La Sicilia durante la Seconda Guerra Mondiale

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1. La Sicilia e il Fascismo

La Sicilia ha assistito con passività all'avvento della dittatura fascista mostrando solo sintomi di opposizione latente, ma di certo non può essere considerata, come è stato rilevato, «una delle cellule dalla cui abnorme proliferazione nacque il Fascismo». Non si può dire, insomma, che lo sbocco dittatoriale abbia avuto nella Sicilia una base di partenza. L'esito del Plebiscito del 1934 – su quasi quattro milioni di abitanti dell'isola, soltanto 116 siciliani espressero voto negativo – si spiega facilmente: il voto non era segreto e non c'erano candidati di altri partiti oltre a quello fascista. L'onda del dissenso, piuttosto, sarebbe cresciuta man mano che si assisteva alla deriva etica del movimento fascista. Ne è testimonianza la severa denuncia di Annibale Bianco: «Così il Fascismo, che altrove è passione e ardore, fede purissima che affascina e trascina, qui diventa calcolo, convenienza, tornaconto; il Fascismo, che altrove sorge per rinnovare la coscienza italiana e salvare l'Italia, qui sorge per conquistare municipi e per difendere posizioni elettorali». Dopo che Mussolini stesso fece in Sicilia velleitarie promesse ai siciliani, preannunciando nel corso di una sua visita a Palermo ( 20 agosto 1937), «un'epoca tra le più felici che essa abbia mai visto nei suoi quattro millenni di storia», nel 1939 fu avviato nell'isola un imponente programma celebrativo. Una quarantina di conferenze per ricordare le glorie locali e il valore dell'antichissima civiltà di Sicilia furono tenute nelle principali città dell'isola.

Mussolini nella Valle del Belice

Benito Mussolini

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2. Lo scoppio della guerra e il trasferimento dei funzionari siciliani

La Seconda Guerra Mondiale

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Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si squarciò il velo della finzione e della retorica e apparve chiaro ai siciliani che avrebbero pagato a prezzo altissimo le conseguenze dello scellerato comportamento della nazione nello scacchiere bellico internazionale. La sua posizione strategica nel cuore del Mediterraneo, infatti, esponeva apertamente l'isola alle mire dei vertici militari. Chiusi i mercati di esportazione, la difficoltà di procurarsi gli approvvigionamenti di prima necessità portò a momenti di sofferenza estrema per il popolo affamato. Come se non bastasse, poi, le navi-traghetto che la collegavano al continente erano costrette a dare la precedenza alle navi militari, con conseguenti, gravi disagi nelle comunicazioni tra l'isola e la terraferma. Una significativa testimonianza dei disagi patiti dall'isola in quel periodo è quella del Ministro degli Esteri del Governo fascista Galeazzo Ciano, che in data 4 ottobre 1941, nel suo Diario, annotava: «La situazione interna [...] diviene grave in Sicilia. Questa regione, che della guerra ha tutti i costi e nessun beneficio, è stata soprattutto urtata dalla decisione personale del Duce di allontanare i funzionari siciliani dall'isola. Alla miseria si è aggiunto ciò che essi considerano un oltraggio. Perché ciò sìa stato fatto, io non so. Ho visto Gaetani che desidera lasciare la carica di Vice Segretario del Partito e che piange quando parla delle condizioni della Sicilia. Ho visto Massi, che dovrebbe trasferirsi nel Nord Italia e che rifiuta di farlo. Ho detto: Mio padre è genovese e mia madre è siciliana. Se fosse ebrea sarei arianizzato. Così invece non c'è perdono per me.


Essere siciliani è dunque peggio di essere ebrei?». Ciano si riferiva allʼassurdo provvedimento adottato dal governo nell'agosto del 1941, con il quale venivano sradicati e trasferiti in continente i funzionari siciliani sospettati di infedeltà al Regime. Anche il sistema di razionamento fallì, aumentando le sofferenze del popolo siciliano e determinando, come riflesso, la paralisi della giustizia. Per far fronte alle necessità quotidiane, infatti, si creò un fitto mercato nero di alimentari e altri beni di prima necessità, al punto che i tribunali non riuscivano a gestire la mole di casi che a questi traffici era legata. Nel frattempo il Duce, per rassicurare l'opinione pubblica, bollava come inverosimile la possibilità di uno sbarco alleato in Sicilia. Quando invece i fatti lo smentirono egli, scrive Mack Smith, «non osò mobilitare la popolazione per la difesa, perché armare il popolo poteva essere molto pericoloso; per giunta sarebbe stata una dimostrazione del fallimento e c'era il rischio di scoprire il bluff su cui poggiava. Sebbene egli dicesse di poter oscurare il cielo con la sua aviazione, in realtà non c'erano nemmeno delle appropriate difese costiere, tantomeno un'adeguata copertura aerea contro l'invasione, e i generali lamentavano che gran parte dell'artiglieria fosse a trazione animale» (D. Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, 4ª ediz., Bari, Laterza, 1971, p. 716).

3. Lʼoperazione Husky

Gli alleati sbarcarono a Gela il 10 luglio 1943. Fu un evento epocale che non interessò solo le sorti dell'isola, ma anche quelle dell'Italia, dell'Europa e del Mondo, in uno dei punti di snodo della Storia del secolo scorso.

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Commando FF. AA. Sicilia

Giornale di Sicilia

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Renda sottolinea che la «polivalenza» di tale data «nel più ampio contesto storico italiano, europeo e mondiale, pone allo storico il problema non sempre facile di trovare la giusta chiave di lettura che di quella vicenda, al contempo siciliana, italiana, europea e internazionale, dìa il senso e la portata. Rare volte, come in quella occasione, un avvenimento siciliano esige di non essere considerato con l'ottica della storia locale. La Sicilia, nel luglio e nell'agosto 1943, si trovò ad essere uno dei punti cruciali in cui si decisero effettivamente le sorti del mondo» (F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Palermo, Sellerio, 1990, vol. III, p. 15). In Sicilia si scontrarono 855.000 uomini - 450.000 fra inglesi e americani, 405.000 fra tedeschi e italiani - ma il bilancio delle risorse impiegate vedeva un'abissale sproporzione a vantaggio degli Alleati. Gli anglo-americani, infatti, potevano contare su 2775 navi da trasporto di vario tonnellaggio, 1600 mezzi da sbarco, 4000 aerei, 14.000 veicoli, 600 carri armati, 1800 cannoni. Era una poderosa macchina bellica, guidata dai più grandi strateghi del tempo: il Generale americano Eisenhower, che ricopriva il ruolo di comandante supremo, il Generale inglese Alexander, cui venne affidato il comando diretto della spedizione, il Generale Montgomery e il Generale Patton, al comando, rispettivamente, dell'Ottava Armata britannica e della Settima Armata americana, i Generali Tedder e Cunningham, al comando l'uno delle forze aeree e l'altro di quelle navali. Le forze dell'Asse italo-tedesco non potevano reggere la spaventosa capacità dʼurto dell'esercito alleato. Contro i 4000 aerei alleati disponevano di appena 900 aerei, e nel settore navale la loro disponibilità era inconsistente. Il comando delle forze dell'Asse, tra l'altro, registrava una certa mancanza di coesione tra i generali. L'attacco alleato in Sicilia, noto come “Operazione Husky”, si svolse dal 10 luglio al 17 agosto del 1943 e si concluse con l'occupazione dell'intera superficie isolana. Ma, contrariamente alle previsioni, non fu una passeggiata per gli Alleati.


A complicare loro le cose si aggiunse la coraggiosa e tenace resistenza opposta da italiani e tedeschi, attestati sulla linea difensiva “Santo Stefano di Camastra-NicolosiLeonforte-Piano” di Catania. Quando i tedeschi batterono in ritirata la battaglia di Sicilia fu conclusa. Tragico il bilancio: 9013 morti nello schieramento italo-tedesco, 5181 in quello alleato.

4. La fine della guerra

La guerra aveva provocato in Sicilia innumerevoli perdite umane oltre che enormi distruzioni. Soprattutto le città erano state letteralmente sventrate dai bombardamenti aerei, tanto che gran parte della popolazione cittadina aveva trovato riparo nelle campagne. A provocare tanta distruzione furono i Liberators, poderose fortezze volanti con il compito di radere al suolo interi nuclei urbani. Questi aerei da guerra alleati nell'ultima fase della guerra solcavano i cieli della Sicilia vomitando il loro micidiale carico esplosivo e provocando ferite rimaste per decenni e non rimarginate. È quello che è accaduto per esempio alla stessa Palermo. Per il tributo altissimo di vite umane il capoluogo isolano veniva citato quotidianamente nei bollettini di guerra. Oltre 100.000 vani d'abitazione furono distrutti o danneggiati solo nel suo centro urbano. Altrettanti subirono la stessa sorte in provincia. Non stupisce quindi che l'occupazione degli alleati sia stata salutata con manifestazioni di giubilo popolare. Si trattava letteralmente della fine di un incubo. In tal senso è interessante la testimonianza offerta dal Generale Rennel, capo dell'A.M.G.O.T. (Allied Military Government of Occu-

Palermo nel dopoguerra

Gli Americani a Palermo

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Gli aiuti Americani

Il Gangster “Lucky” Luciano

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pied Territory), in un passo del suo secondo rapporto circa la situazione nell'isola dopo lo sbarco alleato: «Dal momento del mio arrivo in Sicilia, devo riferire di aver constatato un sostanziale mutamento nell'opinione pubblica. I siciliani di tutte le classi sociali, che prima si comportavano come cani bastonati o come cuccioli che fanno festa, dopo lo sbarco delle truppe alleate hanno reagito. Mi sembra che stiano diventando esseri umani, dalle caratteristiche ben definite, dotati di intelletto e di emozioni. Nel complesso hanno accolto gli alleati come liberatori e mantengono questa posizione». A testimonianza del grande valore strategico dello sbarco in Sicilia nel quadro complessivo della Guerra rimane la rapidità della successione di eventi che lo seguì: appena quindici giorni dopo lo sbarco si verificarono la deposizione e l'arresto di Mussolini e la formazione del Governo Badoglio. In pochi mesi, si arrivò alla firma dell'Armistizio, apposta il 3 settembre 1943. La caduta dell'isola in mano alle forze alleate significava per il popolo siciliano il ritorno alla libertà e soprattutto la possibilità di dare corpo alle proprie speranze di autodeterminazione.

5. Gli Alleati e la restaurazione mafiosa Un risvolto negativo dellʼoccupazione degli Alleati in Sicilia è stata, come avverte Mack Smith, la restaurazione della mafia «nella sua vecchia posizione di potere». Secondo lo storico inglese potrebbe essersi trattato di un piano deliberato dagli alleati per facilitare la conquista della Sicilia: «Certamente cʼerano stretti rapporti fra i gangster


dʼAmerica e di Sicilia e lʼaiuto della mafia poteva essere molto utile, se non altro per ottenere informazioni» (D. Mack Smith, Storia, cit., p. 718). È emblematico, per esempio, il ruolo avuto da Vito Genovese. Pur essendo ricercato dalla polizia statunitense per i molti conti in sospeso con la giustizia, risultò ugualmente essere un ufficiale di collegamento in unʼunità americana. Resta, poi, avvolto in un alone di mistero lʼepisodio legato allʼanalogo ruolo ricoperto dal noto gangster “Lucky” Luciano, nella collaborazione offerta ai servizi segreti americani per preparare lo sbarco alleato in Sicilia. È nota la storia di un suo foulard, recante una vistosa “L” stampigliata, lanciato il 10 luglio 1943 da un aereo sopra Villalba, il comune di cui era nativo il boss Don Calò Vizzini. Era il segnale che era scattata l'“ora X” delle operazioni di sbarco. Quel fatto, commenta Renda, «vero o verosimile che sia, è ormai un simbolo e un mito. […] Tutto quello che c'era da sapere o era possibile sapere su quell'ordito di accordi e compromissioni tessuto oltre oceano è ormai divenuto in un modo o nell'altro di pubblica ragione» (F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Palermo, Sellerio, 1990, vol. III, p. 78). Anche la gestione delle assunzioni per coprire le migliaia di posti della pubblica amministrazione lasciati vacanti dai fascisti è stata condotta, dai responsabili delle forze occupanti, in modo poco limpido. Costoro si affidarono a soggetti del luogo che avevano una certa influenza, «oppure al consiglio non sempre disinteressato di interpreti siculo-americani che facevano parte della rete locale di parentele» (D. Mack Smith, Storia, cit., p. 718). Così diversi mafiosi – spesso addirittura analfabeti – vennero insediati in importanti enti del Governo locale. È stato il caso per esempio dello stesso Vizzini, personaggio di spicco sopravvissuto ai drastici provvedimenti del regime contro la criminalità mafiosa, tempestivamente chiamato, benché semi-analfabeta, a ricoprire una carica di rilievo.

Don Calò Vizzini

Genco Russo

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La stessa sorte toccò a Genco Russo e ad altri mafiosi, andati ad insediarsi allʼinterno di importanti enti del Governo locale. Gli Alleati, in mancanza di un movimento partigiano di riferimento, puntarono ad adottare le misure ritenute idonee a mantenere tranquilla la situazione nell'isola mentre la guerra proseguiva sul teatro continentale. Per questo non seppero far di meglio che rimettere al potere una categoria di personaggi provenienti da un passato prefascista «e, una volta fatto, non ci fu modo di tornare indietro, perché essi fecero presto a trincerarsi efficacemente» (D. Mack Smith, Storia, cit., p. 719).

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