L'autonomia siciliana nella prospettiva

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1. Vecchia e nuova classe dirigente

Trascorsi oltre sessanta anni dall'entrata in vigore dello Statuto Speciale, coronamento dell'istanza autonomistica che permea così profondamente la storia della Sicilia, è naturale tracciare un bilancio di una così lunga esperienza e disegnare un orizzonte previsionale sulle possibili evoluzioni dell'Autonomia. Il 14 giugno 2007 il Presidente Napolitano, nel discorso tenuto in occasione della seduta solenne dell'Assemblea Regionale, ha voluto evidenziare il significato della «stagione politica di altissimo livello ideale, culturale e istituzionale» legata a uomini e gruppi che, seppure di diversa formazione politico-ideologica, si incontrarono sul terreno della battaglia per l'Autonomia Siciliana. Ha sostenuto che da quella lezione «c'è ancora da trarre [...] una preziosa ispirazione, una ricca messe di indicazioni e suggestioni, per affrontare nel modo migliore le sfide che la Repubblica ha oggi davanti a sé». Nel porre speciale attenzione alla questione morale, che ormai da tempo investe la politica, e al rischio di una spaccatura tra la Sicilia reale e quella legale, non è possibile prescindere dall'esempio di dedizione al progetto di costruzione di una Sicilia nuova, più evoluta e più libera, offerto da quegli uomini ai quali Napolitano ha reso un così commosso omaggio.

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2. Il pericolo del discredito dellʼistituto autonomistico

Antonio Maria Di Fresco

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Un raffronto tra quella generazione di dirigenti politici e la presente non può non suscitare, almeno su un piano generale e sempre fatte le debite eccezioni, una certa perplessità. Il pericolo è che si possa incorrere in un qualunquismo disfattistico, teso a liquidare come fallimentare l'operato dei responsabili dell'attuale gestione politico-amministrativa della Sicilia. Antonio Maria Di Fresco ci ricorda che negli anni Settanta circolavano a Palermo i versi di un anonimo; ma per taluni, bene informati, erano opera di Domenico Bruno, che interpretava «uno stato d'animo non certo tenero verso i rappresentanti del potere regionale» (A. M. Di Fresco, Sicilia. Trenta anni di Regione, Palermo, Vittorietti, 1976, p. 15).Proprio in una poesia della raccolta Pupi e pagghiazzi, pubblicata dal Centro di Cultura Siciliana “Giuseppe Pitrè” di Palermo, di cui Domenico Bruno era presidente, lʼA.R.S. viene paragonata all'Opera dei Pupi, mentre i novanta deputati diventano altrettanti paladini. La comparazione sottendeva un intento di ridicolizzazione dell'istituto parlamentare e dei suoi componenti: «Lu sapiti lu teatru / di li pupa chi cosʼè? / A Palermu ci nnʼè nʼautru / ni la casa di lu Re! / Sù novanta paladini / ca lu celu ni mannà / pi purtari a nui mischini / pani, amuri e libertà!». Il commento di Di Fresco è assai eloquente: «Come dire che allʼA.R.S. niente è serio e tutto si fa mossi da chissà quali fili di un anonimo burattinaio. C'è di più. Una delle più recenti indagini demoscopiche rivela che quasi il 50% dei Siciliani non ha buona opinione sui deputati regionali». Quando Di Fresco scriveva erano gli anni Settanta, ma la situazione, ai giorni nostri, non è di certo cambiata.


3. Le nuove sfide dellʼistituto autonomistico

L'osservatore comune oggi non può non manifestare la seria preoccupazione che l'istituto autonomistico, ove dovesse perdere le sfide cui è chiamato, a cominciare dalla lotta alla mafia, possa mancare di qualsiasi credibilità. La più importante di queste sfide è, per la prospettiva dell'Autonomia, quella di far recuperare alla Sicilia il ruolo di centralità che essa ha in passato ricoperto nell'area mediterranea. E per centralità, ovviamente, non si intende quella meramente geografica, che è un dato di fatto, bensì quella culturale, polietnica ed economica. «Meno di una nazione, ma più di una regione». Se si accetta questa formula, coniata da Giuseppe Giarrizzo, per definire la complessa identità della Sicilia, è evidente come in essa sia implicita l'aspirazione dell'isola a ricoprire un ruolo che non può rimanere compresso entro uno stretto ambito regionalistico, ma che, rifiutando ogni marginalizzazione, intende valere sia nel contesto della realtà italiana, che in quello dell'area euromediterranea. Si tratta di una pretesa non velleitaria, che trae legittimità dalla stessa storia dell'isola. Una storia che è stata condizionata in larga misura dalla geografia.

Giuseppe Giarrizzo

4. La ricerca di una identità forte attraverso i valori dellʼautonomismo democratico

È necessario che gli uomini ai quali sta a cuore il rilancio della Sicilia, tengano i piedi ben saldi a terra, non cedendo al miraggio, forte nella tradizione isolana, di quanti vogliono riproporre il mito della “Sicilia-mondo”, vero «microcosmo»

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che, a detta di Giarrizzo, «accoglie in forme miniaturizzate tutti i beni e tutti i mali». L'assunzione di un modello mitico risponde alla tentazione di creare stereotipi che finiscono per banalizzare la storia isolana, tenendone celati i caratteri veri, individuati dallo stesso Giarrizzo nella polietnia, nella condizione di «isola come vantaggio», nella «dimensione urbana dominante», nel «policentrismo come carattere della sua storia politica e culturale». Ma proprio da tale trama si evince la ricerca di una identità forte, segnata da positive tendenze a recuperare i valori dell'autonomismo democratico, coniugandolo con la «vocazione mediterranea» dell'isola.

5. Vocazione mediterranea e ruolo di mediazione culturale della Sicilia

Ragusa

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Vocazione mediterranea significa in primo luogo essere presenti, da protagonisti, nel dibattito e nelle scelte inerenti i grandi temi che si agitano in questo importante bacino. Significa, sotto il profilo economico, intensificare i rapporti di cooperazione, dando respiro al progetto di internazionalizzazione dell'economia siciliana. Significa, sotto il profilo sociale, proporsi come modello di convivenza polietnica, respingendo quella cultura dell'omologazione e dell'assimilazione, negatrice di ogni idea di reciprocità culturale, che ha alimentato, nei paesi dell'Occidente, forti correnti xenofobe. La Sicilia è in grado di dare un segnale di civiltà in tal senso, proprio perché non le viene difficile trovare nel suo passato le chiavi di lettura per comprendere il presente. In proposito è importante ricordare il ruolo di mediazione culturale esercitato dall'isola nel periodo normanno, quando


varie etnie convivevano in un contesto di grande rigoglio creativo e di fervore scientifico. Proprio allora cominciavano a formarsi «i Siciliani quali oggi li conosciamo, attraverso un processo di cooptazione e di recupero lungo e complesso di una larga maggioranza da parte di una minoranza numericamente esigua, la cui forza però consiste non solo nel potere delle armi, ma anche nel saldo collegamento, attraverso gli scambi culturali e commerciali, con l'Italia e l'Europa» (Sicilia ed Europa, appunti per una ricerca coordinata da Salvo Lima, Palermo, 1988, p. 20). Il riferimento è a una Sicilia in cui la mediazione culturale si coniuga allo spirito di tolleranza, come accadde con Federico II, il quale aspirava a comportarsi da optimus princeps, nel massimo rispetto di tutte le diversità. La dimensione mediterranea e la tendenza a mediare fanno parte del patrimonio cromosomico della cultura siciliana. Questo è un tema ricorrente nella storiografia più aggiornata, fino alla recente Storia della Sicilia a cura di Francesco Benigno e di Giuseppe Giarrizzo (Bari, Laterza, 2003). Proprio in quest'opera, Benigno, nel suo saggio d'apertura (L'isola non isola), avvia una riflessione sul fatto che il mare non ha mai costituito un fattore di isolamento nel corso dei millenni; anzi, è stato proprio il mare il tramite per avvicinare la gente locale non solo al continente italiano, ma anche ai paesi di riviera dell'Africa. Entrambi gli storici propendono per una lettura della storia dell'isola dove è centrale il motivo della capacità di mediazione: si coglie così un ruolo irrinunciabile, specie nel momento in cui «nuove sfide terribili incitano a ridefinire il volto e il ruolo della Sicilia nell'ambito dell'Unione Europea e di una società globale che si vuole multiculturale e multietnica».

Palermo

Trapani

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6. Segnali positivi di rinnovamento

Agrigento

Siracusa

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L'Autonomia, in prospettiva, può e deve essere considerata una risorsa, se i nostri dirigenti sapranno prendere misure coraggiose nell'ambito infrastrutturale e nei costi complessivi di insediamento: questi, come avverte Elio Rossitto, riguardano la fiscalità di vantaggio sia nel campo degli investimenti, quanto in quello del costo del lavoro, «ma riguardano anche la capacità del Sud, dei suoi ceti dirigenti, dei suoi giovani e delle sue donne a confrontarsi con i temi dei bisogni ma anche dei meriti». Una novità interessante nell'attuale scenario politico siciliano consiste nell'emergere di una forma di federalismo solidale, teso a radicarsi nel territorio come espressione rappresentativa dei bisogni della realtà locale, al di fuori delle logiche per le quali i partiti si configurano come centrali di clientelismo e di favoritismi. Nel rapporto di sudditanza e servilismo che molti esponenti della classe politica siciliana hanno mostrato, a partire dall'Unificazione, verso le sedi nazionali dei grandi partiti, si può individuare un vero bubbone delle strutture autonomistiche regionali. Quei personaggi, per usare ancora le parole di Elio Rossitto, «hanno vissuto il loro cursus honoris come portaborse dei ceti dirigenti nazionali. Assai più onorati dello stesso status personale, una volta raggiunto il laticlavio nell'Urbe, che non dell'impegno a definire e tutelare gli interessi dei loro rappresentati». Sempre Rossitto crede che «rompere questo circuito perverso attraverso forme di rappresentanza più legate al territorio e meno alla logica centralistica del partito è un tentativo che va guardato con attenzione soprattutto agli albori di quel federalismo di cui sopra. […] Ad un federalismo solidale farà da contraltare un autonomismo modernizzatore». L'osservatore comune di queste mosse non può che augurarsi che gli attuali segnali di cambiamento siano tutt'altro che illusori.




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