prohibiciones sobre las que se funda la civilización: el incesto y el crimen dentro del clan de sangre, y no se rectifica. En consecuencia, borra el límite que separa a los hombres de los animales, según la acertada afirmación del antropólogo Claude Lévi-Strauss. Lo humano ha desaparecido en el mundo de Eddy, nuevo mundo en el que la degradación de los hombres ya no permite diferenciarlos de los animales, peste “que sigue floreciendo”, donde “hay algo podrido que se niega a morir”. Un Apocalipsis permanente en el que todas las noches “la luna vira al rojo sangre”20
Davant d’una tesi així, no em sé estar de fer-me —de fer-li—, si més no, una pregunta cabdal. En efecte, fins i tot admetent que Berkoff hagi pogut experimentar una autèntica anagnòrisi o descobriment sobre com incrementar al màxim l’horror de l’espectador pel fàcil mètode de veure com la ment d’Eddy bandeja qualsevulla remordiment, autorepressió, matriu moralitzant, límit ètic o llei correctora, i, en conseqüència, veure com abomina l’autocàstig, s’instal·la en la impunitat i es lliura a un procés accelerat d’animalització, ¿de debò cal creure que és així com es pot tornar el públic contemporani al sentiment de la tragèdia? Si la comprensió final de l’error i el consegüent autocàstig propi de l’estil grec, de l’home tràgic grec, ja no commou ningú, si per aquesta via ara mateix ja no es pot suscitar ni por ni compassió, ¿és lògic
19. BERKOFF 2005, 14.
20. Contrastem-ho, per exemple, amb el que pensa Aguilar 2006, 384): «la mentalitat racional d’Eddy li impedeix deixar allò que ha aconseguit per a ell amb el seu propi esforç per haver comés un incest que, a més, l’autor ens ha estat mostrant durant l’obra, i sobretot al final, d’una manera tan lírica que es converteix en un dels esdeveniments menys cruels o degradants dels que s’han descrit durant l’obra».
Greek de Steven Berkoff (1980) 143
pensar que ho farà la ποίησις (poíesis) o disseny literari d’un ‘heroi’ que impacta justament per la seva capacitat de desafiar i ultrapassar qualsevulla límit en el si d’una societat que idolatra el triomf i els triomfadors?21 A parer meu, l’anàlisi de Dubatti esdevé de fet un advertiment clar sobre com cal entendre el text de Berkoff, posant així al descobert, inconscientment o conscient, problemes certs a l’hora d’interpretar-lo. Potser sí que el dramaturg ha tingut prou cura de fer-nos veure el feixisme latent d’Eddy, però massa sovint diàfan22, de manera que, d’un personatge així, tothom veu què se’n pot esperar. Potser sí que ha dissenyat igualment una Iocasta contemporània tan submisa, alienada i absurda23 que ningú no creurà que Eddy en valora alguna cosa més que la plena satisfacció sexual que n’obté. I, tanmateix, compte!,
21. Així s’expressa l’esposa d’Eddy després del seu triomf sobre l’Esfinx: «ben fet amor, ara tot anirà bé / heroi meu... ets el meu cavaller valent i resplendent / el meu lleó» («well done my sweet, now all will be well / my hero... my brave and shining knight / my lion», 128).
22. «AH; MARGARET THATCHER; DAMA DE FERRO; FES PENJAR AQUESTS CABRONS / FES-LOS PENJAR POC A POC I DEIXA’M AGAFAR UN FERRO PER ARRANCA’LS-HI ELS ULLS / FANTÀSTIC / TAL COM FEIEN ELS GRECS /...» («OH, MAGGOT SCRATCHER HANG THE CUNTS / HANG THEM SLOW AND LET ME TAKE A SKEWER AND JAB THEIR EYES OUT / LOVELY / GREEK STYLE», 112). Feixisme i nazisme que hereta del fals pare: «feu tornar els negres a la selva... Almenys Hitler feia anar els trens a l’hora» («send the darkies back to the jungle... Itler got the trains running on time», 103-104).
23. En efecte, així lamenta la mort de l’espòs: «era un bon home, sòlid en tot, llevat de la cigala, però es portava bé amb mi, i ara estic sola / ¿a qui hauré de cuidar, ara? ¿A qui podré esperar a la nit mentre ell netejava la cafeteria, o mentre era a la sauna relaxant-se? / ¿Per qui cuinaré, o raspallaré la caspa de la jaqueta, o netejaré el greix del barret o els llepets dels calçotets? / ¿A qui donaré ànims durant les llargues nits / mentre ell es preocupa per mi? / ¿Qui portarà els nens al llit amb uns copets carinyosos després d’arribar del bar completament borratxo mentre, en broma, em pega a la cara? / ¿Quines vomitades netejaré del coixí quan me les vessa a la cara cada divendres a la nit després de les seves habituals sortides? / ¿Quin negre uniforme planxaré per tenir-lo a punt per les seves incursions a Brixton amb els altres nobles anglesos? / ¿A quines fotos trauré la pols a la sala d’estar dels seus herois, Hitler, Goebbels, Enoch Powel, Ian Paisley i Margaret Thatcher, sense oblidar els nostres estimats membres de la reialesa? ¿Val la pena viure? / M’havia casat amb un bon anglès / ¿On trobaré un altre d’Igual?» («he was a good man, solid except in his cock but he was good to me, and now I am alone / who will I have to care for now. Who to wait at night while he cleans up our café or while he’s at the sauna getting relief / who to cook for or brush the dandruff from his coat and the grease from his hat or the tramlines from his knickers / who to comfort in the long nights / as he worries about me / who will put the kids to bed with a gentle cuff as he frolics after coming home all pissed from the pub and smashes me jokingly on the mouth / whose vomit will I clean up from the pillow as he heaves up all over my face on Friday nights after his binge. Whose black uniform will I press in readiness for his marches down Brixton with the other so noble men of England / whose photos will I dust in the living room of his heroes, Hitler, Goebbels, Enoch, Paisley and Maggot not forgetting our dear royals. Is it worth it any more? / I married a good Englishman / where will I find another like that?», 117). I així dóna la benvinguda al nou espòs: «m’has calmat el dolor, tendre i encantador noiet / em pensava que l’enyoraria desesperadament, però ara, després de veure’t, gairebé que ni em recordo del seu aspecte. Tu m’ets tan familiar, tot i que no ens coneixíem abans / que estrany / potser és aquest sentiment que l’amor t’ha posat al cor. Els batecs familiars» («you’ve ceased my pain you sweet and lovely boy / I thought I’d miss him desperately but now I can when looking at you hardly remember what he looks like. You look so familiar to me though
Pau Gilabert Barberàperquè, si la intel·lecció ajustada al text és la de Dubatti, convertir el desenllaç d’aquest Greek-Èdip rei en una història d’amor és certament molt arriscat. En efecte, tenint en compte l’estesa i no pas eradicada creença que l’amor ho justifica tot, podria ser molt bé que el drama de Berkoff més que no pas ‘horripilar’ el públic — Dubatti dicit — desvetlli fins i tot, ‘irresponsablement i lliure’, un grau notable de comprensió i solidaritat; encara més, gosaria dir, com ja he assenyalat abans, que la seva introducció no fa sinó delatar de facto un risc real i no pas imaginari.
D’altra banda, la prudència és sempre aconsellable en qualsevol judici, però no crec ser injust si considero que Berkoff, en l’author’s note prèvia al text, no ajuda gaire el lector-espectador a adherir-se a interpretacions com la de Dubatti, sinó que, ans al contrari, l’ajuda molt en la línia del que acabo d’apuntar. Diu així:
Èdip va anar a raure a una ciutat castigada amb una pesta i va intentar netejar-la d’aquest centre maligne, representat per l’Esfinx. Eddy intenta reafirmar les seves creences i inculcar un ordre nou en el marc de la pròpia visió, amb aquella energia que afirma els valors de la vida. La passió de viure s’inspira en l’amor que té a la seva dona i en l’odi a l’ambient degradant que ha heretat. Si Eddy és un guerrer que, quan arriba, branda l’espasa fumejant i ataca tot allò que troba brut, en el fons del seu cor és també un jove normal amb qui molts dels que conec se sentirien identificats. L’obra, a més a més, és una història d’amor
Oedipus found a city in the grip of a plague and sought to rid the city of its evil centre represented by the Sphinx. Eddy seeks to reaffirm his beliefs and inculcate a new order of things with his vision and life-affirming energy. His passion for life is inspired by the love he feels for his woman, and his detestation of the degrading environment he inherited. If Eddy is a warrior who holds up the smoking sword as he goes in, attacking all that he finds polluted, at the same time he is at the heart an ordinary young man with whom many I know will find identification. The play is also a love story (97).
És el mateix creador, doncs, qui ens fa saber que la seva criatura no és pas un ésser descregut i mancat d’ideals24, sinó que té una fe autèntica en un or-
we have never met / so strange perhaps the true feeling love brings to your heart. The familiar twang», 118).
24. No vol, per exemple, abandonar el país: «... vaig decidir quedar-me per conèixer la meva dolça pàtria / esmenar les desgràcies del meu preciós país / ¿Per què hem de tocar el dos i fotre el camp com els vaixells que naufraguen i abandonen les rates / em veia a mi mateix com a rei del món occidental» («... I decided to stay and see my own sweet land / amend the woes of my own fair state / why split and scarper like ships leaving a sinking rat / I saw myself as king of the western world», 114).
Greek de Steven Berkoff (1980) 145
dre nou25, a més de prou energia i passió per defensar la vida26. D’odi, també en sent, però el reserva per a fer front a una situació degradant, trista herència amb què s’ha trobat. Ergo, cal no descartar que ‘molts’ —ipse Berkoff dicit— s’identifiquin amb aquest ‘jove normal’. El més sorprenent, però ‘sorprenent’ després d’haver llegit Dubatti; en cas contrari, potser diria simplement ‘lògic’, és que aquesta identificació —i no sé llegir-ho d’una altra manera— rep, a més, un suport addicional: l’obra és una love story. I, donat que l’amor és una de les experiències a què aspira tot jove, la love story que també és Greek, fins i tot una de tan singular, pot ‘salvar de’ o, si més no, ‘protegir contra’ l’horripilació abans esmentada. I encara una dada final de l’author’s note que cal tenir molt en compte:
escrivint el meu Èdip modern no vaig trobar gaire difícil trobar parallels contemporanis, però, quan vaig arribar al moment en què el protagonista s’arrenca els ulls, em vaig aturar perquè, a la meva versió, donada la disposició tan poc fatalista d’Eddy, no hauria tingut cap sentit, llevat que hagués imitat servilment l’original, i, en aquest cas, l’hagués embarcat en un acte d’odi contra sí mateix. Un dia, un amic em va aconsellar la lectura d’un llibre que, en una situació gairebé idèntica,
25. Eddy: «ja han passat deu anys... i a mi m’han enfortit els músculs per lluitar contra el món. He millorat el local de la nostra cafeteria amb esforços intensos, ajudat, és clar per la meva dolça companya / he liquidat la peresa i els vells hàbits del passat... he forjat l’edat d’or de la ciutat» («ten years have come and gone... toughened my sinews to combat the world. I improved the lot of our fair café by my intense efforts, aided of course by my sweet mate / got rid of sloth and stale achievement... I made the city golden era time», 121). «vam guarir la pesta posant inspiració als nostres plats / ens vam fer rics oferint més i cobrant menys... vam tornar a posar carn a les botifarres / ara el món té més bon gust / i es van acabar les serradures amb colorants i la merda de gat més apta per tapar els forats de les parets que no pas per omplir l’estómac... ara a la nostra gran cadena /donem energia a la gent, oferim menjar per a la ment... hem de netejar el món de fills de puta aferrats als seus foscos dominis, que tanquen el pas al talent perquè obstrueixen amb els seus cossos inflats i la seva flàccida mediocritat / els llançarem al cel, o ens limitarem a contemplar com es podreixen mentre nosaltres acumulem milions» («we cured the plague by giving inspiration to our plates / came rich by giving more and taking less... we put the meat back into the sausage mate / now once more the world will taste good / no more the sawdust and preservative colouring and cat shit that you could better use to fill your walls than line your stomachs... but now in our great chain we energize the people, give soul food... it’s us that has to do it / rid the world of half-assed bastards clinging to their dark domain and keeping talent out by filling the entrances with their swollen carcasses and sagging mediocrity / let’s blow them all sky high, or let us see them simply waste away as the millions come to us», 122).
26. I també ho fa la seva esposa no deixant de censurar l’avortament: «... el país està inundat de semen que no endolceix l’úter de les amants, sinó que queda espremut dins els kleenex i mor dintre unes cabines de llum vermella. Mentrestant uns homes amb una careta blanca penetren dins el sagrat gresol on la vida s’hi pot haver esmunyit, i armats amb bisturís i bombes xucladores estripen el fruit viu i el llancen al riu de les clavegueres, futurs Einsteins, Miquelàngels i futurs Eddys» («... the country’s awash in spunk not threshing and sweetening the wombs of lovers but crushed in Kleenex and dead in cubicles with red lights. Meanwhile men in white masks are penetrating the holy crucible where life may have slipped in, and armed with scalpels and suction pumps tear out the living fruit and sluice it down the river of sewage, the future Einsteins, Michelangelos and future Eddys», 123).
Pau Gilabert Barberàva il·luminar el meu problema. El llibre és Seven Arrows de Hyemeyohsts Storm. Conté un passatge que em va donar la clau per trobar el final (in writing my ‘modern’ Oedipus it wasn’t too difficult to find contemporary parallels, but when I came to the ‘blinding’ I paused, since in my version it wouldn’t have made sense, given Eddy’s non-fatalistic disposition, to have him embark on such an act of self-hatred — unless I slavishly aped the original. One day a friend gave me a book to read which provided an illumination to my problem in an almost identical situation. The book is called Seven Arrows by Hyemeyohsts Storm) (98).
El passatge en qüestió té a veure amb un altre cas d’amor incestuós fill-mare i la por consegüent a tenir fills monstruosos. Qui escolta l’atemorit amant li pregunta si ha vist mai un d’aquests nens i, en respondre que ‘no’, afirma sense dubtar:
aleshores, és com tota la resta... Sembla fàcil sentir que un fill mata algú, fins i tot la mare, però les oïdes de la gent troben dur sentir parlar d’un fill que estima la mare
then it is like everything else... It seems an easy thing to hear when a son kills someone, even his mother, but it is hard on people’s ears when they hear of a son loving his mother (98).
Berkoff no aclareix quins són els paral·lels que no li ha estat difícil de trobar, i si també trenquen o no amb el patró grec, però, en tot cas, ens fa saber que el seu Eddy ni coneix el fatalisme ni l’odi contra si mateix. Greek li arribà, sí, via Sòfocles, però Berkoff, segons que diu, s’ha reservat el dret a no imitar-lo servilment. Com a creador lliure que és, té tot el dret a fer-ho, com també el de deixar-se il·luminar pel desenllaç fàcil, massa fàcil al meu entendre, d’una obra aliena, i sortir així de l’ἀπορία (aporía) o no-pas en què, lliure de servituds, s’ha situat finalment. Però, per la mateixa raó i malgrat que n’hagi imitat bàsicament la trama, Greek no pot ser la versió moderna d’Èdip rei de Sòfocles, un modern Oedipus, sinó el drama d’un fals Èdip britànic del segle XX que contradiu de fet la naturalesa tràgica de l’antic, gairebé com si un alumne avançat d’una escola sofista contemporània n’hagués pensat l’ἀντιλογία (antilogía); és a dir: un Èdip sense remordiments ni autocàstig que s’ha unit i continuarà unint-se amb la seva mare joiosament i plaent. Llegíem abans que Èdip arriba a una ciutat castigada per la pesta amb un centre maligne al qual s’enfronta i venç. Doncs bé, quant a l’Esfinx i a diferència de Sòfocles, Berkoff veu l’oportunitat de crear stricto sensu un autèntic personatge amb una gran força dramàtica. Ella és la responsable d’escampar el «càncer i la podridura» («the canker and the rot» (123) en una societat malalta de fa ja temps, i Eddy la cercarà enèrgic per «passar-li comptes» («I’ll go and sort her out», 123). Quan això s’esdevé realment, el jove heroi ja ha reeixit a
Greek de Steven Berkoff (1980) 147
estimar i ésser estimat per l’esposa que després descobrirà com a mare, mentre que, segons que afirma, l’Esfinx i l’amor, tant el que es dóna com el que es rep, són incompatibles:
... no pots estimar / sense amor, només pots terroritzar els homes; ningú no et pot estimar / ¿qui et podria besar a la boca, si fins i tot et put l’alè com si fos una casa de putes de Hong Kong quan hi ha desembarcat tota l’armada?
you can’t love / loveless you can only terrify man no one could love you / who could even kiss that mouth of yours when your very breath stinks like a Hong Kong whorehouse when the fleet’s in (124).
De la boca pudent d’aquest monstre, però, no només en surt un seguit memorable d’insults i amenaces:
qui ets tu, homenet / misèria de merda / residu de cigala / error al mig de la nit... / fot el camp, cuc abans no t’arranqui el cap i els ulls / abans no et rosteixi la llengua / nul·litat d’home / insult de la natura
who are you, little man / pip squeak scum / drip off the prick / mistake in the middle of the night... / fuck off you maggot before I tear your head off / rip your eyes out of your head and roast your tongue / you nothing, you man / you insult of nature (124).
En brolla també un discurs brillant, pensat aquest cop perquè tots els mascles occidentals, malmesos pel llegat grec i semític —i, en conseqüència, insuportablement misògins—, passin pel tràngol d’una merescuda anagnòrisi, bo i descobrint així la seva estultícia i roïnesa seculars:
... els conreus moren per culpa de la pesta que sou els homes / sou vosaltres, la pesta / ¿on tens els ulls? / ... / la pesta és a dintre teu. Fabriques armes per obtenir la força que et falta / esclavitzes, assotes, colpeges i tiranitzes, fas servir fusells, cadenes, bombes, reactors i napalm, estàs tan sols i ets tan patètic! / El teu amor significa esclavatge, donar significa robar, estimar significa cardar, ajudar significa explotar, necessites una mare i després te la tires, estimar significa explotar una dona, convertir-la en una vaca prenyada perquè produeixi carn de canó per continuar matant... Totes les dones són esfinxs. Jo he agafat el poder per totes... quan les dones eren dones, andrògines i completes i podien reproduir-se soles, però en algun lloc, en algun moment, un rèptil va abandonar el nostre cos, es va allunyar arrossegant-se i es va convertir en un home... nosaltres engendrem durant nou mesos, donem forma, nodrim i tenim cura... i després donem el pit i protegim. / Vosaltres, mentrestant, foradeu la terra en busca de tresors, us dedi-
Pau Gilabert Barberàqueu als vostres estúpids jocs de mascles... La dona era Adam / era la terra / la dona és la marea / la dona està immersa en el moviment de l’univers / el nostre cos obeeix les fases de la lluna... i la sang substanciosa que tenim brolla per dir-nos que formem part del moviment de la natura... incapaços de crear, destruïu / jo sóc la terra / jo sóc el moviment de l’univers / jo sóc l’aigua, el foc i tots els elements
the crops are dying from the plague that is man / you are the plague / where are you looking when you should be looking at the ghastly vision in the mirror / the plague is inside you. You make your weapons to give you the strength that you lack / you enslave whip beat and oppress use your guns, chains, bombs, jets, napalm, you are so alone and pathetic, love from you means enslavement, giving means taking, love is fucking, helping is exploiting, you need your mothers you mother fucker, to love is to enslave a woman to turn her into a bearing cow to produce cannon fodder to go on killing... Women are all sphinx. I have taken the power for all... when women were women, androgynous and whole and could reproduce themselves but somewhere and some time a reptile left our bodies, it crawled away and became a man... us nine months we create build nourish care for, grow bigger and fat and after we suckle and provide. While you dig in the earth for treasure, play your stupid male games... woman was Adam / she was the earth, woman is the tide / woman is in movement of the universe / our bodies obey the phases of the moon and our rich blood surges forth to tell us we are part of the movement of nature unable to create you must destroy / I am the earth / I am the movement of the universe / I am liquid, fire and all elements (124-126).
Sabem bé que aquest al·legat feminista ha estat neutralitzat i fins i tot ridiculitzat, atacant-lo pel flanc que la hipèrbole i simplificació excessives deixen obert als hàbils apologetes del poder i dels poderosos de tots els temps. Aquest fet, tanmateix, ja no pot impedir la consciència general d’un doble patrimoni històric a repartir entre homes i dones, el primer fet d’armes, força, tirania, maltractament, abús sexual i de tot ordre, explotació, esclavatge i, en definitiva, mort, i el segon fet de gènesi, nutrició, cura, protecció, natura, els quatre elements i, en definitiva, vida. Si no oblidem, a més, que Greek correspon cronològicament al període en què Margaret Thatcher, la Dama de Ferro, es posa al front del govern de la Gran Bretanya, deduïm que Berkoff lamenta, i molt, l’estúpida, decebedora, servil i tràgica mimesi femenina d’un nefast i secular capteniment masculí27. I, és clar, si fins i tot la ment de la Pri-
27. Així la veuen, per ejemple, la falsa mare d’Eddy: «La Thatcher és la nostra única esperança» («Maggot is our only hope, love»), i el pare: «La Dama de Ferro! Si tinguéssim més ferro per acabar amb tota aquesta pila de pudents» («If we only had more maggots to eat through the stinking woodpile...», 110).
Greek de Steven Berkoff (1980)
149
mera Ministra té davant seu vels espessos que l’impedeixen d’experimentar el tipus d’anagnòrisi de què parla l’Esfinx, la foscor intel·lectual d’Eddy ha de ser encara major. Berkoff, en efecte, fidel a la trama de l’Èdip rei, el presenta rumiant la resposta a l’enigma un xic canviat que li planteja aquest monstre: «Què és allò que camina sobre quatre potes al matí, dues potes a la tarda, i tres potes al vespre?» («What walks on four legs in the morning, two legs in the afternoon and three legs in the evening?», 126), però la resposta no és pas la que li dóna Èdip, sinó la d’un jove, l’orgullós i militant masclisme del qual l’inscriu definitivament en la normalitat més absoluta:
és l’home! Al matí de la seva vida camina de quatre potes, a la tarda, quan és jove, camina amb dues, i al vespre, quan trempa amb les seves dones, treu la tercera pota
man! In the morning of his life he is on all fours, in the afternoon when he is young he is on two legs and in the evenings when he is erect for his women he sprouts the third leg», 126).
Certament és fa difícil pensar que d’un jove així se’n pugui esperar alguna gesta remarcable, però el risc autèntic continua essent el mateix que hem assenyalat abans: si Eddy és de fet homologable al conjunt de la població jove del moment, cal no descartar que aquest col·lectiu s’hi identifiqui —Berkoff dixit— i que fins i tot l’acompanyi, si més no mentalment, en l’agosarada superació d’un antic tabú, car no oblidéssim que, al capdavall, «The play is also a love story». En qualsevol cas, heus aquí, a banda del testimoni personal de Berkoff, algunes reaccions davant Greek —fóra inexcusable que jo no les presentés—, que a parer meu no confirmarien sinó que més aviat desmentirien l’horripilació que Dubatti creia segura en éssers humans que no volen avançar vers l’animalització:
Entrevista a Analía García (directora de Greek amb motiu de la seva representació al Centro Cultural de la Cooperación de la ciutat de Buenos Aires)28:
P: «¿Qué es lo que más te gusta de Greek?». R: «Que es una historia de amor, trascendiendo la forma. Me gustan mucho las fluctuaciones que se plantean en ella. En escena traté de generar en el espectador esas sensaciones-pensamientos. La obra te pega, te acaricia, te ama, te sacude, te grita: ‘¡despertate!’; te cuestiona y provoca de un modo bastante particular».
Martín Urbaneja (actor que interpreta el paper d’Eddy a la mateixa representació)29:
28. GARCÍA 2012. 29. URBANEJA 2012.
150
Pau Gilabert Barberà
me interesa el teatro que formula interrogantes, no el que da respuestas... Eddy, un guerrero incansable, pelea para destruir la peste. Su fuerza vital nace del amor que siente por su amada. La obra es una historia de amor que nos interroga una y otra vez sobre la esencia del amor, su manifestación y su potencia... he ido desarrollando un gusto por esos personajes... con una necesidad voraz de encontrar siempre una salida.
Teresa Gatto (autora de la crítica de la mateixa representació)30:
Greek redimensiona la tragedia griega y la vuelve absolutamente moderna y hasta hilarante, mortifica al límite la noción de catarsis aristotélica.
Marcos Rosenzvaig (crític, amb motiu d’una altra representació de Greek)31:
A la griega no exalta los hijos del incesto, lo que sí pone de relieve es la posibilidad de este amor sin culpa, sin la ceguera del hijo, ni el estrangulamiento de la madre.
Christian Barclay (crític, amb motiu d’una altra representació de Greek)32:
in Sophocles’ Oedipus Rex, the befallen Greek king contemplates selfmutilation as atonement for his sins. It’s a rather dramatic gesture, but considering the circumstances, severe punishment seems all but necessary. The lead in Steven Berkoff’s adaptation, Greek, sees the matter somewhat differently. Societal norms aside — what’s wrong with a little filial affection?
Jordi Godall (director, juntament amb Alberto Bokos, de Grecs, representat al teatre Adrià Gual del 8 al 26 de novembre de 1995)33:
Berkoff s’enfronta als límits del mite per desfer-lo. L’objectiu és la refundació d’un nou model de comportament que es fonamenta en la capacitat de l’individu de respondre als seus desitjos més enllà de la obediència a un ordenament arcaic imposat externament.
Steven Berkoff34:
Greek was also in part inspired by the pain of a bitter relationship I was going through... The agony of it left me raw enough to use myself
30. GATTO 2012.
31. ROSENZVAIG 2012.
32. BARCLAY 2012.
33. GODALL 1995
34. Vegeu BERKOFF 1989, 4, 339 i 342.
Greek de Steven Berkoff (1980) 151
as the guineapig for the play... I reneged on casting myself in the role of Eddy. I particularly like that part since it was modelled around me and expressed what I I had felt at the time and drew deeply on the experience I was having with a difficult but passionate relationship. Greek exuded love, sexual and otherwise, and it was... a play drawing its nourishment from the London I saw in the seventies... in my plot Eddy became the man to rid London of the sphinx, of the plague, by being better, fitter, more idealistic, a warrior, plus a lover. A modern samurai. Yet simple, honest, an everyman hero. I idealized myself into Eddy... Greek is not just a wailing symphony of the depredations of London life, it is also a hymn to the joys of sexual love and my favourite speech is Eddy’s: “I love a woman / I love her / I just love and love and love her”35
Actor, director, dramaturg, adaptador, investigador, conferenciant, director des del 1968 del London Theatre Group —ha actuat també en nombroses pel·lícules com ara Clockwork Orange o Barry Lyndon de Stanley Kubrick—, Berkoff ha estat sens dubte una de les figures més destacades del teatre anglès durant gairebé els darrers cinquanta anys 36. Ningú no li pot negar el mèrit d’haver estat un precursor en l’exercici polític de la resistència crítica des del teatre, des de l’art en si mateix, trencant la imatge escènica i l’estructura narrativa del realisme tradicional; sotmetent els actors a un dur treball d’expressió corporal i de dicció i elocució; posant-los en uns escenaris molt buits on els objectes són gairebé sobrers37; optant per la desmesura de la paraula, una paraula que fins i tot pot matar38, menystenint així la flegma britànica i desemmascarant una societat xenòfoba i oligàrquica. Ningú no li pot negar tampoc el dret a reescriure el mite d’Èdip —i menys encara després de
35. Compareu-ho amb les paraules d’Eddy: «jo estimo una dona / l’estimo, l’estimo i l’estimo... i l’estimo per haver-me acceptat i ofert una llar per les meves angoixes mustiades / les meves passions amoroses / els meu somnis / les meves dolceses / la meva mel / la pau del meu esperit... l’estimo quan m’espera i l’estimo quan m’aconsola després d’haver-li explicat els meus combats diaris en el món, i l’estimo i l’estimo... » («I love a woman / I love her / I just love and love and love her... and love her for taking me in / and giving me a home for my searing agonies / my lusts / my love / my dreams / my sweetness / my honey / my peace of mind... and love her waiting for me and love her soothing me as I tell her about my day’s battles in the world — and love and love her and her and!», 127).
36. Llegiu, per exemple, el mateix BERKOFF 1992.
37. Vegeu, per exemple: SHERMAN 2010; CROSS 2004; MACINTOSH 2004; LE BEVER 2002; ROSEN 2001.
38. Així s’enfronta Eddy, per exemple, al seu autèntic pare: «pega, fereix, esclafa, fes mal, apunyala, talla... Etziba, apunyega, talla, fot-li... Explota, xiscla, fúria, força, domina, guanya...» («hit hurt crunch pain stab jab... Numb jagged glass gouge out... Explode scream fury strength overpower overcome...», 116). I la mare expressa la seva sorpresa: «l’has matat. No m’hauria pensat mai que les paraules matessin” («you killed him / I never realized words can kill», 117). «Si algo destaca del estilo teatral de Berkoff es su ferocidad política, su capacidad para expresar escénicamente la violencia social y para violentar simbólicamente esa violencia. El dramaturgo elige la fórmula de un teatro feroz que sólo a través de esa ferocidad puede dar cuenta de un mundo despiadado, agresivo a la enésima potencia» (DUBATTI 2005, 2).
Pau Gilabert BarberàFreud— per il·lustrar la pesta britànica, el «podrimener» («cesspit», 101) en què, segons que diu, es convertí l’Anglaterra de Margaret Thatcher39. I, tanmateix, des de la perspectiva d’un estudiós de la Tradició Clàssica que mai no ha pretès ser fonamentalista, com crec sincerament que és el meu cas, puc gaudir i he gaudit de la representació de Greek deixant-me endur per la força innegable que hi traspua en tots els aspectes que ja he assenyalat. No puc assumir, per contra, un planteig teòric —sens dubte provocatiu— que, essent el resultat confés d’una situació personal i de l’autoidealització consegüent, nega de fet la consciència tràgica de l’home contemporani40 en la mesura que ja no pot comprendre la de l’home grec41. Bo i negant que aquella antiga consciència pervisqui encara avui com a valor o saviesa a preservar —adherint-se, doncs, a les anàlisis pessimistes abans esmentades—, pot induir els lectors-espectadors a veure-la més aviat com una mostra del masoquisme patològic dels humans entestats a no superar autolimitacions seculars —i l’incest en fóra l’hipèrbole més intencionadament provocadora—; en suma, una operació massa fàcil i que, al meu entendre, no es correspon amb el seu indiscutible talent teatral. Naturalment, cada lector-espectador, amo d’un criteri personal i intransferible, emetrà el judici que cregui més ajustat i no té per què compartir el meu, però, pensant ara en el de Dubatti, sí que gosaria afirmar que és prudent abstenir-se sempre d’elevar tant el dramaturg com el seu drama a nivells ètics que tal vegada mai no hi ha hagut intenció d’assolir42 .
39. «Greek allows modern audiences to better understand Oedipus Rex because contemporary society’s understanding of human sexuality is better... Eddy refuses to suffer the same fate as Oedipus, portraying the ideals of the 1980s “Me Generation”. Eddy is aware of the tale of Oedipus Rex, yet is unaware of how his parallels the tragedy. Eddy disregards the story as “That old hoary myth... of patricide and horrid incest / or subtitled could be called the story of a mother fucker/”» (GREEN 2003, 5-6).
40. «El que interessa a Berkoff no és la tragicitat del mite... sinó el camí d’ascens que un ésser de condició extraordinària emprèn, el procés de “pujada al tro”, en aquest cas d’èxit empresarial, que va unit a l’amorós. Eddy es mostra reticent al fet que el destí que s’ha forjat sofrisca un canvi sobtat de rumb a partir del moment de reconeixement i s’aferra al que ha aconseguit, tot invalidant així l’afirmació de Mèrope a l’escena 5 de l’acte I Fate makes us play the roles we are cast» (AGUILAR 2006, 383).
41. Aquella consciència que fa que l’Èdip de Sòfocles s’expressi en aquests termes: ‘... sóc un infame, un fill de pares sacrílegs i que ha fecundat el mateix ventre d’on va néixer... Si existís un mal més enllà del mal, la sort l’hauria destinat a Èdip’ ( νῦν δ’ ἄθεος μέν εἶμ’, ἀνοσίων δὲ
/ ὁμογενὴς δ’ ἀφ’ ὧν
πρεσβύτερον ἔτι κακοῦ κακόν, / ταῦτ’ ἔλαχ’ Οἰδίπους, 1360-1366). ‘Oh noces, noces! Ens vau engendrar i després d’engendrar-nos vau fer brotar la mateixa llavor i vau mostrar pares, germans i fills, tots de la mateixa sang, i esposes, alhora mullers i mares, i totes les obres més sòrdides que existeixen entre els homes...’ ( ...
42. En qualsevol cas, em sembla evident que, quan es valora el missatge ètic de Greek, és molt fàcil incórrer en la contradicció o, si més no, aquesta és la impressió que trec de la lectura de la darrera reflexió de GREEN (2003, 8): «As Sophocles used his hero to teach, Berkoff used his ‘protagonist’ to speak against the society in which he was living. Greek is
Greek de Steven Berkoff (1980) 153
BIBLIOGRAFIA
A. M. AGUILAR 2006, «Èdip a Londres: La reescriptura d’ Èdip Rei a Greek de Steven Berkoff”», in El teatro greco-latino y su recepción en la tradición occidental. JOSÉ VICENTE BAÑULS, FRANCESCO DE MARTINO, CARMEN MORENILLA (eds.), Bari, pp. 369-386.
C. BARCLAY 2012, «A Bawdy British Twist on Greek Tragedy», <http://www. womanaroundtown.com>
S. BERKOFF 1994, The Collected Plays. Volume I. London. Boston.
S. BERKOFF 2005, Decadencia. A la griega, Buenos aires.
S. BERKOFF 1989, Free Association. An Autobiography. London. Boston.
S. BERKOFF 1992, The Theatre of Steven Berkoff. London.
J. CASTELLANOS 1998, Sòfocles. Èdip Rei. Barcelona.
R. CROSS 2004, Steven Berkoff and the Theatre of Self-Performance, Manchester.
J. DUBATTI 2005, «El teatro de Steven Berkoff: El rugido de la bestia», Dramateatro Revista Digital 15, May-July, pp. 1-4.
A. FORSYTH 2002, «Steven Berkoff and the Dramaturgy of Bile», Studies in Literary Criticism and Theory 15, pp. 165-196.
A. GARCÍA 2012, «Greek, versión de Analía Fedra García», <http:/7www.revistasiamesa.com>
T. GATTO 2012, «Greek, a la griega o los hijos de la Tyché», <http:www.puestaenescena.com>
J. GODALL 1995, Greek de Steven Berkoff. Premi Adrià Gual. Projecte de Muntatge realitzat per Alberto Bokos i Jordi Godall (manuscrit). Institut del Teatre, Barcelona.
M. GREEN 2003, «Oedipus Revisited: Steven Berkoff’s Greek », <http://www. iainfisher.com>
R. KESSEL 1965 (rpr. 1968), Aristoteles de arte poetica liber. Oxford.
N. H. LE BEVER 2002, «Orgie, orgasme et politique-Le Théâtre de Steven Berkoff», in Dramaturgies britanniques (1980-2000) , J EAN -M ARC L ANTERI (ed.). Paris, pp. 43-58.
H. LLOYD-JONES & N. G. WILSON 1990, Sophocles Fabulae. Oxford.
F. MACINTOSH 2004, «Oedipus in the East End: From Freud to Berkoff», in Dionysus Since 69: Greek Tragedy at the Dawn of the Third Millennium EDITH HALL, FIONA MACINTOSH, AND AMANDA WRIGLEY (eds.), Oxford, pp. 313-327.
D. PAGE 1972, Aeschyli Septem Quae Supersunt Tragoedias, Oxford.
C. ROSEN 2001, Creating the Berkovian Aesthetic: An Analysis of Steven Ber-
not a modernization of a classic tragedy, but a revisitation of it. Berkoff took another look at the ancient work and breathed a new modern life into it... Berkoff’s play, though very different from Sophocles’s, conveyed the idea that the story of Oedipus Rex is universal and timeless. In the end, the audience receives the best of both worlds, the classic original and a modern spin on it, as does Eddy in the end of Greek with both his wife and mother. Therefore, the audience, like Eddy, may “exit from paradise/... [enter] to heaven”».
Pau Gilabert Barberàkoff’s Performance Style. Dissertation Abstracts International, Section A: The Humanities and Social Sciences 61.12, June.
M. R OSENZVAIG 2012, «De la palabra como puñal», <http://www.marcosrosenzvaig.com>
J. F. SHERMAN 2010, «Steven Berkoff, Choral Unity, and Modes of Governance», New Theatre Quarterly 26. 3, Aug., pp. 232-247.
M. URBANEJA 2012, «Un sueño cumplido», <http://www.lanacion.com.ar>
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 155-193
DOI: 10.2436/20.2501.01.55
Heiner Müller i Medea
Montserrat Camps Gaset Universitat de Barcelona
ABSTRACT
The character of Medea, a woman and a barbarian, symbolizes the cry for the empowerment of women, but also the desolation of death and of war’s devastation. In Müller’s work there is an inversion of the male and female roles; death is everywhere, both in Medea’s acts and in the whole scene of death and destruction caused by human beings on the planet. The recourse to the Greek myth underlines the universal dimension of this conflict, as well as its tragic, hopeless nature. In an annex to the paper, the German text and the Catalan translation of Müller’s work is published.
KEYWORDS: Heiner Müller, Medea, male and female roles
La primera al·lusió directa que fa Müller al personatge de Medea és una breu escena que escriu en prosa als anys seixanta i que normalment està editada en els volums de poesia 1 , Medeaspiel, un text que amb prou feines té una pàgina. La segona és l’any 1981-82 amb Medeamaterial , un text més llarg inclòs en un tríptic, Verkommenes Ufer Medeamaterial Die Argonauten (Riba desolada, material de Medea, els Argonautes)2. D’acord amb el que en diu l’autor, la primera part és trenta anys més antiga i té relació amb una de les primeres estades de Müller a Berlín, el 1949. Alguns passatges del diàleg de Medea són de mitjan anys 60, encara en vida d’Inge Müller, i el monòleg i la tercera part són posteriors.
1. Heiner MÜLLER, Werke 1. Die Gedichte, Frankfurt 1998, p. 177. Vegeu-ne el text alemany la traducció catalana en l’annex d’aquest article. Agraeixo a la secció d’alemany de la Universitat de Barcelona la col·laboració en la recerca bibliogràfica sobre l’autor.
2. Heiner MÜLLER, Werke 5. Die Stücke 3, Frankfurt 2002, pp.75-84. Vegeu-ne el text alemany i la meva traducció catalana en l’annex d’aquest article.
Montserrat Camps Gaset
Diem al·lusió directa, perquè hi ha d’altres figures femenines en l’obra literària de Müller que tenen una certa relació amb la figura de Medea, com són la Dascha de Zement (en un passatge que l’autor intitula “Medeakommentar”) i fins i tot la mateixa Ofèlia de Hamletmaschine. Ara bé, aquests personatges femenins expressen una visió determinada de la dona que és transversal a tota la seva obra, però el mite concret de Medea seduí Müller durant molt de temps, i és molt probable que tingués la intenció de construir una obra sencera a l’entorn del personatge, fins i tot algun guió de cinema sobre els Argonautes, per alguns comentaris i anotacions que queden esparsos en les seves notes i que són força reveladors3. El que n’ha quedat, però, és el Material de Medea, i a partir d’aquest text s’han construït les representacions i adaptacions teatrals contemporànies.
L’ús del mite grec
El mite serveix a Müller de marc referencial a partir del qual pot escriure sense preocupar-se ni per l’acció ni per la versemblança, ni pels personatges mateixos. No li cal construir un argument ni un desenllaç, ni una presentació de personatges, perquè vénen donats pel mite i, en prescindir de la urgència de construir una bastida, es pot dedicar a crear l’expressió d’allò que li interessa. Lluny de representar un model estret o una tradició conservadora i conservada, el mite grec permet a l’autor elevar-se per sobre de la vulgaritat de qualsevol argument. No necessita entretenir-se a situar els personatges en l’espai i en el temps: l’espai és tant el context proper de la realitat política alemanya com l’espai universal de qualsevol país que es trobi en el marc ambivalent de destrucció i pervivència que afligeix el planeta, i el temps és l’ara i aquí, ja sigui el dels grecs antics, el de la realitat concreta alemanya o el de la universalitat atemporal. Elaborar el mite grec permet saltar fora de l’espai i del temps contemporanis i això és precisament el que li dóna un caràcter de contemporaneïtat perpètua.
El recurs de Müller al mite s’explica per la llarga recepció dels clàssics a les escoles i a les universitats alemanyes, però també precisament per la seva atemporalitat. Amb els grecs, Müller pot explicar allò que el règim de la RDA no li deixaria explicar amb personatges més fàcilment identificables en l’espai i el temps moderns. El mite grec no deixa de ser una convenció que permet tota mena de metàfores i transformacions. Per això és un gran recurs a la RDA, tant perquè serveix de referent als seus contemporanis com perquè el vernís de cultura clàssica i tradició que procura el mite grec permet ocultar la seva voluntat revolucionària, sobretot als ulls dels qui només veuen la superficialitat del text. Müller treballa amb el mite amb la mateixa llibertat provocativa amb què hi podia treballar Eurípides. La manera d’elaborar les dades mítiques dels grecs no és, certament, la mateixa que la dels autors moderns, perquè la civilització grega feia del mite l’horitzó referencial on trobava la seva identitat política i religiosa, era el seu horitzó de pensament i d’instrucció, mentre que en el món modern el mite grec és un element cultural, un rastre d’educació fins a cert punt elitista, mancat de referent religiós vàlid per a la comunitat. Ara bé,
3. Heiner MÜLLER, ibid., p. 302-303 i 306.
la llibertat creativa dels autors alemanys és la mateixa que fan servir els autors grecs: si Eurípides va innovar quan va crear la seva tragèdia Medea o altres tragèdies, també ho va fer Christa Wolf en la novel·la del mateix nom i també ho fa Müller, fins a cert punt 4. Tanmateix, les innovacions de Wolf són de caràcter argumental, amb un notable coneixement dels antics5, i ben travades en la lògica de la novel·la, mentre que les de Müller afecten, sobretot, la interpretació dels personatges.
O, dit d’una altra manera, a Müller no li importa gaire l’argument de la tragèdia de Medea. L’argument ja se sap i, ben mirat, desproveït dels vestits tràgics, és força banal: una dona ho deixa tot per seguir el marit, pel qual ha arribat a matar, i aquest l’abandona per una altra de més jove i de més bona posició. La dona s’enfada tant que arriba a matar una altra vegada, els seus propis fills, com a venjança. En el fons, una vulgar història de gelosia que avui anomenaríem de violència domèstica, i algunes lectures o representacions posteriors de l’obra alemanya no han anat gaire més enllà de situar-la en aquest context6 El marc mític és conegut per l’espectador, tant, que només amb el nom de Medea ja n’hi ha prou per evocar l’argument o, almenys, la part més coneguda, que és la mort dels fills a mans de la mare. En conseqüència, Müller pot treballar amb els personatges o, més aviat, en aquest cas, amb el personatge7. Els referents literaris de Müller són, evidentment, Eurípides i Sèneca, però també, en la tradició alemanya, Franz Grillparzer i Hans Henny Jahnn, els quals ja innovaren alguns elements del mite de manera força agressiva8. A més, Müller mateix es refereix a La terra gastada de T.S. Eliot i a Ezra Pound, presents sobretot en el paisatge desolat dels Argonautes. Müller agafa el mite de Medea tal com el dóna la tradició, però l’esporga fins a reduir-lo a l’episodi de la venjança de Medea, tot just amb alguna referència a l’expedició de la Còlquide. A diferència d’alguns dels seus predecessors immediats, aquí no hi ha velló d’or, ni episodi de Pèlias, ni tan sols màgia. Tampoc no hi ha déus, ni destí, ni cap context religiós, ni que sigui per convenció mítica. Hi ha els personatges i prou, de fet, hi ha un personatge i un paisatge, el personatge de Medea i el paisatge de la devastació. El més sorprenent per als lectors no alemanys és la manera com tracta els personatges dels nens: Müller recupera la innovació de Grillparzer9, que convertí els fills en parcialment culpables i causants de la ge-
4. Cf. KOSKINAS 2010, 91-103.
5. Vegeu CAMPS GASET 2010, 61-71.
6. L’emancipació de les tasques domèstiques ha enfosquit de vegades la visió més àmplia del rol humà (masculí i femení) en la construcció del món. Una adaptació suggeridora és la que en va fer Yannis Farmakidis el 2008, que combina el text de Müller (en grec modern) amb la representació sense paraules del poema de Prévert, Déjeuner du matin. Jàson és l’home indiferent que remena el cafè amb la cullera mentre Medea crida els seus retrets en un monòleg sense resposta. La idea és molt bona, al nostre parer, però la Medea de Müller no és només, ni en primer terme, un conflicte matrimonial.
7. Cf. CAMPBELL 2008, 84-86.
8. Cf. OSTER 2007, 275.
9. Franz G RILLPARZER , Das goldene Vließ, dramatisches Gedicht in drei Abteilungen, Der Gastfreund, die Argonauten, Medea. Sämtliche Werke, vol. 1, Carl Hanser, München 1960.
158
Montserrat Camps Gaset
losia de Medea, perquè se’ls donà a triar amb quin dels dos progenitors volien anar, i van preferir quedar-se amb Jàson i Creüsa en la comoditat del palau de Corint, abans que acompanyar la mare a l’exili. Aquesta traïció dels fills apareix al llarg del text de Müller, però només hi és al·ludida, no explicada. D’aquesta manera ja no queda cap innocent en escena, perquè els nens tampoc no ho són. La construcció del mite que fa Müller no permet que hi hagi innocents, igual com la terra, devastada, no és un paisatge idíl·lic ni un tòpic de la vitalitat de la natura, sinó un escenari de degeneració, mort i deixalles. Les tres parts de l’obra Riba desolada Material de Medea Paisatge amb Argonautes no van ser escrites a la mateixa època, i les representacions posteriors les han separat en nombroses ocasions, i fins i tot barrejat. De fet, la que ha atret més l’atenció dels directors d’escena és la part central, Material de Medea, on la protagonista absoluta és Medea. Tanmateix, en algunes ocasions les altres dues parts han estat interpolades pel director o han servit d’afegitó o de marc a la part central. A diferència de les obres de teatre clàssiques, la disposició del vers lliure en aquesta obra de Müller, l’absència de referències escèniques (que són a dintre mateix del vers), l’absència d’una organització convencional d’actes i d’escenes, la manca gairebé total d’indicacions sobre la representació teatral (llevat d’un breu paràgraf de l’autor), atorga gran llibertat als directors teatrals, no solament en l’escenografia, sinó també en la lectura del text i la interpretació del seu significat.
Aquesta Medea permet moltes lectures, i moltes posades en escena. Hi ha una àmplia bibliografia, tenint en compte que no fa ni una trentena d’anys que es va escriure, i ha estat escenificada en diverses ocasions, ja sigui en escenaris reals o a través de la creació i difusió que permeten les tecnologies modernes. L’obra és el que diu el títol: un material a l’entorn de la figura de Medea, des d’un punt de vista concret, però que alhora serveix de punt de partida al director teatral i a l’espectador, els quals la poden acabar d’escriure.
La identitat, el jo, el meu i el teu
El text alemany és escrit sense cap signe de puntuació, fora de la convenció de començar cada vers amb majúscula i també cada frase en majúscula després d’un punt i seguit invisible, però conserva una sintaxi impecable, no exempta d’ambigüitats volgudes, precisament per la manca de puntuació. Són recurrents les referències a la identitat de Medea i, de retruc, de la dona. Hom ha posat en relleu que aquest text, com d’altres sobre Medea, representa un refús del rol tradicional femení i, de fet, les interpretacions més importants que se n’han fet giren a l’entorn de l’emancipació femenina. En realitat, hom pensa de vegades que aquestes interpretacions arriben a ser força reduccionistes, sobretot quan relacionen el text amb la biografia del seu autor, les relacions sentimentals del qual foren molt accidentades. Però l’obra és més que un reflex de la biografia. És cert que el text organitza el vocabulari de Medea a l’entorn del jo, de la identitat de Medea, però aquesta no és reduïda a un rol de reivindicació femenina, sinó que és vista com a membre d’una comunitat i un ésser en relació amb el món, un món que, al seu torn, és devastat, arruïnat,
Heiner Müller i Medea 159
presidit per la mort omnipresent. La veu de Medea no parla només en nom de les dones, sinó en nom de la humanitat que destrueix i es destruïda.
Müller converteix la tragèdia pràcticament en un monòleg. Tècnicament hi ha dos personatges més en escena, la dida i Jàson, però el seu paper és mínim, gairebé es redueix al paper d’espectadors, davant de la gran tirada en boca de Medea que esdevé gairebé un monòleg i que alguns directors teatrals han vist com a tal10. Això mateix situa la figura de la dona en un primer pla on tota la resta es desdibuixa, si no desapareix i tot. El text del Material de Medea està ple del pronom possessiu ‘mein’, el meu, i comença precisament així: «Jàson, el meu primer i el meu darrer Dida/on és el meu home». ‘El meu primer i el meu darrer’ esdevé simplement ‘el meu home’, i aquest pronom ‘meu’ estarà en oposició a ‘seu’ o a ‘teu’, tots dos pronoms referits a Jàson, durant tot el text. ‘Meu’ individual i ‘meu’ col·lectiu, però mai ‘nostre’. El ‘meu’ col·lectiu de Medea és el de la seva doble condició, de dona i de bàrbara. Al començament, Medea suposa que Jàson no ha anat a veure la filla de Creont sinó Creont mateix, per demanar-li dret de ciutadania per a ella i per als ‘seus’ fills, de Jàson, que ell, Jàson, estima. El distanciament entre Medea i els fills es fa palès de bon començament, abans que aparegui la gelosia de Medea. Medea demana un mirall i llavors comença la pregunta de la identitat: «Això no és Medea». Allò que Medea veu en el mirall no és ella. L’obra, en el llarguíssim monòleg, desgranarà allò que ella és de veritat, que no és allò en què l’ha convertida Jàson. En canvi, al final del monòleg, quan tot haurà acabat, dirà «sóc llesta sóc Medea». La pregunta de Jàson «Què eres tu abans de mi dona» manifesta l’existència de la dona condicionada a la relació amb l’home. Medea estripa una imatge de dona vista només com a esposa i mare que aconsegueix la identitat gràcies al marit. Müller trenca aquest rol i defineix Medea no per allò que és gràcies a Jàson, sinó precisament per allò que era abans d’ell, mitjançant les referències contínues al germà, i per allò que serà després d’ell, és a dir, quan allò que expressava la relació amb Jàson haurà desaparegut, és a dir, els fills, i haurà desaparegut sobretot la memòria, que és la innovació de Müller al final d’aquest mite.
Ara bé, en aquest joc entre la manca d’identitat abans de conèixer Jàson i la identitat femenina aconseguida a través del marit, Medea es defineix com un animal abans d’esdevenir l’esposa de Jàson, quan era la bàrbara. El caràcter bàrbar i la identitat femenina es retroben i es capgiren: si la identitat de la dona, convencionalment, s’acompleix en el matrimoni, allà on es produeix el part, o sigui, el naixement, Medea capgira la situació convertint el seu propi paisatge en mort, perquè les seves mans són les d’una bàrbara.
La resposta de Medea a la pregunta de Jàson defineix la seva pertinença a una
10. El més rellevant, Anatoli Vassíliev, en la representació al Teatre Lliure l’any 2005, amb text en francès i l’actriu Valérie Dréville com a únic personatge en escena. En canvi, el músic francès Pascal Dusapin construí una òpera a partir del text de Müller, excel·lent musicalment, però que representa una interpretació completament diferent de l’obra, amb gran participació coral. L’òpera està enregistrada a Harmonia Mundi (Pascal Dusapin, Medeamaterial, amb Hilde Leiland i l’Orchestre de la Chapelle Royale dirigida per Philippe Herreweghe).
160 Montserrat Camps Gaset
família i a un poble. A la imprecació «Em deus un germà», Jàson respon: «T’he donat dos fills en comptes d’un germà». És curiós que aquí s’inverteixi un llenguatge habitualment atribuït a la dona: ha estat habitual, fins a l’època actual, sentir o llegir que la dona ‘dóna fills’ a un home, a un rei, a un emperador, etc. Aquesta visió de la dona que té la funció de donar, lliurar, fills a un home, com si fossin possessió d’aquest i ella només fos la condició de la transmissió, ha funcionat des dels grecs fins als nostres dies i fins que la crítica feminista del llenguatge ha fet modificar alguns patrons recurrents. Doncs bé, Jàson aquí fa servir una terminologia tradicionalment femenina: ell ha donat dos fills a Medea, a canvi d’un germà. Però, a la inversa del llenguatge tradicional, Medea no reconeix els fills com a seus (propietat seva), sinó com a únicament pertinença de Jàson: «els teus fills», repetit diverses vegades. Els fills de Jàson són la seva pertinença, d’ell, igual com ho és Medea en quant esclava, i ho és la seva acció, el seu part. Tot el llenguatge tradicional es capgira: Jàson ha donat els fills a Medea i ella, la mare, dóna als fills la mort, com dirà més endavant. Medea és també graó de la glòria d’ell, tacada amb la sang dels enemics d’ell. Tot és ‘teu’, l’únic pronom de primera persona que apareix és referit al país, al poble i a la traïció de Medea, que han constituït una corona de glòria per a Jàson. El que en el text ha començat amb la referència als fills ha esdevingut un discurs bèl·lic. Ara bé, en cap moment no hi ha referència al velló d’or: allò que Jàson i els seus companys van anar a fer a la Còlquide és una guerra de devastació i pillatge, no una gesta heroica. A diferència d’alguns dels seus models, Müller esborra completament del mite l’empresa heroica 11, també en la primera i la tercera part de l’obra que ens ocupa, en què la referència als Argonautes és explícita. L’expedició d’Argo és, ras i curt, una guerra, i Medea és tan aviat una part del botí com la que es va passar de bàndol i per tant va prendre part en la traïció. La bruixeria ancestral de Medea queda esborrada en benefici de la seva condició femenina, i la seva saviesa consisteix precisament en el reconeixement de la seva identitat, no en les arts que li atribueix el mite. Aquí no hi ha dracs, filtres ni espases màgiques, hi ha guerra i sang de les ferides i l’absurd de tota guerra. Medea adopta tot un llenguatge bèl·lic a l’entorn de la seva condició de bàrbara. És l’estrangera gràcies a la qual es construeix la glòria d’un guerrer, o d’un país. És habitual que en les reinterpretacions del mite de Medea aparegui tant la condició de dona com la condició de bàrbara, estranya i estrangera, i això serveix particularment als autors de la RDA (com en el cas de Christa Wolf), per il·lustrar tant el conflicte amb els països veïns i els resultats de la guerra, com també qualsevol projecció universal de la barreja entre la condició d’estranger i la de ciutadà. Wolf explota aquesta doble condició de Medea, estrangera i coríntia, i l’ambigüitat desafiant que presenta per als ‘autòctons’, però la Medea de Müller no és la de Wolf. Medea aquí és més bàrbara que estrangera, és a dir, encarna la figura de l’altre que planteja conflictes, que desestabilitza la pròpia identitat. En altres lectures del mite, com és el cas de
11. Cf. SEIDENSTICKER, VÖHLER 2002, 304.
Wolf, l’ambigüitat de l’estrangeria esdevé més manifesta, igual com en el mite grec, fent de Medea la coríntia exiliada que retorna. En Müller, en canvi, l’epítet repetit és ‘bàrbara’, la que no és ni parla com nosaltres. Medea encarna una doble condició d’alteritat, la de bàrbara i la de dona i, per tant, una doble condició de víctima. Això permet moltes lectures amb relació a la història europea de finals del segle XX, amb l’Alemanya que veié canviar les fronteres orientals contínuament al llarg de cent anys, i també amb relació al procés d’emancipació de la dona durant, sobretot, la segona meitat del segle XX.
En aquest text Medea és, efectivament, la bàrbara, i així es qualifica a si mateixa, és a dir, aparentment no té res en comú amb el poble on ha anat a parar, però, això sí, la seva condició de bàrbara és la que proporciona glòria al guerrer i al poble. Tot el que posseeix és la seva traïció, les imatges dels caiguts, els crits dels ferits. L’únic cop que apareix el possessiu plural ‘nostre’ és per referir-se a la xarxa12 teixida pel seu desig i el d’ell, que era ‘la nostra residència’ però que s’acaba de convertir en el seu, de Medea, ‘el meu’ exili.
L’oposició ‘meu/teu’ continua durant tot el text: la tripulació de la nau és de Jàson, el poble de la Còlquide i el germà, són de Medea, la persecució dels enemics és de Jàson (no dels dos!), la fugida és de Jàson, el pare és d’ella i del germà. Els fills, sobretot, són de Jàson, i per això té sentit aquí la traïció no explicitada dels fills, que els col·loca definitivament al bàndol d’ell i no d’ella.
La mort i els fills
El vocabulari bèl·lic dóna pas a la imatge del trencament matrimonial que Medea acompanya amb la mort. Medea mata i infanta, Jason li dóna fills i li dóna a ella la mort com a comiat (v. 65), que Medea expressa com a ‘cos de Jàson’. El text està ple d’aquestes ambivalències entre matar/infantar. La que mata, segons el mite, és Medea, però aquí és l’amor de Jàson (genitiu objectiu) qui la mata a ella i qui anihila la seva identitat. Abans d’ell, ella era la dona d’un altre país que tenia un germà, després d’ell (de les noces) ella no és res. Ni tan sols com a mare no és res: els fills són de Jàson, rebuts a compte d’un germà, i ella li ofereix que els torni a prendre. Ell els hi ha donat, ella li diu que els torni a agafar, en una imatge que és la del part, però invertida, com si fos Jàson qui els hagués parit.
Els fills són anomenats ‘fills de la traïció’, altre cop un vocabulari que hom esperaria en boca d’un home que ha de reconèixer que els fills no són seus, i en canvi, el fa servir Medea, perquè la traïció sí que és la seva, però no una traïció matrimonial, sinó una traïció entre pobles. En aquesta obra no hi ha ningú innocent i, sobretot, no hi ha ningú neutral: tothom ha pres partit, i tots els partits són equivocats. Müller concep el mite tràgic sense solució, ni proposta positiva, ni reconciliació de cap mena. La traïció és omnipresent, com també ho és la mort.
Les referències als fills, fins i tot la invocació que hi ha dins del monòleg, en què els envia cap a Jàson, comencen i acaben amb la repetició del vers «em
12. Allò que lliga i subjecta la dona, com les cordes del Medeaspiel; vegeu la traducció annexa.
Montserrat Camps Gaset
deus un germà, Jàson», que serveix de frontissa entre l’esment dels nens i l’episodi de la mort de la princesa. El vers «no puc odiar el que estimes» té l’ambivalència seductora del regal enverinat. A diferència d’Eurípides, aquí el vestit de les noces de la mateixa Medea és el regal de boda per a la ‘teva’ (de Jàson) núvia. A través del vestit, Medea vesteix la núvia, la qual, embogida de dolor, s’arraparà al cos de Jàson i morirà, el cos de Jàson torna a esdevenir vestit de mort. Més endavant, Medea dirà «el teu cos és la meva mort», igual com ho és per a Creüsa, amb el vestit de Medea, xop de la sang i de l’or de la Còlquide. El verí no és fruit de la màgia, com al mite grec, sinó de les ferides i cicatrius de la bàrbara, i la núvia esdevé torxa nupcial del seu propi matrimoni fracassat. D’aquesta manera, amb la suor de Medea en el vestit, la primera nit de la núvia esdevé propietat de Medea: «la primera nit és meva», la primera nit que serà la darrera, de Medea, que és el sol, com en el mite, però no el sol que escalfa o que dóna vida, sinó «el meu sol», el que crema i mata. La mort com a destrucció és present, de manera més subtil, en l’ús de les referències teatrals. Medea diu que escriu la seva obra de teatre, el seu espectacle, els nens són actors, i l’autora és Medea. És a dir, ella és doblement el subjecte de l’acció: perquè és qui és, en el mite, i perquè ella escriu el guió de tot el que passa. Escriu (relata amb la paraula) l’escena entre la parella de nuvis tal com serà quan rebin el vestit mortal, i aquest relat és en si mateix la mort. La primera persona del monòleg deixa pas a la tercera persona del relat, en boca de Medea, que distancia i alhora acompleix l’acció. No és l’únic lloc en què Müller planteja Medea com un espectacle que és alhora un joc, i aprofita l’ambigüitat del terme Spiel en alemany, com play en anglès, que designa alhora el joc infantil i l’espectacle teatral13. Jugar a fer de Medea és representar la mort i portar la mort. Però l’espectacle, el Schauspiel, és una comèdia, segons Medea, perquè els nens han de riure en veure la núvia inflamada, una rialla gairebé homèrica, absurda, la rialla davant la guerra i la devastació. El plor encara pot ser dolor, però la rialla és l’esquinçament de tot, és la falta de solució. La dida, en canvi, ‘és més vella’ que el plor o el riure, està més enllà de les emocions del teatre14. La dida és la perfecta espectadora, i de fet és la que queda al final de l’obra (de Material de Medea), l’obre i la tanca, muda, i Medea la veu, la recorda i hi parla, mentre que no recorda ni sap qui és Jàson. Ara bé, aquest espectacle de Medea és un instrument de mort, no solament la del germà, la dels compatriotes de Medea, la de Creüsa i la dels fills, sinó de tot allò que expressa el crit i la identitat de Medea, i per això dèiem a l’inici
13. Entre els esborranys de Material de Medea, Müller té un Spiel (joc-obra) que diu: «ara jugarem a un joc, alguns el coneixeran i d’altres no el coneixeran. Però és igual, és senzill d’aprendre i les regles les sap quasi tothom. El joc es diu Medea». MÜLLER, Stücke 3 p. 302, trad. M. Camps.
14. Per a alguns, la dida representa la vellesa i el conflicte entre sexes es planteja en l’obra a través de la figura de Medea que ha envellit. No creiem tant que la vellesa com a pèrdua de joventut femenina sigui realment el conflicte aquí, sinó, en tot cas, la vellesa com a allargament de la vida que, segons el text, és pitjor que la mort. Cf. EKE 1989, 190-225.
Heiner Müller i Medea 163
que el llenguatge del mite clàssic permet una llibertat creativa superior davant de les censures polítiques de cada moment. Per a Müller, l’obra de Medea no és només presentació ni representació de la realitat, sinó acció sobre la realitat. El tríptic de què forma part el Material de Medea presenta una única nota sobre escenografia i muntatge, en un primer mecanoscrit de la qual, a continuació de la frase “el Paisatge amb Argonautes pressuposa les catàstrofes que els homes fabriquen”, Müller havia escrit “L’única cosa que pot aportar el teatre per a evitar-les és representar-les”15 .
La mort i l’oblit
La mort dels infants, tema central del mite, aquí és suggerida, però no és en primer pla. Després d’Eurípides, Medea no pot deixar de matar els fills, és la tradició literària consagrada. En temps dels grecs, les versions del mite de Medea eren diverses, i les raons per la mort dels fills també, sense que la mare hi tingués protagonisme directe, si no era per causa involuntària16. Eurípides, en canvi, presenta la dona que es venja de la seva condició de víctima, com a estrangera i com a dona, destruint allò que és més preat per a l’home, la seva successió. L’autor grec construeix el mite que ha de terroritzar les generacions futures, el de la mare que mata els fills per odi i venjança i, a partir d’aleshores, aquest tret no abandonarà mai la figura de Medea: Sèneca el va subratllar i, des de l’Antiguitat, aquesta ha estat la característica principal que evoca el nom de Medea un cop abandonat el context mític i religiós que la va crear. Per això, les lectures modernes del mite poden innovar sobre aquest tema o reinterpretar-lo, però no pot deixar d’existir en la ment de l’espectador, que està a l’aguait de veure com l’autor ho haurà plantejat o resolt. Christa Wolf, a Medea.Stimmen, recupera algunes variants del mite grec que li permeten crear una ambigüitat entre la figura de Medea i el relat sobre Medea, i plantejar la relació entre veritat i mentida en la política i la història. Müller, en canvi, deixa la presentació en escena de la mort dels infants a mercè de la interpretació del director teatral i del públic, com tantes altres coses, però la seva Medea és, certament, la que mata els fills, sense subterfugis. Al breu text de Medeaspiel, la dona lligada al llit esventra els fills, i la descripció de l’escena és crua. Però a Material de Medea no hi ha aquesta descripció, i la cruesa només és imaginada, de fet és més imaginada per l’espectador que deduïble del relat. No cal que els infants estiguin presents a escena, tampoc no cal que la mort es produeixi en escena, seguint la millor convenció antiga. L’obra de Müller permet fer una interpretació violenta i crua o una al·lusió esbiaixada, però no menys agressiva. Alguns realitzadors han superposat els dos textos de Müller: Vassiliev, en el muntatge presentat al Teatre Lliure el 200517, posava en escena dos ninots lligats per un cordill, que Medea atreia cap a si mateixa —en un gest de fer-los tornar a les seves entranyes, com un cordó umbilical no tallat, que es correspon amb les seves parau-
15. MÜLLER, Aus dem Nachlaß, Die Stücke 3, p. 325.
16. Cf. ILES JOHNSTON 1997, 62-65.
17. Agraeixo l’amabilitat del Teatre Lliure en posar a la meva disposició un enregistrament de l’obra.
Montserrat Camps Gaset
les—i rebentava, per treure’n la palla que els farcia. L’assassinat, explícit, es produïa en escena, reflex del relat del Medeaspiel, no tant del Material. En canvi, el text del Material de Medea permet una lectura més ambigua, més sòbria. No cal que Medea escenifiqui la mort dels seus fills perquè ja els ha matat en el seu interior, els ha convertits en actors de teatre, tota la realitat ha esdevingut teatre, espectacle, del qual ella queda, volgudament, al marge. Fins i tot la realitat masculina i femenina en queda al marge, perquè ella, Medea, s’ha situat al mig. La mort hi és present, l’assassinat no és explícit. Dit d’una altra manera, la mort no es concreta en un assassinat horripilant, no és una escena de violència domèstica. És la mort amb majúscula, preferible a la vida que és fer-se vell, un tema, per cert, molt grec. La dona que, per definició del rol tradicional, ha de donar vida és l’encarnació de la mort, la qual seria preferible a la vida, si hom arribés a conèixer la vida, perquè la vida, en el paisatge que presenta Müller, és la destrucció creada per l’ésser humà. Tot és un espectacle, els nens van disfressats de fills, però són uns actors, Medea comença per no reconèixer els fills i finalment no reconeix Jàson. Els nens ‘fan veure’, fingeixen, com actors, que són morts, però, segons Medea, no poden enganyar la mare, són mentiders i traïdors, són culpables. Ara bé, la pèrdua de la sang dels fills, que és la sang de Medea, comporta el reconeixement de la identitat de la dona: «sóc llesta, sóc Medea», al mateix temps que callen, definitivament, els crits de Còlquide. Medea parla de Corint en passat («això era Corint», ja no ho és), i aquest passat coincideix amb la pèrdua del record de qui és Jàson. L’oblit de tot—Corint, Còlquide, nens i Jàson—representa l’autèntica identitat de Medea definida com el que sempre l’ha definit el mite clàssic: la sàvia. L’obra que ella ha escrit no té lloc per a ningú més, no té lloc per a Jàson. El final del monòleg de Medea distancia la dona de l’espectacle que observa. Corint ja no és Corint, sinó que ho era, el passat s’oposa al present del començament de l’obra, quan ella pensava en un dret de ciutadania per a tota la família.
El trencament de rols
Medea adopta un paper masculí i Jàson té connotacions femenines, segons el llenguatge tradicional, però la identitat de Medea se situa enmig dels dos sense ser ni un rol convencional ni l’altre: «vull trencar la humanitat en dos trossos i viure al buit del mig»18. No és un missatge de conciliació dels rols ni de creació d’un rol nou, sinó d’esquinçament dels rols tradicionals sense proposta, sense solució. En altres ocasions, la crítica de Müller als rols femenins com a esposa, mare i mestressa de casa és evident, a Medeaspiel en el paper de mare i a Lysistrata70 en el de mestressa de casa (vegeu-ne la traducció a l’annex). El missatge d’emancipació és fins i tot massa evident, o massa simple, o almenys ens ho sembla avui dia, perquè en l’Alemanya dels anys sei-
18. «Vull trencar la humanitat en dos trossos/ i viure a la buidor del mig/ jo ni dona ni home», versos que es troben entre les anotacions esparses de Müller, sota el nom “Orlando”, en clara referència a l’obra de Virginia Woolf, M ÜLLER , Werke 8. Schriften , Frankfurt 2005, p. 398.
Heiner Müller i Medea 165
xanta i setanta no ho semblava tant19. Però l’estripada de rols que fa Medea no és ni evident ni simple. Medea trenca la humanitat i el que en resulta és la buidor. No hi ha solució de compromís, sobretot no hi ha solució positiva, hi ha trencament. S’arrossega l’ambivalència des del principi: Medea no accepta que el matrimoni li doni la identitat femenina, ella era abans un animal i tan de bo ho continués sent, segons les seves paraules (però alhora era Medea, no s’està de dir-ho). És dona i és bàrbara i, com a tal, la seva acció trenca els rols masculí i femení i també els rols pretesament civilitzadors, enmig d’un paisatge de guerra. Aquest capgirament és el que condueix al gran tema de l’obra, l’omnipresència de la mort com a contraposició al naixement. Un dels problemes de les lectures fetes sobre el text de Müller és la banalització del relat i la reducció a una qüestió d’emancipació femenina. En certa manera, l’autor mateix hi contribueix, quan parla, en els seus textos autobiogràfics, de la seva experiència poc o gens reeixida amb les dones, dels conflictes matrimonials i de les baralles. Hi ha el perill de degradar el conflicte de Medea a una disputa privada, a un afer de gelosia i adulteri, i convertir l’assassinat en una qüestió de violència domèstica que afecta individus, però la característica de l’obra de Müller és precisament que dibuixa el personatge (perquè de fet només n’hi ha un) amb trets molt expressius però poc definits, sense detalls, com una taca inesborrable d’un paisatge, perquè és un material d’escriptura, no una obra acabada. La feina del director teatral és definir els grans trets i afegir-hi el detall, que pot banalitzar el text o bé donar-li la grandesa atemporal i universal del personatge, fer el salt des de l’episodi individual a la representació de la col·lectivitat, convertir Medea no en un assumpte domèstic sinó en representant de la condició humana. Medea és l’altra per excel·lència, la dona i la bàrbara. No és el prototipus de la gelosia (com en l’obra de Jahnn), sinó l’encarnació d’allò que no encaixa en una societat de rols definits. L’avantatge d’aquesta obra (i del mite) és que planteja l’alteritat de manera atemporal, com la tragèdia, és a dir, desproveïda dels detalls que permeten d’identificar-la amb un moment històric concret i que envelleixen ràpidament.
La qüestió del deus ex machina o del final de la tragèdia euripídia també ha estat plantejada pels directors i adaptadors del text alemany. Com que hi ha poquíssimes indicacions escèniques, algunes posades en escena han recorregut a les projeccions d’imatges en moviment per crear una decoració que alhora donés raó d’un context no explicitat en l’obra. Vassiliev situa els darrers versos de Medea davant d’una enorme imatge fixa del sol, o d’una bola de llum intensa que hom entén que és el sol. No és un deus ex machina pròpiament dit, perquè aquí res no salva res, ni hi ha cap solució ni sortida, sinó que és la identitat de Medea, tant en el mite, amb la seva filiació solar, com en l’obra mateixa de Müller, quan ella diu «el sol que jo sóc, quan surti...». Medea, en recuperar la seva identitat al final de tot, esdevé el sol, que és la seva identitat mítica, però sense escapatòria, perquè no n’hi ha en aquesta obra.
19. WEBER 2005, 119.
MontserratCamps Gaset
Per aquest motiu, les lectures massa reduccionistes, que perden de vista el caràcter tràgic, i per tant, sense solució, de l’obra, converteixen el mite de Medea i en concret aquesta obra en una crítica als rols tradicionals femenins o en un pamflet de defensa de l’emancipació reduïda a les tasques domèstiques. Aquesta obra de Müller no és pamfletària, és complexa. Sobretot, no planteja solucions. Hi ha conflicte, trencament i mort, però no queda clar que el contrari del trencament i de la mort sigui millor o que ni tan sols sigui possible. Medea aquí no desapareix sobre el carro del sol: converteix la seva realitat en un espectacle i salta a fora —al buit— per contemplar-lo. És conscient de la seva identitat quan deixa de sentir les veus de la Còlquide, quan no sent res, quan no reconeix Jàson ni sent la seva veu. Vassiliev fa repetir diverses vegades l’últim vers, «dida, coneixes aquest home?», com una insistència en la desmemòria de Medea o en el seu distanciament20
Els Argonautes
Ara bé, la continuació de Material de Medea no ha gaudit de la mateixa atenció per part de lectors i directors, igual com no sempre es té en compte la primera part de la trilogia. Tanmateix, la lectura de Riba desolada i de Paisatge amb Argonautes serveix per interpretar la part central, el monòleg de Medea, i alguns directors les han fet servir per elaborar el text central21. El Paisatge amb Argonautes és, sobretot, un paisatge de mort, en què exploten les bombes. La mort que Medea encarna en el monòleg s’expressa aquí com a mort col·lectiva, mort del planeta, mort de la terra i dels pobles, a causa dels éssers humans. És la guerra, però és una guerra planetària, així Riba desolada presentava la mort del paisatge a mans una societat que no sap què fer amb els residus que genera, ni en sentit propi ni en sentit figurat. Alguns han interpretat la tercera part com el deus ex machina en forma de bomba atòmica22. Al final de tot, ‘l’avió esperat’ escombra els cadàvers, mentre els trets ressonen en la fugida. Aquest avió és «allò que les meves àvies anomenaven Déu», però no porta la salvació, sinó la mort. Altre cop apareixen els pronoms possessius: «sentia com la meva sang sortia de les meves venes i el meu cos es transformava en el paisatge de la meva mort». No queda clar qui parla, aquí. Hom pot entendre que és Jàson, però també són els Argonautes, la devastació de la guerra, el paisatge. Entre les notes que Müller deixà inèdites, hi ha unes ratlles intitulades FILM on planteja unes escenes, efectivament com de pel·lícula, en què una moto o un cotxe s’esclafen sobre Jàson23. La nau Argo esclafa el personatge (que aquí no ha estat
20. Al nostre parer, aquesta repetició és excessiva, redundant, perquè el distanciament, un cop produït, no necessita repetir-se, perquè la pregunta tampoc no espera cap resposta de la dida, que no ha de resoldre res. Al contrari, la repetició perpetua el temps, com si fos l’únic que continua existint i hom esperés malgrat tot una sortida, mentre que un final més brusc potser hauria expressat millor el no-res.
21. Per exemple, la representació de l’Ariadne Theater el 2006, Beton, a la Kunsthaus Bregenz. Vegeu-ne un passatge a http://www.youtube.com/watch?v=HWzh2AH4v4c
22. KVISTAD 2009, 1-5.
23. Escrit a començaments dels anys vuitanta. «FILM: A l’arbre, ARGO / Desferra de cotxe. Dones que surten de l’aigua. Centaures / motoristes rockers les ataquen/ s’hi abraonen. Rape.
Heiner Müller i Medea 167
caracteritzat mai com a heroi), igual com l’avió d’aquest final de la tercera part. El paisatge i el cos es confonen, doncs, a través de l’aparició de la mort d’aquest déu que ha pres la figura de l’avió. Potser és reduccionista identificar-ho amb la bomba atòmica, com s’ha fet: repetim que la reducció a una realitat concreta treu l’atemporalitat del text i la seva validesa universal. El text no planteja una solució, ni una protesta, ni un ‘mai més’, és tragèdia. La sang flueix i el cos es fon en el paisatge: l’última pregunta és «qui té dents més esmolades, la sang o la pedra?». El cos o el paisatge, la realitat personal, individual, o la realitat col·lectiva? Müller, en les breus observacions escèniques que anota, ja remarca la condició col·lectiva del Jo: «com en cada paisatge, el jo en aquesta part del text és col·lectiu», com ho era la desolació de la riba del principi de l’obra o com ho era, també, la veu singular de Medea.
BIBLIOGRAFIA
P. A. CAMPBELL 2008, «Medea as Material: Heiner Müller, Myth, and Text» Modern Drama 51, 1, pp. 84-103.
M. CAMPS GASET 2010, «Von Kassandra zu Medea» in J. JANÉ, M. SIGUAN (edd.) Was bleibt? Christa Wolf y los temas literarios de la reunificación alemana, Sociedad Goethe en España, Barcelona, pp. 61-71.
N. O. EKE 1989, Heiner Müller. Apokalypse und Utopie, Paderborn.
S. ILES JOHNSTON 1997, «Corinthian Medea and the Cult of Hera Akraia» in J. J. CLAUSS, S. ILES JOHNSTON, Medea, Princeton, pp.44-70.
E. HULLER 2007, Griechisches Theater in Deutschland, Colònia-Weimar.
N. I. KOSKINAS 2010, «Ist eine Medea ohne Kindermord überhaupt denkbar? Metamorphosen bei Euripides und Christa Wolf. Oder: Freispruch für Euripides», Amaltea 2, pp. 91-103.
I. KVISTAD 2009, «The Atomic Bomb as Dea Ex Machina: Heiner Müller’s Medea», Didaskalia 7, 2, pp. 1-6.
H. MÜLLER, Werke 1-8, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1998-2005.
A. OSTER 2007, «Kulturpoetische Funktionen der Literatur. Zum Verhältnis von Ethopoietik und Ethnoästhetik bei Hans Henny Jahnn, Heiner Müller und Hubert Fichte», Arcadia 42, 2, pp. 263-287.
B. SEIDENSTICKER, M. VÖHLER, (edd.) 2002, Mythen in nachmytischer Zeit. Die Antike in der deutschschprachigen Literatur der Gegenwart, Berlin.
C. WEBER 2005, «Heiner Müller’s Lysistrata Experiment», PAJ, A Journal of Performance and Art 27, 1, pp. 117-124.
(Violència i tendresa). Les dones tornen a l’aigua/al llac. Centaures/rockers queden escampats de diverses maneres, morts. Un, regalimant sang, fuig del sol arrossegant-se i busca l’ombra sota l’arbre que té ARGO/la desferra de cotxe. Uns voltors s’apleguen sobre ARGO/ la desferra de cotxe. El vaixell s’esclafa sobre el crani de Jàson.» Hi ha altres anotacions que documenten la voluntat de Müller d’afegir una escena pròpia amb el títol «Pantomima de rockers i/o dones fora del llac/aigua». MÜLLER, Die Stücke 3, p. 306, trad. M. Camps.
Montserrat Camps Gaset
VERKOMMENES UFER MEDEAMATERIAL LANDSCHAFT MIT ARGONAUTEN
See bei Strausberg Verkommenes Ufer Spur
Flachstirniger Argonauten
Schilfborsten Totes Geäst
DIESER BAUM WIRD MICH NICHT ÜBERWACHSEN Fischleichen
Glänzen im Schlamm Keksschachteln Kothaufen FROMMS ACT CASINO
Die zerrissenen Monatsbinden Das Blut
Der Weiber von Kolchis
ABER DU MUSST AUFPASSEN JA
JA JA JA JA
SCHLAMMFOTZE SAG ICH ZU IHR DAS IST MEIN MANN
STOSS MICH KOMM SÜSSER
Bis ihm die Argo den Schädel zertrümmert das nicht mehr gebrauchte
Schiff
Das im Baum hängt Hangar und Kotplatz der Geier im Wartestand
Sie hocken in den Zügen Gesichter aus Tagblatt und Speichel
Starrn jeder in der Hose ein nacktes Glied auf gelacktes
Fleisch Rinnstein der drei Wochenlöhne kostet Bis der Lack
Aufplatzt Ihre Weiber stellen das Essen warm hängen die Betten in die Fenster bürsten
Das Erbrochene aus dem Sonntagsanzug Abflußrohre
Kinder ausstoßend in Schüben gegen den Anmarsch der Würmer
Schnaps ist billig
Die Kinder pissen in die leeren Flaschen
Traum von einem ungeheuren
Beischlaf in Chikago
Blutbeschmierte Weiber
In den Leichenhallen
Die Toten starren nicht ins Fenster
Sie trommeln nicht auf dem Abort
Das sind sie Erde von den Überlebenden beschissen
EINIGE HINGEN AN LICHTMASTEN ZUNGE HERAUS
VOR DEM BAUCH DAS SCHILD ICH BIN EIN FEIGLING
Auf dem Grund aber Medea den zerstückten
Bruder im Arm Die Kennerin
Der Gifte
Totes les traduccions són de Montserrat Camps Gaset
RIBA DESOLADA. MATERIAL DE MEDEA. PAISATGE AMB ARGONAUTES24
Llac a Strausberg Riba desolada Rastre
D’Argonautes capbuits
Arestes de joncs Brancam mort
AQUEST ARBRE NO CREIXERÀ MÉS QUE JO Cadàvers de peixos
Brillen al fang capses de galetes piles de femta FROMM’S ACT CASINO
Les compreses estripades La sang
De les dones de Còlquide
PERÒ HAS D’ANAR AMB COMPTE SI
SI SI SI SI
CONY LLEFISCÓS LI DIC A ELLA AQUEST ÉS EL MEU HOME
CLAVA-ME-LA VINE GUAPO
Fins que l’Argo el crani li esberli la nau que ja no
Fa cap falta
Penjada de l’arbre Hangar i femer dels voltors en mode d’espera
Seuen encongits als trens rostres de diaris i saliva
La vista clavada cada un als pantalons un membre nu sobre carn lacada Desguàs que costa tres setmanades Fins que el lacat
S’esquerda Les seves dones escalfen el menjar pengen els llençols a la finestra raspallen
El vòmit del vestit jaqueta de diumenge Canonades
Que escupen tongades de criatures contra l’assalt dels cucs
L’aiguardent és barat
Els nens pixen a dins de les ampolles buides
Somni d’un monstruós
Coit a Chicago
Dones empastifades de sang
Als dipòsits de cadàvers
Els morts no miren per la finestra
No esvaloten a les latrines
Això és el que són Terra plena de merda dels supervivents
UNS QUANTS PENJAVEN DELS FANALS AMB LA LLENGUA FORA
SOBRE LA PANXA EL RÈTOL SÓC UN COVARD
A terra però Medea amb el germà espedaçat al braç La coneixedora
De metzines
24. Heiner MÜLLER Werke 5. Die Stücke 3, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2002, pp. 73-84. Agraeixo a l’editorial Suhrkamp l’amabilitat de permetre la publicació del text alemany i de la traducció catalana.
170 Montserrat Camps Gaset
MEDEAMATERIAL LANDSCHAFT MIT ARGONAUTEN
Medea
Jason Mein Erstes und mein Letztes Amme
Wo ist mein Mann
Amme
Bei Kreons Tochter Frau
Medea
Bei Kreon sagtest du
Amme
Bei Kreons Tochter
Medea
Hast du gesagt bei Kreons Tochter Ja
Warum bei Kreons Tochter nicht die Macht hat
Wohl über Kreon ihren Vater der
Uns geben kann das Wohnrecht in Korinth
Oder austreiben in ein andres Ausland
Gerade jetzt vielleicht umfaßt er Jason
Mit Bitten ihre faltenlosen Knie
Für mich und seine Söhne die er liebt
Weinst oder lachst du Amme
Amme
Herrin ich
Bin älter als mein Weinen oder Lachen
Medea
Wie lebst du in den Trümmern deines Leibs
Mit den Gespenstern deiner Jugend Amme
Bring einen Spiegel Das ist nicht Medea
Jason
Jason
Weib was für eine Stimme
Medea
Ich Bin nicht erwünscht hier Daß ein Tod mich wegnähm
Dreimal fünf Nächte Jason hast du nicht
Verlangt nach mir Mit deiner Stimme nicht
Und nicht mit eines Sklaven Stimme noch
Mit Händen oder Blick
MATERIAL DE MEDEA PAISATGE AMB ARGONAUTES
Medea
Jàson El meu primer i el meu darrer Dida
On és el meu home
Dida
Amb la filla de Creont dona
Medea
Amb Creont has dit
Dida
Amb la filla de Creont
Medea
Has dit amb la filla de Creont Sí
Per què no amb la filla de Creont que deu tenir poder
Sobre Creont el seu pare el qual
Ens pot donar el dret de residir a Corint
O expulsar-nos cap a un altre exili
Potser ara mateix abraça ell Jàson
Amb súpliques els genolls llisos d’ella
Per mi i pels seus fills que ell estima
Plores o rius Dida
Dida
Senyora jo
Sóc més vella que el meu plorar o riure
Medea
Com vius en els parracs del teu cos
Amb els fantasmes de la teva joventut Dida
Porta’m un mirall Això no és Medea
Jàson
Jàson
Dona quina veu
Medea
Jo
No sóc benvinguda aquí Oh si una mort se m’endugués
Tres cops cinc nits Jàson no has
Demanat per mi No amb la teva veu
Ni amb la veu d’un esclau ni
Amb les mans o la mirada
172 Montserrat Camps Gaset
Jason Was willst du
Medea
Sterben
Jason Das hört ich oft
Medea
Bedeutet dieser Leib
Dir nichts mehr Willst du mein Blut trinken Jason
Jason Wann hört das auf
Medea
Wann hat es angefangen
Jason
Jason Was warst du vor mir Weib
Medea
Medea
Du bist mir einen Bruder schuldig Jason
Jason
Zwei Söhne gab ich dir für einen Bruder
Medea
Du Mir Liebst du sie Jason deine Söhne
Willst du sie wiederhaben deine Söhne
Dein sind sie Was kann mein sein deiner Sklavin
Alles an mir dein Werkzeug alles aus mir
Für dich hab ich getötet und geboren
Ich deine Hündin deine Hure ich
Ich Sprosse auf der Leiter deines Ruhms
Gesalbt mit deinem Kot Blut deiner Feinde
Und wenn du zum Gedächtnis deines Siegs
Über mein Land und Volk der mein Verrat war
Aus ihren Eingeweiden einen Kranz
Um deine Schläfen flechten willst dein sind sie
Mein Eigentum die Bilder der Erschlagnen
Heiner Müller i Medea 173
Jàson
Què vols
Medea
Morir
Jàson
Això ho he sentit sovint
Medea
No significa aquest cos
Res ja per a tu Vols beure la meva sang Jàson
Jàson
Quan s’acabarà això
Medea
Quan ha començat
Jàson
Jàson
Què eres tu abans de mi dona
Medea
Medea
Em deus un germà Jàson
Jàson
Et vaig donar dos fills en compte d’un germà
Medea
Tu a mi Te’ls estimes Jàson els teus fills
Els vols tornar a prendre els teus fills
Són teus Què pot ser meu teu de la teva esclava
Tot el que hi ha en mi és el teu instrument tot el que surt de mi
Per tu he matat i he parit
Jo la teva gossa la teva puta jo
Jo graó de l’escala de la teva glòria
Ungida amb la teva merda Sang dels teus enemics
I si tu com a memòria del teu triomf
Sobre el meu país i poble que fou la meva traïció
Amb les seves entranyes una corona
Et vols trenar als polsos són teus
Són propietat meva les imatges dels degollats
Die Schreie der Geschundnen mein Besitz
Seit ich aus Kolchis auszog meiner Heimat
Auf deiner Blutspur Blut aus meinesgleichen
In meine neue Heimat den Verrat
Blind für die Bilder für die Schreie taub
War ich bis du das Netz zerrissen hast
Gestrickt aus meiner und aus deiner Lust
Das unsre Wohnung war mein Ausland jetzt
In seinen Maschen steh ich ausgerenkt
Die Asche deiner Küsse auf den Lippen
Zwischen den Zähnen den Sand unsrer Jahre
Auf meiner Haut nur meinen eignen Schweiß
Dein Atem ein Gestank aus fremdem Bett
Ein Mann gibt seiner Frau den Tod zum Abschied
Mein Tod hat keinen andern Leib als deinen
Bist du mein Mann bin ich noch deine Frau
Könnt ich sie aus dir beißen deine Hure
An die du mich verraten hast und meinen Verrat der deine Lust war Dank für deinen
Verrat der mir die Augen wiedergibt
Zu sehen was ich sah die Bilder Jason
Die mit den Stiefeln deiner Mannschaft du Gemalt hast auf mein Kolchis Ohren wieder
Zu hören die Musik die du gespielt hast
Mit Händen deiner Mannschaft und mit meinen
Die deine Hündin war und deine Hure
Auf Leibern Knochen Gräbern meines Volks
Und meinen Bruder Meinen Bruder Jason
Den ich deinen Verfolgern in den Weg warf
Zerstückt von diesen meinen Schwesternhänden
Für deine Flucht vor dem beraubten Vater
Meinem und seinem Liebst du deine Söhne
Willst du sie wiederhaben deine Söhne
Du bist mir einen Bruder schuldig Jason
Wen liebt ihr mehr Den Hund oder die Hündin
Wenn ihr dem Vater schöne Augen macht
Und seiner neuen Hündin und dem König
Der Hunde in Korinth hier ihrem Vater
Vielleicht ist euer Platz an seinem Trog
Nimm Jason was du mir gegeben hast
Die Früchte des Verrats aus deinem Samen
Und stopf es deiner Hure in den Schoß
Mein Brautgeschenk für dein und ihre Hochzeit
Geht mit dem Vater der euch liebt Und so
Daß er die Mutter wegtritt die Barbarin
Montserrat Camps Gaset
Els crits dels espellats les meves possessions
Des que vaig marxar de Còlquide la meva pàtria
Seguint el teu rastre de sang Sang dels meus iguals
Cap a la meva nova pàtria la traïció
Cega per a les imatges per als crits sorda
Era jo fins que estripares la xarxa
Teixida amb el meu desig i el teu
Que era el nostre habitatge el meu exili ara
En les seves malles m’estic dreta dislocada
La cendra dels teus besos sobre els llavis
Entre les dents la sorra dels nostres anys
Sobre la pell només la suor meva
El teu alè una fortor de llit estrany
Un home dóna a la seva esposa la mort com a comiat
La meva mort no té cap més cos que el teu
Ets el meu home sóc encara la teva dona
Te la podria arrencar a mossegades la teva puta
Amb qui tu m’has traït a mi i la meva
Traïció que era el teu desig Gràcies per la teva
Traïció que em retorna els ulls
Per a veure el que vaig veure les imatges Jàson
Que amb les botes de la teva tropa tu
Vas pintar sobre la meva Còlquide Orelles altre cop
Per a escoltar la música que vas tocar
Amb mans de la teva tropa i amb les meves
Que era la teva gossa i la teva puta
Sobre cossos ossos tombes del meu poble
I el meu germà El meu germà Jàson
Que vaig llançar al pas dels teus perseguidors
Trinxat amb aquestes meves mans de germana
Per a la teva fugida del pare espoliat
El meu i el seu Te’ls estimes els teus fills
Els vols tornar a tenir els teus fills
Em deus un germà Jàson
Qui estimeu més El gos o la gossa
Si al pare poseu ullets tendres
I a la seva nova gossa i al rei
Dels gossos de Corint aquí al pare d’ella
Potser el vostre lloc és al seu cóm
Pren Jàson allò que m’has donat
Els fruits de la traïció del teu semen
I enfonsa’ls a la falda de la teva puta
El meu regal de noces per a les teves noces i les seves
Aneu amb el pare que us estima I així
Que ell empenyi fora la mare la bàrbara
Weil euren Weg nach oben sie beschwert
Wollt ihr nicht sitzen an der hohen Tafel
Ich war die Milchkuh eure Fußbank jetzt
Wollt ihr Seh ich nicht eure Augen glänzen
Im Vorschein auf das Glück der satten Bäuche
Was klammert ihr euch noch an die Barbarin
Die eure Mutter ist und euer Makel
Schauspieler seid ihr Kinder des Verrats
Schlagt eure Zähne in mein Herz und geht
Mit eurem Vater ders getan hat vor euch
Laß mir die Kinder Jason einen Tag noch
Dann will ich gehn in meine eigne Wüste
Du bist mir einen Bruder schuldig Jason
Nicht lange kann ich hassen was du liebst
Die Liebe kommt und geht Nicht weise war ich
Das zu vergessen Zwischen uns kein Groll
Mein Brautkleid nimm als Brautgeschenk für deine
Schwer geht das Wort mir von den Lippen Braut
Die deinen Leib umfangen wird weinen
An deiner Schulter manchmal stöhnen im Rausch
Das Kleid der Liebe meiner andern Haut
Gestickt mit Händen der Beraubten aus
Dem Gold von Kolchis und gefärbt mit Blut
Vom Hochzeitsmahl aus Vätern Brüdern Söhnen
Soll deine neue Liebe kleiden wie
In meine Haut Dir nah sein werd ich so
Nah deiner Liebe ganz entfernt von mir
Nun geh in deine neue Hochzeit Jason
Ich will die Braut zur Hochzeitsfackel machen
Seht eure Mutter gibt euch jetzt ein Schauspiel
Wollt ihr sie brennen sehn die neue Braut
Das Brautkleid der Barbarin ist begabt
Mit fremder Haut sich tödlich zu verbinden
Wunden und Narben geben gutes Gift
Und Feuer speit die Asche die mein Herz war
Die Braut ist jung wie Glatt spannt sich das Fell
Vom Alter nicht von keiner Brut verwüstet
Auf ihren Leib jetzt schreibe ich mein Schauspiel
Ich will euch lachen hören wenn sie schreit
Vor Mitternacht wird sie in Flammen stehn
Geht meine Sonne auf über Korinth
Ich will euch lachen sehn wenn die mir aufgeht
Mit meinen Kindern teilen meine Freude
Jetzt tritt der Bräutigam ins Brautgemach
Jetzt legt er seiner jungen Braut zu Füßen
Montserrat Camps Gaset
Perquè el camí d’ascens ella us destorba
Oi que voleu seure a l’alta taula
Jo era la vaca lletera el vostre tamboret voleu
Ara que sigui Que potser no veig brillar els vostres ulls
Expectants de la sort dels ventres tips
Per què us aferreu encara a la bàrbara
Que és la vostra mare i la vostra taca
Actors és el que sou fills de la traïció
Claveu les vostres dents al meu cor i marxeu
Amb el vostre pare que ja ho ha fet abans
Deixa’m els nens Jàson un dia encara
Després me n’aniré al meu propi desert
Em deus un germà Jàson
No puc odiar gaire temps allò que estimes
L’amor va i ve No vaig ser prudent
En oblidar-ho Entre nosaltres no hi ha rancúnia
El meu vestit de núvia pren-lo com a regal de noces per a la teva
Costa que la paraula em surti dels llavis núvia
Que abraçarà el teu cos plorarà
A la teva espatlla de vegades gemegarà en deliri
Que el vestit de l’amor de la meva segona pell
Brodat amb les mans dels espoliats fet
Amb l’or de Còlquide i tenyit amb sang
Del banquet de noces de pares germans fills
Vesteixi el teu nou amor com
En la meva pell T’estaré a prop tan
A prop del teu amor molt lluny de mi
Ara vés a la teva nova boda Jàson
Convertiré la núvia en torxa nupcial
Mireu la vostra mare us dóna ara un espectacle
Voleu veure-la cremar la nova núvia
El vestit de núvia de la bàrbara té el do
D’unir-se mortalment amb una pell estranya
Ferides i cicatrius produeixen bon verí
I la cendra que era el meu cor escup foc
La núvia és jove com Llis tiba el pelatge
No malmès per l’edat ni per cap cria
Sobre el cos d’ella escric ara la meva obra
Us vull sentir riure quan cridi
Abans de mitjanit s’abrandarà en flames
S’aixeca el meu sol sobre Corint
Us vull veure riure quan surti per a mi
Amb els meus fills compartir la meva joia
Ara entra el nuvi a la cambra nupcial
Ara deixa als peus de la seva jove núvia
Montserrat Camps Gaset
Das Brautkleid der Barbarin das Brautgeschenk
Getränkt mit meinem Schweiß der Unterwerfung
Jetzt spreizt sie sich die Hure vor dem Spiegel
Jetzt schließt das Gold von Kolchis ihr die Poren
Pflanzt einen Wald von Messern ihr ins Fleisch
Das Brautkleid der Barbarin feiert Hochzeit
Mit deiner Jason jungfräulichen Braut
Die erste Nacht ist mein Es ist die letzte
Jetzt schreit sie Habt ihr Ohren für den Schrei
So schrie als ihr in meinem Leib lagt Kolchis
Und schreit noch Habt ihr Ohren für den Schrei
Sie brennt Lacht ihr Ich will euch lachen sehn
Mein Schauspiel ist eine Komödie Lacht ihr
Wie Tränen für die Braut Ah meine kleinen
Verräter Nicht für nichts habt ihr geweint
Aus meinem Herzen schneiden will ich euch
Mein Herzfleisch Mein Gedächtnis Meine Lieben
Gebt mir mein Blut zurück aus euren Adern
In meinen Leib zurück euch Eingeweide
Heute ist Zahltag Jason Heute treibt
Deine Medea ihre Schulden ein
Könnt ihr jetzt lachen Der Tod ist ein Geschenk
Aus meinen Händen sollt ihr das empfangen
Ganz abgebrochen hinter mir hab ich
Was Heimat hieß jetzt hinter uns mein Ausland
Daß es nicht Heimat wird euch mir zum Hohn
Mit diesen meinen Menschenhänden Ach
Wär ich das Tier geblieben das Ich war
Eh mich ein Mann zu seiner Frau gemacht hat
Medea die Barbarin jetzt verschmäht
Mit diesen meinen Händen der Barbarin
Händen zerlaugt zerstickt zerschunden vielmal
Will ich die Menschheit in zwei Stücke brechen
Und wohnen in der leeren Mitte Ich
Kein Weib kein Mann Was schreit ihr Schlimmer als Tod
Ist alt sein Küssen würdet ihr die Hand
Die euch den Tod schenkt kenntet ihr das Leben
Das war Korinth Wer seid ihr Wer hat euch
Gekleidet in die Leiber meiner Kinder
In euren Augen welches Tier versteckt sich
Stellt ihr euch tot Die Mutter täuscht ihr nicht
Schauspieler seid ihr Lügner und Verräter
Bewohnt von Hunden Ratten Schlangen seid ihr
Das bellt und pfeift und zischt Ich hör es gut
O ich bin klug ich bin Medea Ich
El vestit de núvia de la bàrbara el regal de noces
Xopat amb la meva suor de submissió
Ara estén els braços la puta davant el mirall
Ara li tanca l’or de Còlquide els porus
Planta un bosc de ganivets a la seva carn
El vestit de núvia de la bàrbara es casa
Amb la teva núvia verge Jàson
La primera nit és meva És l’última
Ara ella crida Teniu orelles per al crit
Així cridà quan éreu dins el meu cos Còlquide
I encara crida Teniu orelles per al crit
Ella crema Rieu Us vull veure riure
El meu espectacle és una comèdia Rieu
Com llàgrimes per a la núvia Ah els meus petits
Traïdors No pas per no res heu plorat
Del meu cor tallar us vull
Carn del meu cor Memòria meva Estimats meus
Torneu-me la meva sang de les vostres venes
Al meu cos torneu vosaltres entranyes
Avui és dia de paga Jàson Avui cobra
La teva Medea els seus deutes
Ara podeu riure La mort és un regal
De les meves mans l’heu de rebre
Del tot he tallat darrere meu
El que s’anomenava pàtria ara darrere nostre el meu exili
Que no se us torni pàtria a vosaltres per al meu escarni
Amb aquestes meves mans humanes Ai
Si m’hagués quedat l’animal que jo era
Abans que un home em fes la seva dona
Medea la bàrbara ara repudiada
Amb aquestes meves mans de bàrbara
Mans encetades recosides espellades un cop i un altre
Vull trencar la humanitat en dos trossos
I viure a la buidor del mig Jo
Ni dona ni home Què crideu Pitjor que la mort
és ser vell Besaríeu la mà
Que us regala la mort si coneguéssiu la vida
Això era Corint Qui sou Qui us ha
Vestit amb els cossos dels meus nens
En els vostres ulls quin animal s’amaga
Us feu els morts La mare no l’enganyareu
Actors és el que sou Mentiders i traïdors
Envaïts per gossos rates serps és el que sou
Borden i xisclen i xiulen Ho sento molt bé
Oh sóc llesta sóc Medea jo
180 Montserrat Camps Gaset
Habt ihr kein Blut mehr Jetzt ist alles still Die Schreie von Kolchis auch verstummt Und nichts mehr
Jason Medea
Medea
Amme Kennst du diesen Mann
Ja no teniu sang Ara tot és silenci
Els crits de Còlquide també han emmudit I ja no res
Jàson
Medea
Medea
Dida Coneixes aquest home
Montserrat Camps Gaset
LANDSCHAFT MIT ARGONAUTEN
Soll ich von mir reden Ich wer
Von wem ist die Rede wenn
Von mir die Rede geht Ich Wer ist das Im Regen aus Vogelkot Im Kalkfell
Oder anders Ich eine Fahne ein
Blutiger Fetzen ausgehängt Ein Flattern
Zwischen Nichts und Niemand Wind vorausgesetzt
Ich Auswurf eines Mannes Ich Auswurf
Einer Frau Gemeinplatz auf Gemeinplatz Ich Traumhölle
Die meinen Zufallsnamen trägt Ich Angst
Vor meinem Zufallsnamen
MEIN GROSSVATER WAR
IDIOT IN BÖOTIEN
Ich meine Seefahrt
Ich meine Landnahme Mein
Gang durch die Vorstadt Ich Mein Tod
Im Regen aus Vogelkot Im Kalkfell
Der Anker ist die letzte Nabelschnur
Mit dem Horizont vergeht das Gedächtnis der Küste
Vögel sind ein Abschied Sind ein Wiedersehn
Der geschlachtete Baum pflügt die Schlange das Meer
Dünn zwischen Ich und NichtmehrIch die Schiffswand
SEEMANNSBRAUT IST DIE SEE
Die Toten sagt man stehen auf dem Grund
Aufrechte Schwimmer Bis die Knochen ruhn
Paarung der Fische im ausgeweideten Brustkorb
Muscheln am Schädeldach
Durst ist Feuer
Wasser heißt was auf der Haut brennt
Hunger kaut das Zahnfleisch Salz die Lippen
Zoten stacheln das einsame Fleisch
Bis der Mann nach dem Mann greift
Frauenwärme ist ein Singsang
Die Sterne sind kalte Wegweiser
Der Himmel übt eisige Aufsicht
Oder die glücklose Landung Gegen das Meer zischt
Der Knall der Bierdosen
AUS DEM LEBEN EINES MANNES
Erinnerung an eine Panzerschlacht
Mein Gang durch die Vorstadt Ich
Zwischen Trümmern und Bauschutt wächst
DAS NEUE Fickzellen mit Fernheizung
Der Bildschirm speit Welt in die Stube
PAISATGE AMB ARGONAUTES
Haig de parlar de mi Jo qui
De qui es parla quan
Es parla de mi Jo Qui és
En la pluja de merda d’ocells Amb pelatge de calç viva
O d’una altra manera Jo una bandera un parrac sangonós estès Un aleteig
Entre No res i Ningú suposant que hi hagi vent
Jo excreció d’un home Jo excreció
D’una dona Banalitat sobre banalitat Jo infern dels somnis
Que du el nom que tinc per atzar Jo por del nom que tinc per atzar
EL MEU AVI ERA
IDIOTA A BEÒCIA
Jo el meu periple
Jo el meu aterratge La meva
Travessia del suburbi Jo La meva mort
En la pluja de merda d’ocell Amb pelatge de calç viva
L’àncora és l’últim cordó umbilical
Amb l’horitzó es difumina la memòria de les costes
Els ocells són un comiat Són un retrobament
L’arbre escorxat llaura la serp el mar
Prim entre el jo i el ja no jo el buc del vaixell
NÚVIA DE MARINER ÉS LA MAR
Els morts diuen es drecen al fons
Nedadors a peu dret Fins que els ossos descansin
Còpula dels peixos en el tòrax buidat
Musclos a la tapa del crani
La set és foc
Aigua s’anomena el que crema sobre la pell
La gana mossega la geniva La sal els llavis
Acudits obscens fiblen la carn solitària
Fins que l’home pren l’home
L’escalfor femenina és un cantussol
Les estrelles són indicadors freds
El cel practica una vigilància glaçada
O l’infortunat aterratge Contra la mar xiula
L’espetec de les llaunes de cervesa
DE LA VIDA D’UN HOME
Record d’una batalla de tancs
La meva travessia del suburbi Jo
Entre desferres i enderrocs creix
LA NOVETAT cel·les de cardar amb calefacció central
La pantalla escup món a dins la sala
Montserrat Camps Gaset
Verschleiß ist eingeplant Als Friedhof
Dient der Container Gestalten im Abraum
Eingeborene des Betons Parade
Der Zombies perforiert von Werbespots
In den Uniformen der Mode von gestern vormittag
Die Jugend von heute Gespenster
Der Toten des Krieges der morgen stattfinden wird
WAS BLEIBT ABER STIFTEN DIE BOMBEN
In der prachtvollen Paarung von Eiweiß und Dosenblech
Die Kinder entwerfen Landschaften aus Müll
Eine Frau ist der gewohnte Lichtblick
ZWISCHEN DEN SCHENKELN HAT
DER TOD EINE HOFFNUNG
Oder der Jugoslawische Traum
Zwischen zerbrochnen Statuen auf der Flucht
Vor einer unbekannten Katastrophe
Die Mutter im Schlepptau die Alte mit dem Tragholz
Im rostigen Harnisch läuft DIE ZUKUNFT mit Ein Rudel Schauspieler passiert im Gleichschritt
MERKT IHR NICHT DASS SIE GEFÄHRLICH SIND ES SIND
SCHAUSPIELER JEDES STUHLBEIN LEBT EIN HUND
Wortschlamm aus meinem
Verlassenen Niemandsleib
Wie herausfinden aus dem Gestrüpp
Meiner Träume das um mich herum
Ohne Laut langsam zuwächst
Ein Fetzen Shakespeare
Im Paradies der Bakterien
Der Himmel ist ein Handschuh auf der Jagd
Maskiert mit Wolken unbekannter Bauart
Rast auf dem toten Baum Die Leichenschwestern
Meine Finger spielen in der Scheide
Nachts im Fenster zwischen Stadt und Landschaft
Sahn wir dem langsamen Sterben der Fliegen zu So stand Nero über Rom im Hochgefühl
Bis der Wagen vorfuhr Sand im Getriebe
Ein Wolf stand auf der Straße als er auseinanderbrach
Busfahrt im Morgengrauen Rechts und links
Die Schwestern dampfend unter dem Kleid Der Mittag
Stäubte ihre Asche auf mein Fell
Während der Fahrt hörten wir die Leinwand reißen
Und sahn die Bilder ineinander stürzen
Die Wälder brannten in EASTMAN COLOR
Aber die Reise war ohne Ankunft NO PARKING
An der einzigen Kreuzung mit einem Auge
Obsolescència programada De cementiri
Serveix el contenidor Siluetes entre la runa
Indígenes del ciment Desfilada
De zombis perforada d’espots publicitaris
Amb els uniformes de la moda d’ahir al matí
La joventut d’avui fantasmes
Dels morts de la guerra que tindrà lloc demà
EL QUE QUEDA PERÒ HO FUNDEN LES BOMBES
En la còpula fastuosa de la proteïna i la llauna de conserves
Els nens dissenyen paisatges d’escombraries
Una dona és el punt de llum habitual
ENTRE LES CUIXES TÉ
LA MORT UNA ESPERANÇA
O el somni iugoslau
Entre estàtues trencades en la fugida
D’una catàstrofe desconeguda
La mare en la comitiva la vella amb el sarment
Amb armadura rovellada corre també EL FUTUR
Un ramat d’actors travessa marcant el pas
NO US ADONEU QUE SÓN PERILLOSOS SÓN
ACTORS POTES DE CADIRA VIVES UN GOS
Fangar verbal del meu
Cos de ningú abandonat
Com destriar d’entre la brossa
Dels meus somnis que al meu voltant
Sense soroll a poc a poc creix
Un parrac de Shakespeare
En el paradís dels bacteris
El cel és un guant que surt de cacera
Disfressat amb núvols d’estil desconegut
Esbarjo sobre l’arbre mort Les infermeres dels cadàvers
Els meus dits juguen dins la vagina
De nit a la finestra entre ciutat i paisatge
Contemplàvem la lenta mort de les mosques
Així es dreçava Neró sobre Roma amb altivesa
Fins que el cotxe avançà Sorra als engranatges
Hi havia un llop al carrer quan es desmuntà
Un viatge d’autobús a l’alba A dreta i esquerra
Les infermeres fumejant sota el vestit El migdia
Espolsava les cendres d’elles sobre el meu pèl
Durant el viatge sentírem que s’estripava la pantalla
I veiérem l’esfondrament de les imatges
Els boscos cremaven en EASTMAN COLOR
Però el viatge era sense arribada NO PARKING
A l’única cruïlla amb un ull
186 Montserrat Camps Gaset
Regelte Polyphem den Verkehr
Unser Hafen war ein totes Kino
Auf der Leinwand verfaulten die Stars in Konkurrenz
Im Kassenraum würgte Fritz Lang Boris Karloff
Der Südwind spielte mit alten Plakaten
ODER DIE GLÜCKLOSE LANDUNG Die toten Neger
Wie Pfähle in den Sumpf gerammt
In den Uniformen ihrer Feinde
DO YOU REMEMBER DO YOU NO I DONT
Das getrocknete Blut
Qualmt in der Sonne
Das Theater meines Todes
War eröffnet als ich zwischen den Bergen stand
Im Kreis der toten Gefährten auf dem Stein
Und über mir erschien das erwartete Flugzeug
Ohne Gedanken wußte ich
Diese Maschine war
Was meine Großmütter Gott genannt hatten
Der Luftdruck fegte die Leichen vom Plateau
Und Schüsse knallten in meine torkelnde Flucht
Ich spürte MEIN Blut aus MEINEN Adern treten
Und MEINEN Leib verwandeln in die Landschaft
MEINES Todes
IN DEN RÜCKEN DAS SCHWEIN
Der Rest ist Lyrik Wer hat bessre Zähne
Das Blut oder der Stein
Polifem dirigia el trànsit
El nostre port era un cinema mort
A la pantalla es podrien les estrelles en competència
A la taquilla Fritz Lang escanyava Boris Karloff
El vent del sud jugava amb vells cartells
O L’INFORTUNAT ATERRATGE Els negres morts
Com estaques clavades a l’aiguamoll
Amb els uniformes dels seus enemics
DO YOU REMEMBER DO YOU NO I DONT
La sang seca
Qualla al sol
El teatre de la meva mort
S’obrí quan em vaig aixecar entre les muntanyes
En el cercle dels companys morts sobre la pedra
I damunt meu aparegué l’avió esperat
Sense pensar sabia que
Aquesta màquina era
El que les meves àvies havien anomenat Déu
La pressió de l’aire escombrà els cadàvers fora de l’altiplà
I uns trets van espetegar en la meva fugida vacil·lant
Sentia que la MEVA sang sortia de les MEVES venes
I que EL MEU cos es transformava en el paisatge de la MEVA mort
CAU A L’ESQUENA LA SORT
La resta és lírica Qui té més bones dents
La sang o la pedra
188 Montserrat Camps Gaset
Anmerkung
Der Text braucht den Naturalismus der Szene. VERKOMMENES UFER kann bei laufendem Betrieb in einer Peepshow gespielt werden, MEDEAMATERIAL an einem See bei Strausberg, der ein verschlammter Swimmingpool in Beverley Hills oder die Badeanstalt einer Nervenklinik ist. Wie MAUSER eine Gesellschaft der Grenzüberschreitung, in der ein zum Tod Verurteilter seinen wirklichen Tod auf der Bühne zur kollektiven Erfahrung machen kann, setzt LANDSCHAFT MIT ARGONAUTEN die Katastrophen voraus, an denen die Menschheit arbeitet. Die Landschaft mag ein toter Stern sein, auf dem ein Suchtrupp aus einer andern Zeit oder aus einem andern Raum eine Stimme hört und einen Toten findet. Wie in jeder Landschaft ist das Ich in diesem Textteil kollektiv. Die Gleichzeitigkeit der drei Textteile kann beliebig dargestellt werden.
Nota
El text necessita el naturalisme de l’escena. RIBA DESOLADA es pot representar enmig del moviment incessant d’un Peepshow, MATERIAL DE MEDEA, en un llac a prop de Strausberg, que és una piscina plena de llot a Beverly Hills o la secció de banys d’una clínica de malalts nerviosos. Tal com MAUSER pressuposa una societat de la transgressió de límits, en la qual un condemnat a mort pot convertir la seva mort real en experiència col·lectiva sobre l’escenari, PAISATGE AMB ARGONAUTES pressuposa les catàstrofes que fabrica la humanitat. El paisatge pot ser una estrella morta en què una tropa de rescat d’una altra època o d’un altre univers sent una veu i troba un cadàver. Com en qualsevol paisatge, el Jo en aquesta part del text és collectiu. Es pot representar com es vulgui la simultaneïtat de les tres parts del text.
190 Montserrat Camps Gaset
Medeaspiel
Ein Bett wird vom Schnürboden heruntergelassen und hochkant aufgestellt. Zwei weiblich Figuren mit Totenmasken bringen ein Mädchen auf die Bühne und stellen es mit dem Rücken zum Bett auf. Einkleidung der Braut. Mit dem Gürtel des Brautkleids wird sie an das Bett gebunden. Zwei männliche Figuren mit Totenmasken bringen den Bräutigam und placieren ihn mit dem Gesicht zur Braut. Er steht kopf, geht auf den Händen, schlägt Rad vor ihr usw.; sie lacht lautlos. Er zerreißt das Brautkleid und nimmt seinen Platz an der Braut ein. Projektion: Geschlechtsakt. Mit den Fetzen des Brautkleids fesseln die männlichen Totenmasken die Hände und die weiblichen Totemasken die Füsse der Braut an das Bett. Der Rest dient als Knebel. Während der Mann vor den (weiblichen) Zuschauern kopfsteht, auf den Händen geht, Rad schlägt usw., schwillt der Bauch der Frau an, bis er platzt. Projektion: Geburtsakt. Die weiblichen Totenmasken holen der Frau ein Kind aus dem Bauch, lösen ihre Handfesseln, legen ihr das Kind auf die Arme. Gleichzeitig haben die mänlichen Totenmasken den Mann so mit Waffen behängt, daß er sich nur noch auf allen Vieren fortbewegen kann. Projektion: Tötungsakt. Die Frau nimmt ihr Gesicht ab, zerreißt das Kind und wirft die Teile in die Richtung des Mannes. Aus dem Schnürboden fallen Trümmer Gliedmaßen Eingeweide auf den Mann.
Espectacle Medea25
Des de les bambolines baixa un llit que queda dret, vertical. Dues figures femenines amb màscares funeràries porten una noia a escena i la col·loquen amb l’esquena tocant al llit. Vestiment de la núvia. La lliguen al llit amb el cinturó del vestit de núvia. Dues figures masculines amb màscares funeràries porten el nuvi i el col·loquen amb el rostre mirant la núvia. Ell fa la figuereta, camina sobre les mans, fa la roda al seu davant, etc.; ella riu en silenci. Ell estripa el vestit de núvia i ocupa el seu lloc en la núvia. Projecció: acte sexual. Amb els parracs del vestit de núvia les màscares funeràries masculines lliguen les mans de la núvia al llit i les màscares funeràries femenines li lliguen els peus. La resta serveix de mordassa. Mentre l’home fa la figuereta davant del públic (femení), camina sobre les mans, fa la roda, etc., el ventre de la dona s’infla fins que rebenta. Projecció: acte del part. Les màscares funeràries femenines prenen una criatura del ventre de la dona, deslliguen les mans de la dona i li posen la criatura als braços. Al mateix temps, les màscares funeràries masculines han penjat tantes armes a l’home que aquest només es pot moure a quatre grapes. Projecció: acte de matar. La dona es treu la cara, esquartera la criatura i llança els trossos en direcció a l’home. Des de les bambolines cauen despulles, membres, entranyes, sobre l’home.
25. Heiner MÜLLER, Werke 1. Die Gedichte, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a.M. 1998, p. 177
Montserrat Camps Gaset
[Lysistrate 70]
CHOR
Nach viertausend Jahren Herdrauch Küchendunst Wäschedampf
Vom Geschirrspülen reden wir nicht und vom Staubfressen
Und das Erbrochene-vom-Vereinsabend-aus-dem-Frack-bürsten
Damit er seinem Chef wieder in den Arsch kriechen kann
Ohne daß er die Nase rümpft, und nebenan
Pissen die Kinder schon in die leeren Flaschen
Aber er wälzt sich noch im Doppelbett und träumt von der Weltherrschaft
Die er morgen antreten wird oder wasweißich
Einem ungeheuren Beischlaf in Chikago
Blutbeschmierte Weiber in den Leichenhallen
Und alles was ich von ihm habe ist sein Grunzen wie ein besoffenes Schwein.
Nach viertausend Jahren die Beine aufmachen für jedes Arschloch
Das einen eigenen Schwanz hat der uns den Bauch dick machen kann
Nach viertausend Jahren die Titten den Kindern ins Maul hängen
Bis sie am Boden schleifen beim die Treppe bohnern
Haben wir Köchin Waschbrett Matratze Müllerschlucker
Beschlossen es nicht mehr zu sein, sondern von jetzt an
Unsern Kampf zu führen mit allen Mitteln
Gegen die Herrschaft des Mannes über die Frau
Und zwar bis zur vollständigen Unterwerfung
Des Mannes unter die Herrschaft der Frau, also
Verfallen zu lassen unsre Wohnstätten gänzlich
Die zu unserm Gefängnis gemacht hat er
Und wenn sie zum Himmel stinken und wenn sie schwarz werden
Den Wanzen das Bett, den Schaben die Küche, den Motten der Kleiderschrank
Und nicht mehr aufzumachen die Beine für ihn
Der unsre Lust zu seiner Waffe gemacht hat
Also die Welt zu verwandeln in einen Dreckhaufen
Damit er sieht, daß sie ein Dreck ist, denn das ist sie
Ohne unsere Arbeit und er selber ist auch ein Dreck.
C. Wollen wir Mann und Frau spielen, August.
A. Meinetwegen. Ich spiele den Mann.
C. Den Mann spiele ich.
[Lisístrata 70]26
COR
Després de quatre mil anys de fum de fogons calitja de cuina vapor de bugada
No parlem ja de rentar plats i d’empassar-nos pols
I de raspallar del frac el vòmit d’anit
Per tal que ell pugui tornar a ajupir-se al cul del seu amo
Sense que aquest arrufi el nas, mentre al costat
Ja pixen els nens en les ampolles buides
Però ell encara romanceja al llit doble i somia amb el domini mundial
Que demà aconseguirà o vés a saber què
Un coit monstruós a Chicago
Dones tacades de sang als dipòsits de cadàvers
I tot el que en tinc és el seu grunyit com un porc borratxo.
Després de quatre mil anys d’obrir les cames per a cada cabró
Que té una cua pròpia que ens pot inflar el ventre
Després de quatre mil anys de penjar les metes al morro de les criatures
Fins que s’arrosseguin per terra a l’hora de fregar l’escala
Nosaltres hem decidit no ser ja més cuinera matalàs escarràs
Sinó a partir d’ara
Emprendre el nostre combat amb tots els mitjans
Contra el domini de l’home sobre la dona
I això fins a la submissió completa
De l’home sota el domini de la dona, per tant,
Deixar ensorrar del tot els nostres habitacles
Que ell ha convertit en la nostra presó
Ni que la pudor arribi al cel o es tornin negres,
A les xinxes el llit, la cuina, a les paneroles, a les arnes l’armari
I no tornar a obrir mai més les cames per a ell
Que ha convertit el nostre desig en la seva arma
O sigui, convertir el món en un munt de porqueria
Perquè vegi que el món és porqueria, perquè això és el que és
Sense el nostre treball i ell mateix també és porqueria.
C Juguem a home i dona, August.
A Com vulguis. Jo faig d’home.
C D’home en faig jo.
26. Heiner MÜLLER, Werke 4, Die Stücke 2, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M. 2001, pp. 558-559.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 195-221
DOI: 10.2436/20.2501.01.56
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica
Natalia Palomar Universitat de Barcelona npalomar@ub.edu
ABSTRACT
Those who enter L’Edipo dei Mille. Tragedia dei sensi per uno spettatore know that they will be blindfolded; it is the single blindfold spettatore who, led by a small group of actors, will be acting as Oedipus. This way M. Munaro redirects Sophocles’ tragedy to another pattern of Greek ritual drama, that of Eleusinian Mysteries. In this paper we analyse the most significant coincidences: both the spettatore and the initiated make a personal choice which requires certain preliminary rites and which involves a journey in the dark. The spettatore, as well as the μύστης, lives a true experience that provides him or her with access to a decisive understanding; furthermore he/ she is guided by an affectionate mystagogus, the angelo . Finally, in both cases the experience is recognized as a gift, and silence is respected as necessary.
KEYWORDS: Oedipus, M. Munaro, Eleusis, revelation, embrace
Para María, angelo de por vida
No es evidente la pertinencia de lo que me dispongo a hacer mediante este escrito. Viajé a Venecia la primavera del año pasado para asistir a L’Edipo dei Mille del Teatro del Lemming que dirige Massimo Munaro, sabiendo que se trataba de una representación para un solo espectador, que en este caso sería yo misma, y que se me vendarían los ojos. Pero no sospechaba
Natalia Palomarque el oxímoron contenido en esa intrigante advertencia (‘espectador’ parece contradictorio con ‘ojos vendados’) iba a imponerse con un vuelco aún más decisivo: quien actúa como Edipo es justamente ese único espectador vendado: fui yo misma, conducida por un reducido grupo de actores. Así pues, la expectativa de que vas a asistir —aunque sea de alguna manera insólita— a una tragedia resulta rebasada: cada quien, puesto escénicamente en las encrucijadas del mito, siente que es Edipo. Pero hay más: a la vez, sientes en tensión creciente tu identidad y es así como puede llegar la revelación.
Supongo que por poca noticia que se tenga acerca de iniciaciones mistéricas, uno puede constatar que en eso consiste lo que se le ha brindado durante la media hora que dura tal representación. En mi caso, una vez recuperado el distanciamiento necesario para una apreciación de este tipo, las referencias a Eleusis empezaron a venirme a la mente. Y puesto que al salir del recinto se me había entregado una carta invitándome a escribir mis impresiones, compuse una relación de aspectos comparables entre L’Edipo dei mille y los misterios eleusinos y la envié a la dirección de la compañía, expresando también mi reconocimiento agradecido a «un trabajo de altísima originalidad y calidad dramática»1 .
Pero lo que ahora voy a hacer desbordará el ámbito de este peculiar colectivo de cuantos ya nos hemos arriesgado a entrar en una propuesta dramática que de improviso nos hizo encarnar a Edipo; y atenta contra la esencia misma de la propuesta de Munaro 2. Por tanto advierto que, a mi entender, lo idóneo sería acceder primero a esta insólita “tragedia dei sensi per uno spettatore”, averiguando dónde y cuándo se ofrece L’Edipo dei Mille; y ya habrá tiempo y lugar para leer estas reflexiones sobre una creación teatral que recupera la tragedia griega más emblemática, el Edipo rey de Sófocles, precisamente reconduciéndola a otro formato del drama ritual griego: el de los misterios eleusinos. A estas alturas de mi investigación3, he constatado cómo el propio Munaro destaca la dimensión iniciática de su Edipo, e incluso menciona concretamente los misterios de Eleusis; y tanto en los diarios de los actores y del director como en las cartas de respuesta a su obra4, aparecen términos y comentarios que apuntan en esa línea de interpretación en clave ritual. Contando ahora con ese trasfondo, lo que puede aportar mi trabajo es una mayor extensión y precisión en cuanto a los elementos de coincidencia
1. Publicaron la carta traducida en su web, donde se localiza con fecha 8 maggio 2011 : <http://www.edipodeimille.it/> [consulta 25/7/ 2012].
2. Él también se refiere, aunque en otros términos, a la problemática que le ha representado publicar un libro sobre esta obra, MUNARO 2010, 13-15.
3. Desarrollada en el marco del proyecto ‘Usos y construcción de la tragedia y lo trágico’ y presentada en el congreso internacional Tragèdia, tragicitat i tràgic (Barcelona 19-20 octubre 2012), contando con la generosa colaboración de Massimo Munaro y Chiara Elisa Rossini.
4. Una selección de los mismos, titulada «Il lungo viaggio di Edipo: testimonianze» ha sido publicada en MUNARO 2010, 74-157. Todas las cartas de las temporadas 2011-2012 se puede leer en <http://www.edipodeimille.it/>
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 197
entre esta tragedia y aquellos misterios, más una hipótesis a propósito de un elemento fuerte del Edipo de Munaro: el abrazo.
Antes de proceder, una breve noticia histórica: el germen de esta obra fue un laboratorio titulado Edipo, i cinque sensi del teatro, a finales de 1996; se estrenó con el título EDIPO Tragedia dei sensi per uno spettatore en el espacio móvil de la Torre Pighin de Rovigo en la primavera del 1997; y durante 15 años se han sucedido más de 3500 réplicas 5 en 60 lugares diferentes. En 2011, para celebrar esos 15 años y como homenaje por el 150 aniversario de la Unidad de Italia, el Teatro del Lemming se las ingenia para prodigar su Edipo multiplicándolo como proyecto pedagógico-espectacular: L’Edipo dei Mille . Se trata de un laboratorio itinerante que forma en cada ciudad a 30 alumnos y los distribuye en cinco grupos, cada uno guiado por un actor de la compañía, para que la obra se represente simultáneamente en cinco espacios del lugar. La primera etapa fue en Venezia-Mestre (abril-mayo 2011); la segunda, en Bassano (julio 2012).
Mutatis mutandis, los misterios de Eleusis pueden remontarse a finales del siglo VIII a. C., y mantuvieron su vitalidad hasta que el emperador Teodosio cerró el santuario en el siglo IV6. Obviando la problemática que representa esta dilatadísima historia, recordaremos que los misterios de Eleusis se celebraban cada año y que se configuraron como doble etapa. Una era preliminar, los Pequeños Misterios: tenían lugar en primavera (mes de Anthesterion), todavía en Atenas, en un lugar llamado Agra. La otra, definitiva, los Grandes Misterios, que llevaba varios días del mes de Boedromion (entre septiembre y octubre): los adeptos eran convocados en Atenas, hacían un recorrido procesional de 18 km. hasta Eleusis y allí culminaban los misterios. La iniciación, por tanto, comportaba todo un calendario y el correspondiente proceso, con posibilidad de que el iniciado ( μύστης) alcanzara en una segunda ocasión el grado máximo (ἐπόπτης).
A pesar de la evidente desproporción entre el Edipo de Munaro y los misterios de Eleusis, propongo identificar una serie de coincidencias y una analogía básica que pueden contribuir a iluminar nuestra comprensión de uno y otro fenómeno.
1. Lo específicamente personal de la opción
La primera excentricidad con que se encuentra quien se decide por el (presunto) espectáculo teatral titulado L’Edipo dei Mille, es el requisito de ‘ prenotazione’. No se trata de una simple reserva de entrada, sino de una espe-
5. Calco el término del Teatro del Lemming ‘repliche’, por marcar la singularidad del caso: es evidente que la actuación de cada espectador/Edipo constituye una variación de la obra. Sobre este fenómeno y la necesaria capacidad de “ascolto” de los actores que comporta, cf. MUNARO 2011, 31-32, 39-71 y el registro de las Conversazione scheniche en <http://vimeo.com/24016286> [consulta 30/8/2012].
6. Sobre la cronología de los misterios de Eleusis, cf. LIPPOLIS 2006, 25-30.
Natalia Palomarcie de cita personal, puesto que el interesado ha de identificarse por su nombre y se le adjudica un día y una hora precisa, con la advertencia de que ha de presentarse con cierta antelación. Notemos cómo funciona lo drástico del lenguaje, ‘ PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA ’: no enmascara la autoridad de los responsables del espectáculo y permite probar la disposición del espectador a aceptarla. Una vez en el lugar, el tener que esperar sabiendo que otra persona ya está participando de lo que luego uno va a encontrarse y que de momento es una incógnita, genera una especie de alerta y cierta sensación de suspense. Además, saberse esperado en exclusiva por todo un grupo de actores agudiza la conciencia personal con respecto al asunto.
Un contraste similar podemos considerar en la antigua Atenas entre lo que era asistir al festival de tragedias y lo que comportaba en cambio acudir a los misterios de Eleusis. Para los ciudadanos atenienses, el acceso como espectadores al teatro de la ciudad para celebrar las Grandes Dionisias era algo automático, un comportamiento incuestionable, un acto cívico que les afirmaba en su pertenencia a un cuerpo social poderoso. El hecho de que se tratara también de un certamen dramático permitía al colectivo de ciudadanos experimentar su competencia para emitir un veredicto; es decir, su autoridad con respecto a los espectáculos que contemplaban y la satisfacción que esto comporta.
En cambio la iniciación en los misterios de Eleusis no era un asunto político sino individual: no era necesario ser ciudadano ni tampoco ser ateniense, de modo que también las mujeres y los esclavos podían decidir iniciarse; y cada año Atenas enviaba embajadores a las ciudades griegas para invitar a sus habitantes a los Misterios7. A pesar de su implicación, la ciudad de Atenas como tal no hacía más que prestar colaboración para que el santuario de Eleusis y sus familias sacerdotales ofrecieran los ritos instituidos por Deméter a cuantas personas lo solicitaran. Y aunque cualquier persona pudiera presentarse para la iniciación, la autoridad de los oficiantes con respecto a los candidatos se declaraba en la imposición de dos únicas condiciones, una de orden moral y otra de orden práctico: manos limpias de crimen y hablar inteligible -es decir, griego8
También podemos considerar aquí el coste de la iniciación: cada iniciado tenía que pagar sus óbolos, según documentan las inscripciones9; en cambio era la ciudad la que asumía los gastos de los certámenes trágicos, encargando cada año la financiación a determinados ciudadanos ricos.
7. Σπονδοφόροι, cf. CLINTON 2007, 345, también sobre el orgullo que representaban los Misterios para Atenas.
8. Así se documenta, entre otros, en Teón de Esmirna, La utilidad de la matemática p. 14 (Hiller), cf. SCARPI F 18. Cito todos los testimonios sobre los misterios de Eleusis por la edición de SCARPI, excepto el Himno Homérico a Deméter.
9. Cf. MYLONAS 1961, 237.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 199
2. Ritos preliminares
Una vez llega la hora convenida, tras haber visto salir al anterior espectador10, quien va a ser ahora el ‘uno spettatore’ entra en un lugar apenas iluminado por una vela, donde una persona le da una serie de indicaciones: concretamente, ha de quitarse el reloj, las joyas, los pasadores de pelo, el bolso, los zapatos, y dejarlo todo allí -se entiende, antes de entrar donde ha de tener lugar la obra. La situación resulta inesperada: se había anunciado la venda para los ojos, pero no esta especie de expoliación que se impone discretamente, pero con perceptible carácter ritual 11 . De hecho, comporta una pérdida de control de esos elementos propios, identificadores, y el espectador nota que se está poniendo a disposición de una incógnita más comprometedora de lo que había previsto. Destacamos el simbolismo que aquí tiene descalzarse: al quitarse los zapatos uno se deshace de la suciedad del exterior, asociada al ajetreo cotidiano, para poder entrar en un recinto digno de mayor intimidad y pureza. Notamos también que en este preámbulo el espectador está siendo guiado personalmente por algún componente de la compañía12
No era éste el caso de los ciudadanos atenienses cuando se instalaban en las gradas para contemplar una tragedia: acceder al teatro no tenía mayor complicación. En cambio, para entrar en el recinto sagrado de Eleusis, donde se realizaba propiamente la iniciación, había que pasar por toda una serie de ritos previos. Ya nos hemos referido a los Pequeños Misterios como etapa preliminar, tanto a efectos de tiempo como de espacio, puesto que se celebraban con meses de antelación y en Atenas. Como era habitual en estos casos, contaban con ceremonias de purificación 13 , probablemente en las aguas del río Iliso, que cada iniciado realizaba guiado por un mystagogós (‘guía del iniciando o iniciado’). Pero también los Grandes Misterios insistían en los ritos purificatorios: el segundo día, todavía en el área de Atenas, en el puerto del Falero o en el Pireo, al grito de ‘¡Al mar!’ (ἅλαδε), los adeptos tenían que meterse en el mar a tal efecto. Además, cada uno de ellos llevaba consigo un cerdito, que también tenía que purificar en las aguas de mar para sacrificarlo luego. Y lo hacía acompañado por el mistagogo El sacrificio del lechón también tiene carácter purificatorio en este caso: el animal es receptáculo de la impureza del adepto y al darle muerte se elimina esa impureza. Por otra parte se practicaba la abstinencia de determinados alimentos14 y el
10. Excepto en el caso de ser el primero de la serie de réplicas. El número máximo contemplado por el Teatro del Lemming para cada día es de 10.
11. En el esquema estructural que se te entrega a la salida se denomina ‘la cerimonia della spoliazione’.
12. «A introdurre lo spettatore è quasi sempre l’autore-regista», MUNARO 2010, 40 n. 3.
13. Agradezco a mi colega Teresa Fau sus observaciones sobre la presencia en los misterios órficos de algunos elementos que aquí se tratan: purificaciones, sacrificio, ingesta de alimento, binomio blanco/negro.
14. Una noticia de Porfirio los detalla, Abst. IV 16; cf. SCARPI F 31.
200 Natalia Palomar ayuno, en particular durante el sexto día, previo a la noche decisiva de la iniciación. Esto nos remite de nuevo al Edipo, no directamente al espectador, pero sí a los actores que lo conducen. En efecto, los actores, para posibilitar a cada espectador que realice esta especie de iniciación, han de haber asumido para sí mismos unas condiciones de máximo compromiso, casi sacerdotal, cosa que se expresa en sus testimonios con toda claridad:
La nostra vita è condizionata (...). A partire delle abitudine che abbiamo dovuto acquisire: docce ad orari improbabili; vere e propie cerimonie di vestizione per rendere gradevole nostro corpo, e il conttato con esso; per non parlare del fatto che non si può mangiare troppo se no l’alito puzza, non si può mangiare neanche poco, se no lo stomaco brontola... CONDIZIONATI DA EDIPO. (...) Communque sia, anche se stanchissimi, molto provati, quasi sempre digiuni (...)
(dal Diario dell’Attore di Barbara C - Rovigo 27 marzo 1997)15
3. Recorrer en penumbra un espacio desconocido
L’ Edipo dei Mille también disloca las consignas previsibles de espacio teatral. No requiere un teatro, sino algún espacio de la ciudad preferentemente simbólico y ascensional —como una torre—, o bien que permita un recorrido laberíntico al disponer de diversas habitaciones. El espacio en cuestión puede ser un teatro, pero el uso resulta completamente atípico: en ningún momento el espectador se acomoda en una de las butacas, sino que ha de realizar todo un recorrido por la sala y otras estancias insospechadas del lugar. En mi caso, al entrar en la sala vacía y oscura del teatro G. Poli de Santa Marta16, sólo vi que enfrente, al fondo del pasillo, a la luz de una vela, había alguien como invitándome a acercarme; al llegar junto a él17, me llevó pasando su brazo sobre mi hombro hasta el pasillo situado bajo el escenario, donde me vendaron los ojos. A partir de ese momento, fue un recorrido a ciegas e intermitente por superficies que cambiaban, incluso a veces movientes, con escalones que subir y bajar, también una plataforma giratoria y una especie de colchón donde me recostaron. A veces, confortada por la afectuosa presencia de aquel guía; otras, en cambio, provocada sensual o violentamente por los demás actores en su dinámica envolvente; y por momentos, abandonada a mi propia desorientación. Al ir descalza y con los ojos vendados, la conciencia de caminar y la dificultad de hacerlo se incrementa. El malestar acrece cuando oyes carcajadas en torno a ti y cuando notas que te fustigan
15. Cf. MUNARO 2010, 81
16. Simultáneamente se representaba en el Magazzino Gardini sede del Bucintoro, en la Sala del Camino de la Giudecca (Venezia), y en la Torre Civica y el Teatro Momo (Mestre).
17. Cuando el espectador es un hombre, le hace de guía una mujer.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 201
en la cara con una especie de escobilla. Al cabo de un tiempo considerable, llegas a un lugar donde te hacen sentar y te susurran una orden: que cuentes hasta 17 y abras los ojos -ya te están quitando la venda. Qué es lo que ves en este momento decisivo será tratado más adelante.
Lo que sigue a efectos espaciales, es la percepción, siempre en la penumbra, de dos figuras a cierta distancia: una encapuchada y negra a la izquierda, que gesticula para atraerte; otra de blanco a la derecha, también te hace señas pero con contención. En este punto eres tú quien decide: o sigues al encapuchado (que te lleva a ver algo más y bruscamente te hace retirar de allí) o vas hacia la figura blanca, que me hizo salir para que deshiciera en la penumbra el recorrido, encontrando en cada recodo otra severa figura de blanco que me urgía a seguir. Sólo al final reapareció el guía afectuoso, en el mismo lugar del principio, desde donde me dirigí a la puerta por donde había entrado. Al traspasarla, encontrar a la persona que antes me había recibido y los objetos personales para revestirme y salir.
Nada que ver, por tanto, con el espacio genuino de la tragedia ateniense, el teatro (θέατρον). Esta construcción no se atribuía a ningún artífice ni mandato divino y tenía un uso exclusivamente dramático: que los espectadores ( θεαταί ) contemplaran ( θεάομαι ), sentados en las gradas con adecuadas condiciones visuales y acústicas, la actuación que los actores y el coro realizaban en un espacio central circular a ras de tierra. Recordemos que este espectáculo era el resultado de una elaboración considerable de formas de culto a Dioniso más simples y arcanas; y que el certamen trágico tenía lugar al aire libre y a la luz del día.
Por contraste, los misterios de Eleusis comportaban una serie de recorridos y por último, en la noche decisiva, la entrada en una construcción peculiar y atípica donde se completaría la iniciación (τελεστήριον). Al acceder a su interior, los adeptos se encontraban en un espacio insólito: una gran sala cuadrangular, columnada y con techo18; las paredes presentaban un θέατρον de unas pocas gradas19, y en un lugar no del todo centrado había una cámara cerrada y techada, el anáktoron (‘lugar de la Soberana – o las Soberanas’).
Ese era el lugar más recóndito y venerable del santuario que según el mito, la propia diosa había ordenado edificar20
En cuanto a los recorridos, es notorio el desplazamiento para llegar a Eleusis. Se realizaba de una forma ritual desde Atenas, donde el primer día de los Grandes Misterios se habían congregado todos los adeptos dispuestos a ini-
18. En época de Pericles era «il più grande edificio coperto della archittetura greca contemporanea, quasi triplicando la superficie dell’edificio tardo-archaico», LIPPOLIS 2006, 205. «The building bore a roof with a peak which could be opened to serve as a kind of chimney. In the holy night of the 19th of Boëdromion great fire and smoke burst forth from it, breaking, as it were, the secrecy of the Mysteries», KÉRENYI 1967, 82.
19. Primero dispuestas en tres de las paredes; desde época periclea, en las cuatro. Cf. LIPPOLIS 2006, 205-210.
20. «Soy Deméter venerable (...). Pero ¡ea! Un gran templo y un altar al pie / que me construyan, el pueblo todo: al pie de la ciudad y del alto muro, / por encima del Calícoro, en la elevada colina!», H. Cer. 265-272. Traducción de la autora, como todas las siguientes.
Natalia PalomarFIGURA 1. A la izquierda, los iniciados coronados de mirto avanzan caminando descalzos hacia la presencia de las diosas; en la franja inferior, guiados por Yaco.
Tablilla de arcilla de Ninnion, 370 a. C., Museo Arqueológico Nacional, Atenas.
ciarse ese año 21 . Y tenía un punto de partida preciso: el templo llamado Eleusinion, donde durante cuatro días se habían custodiados los sagrados objetos secretos llegados desde Eleusis (τὰ ἱερά)22. La procesión hacia Eleusis se ponía en marcha al quinto día: iban los adeptos y sus mistagogos, coronados de mirto, como la estatua de Yaco (Íacchos)23 que abría la comitiva; y con el ramo ritual llamado bácchos (también de mirto ligado con lana), acompañando a los sacerdotes de Eleusis que portaban ocultos los hierá, y con la escolta de los efebos atenienses también coronados de mirto. El camino, que unos hacían a pie y otros en carros, se realizaba durante el día. Y al cruzar el puente sobre el Cefiso, los iniciados eran objeto de burlas por unos tipos apostados allí24, un paso adverso que podemos relacionar con las carcajadas y la fustigación de que es objeto el spettatore en un momento dado del Edipo.
Todo apunta a que los iniciados realizaran este peregrinaje para conmemorar el caso de Deméter: al enterarse la diosa del rapto de su hija Perséfone, se puso a recorrer campos y ciudades cual mater dolorosa, buscándola sin descanso hasta que llegó a Eleusis, donde los reyes del lugar la acogieron. Hay por tanto en el recorrido ritual un significado latente de búsqueda, de dificultad y de esfuerzo que coincide con el páthos experimentado por el spettatore del Edipo
21. De ahí el nombre de esta jornada: ἀγυρμός (agyrmós, ‘reunión’).
22. También el primer día.
23. Divinidad de Eleusis identificable con Dioniso y personificación del grito ritual ἴακχε; en las representaciones lleva antorchas y guía a los adeptos hacia Deméter o aparece junto a ella.
24. Tenían un nombre específico, gephyristaí, que da idea de su relevancia en el rito; está documentado en Hesiquio, cf. SCARPI D 36.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 203
FIGURA 2. Un iniciado llega descalzo a la presencia de las diosas: Deméter sentada y Perséfone a su espalda.
Relieve votivo de mármol, 425-400 a. C., J. Paul Getty Museum.
Esta pulsión debía de reiterarse de una manera mucho más intensa en la jornada siguiente, por la noche, cuando tenía lugar propiamente la iniciación. Entonces el adepto completaba de forma individual un nuevo un recorrido, pero ya en un ámbito ignoto, cerrado y oscuro: el recinto amurallado del santuario, en primera instancia25, y allí lugares especialmente marcados por donde pasar o adentrarse, como la ἀγέλαστος πέτρα («Roca-sin-risa, Apenada»), la gruta-santuario de Eubuleo26, el telestérion y acaso el sacrosanto anáktoron, con posibilidades análogas a los espacios donde se hace factible el recorrido del spettatore del Edipo.
Edipo que, por cierto, como personaje mítico, también está vinculado a unos recorridos decisivos: ignorante de que nació en Tebas, se cría en Corinto y luego acude a Delfos; para eludir lo que el oráculo le vaticina, por no volver a Corinto, toma otro camino donde matará sin saberlo a su padre; y al vencer a la esfinge en Tebas, será desposado con la reina y coronado rey; y cuando al cabo averigüe su identidad, se exiliará. Por tanto la mera condición itinerante del spettatore ya forma parte de su caracterización como Edipo. Y recordemos que al ir descalzo y con la visión limitada o impedida, los pies experimentan un apuro que puede remitir al significado del nombre del héroe: οἰδί-πους, ‘piehinchado’. Volviendo al rito eleusino, resulta muy sugerente observar en las representaciones plásticas que los iniciados van descalzos: así se remarca su adhesión a la penosa búsqueda de Deméter.
25. «(...) all’interno delle mura del santuario, chiuso da porte che permettevano di regolare l’accesso e la reclusione degli interni», LIPPOLIS 2006, 103.
26. Eubuleo era venerado en Eleusis junto con el Dios y la Diosa, que así eran llamados Hades y Perséfone en los Misterios; se le representa como portador de antorchas: en ciertas versiones del mito es quien guía a Perséfone en su regreso desde el Hades. Cf. CLINTON 2007, 347-351. Según un escolio (Luc. D. Meretr. 2 1) es el porquero que fue tragado junto con Perséfone al hendirse el suelo.
Natalia Palomar4. La esperienza : παθεῖν καὶ διατεθῆναι
Como hemos insinuado, lo que hace de este Edipo una experiencia en sentido fuerte para cada espectador, una experiencia vivida intensamente que llega a incardinarse en la propia vida, es el actuar a todos los efectos como protagonista de este mito. Un mito que en la tragedia de Sófocles se perfila así: Edipo actúa para saber quién es y decidir qué hacer, pero constata dolorosamente que ha actuado condicionado por el oráculo sin ser capaz de verlo. Así también en esta versión de Munaro: cada uno/Edipo actúa , pero condicionado e incapaz de ver.
En efecto: cada quien actúa al encontrarse frente a una imponente figura con los ojos vendados, soportando que le toque la cara como para reconocerlo y que llamándole ‘ Edipo’ le espete la maldición del oráculo y para colmo le vende los ojos con su propia banda negra.
Actúa cuando se le hace empuñar un cuchillo y otra mano le hace hincarlo violentamente en algo. Actúa cuando alguien toma sus manos y le hacen palpar un rostro cubierto por una maraña de cabellos y luego un enorme seno de alguien que le plantea el enigma de la esfinge. Actúa entonces, al responder o no, y al tener que resistir los giros vertiginosos de la superficie donde ahora está en pie. Actúa después al sentirse en el centro de un corro que le invoca obsesivamente como ‘E-DI-PO’ y que se refiere a su fatal destino; al escuchar voces que le preguntan al oído che cosa hai fatto, Edipo?; al dejarse recostar en algo que al tacto parece un colchón de antaño, rodeado de quienes le suplican que les salve de la peste. Actúa cuando cuerpos tendidos a su lado le acarician cada vez más ansiosamente, y al notar que alguien toca sus labios con un trozo de manzana, que acepta o no. Y actúa al sentir que en ese punto le arrojan trozos de algo mientras le reprochan Perché Edipo? PERCHÉ? . Actúa al ser acunado con ternura por una mujer, y al notar luego cómo dos personas le abrazan. Actúa cuando le ayudan a ponerse en pie y a avanzar, pero de pronto alguien le empuja bruscamente y es frenado por otro cuerpo, y entre ambos le abrazan: por detrás las piernas, por delante el torso. Actúa al notar que le dejan solo y que alguien vuelve a hacerle andar, al tiempo que le van fustigando en la cara, hasta que entra en un lugar donde se le hace sentar. Y actúa cuando obedeciendo la instrucción de contar hasta 17 y abrir los ojos, se ve reflejado de cuerpo entero en el espejo que está ahí delante. Sí: actúa abierta e íntimamente cuando al recuperar la visión se ve y se mira en ese inesperado encuentro consigo mismo. Y actúa cuando por fin se incorpora para dirigirse a una de esas dos figuras —la blanca o la negra— que hacen gestos para atraerle. En el caso de la tragedia griega, los espectadores ven y escuchan, pero a distancia, desde un segundo plano en que no tienen margen para la acción. O quizá mejor: desde un plano elevado y estático, en que no tienen por qué implicarse en la acción. Lo que es «actuar» (δράω), el drama (δράμα) propiamente dicho, no es competencia suya sino de los actores y del coro, así como el decir, sea recitando o cantando. Esa distancia y esa diferencia amor-
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 205
tiguan el impacto que el caso trágico tiene sobre los espectadores, y pueden considerarse análogas a las que los dioses mantienen con respecto a los humanos27 .
En cambio en los misterios de Eleusis, los iniciados, cada uno guiado por su mistagogo , y conforme a las pautas marcadas por los sacerdotes, intervenían tanto en ‘las actuaciones’ ( δρώμενα ), como en ‘las mostraciones’ (δεικνύμενα), como en ‘los dichos’ (λεγόμενα)28
La tradición documenta una fórmula que cada iniciado pronunciaba29 y que en la versión de Clemente Alejandrino dice: «He ayunado, he bebido el ciceón, he tomado de la cesta tapada, habiéndolo hecho he depositado en el cesto y del cesto a la cesta tapada30». En primera persona, el adepto asegura que ha actuado personalmente a todos estos efectos. El ayuno en el ámbito eleusino remite a la pasión de Deméter, que se abstuvo de alimento mientras buscaba a su hija, y ya en Eleusis rechazó el vino que le ofrecía la reina Metanira31; en cambio ella misma ordenó que le prepararan una singular bebida con agua, cebada y menta, ese ciceón que cada iniciado ha de tomar, dando así el mismo paso que la diosa. Un paso ambiguo, puesto que alivia de la abstinencia total de comida y bebida anterior32, pero sin normalizar la dieta. Y además, los elementos del brebaje, esa mínima expresión de comida y bebida que son cebada y agua33, están impregnados de una fragancia significativa: la menta, que en el imaginario griego remite al mundo infernal34. Si Deméter se permite algún sabor, ese sabor la vincula al ámbito de la muerte donde permanece su hija. Así también los iniciados. Como hemos dicho al repasar las actuaciones del spettatore, en una escena o situación evocadora del incesto (ha sido recostado, le están acariciando y una voz le recita el recuerdo proustiano del anhelado beso de la madre, en la cama, cuando niño35), este spettatore vendado nota que alguien se acerca a
27. En particular, la diferenciación de espacios o planos es frecuente en la pintura sobre cerámica: en la franja superior, los dioses, muchas veces sentados; en la inferior, los humanos en acción/pasión.
28. «Then the ceremony really began and the initiates apparently went through certain experiences which left them perhaps filled with awe and even confusion, but also overflowing with bliss and joy. What were those experiences? We may feel certain that the rites included three different elements: the δρώμενα (dromena, that which was enacted), δεικνύμενα (deiknymena, the sacred objects that were shown) and the λεγόμενα (legomena, the words that were spoken)», MYLONAS 1961, 261.
29. También citada en MUNARO 2010, 50, n.16.
30. Para el texto griego, Protr. 21 2 (Marcovich), cf. SCARPI D 53.
31. «Pues no le estaba permitido, dijo» (οὐ γὰρ θεμιτὸν
), H. Cer. 207; esta precisión del himno homérico parece apuntar a la correspondiente prescripción ritual.
32. «En cambio, sin risa ninguna, sin tomar ni comida ni bebida» ( ἀλλ’ ἀγέλαστος ἄπαστος ἐδητύος ἠδὲ ποτῆτος), ibídem, 200.
33. Probablemente, grano de cebada tostado y hervido en un agua que luego se colaba, resultando una especie de ‘café de avena’.
34. Minte (Μίνθη) era la amante de Hades hasta que llegó Perséfone; ésta o su madre Deméter provocaron su metamorfosis en menta, cf. DETIENNE 1983, 153 ss.
35. El texto se modifica para cada spettatore-mujer, refiriéndose al anhelado beso «del padre, cuando niña».
su rostro y que tienta sus labios con un trozo de manzana (se acaba de oír el mordisco de la fruta). La sensualidad del gesto redobla el simbolismo ineludiblemente ambiguo de la manzana: fruta prohibida, pero del árbol del conocimiento —conocimiento que es también el resorte de este personaje trágico y de quien se atreva a protagonizar este Edipo.
En cuanto a esa oscura referencia de la fórmula eleusina a la manipulación de algo que ni se menciona, y a ese detalle de sacarlo y volver a ponerlo en una cesta tapada, evoca un elemento destacado de los misterios al que ya me he referido: los objetos sagrados (ἱερά) que están ocultos en una cesta tapada. Las representaciones insisten en mostrar a Deméter sentada sobre una cesta, es decir: garantizando la clausura de lo que contiene. Si en otros mitos griegos la cesta funciona como segundo vientre a efectos de renacimiento36 , recordemos que Deméter es por antonomasia madre (∆η-μήτερ), y que en este mito es afectada como tal por el rapto de su hija de Perséfone; y además actúa como nodriza de una criatura a la que quiere inmortalizar37. Por tanto, es probable que estos objetos sagrados (ἱερά) tuvieran un simbolismo vinculado a la generación o regeneración de la vida: la espiga cuajada de grano, tal vez, o la granada, asociada al sexo femenino y también presente en este mito38; o quizás una serpiente, como las que figuran junto a Deméter en las representaciones plásticas.
En el caso del spettatore vendado, ya hemos mencionado dos manipulaciones que se le imponen39. Una: «le hacen palpar un rostro cubierto por una maraña de cabellos y luego un enorme seno»40, y bruscamente le retiran de ahí las manos. La pulsión resultante es de haber tocando algo vivo y peligroso; de hecho, lo que se pretende es actualizar la presencia monstruosa de la esfinge. La otra manipulación es previa: «se le hace empuñar un cuchillo y otra mano le hace hincarlo violentamente en algo»41; ese algo ofrece una resistencia análoga a la de un cuerpo, cosa que activa en el spettatore un sentimiento fuerte y perturbador: haber consumado un crimen. Esto nos remite a otro motivo del ritual eleusino: el lechón que cada iniciado tenía que sacrificar, sin poder delegar el terrible acto de derramar sangre en un profesional
36. Cuando Hefesto acosaba a Atenea, su semen cayó en el muslo de la diosa; ella lo arrojó al suelo y de ahí nació Erictonio: Gea le entrega la criatura a Atenea y ella lo mete en una cesta para que lo custodien las hijas del rey Cécrope. Pero destapan esa cesta y surge Erictonio junto con una serpiente; cf. Apollod. III 14, 6-7.
37. Demofonte, hijo tardío de los reyes de Eleusis, Celeo y Metanira; cf. H. Cer. 225-255.
38. Cuando Zeus interviene para que Hades deje ir a Perséfone, éste le hace comer unos granos de granada, de modo que Perséfone ha de regresar cada año y pasar una temporada junto a él en el mundo subterráneo.
39. Además de estas dos ocasiones, cada spettatore es solicitado reiteradamente por las manos y los cuerpos de los actores, de modo que también puede ir reaccionando con sus propias manos y cuerpo.
40. Cf. supra p. 12.
41. Ibidem.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 207
FIGURA 3. El iniciado toca la cabeza de la serpiente que Deméter, sentada sobre la cesta, tiene sobre su regazo.
(ὁ σφαγεύς) como era habitual en el rito sacrificial42. El sentimiento de culpa asociado al sacrificio está bien documentado en la antigua Grecia, y se plasmaba en la ‘comedia de la inocencia’: de uno en otro, todos los participantes en el sacrificio se eximían de haber dado muerte al animal, de modo que al final se atribuía esa culpa al cuchillo, que arrojaban al mar43. Pero aquí no se trata de un sacrificio colectivo, sino de un paso individual que cada iniciado ha de dar, matando a ese ser vivo con quien en cierto modo se ha identificado, al bañarse en el mar teniéndolo cogido consigo. Una pulsión semejante puede darse si el spettatore intuye o reconoce que se ha tratado del crimen del padre, dado el vínculo paterno-filial, con toda su problemática.
En cuanto a la experiencia medular de la iniciación eleusina, la terminología y las referencias antiguas coinciden en que tenía lugar durante una noche44 ,
42. Cf. escolio a Ar. Ach.. 747: «en los misterios de Deméter se sacrifica un lechón (...). Cada uno de los iniciandos sacrificaba en favor propio»; para el texto griego cf. SCARPI D19.
43. Cf. Porfirio, Abst. II 28, 4-30
44. El nombre de esa jornada sugiere «todo-de- noche» o «en-plena-noche»: παννυχίς; cf. también H. Cer. 294.
Natalia PalomarFig. 4 Iniciación mitraica.
Fresco, Capua Vetere, II d. C.
por tanto en un ámbito de oscuridad, y que culminaba con una visión: “dichoso quien eso ha visto, de entre los hombres sobre la tierra”45. Y podemos constatar que la doble denominación del iniciado, μύστης/ἐπόπτης, tal como argumenta brillantemente Clinton46, sugiere un movimiento en ese preciso sentido: un paso ritual por la carencia de visión y un acceso ritual a la posesión de una visión. En efecto, la base de la palabra mýstes es el verbo μύω que significa ‘cerrar los ojos’47, y nos alerta sobre esa posibilidad: que lo más específico del rito eleusino fuera precisamente que el iniciado actuaba con los ojos cerrados, cosa que podía materializarse vendándole los ojos48. Contamos con documentos iconográficos de prácticas de este tipo: un iniciado de los misterios de Mitra, que con los ojos vendados parece ponerse en cuclillas al tocarle la nuca el mistagogo, mientras un sacerdote con tiara y una vara o espada o serpiente en la mano se le aproxima (Fig. 4); un adepto que avanza encapuchado para la iniciación dionsíaca49; un mýstes de Eleusis con la cabeza cubierta por un velo, que está sentado mientras una sacerdotisa a su espalda tiene suspendido un cernedor sobre su cabeza (Fig. 5).
El mito de la pasión de Deméter menciona por tres veces su gesto de cubrirse con un velo y permanecer así50, de modo que es verosímil que el iniciado
45. H. Cer. 480: ὄλβιος
46. CLINTON 2007, 343 ss.
47. Y por analogía, cerrar otras aberturas, como la de la boca o la de una pechina. De ahí que se haya interpretado mýstes, ‘iniciado’, como ‘quien cierra la boca, quien guarda secreto’.
48. De un rito comparable da noticia Heródoto (II 122): en Egipto, para conmemorar que el faraón Rapsinito había jugado con Deméter a los dados en el Hades y que la diosa le había obsequiado, los sacerdotes vendaban los ojos a uno de ellos y le conducían así hasta el templo de Deméter; entonces dos lobos lo conducían y lo traían de vuelta. Recordemos que los egipcios representaban dos chacales como guardianes del mundo de los muertos.
49. Cf. BURKERT 1986 fig. 6.
50. Tal como se relata en el himno homérico: «Y un oscuro velo sobre ambos hombros se echó» (κυάνεον
), H. Cer. 44; «Avanzaba velada desde la cabeza» (
), ibid. 180; «sentada allí, se echó el velo por delante con sus manos» (
, ibid. 199.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 209
se sometiera a también a ese tipo de privación de visibilidad: a pasar por la experiencia de no ver y de no ser visto; como la diosa, que al estar privada de ver a su hija, se ocultaba y desfiguraba de modo que no podía ser reconocida.
Por tanto, me parece muy plausible la reconstrucción que propone Clinton del ‘Sacred Drama’: que durante esa noche los iniciados participaran de la patética búsqueda de Deméter con los ojos vendados y asistidos por sus mistagogos. Por cierto, en el mito también la diosa cuenta con una cierta guía: primero es Hécate, que le viene al encuentro con sus antorchas para acompañarla51; luego, las hijas de Celeo, que la conducen hasta la morada de los reyes de Eleusis52. Así pues, los iniciados, inmersos en la oscuridad de la noche y además con los ojos vendados, pasarían por la ‘Roca-Sin-Risa’ (o ‘Apenada’) donde podrían sentir la presencia de la diosa postrada, escucharían sus lacerantes lamentos y también en la distancia (tal vez desde la cueva de Eubuleo) los de su hija Coré, desgarradas una y otra por la separación; caminarían desorientados, a tumbos y dándose unos con otros en creciente desazón53, al son
51. Ibidem, 51 ss.
52. Ibidem, 180 ss.
53. Cf. Plu. Mor.81 d-e, SCARPI E 31, y fr. 178, SCARPI E 31, 32: «primero, errabundeos y recorri-
FIGURA 5. Rito eleusino. Urna Lovatelli, época augustea. Museo Massimo, Roma Natalia Palomardel metal percutido por el hierofante para convocar a Coré54; así una y otra vez hasta que solo al fin de este penoso deambular, cada mistagogo encaminara a su iniciado hasta el telestérion, donde se hacía la luz55 con la máxima intensidad: entonces, sin venda ninguna y deslumbrado por multitud de antorchas que portaban los ya iniciados, cada uno asistía al reencuentro gozoso de las diosas, de Deméter y su Niña, quedando impregnado de beatitud como ἐπόπτης (‘quien ha visto’).
También la experiencia medular en el Edipo dei Mille es esa privación mantenida de la vista, con toda una serie de repercusiones que el Teatro del Lemming sabe potenciar hábilmente. Entre ellas destacamos la estimulación continuada (e inusitada) de todos los demás sentidos56, la conciencia de la propia dos agotadores, y a través de la oscuridad pasar con recelo y sin meta; después, antes de la meta en cuestión, todo lo terrible: espanto, temblor y sudor y pasmo».
54. O emularla... El nombre del instumento era ἠχεῖον: ‘que hace eco’, ‘resonador’; cf. SCARPI D 42.
55. «La luce della notte», como titula Pietro Citati su capítulo sobre Apuleyo, así como el libro entero donde lo incluye, subtitulado I grandi miti nella storia del mondo (Milano 1996). Citati interpreta todo El asno de oro en clave de iniciación mistérica. Sobre el imponente fuego que también se encendía esa noche en el telestérion, visible por encima del mismo, cf. KÉRENYI 1991, 100-102.
56. En las cartas de respuesta, muchos spettatori valoran este despertar de los sentidos en sí mismo como una auténtica revelación.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 211 incapacidad, y el cambio que se opera al recuperar la vista: una visión regenerada, que da acceso a la revelación.
En efecto, como en el caso de la noche eleusina, los reclamos auditivos van marcando las circunstancias del mito que el spettatore vive como propias, al ser interpelado como ‘Edipo’ o escuchar la evocación proustiana del beso de la madre (o del padre, si el spettatore es una mujer); pero que también lo adentran de una manera difusa en su circunstancia más inmediata: el silencio como fondo permanente, la presencia sonora de unos actores a los que no ve, el ruido del cuchillo al hincarse o ser arrojado al suelo, la melodía de un piano, el toque de eso que le echan sobre el cuerpo, el chasquido de una escobilla con la que lo fustigan, y hasta esas voces menores de su propio cuerpo: pasos, respiración, corazón, tripas...
Si el iniciado eleusino —acaso descalzo— se mueve notando el frío y la humedad de la noche, el terreno pedregoso, el embate de los otros cuerpos desorientados, el contacto fiable de su mistagogo, el calor de las antorchas al entrar en el telestérion... también el spettatore, en su paso de una estancia a otra, tiene el cuerpo expuesto a impresiones y contactos análogos —y aún más intensos por lo que a la esfera erótica se refiere, como ya he apuntado57 . También hay coincidencia en otra figura, la entronización: al parecer, el protagonismo del iniciado se enfatizaba en un momento dado en que se le hacía sentar para danzar en torno a él58. Así también, después de la escena de la esfinge, se hace sentar al spettatore —aunque sea sobre un colchón— y le hacen sentirse en el centro de un remolino sonoro acuciante: primero son respiraciones, luego un coro de voces giratorias que le espetan tras cada estrofa ‘E-DI-PO RE’59
También el sentido del olfato es estimulado de manera notable en ambos casos: ya hemos mencionado la menta que aromatizaba el ciceón, evocadora del ámbito de los muertos: el iniciado la percibe como un efluvio del Hades. Pero sobre todo, destaca la abundancia de mirto, en ramos y coronas portadas por los participantes del rito, incluso la estatua divina de Yaco. Lo más destacable del mirto es su fragancia, y para los griegos también era una planta asociada al mundo de los muertos: cuando Dioniso pidió a Hades que dejara ir a su madre Sémele, el dios le exigió que dejara algo suyo a cambio, y Dioniso le cedió esta planta preferida y aromática, el mirto. Así pues, el contacto con el mirto por parte de los iniciados también representa una familiaridad con ese ámbito del Hades, donde la ‘Niña’ (Kóre) estuvo secuestrada
57. Cf. supra pp. 13-14.
58. Este paso ritual tiene un nombre preciso: θρονισμός. Dión de Prusa se refiere a ello precisamente para argumentar que tiene un efecto ineludible sobre el alma del iniciado; cf. Or. 12, 33; SCARPI E 33.
59. Rey, pero a la vez chivo expiatorio: oprimido con ritmo intermitente por la presión de las manos acusadoras de quienes le rodean.
212 Natalia Palomar
y ahora reina como Perséfone. Mi intuición al respecto es que la reaparición de la divina hija de Deméter fuera intensificada significativamente por la fragancia del mirto, pues es propio que llegara así investida del Hades. Recordemos cómo al final del Hipólito de Eurípides el protagonista moribundo percibe precisamente por su aroma la presencia de su venerada Ártemis60. Y en el Himno Homérico a Deméter, son constantes las referencias a la fragancia de esta diosa y de su santuario en Eleusis61
En cuanto al spettatore, le sorprende el aliento alcohólico de ese imponente personaje con los ojos vendado que le está echando en cara el oráculo; y luego se le van presentando otros olores con fuerte potencial evocador: de peladuras de naranja y limón, de polvos de talco, de cierta fragancia peculiar en las personas que le salen al paso... Son muchos los testimonios que muestran hasta qué punto estos estímulos olfativos impresionan vivamente al spettatore, a veces conectando la experiencia presente con vivencias anteriores, y en general haciendo que las situaciones resulten aún más densas en términos emocionales. Por poner un ejemplo:
Scrivo perché ho bisogno di scrivere, devo scrivere, è questa la necessità che mi lascia questa esperienza avvenuta ieri pomeriggio. Tutto il giorno un acre odore di agrumi invadeva le mie emozioni, troppo forti per permittermi di scrivere. Non riuscivo a dimenticare quell’odore doppo l’esperienza condotta all’interno del teatro e meccanicamente portavo le mani alle narici perché l’odore e il suo ricordo fossero più vivi.
Jacopo (lettera di risposta allo spettacolo - Bologna, 3 maggio 2000)62
Todos estos factores se combinan con esa insólita situación de dependencia determinada por los ojos vendados, que genera además un mantenido estado de alerta, de tal manera que esta propuesta dramática de un Edipo en primera persona alcanza cotas de intensidad altísima63. Es sintomática la frecuencia con que las cartas de respuesta de los spettatori se refieren a ello como esperienza y recurriendo a formas del verbo vivere, los mismos términos que emplea Munaro una y otra vez para definir la especificidad de su propuesta dramática:
60. Eu. Hipp. 1391: «¡Oh, aura divina de aroma!» (ὦ θεῖον ὀδμῆς πνεῦμα).
61. «Regazo fragante de incienso», v. 231; «aroma de su fragante peplo», v. 277; «Eleusis fragante de incienso», v. 319. Según el escolio, S. E.C. 681, la guirnalda de Deméter es de mirto y tejo; cf. SCARPI D 27.
62. MUNARO 2012, 123.
63. Así fue ya en el estreno, según constató el autor: «l’impatto del lavoro su atttori e spettatori è enorme. Talmente enorme da suscitare in me delle forti preocupazioni. Ho la sensazione, piuttosto inquietante, di avere trovato qualcosa che assomiglia alla scissione dell’atomo: l’effetto che crea rischia di avere davvero su un individuo le conseguenze della bomba atomica. Sostenuto dal gruppo e da Roberto in particolare, decido di continuare», MUNARO 2010, 33-34.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 213
L’evento che costruiremo insieme deve transformarsi in esperienza64
(ci interessa) rimarcare l’atto de fusione, direi meglio, di dispersione nell’evento che questa esperienza provoca quasi ineviatabilmente. (...) Non sto osservando un evento, non mi limito a esserne in qualche modo partecipe. Lo vivo65
En este sentido, resulta revelador constatar la coincidencia con las puntualizaciones que hace Aristóteles respecto a los Misterios: lo que es preciso no es que los iniciados «aprendan algo» ( μαθεῖν τι ), sino que «lo padezcan y sean puestos en determinada situación» (παθεῖν καὶ διατεθῆναι)66. Se trata por tanto de una vivencia inmediata, donde no cabe considerar un objeto diferenciado de un sujeto, como podría ser un conocimiento o un espectáculo teatral que un sujeto aprende o contempla. Por eso cuando distingue entre lo propio del conocimiento de más cumplido alcance (τὸ τελεστικόν) y lo propio de la simple enseñanza (τὸ διδαχτικόν), dice que «la mente misma padece la iluminación» (αὐτοῦ παθόντος
ἔλλαμψιν) y considera que es un caso similar al de Eleusis, donde el iniciado no es enseñado, sino «impactado por la contemplación» (τυπούμενος
θεωρíας)67 .
La metáfora táctil reaparece en otro lugar referido a esa fulgurante experiencia que posibilita una ocasión única de «tocar y tener ante los ojos» (θιγεῖν καὶ προσιδεῖν); y vuelve a comparar a quienes «verdaderamente han tocado (θιγόντες) la pura verdad de eso» con los que completan una iniciación mistérica68. Esto nos parece una pista interesante para considerar un tipo particular de contacto que pudo estar presente en los ritos eleusinos y que es decisivo en el Edipo dei Mille: el abrazo.
5. La efusión vital por el abrazo
Hasta aquí hemos dado idea de la experiencia del Edipo como algo inquietante, arduo, perturbador, y efectivamente lo es. Pero también hemos mencionado una figura que alivia la dificultad del recorrido: esa primera persona que ves al entrar en la sala oscura y que sin decir palabra, con su actitud corporal, te invita a avanzar hacia donde se encuentra. Como hemos apunta-
64. Ibidem, 19.
65. Ibidem, 36-37
66. Arist. de Phil fr 15 a; SCARPI E 26. Una carta de respuesta lo reconoce así: «(...) siete riusciti a ricondurci al vero pathos della tragedia antica — finalmente lo schermo culturale tra lo spettatore e la scena cade, si vive il ‘mistero’, dove per dirla con gli antichi, non si deve capire ma, appunto, vivere (ou mathein alla pathein: non imparare ma patire», Sergio Fedele, Este, ottobre 1997, ibidem, 89.
67. Arist. de Phil fr 15 b; SCARPI E 26.
68. Arist. EE fr. 10; SCARPI E 29.
do, si el spettatore es un hombre, se trata de una mujer levemente vestida de blanco, descalza; en mi caso, fue un joven con algo blanco arropado a la cintura y descalzo quien me acogió pasando confiadamente su brazo sobre mis hombros. A partir de este momento y aunque luego no puedas verlo por tener los ojos vendados, notas la presencia protectora de esta persona dedicada a estar ahí para guiarte fraternalmente, distinta de las demás presencias que te van saliendo al paso con intenciones de signo tan diverso como antes se ha descrito. Y notas su ausencia; pero vuelves a reconocer su tacto cordial, confortante tras la tensión que hayas vivido en la situación anterior. En ocasiones, ese retorno se da con un abrazo. Y ese vaivén entre aparición/ presencia/ausencia culmina con el encuentro final, ya con los ojos libres de la venda, también en la forma de un último abrazo.
En su momento, esta figura me recordó a la Antígona del Edipo en Colono haciendo de lazarillo a su anciano padre; ahora reconozco que es una pieza maestra en la obra de Munaro, quien la bautiza con un doble nombre Angelo/Antigone69 . Si consideramos el parecido ritual entre su Edipo y la iniciación eleusina, está claro que este angelo funciona a la manera de un mistagogo, haciendo de guía personal e inmediato del iniciado. Aunque, tal como explica el dramaturgo, también los actores en conjunto recuperan esa función a que hace referencia la etimología de “actor”, nombre agente del verbo ago, ‘conducir’, ‘guiar’:
Il nostro EDIPO ci ha costretti ad imparare a diventare degli attori, delle guide. Ci constringe ad esserlo. Il miracolo che andavo a scoprire era che il nostro compito era quello di guidare lo spettatore a divenire, con il suo corpo, il sogetto vivente dell’Opera70
Competencia y función comparable a la de los sacerdotes y sacerdotisas que pautaban el ritual de Eleusis, cuyas denominaciones aluden a actuaciones específicas. Así el hierofante (‘el que hace patente lo sagrado’), que según los documentos impresionaba con los efectos extraordinarios de su voz71; las hierofántides72, que probablemente aparecían representando a ambas diosas, a Deméter y Perséfone73; el dadouchos, que tiene a su cargo las antorchas; el Yacagogo, portador de la estatua de Yaco; el heraldo sacro; el ‘mozo del hogar’ (παῖς ἀφ’ ἡστίας), etc.
69. Angelo es también el nombre del joven (interpretado por Ninetto Davoli) que hace de lazarillo al final del inolvidable Edipo Re de Pasolini (1967).
70. MUNARO 2010, 33.
71. Arriano, en las Diatribas de Epicteto III 21, 16, denuncia: «(...) no llevas los vestidos que precisa el hierofante, ni el peinado, ni la cinta tal como es preciso, ni la voz (φωνήν), ni la edad, no te has consagrado como como aquél, sino que hablas adoptando únicamente esos tonos de voz. ¿Son sagrados esos tonos de voz por sí mismos?»; SCARPI C 27.
72. Focio, s.v. ἱεροφάντιδες: «las que hacen patente eso sagrado a los iniciados». SCARPI C13.
73. Cf. infra n. 72.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 215
Pero volvamos a la figura del Angelo, que desde el primer contacto visual se ofrece al spettatore como amorosa compañía; en breve y con una admirable naturalidad, te brinda su brazo protector, su mano segura, su cuerpo como fiable sostén, tan necesario cuando ya te han puesto la venda en los ojos. Y al final, una vez sin esa venda, cuando ya te has visto en el espejo y luego ves el gesto severo con que las demás figuras al salirte al paso te rechazan hieráticas, reencuentras al angelo que te acoge con la misma ternura que te sorprendió al principio, para ofrecerte ahora la plenitud de su abrazo. Son muchos los spettatori que se refieren a ese abrazo como momento de alta intensidad emotiva; a mi entender, combinándose con el clímax de la visión de la propia persona en el espejo, ese abrazo proporciona una comprensión decisiva: la de reconocerse a uno mismo tal cual, sin concesiones, pero sintiéndose en todo caso digno de afecto, de esa efusión vital por el abrazo que te obsequia tu angelo:
La fiducia e la sintonia evocata dai ripetuti abbracci hanno sprigionato dentro di me il desiderio di conoscerlo per poterlo ringraziare e riabbracciare di nuovo. Inconfondibili erano la stretta di mano e il suo profumo. Potrei tuttora riconoscerla senza difficoltà in mezzo ad un gruppo di persone...sento di volerle bene.
Riccardo, Bassano 12 luglio 201274
El abrazo también está representado un momento destacadísimo del mito fundacional75 de los misterios de Eleusis: el reencuentro de Deméter con su hija Perséfone. El himno homérico cuenta cómo la hija salta del carro para correr hacia su madre y le echa los brazos al cuello, cómo la estrecha contra su cuerpo, cómo Deméter prolonga el abrazo (vv. 385-392)76; y luego recompone así esta preciosa escena (vv. 435-437):
Así entonces el día entero con ánimo concorde tanto más se confortaban su ánimo y su corazón abrazándose, y descansaba de penares su ánimo. Y era un recibir y darse goces entre ambas.
74. http://edipodeimille.wordpress.com/category/lettere-degli-spettatori/ [constulta 30/9/2012].
75. SCARPI emplea esta denominación para el primer apartado su clasificación de los textos antiguos sobre Eleusis: “A Miti di fondazione”.
76. El manuscrito (Mosquensis, principios del XV) está rasgado; un escriba del siglo siguiente lo reparó y completó, al parecer introduciendo conjeturas; cf. RICHARDSON 1974, 66.
Entonces llega junto a ellas Hécate, la diosa que había acompañado a Deméter durante la búsqueda, y asimismo puede abrazar a Perséfone.77 El poeta añade que desde entonces, «la Soberana la precede y la sigue», es decir, que en adelante, irá en compañía de Perséfone.
Es muy significativo el énfasis que se pone en la dimensión física de este encuentro de madre e hija, al que luego tiene acceso Hécate, como personaje que previamente ha compartido el sufrimiento de la separación. Este encuentro de los cuerpos se cifra en un abrazo que redunda en lo más íntimo («corazón y ánimo», dice el poeta), y que se prolonga como intercambio gozoso.
Podemos reconocer reflejos de esta imagen literaria en la iconografía, donde también se representa un elocuente contacto físico entre ambas diosas. Así en esta pieza: Deméter y Perséfone componen una única figura sedente, al relajarse ésta en el regazo de su madre que se acomoda en su asiento. Y en este relieve (Fig. 8) podemos reconocer con qué naturalidad la cabeza de Perséfone se arrima al torso querido de la madre, que la protege delicadamente con su brazo y pone una mano amorosa sobre el corazón de la hija. En otro similar, se aprecia la intimidad con que Perséfone deja reposar la mano sobre el muslo materno, a la vez que se acoge inclinando la cabeza al
77. ἀμφαγάπησε v. 439.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 217
FIGURA 8. Deméter tiene abrazada a Perséfone.
Relieve votivo de mármol, 420-15 a. C. Museo Arqueológico de Atenas
contacto del cuerpo de su madre, que a su vez le cubre la espalda con el brazo, levantándolo en ademán protector 78; en otro relieve se insinúa hasta qué punto es vital para Perséfone poner su mano sobre el hombro de la madre, cuya sintonía con la hija queda plasmada en el suave paralelismo de los divinos cuerpos79 . Tengamos en cuenta que se trata de relieves votivos, y es probable que las diosas tiendan la mirada hacia los devotos que se acercan a ellas 80. Estamos, pues, en el ámbito del culto; y en este caso tan particular de los misterios de Eleusis, cabe considerar que los iniciados —como Hécate en el mito— tuvieran acceso no sólo a la visión del encuentro gozoso de las diosas («dichoso quien eso ha visto»81), sino a la experiencia de su proximidad afectiva, de su philía, mediante algún contacto o abrazo («cuán dichoso aquel a quien ellas toman afecto»82). Se entiende que las diosas se harían presentes en la persona de sus sacerdotisas investidas con sus sagrados ropajes 83, a la luz y al calor de multitud de antorchas, fragantes de mirto. Y uno puede comprender que el iniciado tuviera la impresión de estar efectivamente en presencia de las diosas y de ser reconocido personalmente por ellas, si ha asistido a la improvisación de una saeta en la semana santa andaluza: a la vista y presencia de la Virgen iluminada por infinidad de candelas y envuelta en tanto aroma de incienso y de azahar, el cantaor o la cantaora le dicen a Ella, con toda espontaneidad, lo que en ese momento les sale del alma al tenerla ahí delante, al alcance de su voz.
78. Reproducción fotográfica en REEDER 1995, 293; mármol, 410-400 a.C., Museo de la Acrópolis, inv. No. 1348, Atenas.
79. Reproducción fotográfica ibídem, 292; mármol, 420-410 a. C., Staatliche Antikensammlungen München, inv. no. GL 198, Munich.
80. Como en la Fig. 4, cf. p. 10.
81. ὄλβιος
82.
, H.Cer. 480.
, ibídem, 486.
83. Sobre la identificación de las sacerdotisas con las diosas en el drama ritual, cf. CONELLY 2007, 111-115.
Volviendo al marco eleusino, en caso de que el iniciado hubiera sido partícipe del contacto o abrazo de las diosas, se habría dado una conjunción análoga a la que opera en el Edipo de Munaro. En efecto, el reverso gozoso de la dura experiencia iniciática es que al cabo has visto y que además se te concede esa forma física de amor que consiste en tener a alguien benévolo al lado y que los griegos llamaban φιλία. A partir de ahí, la vida puede ser retomada con más lucidez y confianza.
6. Del silencio y lo que permanece
Suceda lo que suceda en los misterios de Eleusis como en el Edipo dei Mille, ello es percibido como algo digno de una veneración o un respeto que comporta la reserva, y así se acata. La fuerza potencial de lo que tiene lugar en ese recinto se activa y otorga con la contrapartida de la discreción. Por tanto, esa misma gravedad que detentan al respecto los oficiantes se transmite y prolonga tanto en los iniciados como en los spettatori, que la asumen personalmente. Sólo así se explica que se haya preservado durante tantos siglos el secreto de los misterios de Eleusis, por más hubiera una penalización para los infractores. Algo de ello se expresa en las palabras de esta carta de respuesta al Edipo:
(...) sono uscito a malincuore, rispetando la consegna (muta) di un silenzo che mi pesava, ma sentivo come inevitabile: andarme, ritornare alla realtà esterna è stato quasi una lacerazione. Ma dentro ho portato con me moltissimo.
Riccardo, Torino 15 dicembre 199784
En efecto: sales del lugar y no puedes ver ni felicitar a los actores; la autenticidad de lo acontecido queda en cierto modo salvaguardada: no hay nada más que mostrar, no hay nadie a quien identificar disociándolo de su comparecencia en el recorrido que se ha completado. Era lo que era, y sigue siendo así —de hecho, te consta que así está siendo para el siguiente spettatore. La tensión, por tanto, apenas se relaja, y el efecto se intuye duradero. Ahora también eres consciente de que lo propio ha sido acudir inadvertido; de ahí que no proceda hablar ni facilitar imágenes, para que otros puedan entrar como sppettatore en esas mismas condiciones idóneas. Y naturalmente, se percibe como un ultraje la pretensión de tomar este Edipo como un simple espectáculo, cosa que en ocasiones se ha dado:
Gli organizzatori del Festival sono di pazzi... La direttrice del Festival andato via MM si piazza davanti alla porta d’uscita con una telecamera.
84. Cf. MUNARO 2012, 89.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 219
Siamo costretti a fare uscire gli spettatori da una porta secondaria. Ma possibile che non esista rispetto per il teatro neanche da chi lo fa?
(dal Diario di Lavoro di Roberto _ luglio 2002)85
El caso recuerda lo que cuenta Livio respecto a los misterios de Eleusis, por cierto con un final aún más ejemplar: un hombre que había escalado las rocas para ver a escondidas la sacra representación... cayó y se murió86 .
Pero como hemos dicho, tanto a los iniciados de Eleusis como a los spettatori se les ofrecen ocasiones que dan continuidad a la experiencia. Hay documentos que se refieren a un segundo grado iniciático, probablemente al año siguiente de la primera iniciación87; una inscripción ateniense menciona encuentros mensuales de los iniciados en el Eleusinion 88; se trataba pues de una dinámica progresiva que afectaba también a los posibles sacerdocios:
Pues en efecto, es preciso deponer la rudeza, y contemplar los Pequeños Misterios antes que los Grandes, y ser danzante antes que daduco, y daduco antes que hierofante89 .
En cierto modo, el procedimiento es comparable al que está funcionando en esta etapa expansiva del Edipo dei Mille: antes de incorporarse a la obra, los actores potenciales han de realizar un laboratorio básico con el Teatro del Lemming, titulado I cinque sensi de l’attore; los seleccionados pasan a hacer un segundo laboratorio, cuya primera sesión es rigurosamente personal: cada uno de ellos es citado a una hora para ser el spettatore de la obra en cuestión. A partir de ahí, un intenso trabajo sulla partitura del Edipo con los actores del Lemming dirigidos por Munaro, y una redistribución: cada actor del Lemming dirige a un grupo de seis actores noveles y así el Edipo puede multiplicar su oferta —siempre para un solo espectador.
En este caso, pues, de ser spettatore se pasa a ser actor-guía; y de ser actor del Lemming se pasa a dirigir a unos actores-guía noveles. Por otra parte está la vía complementaria que se ofrece a los spettatori en general: al acabar la sesión, se te entrega un sobre con el esquema del recorrido, un esbozo del sentido de la obra y dos propuestas. Una, de tipo personal: que envíes tus impresiones a la web del Edipo dei Mille. Quien se toma el trabajo de pronunciarse por escrito respecto a su experiencia del Edipo sabe la dificultad que eso comporta, pero también siente la necesidad de entregar ese retorno
85. Ibidem, 131.
86. Liv. XXXI 14. Otras anécdotas en LIPPOLIS 2006, 97; también sobre la sanción de quien difundiera los misterios.
87. Cf. SCARPI E 15.
88. Cf. SCARPI E 17.
89. Sinesio, Dión 10, 52 c; SCARPI E 18.
Natalia Palomara quienes tanto le han dado; de hecho, la inmensa mayoría de las cartas dan abiertamente las gracias. Así pues, en cierto modo constituye un paso más, que pese a tener una consistencia meramente verbal y escrita, suele abundar en la plenitud de la experiencia.
La otra, en forma de anuncio: el Lemming ofrecía un encuentro colectivo con los espectadores en el Teatro Momo de Mestre, cuatro días después de haberse completado las diez jornadas del Edipo. No pude asistir a esas Conversazione Sceniche, pero he accedido al registro de la segunda parte del acto90: en esa ocasión son los actores —en pie ante los spettatori sentados— quienes les hablan de su experiencia paralela, y dan testimonio vivo de su densidad. Gracias a estas ‘confesiones’ cada spettatore puede adentrarse en esos otros trasfondos insospechados del Edipo, y sentirse correspondido por la confianza con que se expresan actores y director.
Todo ello contribuye a reconocerse integrado en ese ‘peculiar colectivo’ al que me he referido al principio, de cuantos nos hemos atrevido a este Edipo, y que tiende a la integración de cuantas más personas sea posible. Así se demuestra en la reciente dinámica dei Mille y así lo expresan muchos de los testimonios. Quizá no por casualidad al transcribir uno de los más elocuentes Munaro mismo lo compara al rito eleusino:
Un altro spettatore mi dice che dovremmo stare a Zona Castalia almeno per trent’ anni perché “doverbbero venire dall’Egitto, dalla Francia, dall’America: ogni cittadino di questo pianeta doverbbe fare questo specttacolo almeno una volta nella sua vita”. Già, come un rito Eleusino per i cittadini dell’Attica.
(dal Diario di Lavoro di MM_luglio 1997)91
Con parecido fervor proclamaba Isócrates que ese don que Deméter había concedido a sus antepasados al llegar al Ática, la iniciación «por la cual quienes participan poseen las más gratas esperanzas para el final de la vida y para su entera existencia», la ciudad de Atenas no lo negó a los demás, sino que ha hecho a todos partícipes de la inciación mistérica como muestra de filantropía: φιλανθρώπως ἔσχεν 92
ἔχεις , Massimo: grazie.
90. <http://vimeo.com/24016286> [consulta 30/8/2012].
91. MUNARO 2010, 87. 92. Cf. Isocr. Orat. 4, 28-29.
L’Edipo dei Mille (M. Munaro): atreverte a una iniciación mistérica 221
Procedencia de las imágenes
Fig. 1 http://blog.kathrynmcgowan.com/2010/09/13/barley-water-an-ancient-refreshing-drink/
Fig. 2 http://theancientworld.tumblr.com/post/20655138925/votive-relief-todemeter-and-kore-greek-425
Fig. 3 y 5 Fotografías de Javier Mendoza
Fig. 4 BURKERT 1986: 12, 3
Fig 6 y 7 MYLONAS 1961: 72, 73
Fig. 8 REEDER 1995: 296
BIBLIOGRAFÍA
BRETON, J. 2007, Portrait of a Priestess. Women and Ritual in Ancient Greece, Princeton, NJ.
BURKERT, W. 1986, Ancient Mystery Cults, Cambridge, MA.
CLINTON, K. 2007, «The Mysteries of Demeter and Kore», in ODGEN, D. ed. A Companion to Greek Religion, Malden, MA, pp. 342-356.
DETIENNE, M. 1983 [1972], Los jardines de Adonis, Madrid.
KERENYI, K. 1991 [1962], Eleusis: Archetypal Image of Mother and Daughter, Princeton NJ.
L IPPOLIS , E. 2006, Mysteria. Archeologia e culto del santuario di Demetra a Eleusi, Milano.
MUNARO, M. 2010, EDIPO. Tragedia dei sensi per uno spettatore, Corazzano, Pisa.
MYLONAS, G. E. 1961, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, London.
REEDER, E. D. 1995, «Persephone and Demeter», in Pandora. Women in Classical Greece, Princeton, NJ, pp. 287-297.
RICHARDSON, N. J. 1974 (ed.), The Homeric Hymn to Demeter, Oxford.
SCARPI, P. 20046 (ed.), «Eleusi», in Le Religioni dei Misteri. Eleusi, Dionisismo, Orfismo, vol. I, Milano, pp. 5-219.
Ítaca. Quaderns Catalans de Cultura Clàssica
Societat Catalana d’Estudis Clàssics
Núm. 30 (2014), p. 223-229
DOI: 10.2436/20.2501.01.57
Dioniso o Penteo? Il lavoro sullo spettatore nel Teatro del Lemming
Massimo Munaro Regista del Teatro del Lemming infolemming@teatrodellemming.com
ABSTRACT
This study deals —through the perspective of Teatro del Lemming’s singular work on the spectator— with the original meaning of the theatrical viewing. On one side, the spectator’s eye, as we usually consider it, remind us about Pentheus’ voyeuristic view, which imply detachment and distance. On the contrary, Dionysus’ eye demands a reciprocity and a communion of the experience — not by chance, Dionysus, for the ancient Greeks, was the God of theatre. Today, we need to go back to that participatory look, in order to renew the actuality of theatre.
KEYWORDS: Teatro, Attore/Spettatore, finzione/antifinzione, voyeurismo/evento condiviso
Non c’è dubbio che a partire da EDIPO – Tragedia dei sensi per uno spettatore, un lavoro che segna un punto di svolta nella ricerca del gruppo, il mito e il tragico assumono un ruolo centrale nel nostro percorso teatrale. Dapprima ci hanno condotto a realizzare, nel puro spirito greco che ci anima, una TETRALOGIA DEL MITO E DELLO SPETTATORE, costituita, appunto, oltre che da EDIPO, da DIONISO E PENTEO, AMORE E PSICHE e ODISSEO. Con questi lavori, dedicati rispettivamente a uno, nove, due e trenta spettatori (si realizzano naturalmente per ciascuno di questi spettacoli più repliche al giorno) abbiamo cercato di interrogare, per così dire, lo spettatore al singolare: il coinvolgimento era pensato, infatti, uno a uno, spettatore per spettatore. Successivamente il nostro interesse si è indirizzato verso l’elaborazione di
Massimo Munarodrammaturgie in grado di interrogare profondamente l’intero corpo di una comunità, a partire da NEKYIA – Inferno Purgatorio Paradiso fino ai più recenti ANTIGONE e ad AMLETO – questi ultimi due lavori non prevedono una limitazione al numero di partecipanti.
In questa radicale messa in gioco dello spettatore, prima nella sua singolarità e poi nelle sue relazioni collettive, il mito è diventato per noi uno strumento essenziale in quanto costituisce la fondamentale chiave d’accesso per un efficace coinvolgimento drammaturgico e sensoriale degli spettatori.
Va da sé che questo coinvolgimento, spesso spiazzante, mina la passività abituale dello spettatore e lo conduce a vivere l’evento come una personale e intima esperienza.
Al centro delle nostre drammaturgie, come ho detto, sta sempre il mito. E il mito non è una semplice storia. Come ha indicato Aristotele, la storia è accaduta una volta per sempre, il mito invece, seppure non è mai accaduto, è sempre in atto almeno come possibilità — per questo, in quanto ha a che fare con l’universale piuttosto che col particolare la poesia è attività più elevata e più filosofica della storia1
Il mito e la mitologia , che erano stati ridotti in epoca illuminista a poco più che un insieme di favole per bambini o per gli sciocchi, hanno conosciuto a partire dal secolo scorso una crescente rivalutazione fino ad assumere una centralità nel pensiero contemporaneo. E così è per il tragico. Da Freud a Nietzsche, da Kierkegaard ad Heidegger, la tragedia, che era soltanto un genere poetico, è divenuta un’interrogazione costante del pensiero, un varco possibile verso il fondamento, verso il senso dell’essere. Da Jung e dalla psicologia archetipica abbiamo, per esempio, re-imparato che la nostra vita segue sempre figure mitiche: «noi agiamo, pensiamo, sentiamo soltanto come ci è consentito dai modelli primari costituiti dal mondo immaginale, la nostra vita è mimetica dei miti» 2. Ha scritto James Hillman che se «i miti non sono più racconti di un libro illustrato: noi siamo quei racconti e li illustriamo con le nostre vite» 3. Ecco perché il mito nelle nostre drammaturgie rappresenta la chiave di accesso per il coinvolgimento dello spettatore. Non abbiamo bisogno infatti di conoscere le storie di Edipo, di Dioniso e Penteo, di Amore e Psiche, di Odisseo, perché queste storie già ci abitano. Si tratta semplicemente di non limitarsi a raccontarle una volta di più, ma, come è proprio al teatro, di farle accadere. Quello che cerco di fare è costruire delle drammaturgie in grado di condurre non solo gli attori ma anche gli spettatori nell’esatta condizione del mito in oggetto, delle sorte di trappole che includano entrambi e li mettano ‘in situazione’ relazionali. Ecco allora inevitabilmente attivarsi strati profondi della coscienza e dell’anima. Non possiamo infatti toccare il mito senza che esso ci tocchi a sua volta.
1. In ARISTOTELE 1995, 77.
2. HILLMAN 1988, 8.
3. HILLMAN 1992, 184.
Dioniso o Penteo? Il lavoro sullo spettatore nel Teatro del Lemming 225
L’impatto per lo spettatore è enorme. E’ necessario sottolinearlo: si tratta di una forza emotiva a cui non siamo più abituati e che non ci si immagina possa manifestarsi recandoci a teatro.
Eppure è detto (ancora Aristotele) che il teatro è in grado di sollevare delle passioni enormi, e che anzi l’azione tragica, la tragedia, può essere definita soltanto a partire dall’effetto specifico che determina sullo spettatore, che per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni4. Quale teatro è in grado di suscitare oggi nello spettatore una tale potenza emozionale? Il conflitto tragico mentre non consente nessuna risoluzione, al contempo produce una straordinaria liberazione dell’animo oppresso. E qui seguo Gadamer: «lo spettatore riconosce se stesso e il proprio essere finito nei confronti della potenza del destino (...) il ‘così è’ dello spettatore è una specie di riconoscimento di sé che egli fa, uscendo con tale consapevolezza dalle illusioni in mezzo alle quali, come ogni altro, comunemente vive»5
Ed è proprio ciò che accade agli spettatori all’uscita dai nostri lavori. Magari piangono, o necessitano di diversi minuti per potersi riavere — perché ogni lavoro del Lemming è una nekyia, uno sprofondamento nell’Ade, nell’inconscio, nel sogno, e occorre un po’ di tempo per riemergere alla luce e alla veglia. Ma poi, gli spettatori, sempre ringraziano. E questa loro gratitudine è il segno del funzionamento dell’evento, testimonia che il rito, a cui il mito necessariamente è stato legato e che ha consentito la sua piena attivazione, ha prodotto un piccolo passaggio di stato, una piccola trasformazione.
In realtà, nella loro peculiarità, i nostri lavori riformulano e rispondono a delle necessità che attraversano molto teatro novecentesco. Ne riassumo alcune: la necessità del teatro di configurarsi per lo spettatore come una esperienza che prima che cognitiva sia profondamente emotiva e perturbante: organica; praticare un teatro che non sia mera rappresentazione ma esperienza di un evento: io non assisto a qualcosa ma la vivo;
la necessità del teatro di rivolgersi, tanto più nell’era mediatica di oggi, non ad una massa anonima (il pubblico) ma a ciascun partecipante (lo spettatore); ridefinizione perciò dei ruoli attore/spettatore, stabilendo nella loro relazione diretta il fuoco dell’esperienza; sganciare lo spettatore teatrale dal ruolo voyeuristico a cui l’aveva consegnato il teatro ottocentesco, tanto più che oggi essere spettatori passivi ed impotenti è divenuto paradigma della nostra stessa condizione di cittadini; eludere perciò la passività dello spettatore, renderlo attore dell’evento: qui allo spettatore è consegnato, addirittura, il ruolo del protagonista;
4. ARISTOTELE 1995, p. 67.
5. GADAMER 2001, 164-166.
Massimo Munarorimettere in gioco, così, oltre al corpo dell’attore anche il corpo dello spettatore: da cui la dimensione fortemente sensoriale dell’esperienza — non solo vista ed udito, ma anche olfatto, gusto e tatto. Tutti i cinque sensi entrano in sinestesia a dar luogo ad una drammaturgia dei sensi; rendere l’evento teatrale irripetibile, unico e personale per ciascun spettatore partecipante; la necessità di tornare, rispetto alla spettacolarizzazione dilagante, al significato rituale, sacro e di conoscenza che è anche il tratto fondativo dell’esperienza teatrale; ritornare ad una pratica teatrale originaria che sappia iniziare le persone a divenire cittadini del mondo; pensare alla pratica dell’attore come ad un dono d’amore verso lo spettatore, con tutta la messa in gioco, il denudamento reciproco ed il rischio strutturale che questa offerta comporta; ridefinizione dello spazio teatrale: lo spettacolo non è più davanti a me, ma esso mi circonda, mi sovrasta, mi abita , ed io lo vivo come un mondo dentro cui sono precipitato; ridefinizione del tempo dell’esperienza: esso ha inizio per lo spettatore dal momento in cui si prenota e si dilata dopo il lavoro nella lunga inevitabile elaborazione che segue.
Voglio innanzi tutto chiarire, in modo da evitare ogni equivoco, che queste istanze da noi realizzate in modo tanto personale quanto radicale, in particolare con la Tetralogia, si collocano totalmente all’interno della riflessione e della pratica di ciò che può e deve essere chiamato Teatro. Da questo punto di vista credo che se uno dei grandi meriti dell’Avanguardia teatrale del secondo novecento sia stato provare a ricondurre il teatro al suo fuoco originario, è altrettanto evidente che il suo grande errore sia stato autocollocarsi fuori da quella cornice che chiamiamo teatro. Ed è un errore che stiamo ancora pagando. La grave responsabilità politica di quella generazione, a mio avviso, è infatti quella di avere immaginato, ad esempio, la performance e più in generale la propria attività spettacolare, come una sorta di sottogenere teatrale lasciando così facilmente intendere che il ‘vero’ teatro stava da un’altra parte — naturalmente sul lato meramente rappresentativo e per altro asfittico del teatro di prosa e della lirica rimasta alla sua derivazione ottocentesca e sempre più consegnata al puro intrattenimento6 . A titolo di esempio riporto una dichiarazione di uno dei principali protagonisti, anche teorici, di quegli anni, Richard Schechner. Cito testuale: «l’ambiguità del teatro a partire dal 1960, è una conseguenza della sopravvenuta difficoltà di stabilire [in scena] con esattezza dei confini se ciò sta “realmente accaden-
6. Nel dizionario della lingua italiana Devoto-Oli si legge alla voce performance, “(...) 2.: forma di produzione teatrale, o genere artistico, nato negli Stati Uniti e diffusosi intorno al 1970, basato sull’improvvisazione dell’artista e sul coinvolgimento del pubblico”.
Dioniso o Penteo? Il lavoro sullo spettatore nel Teatro del Lemming 227
do” o meno»7. Ecco per me l’errore è tutto qui: perché questa ambiguità tra la realtà e la finzione non è certo un tratto caratteristico di una qualche tendenza avanguardistica, ma è inerente al senso originario dell’esperienza teatrale, fonda anzi —come ha spiegato mirabilmente Jean-Pierre Vernant— la natura stessa del tragico. Anche qui cito testuale: «se uno dei tratti rilevanti di Dioniso consiste, come pensiamo, nel confondere incessantemente i confini dell’illusione e del reale, nel far sorgere bruscamente l’altrove quaggiú sulla terra, nell’estraniarci da noi stessi e disorientarci, è proprio il volto del dio che ci sorride, enigmatico e ambiguo, in questo gioco dell’illusione teatrale che la tragedia, per la prima volta, instaura sulla scena greca»8. Quando a teatro sappiamo perfettamente che ciò che accade è una mera finzione, come oggi troppo sovente capita, il tragico scompare.
E’ Euripide che nelle Baccanti mettendo in scena lo stesso dio del teatro, e realizzando perciò per la prima volta un’opera metateatrale (cioè un’opera che riflette sul teatro attraverso il teatro), propone nell’opposizione fra Dioniso e Penteo due antitetiche modalità di visione teatrale. Quella di Dioniso che pretende la reciprocità degli sguardi in un faccia a faccia in grado di condurre il suo iniziato —qui e ora— in quell’altrove che è il vero territorio del teatro, e quella di Penteo che dopo averne negato ogni sacralità brama di poter spiare gli attori/baccanti senza essere visto.
Da una parte teatro come immersione nell’esperienza e nell’alterità, dall’altra lo sguardo come distacco, ferita e potere.
Qual è il vedere teatrale? Quale idea di visione implicita la stessa parola teatro: theatron?
La visione a cui conduce Dioniso è l’epopteia — la Visione con la ‘v’ maiuscola. Questo vedere ha che fare con il conoscere, con la sapienza, con la verità. E’ un modalità dello sguardo propriamente contemplativa, e con-templare implica la nostra inscrizione, non stiamo a guardare da fuori (come vorrebbe Penteo) ma siamo all’interno del recinto sacro. Guardiamo e siamo guardati — siamo noi stessi parte della visione, come nella festa, nel gioco o nel simbolo, che poi sono anche i tre principi a cui Gadamer riconduce l’arte9
All’opposto quello che è certo è che siamo sempre più quotidianamente sprofondati nella condizione visiva ed esistenziale di Penteo. Ha scritto Umberto Galimberti: «istituendoci come spettatori e non come partecipi di un’esperienza o attori di un evento, i media ci consegnano quei messaggi che per diversi che siano gli scopi a cui tendono veicolano eventi che hanno in comune il fatto che noi non vi prendiamo parte, ma ne consumiamo soltanto le immagini»10 .
7. SCHECHNER1984, 136
8. Il dio della finzione tragica, in VERNANT; VIDAL-NAQUET 2001, 10. 9. cfr. GADAMER 2000.
10. GALIMBERTI 2000, 208.
Massimo MunaroE’ evidente perciò che la scelta di ricollocare lo spettatore al centro dell’esperienza teatrale è certo un’azione politica, una reazione alla mercificazione dilagante che ha toccato anche buona parte del teatro che ci sta accanto. Così come il nostro ritorno alla Grecia e al senso originario dell’esperienza teatrale non è certo un moto di nostalgia quanto una risposta attuale alla condizione del presente. Per noi è necessario cercare di minare a teatro la passività dello spettatore/consumatore che caratterizza ormai la nostra stessa condizione di cittadinanza. E’ per questo che ci rivolgiamo alla Grecia, una Grecia immaginale naturalmente piuttosto che letterale, perché da lì abbiamo imparato che il teatro può essere il luogo privilegiato in cui rimettere in funzione una partecipazione attiva dello spettatore, in grado di farlo uscire da quella condizione vouyeristica a cui da troppo tempo si è consegnato.
Ogni epoca è spinta a rileggere il teatro nei termini di cui ha bisogno per rispondere alla chiamata e all’urgenza del presente: vale per l’arte così come in fondo per tutte le cose dell’uomo. Per questo, di fronte alla crisi della società contemporanea, io credo sia necessario oggi tornare a Dioniso, alle sue antinomie e alle sue tragiche opposizioni. Ritrovare l’idea di un Teatro Sacro. Un teatro che sappia ancora essere un rito pieno di senso per l’uomo. Ecco dunque che, fosse anche solo per giustificare la sua necessità e la sua sopravvivenza all’interno del tempo presente, il teatro è costretto a reinventarsi e a proporre nuove antinomie. Per quanto appaino paradossali e rovescino le nostre abituali concezioni sul teatro esse si presentano come concrete direzioni di ricerca. Elenco alcune di queste opposizioni:
— se la nostra è una società in cui la spettacolarizzazione generalizzata pervade sempre più qualsiasi espressione sociale, allora la sfida per il teatro è quella di rivendicare per sé uno statuto non-spettacolare; — se ci percepiamo all’interno della società come presenze anonime allora il teatro deve perseguire l’incontro con le singole persone nella pienezza delle soggettività; — se viviamo in un mondo di menzogne allora la posta in gioco nella relazione teatrale è l’autenticità;
— se la realtà tutta intorno diviene finzione allora l’arte, come ci ricorda Odo Marquard11, deve costituirsi come territorio dell’Antifinzione Queste antinomie, se volete, costituiscono davvero un nuovo paradosso del teatro, ma contemporaneamente ci riconducono al senso profondo dell’esperienza teatrale, legata alla sua origine di rito di purificazione: esso abita lo spazio della metafora e non del letterale e usa finzioni immaginative solo per svelare il reale. In questo l’arte, per una volta, non si colloca più al servizio del potere ma, anche grazie alla sua marginalità, si mette al servizio di relazioni altre all’interno della —per quanto piccola e impermanente— communi-
11. cfr. MARQUARD 1994.
Dioniso o Penteo? Il lavoro sullo spettatore nel Teatro del Lemming 229
tas teatrale. Perché ciò che ci resta da fare in questo grande sfacelo del mondo è cercare di inventare strategie in grado, come ha indicato Zigmunt Bauman12, di trasformarci da spettatori in attori. Occorre così provare a fare del teatro non solo un ‘anestetico’ che più o meno aiuti a sopportare la realtà, ma anche uno strumento in grado di produrre delle piccole ma significative trasformazioni nelle persone che lo frequentano, renderci soggetti attivi di un’esperienza condivisa.
BIBLIOGRAFIA
ARISTOTELE 1995, Poetica, Milano.
Z. BAUMAN 2003, La società sotto assedio, Bari.
G. DEBORD 1997, La società dello spettacolo, Milano.
H.G. GADAMER 2000, L’attualità del Bello, Milano.
H.G. GADAMER 2001, Verità e Metodo, Milano.
U. GALIMBERTI 2000, Orme del Sacro, Milano.
J. HILLMAN 1988, Saggi sul Puer, Milano.
J. HILLMAN 1992, Re-visione della Psicologia, Milano.
O. MARQUARD 1994, Estetica e Anestetica, Bologna.
M. M UNARO 2010, Edipo , Tragedia dei sensi per uno spettatore , Corazzano (Pisa).
R. SCHECHNER 1984, La teoria della performance, Roma.
J.P. VERNANT; P. VIDAL-NAQUET 2001, Mito e Tragedia due, Torino.
12. cfr. BAUMAN 2003.
NORMS OF LAYOUT OF ORIGINALS FOR EDITION
The articles will be reviewed for approval by external examiners
Format:
TITLE OF THE
CONTRIBUTION
(in bold, 14)
Author (font size 12)
Workplace (font size 12)
ABSTRACT
in English (font size 12), 10 lines maximum; single line space
Key Words. font size 12; 5 maximum
Typefaces: Times New Roman 12 in the text. Line space 1,5. Paragraphs without indentation; without tab. Greek: Unicode, preferably Asteria Unicode (downloadable). Notes: text, note, punctuation mark. Example: word00
‘Single quotation marks’: for single words; for translations. «Angle quotes»: for quotes.
“Curly double quotes”: for quotes within quotes.
Text in smaller policy for quotes bigger than 2 lines: 11. Times New Roman. Single line space. Indentation: left: 0,8 cm.
Footnotes: 10. Times New Roman
BIBLIOGRAPHY: at the end of the article. Anglo-Saxon system
Authors’ names in SMALL CAPS (as well as in the text of the article; example: WILAMOWITZ 1914, 000). In case of 2 authors: AUTHOR; AUTHOR. In case of titles of one author and various years: AUTHOR year a, b, etc.)
French indentation: 1,2 cm. Example:
BIBLIOGRAPHY
F. GRAF 1993, «Dionysian and Orphic Eschatology: New Texts and Old Questions», in TH. H. CARPENTER; CHR. A. FARAONE (edd.), Masks of Dionysus, Ithaca - London, pp. 239-258.
M. PARRY 1929, «The Distinctive Character of Enjambement in Homeric Verse», TAPhA 60, pp. 200-220.
M. L. WEST 19982 [1990], Aeschyli Tragoediae cum incerti poetae Prometheo, Stuttgart-Leipzig.
The abbreviations of ancient authors’ and works’ names are, regarding the Greeks, those of the LSJ; regarding the Latins, those of ThlL. Exceptions: Aesch. (no A.) Suppl. Sept. Pers. PV Ag. Ch. Eum.
Soph. (no S.) Ai. El. OT Ant. Tr. Phil. OC
Eur. (no E.) Cycl. Alc. Med. Her. Hipp. Andr. Hec. Suppl. HF Ion Tro. IT El. Hel. Pho. Or. Ba. IA Rh. Pind. (no Pi.) Pyth. Ol. Isth. Nem.
Bacch. (no B.)
Thuc. (no Th.)
Dem. (no D.)
Aristoph. (no Ar.) Ach. Eq. Nub. Vesp. Av. Pax Lys. Thesm. Ran. Eccl. Pl. Xen. (no X.)