Alla scoperta del mondo 3. LETTURA • GRAMMATICA

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L’edizione di questo sussidiario per la terza classe è espressione del consapevole lavoro di un gruppo di insegnanti che in questi anni ha condiviso la proposta didattica e ricercato o composto testi ed esercitazioni per una conoscenza elementare essenziale ed efficace.

Percorso di lettura e relativa proposta operativa

Manuela Callaioli, Barbara Righetti, Sara Fasoli, Giulia Zonca, Marta Frizzi, Mirella Amadori, Paola Brambilla (selezione delle letture)

· Micaela De Francesco, Lorena Cirnigliaro, Giulia Brizio (esercizi di grammatica) · Francesco Grava (proposta musicale)

· Denise Marchiori (lavori artistici dei bambini)

Percorsi disciplinari e relativi esercizi

Elena Lucca, Carlotta Piatti, Letizia Furli, Martina Archesso, Silvia Musso, Simona De Paolis, Giuliana Limonta (aritmetica)

· Armida Panceri (geometria) · Emanuela Casali, Matteo Dolci, Francesca Simonazzi (storia) · Marta Sangiorgio, Annabella Maffi, Ornella Rotundo, Silvia Locatelli, Alessandra Campagnari (geografia) · Angela Luoni, Carla Agostini, Viviana Mezzacapo, Paola Brambilla (scienze)

Consulenti

Raffaela Paggi (grammatica) · Raffaella Manara (matematica) · Maria Elisa Bergamaschini, Maria Cristina Speciani (scienze)

L’ESPANSIONE DIGITALE DEL TUO LIBRO

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Alla scoperta del mondo 3. Classe 3 www.itacaedizioni.it/scoperta-mondo-3

Prima edizione: luglio 2018 Nuova edizione: giugno 2024

© 2018 Itaca srl, Castel Bolognese

Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-526-0773-8

Progetto grafico: Isabel Tozzi

Coordinamento editoriale: Daniela Dal Pane

Coordinamento redazionale: Cristina Zoli

Impaginazione e cura editoriale: Isabel Tozzi

Illustrazioni: Valeria Valenza, Daniela Blandino

Stampato in Italia da Lito Terrazzi, Prato (PO)

Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.

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Avvertenza

L’itinerario di storia proposto nel nostro percorso per la scuola primaria prevede la presentazione delle civiltà fluviali in terza classe, perché siamo convinti che questa scansione sia la più adeguata al cammino di conoscenza dei bambini, con un maggior equilibrio di contenuti nel triennio e la possibilità di approfondire maggiormente le civiltà da cui origina la nostra tradizione occidentale. Al contempo, tale scelta ci sembra più rispettosa della categoria storica propria in quanto indugia meno sulle epoche per le quali il livello interpretativo è molto elevato e lascia più spazio ai dati storicamente documentati.

Grazie alla collaborazione con Seleggo, la versione digitale ottimizzata di questo libro per studenti dislessici può essere ottenuta in download gratuito registrandosi al sito www.seleggo.org ® I LIONS IT ALIANI PER LA DISLESSIA

Per esigenze didattiche alcuni brani sono stati ridotti e/o adattati.

L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti. La realizzazione di un libro comporta aspetti complessi, che richiedono particolare cura in ogni sua parte e nei controlli finali. Ciononostante è molto difficile evitare completamente refusi o imprecisioni.

L’Editore ringrazia chi vorrà inviare segnalazioni alla redazione, scrivendo al seguente indirizzo e-mail: itaca@itacalibri.it. I nostri testi sono disponibili in formato accessibile e possono essere richiesti a: Biblioteca per i Ciechi Regina Marghera di Monza (http://www.bibliotecaciechi.it) o Biblioteca digitale dell’Associazione Italiana Dislessia (www.aiditalia.org/cosafacciamo-servizi).

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

Referenze fotografiche

Archivio Itaca · © BM | CTS 46 · The Metropolitan Museum of Art, New York: Bequest of William Church Osborn, 1951, 49, 113; Purchase, Raymond and Beverly Sackler Gift, 1988, 135; Rogers Fund, 1930, 141 · Pexels · PxHere · Shutterstock.com: WBMUL 4-5, Rostislav Glinsky 30, Syda Productions 50-51, Lithiumphoto 57, Halfpoint 58, Fotokostic 59, Monkey Business Images 81, NITINAI THABTHONG 98-99, Andrey Yurlov 104, Putida Supakarn 104, matteo lavazza seranto 142-143, MaPaSa 147, kikovic 173, Ground Picture 288 · Unsplash · Wikimedia Commons: Thomas T. 131, Giovanni Dall’Orto 141.

A L L A SCOP E RTA DEL M O NDO

LEGGERE È INCONTRARE

Lettura · Grammatica a cura di Renata Rava

QUESTO LIBRO APPARTIENE A:

SONO I N CLASSE:

«Mi piacerebbe sapere che c’è in un libro fintanto che è chiuso.

Naturalmente ci sono le lettere, ma qualcosa c’è già dentro perché, nel momento in cui si comincia a sfogliarlo, subito c'è lì una storia tutta intera.»

Michael Ende, La storia infinita

LEGGERE È I N C O NTRARE

E NON È MICA VERO

Per iniziare un anno tutti insieme occorre che ciascuno di noi “ci sia”!

ASCOLTO QUADRI DA UN’ESPOSIZIONE

Modest Petrovič Musorgskij

La composizione racconta di una visita in un museo, descrivendo pian piano tutti i quadri che si vedono.

DALLE VACANZE…

Si andava per funghi

Si andava per funghi sui tappeti di muschi dei castagni.

Si andava per grilli e le lucciole erano i nostri fanali. Si andava per lucertole e non ne ho mai uccisa una.

Nave

Va la nave, sola Nella quiete della sera. Qualche luce, appare. Di lontano, dalle case.

Giuseppe Ungaretti

Eugenio Montale

...ALLA SCUOLA

Filastrocca delle maestre

Maestra, insegnami il fiore ed il frutto

Insegnami fino al profondo dei mari

Insegnami il cielo, più su che si può

Maestra e scolaro, un albero e un seme Insegno ed imparo, insieme perché

Filastrocca dello scolaro

Scusate ma c’è qualcosa che non quadra: ci deve esser per forza in giro una Fata ladra e sarà di sicuro la più malvagia delle fate se con un colpo di bacchetta si porta via l’estate. Era solo ieri che, con un nodo alla gola, salutavo i miei compagni alla fine della scuola. E come mai oggi son qui, con tanto di cartella che aspetto di entrare in classe vicino alla bidella? È una cosa davvero strana, ma qualunque cosa sia, ha di certo a che fare con una dose di magia. Quindi per favore trovate un mago buono che con la potenza del fulmine e del tuono e se non basta anche con quella della saetta faccia passare l’anno scolastico in tutta fretta.

Il Maestro apre la porta, ma tu devi entrare da solo.

Proverbio cinese

Bruno Tognolini

Sullo scoglio «tutto esaurito»

Non è rimasto un solo appartamento libero per tutta l’altezza dello scoglio semisommerso. Tutti i piani sono occupati, dalla cantina al tetto.

Per cominciare, lo scantinato se l’è preso il granchio.

Arcigno e indipendente, entra ed esce senza chiedere permesso a nessuno; ed è anche estremamente abitudinario, tanto che in base ai suoi andirivieni si potrebbe regolare l’orologio.

Al piano terra abita una coppia di pesci alquanto stravaganti: vanno e vengono a capriccio, nelle ore più impensate. Hanno fatto crescere sul loro balcone un’infinità di alghe che servono anche da riparo dagli sguardi indiscreti.

Al secondo e al terzo piano sono venute ad abitare due famiglie di cozze molto numerose e assai rumorose, che comunque non si muovono mai.

Al terzo, abitano le patelle. Sono molto gentili ed educate, portano una specie di mantellina a cappe, e non escono mai di casa. All’ultimo piano, quello lussuoso con terrazza e piscina pensile, ci stanno dei gamberi che conducono una vita molto ritirata. Infine, sul tetto, si posano di tanto in tanto due gabbiani che vanno e vengono a piacimento.

Anne-Marie Dalmais, Annie Bonhomme, 366… e più storie della natura , Fabbri Editori

arcigno : imbronciato. pensile : sospesa.

Gatti

Compagni dei pomeriggi più solitari, in quelle estati, erano i gatti che si aggiravano fra i cortili. Se ne vedevo uno mi fermavo, per non spaventarlo e, piano piano, cercavo di avvicinarmi. Li trovavo bellissimi, i gatti, con quelle pupille d'oro. Tigri piccole, di cui non avere paura. Riuscii a diventare amica di tutti i gatti del quartiere. Mi soppesavano a lungo, mi annusavano, cauti; poi si fidavano. Parevano capire che non volevo fare loro del male.

Allungavo timidamente una mano ad accarezzarli: morbido, il manto, e caldo il ronfare delle fusa. Se il gatto di passaggio mi pareva magro gli dicevo: «Aspettami», e correvo in casa, e tornavo con una scodella di latte. Il gatto, di nuovo, mi fissava, annusava prudente, poi mangiava. Infine se ne andava, ed era inutile, lo sapevo, cercare di inseguirlo: con un salto si arrampicava sul pollaio e da lì, leggero, per appigli invisibili, era già sui tetti.

Dio, pensavo, ha fatto delle tigri più piccole, perché i bambini le possano accarezzare.

Marina Corradi, Con occhi di bambina , Edizioni Ares soppesavano : esaminavano.

Sottolinea le parole con le doppie.

Heidi scopre le montagne

Heidi si mise a sedere vicino a Peter e si guardò intorno. La valle si stendeva giù, avvolta nella luce del mattino. Di fronte c’era un grande, candido nevaio che si stagliava contro il blu cupo del cielo; a sinistra si ergeva un enorme masso roccioso fiancheggiato da alti picchi che si innalzavano verso il cielo e che sembravano guardare Heidi severamente.

La bimba stava seduta lì, muta come un pesce. Intorno a lei regnava un silenzio profondo: solo il vento passava lieve sulle campanule azzurre.

Heidi non si era mai sentita così bene e non desiderava altro che restare sempre così.

Passò un bel po’ di tempo. Heidi guardava gli alti monti intorno con tale intensità che alla fine le pareva avessero un volto conosciuto e che la guardassero, a loro volta, come vecchi amici.

«Guarda quelle rocce aguzze coperte di neve. Come si chiamano Peter?».

«Le montagne non hanno un nome», osservò Peter.

E Heidi rimase delusa.

Tornarono a casa e alla sera

Heidi si mise a sedere sulla seggiola alta davanti alla ciotola del latte con il nonno a fianco.

«Perché nonno, le montagne non hanno un nome?» domandò Heidi.

«Ma ce l’hanno il nome» rispose il nonno «e se sei capace di descrivermene una, ti dirò come si chiama».

Allora Heidi si mise a descrivere la montagna rocciosa con due alte torri così come l’aveva vista.

Il nonno rispose che la conosceva e che si chiamava “Nido di falco”. «Ne hai viste ancora?» chiese.

Heidi allora descrisse la montagna con il grande nevaio che era diventato rosso fuoco, poi rosa e alla fine si era impallidito. «Anche questa la conosco» disse il nonno «è la Scesaplana». «Allora, ti è piaciuto andare al pascolo?» proseguì il nonno.

Heidi gli raccontò tutto e di come era stato tutto bello lassù, soprattutto il fuoco al tramonto.

Spyri, Heidi , Piemme

ergeva : innalzava.

Sei stato in qualche bel luogo durante la scorsa estate? Indica il nome di questo luogo e racconta.

In gita

Un giorno papà ha detto: «Domenica andiamo a farci una bella gita!». «Urrà!» abbiamo gridato io e Jonas. «Urrà per la gita!» ha detto Lotta.

La domenica la mamma si è alzata presto per fare le frittelle e imburrare i panini e preparare i thermos con la cioccolata per noi e il caffè per lei e il papà. Avevamo anche la gazzosa.

Quando il papà ha tirato fuori la macchina ha detto: «Adesso vediamo se c’è abbastanza posto in questo piccolo catorcio.

Dobbiamo farci stare la mamma e Fracassone e Fracassina e Frastornina e ventisei frittellone e chissà quanti panini imburrati…».

Siamo andati in un posto su un laghetto.

Il papà ha messo la macchina lungo una stradina nel bosco e abbiamo portato il pranzo al sacco sulla riva.

Nel lago c’era una lunga passerella di legno e io e Jonas e Lotta volevamo andarci per vedere se nell’acqua c’erano dei pesci.

La mamma si è subito stesa nell’erba e ha detto al papà: «Io mi piazzo qui e non mi sposto per tutto il giorno.

Oggi tocca a te star dietro ai bambini!».

Il papà ci ha accompagnati sulla passerella e ci siamo distesi a pancia in giù e abbiamo visto un sacco di pesciolini piccolissimi che nuotavano veloci. E il papà ha costruito delle canne da pesca con dei lunghi bastoncini che ha trovato nel bosco e ci ha attaccato un filo e un ago come amo.

Ci abbiamo infilato delle briciole di pane e siamo rimasti lì per un pezzo, ma non ha abboccato neanche un pesce.

A quel punto siamo andati nel bosco, anche se la mamma ha detto che non dovevamo allontanarci troppo.

Abbiamo visto un uccellino infilarsi in un cespuglio e poi volare via di nuovo, e allora siamo andati a guardare e lì in mezzo ai rami, quasi a terra, c’era un nido con quattro piccole uova azzurrine.

Erano le più carine che avessi mai visto!

Lotta voleva restare a guardare il nido per tutto il tempo e ha avvicinato Orso per farlo vedere anche a lui.

Ma io e Jonas sapevamo di un bell’albero poco lontano e volevamo andare ad arrampicarci, e così Lotta è dovuta venire con noi, anche se non voleva.

Io sono coraggiosa e mi arrampico sugli alberi, e anche Jonas, ma Lotta no.

L’abbiamo aiutata a salire un pochino, ma lei si è messa a urlare: «Fatemi scendere! Fatemi scendere!».

E quando è tornata giù ha guardato l’albero tutta arrabbiata e ha detto: «Ma è da pazzi arrampicarsi su alberi come questo!».

Poi la mamma ci ha chiamato a mangiare e siamo corsi al laghetto.

Aveva messo sull’erba una tovaglia di plastica e addirittura anche un bicchiere con delle primule al centro, e poi aveva tirato fuori i panini imburrati e le frittelle e tutto quanto.

Ci siamo seduti a mangiare in mezzo all’erba. È molto più bello che mangiare a tavola. Le frittelle erano buonissime, perché ci abbiamo messo sopra sia la marmellata che lo zucchero.

Astrid Lindgren, Lotta Combinaguai , Mondadori

Hai fatto anche tu una gita particolarmente bella?

Dopo aver riletto In gita , rispondi alle domande. Ricordati di ritornare sul testo per capire meglio.

1. Questa famiglia è composta da persone: “Fracassone, Fracassina e Frastornina”, quale parola scegli per spiegare questi soprannomi?

A. Allegri.

B. Disobbedienti.

C. Rumorosi.

D. Litigiosi.

E. Antipatici.

2. Rileggi e riconosci nel racconto quando cambia l’ambiente, separa nel testo le scene con un colore.

3. Disegna la scena che preferisci.

Pippi va a scuola

«Da domani comincerò ad andare a scuola». Tommy ed Annika batterono le mani dalla gioia.

«Urrà! Allora ti aspettiamo davanti al nostro cancello alle otto».

«No, no – disse Pippi – non mi è possibile iniziare così presto.

D’altronde io a scuola ci andrò a cavallo».

E così fece. Esattamente alle dieci giunse nel cortile della scuola al galoppo più sfrenato, balzò dal cavallo in corsa, lo legò a un albero e spalancò la porta della classe con tale violenza che Tommy ed Annika insieme con i loro bravi compagni di scuola sobbalzarono sui banchi.

«Salute a voi!» esclamò Pippi agitando il suo ampio cappello.

Pippi si buttò a sedere in un banco libero, senza che alcuno glielo avesse assegnato, ma la maestra non sembrò notare la sua maniera sgangherata d’agire. Era una maestra davvero gentile e simpatica, aveva deciso di fare l’impossibile perché Pippi si trovasse a suo agio a scuola.

«Benvenuta a scuola, piccola Pippi! Spero proprio che tu ti troverai bene e imparerai tante belle cose. Se intanto vorrai essere così gentile da dirmi qual è il tuo vero nome, – disse la maestra – io lo scriverò nel registro di classe».

«Mi chiamo Pippilotta Pesanella Tapparella Succiamenta, figlia del Capitano Efraim Calzelunghe, prima terrore dei mari, ora re dei negri. Pippi non è che il mio diminutivo, perché papà trovava Pippilotta troppo lungo».

«Bene – disse la maestra – anche noi ti chiameremo semplicemente Pippi».

Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe , Salani

Hai anche tu un soprannome o un diminutivo con cui ti chiamano?

Ti piace essere chiamato così?

Perché?

Benvenuta Petra

La mia maestra di terza elementare, Iride, sapeva capire i bambini anche se a volte non esprimevano le loro emozioni.

Un giorno arrivò nella nostra scuola Petra, una bambina del circo, da pochi giorni in città.

La ricordo con i capelli castani e lisci, incapace di pronunciare una frase di senso compiuto in italiano. Era slava.

La maestra sapeva che si sarebbe fermata solo un paio di mesi, ma come fare in modo che quel tempo diventasse un’esperienza utile sia per lei che per noi?

Così quella mattina ci fece disegnare il circo.

Alla fine incollammo i disegni su un cartellone su cui scrivemmo:

BENVENUTA PETRA.

Lei aggiunse alcune parole nella sua lingua.

Il giorno dopo, la maestra arrivò in classe accompagnata da un clown, con le guance e il naso rossi. Sotto il braccio teneva un libro scritto in due lingue: italiano – sloveno.

Scoprimmo che Petra aveva scritto sul cartellone: CHE BELLO ESSERE QUI CON VOI!

Ricordi di scuola

La scuola mi aprì nuovi orizzonti: storia, scienze e aritmetica. Ma alcune materie erano noiose specie l’aritmetica: sottrazioni e addizioni mi facevano pensare ad un registratore di cassa. Un giorno, in aula, durante l’intervallo recitai ad uno dei miei compagni una filastrocca umoristica.

Il nostro insegnante alzò gli occhi da ciò che stava facendo e si divertì tanto che, quando la scolaresca tornò in classe, me la fece recitare ai compagni i quali si sbellicarono dalle risa.

Subito la mia fama si diffuse e l’indomani mi fecero fare il giro di tutte le classi della scuola per ripetere l’esibizione.

La scuola cominciò ad entusiasmarmi. Da quel timido e oscuro ragazzetto che ero, divenni il centro dell’interesse sia del maestro che degli scolari. Da allora anche il mio rendimento scolastico migliorò.

Charlie Chaplin, La mia vita , Rizzoli

Hai anche tu un ricordo divertente di una giornata a scuola?

Un libro dopo l’altro

Tutti i giorni Matilde faceva una passeggiata fino alla biblioteca. Ci metteva solo dieci minuti e poi, tranquillamente seduta, trascorreva due ore meravigliose in un angolo accogliente e quieto, divorando un libro dopo l’altro.

Un giorno la bibliotecaria le disse: «Sai che in una biblioteca pubblica si possono prendere in prestito i libri e portarli a casa?».

«No, non lo sapevo» disse Matilde. «Potrei farlo anch’io?».

«Certo. Scegli il libro che vuoi e portamelo, in modo che possa registrarlo; puoi tenerlo due settimane e prenderne più di uno se vuoi».

Da quel momento Matilde andò in biblioteca solo una volta la settimana, per prendere nuovi libri e rendere quelli già letti.

La sua cameretta diventò una sala di lettura, dove passava i pomeriggi seduta a leggere con una tazza di cioccolata calda accanto. I libri le aprivano mondi nuovi e le facevano conoscere persone straordinarie che vivevano una vita piena di avventure. Girava il mondo stando seduta nella sua stanza…

Roald Dahl, Matilde , Salani

Che cosa significa la frase:

«Girava il mondo stando seduta nella sua stanza…»?

È capitato anche a te di girare il mondo leggendo o sentendo leggere?

Un libro così non esiste

Tutti dicono che leggere fa bene, ma io non capisco proprio perché.

Dopo dieci minuti mi fanno male le gambe, perché devono stare ferme.

Dopo mezz’ora mi bruciano gli occhi e inizio a sbadigliare, così dopo un’ora mi fa male tutta la faccia per i troppi sbadigli.

Se io potessi decidere cosa fare non leggerei mai neppure una pagina.

“Ognuno deve leggere quello che gli piace di più” dice sempre la mia mamma. “A Elisa piacciono i vampiri, al tuo fratellino Tobia le fiabe, a papà i libri di viaggio, a me i romanzi storici. E a te?”

“A me non piace leggere, mamma!”

Ma la mamma non si arrende, è convinta che il problema sia che io non ho ancora trovato il mio libro ideale. “Che cosa sarebbe questo libro ideale?”

La maestra Anna mi ha spiegato che è un libro che non ti stanchi mai di leggere.

“Un libro così non esiste”. Ho detto sbuffando.

“E invece sì” mi ha risposto la maestra. “E per dimostrartelo ti do un compito: oggi pomeriggio andrai alla biblioteca scolastica a cercare il tuo libro ideale e domani lo leggerai in classe. Vedrai sarà una grande avventura.”

E sapete una cosa?

Questa volta la maestra aveva ragione, perché ciò che accadde quel pomeriggio fu davvero la più grande avventura della mia vita!

M. Dubini, Non mi piace leggere , Mondadori

Che cosa può essere accaduto quel pomeriggio?

Cimabue e il bambino

Per le campagne del Mugello passeggiava un giorno il pittore Cimabue, venuto a prendere il fresco, dato che in città, a Firenze, il sole dell’estate toglieva il fiato. Mentre passava accanto a un pascolo, vide su una larga pietra chiara al bordo della stradina il disegno di un albero così semplice e ben fatto da lasciarlo a bocca aperta per lo stupore.

Cimabue guardò attorno, e non vide nessuno, tranne un pastorello che sorvegliava un gregge di pecore.

«Non sapevo che quassù ci fosse un bravo pittore!» pensò Cimabue, e continuò la sua passeggiata.

Poco più avanti, ecco un’altra pietra chiara, con il disegno di un uccello in volo così ben fatto da sembrar vero. Incuriosito, Cimabue si chinò a guardare da vicino il disegno, e annuiva lentamente con la testa. Siccome era ora di tornare, voltò il passo e riprese la strada. Il pastorello era ancora nel pascolo, e grattava la testa a un grosso cane dal pelo chiaro. Cimabue si fermò, e chiese:

– Bambino, sai come si chiama, e dove abita, il pittore che ha fatto i disegni sulle pietre?

– Vuoi dire quell’uccello lassù, e quell’albero laggiù, signore?

– Proprio quelli.

– Ce ne sono altri di disegni, lo sai? – disse allegramente il piccolo. – Vicino alla quercia, là sopra, c’è il disegno di un bue, e poi nel bosco, su una roccia grande, c’è quello di due caprioli!

– Ah, bene! – disse Cimabue. – Ma dimmi, piccolo, dove abita il pittore che li ha disegnati?

– Non c’è nessun pittore! – rispose il bambino.

– E chi ha fatto i disegni, allora?

– Io!

Cimabue corrugò la fronte. – Non raccontarmi bugie, piccolo! –disse.

– Nessun bambino sa disegnare un uccello come quello! Il bambino, senza parlare, prese un bastone dalla punta bruciacchiata che stava accanto a lui, sedette davanti a una pietra, e guardando ogni tanto una pecora che brucava lì vicino, cominciò a disegnare.

Cimabue, zittissimo, lo guardava. In pochi minuti la pecora era sulla pietra: ferma, ma sembrava viva.

– Qual è il tuo nome, piccolo? – disse allora Cimabue con voce commossa.

– Mi chiamo Giotto, signore.

– Giotto, ti piacerebbe venire a Firenze con me, e diventare pittore?

– A me piacerebbe molto, signore, ma bisogna vedere se piacerebbe a mio padre!

Allora Cimabue andò al paese, che si chiamava Vicchio, e cercò il padre del bambino, che si chiamava Bondone, e tanto disse che lo convinse a lasciar andare Giotto a Firenze, nella sua bottega di pittura.

E Giotto andò, e imparò a disegnare non con legno bruciato, ma con olio, tempere e terre colorate, e diventò il miglior pittore del suo tempo, e di lui si parla ancora oggi.

Roberto Piumini, Storie in un fiato , Einaudi Ragazzi

METTITI ALLA PROVA

Dopo aver riletto Cimabue e il bambino , rispondi alle domande.

1. Dove sta passeggiando il pittore Cimabue e cosa vede?

2. Che cosa significa che “il sole dell’estate toglie il fiato”?

A. Viene il mal di gola.

B. Manca l’aria.

C. Toglie la parola.

3. Chi ha dipinto i disegni sulle pietre?

4. Che cosa usa il bambino per disegnare?

A. La matita colorata.

B. La terra rossa.

C. Un legno bruciato.

5. Perché Cimabue vuole portare Giotto a Firenze?

6. Chi è diventato, poi, Giotto?

7. A te che cosa piace fare? Che cosa desideri imparare quest’anno?

METTIAMOCI ALL’OPERA

COPIA DAL VERO

Per disegnare occorre osservare con attenzione, guardare le forme e le dimensioni, notare le sfumature dei colori e i particolari che la luce evidenzia.

All’inizio dell’autunno molti elementi della natura ci stupiscono per i loro vividi colori e le loro forme. Con i tuoi compagni porta a scuola zucche o pannocchie, grappoli d’uva, melagrane o cachi oppure dei fiori di questa stagione.

Disponeteli in un punto illuminato. Ora con pastelli a olio o tempere con cura provate a riprodurli su un foglio ruvido.

Caravaggio , Canestro di frutta
Paolo
Ilaria

STAGIO N I E R I C O RR ENZE

Walter Muto

Il tempo se ne va, divorato da un affamato bambino.

ASCOLTO SONATA A 8 VIOLE CON UNA TROMBA IN RE MAGGIORE, PRIMO MOVIMENTO

Alessandro Stradella

La tromba annuncia una grande notizia, e un'orchestra d’archi le risponde e la segue. Arrivano insieme davanti alla grotta, lì la voce si abbassa, ammirando il Bambino. Solo dopo qualche minuto di ammirazione, tutti tornano fuori e insieme danzano gioiosamente.

Piove

Piove da un’ora soltanto ma il bambino pensa che già piova da tanto, da tanto sopra la grande città.

Piove sui tetti e sui muri piove sul lungo viale piove sugli alberi oscuri con ritmo triste e uguale.

Piove: e lo scroscio si sente giungere dalle vetrate che versan lacrime lente come fanciulle imbronciate.

Piove laggiù sulla via e in ogni casa già invade l’intima malinconia di quella pioggia che cade. Ada Negri

Il fungo

ESIA

Foglie gialle

Ma dove ve ne andate, povere foglie gialle, come tante farfalle spensierate? Venite da lontano o da vicino?

Da un bosco o da un giardino?

Il cielo ride un suo riso turchino benché senta l’inverno ormai vicino. Il bosco scherza con le foglie gialle benché l’inverno senta ormai alle spalle. Ciancia il ruscel col rispecchiato cielo, benché senta nell’onda il primo gelo. È sorto a piè di un pioppo ossuto e lungo un fiore strano, un fiore ad ombrello, un fungo.

Lume di Natale

Un lumino alla finestra, che ci fa?...

Vuol la notte illuminare per Gesù che scenderà. Un lumino sulla porta, che ci fa?…

È un invito al pellegrino che domanda carità. Un lumino nella stalla, che ci fa?…

L'hanno acceso per Maria che fra poco giungerà…

L'hanno acceso per l'amore, per la gloria del Signore: cara luce, lume antico, della fede dolce amico.

Tina Romei Correggi

E l’angelo volò sotto le stelle vide un castello con tre grandi porte e sulle porte nove sentinelle.

L’angelo del Signore gridò forte: «È nato!»

E l’angelo volò sotto le stelle e vide tre pastori in una corte presso un fuoco, ravvolti in una pelle.

L’angelo del Signore gridò forte: «È nato!»

I pastori si misero in cammino coi montoni, le pecore, gli agnelli, e per la prima volta Dio Bambino apparve a tre pastori poverelli.

Il calendario

Oh, il caro libretto dei giorni dell’anno!

Un foglio per ogni giorno e su ogni foglio un numero: nero per i giorni feriali, rosso per il dì di festa.

Sotto ogni numero il nome di un giorno della settimana e, più sotto, il nome di un Santo.

C’è tutto il Paradiso, tutte le stagioni, tutta la vita dell’anno nuovo.

Ogni foglio è una promessa, una felicità o un dolore. Ed ecco le lune: ora sottili come pesci, ora rotonde come pomi.

Chi scrisse il calendario pensava alla terra, ma guardava il cielo.

Renzo Pezzani

Autunno

Il sole non era ancora tutto apparso all’orizzonte. Il cielo era tutto sereno.

Di mano in mano che il sole si alzava dietro il monte si vedeva la sua luce, dalle sommità dei monti opposti, scendere, come piegandosi rapidamente, giù per i pendii e nella valle.

Un venticello d’autunno, staccando le foglie appassite del gelso, le portava a cadere qualche passo distante dall’albero.

A destra e a sinistra nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte. La terra, lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta nei campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza del mattino.

Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi , Hoepli

stoppie : steli secchi, paglia. guazza : rugiada.

San Francesco e gli uccelli

Un giorno san Francesco, camminando fra Todi e Perugia, sentì delle grida venire da un campo. Incuriosito uscì dalla strada e, dopo qualche passo, vide quattro contadini che correvano di qua e di là agitando bastoni e urlando brutte parole verso il cielo.

San Francesco chiamò: – Fratelli! Ehi, buoni fratelli! Cosa succede? Volete forse spaventare le nuvole con i vostri bastoni, e farle fuggire? Invece la terra ha bisogno della pioggia! – Santo frate! Noi non ce l’abbiamo con le nuvole, ma con i passeri! – risposero i contadini.

Giotto, Storie di san Francesco. La predica agli uccelli

– Appena seminiamo ne arrivano a centinaia, e portano via i semi: come potrà crescere il grano? Quei passeri sono una maledizione!

– Nessuna creatura è una maledizione – disse Francesco. – Vedrò quello che si può fare. Ma ora allontanatevi, per favore, e abbassate i vostri bastoni. Rimasto solo nel campo, Francesco chiamò: – Fratelli passeri! Fratelli miei!

Da ogni parte del cielo, in pochi minuti, calarono attorno a lui centinaia di passeri.

Quando il loro brusio si spense, il santo disse: – Fratelli carissimi, devo dirvi una cosa: i contadini non sono contenti di voi, perché mangiate i loro semi.

– Ma noi abbiamo fame – risposero i passeri. – C’è poco cibo nel bosco, quest’anno, e noi dobbiamo sfamare i piccoli nel nido!

San Francesco disse: – Ma se trovaste un po’ di grano, lascereste i semi per terra?

– Certo! – risposero i passeri, sbattendo le ali. – Ma dove lo troveremo, il grano?

– Domani cercate sugli alberi attorno al campo – disse Francesco, poi diede loro la benedizione e li lasciò volar via.

Tornati i contadini, il santo disse:

– Fratelli contadini, un chicco è solo un chicco, mentre un seme è mille chicchi futuri: date un po’ di chicchi agli uccelli, per avere le spighe!

I contadini accettarono.

Il mattino dopo, quando i passeri volarono sul campo, videro che sugli alberi, a ogni forca di rami, c’erano piccoli cestini pieni di grano.

Così i passeri ebbero da mangiare, i semi restarono nel campo, e i contadini non corsero più in giro, gridando e agitando bastoni.

E san Francesco continuò il suo pacifico cammino.

brusio : bisbiglio, rumore leggero. forca : biforcazione, divisione in due.

Secondo te, qual è il messaggio di questa lettura?

Dopo aver riletto San Francesco e gli uccelli , rispondi alle domande.

1. Perché i contadini urlavano brutte parole al cielo?

A. Volevano spaventare le nuvole.

B. Volevano far scendere la pioggia.

C. Erano arrabbiati con i passeri.

2. Scrivi un altro verbo che ha lo stesso significato di “calarono”.

3. Perché i contadini non erano contenti dei passeri?

Metti una crocetta su V se vero, su F se falso.

Rubavano i semi.

i semi.

Si cibavano dei semi.

i semi.

4. San Francesco dice ai passeri che troveranno il grano…

A. Per terra.

B. Nei cestini.

C. Sugli alberi.

5. Dove, il mattino successivo, i passeri trovarono il grano promesso da Francesco?

A. Sui campi.

B. Per terra.

C. Nei cestini.

6. Le parole “pacifico cammino” sono:

A. un nome e un verbo.

B. due aggettivi.

C. un aggettivo e un nome.

Lettera da Babbo Natale

Casa fra le Vette, Cima del Mondo, vicino al Polo Nord, Natale 1925

Miei cari ragazzi, quest'anno sono davvero occupatissimo – quando ci penso la mia mano si fa più tremolante che mai – e mica tanto ricco. Sono infatti capitate cose orribili: alcuni regali si sono rovinati, l'Orso Bianco del Nord non mi ha minimamente aiutato e appena prima di Natale ho dovuto traslocare.

Potete dunque immaginare in che stato siano le cose, e capirete perché ho un indirizzo nuovo e come mai scriva un'unica lettera per tutti e due.

È successo tutto così: un giorno ventosissimo dello scorso novembre mi è volato via il cappuccio, che è andato a piantarsi proprio sulla punta del Polo Nord.

Gli ho detto di non farlo, ma l'Orso Bianco del Nord si è arrampicato su quella sottilissima guglia per ricuperarlo e… l'ha fatto. Il palo del Polo si è rotto esattamente nel mezzo ed è piombato sul tetto di casa mia; l'Orso Bianco del Nord è precipitato attraverso il buco ed è finito nella sala da pranzo con il mio cappuccio infilato sul naso; la neve del tetto è caduta tutta dentro la casa; sciogliendosi ha spento tutti i fuochi e poi è colata giù nelle cantine dove stavo accatastando i regali di quest'anno.

Infine, l'Orso Bianco del Nord si è fratturato una zampa. Adesso è guarito, ma io ero irritatissimo con lui; e così lui mi ha detto che non cercherà mai più di aiutarmi…

Credo che si sia offeso e che gli passerà solo il Natale prossimo.

Vi mando un disegno dell'incidente e della mia nuova casa in cima alle vette rocciose che sovrastano il Polo Nord (la quale ha delle cantine bellissime scavate all'interno delle rocce).

Tanti saluti affettuosi sia a voi due sia a Christopher, il cui nome è piuttosto simile a come suona il mio in inglese, vale a dire Christmas. È tutto: arrivederci.

Babbo Natale

John Ronald Reuel Tolkien, Lettere da Babbo Natale , Bompiani

L’abete

Non si può parlare delle piante di Natale senza partire dall’abete: è lui, indubbiamente, il principale protagonista della vegetazione delle feste. La sua compatta ed elegante forma a cono lo rende molto adatto a troneggiare nelle case, indicando il cielo con la punta che regge una stella e ospitando sotto le sue fronde sempreverdi i doni destinati ai bambini. Le origini dell’albero di Natale sono però incerte; una tradizione sostiene che durante il Medioevo, nelle piazze davanti alle cattedrali tedesche, si innalzava l’albero del bene e del male, quello, cioè, del Paradiso Terrestre con appese le mele del peccato originale.

Infatti Gesù Bambino veniva a cancellare la colpa di Adamo ed Eva e dunque era giusto ricordarlo a tutti i fedeli.

Col tempo, poi, le mele rosse e lucide sono diventate palle luccicanti e multicolori, mentre all’albero sono state aggiunte candele e più tardi luci elettriche, a indicare la luminosità spirituale della notte di Betlemme. È dunque un errore sostenere che l’albero di Natale sarebbe un simbolo “meno cristiano” del Presepe: molto usato nei paesi nordici, secondo la sua origine e il suo significato, è anch’esso un segno importante di Cristo, albero luminoso che offre al mondo i frutti del bene.

«Popotus», 9 dicembre 2014

Anche a casa tua si fa l'albero di Natale? Descrivilo.

La leggenda del “pan de Toni”

Regnava in quei tempi su Milano Bernabò̀ Visconti, famoso per le sue crudeltà̀.

Erano anni terribili per i poveri lombardi, decimati dalla carestia e dalla peste.

I pochi fanciulli che rimanevano erano per lo più̀ orfani e vivevano d’elemosina come Antonio da Terzago, Toni per gli amici.

Abitava in una casupola presso un convento e i frati l’avevano occupato come fornaio nella panetteria dei Rosti.

Poi, a causa della carestia, il forno era stato chiuso e allora il fanciullo aveva fatto un po’ di tutto: dal garzone dell’ortolano al galoppino.

Era la Vigilia di Natale e Toni, senza lavoro e senza un soldo, si trov ò con un sacchetto di castagne secche e un boccale di vino, ingredienti necessari per preparare un pestavino, grossolano ma ghiotto piatto di quei tempi.

Aveva anche un po’ di farina bianca, un pezzetto di burro, un po’ di zucchero, un uovo e un cartoccio d’uva passa.

Fuori nevicava e Toni, mentre le castagne cuocevano, prepar ò una pagnottella, la tagli ò alla sommità̀ con una croce poi, mentre lievitava, prepar ò il forno, nel quale fin ì per collocarla al momento opportuno.

La lev ò che suonava la mezzanotte e mentre la posava sulla tavola si sentiva crescere l’acquolina in bocca.

Com’era bella, fragrante, con quella bella crosta dorata e qualche uvetta.

In quel momento bussarono e come ebbe aperto la porta, Toni si trov ò davanti un bel bimbetto quasi nudo, lacero, sfinito, coperto di neve e di fango.

«Per carità̀» disse entrando «un po’ di fuoco, sono intirizzito e ho tanta fame».

«Oh, povero piccolo!» esclam ò il fornaio «Vieni avanti. Stavo mettendomi a tavola».

Toni mise la sua pagnottella sulla tavola.

Il fanciullo s’avvicin ò alla tavola, tocc ò il dono dell’amico, con una delle sue rosee manine. Poi, mentre una lacrima gli brillava tra le ciglia, mormor ò con dolcissima voce: «Grazie Toni! Questo pane è troppo piccolo per il tuo grande cuore, e io desidero che la tua bontà̀ non finisca mai come questo dolce, che ogni anno farà̀ a Natale la felicit à di tanti bimbi, creando a te e alla tua citt à grande fama.

Non dimenticarmi, Toni... sii sempre buono e generoso. Ci rivedremo».

«Gesù̀, Gesù̀ mio!» grid ò Toni cadendo in ginocchio.

Quando si alz ò , sulla tavola troneggiava un pane enorme, che spandeva all’intorno una deliziosa fragranza.

Dopo un lungo esitare, Toni si decise finalmente a tagliarne una bella fetta.

Come fu sazio, ne mise alcune fette in un cestello, ripose il resto nella credenza e usc ì chiudendosi la porta alle spalle.

Conosceva gente in peggiori condizioni delle sue e a quelle rec ò in dono le porzioni del dolce squisito.

Quando rientr ò trov ò che il grosso dolce era diventato intero: non ne mancava una briciola, ne tagli ò altre fette e per tutto il giorno continu ò a beneficiare amici e conoscenti poveri, che lo colmavano di benedizioni.

« È il pan de Toni!» diceva la gente stupita e grata.

Si racconta che il “pandetoni” arrivò anche al banchetto dei Signori di Milano che non solo apprezzarono quel dolce, ma presero a servizio il nostro Toni e resero famoso come dolce milanese… il Panettone!

Un Natale tutto nostro

La mamma arrivò a casa a mani vuote.

Ciò nonostante quella sera festeggiarono il Natale. Il papà accese le candele sull’albero e Nelly recitò una poesia.

Sapeva solo le prime due strofe, poi si bloccò. Ma alla mamma piacque lo stesso e il papà non si era neppure accorto che dovesse continuare. La cena fu più breve del previsto. «Così non ho lo stomaco pesante come l’anno scorso» disse il papà «un cibo così nutriente non mi fa più bene». Non c’erano neppure molti regali da aprire. Così rimase tempo. Molto tempo. Nelly andò a prendere il “Memory” che aveva ricevuto il Natale passato; ogni domenica dell’anno appena trascorso aveva aspettato invano che qualcuno trovasse il tempo di giocare con lei. Adesso i genitori avevano tempo. Il papà non aveva mai giocato a Memory. Dopo un po’ Nelly aveva già trovato sette coppie di carte, la mamma tre e il papà, che di solito voleva sapere tutto meglio degli altri, cercava sempre nel posto sbagliato. Provò ad aiutarsi con dei trucchi, come mettere di nascosto briciole di pane sulle carte che si ricordava. Oppure tenere la mano sul tavolo in modo da segnare con il pollice la direzione in cui si trovava una determinata carta. Nelly scoprì i suoi trucchi. Giocarono una seconda e terza volta e il papà non si arrabbiò per il fatto che aveva sempre perso. Poi giocarono a filetto e a carte. A mezzanotte il papà spense la luce e tutti insieme guardarono fuori dalla finestra. La neve emanava una luce chiara e si sentivano le campane di Natale. «A quest’ora duemila anni fa, è nato il nostro Salvatore» disse la mamma e Nelly sentì che, dopo tutto, adesso era veramente contenta che fosse arrivato il Natale. Quando Nelly andò a letto disse: «È proprio un bel Natale». «Veramente?» chiese la mamma stupita. «Non abbiamo avuto nessuna cena speciale e pochissimi regali». «Però abbiamo avuto tanto tempo» rispose Nelly.

Eveline Hasler, Un sacco di nulla , Piemme Junior.

Anche a te capita di giocare con la mamma o con il papà? Quando? Qual è il gioco che preferisci?

La notte di Capodanno

Un aereo sconosciuto, che stava finendo il carburante, atterrò sull’aeroporto della capitale alle ventitré e ventisette precise. Mancavano trentatré minuti a mezzanotte, ma non a una mezzanotte qualunque.

Era infatti la notte del 31 dicembre e in tutto il mondo si attendeva l’anno nuovo.

Il pilota sconosciuto balzò a terra agilmente e subito cominciò a dare ordini:

– Scaricate i miei bauli. Sono dodici, fate attenzione.

– Prima si dovranno chiarire alcune cosette, non le pare? – disse il comandante dell’aeroporto.

– La prego di mostrarmi i suoi documenti. Venga nel mio ufficio.

– Guardi – disse il misterioso pilota – che sono molto atteso.

– Per la mezzanotte, immagino!

– Appunto, comandante.

– Io invece, come vede, sono di servizio e passerò la notte di Capodanno all’aeroporto. Se lei non mi mostrerà i documenti, mi terrà compagnia.

– I miei documenti? Ma lei ne è già in possesso – e lo sconosci uto indicò il calendario dell’anno nuovo che pendeva dalla parete dietro una scrivania.

– Quello è il documento. Sono il Tempo. Nei miei bauli ci sono dodici mesi che dovranno avere inizio fra ventinove minuti precisi.

– Vedo che le va di scherzare. Benissimo, mi terrà allegro. Le dispiace se accendo il televisore? Non vorrei perdermi l’annuncio della mezzanotte.

– Accenda, accenda pure. Ma non ci sarà nessun annuncio, fin che lei mi trattiene.

Sul teleschermo era in corso uno spettacolo di canzoni. Di quando in quando la presentatrice consultava un grande orologio, appeso dietro l’orchestra, e annunciava:

– Mancano venticinque minuti all’anno nuovo… mancano ventidue minuti… mancano venti minuti…

Il pilota sconosciuto canterellava, batteva il piede a tempo con l’orchestra, si divertiva…

– Un minuto a mezzanotte – disse il comandante a un tratto. – Mi dispiace di non poterle offrire lo spumante. In servizio io non bevo.

– Grazie; ma lo spumante non serve. Da questo preciso momento il tempo cesserà di scorrere. Dia un’occhiata all’orologio.

Il comandante guardò il quadrante, si accostò il polso all’orecchio: l’orologio camminava, ma la sfera dei secondi non girava più.

Anche sul grande orologio del teleschermo le sfere erano immobili.

L’annunciatrice, con un sorriso imbarazzato, stava dicendo:

– Sembra che ci sia un piccolo guasto…

Musicisti, cantanti e spettatori cominciarono a scrutare gli orologi, a scuoterli, ad accostarli all’orecchio con aria sorpresa. In breve, tutti si convinsero che le sfere non si muovevano più.

– Il tempo si è fermato! – gridò qualcuno.

Il comandante dell’aeroporto gettò uno sguardo allarmato sullo strano forestiero, il quale gli sorrise.

– Ha visto? Colpa sua.

– Come sarebbe… colpa mia – balbettò il comandante.

– Non è ancora convinto che io sia il Tempo?

Il comandante balzò in piedi e si attaccò al telefono.

Poco dopo la telefonata del comandante al ministro, dovunque si sapeva che il Tempo si era fermato in aeroporto perché era privo di documenti.

– Evviva! – gridava la gente esultante – Il tempo non scorre più!

Non invecchieremo più!

Da ogni parte qualcuno telefonava al comandante dell’aeroporto per raccomandargli:

– Non si lasci scappare il Tempo! Lo tenga stretto…

Ma un bambino, svegliato dal fracasso e messo al corrente dell’accaduto, cominciò a protestare:

– Cosa? Sarà sempre adesso? Allora io non diventerò più grande?

Ah, no! Non accetto.

Si attaccò al telefono e dette l’allarme agli amici.

I bambini scesero per le strade a protestare.

– Però, hanno ragione! – disse un passante. – Se il tempo non scorre più, sarà sempre il trentun dicembre, sempre inverno… Sarà sempre notte!

Il comandante cominciò a ricevere telefonate allarmate, che chiedevano la liberazione del Tempo. Egli prima esitò poi, finalmente, si decise.

– Se ne vada, lei è libero! – disse aprendo la porta.

Il Tempo uscì. Le sfere degli orologi ricominciarono a muoversi.

Sessanta secondi più tardi scoccò la mezzanotte.

Il nuovo anno era cominciato.

Rodari, Il pianeta degli alberi di Natale , Einaudi Ragazzi

1. Perché il comandante dell’aeroporto vuole trattenere il pilota sconosciuto?

2. Qual è il documento che lo sconosciuto vuole esibire e cosa contengono i dodici bauli?

3. Per quale motivo il tempo cessò di scorrere?

4. Come reagirono le persone quando si accorsero che il tempo si era fermato?

5. Dopo una iniziale esitazione, perché il comandante decise di lasciare libero il tempo?

6. Il tempo scorre sempre uguale… talvolta ci sembra però che corra veloce o in altri momenti sembra quasi che si fermi. È capitato anche a te?

Racconta la tua esperienza.

Piccole farfalle

Dalle finestre si vedeva il cielo pieno di piccole farfalle che si posavano senza far rumore al suolo.

– Non c’è più il cortile! – urlò Severino. – È sparito il prato!

Uscimmo nel giardino a veder la neve che aveva già coperto tutto e continuava a cadere sempre più fitta.

– Che silenzio! – disse Lucia meravigliata.

– Sapore di neve – disse Severino – e anche fuori c’è un odore particolare.

Uno scricciolo, volando basso a piccoli balzi, entrò in un cespuglio di rose, rovistò, poi volò più in là. Dopo un po’, passarono due cornacchie, volavano alte e lente. Poi giunsero dei passeri: si posarono sui rami del fico, gonfiarono le piume, si capiva che cercavano cibo.

Allora Lucia andò in casa, sbriciolò del pane e glielo buttò sotto il portico. Intanto Micione saltava nella neve come un pagliaccio, con i baffi d’argento.

Arrivò all’abete e da sotto si arrampicò come una scimmia. I rintocchi del campanile si sentivano appena, come se le campane fossero chiuse dentro una scatola. – Avete visto che anche i colori cambiano? – disse Lucia. – Micione, che è grigio, pare nero, la casa è più scura, tutto è cambiato!

Quando la neve cessò, c’era un paesaggio di fiaba: tutto era ricamato di pizzi. – C’è la luna! – gridò Lucia sbirciando fuori. – E la neve è azzurra. La luna piena ricreava un mondo e ce lo donava come una fiaba.

Mario Lodi, Il cielo che si muove , Editoriale Scienza

1. Spiega il significato di “baffi d’argento”.

2. Componi espressioni simili: occhi di fuoco, mani d’acciaio,

3. Spiega il significato di “si arrampicò come una scimmia”.

4. Prova tu: corre come mangia come salta come

È fiorito

Ohimè! che cosa è accaduto?

Il mandorlo è fiorito, ed io nulla ho sentito, nulla ho veduto!

S’è guernito e coronato d’un diadema di stelle d’argento: tutta la notte ha lavorato e sull’alba splendeva contento.

Ed ora le sue stelle le dà al vento: ma ghirlandetta fragile e superba la sparpaglia sull’erba del fresco prato!

Il miracolo è compiuto: ma io nulla ho veduto, nulla ho sentito!

Che cosa dunque è accaduto?

Dov’era questo povero cuore assorto, dov’era questo povero cuore muto, se il mandorlo è fiorito ed esso di nulla s’è accorto?

Angiolo Silvio Novaro

guernito : decorato. assorto : preso da altro.

ESIA

Gesù risorto

– Lo ricordi che a te, Simon Pietro, disse un giorno Gesù: “Vade retro”? Quella sera sfinito dormivi, non hai visto che accadde laggiù: nella notte tra fronde di ulivi sanguinava angosciato Gesù.

– Tu, Giovanni, che sei il prediletto, da Gesù circondato di affetto, mentre Giuda fuggiva veloce, cos’hai visto, ti chiedo, lassù?

– Ho veduto tre uomini in croce ed in mezzo morire Gesù.

– E tu, afflitta Maria Maddalena, il cui volto mostrava gran pena, lacerata dal tacito duolo cos’hai visto, ti chiedo, laggiù?

– Ho veduto un piegato lenzuolo e, risorto, l’amato Gesù.

Gregorio Curto, riscrive la poesia Pasqua di Stefania Plona.

Dappertutto mammole

Dappertutto mammole: nel prato dietro casa, lungo i cigli dei viali, sulle rive del laghetto, all’ombra dei pini e dei pioppi. Non vi è tronco che non abbia, alla radice, tra i fili d’erba e i ciuffi dell’edera, la sua corona di mammole… di una fragranza così penetrante, che le narici le sentono prima che l’occhio le scopra. Se mi curvo su di loro, le distinguo una per una, e nessuna è uguale all’altra: c’è quella più scura e quella più smorta, quella socchiusa e quella troppo aperta; ma tutte col gambo debole e corto, la testina che si piega, una grazia nascosta più espressiva della parola.

Ada Negri

mammole : violette. cigli : bordi, margini. fragranza : profumo intenso e delicato.

Felicità

C'è un'ape che se posa sopr'un botton de rosa l'annusa e se ne va… In fonno la felicità è una piccola cosa.

Aprile

Aprile Aprile mese sottile mese di petali mese che piove mese di strilli mese di giochi mese di gioie e cose nuove.

Roberto Piumini

Quando fa caldo…

Quando fa caldo molto caldo se mi parlate per favore usate solo parole con molte effe e vi fffresche e vvventose. Parlatemi con soffi, con affetto, parlatemi davvero, siate affabili, parlatemi di tuffi, stoffe, staffe, avventure, avvocati con i baffi, parlate di farfalle, di favole, affari, offese, avvisi, parlatemi di uffici, di ufficiali, e quando finirete le parole per favore ditemi solo fff e vvv, ma tanto, fin quando viene sera e cala il sole.

A way of Peace

Una via di Pace

Cosa fanno tutti questi bambini in una fresca mattina di sole per la via Dolorosa della città vecchia di Gerusalemme?

Sono più di mille alunni delle scuole cristiane che partecipano alla tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo.

Una piccola folla che per la prima volta dallo scoppio della guerra ha animato le strade della città santa, lasciando dietro di sé una scia di speranza.

Tutti hanno al collo una sciarpa bianca, colore luminoso e puro, come la pace per cui pregano insieme.

Ad ogni stazione due bambini liberano in cielo una coppia di colombe bianche, segno visibile di un destino di bene anche là dove c'è la guerra.

Momenti indimenticabili

Per il pranzo di Pasqua mio padre dipingeva le uova.

Gliele preparava, sode, mia madre; e per lei e per ciascuno dei commensali lui, servendosi di colori a tempera e di un pennellino, inventava un piccolo capolavoro.

C’era l’uovo con la chiesetta di un paesino di montagna («Vi piace questa?» chiedeva);

c’era l’uovo con i fiori di campo e quello con la colomba della pace; c’era l’uovo con il mare e infine, ambito fra tutti, l’uovo con il cielo attraversato da un volo di rondini.

Ogni anno ci proponevamo di conservare le uova dipinte; poi, invece, già alla metà del pranzo di Pasqua le avevamo sgusciate.

L’uovo con il cielo attraversato da rondini era l’ultimo ad essere aperto. Mio padre ne rompeva il guscio delicatamente in modo che la parte dipinta rimanesse intatta.

«Guardate, guardate ragazzi…».

Così dicendo s’era alzato e, sollevando quel che aveva salvato del guscio, sovrapponeva nel vano della finestra il suo pezzetto di cielo dipinto a quello vero di primavera.

«Guardate ragazzi: le rondini volano via… attenzione…». Mia madre sorrideva. Noi quattro figli anche, inteneriti da quel sorriso pieno d’amore. I bambini, invece, guardavano il nonno con trepidazione, aspettando l’avverarsi di quel prodigioso avvenimento.

«Volano, attenzione, volano via…».

Il nonno diventava mago e il garrire delle rondini sembrava farsi assordante.

Benedetto Mosca, Caro papà. Ricordi di un figlio , Rizzoli

Di quali momenti parla il titolo?

Sottolinea le frasi che descrivono i momenti “indimenticabili”

I primi giorni d’estate

I primi giorni d’estate in una fattoria sono i più felici e più belli dell’anno. I lillà sbocciano donando all’aria una nuova dolcezza, poi appassiscono. I meli fioriscono insieme con i lillà e le api visitano i loro fiori ronzando intorno alle piante. Le giornate diventano tiepide e miti, la scuola finisce.

I bambini hanno finalmente il tempo di giocare e di pescare le trote nel torrente: spesso Havery se ne tornava a casa con in tasca una trota irrigidita, pronta per essere fritta per la cena.

Ora che la scuola era finita Fern faceva una visitina al fienile quasi ogni giorno e rimaneva quietamente seduta sul suo panchetto. Verso il primo di luglio, i cavalli vennero attaccati alla falciatrice e il signor Zuckerman si issò sul sedile e li guidò attraverso il campo. Per l’intera mattinata si sentì lo stridore della falciatrice che girava per il campo, mentre l’erba folta cadeva in lunghe strisce verdi oltre la lama.

E il giorno dopo, a meno che non fosse scoppiato un temporale, tutti avrebbero dato una mano a raccogliere, ad ammucchiare e a caricare il fieno che l'alto carro avrebbe trasportato fino al fienile con i bambini a cavalcioni sulla sommità del carico.

Poi il fieno sarebbe stato issato, soffice e caldo, nel soppalco capace, finché l’intero fienile sarebbe diventato un meraviglioso letto di trifoglio. Com’era bello saltarci dentro e meraviglioso giocare a nascondino!

I primi giorni d’estate sono una festa per gli uccelli nei campi intorno alla casa, nel fienile, nel bosco, nella palude, dappertutto nascono amore e canti, nidi e uova.

Dal bosco il passero, con la gola bianca, chiama; su un ramo di melo, l’uccello febo, agitando la sua codina, ripete senza sosta il suo nome; il passero canterino, che sa bene quanto sia breve e dolce la vita, canta la sua sinfonia; se si entra nel fienile, le rondini sfrecciando dal loro nido nell’aria riprendono il cicaleccio.

Ovunque si volga lo sguardo, c’è vita; perfino la gocciolina vischiosa sullo stelo dell’erbaccia lascia scoperto, se la si scrolla, un piccolo verme verde.

Elwyn Brooks White, La tela di Carlotta, Mondadori

Individua alcune coppie nome-aggettivo e trascrivile sul quaderno;

METTIAMOCI ALL’OPERA

LA LUCE E IL MARE

La Manneporte è un quadro dipinto dal pittore francese Claude Monet mentre si trovava sulle coste frastagliate della Normandia, nel nord-ovest della Francia. Qui lo si vedeva scalare le scogliere e sfidare le intemperie con il suo cavalletto alla ricerca del punto e del momento migliori per catturare la luce dei paesaggi che più lo colpivano.

Prova anche tu a guardare con gli occhi dell'artista: scegli un quadro di Monet che rappresenti il mare, preferibilmente senza troppi particolari.

Procurati un cartoncino delle dimensioni di circa 18×22 cm e una scatola di pastelli a olio. Traccia a grandi linee con la matita grafite gli elementi che andranno ad occupare lo spazio e con i pastelli a olio sbizzarrisciti utilizzando tratti lunghi e veloci, cambiando i colori alla ricerca delle tonalità di colore e dei giochi di luce che Monet sapeva raccontare nelle sue tele. Fai molta attenzione alla direzione dei tratti, che determinerà la sensazione di movimento del mare o del vento, e ai contrasti di colore che determineranno luci e ombre.

Claude Monet , La Manneporte
Giacomo

IO E G L I ALTRI

Un canto per conoscerci

ASCOLTO

CONCERTO N. 9 IN MI BEM. MAGGIORE PER PIANOFORTE

Wolfgang Amadeus Mozart

Il concerto vede svilupparsi il rapporto tra pianoforte e orchestra, in un rapporto di continua contrapposizione come in un incontro tra due persone.

Carlo Pastori

Il mio bene

Ti voglio bene, mamma, come il mare!

Non basta: come il cielo!

Mamma, ci penso già da quasi un’ora, eppur quel nome non lo so trovare. Il nome di una cosa grande grande che ci stia dentro il bene che ti voglio. Una balena, forse, o un capodoglio… Oh, mamma, non mi far tante domande.

So che quando ritorno dalla scuola i gradini li faccio a rompicollo, per l’impazienza di saltarti al collo, e il cuoricino, puf, balza in gola.

Ti voglio bene quando sei vicina e quando non ci sei, quando mi abbracci.

Ti voglio bene anche se mi sculacci. Sei soddisfatta, adesso, o no, mammina?

Luigi Santucci

ESIA

C’è un uomo grande

C’è un uomo grande: gli faccio domande.

C’è un uomo grosso: gli salto addosso.

C’è un uomo attento: gli soffio il vento.

C’è un uomo quieto: gli dico il mio segreto.

C’è un uomo in casa mia che mi fa compagnia.

Chi è? Chissà? È il mio papà!

Roberto Piumini

Chi sa perché?

Curioso, certe volte è così bello il mondo, tutto mi par giocando, tutto mi dà piacer!

Allor mi sembra tutta simpatica la gente, cortese, compiacente, piena di buon voler. Tanti giorni invece, avvien tutto il contrario, ognuno è un avversario, tutti l’han su con me.

Chi sa, chi sa il perché di questa strana cosa?

To’ sarebbe curiosa, dipendesse da me!

L’amico

Al mio amico racconto cosa pensa il tramonto, con il mio amico sento quando parla il vento, con il mio amico ascolto quello che tace molto, con il mio amico giochiamo a inventare chi siamo.

Dice un proverbio

Dice un proverbio dei tempi andati “Meglio soli che male accompagnati”.

Io ne so uno più bello assai: “In compagnia lontano vai”.

Dice un proverbio, chissà perché: “Chi fa da solo fa per tre”.

Da quest’orecchio io non ci sento: “Chi ha cento amici fa per cento!”.

Dice un proverbio con la muffa: “Chi sta solo non fa baruffa!”.

Questo, io dico, è una bugia: “Se siamo tanti si fa allegria!”

Chi trova un amico

Chi trova un amico trova un tesoro.

Cuor sincero, amico vero.

Se trovi un nuovo amico non dimenticar l’antico

Diventare grandi

Angelica si era appena svegliata e guardava sconsolata fuori dalla finestra.

«Un’altra giornata di pioggia» pensò rattristata «anche oggi non potrò uscire in giardino a giocare».

Si alzò e senza nessuna voglia andò in bagno a lavarsi. Si vestì e scese al piano di sotto, in cucina, dove la mamma aveva già cominciato a preparare la colazione.

«Mamma, che cosa posso fare oggi?» le chiese appena entrata.

«Dunque, anche oggi dovremo trovarti una occupazione» la prese in giro la mamma.

«Hai già chiesto a tuo fratello se vuole giocare con te?».

«Ma mamma! Giocare con Alessandro è una vera noia! A lui piacciono solo macchinine e palloni!».

Angelica cominciava a preoccuparsi veramente; neanche il papà, che si era appena svegliato ed era sceso per bere il suo caffè, aveva un’idea che potesse soddisfarla.

Ma a quel punto i problemi di Angelica scomparvero. Samuele, il fratellino più piccolo, era entrato in cucina trascinando il suo orsacchiotto di pezza.

«Ho trovato!» esclamò Angelica, sorridendo per la prima volta da quando si era svegliata. «Insegnerò a Samuele come ci si può divertire in un giorno di pioggia!».

E se ne andò, dimenticando la colazione e la noia.

La mamma e il papà si guardarono sollevati: Angelica aveva risolto da sola il suo problema. Forse cominciava a diventare grande.

Maestra Paola

Riconosci i verbi e sottolinea le voci verbali.

La storia di Ricciolo

Vivevano in una grande città, una mamma, un papà e la loro bambina che aveva circa nove anni. Questi genitori avevano da sempre desiderato tanti bambini, perché nel loro cuore e nella loro casa, c’era tanto spazio; così quando l’Angelo Gelsomino raccontò loro la storia di un bimbo col cuoricino matto, che aveva bisogno di due genitori, rimasero per un attimo pensosi, poi sorrisero e cercarono di immaginare il visetto di questo loro secondo figlio. Il bimbo arrivò nella loro famiglia in un giorno di primavera; era molto piccolo. Tutti lo aspettavano e avevano preparato mille cose belle per lui.

La sorellina, che si chiamava Alexandra, saltava come un grillo dalla gioia e decise di dargli un nome: dapprima pensò di chiamarlo Cocò, perché questo suono lo faceva tanto ridere; ma poi, guardando i suoi capelli, pensò che poteva essere Ricciolo. In realtà, un nome l’aveva fin dalla nascita, ma era troppo complicato! Così, da quel giorno, fu per tutti… Ricciolo.

Emi Bondioli De Ponti, La storia di Ricciolo , Itaca

Bravissima anch’io!

Da un po’ di tempo Mini ha un problema: vorrebbe “essere bravissima” in qualcosa.

Per esempio Maxi, la sua amica del cuore, sa cantare molto bene.

Sandro invece è bravissimo a disegnare.

E poi c’è Dani, che sa suonare alla perfezione il pianoforte.

Mini riesce a fare un po’ di tutte queste cose, ma non c’è niente che sappia fare tanto bene da provocare l’ammirazione degli altri.

Un pomeriggio suo fratello Moritz, facendo i compiti, chiede alla mamma:

– Quanto fa quindici per quindici?

– Duecentoventicinque! – risponde subito Mini.

– E tu come lo sai? – chiede stupita la mamma

– Perché glielo hai già detto ieri! Per me è facile ricordare i numeri.

Ricordo tutti i calcoli che Moritz ha fatto ieri: dodici per dodici uguale centoquarantaquattro, diciassette per tre uguale cinquantuno, undici per undici uguale centoventuno…

Anche Moritz rimane a bocca spalancata ed esclama:

– Sei eccezionale con i numeri!

Mini arrossisce dalla gioia e pensa tra sé:

“Ecco, ho trovato: in questo sono davvero bravissima!”.

Christine Nöstlinger, Mini sei grande! , Franco Panini Ragazzi

Troppo disordine

Anna era una bambina molto disordinata. Quando giocava, in un momento riusciva a mettere la casa a soqquadro. Perciò Anna e la mamma erano sempre occupate a mettere in ordine e non avevano mai tempo di fare una passeggiata prima di pranzo o di leggere una storia prima di cena.

La bambina non era affatto contenta di ciò, né contenta era la mamma. «Cara pasticciona» diceva sempre la mamma «non so come fai a fare un tale disordine».

«Non lo so nemmeno io» sospirava Anna.

Il giorno dopo fece attenzione per vedere come si formava il disordine. Notò che, per giocare, ella tirava fuori una cosa, poi un’altra e un’altra ancora.

«Forse» pensò «se io rimetto a posto una cosa prima di tirarne fuori un’altra, il disordine non si farà più».

E così fece: ogni volta che cercava un nuovo giocattolo, prima di tirarlo fuori dall’armadio rimetteva a posto quello con cui aveva giocato prima.

Quando venne l’ora in cui bisognava rimettere a posto, la bambina non poteva credere ai suoi occhi: non c’era nulla da mettere a posto! Anche la mamma ne fu molto contenta.

«Come hai fatto a mettere le cose in ordine così in fretta?» domandò.

«È un segreto!» disse Anna, sorridendo.

Da allora in poi, invece di passare tutto il tempo a mettere in ordine, la mamma portò Anna a passeggio e le lesse molte belle storie.

Kathryn Jackson, 365 storie , Mondadori soqquadro : in disordine, sottosopra.

Ordinato o disordinato? Tu che tipo sei?

Femmina

C’era una banda di bambini vicino a casa mia, ma erano tutti maschi, e nati, poi, in quel paese di montagna.

«Sei una femmina, non puoi giocare con noi», mi dicevano.

Li stavo a guardare, arrampicata su una staccionata affacciata sul loro cortile.

Giocavano a nascondino, a bandiera, a rincorrersi, e io sapevo che non avrei mai corso veloce come loro.

Un giorno giocavano a chi saltava dal punto più alto di un muro obliquo, parallelo a una scala.

Si sfidavano, osando ciascuno ogni volta un salto più audace.

Io li osservavo, zitta.

Il salto più alto misurava quanto il piano di una casa: ai miei occhi, un abisso.

Però, pensai improvvisamente, saltare, in fondo, era un attimo e avrei dimostrato di essere coraggiosa. Forse, mi avrebbero accettata fra loro.

Mi alzai, e senza dire niente raggiunsi il punto più alto del muro.

Sentivo nel petto il battito del mio cuore.

I ragazzi si erano fermati a guardarmi, meravigliati, muti.

Nessuno ancora aveva osato il salto più alto.

Ricordo come fosse ora i loro occhi addosso, e la paura, e l'attimo di vuoto, e il tonfo sulla ghiaia, dura. Ci fu, allora, un istante di silenzio.

Poi, il capo della banda venne a stringermi la mano.

Da allora mi lasciarono giocare.

Da allora non mi sentii mai, con la mia treccia sulle spalle, inferiore a loro.

Marina Corradi, Con occhi di bambina. Settantotto racconti , Ares

Rifletti e rispondi.

1. Cos’è una “banda”?

2 Ti è mai capitato di far parte di una banda?

3. Qual è, secondo te, il vantaggio nell’essere componente di una banda?

Quale invece è il limite?

Ora condividi la tua esperienza con la maestra e i compagni.

L’ingaggio

Una banda di ragazzi giocava a pallone nel campetto. Bruno moriva dalla voglia di unirsi a loro.

«Perché non vai a giocare anche tu?» gli chiese sua madre.

«Non li conosco, non mi vorranno di sicuro».

«Ma non dire sciocchezze! Tu giochi bene a calcio. Prova a chiedere almeno!». Bruno era molto timido, ma prese il coraggio a due mani, scese in strada e si diresse verso di loro.

«Ehi, ragazzi, posso giocare con voi?» gridò.

«Giocare?» fece Ciccio «E chi gioca? Noi siamo in allenamento».

«E non potrei allenarmi con voi?» supplicò Bruno.

Gli altri si guardarono perplessi.

«E va bene» decise Cesare. «Vediamo un po’ cosa sai fare».

Bruno non fece una gran figura: mancava la palla, inciampava, cadeva, rovinava tutte le azioni, urtava e spingeva i suoi compagni.

«È perché non mi alleno da un sacco di tempo» cercò di scusarsi.

«Mettiamolo in porta» propose Sgrinfia «lì non farà malanni».

Dopo essersi abituato al nuovo ruolo, Bruno cominciò a divertirsi.

Poco dopo Bruno fece una parata particolarmente spettacolare.

«Niente male! Proprio niente male!» disse Sgrinfia. «Vieni con noi sabato, potrai essere la nostra riserva, amico!».

Colin McNaughton, Partita di pallone , Edizioni EL

perplessi : poco convinti, dubbiosi. spettacolare : grandioso, bellissimo.

Ti è mai capitato di vedere dei bambini giocare e di provare il desiderio di unirti a loro? Come ti sei comportato?

Tu sei un bene per me

Sono una maestra di scuola primaria, e con alcune amiche ho cominciato a insegnare italiano ai ragazzi che arrivano in Italia con i barconi; è un lavoro che faccio gratis, si chiama Caritativa.

Fino a quando non li ho conosciuti, gli immigrati per me erano un po’ un fastidio e un problema: ma quanti ne arrivano? Chiedono sempre soldi, dicono che hanno fame, ma io non posso mica aiutarli tutti!

Così per strada passavo avanti, magari allungando distratta qualche spicciolo, fino al giorno in cui li ho conosciuti: ragazzi giovani dai nomi difficili da ricordare, tutti con la pelle nera, i vestiti presi alla Caritas. Ci siamo stretti la mano, abbiamo cominciato a parlare un po’ in italiano, un po’ in inglese e un po’ in francese.

Su un mappamondo mi hanno fatto vedere la strada fatta spesso a piedi per arrivare fino in Libia, mi hanno raccontato dei barconi… alcuni dei loro amici sono morti nel nostro Mar Mediterraneo, così bello e così azzurro.

Loro invece sono arrivati a Rimini, fino a me e alle mie amiche: le nostre strade si sono incrociate.

A volte ridiamo, perché c’è sempre qualcuno di loro che sbuffa: « Italiano difficile! Mi fa male la testa! ».

Allora si fa una pausa, ci raccontiamo le cose della vita: alcuni hanno lasciato nei loro paesi dei figli piccoli, la famiglia.

Altri hanno vissuto dei grandi dolori, così tanto brutti che ancora i loro occhi si riempiono di lacrime; io racconto delle mie figlie grandi, della mia famiglia, del mio lavoro di maestra.

Una volta hanno riso, perché ho detto che studiavano i verbi più dei miei bambini a scuola!

Questi ragazzi mi accolgono sempre col sorriso, hanno voglia di imparare a parlare e leggere la nostra lingua. «Perché?» ho chiesto un giorno a Samson. Lui mi ha risposto:

«Per avere degli amici e per lavorare».

Samson poi ha preso la sua matita e mi ha detto: «Vedi? Se io piego questa, si rompe, ma se prendo due e metto vicine e piego, non si spezzano, sono forti. Ecco amicizia, come con te»

L’italiano non era proprio corretto, ma ho capito bene cosa voleva dire: io e lui siamo amici.

Maestra Carla

L’alluvione e noi

Piove ininterrottamente da giorni. Le comunicazioni di allerta meteo diventano sempre più frequenti. Il fiume esonda. Le sue acque arrivano ovunque.

I pompieri e la Protezione civile raggiungono con elicotteri, gommoni e jeep le tante persone bisognose di soccorso. Io abito a pochi metri dal fiume.

La mia casa ed il podere circostante sono preservati dall’inondazione, ma dalla finestra osservo gli elicotteri passare e il formarsi attorno alla zona in cui abito di un ferro di cavallo di acqua e fango.

Sono in un’isola felice, ma non posso non guardarmi attorno e sentire il cuore invaso dallo smarrimento, mentre gli elicotteri per il soccorso sorvolano i paesi limitrofi allagati.

Come staranno i miei amici?

I cellulari squillano in continuazione e scandiscono le ore di un giorno che mi sembra non finire. Alcuni sono al buio e la loro cucina è invasa dal fango; altri sono riusciti a mettere in salvo la macchina e poi sono stati evacuati dalle loro abitazioni. La strada è interrotta per una frana: c’è chi è rimasto isolato, senz’acqua e senza luce.

E c’è chi ha perso tutto.

Frotte di volontari provenienti da diverse città, tra i quali giovani muniti di anfibi e pale, prestano aiuto a chiunque si trovi nel bisogno.

Per giorni e giorni spalano il fango. Sono chiamati “chi burdel de paciug” che in dialetto romagnolo significa “i ragazzi del fango”. Nelle strade si ammassano cumuli di tavoli, sedie e credenze pieni di vite segrete, cassetti e bauli antichi colmi di ricordi intrisi di fango. Le azioni di solidarietà si moltiplicano ovunque, come tanti piccoli semi che infondono speranza. Chi sono queste persone estranee che si prendono cura di noi?

Un sentimento di fratellanza cresce nella gente, tra gesti di umanità e di fede, come i pasti caldi che vengono consegnati ogni giorno alle famiglie alluvionate e l’Eucaristia che viene distribuita tra le strade piene di fango da un sacerdote.

Maestra Mirella

Giampi il piangina

È difficile spiegare perché uno si chiama Giampiero: forse perché il nome piaceva a papà e mamma, forse perché era morto un nonno che si chiamava così. Fatto sta che il nostro amico si chiamava Giampiero.

È più facile spiegare perché il nome fu trasformato in Giampi: perché così sembrava più simpatico ed era più corto. Ma tutti capiscono perché di fatto lo chiamavano «Giampi il piangina» o anche semplicemente «Il piangina». Infatti fin da quando era piccolo e non sapeva ancora parlare il suo passatempo preferito era piangere.

Piangeva di giorno e piangeva di notte, piangeva strillando e piangeva singhiozzando, piangeva versando lacrime e piangeva a ciglio asciutto. Papà e mamma non sapevano più che cosa fare: non riuscivano a dormire di notte per più di quattro ore di seguito, e di giorno la mamma non riusciva neppure a fare i mestieri di casa, tanto era occupata a consolare questo bambino.

Già, come consolarlo? Posso assicurarvi che stava bene di salute, che era amato, coccolato, curato come un principe e non gli mancava nulla.

Ma il fatto è che Giampi piangina continuava a piangere. Se vedeva una caramella la pretendeva a tutti i costi, e se non gliela davano subito si metteva a strillare in un modo che i vicini di casa pensavano che lo stessero torturando. Se passando per strada vedeva in una vetrina un giocattolo che ancora non possedeva, cominciava col dire: «Lo voglio! Lo voglio!», e finiva per piangere lacrimoni tali che perfino il vigile ne restava commosso e diceva alla mamma:

«Ma non sia cattiva, glielo compri…».

Quando crebbe i suoi genitori lo mandavano all’oratorio e lui ci andava volentieri e portava il suo bellissimo pallone di cuoio: così poteva far giocare chi voleva lui. E il più delle volte tornava a casa piangendo perché i suoi amici non l’avevano fatto giocare in attacco, ma, visto che era un brocco, l’avevano costretto a stare in porta.

Insomma, Giampiero poteva accontentare tutti i suoi capricci, aveva due genitori che gli volevano un bene grande così, aveva la casa traboccante di giocattoli di ogni specie, aveva intorno gente normale, un po’ simpatica e un po’ antipatica, ma insomma gente per bene.

A scuola se la cavava senza troppi problemi. E con tutto questo trovava sempre un motivo per essere scontento.

Un bel giorno Giampi piangina avvertì in casa un’aria nuova: mamma e papà confabulavano tra loro come di cose segrete, qualche volta nel pomeriggio la mamma, invece di fare i mestieri, se ne stava in poltrona; qualche mattina il papà non partiva per il lavoro all’orario di sempre. Insomma, stava per arrivare una sorellina.

Quando nacque fu una gran festa: vennero persino gli zii del Veneto e quelli delle Puglie. La battezzarono e la chiamarono Eleonora. Il nome fu presto abbreviato in Lola e poco mancò che la sorella del Giampi piangina fosse chiamata Lola piagnona. Ma la mamma, che ora aveva molto da fare, ebbe l’idea di affidarla al Giampi: «Sta’ un po’ attento a tua sorella, che io devo cucinare…». E Giampi si metteva d’impegno, a tal punto che si dimenticava di piangere. E anzi, imparò il segreto della gioia. Siccome voleva bene a sua sorella, faceva di tutto perché fosse contenta quando la mamma gliela affidava per qualche tempo: raccontava storie, faceva versi e partecipava ai giochi idioti delle bambine piccole (certo che se l’avessero visto i suoi compagni… sarebbe diventato di tutti i colori dalla vergogna!).

E perfino i suoi giocattoli, custoditi con ogni cura nei suoi armadi, venivano concessi almeno da vedere alla Lola. Quando poi fece a pezzi una vecchia automobilina del Giampi, lui, invece di diventare furioso, come ci si poteva aspettare, si mise a ridere e disse: «Vuoi sempre vedere cosa c’è dentro: finirai per fare il meccanico…». Il segreto della gioia è dunque questo: non preoccuparsi più solo di sè stessi, anzi, farsi carico della gioia degli altri.

Mario Delpini, E la farfalla volò. 52 storie sorprendenti , Àncora

METTITI ALLA PROVA

Dopo aver riletto Giampi il piangina , rispondi alle domande.

1. Chi è il protagonista del racconto e come si chiama?

2. Come veniva chiamato dagli altri?

3. Che cos'è un soprannome?

4. Come e quando piangeva Giampi?

5. “Non gli mancava nulla. Ma il fatto è che Giampi piangina continuava a piangere”. Sai spiegare il perchè?

6. Se in una vetrina vedeva un giocattolo cominciava col dire: “ Lo voglio!”.

Cosa si intende per “Lo”?

A. Articolo.

B. Pronome.

A quale parola si riferisce?

7. Che cosa significa l’espressione “essere un brocco”?

8. Trova un sinonimo del termine “confabulavano”.

9. Che cosa porta aria nuova nella casa di Giampi?

10. Quale cambiamento avviene nella famiglia dopo la nascita della sorellina?

11. Cosa ci insegna questo racconto?

La signorina Euforbia

Cosa ci facesse negli anni duemila la Signorina Euforbia era difficile a dirsi.

Già il nome suonava di un altro tempo, ma non era certo colpa sua se il papà l’aveva chiamata così perché adorava le piante e, fra tutte, l’Euforbia in particolare. Sì, proprio quella piantina verde, sconosciuta ai più, la cui bellezza non deriva tanto dai suoi fiori, quanto dalla trasformazione delle foglioline che in una certa stagione dell’anno al loro interno si colorano di scuro e creano una curiosa forma a cuore.

Allo stesso modo, anche da Euforbia nascevano fiori insoliti, che solo i veri intenditori sapevano riconoscere. E in qualche modo anch’essi avevano a che fare col cuore, e la sua dolcezza.

Che dire poi di quel signorina costantemente appiccicato al suo nome?

Nonostante l’età non fosse più quella di una giovinetta, lei ci teneva moltissimo a chiamarsi così; tanto che nessuno conosceva il suo vero cognome e per tutti era semplicemente la Signorina Euforbia, con due maiuscole.

Dunque, la Signorina Euforbia aveva un negozio tutto suo in città, a metà circa di una strada deserta. Era il tipico posto dove o ci si capita per errore – nel qual caso significa che ci si è veramente persi – o si cerca giusto quello.

In tutta la via non c’era altro. Eh già, la Signorina Euforbia aveva una pasticceria. Aveva imparato quel mestiere da bambina grazie a sua zia Maria, che a sua volta l’aveva imparato dalla zia Adelina che era stata a scuola da zia Elvira. Da chi l’avesse imparato quest’ultima si perdeva nella notte dei tempi, ma di sicuro c’era stata una qualche trisavola che aveva provveduto.

Essere pasticciera era, infatti, una tradizione delle donne di famiglia.

Luigi Ballerini, La signorina Euforbia , San Paolo

Dopo aver riletto La signorina Euforbia , rispondi alle domande.

1. Metti una crocetta su V se vero, su F se falso

Era colpa sua se Euforbia si chiamava così!

Euforbia era stata chiamata così dal papà perché lui amava tutte le piante e in particolare l’euforbia.

L’euforbia è una pianta verde che produce dei fiori meravigliosi a forma di cuore.

Euforbia è una pasticciera che produce “fiori insoliti” che solo i veri intenditori sanno riconoscere.

Euforbia non ha più l’età di una giovinetta.

Euforbia è una giovane signorina, che di mestiere fa la pasticciera.

Euforbia ha un negozio tutto suo: una vera pasticceria.

2. Dove è situato il negozio di Euforbia?

A. In città, in mezzo agli altri negozi.

B. Nel deserto, dopo la città.

C. È situato in città, in una strada deserta.

3. Come ha fatto Euforbia ad imparare a fare la pasticciera?

A. Euforbia ha imparato a fare la pasticciera da bambina, grazie ad un corso di pasticceria.

B. Euforbia ha imparato a fare la pasticciera da sua zia Maria.

C. Euforbia ha imparato a fare la pasticciera dalle zie Adelina ed Elvira.

4. Cosa significa l’espressione “si perdeva nella notte dei tempi?”.

A. Un fatto accaduto in un’epoca molto lontana, di cui non si hanno informazioni precise.

B. La zia Elvira faceva la pasticciera perfino di notte, senza perdere tempo.

C. La zia Elvira aveva trascorso così tante notti in pasticceria, che non si riuscivano a contare.

La mamma

La mamma lavora in un negozio di cartoleria. È sempre molto occupata e quindi non sta molto con me; io sto con lei e mi piace guardarla.

In negozio guardo la mamma mentre serve i clienti, il negozio è grande e non so come faccia a sapere sempre dove sono le cose che le chiedono. In casa guardo la mamma quando si mette il rossetto e vedo tutte le smorfie che fa con la bocca allo specchio vicino alla porta d’uscita.

La mamma è allegra e si fa i complimenti da sola. Per esempio quando cucina un buon pranzetto dice sempre: «Brava, Giulietta!». A volte la mamma è triste ma, se io la guardo, sorride.

La cosa più bella della mamma è che sa quello che mi piace anche quando io non lo so.

Al mio compleanno mi ha regalato un ombrello giallo. Io non volevo un ombrello e il mio colore preferito è il verde, ma ora sono contenta quando piove perché posso sfoggiare il mio grazioso ombrello giallo.

A pesca con papà

Un sabato, io e mio padre siamo usciti al mattino presto. Abbiamo caricato nel bagagliaio le canne da pesca, i panini e un thermos di tè caldo.

– Faremo una gita in un posto segreto – mi disse mio padre.

Siamo saliti in macchina e siamo partiti. Quando ci siamo fermati, mio padre ha detto:

– Senti l’odore del fiume?

Che meraviglia! Sentivo l’odore del fiume.

– Quando ero bambino – disse il papà – acchiappavo l’aria, acchiappavo il vento e me li portavo a casa.

– E dove abitavi da bambino? – chiesi.

– In una casetta.

– Com’era la casa dove abitavi da bambino? – chiesi. Il papà ha chiuso gli occhi e ha detto:

– Era una casetta grigia con una veranda storta, piccole finestre e il tetto rosso. Intorno alla casa c’erano campi verdi con vivaci fiori rossi e intorno ai campi c’erano alberi alti e verdissimi.

– E che cosa c’era oltre gli alberi? – chiesi.

– C’era un fiume chiaro e fresco, come questo, dove ho imparato a pescare.

– E chi ti ha insegnato a pescare?

– Ah! – disse il papà e chiuse gli occhi – È stato mio papà. Mio papà mi ha insegnato a pescare.

Sharon Creech, A pesca nell’aria , Mondadori

Uno zio speciale

Niente da fare. In famiglia c’è una vena di stramberia. È una delle frasi preferite da papà quando intende riferirsi a zio Remigio. A me, invece, lo zio piace così com’è. A lui non importa dei vestiti e s’infila addosso la prima cosa che trova a portata di mano: il pullover a rovescio, la camicia che esce dai pantaloni, il cappello schiacciato come una focaccia. Un tipo strano?

Certo, se essere strani vuol dire battere tutti a biglie, costruire un mulino a vento con qualche legnetto e due turaccioli, conoscere decine di giochi con le carte, tutti diversi.

Lo zio Remigio è proprio speciale: è un asso del computer, e quindi immagini che sia precisissimo, invece casa sua sembra un campo di battaglia: pile di libri ammucchiati qua e là, scatole di biscotti abbandonate per terra, piante secche che nessuno innaffia da mesi e mesi. Insomma, quando c’è lui, noi bambini non vediamo nessun altro, come dice la mamma. Credo proprio che il papà sia un po’ geloso di un tipo tanto speciale.

Beatrice Masini, Mio tuo nostro , De Agostini

stramberia : stranezza, particolarità. turaccioli : tappi di sughero.

1. Qual è una delle frasi preferite dal papà, quando vuole riferirsi allo zio Remigio?

2. Come si veste lo zio Remigio? Cosa sa fare Remigio?

I colori delle nonne

Io e mia cugina Francesca avevamo due nonne colorate, una per ciascuna. La mia nonna si chiamava Bianca ed era una nonna dolcissima, con i capelli bianchi, avvolti in una crocchia, gli occhi chiari e le guance rosa.

Questa nonna Bianca cucinava pranzetti deliziosi e mi regalava sacchetti pieni di dolci, ogni domenica.

Francesca, invece, aveva una nonna di nome Rosa che aveva anche lei capelli candidi, occhi azzurri, guance rosa e che cucinava molto bene. Quando ero molto piccola, a causa di una buffa coincidenza di nomi, pensavo veramente che tutte le nonne avessero un colore… bianco, oppure rosa, al massimo azzurro, ma di un azzurrino pallido pallido… Poi ho capito che non era affatto così anche perché avevamo, io e Francesca, un’altra nonna, in comune, che indossava vestiti dai colori vivaci, si chiamava Ida e non cucinava quasi mai.

La nonna Ida non aveva i capelli bianchi e si dipingeva un pochino le gote con il rossetto… La nonna Ida era di Milano ed era quindi molto buffa quando cercava di parlare il dialetto triestino; non era portata per le lingue, ma in cambio era laureata in matematica, cosa straordinaria per una donna di quei tempi, se si pensa che era nata alla fine dell’800.

Ogni tanto ci raccontava le sue avventure di quando frequentava il Politecnico di Milano e doveva entrare in aula immediatamente dopo il professore, per non essere assalita dai fischi degli ammiratori… «Perché sapete…» ci diceva la nonna Ida sorridendo maliziosa… «Ero l’unica signorina…».

Noi tre cugine l’ascoltavamo a bocca aperta, forse un po’ invidiose. La nonna Ida mi dava molti consigli di bellezza, una volta mi ha messo i bigodini e il giorno dopo, a scuola, non mi riconosceva più nessuno… una disperazione!

Nicoletta Costa, I miei nonni , «Andersen», collana «I Quaderni di Barbara»

1. In questo brano trovi diversi nomi accompagnati dall’aggettivo.

Sottolinea il nome con il suo aggettivo

2. A che colore associ la tua nonna? Perché?

Il nonno professore

«Nonno, nonno mi accompagni a prendere il latte?»

Filo ha afferrato il nonno per la manica della giacca da camera, con foga: già gli si scioglieva in bocca il cioccolatino promesso in premio dalla mamma.

«Come, cosa? A prendere le tazze?» ha domandato il nonno, senza capire.

«Ma sono in cucina, le tazze, perché mi porti sul pianerottolo?» ha brontolato poi, cambiandosi la giacca in fretta e furia.

«Latte, nonno, latte, non tazze! Su, andiamo!» ha urlato allegro Filo, e intanto lo spingeva nell’ascensore senza tanti complimenti.

«Latte, va bene, latte, ho sentito, non sono mica sordo» ha precisato il nonno, abbottonandosi la giacca.

Il nonno, professore di matematica da anni in pensione, l’avrete certo capito, è un po’ duro d’orecchi. Lui sostiene che quel «lieve deficit uditivo» gliel’hanno procurato i suoi 4.800 allievi, che in 40 anni di servizio gli hanno gridato a più non posso con la mano alzata: «Professore, non ho capito, me lo rispiega?». Ogni volta che il nonno racconta dei 4.800 allievi in 40 anni, gli si gonfia il cuore di emozione, poi inforca gli occhiali a bruciapelo: «4.800 allievi in 40 anni: quanti allievi fanno in un anno?». Eh, sì, è più forte di lui: non può smettere di interrogare. Il tempo, per il nonno, s’è fermato quel brutto giorno che è stato «collocato a riposo», costretto a lasciare l’insegnamento per «raggiunti limiti d’età».

Ma il mondo della scuola gli è rimasto dentro, lì, in fondo al cuore, né riesce a sentirsi altro che un professore. Così, succede che noi di famiglia abbiamo dovuto indossare i panni dei suoi allievi. A volte, però, non bastiamo come classe, e finisce che se la prende persino con gli estranei. Ricordo che un giorno, entrando in una panetteria gremita di gente vociante, si portò l’indice alle labbra e, severo, comandò: «Sssssssshhh… fate silenzio!». Si voltarono tutti, ma proprio tutti; io volevo scomparire, perché mi aspettavo già il seguito: «E ognuno al suo posto!».

Anna Cerasoli, I magnifici Dieci. L'avventura di un bambino nel mondo della matematica , Sperling & Kupfer

foga : fretta

Dopo aver riletto Il nonno professore con attenzione, rispondi alle domande.

1. Dove deve andare Filo?

A. Dal lattaio.

B. Dal fruttivendolo.

C. Dal cartolaio.

2. Cosa capisce il nonno?

A. Che serve il latte.

B. Che servono delle tazze.

C. Che servono delle lattine.

3. Che mestiere faceva il nonno?

4. Cosa significa “duro d’orecchi”?

5. Secondo il nonno, di chi è la colpa del fatto che è duro d’orecchi?

A. Del traffico in strada.

B. Dei suoi alunni.

C. Dei suoi nipoti.

6. Secondo te, al nonno piaceva fare il professore di matematica? Perché?

7. Cosa significa “indossare i panni dei suoi allievi”?

A. Incontrare i suoi allievi.

B. Comportarsi come i suoi allievi.

C. Indossare i vestiti degli alunni.

8. Cosa fa un giorno il nonno in panetteria?

Non tutti gli ospiti vengono per nuocere!

«Stasera abbiamo ospiti a cena, comportatevi bene».

Ospiti a cena… ospiti adulti che per tutta la sera parleranno di cose da adulti, di lavoro, di politica. Che noia! Il problema degli ospiti a cena è che la cena è lunga e spesso le pietanze sono complicate. Con gli ospiti a cena potete sognarveli la cotoletta con le patatine o gli gnocchi al ragù, slurp. Gli ospiti a cena portano doni, ma sono bottiglie di vino che ai ragazzi non interessano o scatole di cioccolatini complicati con creme strane o perfino il liquore, non dei bei semplici gianduiotti.

Ospiti a cena. E i ragazzi devono “comportarsi bene”.

Comportarsi bene va tradotto così: sedersi insieme a tutti gli altri, non alzarsi prima che gli adulti si alzino, forchetta afferrata dal fondo, pulirsi la bocca prima di bere, tovagliolo da usare ma, perbacco, mantenere pulito: ma se deve restare pulito, allora non usiamolo!

Invece il rimprovero è inevitabile: «Guarda lì come hai ridotto il tovagliolo».

Come se ci si potesse pulire con la manica (altra cosa che rientra nel “comportarsi male”). E ancora: parlare solo se avete il permesso, anche se gli argomenti sono di una noia mortale.

Ah, poter finire in fretta, alzarsi e fuggire in camera a giocare…

Invece no. E, appena finito, è così tardi che bisogna andare subito a letto. Poi gli ospiti arrivano («Stringete bene la mano, non datela moscia e flaccida!»).

Sorpresa! Niente vino millesimato, niente cioccolatini belgi.

«Vi piace il Lego? Abbiamo portato un trasporto di Guerre Stellari per i ragazzi. Perché non lo costruite subito? Non starete mica a tavola con noi tutto il tempo…».

Ospiti meravigliosi! I genitori non possono opporsi. Perfino il polpettone con le verdure scivola giù senza danni. E poi…

«Ehm, poi ci fate giocare con voi? Sorpresa: abbiamo portato anche un caccia ribelle».

Il problema delle serate con gli ospiti è che i figli si comportino bene, siamo d’accordo. Ma se sono gli ospiti i primi a comportarsi bene, le cose andranno benissimo.

Umberto Folena, Benedetta famiglia , «Popotus», 2 febbraio 2017 pietanze : cibi.

vino millesimato : vino prodotto con i vitigni di una singola annata.

1. Di che cosa si lamenta il protagonista quando vengono degli ospiti a cena?

2. Che cosa fa cambiare idea al protagonista?

3. Che cosa significa secondo te: “Non tutti gli ospiti vengono per nuocere”?

METTIAMOCI ALL’OPERA CORNICE REGALO

Ecco come realizzare un piccolo dono per la mamma, il papà, i nonni o per un amico.

Prendi un cartoncino A4 bianco o colorato e piegalo con attenzione in modo da ottenere due rettangoli uguali.

Sul fronte di un rettangolo disegna e ritaglia un foro ovale o rettangolare in modo da ottenere una cornice.

All'interno del biglietto incolla un disegno o una fotografia che vuoi usare come ricordo o augurio.

Decora liberamente la cornice con i pastelli o con un collage scegliendo un soggetto adatto alla persona che lo riceverà.

Anita

PER S O R R I DERE

Un gioco di parole per capire che per giocare è necessario essere di buon umore e non prendersela per delle piccole “offese”.

ASCOLTO SINFONIA DEI GIOCATTOLI

Anche alcuni simpatici strumenti giocattolo possono partecipare della grande musica ed essere accompagnati da un'intera orchestra.

Filastrocca mascherata

Quando gioco, io dico:

«Io ero un re guerriero, tu eri il mio nemico, eri mio prigioniero».

Ma quando è Carnevale io non dico «io ero»!

Ecco il magico dono: mi maschero davvero e dico «io sono»!

«Mamma, sono un vampiro!».

«Aiuto, c'è un vampiro!».

«Uuuhhh! Ora ti acchiappo!».

«Aiuto, dove scappo?».

«Arrivo, ora ti piglio!».

«Dove sarà mio figlio?

Il vampiro è vicino, aiuto, ora mi prende!

Se non c'è il mio bambino nessuno mi difende!».

Allora su la maschera!

«Eccomi! Sono io!».

E la mamma mi abbraccia:

«Sei tu, bambino mio!».

E allora giù la maschera di nuovo sulla faccia.

«No, io sono un vampiro!».

«Aiuto, c'è un Vampiro!».

«Uuuhhh! Ora ti acchiappo!»

«Aiuto, dove scappo?».

ESIA

Filastrocca

sulla filastrocca

La filastrocca è stramba le manca una gamba ma suona la tromba.

La filastrocca è ghiotta è ghiotta di parole farlocca filastrocca. Sulla rocca c’è una sciocca che fila una filastrocca.

La filastrocca è strana sta nella tana mangia la rana suona la campana aspetta la Befana porta la sottana che sia un’anziana?

La filastrocca è ghiotta è ghiotta di parole le mangia in un boccone con grande confusione.

La filastrocca è rotta ma si aggiusta mentre sale su per le scale.

La filastrocca è stretta ma si lascia attraversare da tutto quanto il mare.

La filastrocca è vecchia ma ogni giorno ci riprova balocca filastrocca.

Valore di un sorriso

Donare un sorriso rende felice il cuore.

Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante ma il suo ricordo rimane a lungo nessuno è così ricco da poterne fare a meno né così povero da non poterlo donare. Il sorriso crea gioia in famiglia dà sostegno nel lavoro ed è segno tangibile di amicizia.

Un sorriso dona sollievo a chi è stanco Rinnova il coraggio delle prove E nella tristezza è medicina. E se poi incontri chi non te lo offre Sii generoso e porgigli il tuo: nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo..

Che vacanza

I soldi non bastavano per la villeggiatura, quell’estate, bisognava rinunciare. Ma, a vedere i visi delusi dei figli, la signora Seppietti esclamò: – Quest’anno, faremo le più belle vacanze della nostra vita… Mare, più montagna, più campagna!

Non era impazzita, aveva soltanto avuto un’idea originale. Si trattava, però, di adattare il loro appartamento.

La campagna la crearono nella sala da pranzo, portando tutti i vasi di fiori che si trovavano sui davanzali. Con poster e fotografie di alberi alle pareti inventarono un magnifico paesaggio.

La montagna fu sistemata nella stanza con il balconcino, dal qu ale, con il binocolo, si poteva ammirare la suggestiva vista delle vette più alte, cioè i più alti tra i palazzi circostanti.

Nella camera del mare, quella più assolata, piantarono l’ombrellone.

In costume da bagno, con gli occhiali neri, ci si sdraiava su una spiaggia morbidissima: due sacchetti di segatura sul pavimento. Per bagnarsi, bastava fare due passi ed immergersi a turno nella vasca da bagno.

La famiglia Seppietti quell’estate non si abbronzò molto, ma si divertì tanto: genitori e figli non erano mai stati tanto insieme a giocare.

Marcello Argilli, I viaggi di Osvaldo e fantageografia , Piccoli

Racconta una giornata divertente trascorsa a casa con la tua famiglia.

Ridere in famiglia

Domenica 25 maggio, cenavamo tranquilli finché a un certo punto

mio fratello maggiore Giacomo ha incominciato a raccontare barzellette, mio papà Marco moriva dal ridere come non mai e la mamma Chiara era andata nella camera da letto perché non ce la faceva più ad ascoltare barzellette.

Mio fratello Davide sveniva da quanto rideva, io non ridevo perché non le capivo e allora dicevo: «Cosa ci trovate di divertente?», allora me lo spiegavano tutti insieme.

È stata una serata meravigliosa insieme alla mia famiglia!

La prossima volta vorrei essere io a raccontare le barzellette almeno le capirei e mi divertirei molto di più.

Irene, classe III

A te piacciono le barzellette?

Se ne conosci, scrivine una e leggila ai tuoi compagni.

Un modo di dire

– Che pioggia! – brontolò Bobby.

– Che pioggia! – sospirò Tina.

E appoggiando al vetro i loro nasi, i due bambini contemplarono malinconicamente il cielo grigio, la pioggia grigia, le case gr igie. D’un tratto Bobby si volse.

– Dove sta di casa il commendatore Fadelli? – chiese a sua madre che leggeva il giornale.

– Il capoufficio di papà? –domandò la mamma. – E perché mai?

– Perché bisognerebbe mandargli a dire che faccia uscire il sole.

– Al commendatore Fadelli? Ma cosa dici! – esclamò la mamma un po’ stupita.

– Non ho mai sentito discorsi così strampalati come quelli che inventi tu.

– Non li invento io – ribatté Bobby, imbronciato. – È papà che l’ha detto.

– Ma che cosa ha detto papà? – domandò la mamma più che mai stupita.

– Papà ha detto ieri allo zio Camillo: “Adesso che è arrivato il commendator Fadelli, è lui che fa la pioggia e il bel tempo!”.

Annie Vivanti, Sua Altezza! (Favola candida) , R. Bemporad

1. «Fa la pioggia e il bel tempo» è un modo di dire, cioè un’espressione caratteristica della lingua italiana. Fare la pioggia e il bel tempo, oppure fare il bello e il cattivo tempo significa imporre la propria volontà in un determinato ambiente, nei confronti di certe persone. Che cosa voleva dire con questa espressione il papà di Bobby? Quale significato le ha invece attribuito il bambino?

2. Conosci altri modi di dire? Se sì, quali? Che cosa significano?

3. Prova a spiegare il significato racchiuso in queste frasi:

• Cadere dalle nuvole:

• Dare i numeri:

• Essere fritto:

La merenda di Bertoldino

Il maestro Michele ci ha letto oggi un brano molto simpatico.

Pensate, è stato scritto quasi cinquecento anni fa! Lo scrittore era appassionato di versi e cominciò a girovagare per corti e fiere raccontando storie.

I personaggi principali delle sue storie erano Bertoldo e Bertoldino: il primo astuto e ricco di bonomia e il figlio, invece, stolto e buffone di corte. Queste storie allora facevano ridere molto, e oggi?

Regina : Hai tu merendato bene?

Bertoldino : Signora sì.

Regina : Che t’hanno dato di buono?

Bertoldino : Del lasame e del pane.

Regina : Che cosa?

Bertoldino : Samale.

Regina : Non ti capisco.

Bertoldino : Del malase.

Regina : Peggio che peggio.

Bertoldino : Dico che ho mangiato del lamase. Io parlo chiaro e torno a dire che io ho mangiato del masale. Mi avete capito questa volta?

Regina : Che nomi sono questi? Lasame, samale, malase, lamase, masale. Non capisco proprio quel che vuol dire costui, né credo che lo capiscano altri. Filandro : Egli vuol dire salame, serenissima signora. Guardi, maestà, che questo è proprio uno zuccone da friggere, se non è stato capace per cinque volte di dire salame.

Se la Regina rise di simile fatto, lo lascio pensare ai miei lettori. Intanto giunse il Re, e, appresa la causa delle risate della Regina, si diede a ridere tanto che alle sue risa rideva tutta la corte. E quel ridere durò tutto il giorno, e talmente furono ripetute quelle parole di lasame, samale, malase, lamase, masale, che quando volevano del salame essi pareva che non sapessero più dire se non lasame, samale e malase, lamase e masale. E ciò durò parecchi giorni.

Giulio Cesare Croce, Camillo Scaligeri Della Fratta, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno , Bur

bonomia : bontà di cuore.

Divertiti anche tu, con i tuoi compagni, a scegliere una parola e a trasformarla in modo simpatico.

La patata affettata

La signora Patata Cruda andò a trovare il signor Coltello Affilato.

– Buongiorno! – disse lui. – Prego, si accomodi! –. La signora Patata Cruda entrò, ma faceva molto caldo, e disse:

– Che caldo, qui! Potrei togliermi la buccia?

– Ma certo! Posso aiutare? – disse Coltello Affilato.

– Sì, grazie! – e il signor Coltello Affilato cominciò a togliere la buccia

alla Patata Cruda.

– Basta così, signora?

– No, ho ancora caldo…

– Va bene così?

– No, ho caldo ancora…

Alla fine, la signora Patata Cruda fu senza buccia, e allora cominciarono a parlare.

– Come sta? – chiese il signor Coltello Affilato.

– Sa, a volte, mi sento sola… Mi piacerebbe essere in due… – rispose la signora Patata Cruda.

– Posso tagliarla a metà – propose il signor Coltello Affilato. – Così sarebbe in coppia…

– Davvero? Lo faccia subito! – disse lei, e lui, zac, la tagliò in due parti.

– Come sta, anzi, come state, adesso?

– Bene, benissimo! – dissero le due mezze patate. – Talmente bene che ci piacerebbe essere anche di più!

– Posso tagliarvi ancora un po’.

– Grazie, sì!

Zac, zac!

– Eccovi divise in quattro!

– Ancora! Ancora!

Zac, zac, zac, zac!

– Eccovi divise in otto!

– Che bella compagnia! Ancora, ancora!

– Eccovi divise in sedici… Basta così?

– Ancora, ancora!

Il signor Coltello Affilato tagliò tanti piccoli pezzettini, che parlavano, ridevano, così contenti, che alla fine dissero:

– Ci piacerebbe fare un bagno insieme!

– C’è qui vicina una padella piena d’olio, – disse il signor Coltello Affilato.

– Volete tuffarvi lì? È un po’ caldo, ma così profumato…

– Sì, sì! – gridavano le fettine di patata, e tutte si tuffarono nell’olio, e saltando e ridendo diventarono patatine fritte, e finirono nella bocca di due bambini, e così la storia finì: perché la storia di una patata finisce quando è mangiata.

Roberto Piumini, C’era una volta, ascolta , Einaudi Ragazzi

Ranocchi principi

C’era una fata che andava in giro da uno stagno all’altro trasformando in principi tutti i ranocchi che incontrava. Era più forte di lei: ogni volta che vedeva un ranocchio non resisteva e… zacchete! Lo faceva diventare alto, biondo e con gli occhi azzurri.

I ranocchi non erano per niente contenti e speravano di non incontrare mai quella fata. Purtroppo, non era facile per i ranocchi non farsi trovare in casa, così, prima o poi, venivano trasformati in principi. Quei poveri principi però non riuscivano a procurarsi il pranzo. Correvano avanti e indietro con la bocca spalancata per acchiappare moscerini, mosche e zanzare ma restavano quasi sempre a pancia vuota! Un giorno, finalmente, un ranocchio molto intelligente capì che la fata poverina si sentiva sola e sperava in quel modo strampalato di trovare il suo principe azzurro. Allora prese un foglio e scrisse una lettera alla fata: «Cara fata, piuttosto che trasformare tutti i ranocchi in principi, non faresti meglio a trasformare te in ranocchia? Ciao dal tuo ranocchio azzurro».

La fata trovò che era davvero un buon consiglio, anche perché era stanca di vagare per paludi. Si trasformò in ranocchia e annullò tutti gli incantesimi fatti prima. Sprigionò e riranocchiò tutti con grande soddisfazione. Infine, sposò il ranocchio intelligente e visse felice e contenta in un fresco stagno verde e blu.

Guido Quarzo, Ranocchi a merenda , Piemme

Dopo aver riletto Ranocchi principi , rispondi alle domande.

1. Cosa fa la fata con la sua bacchetta?

2. Come si procurano il cibo i principi?

3. Qual è il suggerimento del ranocchio intelligente?

4. Per quale ragione si firma “il tuo ranocchio azzurro”?

5. Come si conclude il racconto?

Gattopiatto

Edo vorrebbe tanto avere un gatto ma la mamma non vuole. Allora prende i pastelli e ne disegna uno su di un foglio. Purtroppo, non è un gatto paffuto e morbido come gli altri, è un gattopiatto.

All’improvviso il gatto disegnato sul foglio gli strizza l’occhio e inizia a raccontare cosa fa un gattopiatto: mangia solo tagliatelle molto piatte, sogliole, fette di ananas e pizza molto sottile; è contento quando può andare in moto (occupa poco spazio). Se vuole tornare in fretta a casa diventa cartolina e si fa spedire! Gli piace leggere e fa volentieri da segnalibro; si trova bene in compagnia dei quadri; ama la musica e l’ascolta in compagnia di altri dischi. Quando trova una poltrona comoda nessuno si accorge di lui! Non c’è cane prepotente che gli possa fare del male; sulla spiaggia fa ombra ai granchi. Conosce personalmente molti marziani; è fidanzato con una televisione… molto piatta! Se c’è bel tempo, gli piace diventare un aquilone. Quando Edo si risveglia il gattopiatto è sparito. Edo si stropiccia gli occhi e guarda sconsolato il gatto che ha disegnato sul foglio piatto e immobile. Un attimo dopo il gattopiatto gli strizza l’occhio e lo invita a seguirlo in nuove avventure…

Luciano Mereghetti, Gattopiatto , Fabbrica dei Segni sconsolato : triste.

Pippi Calzelunghe

Tommy e Annika si stavano annoiando, quando all’improvviso videro uscire dal cancello della casa vicina la più curiosa bambina che avessero mai visto: era vestita in modo bizzarro e i suoi capelli color carota erano stretti in due treccioline, ritte in fuori; il naso pareva una patatina ed era tutto spruzzato di lentiggini. Sotto il naso si apriva una bocca decisamente grande, con due file di denti bianchissimi e forti. Il suo vestito era originalissimo: Pippi se l’era cucito da sola. Veramente la sua idea sarebbe stata di farlo blu, ma poi, non bastandole la stoffa, ci aveva applicato qua e là delle toppe rosse. Un paio di calze lunghe, una marrone e l’altra nera, le coprivano le gambe magre. Le sue scarpe nere erano lunghe esattamente il doppio dei piedi: gliele aveva comprate il suo papà nel Sudamerica, grandi così perché i piedi di Pippi potessero crescervi a loro agio e lei non ne aveva mai volute altre. La cosa strana era che quella bambina camminava all’indietro.

«Perché cammini a quel modo?» le chiese Tommy.

«Tutti in Egitto camminano così» rispose la bambina.

«Questa è una bugia bella e buona» osservò Tommy.

«Hai ragione… Saremo amici lo stesso, vero?». «Naturale» esclamò Tommy.

E all’improvviso si rese conto che quella non sarebbe stata davvero una giornata noiosa.

Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe , Salani

Hai anche tu un’amica/o con cui non ti annoi mai?

Un soffione

Un soffione non è un uomo alto e grasso che gonfiando le gote soffia molto forte, ma un fiore leggero e tondo come una palla che al minimo soffio sparisce.

Antonio Porta, Giovanni Raboni Pin Pidìn. Poeti d'oggi per i bambini , Feltrinelli

gote : guance.

Segna con una X la risposta corretta.

1. Il tacchino è:

A. un piccolo tacco.

B. un animale.

2. Il torrone è:

A. un dolce.

B. una grande torre.

3. Il pulcino è:

A. una piccola pulce.

B. il piccolo della gallina.

4. Il merletto è:

A. un piccolo merlo.

B. un pizzo.

5. Il burrone è:

A. un precipizio.

B. un grosso burro.

6. Il postino è:

A. chi porta la posta.

B. un piccolo posto.

Pinocchio e la medicina

Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accostò a Pinocchio, e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accorse che era travagliato da un febbrone da non si dire.

Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchier d’acqua, e porgendolo al burattino, gli disse amorosamente:

«Bevila, e in pochi giorni sarai guarito».

Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po’ la bocca, e poi domandò con voce di piagnisteo:

«È dolce o amara?».

«È amara, ma ti farà bene».

«Se è amara non la voglio».

«Da’ retta a me: bevila».

«A me l’amaro non mi piace».

«Bevila: e quando l’avrai bevuta, ti darò una pallina di zucchero, per rifarti la bocca».

«Dov’è la pallina di zucchero?».

«Eccola qui» disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d’oro.

«Prima voglio la pallina di zucchero, e poi beverò quell’acquaccia amara…».

«Me lo prometti?».

«Sì…».

La fata gli diede la pallina, e Pinocchio, dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un attimo, disse leccandosi i labbri:

«Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina! Mi purgherei tutti i giorni».

«Ora mantieni la promessa e bevi queste poche gocciole d’acqua, che ti renderanno la salute».

Pinocchio prese di mala voglia il bicchiere in mano e vi ficcò dentro la punta del naso, poi se l’accostò alla bocca, poi tornò a ficcarci la punta del naso, finalmente disse:

«È troppo amara! Troppo amara! Io non la posso bere».

«Come fai a dirlo, se non l’hai nemmeno assaggiata?».

«Me lo figuro! L’ho sentita all’odore. Voglio prima un’altra pallina di zucchero… e poi la berrò!».

Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po’ di zucchero; e dopo gli presentò daccapo il bicchiere.

«Così non lo posso bere!» disse il burattino, facendo mille smorfie. «Perché?».

«Perché mi dà noia quel guanciale che ho laggiù sui piedi».

La Fata gli levò il guanciale.

«È inutile! Nemmeno così la posso bere…».

«Che cos’altro ti dà noia?».

«Mi dà noia l’uscio di camera, che è mezzo aperto».

La Fata andò, e chiuse l’uscio di camera.

«Insomma» gridò Pinocchio dando in uno scoppio di pianto «quest’acquaccia amara, non la voglio bere, no, no, no!…».

«Ragazzo mio, te ne pentirai…».

«Non me n’importa…».

«La tua malattia è grave».

«Non me n’importa…».

«La febbre ti porterà in poche ore all’altro mondo…».

«Non me n’importa…».

«Non hai paura della morte?».

«Punto paura! Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva».

A questo punto, la porta della camera si spalancò, ed entrarono dentro quattro conigli neri come l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.

«Che cosa volete da me?» gridò Pinocchio, rizzandosi tutto impaurito a sedere sul letto.

«Siamo venuti a prenderti» rispose il coniglio più grosso.

«A prendermi? Ma io non sono ancora morto!».

«Ancora no: ma ti restano pochi momenti di vita, avendo tu rifiutato di bere la medicina, che ti avrebbe guarito dalla febbre!».

«O Fata mia, o Fata mia» cominciò allora a strillare il burattino

«datemi subito quel bicchiere… Spicciatevi, per carità, perché non voglio morire, no… non voglio morire».

E preso il bicchiere con tutt’e due le mani, lo votò in un fiato.

«Pazienza!» dissero i conigli. «Per questa volta abbiamo fatto il viaggio a ufo». E tiratisi di nuovo la piccola bara sulle spalle, uscirono di camera bofonchiando e mormorando fra i denti.

Fatto sta che di lì a pochi minuti, Pinocchio saltò giù dal letto, bell’e guarito; perché bisogna sapere che i burattini di legno hanno il privilegio di ammalarsi di rado e di guarire prestissimo.

E la Fata, vedendolo correre e ruzzare per la camera, vispo e allegro come un gallettino di primo canto, gli disse:

«Dunque la mia medicina t’ha fatto bene davvero?».

«Altro che bene! Mi ha rimesso al mondo!».

«E allora come mai ti sei fatto tanto pregare a beverla?».

«È che noi ragazzi siamo tutti così! Abbiamo più paura delle medicine che del male».

«Vergogna! I ragazzi dovrebbero sapere che un buon medicamento preso a tempo può salvarli da una grave malattia e forse anche dalla morte…». «Oh! Ma un’altra volta non mi farò tanto pregare!

Mi rammenterò di quei conigli neri, con la bara sulle spalle… e allora piglierò subito il bicchiere in mano e giù!…».

Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio , Fabbri Editori guanciale : cuscino. a ufo : a scrocco, senza pagare.

Tu e i tuoi compagni leggete l’episodio tratto da Pinocchio assegnando a tre bambini le parti di: narratore, fata e Pinocchio.

Bianco e nero

C'erano fattorie e case, alberi e animali. All'improvviso la pecora Fortunata si fermò: davanti a lei bivaccava un'enorme mucca. Fortunata ne aveva già viste, ma la novità era che quella mucca somigliava a lei: bianca a macchie nere!

- È una mucca - spiegò la rana.

- A macchie! - commentò Fortunata.

La mucca sentendosi al centro dell'attenzione e al centro della strada, si alzò e muggì:

- Muovetevi voi due. Cosa c'è? Qualcosa che non va in me?

- No, signora, anzi vedo che lei è una vacca… mi scusi una mucca… bianca e nera. Non ne avevo mai vedute prima. Forse si sente sola o triste così tutta macchiata?

- Al contrario sono fortunata- rispose la mucca.

- Abbiamo lo stesso nome!?- Si stupì la pecora.

- Come?

- Anch'io mi chiamo come lei.

- Ah, anche tu Camilla?

- No, Fortunata.

- Certo, anch'io sono fortunata di conoscerti. Ma come ti chiami?

A questo punto intervenne la rana a sciogliere l'equivoco:

- Signora mucca Camilla le presento la pecora Fortunata di nome e di fatto perché era una pecora perduta e si è ritrovata, era arrabbiata e si è tranquillizzata e ha imparato perfino a nuotare.

- Mi fa piacere, io sono tranquilla di natura, mangio ogni giorno due o tre chili di camomilla e sono un bel pezzo di ragazza, una mucca di razza: frisona pura. Guardate che lombi e che collo! Lo vedi il mantello bianco e nero, più o meno come il tuo: detto fra noi siamo le migliori.

- Le mucche bianche e nere sono le migliori? - commentò la pecora

- E io che credevo il contrario!

- Il mondo è bello perché vario - rispose la rana.

- Mi ha rubato le parole di bocca - disse una voce dall'alto - gli animali non sono tutti uguali alcuni sono speciali.

- Chi ha parlato? - chiese la rana.

La voce continuava: - Il bianco è troppo visibile, il nero è troppo poco, il meglio sta nel mezzo.

La rana disse: - Hai sentito quello che ha detto?

- Ora non vedo più così nero, tutto è più chiaro!

- E scuro! - rispose ridendo la rana - già non importa il colore del mantello, ma quello che c'è sotto che può essere brutto o bello!

Intanto in alto volava ritornando al nido uno stormo di rondini dalla pancia bianca e dal dorso nero in mezzo al cielo.

Gianni Rodari, Favole al telefono , Mondadori

Come non farsi mangiare dall’Orco

Gli orchi si riconoscono dai grandi denti e dal modo in cui si leccano i baffi dicendo: “Gnam gnam, sento odore di carne fresca!”. Il problema con gli orchi è che tendono a confondere gli esseri umani, e i bambini in particolare, con cose da mangiare. E non è molto piacevole… essere scambiato per una bistecca!

Quindi, se un gigantesco omaccione con la bocca gremita di denti (e con gli stivali delle sette leghe ai piedi) affila il suo coltellone guardandoti in modo strano, non esitare: scappa!

Se l’orco ti riacchiappa, hai diverse possibilità per sopravvivere. 1. Fagli notare che non sei tanto più grosso/a di una cavalletta. Lui ti chiuderà in un armadio per farti ingrassare. In questo caso: fai lo sciopero della fame per diventare ancora più magro/a.

2. Digli che hai il raffreddore da fieno e che sei contagioso/a. Preso dalla paura forse lui ti lascerà andare…

3. Spiegagli che essere vegetariano/a fa benissimo alla pelle. Tutti sanno che le carote fanno venire una bella pelle rosata, che i ravanelli sbiancano i denti e che il limone fa brillare gli occhi.

Questi argomenti possono avere un certo effetto… almeno sugli orchi vanitosi!

Se, nonostante tutto, lo vedi preparare pentole e rosmarino, e accendere i fornelli, ti rimane solo una cosa da fare: sperare che la tua carne sia immangiabile!

Gudule, Verdi di paura, morti dal ridere , Mondadori

METTIAMOCI ALL’OPERA

LIBRO POP UP

Insieme ai tuoi compagni puoi illustrare una storiella, un racconto o una fiaba attraverso la realizzazione di un libro pop up.

Fatevi aiutare da un adulto per la struttura del libro.

Stabilite prima che cosa disegnare e di quali dimensioni facendo molta attenzione a ciò che sta davanti e a ciò che sta dietro.

Potrete disegnare ambienti, personaggi oggetti magici e animali fantastici su cartoncino.

Ritagliate con cura gli elementi e incollateli con colla vinilica facendo in modo che i disegni non si sgualciscano alla chiusura della pagina e si possano ben vedere all’apertura.

Potrete decidere se realizzare una sola pagina oppure illustrare in più pagine le diverse sequenze della vostra storia.

Maria, Anna, Dalia, Anna Carolina, Agata, Lucia

G L I A M B IENTI INCONTR A R E

Un invito a scoprire la bellezza nascosta in ogni particolare della natura intorno a noi.

La musica descrive il fiume nel suo percorso e racconta la vita che si anima nelle terre bagnate dalle sue acque.

Paolo Amelio
ASCOLTO MOLDAVA
Bedřich Smetana

Rio Bo

Tre casettine

dai tetti aguzzi, un verde praticello, un esiguo ruscello: Rio Bo, un vigile cipresso.

Microscopico paese, è vero, paese da nulla, ma però… c’è sempre di sopra una stella, una grande magnifica stella, che a un dipresso… occhieggia con la punta del cipresso di Rio Bo. Una stella innamorata?

Chissà se nemmeno ce l’ha una grande città.

ESIA

Le Alpi

Le Alpi se ne stanno silenziose sono regine le nubi ne sono le corone. Sono di terra e di cielo di verde e di gelo, in loro si muovono i ghiacciai risuonano valanghe clamorose e tacciono fossili che non vedremo mai. Sono regine piene di segreti boschi, torrenti, sterpeti. E tra le rocce o i rami si intravede un lampo di occhi mobili, vivi d’uomo o misteriosi animali che abitano macchie, crepe e rivi. Le Alpi non dicono niente solo a chi non sa ascoltare. Ma se taci di fronte a loro sedendo senti il grande respiro arrivare che racconta il mistero del mondo.

Rondoni

Parole di mare

Sai che il mare ha una sua voce?

Per sentire cosa dice prova a metterti una volta con i piedi in acqua, e ascolta. Ma non farlo in pieno giorno quando troppa gente è intorno e si sentono gli strilli e si sentono gli sbuffi non si riesce a star tranquilli tra castelli, corse e tuffi.

Sai che il mare ha una sua voce?

Per sentire cosa dice scegli un tempo silenzioso quando il sole è più prezioso. Scegli l’alba di mattina o la sera maggiolina: è lì il mare che sussurra come canto di sirene la sua voce verde e azzurra la sua voce che va e viene e se parli ti risponde l’infinito delle onde.

La voce del mare

La voce del mare nella conchiglia ascolta il bambino e si meraviglia.

“Pronto? Ti aspetto” il mare dice “Ho navi e isole per farti felice”. Vorrebbe rispondere il bimbo al mare: “Prepara i pesci, verrò a pescare…!”.

Ma non è certo di parlar bene la lingua dei pesci e delle sirene.

Pensiero di mare

Mare di sale di onda e di vela mare di sole di aria e di cielo mare di scoglio di sabbia e conchiglia mare di riccio di pesce e balena mare di soffio di urlo e di suono mare di sogno di viaggio e avventura mare disteso nel mio pensiero perché ogni volta che io ti penso non mi diventi mare davvero?

Pietro Formentini

Giocare con l’acqua

Un gioco che mi sembra meraviglioso è guardare le bollicine che salgono nell’acqua minerale.

Prima vengono su tutte insieme, fanno una gran confusione e non mi piace.

Ma poi, quando il gas è uscito quasi tutto, le bollicine cominciano a venir fuori piano piano: si ingrossano sulla parete del bicchiere e poi si staccano d’un tratto e salgono su.

Le bollicine grosse vengono a galla in un attimo, ma certe volte ce ne sono di piccolissime che vengono a galla piano piano, ma anche loro sono perfettamente tonde; non credo che sulla terra ci sia niente di più tondo e di più liscio di una bollicina in un bicchiere di acqua minerale.

Un’altra cosa bellissima che si può fare sono le onde.

Io credo che per giocare con l’acqua sia necessario essere delle persone pazienti.

Qualche volta d’estate vado sopra un ponte che passa sopra un laghetto di acqua ferma. E dal ponte butto dei sassolini piccoli che fanno un’onda tonda, tutta regolare che si allarga finché arriva ai pilastri e poi sui pilastri si riflette e torna indietro.

Si possono anche buttare due sassolini insieme ad una certa distanza e vedere le due onde che si intrecciano, e un’onda che ne attraversa un’altra come se neppure ci fosse, e tutti i disegni che fanno come grandi ragnatele sulla superficie dell’acqua.

Marcello Ceccarelli, Una betulla per la Pio. Appunti per insegnare la fisica (o per tentare di dimenticarla) , Zanichelli

1. Con l’aiuto dell’insegnante e dei compagni cerca di spiegare il significato di questi modi di dire.

• A fior d’acqua.

• Avere l’acqua alla gola.

• Fare un buco nell’acqua.

• Essere come un pesce fuor d’acqua.

• Navigare in cattive acque.

• Acqua in bocca!

2. Usa alcuni di questi modi di dire in frasi da te formulate.

Un incontro straordinario

È domenica ed è l’ultimo giorno dai nonni in Sicilia.

Elisa, Paolo e Sara galleggiano in canoa a qualche metro dalla riva e remano, un colpo a destra, un colpo a sinistra, con l’intenzione di percorrere in orizzontale l’arco della caletta.

Poi, all’improvviso, un’onda più lunga delle altre li solleva e li fa scivolare dolcemente verso il mare.

– Attenzione! – avverte Elisa. – Ci siamo allontanati.

– Remiamo a destra, presto… – suggerisce Paolo.

Si alza anche il vento, che respinge le onde e porta la canoa al largo.

– È inutile remare verso la spiaggia! – urla Paolo.

– Le onde sono sempre più alte.

– Noooo! – grida Sara.

– Stai tranquilla, abbiamo i giubbotti – dice Elisa, per rassicurare sé stessa e la sorella.

D’improvviso, il mare si calma.

È in quel momento che la canoa ha un sobbalzo, come se qualcuno la sollevasse.

Elisa, Paolo e Sara guardano nell’acqua, con il cuore che batte veloce, e vedono forme agili che scivolano via.

Poi due musi appuntiti emergono, davanti ai loro occhi terrorizzati: le figure allungate si ergono per un istante fuori dall’acqua.

– I delfini! – urla Paolo.

– Delfini, per favore, aiutateci a tornare a casa – dice Sara. Non sappiamo che cosa possano capire i delfini, ma forse è vero che capiscono. I due delfini, infatti, sospingono la canoa e la dirigono verso riva. Elisa, Sara e Paolo gridano di gioia e i delfini li ricambiano con sorrisi e balzi altissimi fuori dall’acqua.

Roberta Grazzani, Nonno Tano , Piemme

Elisa, Paolo e Sara vivono un’avventura durante le loro vacanze estive.

Racconta anche tu un’avventura che hai vissuto, utilizzando il discorso diretto come fa l’autrice nel brano che hai appena letto.

L’autunno al mare

Venne l’autunno: si era levato il primo vento gagliardo. Stracci di nubi bigie e sottili svolavano in fretta per il cielo.

Il mare torbido e sconvolto era coperto di schiuma in lungo e in largo.

Grandi onde si avvicinavano con calma inesorabile e paurosa, s’inchinavano maestosamente formando una curva verde cupo, metallica, e si rovesciavano con fragore sulla sabbia.

La stagione era finita. Quella parte della spiaggia che di solito era popolata dalla folla di bagnanti, mentre ora una parte delle cabine era stata già demolita, sembrava coi pochi seggiolini di vimini rimasti, quasi morta e deserta.

Ogni tanto un gabbiano guizzava sopra il mare e mandava il suo strido.

Thomas Mann

Dopo aver letto L’autunno al mare , rispondi alle domande.

1. Come sono descritte le nubi?

2. Come si avvicinavano alla spiaggia le onde?

3. Qual è l'unico essere vivente citato nel testo?

4. Quali rumori rompono il silenzio?

5 . A che cosa fa pensare la spiaggia deserta?

6. Che cosa significa che la stagione era finita?

Alba in montagna

La città, la confusione, lo studio… non ne potevo assolutamente più.

Fu così che un giorno preparai il sacco da montagna, vi ficcai dentro della roba di lana e via: in montagna! Arrivai a Bormio che imbruniva.

Sceso dalla corriera, invece che cercare un albergo per passarvi la notte, misi il sacco in spalla (non pesava molto, per fortuna) e m’incamminai per la strada che conduceva a Santa Caterina Valfurva.

Avevo voglia di camminare e respirare aria pura, così da ossigenarmi…

La notte era fonda, stellata, fredda, senza luna; la via lunga, ma avevo molte ore davanti a me…

Dopo Santa Caterina, lasciata a destra la strada che conduceva al Passo Gavia, con ripide serpentine, presi a sinistra per l’ancora lontano rifugio Pizzini (2.700 m); ma se la testa era libera, sentivo le gambe farsi più pesanti e più lente; così che, veduto un casolare abbandonato fra gli abeti, decisi di riposare un poco. Entrai. Era un fienile e… mi addormentai. Il sogno fu subito su di me, intorno a me, mi abbracciò con le sue soffici ali.

Mi pareva d’essere sul Gran Zebrù (3.860 m), la bellissima e grande montagna che incombeva sulla valle. Poi precipitavo, improvvisamente, dalla vertiginosa parete nord, di ghiaccio e la mia caduta era fermata da una gigantesca marmotta, che mi stringeva dolcemente fra le braccia, nel suo soffice mantello. Voi, le marmotte, le conoscete?

Mi svegliai di colpo; il Gran Zebrù era lì davanti a me, tutto scuro nei primi albori dell’alba… ed un rombo d’acqua lì accanto, gaio, garrulo, scendeva a precipizio fra centinaia di cascate e cascatelle: che meraviglia quello spettacolo! Sembrava un frastagliato nastro d’argento che tagliava la montagna.

Ezio Franceschini, La valle più bella del mondo. Racconti dal vero , Vita e Pensiero

1. A cosa si riferiscono i numeri e le unità di misura tra parentesi?

2. Nel testo viene citato il Passo Gavia: spiega con le tue parole cosa indica un “passo” in geografia.

3. Quali altri elementi del paesaggio della montagna vengono nominati nel brano?

Ho visto un’aquila

Quella mattina siamo salite fino a Cogne, a 1534 metri di altit udine.

Cogne è davvero un bel paese.

Stefi ha voluto fare una passeggiata: circa tre chilometri in un percorso pianeggiante tutto nel bosco.

Di lì ho potuto vedere le cascate che d’inverno ghiacciano.

«Pensi che vedremo gli stambecchi nel Parco?» ho chiesto a Stefi.

«Forse. Questi animali sono abbastanza coraggiosi e se vedono un uomo non scappano subito».

«E le marmotte? È vero che le loro tane sono come un labirinto sotterraneo?». «È vero. I rifugi dove le marmotte stanno in letargo sono un intreccio di cunicoli, che le proteggono dal freddo durante l’inverno».

Ma siamo state sfortunate: non abbiamo visto né stambecchi, né camosci, né marmotte! A un certo punto, però, mi è sembrato di vedere volteggiare in cielo un’aquila reale. Così ho attirato l’attenzione di Stefi.

«Era lei?» le ho chiesto dopo che è scomparsa.

«Penso proprio di sì».

L’aquila per me rappresenta la libertà.

E io amo la libertà. Nella mia vita voglio coltivare tanti sogni, incontrare tanta gente e conoscere mille e mille cose.

Angelo Petrosino, Il viaggio in Italia di Valentina , Piemme

Nel brano oltre l’aquila vengono nominati altri animali. Scegline uno, descrivilo brevemente utilizzando almeno cinque aggettivi e disegnalo.

Giardino mediterraneo

Da anni avevo una casa mia, in alto, ad Anacapri, una piccola casa umida, alla fine di un lungo e stretto giardino di frutta che pur mi apparteneva. Limoni, prugne, uva, pesche, noci, fichi. Un bellissimo albero di albicocche ombreggiava la facciata della casa. Si potevano prendere i frutti allungando una mano da una finestra.

Dal giardino si vedeva il mare. L'aria era così leggera e quando pioveva la terra bagnata sprigionava un odore indimenticabile e raro per chi, come me, vive in città e non saprebbe vivere altrove.

Tutto intorno non vi erano prati all'inglese verdi e compatti come tappeti, o aiuole fiorite, curate o signorili, ma orti e vigne, boschi, limoni, nespoli e persino un melograno che dalla proprietà confinante protendeva un ramo verso il mio giardino.

Ugo Pirro, Mio figlio non sa leggere , Rizzoli

Fai un disegno che illustri il giardino descritto, tenendo conto di tutte le informazioni contenute nel testo.

La strada antica

La prima volta che Camilla mise i piedi sulla strada antica, lo fece per caso. Infatti la via passava dentro al suo giardino, ma era ricoperta dalla terra e nascosta dalle erbacce, dai cespugli, dagli alberi, dalle pietre e dai secoli. E dunque lei ci aveva già camminato sopra tante volte, ma senza saperlo.

Dove adesso c’era il suo giardino, la strada antica correva lungo uno stagno pieno di canne e di uccelli dai molti colori. Vicino allo stagno c’era stata la casa di un mugnaio, che in seguito era diventata un’osteria, poi un granaio dei monaci e un covo dei briganti. Dopo che le città collegate dalla strada erano state distrutte, la via aveva perduto ogni importanza e si era ridotta ad un sentiero per il bestiame. Infine il lago salmastro aveva ricoperto tutto.

Molti secoli dopo, la palude era stata bonificata dal nonno di Camilla, il conte Piero, che aveva costruito la sua villa all’incirca nel punto in cui un tempo sorgeva la casa del mugnaio. La villa era a due piani e aveva un porticato ad archi. Ci si arrivava per un viale di pini marittimi che la collegava alla litoranea. Accanto c’erano le stalle, i locali di servizio per la fattoria e una casetta disabitata che apriva le porte sui campi di grano. Dietro la villa si trovava un giardino circondato da un muretto. Poco più lontano, le zone incolte erano una grande macchia gialla dalla quale emergevano di tanto in tanto un pino o un eucalipto. Là rimaneva ancora qualche traccia della palude: le canne, gli uccelli, le zanzare, dei piccoli stagni…

Tommaso di Carpegna Falconieri, La strada antica , Mondadori

Terra

Per un piatto di cavolini di Bruxelles comprammo un pezzo di terra.

Un pezzo di terra di un metro per un metro per un piatto di cavolini sembrava un buon acquisto. Ma i miei fratelli non ne andavano pazzi.

Non erano interessati alla terra, e nemmeno ai cavoli.

Io sì, ma quello non contava.

Era una cosa nuova come un’altra, per quello avevano fatto lo scambio.

Non si poteva mai sapere cosa ne sarebbe venuto.

«Scegliete» disse nostro padre. «Quale pezzo volete in cambio dei cavoli?

Terra con erba, terra con fiori o terra con terra e basta?».

I miei fratelli si guardarono e fecero schioccare le labbra.

Scelsero il pezzo di terra con i fiori.

Ero a bocca aperta. Perché non il pezzo con l’erba? Lì almeno ci si poteva tenere un coniglio. O perché invece non il pezzo con terra e basta? Lì poteva crescere di tutto: una parte con l’erba per il coniglio, e una parte con i fiori per bellezza, come si preferiva.

E forse era così, certo, ma i miei fratelli avevano fiuto per gli affari. Disegnarono un quadrato nell’aiuola dei fiori e dissero:

«Questo pezzo».

«Questo?» chiese nostro padre. «D’accordo. Allora questo sarà. È alto e profondo, ed è tutto vostro».

«Sì!» dissero i miei fratelli, e «Sì!» dissi io, ed entrammo in casa perché dovevamo ancora mangiare.

Uno dei miei fratelli disse che avevamo bisogno di un paio di forbici, che dovevamo raccogliere.

«Raccogliere cosa?» chiesi io.

«Giusto, raccogliere» ripeterono i miei fratelli.

«Raccogliere i frutti della terra». E scossero la testa, e fecero roteare gli occhi. Come era possibile, chiedevano, che avessi una fronte così alta eppure così poco cervello?

Raccolsero le margherite. Ne fecero dei mazzetti da dieci e le avvolsero in un vecchio giornale, e poi andarono a venderle porta a porta.

Dicevano che erano per i bambini poveri e non era una bugia: noi di nostro non avevamo un soldo.

L’ultimo mazzetto i miei fratelli lo vendettero a Focke. Era una buona idea: saremmo comunque dovuti andare da lui, alla fine, e così almeno ci risparmiavamo il doppio viaggio.

La moglie di Focke andò a prendere una scatola di semi tra la frutta e la verdura, e lasciò che i miei fratelli ci frugassero dentro.

Dalla scatola scelsero un grosso pacco con sopra la foto di un mazzo di crescione, e un sacchetto piccolo con una foto di un cestino di prezzemolo.

«Semi buoni per piante sane» disse Focke.

«Vogliamo sperarlo!» dissero i miei fratelli.

Andammo a casa, entrammo dalla porta davanti, e uscimmo da quella sul retro, raggiungendo il nostro pezzo di terra.

«Seminiamo» dissero i miei fratelli.

Disegnarono una linea immaginaria che correva fino al cielo.

Poi puntarono le mani in basso, come se soltanto con la forza del pensiero potessero mostrare quanto in profondità arrivava il pezzetto di terra che avevamo barattato.

Sotto di noi era tutto nostro, fino al fuoco al centro della terra.

Sopra la nostra testa era tutto nostro, all’infinito e ancora un chilometro in più.

Io dissi che non avevo mai pensato che quando uno comprava un pezzo di terra comprava anche un pezzo di cielo.

«Sì, sì!» dissero i miei fratelli. «Ma tanto i semi cadono in un posto solo, in mezzo tra i due. Qui».

E indicarono il nostro pezzo di terra di un metro per un metro. Seminarono il crescione e il prezzemolo come se fosse zucchero di canna, e vuotarono tutto l’annaffiatoio.

Si misero tutt’attorno alla nostra terra a braccia conserte, e rimasero a guardare l’acqua che piano piano veniva assorbita.

Qua e là la terra borbottava. Era bello da vedere.

lo indicai l’odore che veniva dalla terra e ti penetrava nel naso.

Era l’odore di verde, di legno e di letame, ma i miei fratelli mi fraintesero.

Pensavano che indicassi un lombrico che stava per affogare.

«Movimento» disse uno dei miei fratelli.

«Spettacolo» disse un altro mio fratello.

Scoppiarono tutti a ridere, soprattutto perché uno dei miei fratelli non aveva mai visto un lombrico volante.

«Oplà!» esclamarono.

Poi andarono a giocare a calcio, e dopo a pescare, dopo fecero esplodere una rana, e dopo ancora fecero altre cose che finirono tutte quante in fretta.

Da lontano mi gridarono se si vedeva già qualcosa.

«Non ancora» dissi io, senza svelare che sentivo il crescione germogliare. Accarezzavo la terra con il nostro rastrello, e ogni tanto mi mettevo sulla nostra terra su un piede solo, e con il resto del corpo nel nostro cielo.

Bart Moeyaert, Fratelli , Rizzoli

METTIAMOCI ALL’OPERA LINEE IN COLLINA

A partire dalla foto di un paesaggio collinare, individua le linee principali e tracciale con la matita grafite su un foglio da disegno, poi suddividi il territorio delle colline in campi. Ripassa i contorni con un pennarello nero. Con i pennarelli colorati riempi le diverse porzioni di territorio attraverso delle texture di linee da te inventate, alternandole in modo che si evidenzi la differenza tra un campo e l’altro. Colora il cielo con le matite colorate.

Camille Pissarro, Jalais Hill, Pontoise
Letizia

INCONTR A R E L A STORIA

Il lingua ebraica, questo canto è un salmo del re Davide.

ASCOLTO NABUCCO, VA' PENSIERO

Il compositore milanese Giuseppe Verdi immagina il coro degli ebrei deportati a Babilonia sotto il re Nabucodonosor.

Il testo è ispirato al Salmo 137, preghiera sacra del popolo ebraico, ed esprime l’affetto per la terra natìa.

Elie Botbol

Inno al Sole

Tu sorgi bello all’orizzonte del cielo o Aton vivo, da cui nacque ogni vita. Quando ti levi all’orizzonte orientale tutte le terre riempi della tua bellezza. Tu sei bello, grande, splendente, eccelso in ogni paese; i tuoi raggi abbracciano le terre tenendole strette per il tuo amato figlio. Amenofi IV, Inno ad Aton, antico Egitto

Il Canto al dio Aton (il sole) fu composto dal Faraone Amenofi IV, che regnò fino al 1350 a.C.; esprime il bene del dio nei confronti dell’uomo.

Enūma eliš

Quando in alto

Quando (enu) in alto (eliš) il Cielo non aveva ancora un nome, E la Terra, in basso, non era ancora stata chiamata con il suo nome, Nulla esisteva eccetto Apsû , l'antico, il loro creatore, E la creatrice Tiāmat, la madre di loro tutti, Le loro acque si mescolarono insieme

E i prati non erano ancora formati, né i canneti esistevano; Quando nessuno degli Dei era ancora manifesto. Nessuno aveva un nome e i loro destini erano incerti. Allora, in mezzo a loro presero forma gli Dei.

L'Enūma eliš veniva recitato o cantato all’inizio del nuovo anno a Babilonia, nella festa della “Forza che fa rivivere il mondo”, nel tempo del regno di Nabucodonosor 1200 a.C.

Che cos’è mai l’uomo?

Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?

Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare.

O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Salmo 8

Davide, re d’Israele, compose questo salmo, che nella lode a Dio, esprime la grandezza dell’uomo, 1000 anni a.C’

C’era una volta

Tutte le storie incominciano con «C’era una volta». E la nostra storia vuole raccontare proprio questo: che cosa c’era una volta. C’era una volta un’epoca preistorica in cui non c’erano ancora gli esseri umani. In cui le montagne non erano fatte come le vediamo oggi. Ma prima ancora che nascessero queste montagne, c’erano già degli animali.

Erano molto diversi da quelli di oggi. Erano giganteschi, grossi quasi come draghi. Come facciamo a saperlo? Sotto terra ogni tanto si trovano le loro ossa. Eppure, anche quello non è stato l’inizio. Si può andare ancora più indietro di parecchi miliardi di anni. Facile a dirsi, ma fermati un momento a riflettere. Sai quanto dura un secondo? Appena il tempo di contare in fretta 1, 2, 3. E sai quanto durano un miliardo di secondi? 32 anni! Adesso potrai immaginarti quanto dura un miliardo di anni! A quel tempo non c’erano ancora grossi animali: solo lumache e molluschi. E se andiamo ancora più indietro, non c’erano neanche le piante.

La Terra era deserta. Non c’era nulla: non un albero, non un cespuglio, niente erba, niente fiori, neanche un po’ di verde. Solo deserto, rocce e mare senza pesci, senza molluschi, persino senza alghe.

Una volta la Terra probabilmente non era che una nuvola di gas addensata come quelle molto più grandi che possiamo vedere oggi con i nostri telescopi.

Ha girato per milioni di anni attorno al Sole, senza rocce, senz’acqua, senza vita. E prima ancora?

Prima ancora non c’era neanche il Sole, il nostro caro Sole. «C’era una volta»: quando mi sporgo a questo modo sul pozzo del passato, vengono le vertigini anche a me. Andiamo: meglio tornare al Sole, alla Terra, allo splendido mare, alle piante, ai molluschi, alle lucertole giganti, alle nostre montagne e finalmente agli esseri umani. Non ti sembra un po’ come quando si torna a casa?

E per fare in modo che i «C’era una volta» non ci trascinino sempre più in basso nel buco senza fondo, sarà meglio che d’ora in poi noi ci chiediamo sempre: «Alt! Quando è successo?».

Se poi ci chiediamo anche: «Ma come sono andate di preciso le cose?», ecco che vorremo conoscere la storia. Non una storia, ma la storia, la nostra storia, la storia del mondo. Vogliamo iniziare?

Ernst H. Gombrich, Breve storia del mondo , Salani

addensata : densa, fitta. vertigini : capogiro.

L’uomo e la mano

La posizione eretta e l’uso della mano rivelano una condizione più elevata dell’uomo rispetto agli altri animali.

Contigui al collo e alla testa negli animali sono le membra anteriori e il tronco.

L’uomo, dunque, in luogo delle zampe e dei piedi anteriori ha le braccia e quelle che vengono chiamate mani.

Tra gli animali infatti è l’unico eretto a causa del fatto che la sua natura e la sua essenza sono divine: e pensare e avere senno sono opera di ciò che è più divino.

Ma ciò non è facile se la gran parte del corpo si trova nella zona superiore, giacché il peso rende l’intendimento e la sensazione comune difficili a muoversi.

Pertanto, se il peso e la parte corporea diventano maggiori, è necessario che i corpi si pieghino a terra, sicché in luogo delle braccia e delle mani, per la saldezza, nei quadrupedi la natura ha disposto i piedi anteriori.

Poiché l’uomo è eretto per natura, non ha nessun bisogno delle zampe anteriori, ma in luogo di queste la natura gli ha fornito braccia e mani. Chi, infatti, è più dotato di senno, fa uso convenientemente di moltissime cose, e si ammette comunemente che la mano non sia un solo strumento, bensì molti, giacché è come uno strumento preposto agli strumenti. Dunque, a chi può acquisire moltissime arti la natura ha assegnato la mano, che tra gli strumenti è di gran lunga la più utile.

Aristotele, Le parti degli animali , Bur

eretta : dritta. contigui : vicini.

saldezza : stabilità. preposto : predisposto, progettato, pensato.

L’incontro con l’orso

La pelle del cervo ribelle era domata a poco a poco dalle forti mani della donna. Seduta presso l’ingresso della grotta, lavorava di raschietto con energia; la piccola lama di selce raschiava la pelle all’interno, togliendo ogni residuo di carne, e al tempo stesso la ammorbidiva.

Si udì uno sciacquìo sul fiume, apparve una tozza imbarcazione, un uomo e un ragazzo la spingevano puntando due pali sul fondo.

La donna sorrise. Ricordava quanto c’era voluto per scavare un bel tronco con il fuoco e ricavare così quella piroga che solcava le acque: bisognava porre continuamente della brace sul tronco, e ravvivarla perché consumasse il legno nei punti giusti e in modo eguale.

La vita dell’uomo era fatta di pazienza: con la pazienza, con il fuoco e con le selci taglienti si ottenevano grandi risultati.

C’erano anche altre cose che aiutavano l’uomo. Per esempio, le ossa degli animali. Nei giorni precedenti, la donna aveva scelto con cura gli ossicini di alcuni uccelli: nei punti in cui si biforcavano, erano ottimi ami per pescare nel fiume.

«Com’è andata la pesca?» domandò speranzosa.

Gli risposero con l’agitare un mucchio di pesci ancora guizzanti. Altre piroghe apparvero spuntando dalla curva del fiume, altre donne sospesero i loro lavori dinanzi alle varie caverne che qua e là punteggiavano la collina.

Le famiglie si riunirono, raccolsero prede e materiali, e a gruppi si diressero verso le grotte che fungevano da abitazione, trasportando a spalla anche le imbarcazioni.

«Non andrete a pesca, domani?» domandò al suo uomo la donna che lavorava le pelli.

«No. Prepareremo una battuta di caccia».

Negli occhi della donna passò un lampo di dispiacere: il placido fiume e i pacifici pesci erano ben diversi dalle terribili belve che popolavano le foreste. Ma il ragazzo era già tutto slanci ed entusiasmo:

«Padre, potrò finalmente venire con te e con gli uomini della tribù?».

«Sei ancora un bambino!» intervenne la madre.

«Se non imparerò a cacciare, quando mai diventerò un uomo?».

«Il ragazzo ha ragione» decise il padre. «È tempo che impari ad affrontare gli animali e i primi rischi. Sì, tu verrai…».

S’interruppe per dire alla donna:

«Non è una spedizione pericolosa, e saremo in molti a tenerlo d’occhio. Stai tranquilla».

I giorni seguenti trascorsero nei preparativi del materiale occorrente per la battuta di caccia. E c’era davvero un bel da fare!

Gruppi di uomini, con colpi precisi, frantumavano blocchi di selce, o battendoli contro altre pietre, o con mazze e punteruoli, in modo da ricavarne molte schegge taglienti. Le schegge più appuntite diventavano punte di giavellotti, quelle più larghe e lunghe erano pugnali, le più grandi e robuste erano lame di asce; tante schegge sottili in fila lungo un bastone formavano una spada.

Ai ragazzi intanto era stato dato il compito di indurire lentamente, al calore del fuoco, la punta di lunghi rami diritti, che diventavano robuste lance. Le donne facevano lacci e reti con liane e con strisce di pelli, e perfezionavano le armi, con il materiale che avevano a disposizione.

Una sistemava un frammento di selce tagliente nella spaccatura fatta sulla cima d’un bastone, e lo legava con strisce di pelle per farne un’ascia, un’altra otteneva la stessa arma incastrando la lama di selce in un grosso osso.

Finalmente la spedizione fu pronta. Gli uomini partirono a gruppi, all’alba; il ragazzo seguiva suo padre. Un giorno di caccia sulle colline. Il ragazzo provò il suo giavellotto contro un cervo, che fuggì veloce nel bosco.

Una notte all’addiaccio.

Un nuovo giorno. Un cervo e alcuni conigli costituivano già il bottino e padre e figlio erano sulla pista d’un daino quando d’improvviso grosse nuvole coprirono il cielo e la pioggia cominciò a scrosciare violenta. I fulmini solcavano l’aria. Atterriti, gli uomini cercarono un rifugio.

«Lassù, ci sono delle grotte!» indicò il babbo al ragazzo. «Seguimi!».

I due corsero affannosamente, flagellati dalla pioggia e dal vento. Avevano abbandonato le prede, le avrebbero ritrovate poi; stringevano solo le armi, che invece non vanno lasciate.

«Siamo al riparo!» gridò l’uomo, balzando sotto la volta d’una grotta, e si volse per sorreggere il figlio, che immaginava a pochi passi.

Ma il ragazzo non si vedeva, i richiami lanciati dal padre si persero nel vento.

Il ragazzo correva a testa bassa, riparandosi con le braccia dalle sferzate dei rami più bassi. Seguiva il padre quasi alla cieca, abbagliato dai lampi e battuto dalla pioggia, e quando si fermò un istante per riprendere il fiato si accorse di essere solo.

«Ecco lì la grotta dove s’è diretto mio padre».

Ma in quella spelonca non c’era nessuno.

Stette al riparo, appoggiandosi alla piccola lancia per placare l’affanno e per riordinare le idee, e cominciò a guardarsi attorno, in fondo all’antro, nel buio, brillavano due punti luminosi.

«Braci accese…» pensò il ragazzo. «Le avrà lasciate qualche cacciatore».

È strano, però, che qualcuno abbia lasciato un fuoco acceso!

Al ragazzo avevano sempre insegnato che il fuoco era sacro, andava onorato e sorvegliato. Ma quelle braci… si muovevano.

Un brivido di terrore lo percorse: erano gli occhi luminosi d’una belva, una luce fredda come la morte. Lo spavento paralizzò il ragazzo per qualche istante, e l’animale venne avanti. Era un orso. Al piccolo cacciatore sembrò enorme.

Gli sbarrava ormai l’uscita dalla caverna e veniva avanti.

Il ragazzo si sentì perduto. Indietreggiò finché sentì la roccia dietro di sé.

La bestia, orrenda, avanzava.

«Aiuto! Aiuto!». Il grido disperato fece sobbalzare l’animale, che si gettò in avanti con le zampe aperte ad artigliare quell’intruso.

Fortuna volle che il ragazzo, alle strette contro la parete, tenesse la lancia puntata in terra e protesa in avanti.

Un grugnito altissimo di dolore echeggiò sotto le volte: il bestione era andato ad infilzarsi sul bastone appuntito.

L’orso si ritirò un poco, con l’arma infitta nel corpaccio, ma si preparò a tornare inferocito all’attacco.

«Aiuto! Aiuto!». Ma chi poteva udire un richiamo nello scatenarsi dell’uragano?

La belva veniva avanti, la preda era ormai indifesa. Eppure, sembra che qualcuno abbia udito: un uomo si batté con l’orso, armato solo d’ascia. Ma ben presto rotolò in terra con l’animale, si coprì di sangue.

È sangue dell’orso, e l’uomo riemerse da sotto la carcassa, trionfante. «Figliuolo!» disse, e allargò le braccia.

«Babbo! Oh, babbo! Hai ucciso l’orso!».

«No, figlio, lo abbiamo ucciso insieme. E le donne dovranno fare festa, stasera, per il nuovo cacciatore. Vedi? Già l’uragano si placa.

Torniamo dalla mamma, che ci aspetta».

Ruggero Y. Quintavalle, Domenico Volpi, Tra cronaca e storia , La Scuola

Dopo aver riletto L’incontro con l’orso , rispondi alle domande.

1. Come si chiamava la tozza imbarcazione?

A. Paioga.

B. Piroga.

C. Zattera.

2. Come pensi sia andata la pesca dell’uomo e del ragazzo?

Da cosa si capisce?

A. Bene, si capisce perché lo gridano a squarciagola.

B. Male, si capisce perché non hanno pesci in mano.

C. Bene, si capisce perché agitano un mucchio di pesci.

3. Perché la donna è dispiaciuta del fatto che l’uomo il giorno seguente non andrà a pesca?

A. Perché preferisce mangiare pesce.

B. Perché cacciare è più pericoloso che pescare.

C. Perché la donna avrebbe voluto andare a pesca insieme all’uomo.

4. Perché il ragazzo desidera andare a caccia?

A. Perché vuole diventare un uomo.

B. Perché gli piacciono gli animali.

C. Perché non è una spedizione pericolosa.

5. Quale compito era stato dato ai ragazzi?

A. Frantumare blocchi di selce.

B. Fare lacci e reti con strisce di pelle.

C. Indurire con il fuoco la punta dei grandi rami.

6. Cosa si intende con “Un cervo e alcuni conigli costituivano già il bottino”?

A. Che gli uomini avevano già catturato questi animali.

B. Che gli uomini dovevano ancora prendere un cervo e dei conigli.

C. Che il cervo e i conigli erano chiusi in una botte.

7. Rileggi questo pezzo del brano:

Stette al riparo, appoggiandosi alla piccola lancia, per placare l’affanno e per riordinare le idee, e cominciò a guardarsi attorno, in fondo all’antro, nel buio, brillavano due punti luminosi . «Braci accese…» pensò il ragazzo. «Le avrà lasciate qualche cacciatore».

È strano, però, che qualcuno abbia lasciato un fuoco acceso!

Al ragazzo avevano sempre insegnato che il fuoco era sacro, andava onorato e sorvegliato. Ma quelle braci… si muovevano. Un brivido di terrore lo percorse: erano gli occhi luminosi d’una belva.”

8. Cosa sono i due punti luminosi?

A. Il fuoco.

B. Due lucciole.

C. Gli occhi di un orso.

Un lungo braccio

Clovis era piccolo: il più piccolo dei ragazzi della tribù della pianura, grandi cacciatori di cervi. I suoi compagni erano tutti più alti e forti di lui, e molti accompagnavano già gli uomini nella caccia.

«Voglio venire anch’io!» ripeteva spesso al padre.

Voglio cacciare i cervi per la tribù!

Ma il padre scuoteva la testa: «Verrai solo quando saprai piantare una lancia in un albero a venti passi. Prima saresti solo un peso inutile».

Clovis aveva provato tante volte a scagliare la lancia, ma le sue braccia non erano così lunghe e robuste come quelle di Nameh, che già era stato due volte a caccia con gli uomini. La lancia di Clovis spesso neppure arrivava all’albero, ma se lo colpiva ricadeva indietro senza forza.

A ogni lancio i suoi amici ridevano e il ragazzino si sentiva umiliato e ferito. «Devi farti allungare un po’ le braccia o non raggiungerai mai quell’albero!»

gli disse un giorno Nameh per scherzare, e Clovis si allontanò rosso di rabbia.

Camminò tutto solo, attorno al villaggio, pieno di vergogna. Poi, ad un tratto, si ritrovò davanti alla fossa che usava la tribù per gettare i resti degli animali che erano stati uccisi e mangiati. C’erano lunghe ossa bianche e, guardandole, Clovis pensò che se avesse potuto ne avrebbe usate un paio per allungare le sue braccia.

Prese due ossa, una per mano, e fece finta che fossero le sue nuove braccia. Immaginò di tirare una lancia con quelle lunghe leve e rise divertito.

Poi però un’idea si fece strada nella sua mente: e se davvero fosse stato possibile lanciare con un braccio tanto lungo?

Che cosa sarebbe successo?

La lancia sarebbe andata più lontano? Con più forza?

Le domande erano tante, ma c’era un solo modo per trovare le risposte: Clovis corse a prendere la sua lancia e un coltello di selce.

Con la lama lavorò attorno alla testa dell’osso finché non riuscì a ricavare una sporgenza sulla quale appoggiare la base della sua lancia: sarebbe stato l’osso a spingere lontano la lancia, non la sua mano.

In questo modo, il suo braccio sarebbe stato molto più lungo di quello di Nameh.

Finalmente, quando tutto fu pronto, allungò il braccio con l’osso e ci sistemò sopra la lancia: ben salda contro la sporgenza, la lunga asta sembrava non vedere l’ora di volare via.

Clovis lanciò e l’arma volò così lontano che il ragazzo quasi ne restò spaventato. Contò trentadue dei suoi passi prima di poter recuperare la lancia che si era conficcata profondamente in terra.

Provò a lanciarla allora contro un albero lontano, e la punta dell’asta entrò così tanto nel legno che Clovis faticò non poco ad estrarla.

Tutto contento, corse a cercare Nameh per sfidarlo.

Il ragazzo accettò la sfida. Si sistemò a venti passi dall’albero scelto come bersaglio e piantò la sua lancia profondamente nel legno.

Sentendosi già vincitore rise e, guardando il suo avversario con una punta di disprezzo, disse:

«Tocca a te, braccino corto!».

Clovis, senza arrabbiarsi, si sistemò a trenta passi dal bersaglio e poi scagliò la lancia usando il suo osso magico. L’arma volò veloce e sicura, e si conficcò nel legno tanto profondamente che non fu possibile estrarla senza romperla.

Nameh era stupito, ma non solo lui: tutta la tribù seppe in poco tempo quello che era successo e tutti vollero vedere il braccio d’osso, il propulsore che Clovis aveva inventato.

Il ragazzo lanciava e spiegava, tutto contento, sicuro che alla prossima caccia al cervo avrebbe partecipato anche lui.

Stefano Bordiglioni, Storie prima della storia , Einaudi Ragazzi

1. Perché Clovis non può andare a caccia e quando potrà andarci?

2. Cosa dice Nameh a Clovis?

3. Cosa inventa Clovis?

4. Perché Clovis decide di sfidare Nameh?

5. Secondo te Clovis parteciperà alla prossima caccia? Perché?

La meraviglia del fuoco

Ark il forte, dopo essersi seduto a gambe incrociate, si era messo subito al lavoro.

Le sue mani si muovevano rapidissime, senza fermarsi un momento, sfregando energicamente il bastoncino dall’alto verso il basso. Ako osservava attentamente. L’accensione del fuoco lo attirava in modo irresistibile e gli metteva sempre addosso una grande allegria.

Il sottile bastoncino aveva la punta appoggiata su un altro pezzo di legno duro.

Per un po’ non successe nulla, ma mentre l’oscurità ormai impediva di distinguere le facce dei cacciatori, dalla punta del legnetto, che ruotava sempre più veloce, cominciò a levarsi un filo di fumo.

«Più veloce, più veloce» gli disse Daar.

«Il legno è un po’ bagnato» osservò Tut.

Subito Ark raddoppiò gli sforzi, incitato dagli altri che gli stavano attorno.

La punta si era piantata un po’ nel legno e si stava arroventando per il continuo sfregamento.

A un tratto Ark diede un ordine e Ako gettò sulla punta una manciata di pagliuzze, mettendosi subito a soffiare. Dopo un po’ apparve una fiammella che rapidamente divorò la paglia.

Ako aggiunse alcuni ramoscelli e ben presto un bel fuoco rischiarava la radura.

I cacciatori si erano radunati senza parlare attorno alle fiamme, i loro gesti erano lenti e solenni: quello spettacolo lo affascinava.

Nessun essere vivente, prima di loro, era stato capace di far nascere o di domare quella cosa misteriosa che allontanava il buio della notte, dava calore e rendeva più tenera e facile da masticare la carne.

Solo di tanto in tanto, erano capaci di fare il fuoco, ma era un fuoco che durava per giorni e giorni.

Agostino Santolin, Ako bambino preistorico , Tredieci

La scoperta della “grotta delle meraviglie”

È domenica 18 dicembre.

Attrezzati di tutto punto, gli speleologi salgono alla base della parete.

L’aria esce sempre, chiaramente avvertibile, e i tre cominciano a rimuovere, cautamente, i sassi che ostruiscono il fondo del budello. Avanzano strisciando in orizzontale per cinque o sei metri, arrivano ad un pozzo verticale, vi si calano per una decina di metri e sbucano in quella che appare come una grande sala. A questo punto Jean Marie disse: «Questo è un colpo grosso!».

«La nostra prima sensazione è stata infatti quella di un grande ritrovamento speleologico. Alla fioca luce delle pile frontali, il pavimento brillava di una miriade di cristalli di calcite, intravedevamo stalattiti e stalagmiti. Tanta era la paura di rovinare qualcosa, che ci siamo tolti gli scarponcini e abbiamo proseguito in fila indiana, con gli occhi a terra e mettendo i piedi ognuno sull’orma dell’altro. C’erano impronte e ossa di orso in quantità, e poi abbiamo visto un cranio di stambecco imprigionato nella calcite, e altri crani d’orso». Con il fiato sospeso, in silenzio, attenti solo a dove mettono i piedi, i tre esploratori oltrepassano cinque metri di parete dipinta senza neppure rendersene conto. Poi notano due segni rossi, di tipica fattura umana, e si dicono: «Ce ne devono essere altri». Voltandosi, il cerchio di luce di una pila frontale illumina, come un riflettore a teatro, il disegno di un piccolo mammut, di 25 centimetri; ed ecco l’esplosione delle immagini, ecco lo stordimento di fronte alla loro straordinaria bellezza. «La luce delle pile estraeva dal buio frammenti di animali, come se fossero vivi; ho visto la parte anteriore di un orso avventarsi verso di me da una grande parete, e i leoni fissarmi con uno sguardo che non dimenticherò mai più», ricorda ancora commosso Chauvet. Avevano cominciato alle tre del pomeriggio, un paio d’ore erano trascorse per aprirsi il passaggio nel budello. Quando escono, svuotati dall’emozione, sono le tre di notte. Ma prima di tornare a casa per qualche ora di sonno bisogna rimettere tutto a posto, sia per impedire eventuali intrusioni, sia per evitare il rischio che l’improvviso mutamento nel flusso della circolazione dell’aria inneschi processi di deterioramento.

«Airone», maggio 1995

budello : cunicolo, tunnel. fioca : debole.

Le donne hanno inventato l’agricoltura

Com’è nata l’agricoltura? Quando l’uomo ha trasformato la propria esistenza cominciando ad avere una vera casa, una terra sua che gli offriva i prodotti del suolo?

Per millenni gli uomini furono cacciatori: si spostavano da un territorio di caccia all’altro, in cerca di prede. Poi capirono che alcuni animali più mansueti potevano essere tenuti vicini, in greggi e mandrie, per avere latte e pelli e carne a disposizione quando occorreva. Anche i pastori erano costretti a spostarsi di terra in terra, in cerca di pascoli per il bestiame. Ad inventare l’agricoltura e a rendere stabile l’uomo nomade fu, forse, una donna.

Possiamo immaginare quel che accadde, un giorno di alcuni millenni or sono. La donna aveva vagato tutto il giorno nella prateria ed ora tornava verso casa con fasci di erbe. Di queste, conosceva molte virtù: c’erano erbe che davano il sonno o curavano le piaghe, erbe che correggevano il sapore della carne, bacche dolci, e chicchi di cereali da sfarinare per farne focaccette che piacevano tanto ai bambini. Era stanca. La ricerca delle erbe, che le donne compivano a turno, era molto faticosa: le pianticelle utili crescevano qua e là a caso, nella prateria, e bisognava cercarle e raccoglierle ad una ad una.

Finalmente la donna giunse alla sua capanna e poté riposarsi un po’, ma non per molto tempo:

«Prima che mio marito ritorni» si disse «devo mettere un po’ d’ordine». Perciò, restando seduta, perché i piedi le facevano male, si mise a suddividere le erbe secondo le loro specie, in tanti cestini di vimini o in ciotole.

In un recipiente c’erano alcuni chicchi di miglio che, per l’umidità, cominciavano già a germogliare.

«Meglio gettarli via» disse la donna «non vorrei che mi guastassero il nuovo miglio che ho raccolto».

E cominciò a preparare un buon pranzetto al marito e ai figli che tornavano con le pecore.

Passarono alcuni giorni, e la donna dimenticò quei semi gettati in terra, ma un giorno vide che alcune piantine di miglio erano cresciute vicino alla sua capanna.

«Sono nate proprio là dove ho gettato quei semi di miglio!» pensò, e le raccolse. Poi continuò a rimuginare fra sé un’idea:

«Certo, sarebbe comodo trovare vicino alla capanna tutte le piante di cui abbiamo bisogno! Oh, se si potesse trovare il modo di tenere con noi anche le buone erbe, oltre che gli animali! Ma si possono addomesticare le piante?». Tremante, come se stesse compiendo un’azione proibita, la donna prese un bastone, fece dei buchi in terra a distanze regolari e vi pose dei chicchi di miglio. Poi attese. Spuntarono le tenere piantine, tutte in fila, e crebbero le spighe, grosse e piene.

La donna e suo marito assistettero ammirati a quel prodigio e ne ringraziarono Dio. Misero a dimora altre piante, e un giorno la donna disse all’uomo:

«Dovresti fabbricarmi un arnese per fare nella terra i buchi in cui mettere i semi: in cima a un bastone lungo, lega un bastone corto, ad angolo, così potrò fare i buchi restando in piedi».

Nasceva così la prima zappa, il primo arnese agricolo dell’uomo.

Ruggero Y. Quintavalle, Domenico Volpi, Tra cronaca e storia , La Scuola

virtù : qualità.

Rispondi.

1. Perché la donna getta via alcuni chicchi di miglio?

2. Cosa succede a quei chicchi gettati?

3. Cosa fabbrica l’uomo per aiutare la donna?

Una scuola tutta d’argilla

Cinquemila anni fa, nella Mesopotamia, la Terra fra i due fiumi, nasceva la civiltà. E sapete come? Nasceva con l’invenzione della scrittura, che permetteva di conservare le scoperte umane e di farle conoscere agli altri uomini, e con l’invenzione della scuola, che insegnava a leggere e a scrivere.

Entriamo in una scuola di quel tempo, quando nella regione dominava l’attivo popolo dei Sumeri.

Un muretto d’argilla, un cortile, e poi un grande edificio dalle pareti d’argilla: è diviso in varie stanze, e anche le pareti divisorie sono di creta seccata al sole. In ogni stanza vi sono sedili e scrittoi: banchi di scuola veri e propri, anch’essi di argilla.

E gli alunni dove sono? In un angolo dell’edificio, insieme ai loro maestri, stanno impastando della creta! Ne tolgono tutte le impurità, la plasmano per bene, e ne fanno tavolette grandi quanto una mano, poi se le portano in classe. Per farne che cosa?

Per scrivere! Con uno stilo di canna, tracciano segni sull’argilla molle: chi sbaglia può cancellare e correggere con la pressione di un dito, e poi le tavolette non costano niente e se ne può fare quante se ne vuole.

Grazie a questa materia semplice, molle e disponibile ovunque, l’arte della scrittura si diffonde in Mesopotamia.

La scuola si chiama, appunto, Casa delle Tavolette e gli scolari sono i Figli della Casa delle Tavolette.

Osserviamo il maestro che fa lezione: spiega il significato dei segni, che corrispondono agli oggetti ed alle parole e mostra come si scrivono: li traccia di sua mano su una tavoletta, con arte.

Gli scolari, con le loro incerte mani, debbono ricopiarli più e più volte.

Man mano che progrediscono, copieranno interi elenchi di oggetti, di mestieri, e persino i sacri nomi degli dei. I più grandi arrivano a conoscere i segreti della lingua, e sanno fare moltiplicazioni, divisioni e persino estrazioni di radici quadrate e cubiche. Sempre sull’argilla molle, naturalmente.

Gli scritti migliori, quelli che meritano di essere conservati come esempio di ciò che sanno fare i Figli della Casa delle Tavolette, vengono cotti nel forno, così la creta diventa terracotta dura e resistente, e i compiti degli scolari più bravi possono essere mostrati agli altri.

Gli archeologi moderni, nel corso dei loro scavi, hanno ritrovato molte di quelle tavolette scritte a scuola. Su alcune di queste c’era il diario di uno scolaro. Possiamo così sapere com’era la giornata di un ragazzo sumero.

Leggiamolo insieme:

«Scolaro, dimmi: dove sei stato per tutto questo tempo?». «Nella Casa delle Tavolette».

«Che cosa hai fatto là?».

«Ho letto la tavoletta, ho mangiato la mia colazione, poi ho riempito di scrittura una tavoletta fino all’orlo. Finita la scuola, sono tornato a casa e ho recitato a mio padre ciò che avevo imparato. Gli ho letto la tavoletta, ed è rimasto contento. La mattina seguente, sono dovuto uscire ancora di buon’ora. Ho detto a mamma: “Dammi la colazione, perché debbo andare a scuola!”. La mamma ha tolto due pani dal forno per me, mi ha dato da bere, ed io sono corso alla Casa delle Tavolette. Nell’edificio, il sorvegliante mi ha gridato: “Perché arrivi in ritardo?”. Ho avuto paura, il cuore mi batteva forte. “Di corsa al tuo posto!” mi ha detto il maestro ed ha voluto esaminare la mia tavoletta. Non è stato contento e mi ha punito».

Che ne dite? La giornata del ragazzo sumero somiglia, in modo sorprendente, alla giornata di uno scolaro d’oggi!

La storia non si conclude con una punizione: quel ragazzo divenne bravo, puntuale, e fu promosso, così che su un’altra tavoletta possiamo leggere:

«Il Figlio della Casa delle Tavole prese il maestro per mano, e con lui andò dal padre, a dimostrargli quante cose aveva imparato a scuola. Allora, lieto, il babbo disse al maestro:

“Hai aiutato mio figlio a progredire, lo hai introdotto nelle scienze e gli hai insegnato l’arte della scrittura sulle tavolette. Ha appreso a fare di conto e a tenere la contabilità e tutti i compiti difficili ora gli sono chiari. Ti ringrazio!”». Con il lavoro di altri uomini che hanno continuato a leggere ed a studiare, queste tavolette sono state ritrovate e decifrate, con migliaia di altre,

Dopo aver riletto Una scuola tutta d’argilla , rispondi alle domande.

1. L’invenzione della scrittura che cosa permette?

A. Di scoprire l’utilità di un materiale morbido come l’argilla.

B. Di conservare le scoperte umane e di farle conoscere ad altri uomini.

C. Di sviluppare la manualità.

2. Cosa significa la parola “plasmare”?

A. Modellare.

B. Pulire.

C. Ordinare.

3. Perché le tavolette d’argilla non costavano niente?

A. Perché l’argilla è un materiale naturale che si trova vicino ai corsi d’acqua.

B. Perché le regalava il maestro.

C. Perché non esistevano ancora i soldi.

4. Che cos’è la Casa delle Tavolette?

A. L’abitazione tipica dei Sumeri.

B. La scuola.

C. Il luogo in cui si producono le tavolette d’argilla.

5. Perché l’autore definisce “incerte” le mani degli scolari?

A. Perché stanno ancora imparando ricopiando più e più volte i segni.

B. Perché sono più piccole rispetto a quelle del maestro.

C. Perché sono sporche di argilla.

6. Quali tavolette meritavano di essere cotte?

A. Quelle senza errori.

B. Quelle migliori per essere conservate come esempio.

C. Le tavolette rotte da riparare perché così si saldavano insieme.

7. Perché il padre è lieto?

A. Perché il maestro ha aiutato il figlio a progredire e l’ha introdotto nelle scienze insegnandogli l’arte della scrittura sulle tavolette.

B. Perché è finita la scuola.

C. Perché il maestro con la sua punizione aveva insegnato al ragazzo il valore della puntualità.

L’epopea di Gilgamesh

Sulla potente città di Uruk, lungo le sponde del fiume Eufrate, regnava Gilgamesh. Egli era il quinto sovrano di questa città dopo il Diluvio.

Fu lui a far innalzare le mura della città. E fu lui a porre le fondamenta dell’Eanna, la Casa del Cielo, il tempio dedicato ad Anu, dio del firmamento, e a Ishtar, dea dell’amore.

Quando fu creato, Gilgamesh ricevette in dono dagli dèi un corpo perfetto, la bellezza, il coraggio, la forza.

Essi lo resero impetuoso e irruente come un toro selvaggio. Per due terzi lo fecero di natura divina, solo per un terzo era uomo.

Gilgamesh era bellissimo, forte, impetuoso, ma non dava pace al suo popolo.

Giorno e notte gettava scompiglio tra la popolazione chiamandola a raccolta secondo i suoi capricci. La costringeva a sacrifici e lavori incessanti, trascurando il bene comune e inseguendo solo la sua gloria.

Invece che un buon re, era diventato per il suo popolo un implacabile tiranno.

La costruzione delle possenti mura di Uruk, che lui voleva sempre più alte e robuste, e le continue guerre combattute con le città vicine tenevano gli uomini lontani dalle loro famiglie e molti non facevano più ritorno.

Nessuno osava ribellarsi e sfidarlo apertamente, ma ogni madre, moglie, fidanzata o figlia si lamentava di Gilgamesh. Egli era la causa dei loro dispiaceri e non aveva pietà per nessuno.

Decisero allora di rivolgersi con preghiere al potentissimo dio Anu, signore patrono della città di Uruk, che udì i lamenti dei suoi abitanti. Si recò all’assemblea divina e disse:

«Una dea ha fatto Gilgamesh forte come un toro selvaggio, nessuno può resistere alle sue armi. Eppure tratta il suo popolo con arroganza, costringe i suoi sudditi a continue guerre, sacrifici e lavori incessanti. Per inseguire i suoi sogni di grandezza li tormenta e non li lascia vivere in pace».

Allora gli dèi si rivolsero ad Aruru, la signora della creazione e della Terra Madre, e le dissero:

«Fosti tu, Aruru, a plasmare Gilgamesh. Adesso crea un eroe che gli stia alla pari, simile a lui quanto il suo riflesso, che abbia il suo stesso cuore tempestoso. Che essi lottino tra loro e lascino vivere Uruk in pace!».

Così la dea Aruru immerse le mani nell’acqua, con l’argilla plasmò un essere dall’aspetto umano ma spaventoso, con lunghi capelli e pelo arruffato su tutto il corpo, forte e agile come una fiera.

Quando il dio della guerra ebbe infuso in lui lo spirito della vita, Aruru gli ordinò:

«Il tuo nome è Enkidu, a te è affidato un grande compito: sfidare Gilgamesh, vincerlo e domarlo.

Va’ e compi la missione per cui sei stato creato».

Laura Vitale, L'epopea di Gilgamesh , Itaca

Il dono del Nilo

La gente, sulla soglia delle casupole, contemplava il fiume affascinata e come incantata. Finalmente il dio Nilo si era risvegliato e stava per benedire l’Egitto con la sua inondazione. L’acqua del Nilo scendeva veloce e impetuosa, ribollendo e trasportando rami di albero, tronchi, materiale strappato alle rive. Il livello del fiume si alzava continuamente e in poco tempo superò gli argini rovesciando un’enorme quantità di acqua e di fango sulle campagne intorno. Anche quest’anno il dio Nilo, salvatore e vita dell’Egitto, aveva assolto il suo compito.

La notte, la gente del villaggio era rimasta alzata, con le torce in mano, a seguire l’andamento di quel fenomeno tanto atteso: chi rideva, chi innalzava preghiere di ringraziamento al dio Nilo, a Osiride, Iside, Horus… All’alba apparve uno spettacolo indescrivibile: il Nilo aveva invaso tutta la vallata che si era trasformata in un immenso lago.

Gli aironi volteggiavano, come sorpresi su questo nuovo paesaggio, in cui i canneti delle rive erano scomparsi, sommersi.

Stormi di anatre sorvolavano il fiume strepitando con i loro versi stonati, mentre le rondini si inseguivano sfiorando col petto l’acqua.

Anche gli ippopotami che nuotavano a gruppi sembravano come spaesati, mentre i coccodrilli scivolavano in acqua dalle rive alla ricerca di qualche preda distratta.

Lorenzo Taffarel, All’ombra della sfinge , Tredieci

METTIAMOCI ALL’OPERA

IL PAPIRO

Gli antichi Egizi utilizzavano i fusti della pianta del papiro per realizzare le pergamene sulle quali poi tracciavano i loro geroglifici e le loro rappresentazioni. Prova anche tu a realizzare una sorta di papiro procurandoti una lunga striscia di garza (quella semplice e non elastica che si utilizza per le fasciature), colla vinilica, caffè, un cartoncino A4 e un foglio o un sacchetto di plastica leggermente più grande del foglio A4. Adagia il foglio da disegno sulla plastica che hai recuperato. Crea una miscela liquida di colla, acqua e caffè nella quale immergerai, bagnandole, le strisce di garza lunghe quanto il foglio A4. Appoggia le strisce sul foglio ricoprendone interamente la lunghezza, poi crea un secondo strato di strisce sovrapponendole nel senso opposto. Se hai ancora garza crea un terzo strato, altrimenti sono sufficienti due strati. Lascia trascorrere almeno una notte e una volta asciutto potrai utilizzare il tuo foglio di papiro per disegnare e scrivere geroglifici. Puoi utilizzare le matite colorate o i pastelli a olio ma anche dipingere con tempera o acrilici utilizzando pennelli molto sottili.

Papiro del Libro dei Morti di Nany

FIABE E L E G G E NDE

DELLA GRIGNA

La leggenda racconta come si è formata questa montagna lombarda, bella e pericolosa.

ASCOLTO LE MILLE E UNA NOTTE

Nikolaj Rimskij-Korsakov

La principessa Scheherazade, per sopravvivere, racconta diverse fiabe mentre dialoga con il Sultano.

Seppi cos’è il cavallo

Seppi cos’è il cavallo sol quando vidi la bambina in rosa tirare in riva al prato il suo balocco di cartapesta sulle ruote lucide, lasciar cadere il filo, alzare il dito e dirgli: «Adesso, mangia!».

Filastrana

Filastrana curiosa e arcana, cosa nascondi nella tua tana? Fiato di fata, pelle di rana, fiabe filate col filo di lana. Filastrana, curiosa e arcana, il suo nastro di sogno dipana.

Silvia Roncaglia

ESIA

In mezzo alla fiaba

Silvia Vecchini e Arianna Vairo,

Leggi e rispondi. Leggi le seguenti poesie, cerca chi sta parlando e scopri i titoli nascosti delle fiabe a cui si riferiscono i componimenti poetici.

A tutti servirebbe un fratello che nel momento più scuro esca di nascosto e si riempia le tasche, che nel bosco resti al tuo fianco e lasci cadere a ogni passo un sassolino bianco.

1. Chi parla?

2. Qual è il titolo della fiaba nascosta?

Una torre non è un brutto posto per aspettare per guardare cosa succede spingere lo sguardo fin dove si vede contare le cime degli alberi cercare un fiume indovinare gli uccelli dai versi dal volo dal colore delle piume giù il sole, su la luna conoscere le stelle ad una ad una. Anche se tutto resta uguale — non ci sono porte non ci sono scale — Si allungano i miei capelli (sembrano disciplinati ma sono ribelli, sembra una treccia ma è una strada segreta, sembra una treccia e invece è la fine della mia attesa inquieta).

1. Chi parla?

2. Qual è il titolo della fiaba nascosta?

Il più delle volte non serve sprangare le porte bruciare ogni fuso vietare il possesso, proibire l’uso ci sarà sempre una porticina aperta, una vecchina che fila una scoperta qualcosa che non sai neppure cos’è uno sbaglio fatto apposta per te. Non sempre, ma a volte occorre pungersi sanguinare un poco dormire tutto il sonno che viene dopo sorbirlo come una medicina per svegliarti diversa da com’eri prima.

1. Chi parla?

2. Qual è il titolo della fiaba nascosta?

Ora scegli la tua fiaba preferita, scrivi perché la ami particolarmente e fai scoprire ai tuoi amici, attraverso un tuo componimento poetico, di quale fiaba si tratta.

La leggenda del lago di Carezza

Molto tempo fa, in fondo al lago di Carezza, viveva una bellissima ninfa, la giovane dea del lago.

Talvolta usciva dalle acque e si sedeva sulle rive a cantare e a pettinare i suoi lunghi capelli, ma appena sentiva un rumore si rituffava e scompariva.

Sulla montagna vicino al lago viveva un mago, che si era innamorato della ninfa e voleva rapirla per sposarla, ma non riusciva nemmeno ad avvicinarla. Allora, disperato, si fece consigliare da una strega che gli disse: «Fabbrica un arcobaleno che unisca il lago alla cima della montagna. Vedrai che la ninfa incuriosita uscirà dalle acque: non ha mai visto un arcobaleno! Quando la ninfa sarà uscita, va’ da lei vestito da mercante e offrile un sacco di ricchi gioielli. Vedrai che riuscirai a portarla con te!».

Il giorno dopo il mago fabbricò un arcobaleno, un ponte di colori e di luce che unì il lago alla montagna.

Subito la ninfa uscì per ammirare l’arcobaleno, ma il mago si era dimenticato di vestirsi da mercante.

Appena le si avvicinò, la fanciulla lo riconobbe e immediatamente si immerse nel lago.

Il mago furioso, per sfogare la sua ira, afferrò l’arcobaleno e lo fece a pezzi. I pezzi luminosi caddero nel lago e diedero alle acque i riflessi meravigliosi e i colori che tutti oggi possono ammirare.

Il gigante Sassolungo

Tanto e tanto tempo fa, i dintorni del massiccio del Sella erano abitati da un popolo di giganti mansueti e generosi che convivevano serenamente con gli uomini della valle.

Tra i giganti però ve n’era uno che combinava sempre delle marachelle pensando di non essere scoperto.

Questo gigante furfantello, che aveva nome Sassolungo, si divertiva a rubare nei campi o nei pollai dando poi la colpa ai topi, alle volpi o ai falchi.

I suoi compagni erano creature bonaccione, ma non così ingenue da bersi tutte le bugie che Sassolungo raccontava. Decisero così di tenerlo d’occhio e in breve lo sorpresero in un paio d’occasioni con le mani nel sacco.

Nonostante l’evidenza dei fatti, il gigante continuava a dire che era innocente e accusava i propri compagni di malfidenza.

Arrivò infine il giorno in cui lo scoprirono a rubare per la terza volta nell’orto del vicino e questa non poteva sicuramente passare inosservata. Riunito tutto il popolo dei giganti, il grande saggio esortò Sassolungo a confessare le proprie malefatte. Ma vista l’ostinazione con cui il gigante negava ogni colpa, il saggio si infuriò e con un incantesimo lo fece sprofondare completamente sottoterra.

Di tutta la grandezza del gigante Sassolungo, sbucava fuori dalle viscere della terra solo la sua mano aperta, che ancora oggi si può ammirare sul Sassolungo e prende appunto il nome di “Cinquedita”.

malfidenza : sfiducia.

Dopo aver riletto La leggenda della genziana , rispondi alle domande.

1 . Chi sono i protagonisti della leggenda?

A. Una pastorella di nome Genziana.

B. Una principessa e un principe.

C. I fiori azzurri che crescono sulle montagne.

2. Perché le acque del lago “si scurirono”?

A. Perché una pastorella aveva rubato il colore azzurro al lago.

B. Per l’inquinamento causato dal comportamento scorretto dei turisti.

C. Per una magia che fecero le fate dei monti.

3. Perché la pastorella non accettò la proposta delle fate del lago?

A. Perchè la pastorella non sapeva cantare bene come le fate del lago.

B. Perché non voleva lasciare la propria famiglia.

C. Perchè la pastorella non si era lasciata convincere dalle fate del lago.

4. Cosa accade poi nella storia?

Metti una crocetta su V se vero, su F se falso.

La pastorella rifiutò di sposare il giovane dio.

Il giovane dio si arrabbiò e innalzò una grande onda. □ □

La fanciulla rifiutò l’immortalità e restituì l’azzurro dei suoi occhi al lago.

5. Come finisce la storia?

A. Sbocciò un fiore azzurro come gli occhi di Genziana.

B. Le fate del lago misero nei capelli di Genziana un fiore azzurro.

C. Le fate dei monti regalarono alle fate del lago un fiore azzurro come gli occhi di Genziana.

6. Cosa spiega la leggenda?

A. L’origine della genziana.

B. La vita della pastorella Genziana.

C. Il motivo per cui le genziane continuano a fiorire in montagna.

La gobba del cammello

All’inizio del mondo, quando tutto era ancora nuovo, e gli Animali avevano appena incominciato a lavorare per l’Uomo, viveva, in mezzo al Deserto Ululante, un Cammello, che era proprio un gran fannullone, tanto che mangiava rametti e pruni, tamarischi e altre erbe, che poteva trovare nel deserto senza scomodarsi troppo; e quando Qualcuno gli rivolgeva la parola, rispondeva: «Bah!» solo: «Bah!» e nient’altro.

Perciò, un lunedì mattina, il Cavallo andò da lui, con la sella sulla schiena e il morso in bocca, e disse:

«Cammello, ehi, Cammello, vieni fuori a trottare come tutti noi».

«Bah!» fece il Cammello; e il Cavallo se ne andò e lo riferì all’Uomo.

Poi andò da lui il Cane, con un pezzo di legno in bocca; e disse:

«Cammello, ehi, Cammello, vieni a stanare la selvaggina come tutti noi».

«Bah!» fece il Cammello; e il Cane se ne andò e lo riferì all’Uomo.

Poi andò da lui il Bue, con il giogo sul collo, e disse:

«Cammello, ehi, Cammello, vieni ad arare come tutti noi».

«Bah!» fece il Cammello, e il Bue se ne andò e lo riferì all’Uomo.

Sul finire del giorno l’Uomo chiamò a raccolta il Cavallo, il Cane e il Bue e tenne loro questo discorsetto:

«O miei Tre, sono molto spiacente per voi; quel Fannullone nel deserto non vuol proprio lavorare, mentre ormai dovrebbe già essere qui come voi; per cui sono costretto a lasciarlo solo, e voi dovrete lavorare il doppio per supplirlo».

Ciò irritò molto i tre; ed essi si riunirono al confine del Deserto a congiurare; e venne anche il Cammello, più indolente che mai, ruminando erba, e rise loro in faccia.

Poi fece: «Bah!» e se ne andò.

Allora arrivò il Genio che ha in custodia tutti i Deserti, avvolto in una nube di polvere (i Geni viaggiano sempre in questo modo, perché è Magia), e si fermò a parlare coi tre.

«Genio di Tutti i Deserti» disse il Cavallo «è giusto che qualcuno se ne stia in ozio con il mondo tutto nuovo?».

«No di certo» rispose il Genio.

«Ebbene» soggiunse il Cavallo «c’è un animale in mezzo al tuo Deserto Ululante, con lungo collo e lunghe gambe che non ha fatto ancora niente da lunedì mattina. Non vuole trottare».

«Ohibò!» esclamò il Genio; «per tutto l’oro dell’Arabia, ma questo è il mio Cammello! E che scusa trova?».

«Dice solo “Bah!”» disse il Cane, «e non vuole andare a stanare la selvaggina».

«Dice qualcos’altro?».

«Solo: “Bah!” e non vuole arare» disse il Bue.

«Benissimo» fece il Genio «se avete la pazienza di aspettare un minuto lo farò sgobbare io».

Il Genio si avvolse nel suo mantello di polvere, andò nel deserto, e trovò il Cammello più indolente che mai, che rimirava la sua immagine riflessa in una pozza d’acqua.

«Mio lungo e indolente amico» disse il Genio «ho sentito sul tuo conto cose che ti fanno poco onore. È vero che non vuoi lavorare?».

«Bah!» rispose il Cammello.

Il Genio si sedette, col mento fra le mani, e si accinse ad escogitare qualche grande incantesimo, mentre il Cammello continuava a rimirare la sua immagine riflessa nell’acqua.

«Tu hai costretto i tre a lavorare il doppio da lunedì mattina, e tutto per colpa della tua insopportabile pigrizia» disse il Genio, e continuò a pensare incantesimi col mento fra le mani.

«Bah!» fece il Cammello.

«Non lo ripeterei più se fossi in te» disse il Genio «potresti dirlo una volta di troppo. Fannullone, voglio che tu lavori».

E il Cammello ripeté ancora: «Bah!» ma non aveva ancora finito di dirlo,

che vide il suo dorso, del quale era così orgoglioso, gonfiarsi e gonfiarsi finché si formò su di esso una grande, immensa, traballante gobba.

«Vedi cosa ti è successo?» disse il Genio; «questa gobba te la sei voluta proprio tu, con la tua pigrizia. Oggi è giovedì, e tu non hai fatto ancora nulla, mentre il lavoro ha avuto inizio lunedì. Ora devi andare a lavorare».

«Come è possibile» protestò il Cammello «con questa gobba sulla schiena?».

«Anzi, è fatta apposta» replicò il Genio «perché hai perso quei tre giorni.

Ora potrai lavorare per tre giorni senza mangiare, perché puoi vivere a spese della tua gobba; e non ti venga in mente di dire che non ho fatto niente per te. Esci dal deserto, vai a raggiungere i tre, e comportati bene. E sgobba!».

E il Cammello andò a raggiungere i tre, e sgobbò, nonostante la gobba.

E da quel giorno in poi il Cammello ebbe sempre la gobba; ma non è ancora riuscito a recuperare i tre giorni che ha perso all’inizio del mondo, e non ha ancora imparato a comportarsi come si deve.

Rudyard Kipling, La gobba del cammello , Mursia

La trappola dei sogni

La principessa Rosalia non era contenta.

Ma perché non era contenta?

Una principessa ha tutto quello che serve per essere felice.

Il fatto è che i sogni di Rosalia, all’alba, volavano via.

Lei si svegliava, dopo aver fatto un bellissimo sogno, ma il sogno svaniva in un attimo, e questo la rendeva molto, molto triste.

«Come mi piacerebbe che i sogni rimanessero con me anche al mattino!» sospirava. «Anzi, vorrei che rimanessero con me per sempre!».

Un giorno Rosalia diede un ordine:

«Voglio che la mia camera da letto sia completamente chiusa, sbarrata, senza neppure una fessura piccolissima: questo è quello che voglio!».

Una squadra di falegnami, fabbri, muratori, si mise al lavoro, e con materiali speciali tappò ogni apertura della stanza da letto, anche la più piccola: neppure un piccolissimo insetto poteva passare, neppure un filo d’aria.

Rosalia si addormentò beata, pronta a sognare cose meravigliose, belle, dolci, allegre, felici.

Invece, quella notte, ecco arrivare sogni tremendi, mostri orribili, minacce, angosce, paure di ogni tipo.

Rosalia si svegliò di colpo, sudata e ansimante, e per un attimo fu contenta di essersi svegliata: ma la sua contentezza fu breve, perché i brutti sogni, che volevano andarsene via, non trovavano nemmeno un buchino per uscire dalla stanza.

Si scagliavano contro le pareti, contro il soffitto, strisciavano sul pavimento, ma non c’era niente da fare: la camera era sigillata.

Rosalia se li trovò tutti attorno a letto, che si agitavano disperati, urlando, litigando, facendo un baccano infernale.

La povera principessa, tappandosi gli occhi per non vedere e le orecchie per non sentire, cominciò a strillare e chiamare, fino a quando la sentirono e aprirono la porta: e i sogni, come una nuvola nera, uscirono tutti insieme, fischiando e stridendo.

Rosalia era sul letto, sconvolta, pallida e tremante.

«Forse è meglio lasciare qualche apertura in questa stanza, principessa…» suggerì il consigliere, dopo aver sentito quello che era successo.

Rosalia aprì gli occhi, e disse: «Ho un’idea migliore».

In quello stesso giorno il letto della principessa fu trasportato su una grande terrazza, in mezzo a piante di glicine, limoni, rose e calicanto: e da allora, in qualsiasi stagione, Rosalia dormì lassù, perché i suoi sogni, belli o brutti, al mattino potessero volarsene via.

Roberto Piumini, Storie in un fiato , Einaudi Ragazzi

Dopo aver riletto La trappola dei sogni , rispondi alle domande.

1 . Perché la Principessa Rosalia non era contenta?

A. Perché aveva tanti sogni, ma non si realizzavano.

B. Perché non aveva quello che voleva.

C. Perché i suoi sogni all’alba volavano via.

2 Un giorno Rosalia diede un ordine: “Voglio che la mia camera da letto sia completamente chiusa, sbarrata…”. Perché diede questo ordine?

A. Rosalia voleva ristrutturare la sua camera da letto.

B. Rosalia desiderava che i suoi sogni rimanessero con lei per sempre.

C. Rosalia voleva godersi il “suo posto silenzioso”.

3 . Indica quale affermazione è vera:

A. La squadra di falegnami, fabbri e muratori si mise al lavoro e riuscì a tappare ogni apertura della stanza da letto di Rosalia.

B. La squadra di falegnami, fabbri e muratori si mise al lavoro e riuscì a tappare quasi tutte le aperture della stanza da letto di Rosalia.

C. La squadra di falegnami, fabbri e muratori non fece il lavoro.

4 . “Rosalia si svegliò di colpo, sudata e ansimante, e per un attimo fu contenta di essersi svegliata: ma la sua contentezza fu breve…”. Perché la contentezza di Rosalia fu breve?

5 . “Ho un’idea migliore”. Chi pronuncia questa frase?

A. Rosalia.

B. Il consigliere.

C. Un falegname chiamato da Rosalia.

6 . Perché il letto di Rosalia fu portato su una grande terrazza, in mezzo a piante di glicine, limoni, rose e calicanto?

Zefira

La notte in cui nacque Zefira c’era nell’aria un silenzio che non si era mai sentito prima: perfino l’acqua del fiume sembrava stare zitta, e di cicale nemmeno l’ombra.

Forse per via di tutto questo silenzio disteso intorno a lei, quando Zefira venne al mondo non ebbe per nulla paura e il primo respiro che fece non fu un pianto, né un grido, né un sospiro. Quando Zefira venne al mondo, spalancò la bocca, riempì per la prima volta i minuscoli polmoni… e cantò.

Il canto di Zefira si sparse intorno come la musica di un piccolo flauto. La sua mamma sorrise, la sua nonna sorrise, ma la vecchia zia, che stava a guardia dell’acqua sul fuoco, fece una smorfia e gracchiò:

« Canto di vento fin dentro la bocca, gran dispiacere a chi questo tocca ».

Appena Zefira imparò a stare dritta sulle gambe cercò di arrampicarsi sulla sedia per raggiungere la finestra, da dove sentiva venire i canti delle donne che intrecciavano le stuoie e quelli degli uomini che falciavano i campi.

La vecchia zia la tirava giù e spostava la sedia di lato, dicendole:

« Chi troppo in alto sale, cade in basso e si fa male ».

Eppure, dalla finestra senza vetri e dalla porta che rimaneva aperta, Zefira riusciva a sentire non solo i canti dei lavoratori, ma anche i suoni del fiume, degli animali e del vento tra le canne.

Zefira indovinava tutte le musiche e le seguiva con la sua voce di flauto, come se rispondesse. Perfino quando imparò a parlare, le sue prime parole furono dette cantando.

Un giorno che Zefira era già una bambina cresciuta, e aiutava la vecchia zia a fare da mangiare per tutta la famiglia mentre gli altri erano al lavoro, sentì un signore alla radio che parlava di una Scuola di Canto. Zefira abbandonò coltello e patata e corse accanto alla radio per sentire meglio. Il signore diceva che chi riusciva a entrare alla Scuola di Canto poteva imparare a cantare come gli angeli del fiume.

Quando ebbe ascoltato tutto, Zefira disse alla zia con gli occhi brillanti: «Quando divento grande voglio andare alla Scuola di Canto!». La vecchia zia fece un sospiro che sembrava un grugnito e le rispose: « Pesce di fiume non può camminare, serpe di sabbia non sa volare ».

Eppure nessuno nel villaggio di Zefira aveva mai sentito una voce come la sua. Pareva che per cantare non facesse nessuno sforzo, le veniva naturale come il respiro.

Con la sua voce era in grado di addolcire anche i lavori più pesanti.

Per questo, appena fu in età da poter aiutare le donne al telaio, nel villaggio tutti si contendevano la sua presenza. Zefira non si stancava mai di cantare e di notte sognava di diventare leggera leggera e di galleggiare sulle onde della sua voce.

La Scuola di Canto era in città e la città era lontana, Zefira lo sapeva: per raggiungerla bisognava prendere una corriera piena di gente e bisognava avere i soldi per pagare il biglietto.

E per quanto ne parlasse in giro, e a tutti raccontasse il suo desiderio, da tutti riceveva sempre la stessa risposta: «Studiare canto? Sciocca, come se non ci fossero cose più importanti di cui occuparsi!»

E chi sbuffava, chi scuoteva la testa, chi rideva dell’idea.

La mamma e la nonna però, tutte le volte che al telaio si trovavano sedute vicine a Zefira, facevano in modo di passarle i fili migliori, insieme a qualche consiglio mormorato sottovoce. Così, cantando e lavorando, in breve tempo dal telaio di Zefira uscì una bellissima coperta.

Quando la vecchia zia vide la coperta fatta da Zefira, chiese di averla come scendiletto:

« Filo di sogno e freschi colori tolgono ai piedi mali e dolori »

Ma Zefira portò invece la coperta a vendere al mercato. Con i soldi che riuscì a guadagnare comprò non solo il biglietto per andare alla Scuola di Canto in città, ma anche un paio di sandali e un biglietto per tornare.

Salutò la mamma, salutò la nonna, salutò la vecchia zia, e partì.

« Quando il pulcino solleva una zampa, col passo dopo di certo si inciampa »

Sibilò la vecchia zia vedendola partire. Il viaggio fu lungo e anche piuttosto scomodo: siccome era la più piccola di tutta la corriera, Zefira dovette sistemarsi sul tetto insieme ai bagagli.

A ogni buca della strada, la corriera faceva un balzo e Zefira si teneva stretta stretta ai sacchi che aveva intorno. Ma a dire il vero, non sentiva quasi nulla di quei fastidi: il suo pensiero era tutto concentrato a ripetersi quello che doveva fare. Per tutto il tempo del viaggio, Zefira cantò la canzone che aveva preparato per presentarsi alla Scuola di Canto. Per tutto il tempo pensò le musiche e le parole, cercando di stare attenta a non dimenticarsene nessuna.

Ma appena arrivata in città, la prese una strana agitazione. Le tremavano le gambe e si sentiva i pensieri confusi.

A mano a mano che si avvicinava alla Scuola di Canto, le sembrava che tutto quello che sapeva si stesse perdendo per strada. Le parole della canzone che si era preparata svolazzavano nella sua testa come foglie morte e poi sparivano.

Non se le ricordava più! Al loro posto, le venivano in mente solo le frasi della vecchia zia, quelle che si era sentita ripetere per tutta una vita: « Canto di vento fin dentro la bocca… pesce di fiume non può camminare… col passo dopo di certo si inciampa… cade in basso e si fa male… ».

Era ormai arrivata alla porta della scuola e in testa aveva solo le parole della zia, che le battevano sulle tempie come tamburelli. Stava per girarsi e scappare via senza bussare, quando invece qualcuno aprì la porta e la fece gentilmente entrare fino a un palco lluminato. Zefira non vedeva più nulla, non capiva più nulla…

Le sembrava che ci fossero delle persone sedute davanti al palco, pronte ad ascoltarla, ma lei non ricordava più le parole da cantare, aveva la testa piena solo delle parole sbagliate della zia e non sapeva come metterle insieme.

Poi le venne in mente il telaio, e i fili che la mamma e la nonna intrecciavano con gesti sicuri, così prese coraggio e fece anche lei la stessa cosa: semplicemente, intrecciò le parole che aveva in testa. E cantò…

« Canto di vento che in alto sale soffia contento tra canne e cicale.

Pesce che vola filo di sogno sa le parole di cui ha bisogno. Canto di fiume sogno pulcino metti le piume e comincia il cammino… ».

A dire il vero nessuno, tra il pubblico, prestò molta attenzione alle parole intrecciate nella canzone. Tutti rimasero inchiodati alle poltrone dalla bellezza della voce di Zefira e nella sala scese un silenzio ammirato, proprio come quello della notte in cui era nata.

Fu così che Zefira dalla voce di flauto riuscì a entrare alla Scuola di Canto, dove rimase a studiare per molti mesi.

E prima o poi usò anche il biglietto di ritorno al suo paese, per fare visita alla mamma e alla nonna e portare uno scendiletto alla vecchia zia.

Così, quando imparò a cantare come un angelo del fiume, qualcuno disse dalle sue parti:

« Se un seme di sogno riceve una goccia, la pianta cresce e il fiore sboccia ».

Chiara Carminati, in AA.VV., Io vorrei… Sogni e desideri di bambini raccontati dai grandi , Condé Nast

1. Qual è il sogno di Zefira?

2. E tu, hai un sogno?

La regina delle api

Una volta due principi andarono in cerca di avventure e si diedero ad una vita sfrenata e dissoluta, così che non tornarono più a casa. Il fratello minore, che era chiamato Grullo, andò alla loro ricerca; e quando finalmente li trovò, essi lo schernirono, perché, sciocco com’era, voleva farsi strada nel mondo, mentre loro due non ne venivano a capo, pur essendo molto più accorti.

Proseguirono tutti e tre insieme e giunsero ad un formicaio. I due maggiori volevano sconvolgerlo, per veder le formiche correr qua e là spaventate e portar via le uova; ma il Grullo disse: “Lasciate in pace quelle bestie, non tollero che le disturbiate”.

Proseguirono e giunsero ad un lago, dove nuotavano tante anatre. I due fratelli volevano prenderne un paio e farle arrosto, ma il Grullo non glielo permise e disse: “Lasciate in pace quelle bestie, non tollero che le uccidiate”.

Finalmente giunsero ad un alveare, dove c’era tanto miele, che colava sul tronco. I due volevano accendere un fuoco sotto l’albero, e soffocare le api per poter prendere il miele. Ma il Grullo tornò a dissuaderli, dicendo: “Lasciate in pace quelle bestie, non tollero che le bruciate”.

Finalmente arrivarono ad un castello: nelle scuderie non c’erano che cavalli di pietra e non si vedeva anima viva; attraversarono tutte le scale, finchè, proprio in fondo, giunsero a una porta con tre serrature; ma in mezzo alla porta c’era uno spioncino, da cui si poteva vedere la stanza. E videro un omino grigio, seduto a un tavolo. Lo chiamarono una, due volte, ma egli non udì; alla terza volta, egli si alzò, aprì senza dire una parola e li condusse a una tavola riccamente imbandita. Quando ebbero mangiato e bevuto, diede a ciascuno una camera da letto. Il mattino dopo l’omino grigio andò dal maggiore, lo chiamò con un cenno e lo guidò a una lapide, dov’eran scritte le tre imprese che avrebbero liberato il castello. E questa era la prima: nel bosco, sotto il muschio, c’erano le perle della principessa, mille di numero, e si dovevano cercare; e se al tramonto ne mancava una sola, colui che aveva cercato impietriva. Il maggiore andò e cercò tutto il giorno, ma al tramonto ne aveva trovate soltanto cento; e com’era scritto accadde: egli impietrì.

Il giorno dopo tentò l’avventura il secondo fratello; non fu più fortunato del maggiore, trovò soltanto duecento perle e impietrì.

Alla fine toccò al Grullo, che si mise a cercare nel muschio: ma era così difficile trovar le perle e ci voleva tanto tempo! Allora si mise a sedere su una pietra e pianse. E mentre se ne stava lì, il re delle formiche, che una volta egli aveva salvato, arrivò con cinquemila formiche; e non passò molto tempo che le bestioline avevano trovato tutte le perle e le avevan riunite in un mucchio.

La seconda impresa era di ripescar dal lago la chiave che apriva la camera da letto della principessa. Quando il Grullo giunse al lago, le anatre, che una volta egli aveva salvato, accorsero a nuoto, si tuffarono e ripescarono la chiave dal fondo.

Ma la terza impresa era più difficile: delle tre principesse dormenti, bisognava scegliere la più giovane e la più soave.

Ma si assomigliavano come gocce d’acqua; e nulla le distingueva se non che, prima d’addormentarsi, avevano mangiato dolci differenti: la maggiore un pezzo di zucchero, la seconda un po’ di sciroppo, la minore un cucchiaio di miele. Ed ecco, arrivò la regina delle api con le api che il Grullo aveva protetto dal fuoco, e assaggiò la bocca di tutte e tre; infine si fermò su quella che aveva mangiato il miele, e così il principe riconobbe la giusta.

Allora l’incanto si ruppe, ogni cosa fu sciolta dal sonno e chi era di pietra riacquistò la sua figura. Il Grullo sposò la più giovane e la più soave e i suoi due fratelli si presero le altre due principesse.

Fratelli Grimm

METTITI ALLA PROVA

Dopo aver riletto La regina delle api , rispondi alle domande.

1 . Chi sono i protagonisti della fiaba?

A. I protagonisti della fiaba sono tre fratelli molto accorti.

B. I protagonisti della fiaba sono tre fratelli molto grulli.

C. I protagonisti della fiaba sono tre fratelli: uno grullo e gli altri molto accorti.

2 Cosa significa l’espressione “ma il Grullo tornò a dissuaderli” nelle frase che segue?

A. Il Grullo convinse i due fratelli maggiori a non uccidere le anatre.

B. Il Grullo non riuscì a convincere i due fratelli a lasciare in pace le anatre.

3 . Quali sono le imprese che i fratelli devono superare per liberare il castello?

Individuale e metti a lato il numero corrispondente alle tre imprese.

Ripescare nel lago la chiave della camera della principessa.

Raccogliere tutte le perle delle principesse e fare un’unica collana.

Trovare le mille perle della principessa, nascoste sotto il muschio.

Tuffarsi nel lago e ripescare la collana della principessa.

Cercare un formicaio e due anatre e portarle al re.

Scegliere la principessa più giovane e la più soave.

4 . Chi riuscì a superare le tre imprese?

A. I due fratelli maggiori.

B. Tutti e tre i fratelli.

C. Il Grullo.

5 Spiega il significato della parola “impietrì” nella frase.

A. Diventare una statua di pietra.

B. Prendere la forma di un sasso.

C. Tenere gli occhi fissi su una pietra.

6. Chi aiutò il Grullo a superare le tre imprese? Rispondi.

Chi aiutò il Grullo a trovare le mille perle? Come?

Chi lo aiutò a pescare la chiave nel lago? In che modo?

Chi aiutò il Grullo a riconoscere la principessa più giovane e soave? Come?

7 La parola GRULLO può svolgere funzioni diverse in una frase. Fai un rettangolo sulla parola GRULLO quando ha la funzione di nome e fai un cerchio quando ha la funzione di aggettivo.

A. Il principe minore era GRULLO.

B. Il GRULLO andò in cerca dei suoi fratelli.

C. Il GRULLO giunse al lago.

D. Ed ecco, arrivò la regina delle api con le api che il GRULLO aveva protetto dal fuoco.

E. C’erano una volta tre fratelli: i due maggiori erano accorti, il più piccolo era GRULLO e meno furbo di loro.

8 . A tuo parere il fratello minore è davvero “grullo”? Motiva la tua scelta.

La teiera

C’era una teiera orgogliosa, orgogliosa della sua porcellana, del suo lungo beccuccio, del suo largo manico. Aveva qualcosa davanti e qualcosa dietro, il beccuccio davanti e il manico dietro, e parlava sempre di quelli, ma non parlava mai del coperchio che era scheggiato; quello era una mancanza, e delle proprie mancanze non si parla volentieri non lo fanno nemmeno gli altri.

Le tazze, la zuccheriera e il bricco del latte, tutto il servizio da tè avrebbe certamente ricordato il coperchio rotto più che non quel manico e quello splendido beccuccio; la teiera lo sapeva bene. “Li conosco!” diceva tra sé. "Conosco anche la mia mancanza e la riconosco, in questo sta la mia modestia, la mia umiltà; tutti abbiamo difetti, ma abbiamo anche pregi. Le tazze hanno un manico, la zuccheriera ha un coperchio, io ho ricevuto entrambe e una cosa in più, che gli altri non hanno, ho ricevuto un beccuccio che mi rende regina del tavolo da tè. La zuccheriera, il bricco del latte si vantano di essere le ancelle del buon sapore, ma io sono colei che distribuisce, che domina, io spargo la benedizione tra l’umanità assetata; dentro di me le foglie cinesi trasformano l’acqua bollente senza sapore”.

Tutto questo la teiera l’aveva detto nella sua tranquilla gioventù. Ma ora stava sul tavolo apparecchiato, e venne sollevata dalla mano più curata ma la mano più curata era maldestra, così la teiera cadde, il beccuccio si ruppe e pure il manico, per non parlare del coperchio di cui abbiamo già detto fin troppo.

La teiera rimase svenuta sul pavimento e l’acqua bollente uscì fuori. Fu un brutto colpo, ma la cosa peggiore fu che tutti risero, risero di lei e non della mano maldestra.

“Quello me lo ricorderò sempre!” diceva la teiera quando ripensava alla vita trascorsa. “Venni chiamata invalida, messa in un angolo, e il giorno dopo regalata a una donna che mendicava; caddi in miseria, rimasi stupefatta e incerta sul da farsi, ma proprio in quello stato cominciò la mia vita migliore: si è una cosa e si diventa un’altra. Dentro di me fu messa della terra e questo per una teiera significa essere seppellita, ma nella terra fu posto un bulbo; chi lo fece, chi lo donò, lo ignoro, ma accadde, e fu una ricompensa per quelle foglie cinesi e per quell’acqua bollente, una ricompensa per il manico e il beccuccio rotti. Il bulbo rimase nella terra, rimase dentro di me, divenne il mio cuore, il mio cuore vivente: uno così non l’avevo mai avuto prima.

C’era vita in me, c’era nuova forza energia, il polso batteva, il bulbo gettò le gemme che stavano per scoppiare a causa dei pensieri e dei sentimenti; poi sbocciarono in tanti fiori; io li vidi li portai, dimenticai me stessa nella loro bellezza. È meraviglioso dimenticare sé stessi per un altro! Quelli non mi dissero grazie, non pensarono affatto a me, vennero ammirati e lodati, io ne ero felicissima, come non potevano essere neanche loro stessi. Un giorno sentii dire che il bulbo meritava un vaso migliore.

Mi ruppero a metà e mi fece molto male, ma il fiore ebbe un vaso migliore e io venni gettata nel cortile e mi trovo lì come un vecchio coccio, ma ho i ricordi, che non perderò mai”.

Osserva un oggetto che hai in casa e inventa una fiaba in cui l’oggetto che hai scelto è il protagonista. Descrivilo e racconta cosa gli succede.

• Chi incontra?

• Dove viene posizionato?

• Come e da chi viene utilizzato?

• È contento di essere l’oggetto che è o ha dei desideri per la sua vita futura?

Leggiamo le fiabe di Hans Christian Andersen

La monetina d’argento

C’era una volta una monetina, che, uscita nuova fiammante dalla zecca, si mise a saltare e a tintinnare dicendo: «Evviva! Ora me ne andrò per il vasto mondo!». E ci andò davvero. I bambini la tennero stretta nelle loro manine calde, gli avari la strinsero nelle loro mani fredde e viscide, le persone anziane la voltarono e la rivoltarono a lungo, mentre i giovani la rimisero subito in circolazione. La monetina era d'argento, con una minima quantità di rame, ed era già da un anno in giro per il mondo…

L’acciarino

Un-due, un-due! Un soldato veniva avanti marciando per la strada principale.

Con lo zaino sulle spalle e la sciabola al fianco, perché era stato alla guerra, e adesso tornava a casa. Sulla strada s’imbatté in una vecchia strega: era davvero orribile, col labbro che le scendeva fino al petto! «Buonasera, bel soldatino!» disse. «Che bella sciabola che hai, che grande zaino!

Sei davvero un bel soldatino! Ora sì che potrai avere tutti i soldi che vuoi». «Grazie tante, vecchia strega!» rispose il soldato…

Il vecchio lampione

Hai mai sentito la storia del vecchio lampione?

Non è mica tanto diversa, ma per una volta si può anche ascoltare.

C’era un buon vecchio lampione che era in servizio da molti anni, ma adesso doveva essere licenziato. Era l’ultima sera che stava sul palo a illuminare la strada e provava un po’ la sensazione di essere una vecchia comparsa di balletto che danza l’ultima sera e sa che domani dovrà restare in soffitta.

Il lampione aveva un gran timore del domani…

Leggiamo le fiabe dei fratelli Grimm

Sei servi

C’era una volta una vecchia regina, che era una maga; e sua figlia era la più bella fanciulla del mondo. Ma la vecchia ad altro non pensava che ad attirare gli uomini per rovinarli; e se arrivava un pretendente, diceva che chi voleva sua figlia doveva prima eseguire un compito o morire. Molti rischiavano, abbagliati dalla bellezza della fanciulla, ma non potevano compiere quel che la vecchia imponeva; e allora non c’era remissione: dovevano inginocchiarsi, e gli mozzavano la testa. Un principe, che aveva anche lui sentito parlare della grande bellezza della fanciulla, disse a suo padre…

L’acqua della vita

C’era una volta un re che era ammalato, e più nessuno ormai credeva che potesse vivere ancora. I suoi tre figli, che erano molto addolorati, scesero a piangere nel giardino del castello. Là incontrarono un vecchio che domandò loro il perché di tanto dolore. Gli raccontarono che il padre era così ammalato che presto sarebbe morto, poiché nulla poteva giovargli. Il vecchio disse:

«Io conosco un rimedio: l’acqua della vita;

Il principe ranocchio

o Enrico di ferro

Nei tempi antichi, quando desiderare serviva ancora a qualcosa, c’era un re, le cui figlie eran tutte belle, ma la più giovane era così bella che persino il sole, che pur aveva visto tante cose, sempre si meravigliava, quando le brillava in volto.

Vicino al castello del re c’era un gran bosco tenebroso e nel bosco, sotto un vecchio tiglio, c’era una fontana…

Leggiamo le fiabe di Aleksandr N. Afanasjev

Favola del principe Ivan, dell’uccello di fuoco e del lupo grigio

In un certo reame, in un certo stato, viveva una volta uno zar di nome

Vyslav Andronovic. Egli aveva tre figli: il primo era il principe Dimitrij, il secondo il principe Vasilij, e il terzo il principe Ivan. Questo zar Vyslav Andronovic aveva un giardino così ricco che non ce n’era uno migliore in nessun altro stato; in quel giardino crescevano vari alberi pregiati, da frutto e senza frutto, e lo zar aveva un melo preferito, da cui nascevano tutte mele d’oro. Aveva preso l’abitudine di volare nel giardino dello zar Vyslav un uccello di fuoco…

Vassilissa la bella

C’era una volta un mercante. In dodici anni di matrimonio aveva avuto solo una figlia, Vassilissa, che era bellissima. Sua moglie morì quando la piccola aveva otto anni. Sentendo la fine avvicinarsi, la madre chiamò a sé la bambina, e da sotto le coperte tirò fuori una bambolina che come Vassilissa indossava stivaletti rossi, grembiulino bianco, gonna nera e corsetto ricamato e le disse: «Ascolta le mie ultime parole, e ubbidisci alle mie ultime volontà. Prendi questa bambola, è il mio dono per te con la mia benedizione materna; conservala con cura, non mostrarla a nessuno, e nutrila quando ha fame. Se ti troverai in difficoltà, chiedile aiuto, essa ti dirà che cosa fare»…

METTIAMOCI ALL’OPERA

IL BURATTINO

Nel mondo delle fiabe s’incontrano personaggi che raccontano di desideri, pericoli, bontà, cattiveria, aiuto gratuito… un po’ come capita nella vita reale. L’epilogo è sempre positivo: «… e vissero per sempre felici e contenti!».

Leggere le fiabe è una soddisfazione che fa immedesimare.

Puoi recitare una fiaba conosciuta o inventata da te, magari con l’aiuto di un burattino.

Per la testa, prendi una cartolina e forma un cilindro in modo tale che ci si possa infilare il tuo dito anulare. Fissalo con lo scotch di carta. Questo è il collo del burattino. Con della carta da giornale fai una palla ben pressata e fissala al collo, sempre con scotch di carta. Ora puoi modellare la testa del personaggio che hai scelto usando della cartapesta: occhi, bocca e orecchie devono essere ben evidenti e adatte a trasmettere le caratteristiche particolari del burattino: bellezza, cattiveria, buona vista, delicatezza…

Per il vestito: prepara un cartamodello piegando un foglio di giornale a metà; disegna il contorno e ritaglia. Appoggia poi sul tessuto che hai scelto il cartamodello, piegando entrambi a metà perché il vestito risulti simmetrico. Ritaglia la stoffa e cuci il contorno del vestito dal rovescio. Si devono lasciare aperti il collo, le maniche e la base del vestito per poter inserire la mano nel burattino. Ora si assemblano le parti: i capelli sulla testa, il collo, le mani e gli accessori vanno fissati con colla a caldo.

Se prepari diversi burattini insieme agli amici, la fiaba avrà tutti i personaggi per essere raccontata in un teatrino.

Alessandro e Ilaria

NARRATIVA

Suggerimenti per l’insegnante

Pinocchio

di Carlo Collodi

Il testo di Pinocchio racchiude un forte valore culturale e un alto valore contenutistico e ciò ne determina la scelta di leggerlo in versione integrale alla classe. La nota vicenda del burattino Pinocchio è il racconto di una crescita e di una maturazione di sé.

Nella narrazione di Collodi dal burattino impertinente, bugiardo e sfaticato, esce un bambino che, attraverso svariati incontri e avventure, acquista coscienza di sé e diventa capace di volere e decidere per il bene. La vicenda di Pinocchio mette in campo anche e soprattutto il tema della vita con le sue contraddizioni, con il male e il limite degli uomini, ma con una prospettiva finale di positività.

Ciò è ben reso dal burattino che, uscito dalle mani del fantasioso Geppetto, rappresenta il bisogno dell’uomo di tornare a Dio, cioè da chi lo ha creato, come suggerisce la riflessione acuta di monsignor

Giacomo Biffi:

« Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero ».

L’epopea di Gilgamesh di Laura Vitale

Questa storia ha un’origine lontana nel tempo. È stata narrata, e poi scritta su tavolette d’argilla, migliaia e migliaia di anni fa nella ricca e favolosa terra di Mesopotamia.

Parla di un antico eroe, un re forte e terribile che non ha mai conosciuto limiti sentendosi invincibile come un semidio. Solo incontrando un grande amico scopre di essere un uomo capace di giustizia e pietà. Ma scopre anche il limite più grande che nessun uomo può fuggire, la morte.

E così inizia la più straordinaria avventura alla ricerca di una vita che non finisca mai.

La pecora arrabbiata

Fra le nuove nate del gregge ecco che troviamo la pecora nera, non solo ha il pelo scuro ma anche l’umore ombroso.

Riuscirà Fortunata, la protagonista, a trovare tra tante pecore qualche amica che l’aiuti a scoprire la bontà e la bellezza di quello che c’è? Il racconto è ricco di simpatiche situazioni ed è scritto con un delicato stile umoristico.

Il nipote del mago di Clive Staples Lewis

Della saga Le cronache di Narnia . Il libro narra delle avventure di due bambini, Digory e Polly, nella terra di Narnia. Grazie all’aiuto reciproco riescono a portare a termine la missione affidata loro dal leone, Aslan, e a scoprire l’importanza dell’amicizia e della generosità. Il rapporto tra i due protagonisti cresce nel corso della storia ed è fondamentale per il buon esito della loro missione, un esempio positivo dell’amicizia tra persone con caratteristiche diverse. È un libro di genere fantastico in grado di mostrare ai bambini come la realtà sia piena di ostacoli e difficoltà, che si possono superare soprattutto grazie all’aiuto di persone che si incontrano lungo un cammino condiviso.

L’estate di Nico

di Luigi Ballerini

È la storia di un’amicizia estiva che rinnova le giornate e rende i due amici Andrea e Nico (Nicoletta) protagonisti di giri a zonzo, di scoperte e di incontri. La compagnia diventa speciale e unica nella condivisione di una missione segreta.

Lotta Combinaguai

di Astrid Lindgren

La storia di Lotta, una bambina di quattro anni, e dei suoi fratelli maggiori è fatta di giornate allegre, di vicende quotidiane ricche di amicizia e di affetto in una casa che, per quello che succede, dovrebbe trovarsi in “via Combinaguai”.

Estrela e il fiore perduto

di Diletta Lago

Un’antica leggenda narra di una goccia di arcobaleno che cade sulla terra.

Si posa sul bocciolo di un fiore, che subito si tinge dei colori dell’arcobaleno e schiude i suoi petali alla luce del sole. Non appena il fiore sboccia, dai suoi petali si libera una dolcissima melodia, capace di risanare le malattie e allontanare i pericoli. Un brutto giorno un’ombra copre il fiore e lo nasconde in un luogo inaccessibile, perché́ nessuno possa trovarlo. Solo una ragazza, la prescelta, riuscirà nell’impresa. La fiaba è apprezzabile per la ricchezza dei temi e la notevole vivacità̀ della narrazione, densa di intrecci fantasiosi ed elementi avventurosi. È riproposto il tema del contrasto tra bene e male. I protagonisti fanciulli sono costretti ad affrontare le prove scoprendo nuovi sentimenti e una maggiore consapevolezza di sé stessi.

RIFLETTIAMO SULLA NOSTRA LINGUA

RIMA QUA, RIMA LÀ

RIMA QUA, RIMA LÀ.

SCRIVI SU, SCRIVI GIÙ.

PENSA E PROVA,

GIOCA E TROVA

LA SIMPATICA PAROLA

CHE NON VUOLE STARE SOLA.

ORTOGRAFIA

Partiamo dai segni

I segni che rappresentano i suoni ci permettono di leggere e scrivere. Nella nostra lingua usiamo questi segni:

ORTO + GRAFIA = CORRETTA SCRITTURA

a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z

Sono le lettere dell’ALFABETO italiano. Tu conosci già altri segni che esprimono i suoni di altre lingue:

j k w x y

Sono lettere che usiamo per scrivere parole straniere, ad esempio in lingua inglese.

Le lettere dell’alfabeto della lingua italiana sono 21: 5 vocali e 16 consonanti.

A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z

Mettere in ordine alfabetico significa ordinare le parole secondo l’alfabeto a partire dalla lettera iniziale.

METTIAMO IN ORDINE ALFABETICO QUESTE PAROLE.

Le lettere possono essere scritte in MAIUSCOLO o in MINUSCOLO

Usiamo la lettera maiuscola:

z all’inizio di ogni frase

Vado al mare

z per i nomi propri (di persona, di animale, di città, paese, via, regione, stato, continente, pianeta, fiume, lago, monte…)

Giacomo , Amelio , Tobia , Tevere , Milano , Alpi

z per i nomi delle festività

Natale , Pasqua

z per i nomi dei film , dei libri, degli spettacoli teatrali

Cattivissimo me , Le avventure di Pinocchio , La regina di ghiaccio

Le lettere possono essere scritte in STAMPATO o in CORSIVO.

Ripassiamo i segni del corsivo che abbiamo imparato e proviamo a usarli con correttezza sulle righe di terza.

Le vocali A , E , I , O , U si combinano con le consonanti e formano le sillabe.

MA TU LI IN ED ON TRA CON PIÙ

Le sillabe sono suoni che si possono pronunciare con un’unica emissione della voce.

Riconosciamo i suoni :

z dolci (ci, ge) o duri (ga, qua) z semplici (ba, ro) o composti (gno, sce, stra) z simili (ve, fe; pa, ba)

Le sillabe si combinano e formano le parole . Le parole si riconoscono per il loro senso

Attento al suono!

ci nema, chi odo ie ri, coni gli etto a bbi amo, a vvi o

Attento al senso!

la, l à faro, far ò anno, h anno

I SEGNI

1. Ripeti il segno con precisione in corsivo.

2. Trascrivi queste parole in corsivo, facendo attenzione a righe e a agganci: Settembre, diario, palestra, merenda, compagni.

3. Scrivi i nomi dei tuoi insegnanti. Ricordati la maiuscola.

4. Riscrivi in ordine alfabetico i seguenti nomi. Sonia, Stefania, Virginia, Tania, Annalena, Lavinia, Daniela, Ascanio, Eugenio, Maylin, Antonio, Ilenia, Erminio, Flaminia, Luca, Diletta, Ilenia, Omar, Pablo

5. Disponi in ordine alfabetico gli alunni della III A. Zambrano, Carabelli, Savini, Rovati, Rossi, Pizzi, Chen, Marai, Carulli, Cislaghi, Ahmed, Giarda, Arena, Travaglino, Romeo, Cantoni, Castiglioni, Manidi, Bennani

6. Correggi il testo inserendo la lettera maiuscola dove occorre.

per il mio compleanno sono andata in gita a venezia con tutta la famiglia. siamo arrivati alla stazione santa lucia e abbiamo camminato fino a piazza san marco. abbiamo visto tante gondole e maschere di colombina. ci siamo seduti alla pasticceria rialto per la merenda. io ho preso un gelato al pistacchio, mio fratello luca una fetta di torta al cioccolato.

Ripassiamo i suoni

Per scrivere correttamente le parole occorre distinguere i suoni, attraverso la voce e la pronuncia.

GN E NI

casta gno  cico gna  gera nio  pa nie re

Davanti alle vocali A E O U la GN non vuole la I.

Fa eccezione la parola COMPA GN I A per distinguersi da COMPA GN A.

GNA, GNE, GNO, GNU-GNIA

vi gna  monta gne gno mo o gnu no

GLI E LI-GL

sco glio  mi gliaia  o lio  ita lia no

Attenzione!

La GL ha anche un suono duro come quello che trovi negli esempi.

gl icerina  gl icine ne gl igenza in gl ese  gl ucosio  gl obo gl assa  gl utine  gl adiolo  gl adiatore  gl oria de gl utire

QUA, QUE, QUI, QUO

Dopo la QU c’è sempre una VOCALE.

qu a dro qu a rto qu a derno

CU + CONSONANTE

Dopo la CU c’è sempre una CONSONANTE.

cu b o cu g ino cu r ioso cu s tode

Fanno eccezione alcune parole ORIGINALI da imparare a memoria.

cuore cuoio cuoco cuocere scuola circuito scuotere percuotere riscuotere taccuino

QQU E CQU

La lettera Q non raddoppia mai, tranne in SO QQ UADRO.

Per raddoppiare, la lettera Q si usa CQU.

ta cqu e na cqu e pia cqu e gia cqu e a cqu isto a cqu istare a cqu isire a cqu irente

Anche la parola ACQUA

e le parole da essa derivate si scrivono con CQU.

acqua rio  acquo lina  acque rugiola sub acque o risci acquo acque dotto

SCIA, SCI, SCIO, SCIU, SCE, SCIE

SCIA , SCI , SCIO , SCIU si scrivono con la I.

scia bola  sci volo  scio gliere a sciu gamano

SCE non vuole MAI la I.

a sce nsore ru sce llo pe sce sce ndere

Fanno eccezione SCIENZA, COSCIENZA, USCIERE e i loro derivati.

GN E NI

1. Completa con GN oppure NI poi riscrivi le parole sul tuo quaderno. casta o, cico a, pa ere, gera o, pru e, spu e,

ra o, ba o, so o, so are, monta e, A ese, ente, Germa a, occhi, macedo a, Virgi a, impe o, inge o, cri era, lasa e, ba ino, ge o, allumi o.

2. Completa scegliendo la parola esatta.

Al mio iniziate a cantare. seniale segnale

Questo quadro è . magnifico manifico

La mia è veramente simpatica. compania Sonia compagna Sogna

La casa delle api si chiama alveare o argna arnia

3. Trova le relazioni e componi le frasi. giardiniere paniere

pagnotte scrutinio pignatta cognome

Antonio gerani Il giardiniere annaffia i suoi gerani insegnanti condominio

signore ingegnoso

ragioniere alluminio

ingegnere colonia

4. Leggi le parole, pronuncia bene il suono, evidenzia GLI o LI, poi inseriscile nella colonna giusta.

olio, cavaliere, coniglio, foglio, figlio, dalia, meraviglioso, giglio, biliardo, scoglio, migliaia, italiano, vaniglia, cespuglio, tovaglia, milioni, ciliegio, miliardi. GLI LI

5. Scrivi dei nomi propri di persona che contengono LI.

Ricordati che GUGLIELMO E GUGLIELMINA sono gli unici nomi propri di persona che vogliono GLI.

6. Leggi con attenzione queste parole e sottolinea il suono GL. glicerina, glicine, negligenza, inglese, glucosio, globo, glass a, glutine, gladiolo, gladiatore, gloria, deglutire.

QU, CU E CQ

1. Completa le parole delle seguenti frasi inserendo QUA, QUE, QUI, QUO.

1. Nella gara di nuoto Arianna è arrivata rta, Eleonora nta.

2. nti dri puoi contare sulle ttro pareti della mia sala?

3. Lo s llo improvviso del telefono mi ha svegliata alle cin .

4. rcia e se ia sono due alberi dal tronco alto e possente.

5. Sulla cattedra della maestra ci sono ttordici derni a dretti, ndi ne mancano cin .

6. « lcuno sa dirmi lcosa sulla preistoria?».

7. Il cielo tran llo fu s rciato da un improvviso temporale.

2. Componi delle frasi, scegliendo tra queste coppie di parole. cucina - cugino; cucciolo - cuccia; cucitrice - cucito; cura - custode; cumulo - cunetta; cupola - curva; cucchiaio - curioso; cuffia - cute.

3. Completa le parole mettendo QU e CU.

CU scino, QU indici, adrato, stode, lla, cina, aderno, gino, aglie, s illi, Pas ale, cin e, s alo, a ilone, riosare, arantacin , bo, artiere, a to, antità, citura, riosità, ieto, atto, nicolo, cin antacin e, stodire.

4. Completa il cruciverba con le parole con CQU. Riscrivi accanto alle definizioni le parole che hai trovato divise in sillabe.

1. Terza persona singolare, tempo presente, modo indicativo di sciacquare.

2. Liquido usato come solvente.

3. Viene davanti a una pietanza appetitosa.

4. Pioggia breve e impetuosa.

5. Può essere potabile e disseta.

6. Si trova in casa e ci vivono i pesci.

7. Distribuisce l’acqua da un luogo a un altro.

8. Si fa in negozio.

PAROLE NASCOSTE

SUONI DOLCI DI SC

1. Cerca parole con i seguenti suoni:

SCI+A scia rpa,

SCI+O scio lto,

SCI+U a sciu tto,

SCI sci roppo,

SCE sce netta,

2. Leggi tutte le parole, poi sottolinea solo quelle che contengono SCI e SCE distinguendole con due colori.

passero, sciatore, ascensore, guscio, ruscello, asciutto, sceriffo, sigaro, asino, coscia, scala, cuscino, sciarpa, scatola, casco, piscina, scopa, piselli, scimmia, sigaro, siringa, bosco, pescecane, esca, sciocco, scendere, scivolo, scudo, ascella, secondo, sicuro, sciame, scodella, asciutto, assenza, sciroppo.

3. Completa con SCE o SCIE.

cre nte, fa , lta, adole nza, mi la, co nza, cono nte, ma lla, a , nza, vi re, a nsore, ntifico, inco nte, ttro, fanta nza, gliere, u re, ricono nza.

Componi alcune frasi o una piccola storiella utilizzando otto delle parole completate.

4. Cerca cinque parole per ogni categoria che contengano i suoni SCE e SCIE.

NOMI

AGGETTIVI

VERBI

5. Completa le frasi con le parole date. scienza, scienziato, coscienza, incosciente, usciere, fantascienza, conoscere, strisce, ruscello, conoscenze, scene, scimmie, coscia, pesci, sciagura.

1. L’ dell’hotel deve le lingue straniere.

2. La mia non mi fa commettere azioni da

3. Lo allarga le della

4. In quel nuotano piccoli d'acqua dolce

5. I lemuri sono con la coda a .

6. Il pilota dell'aereo è riuscito a evitare

una

I suoni C e G

Abbiamo imparato che la c e la g hanno suoni diversi a seconda delle vocali che seguono.

Suono duro  ca, ga co, go cu, gu

Suono dolce  ce, ge ci, gi

Sai che devi usare z la i per rendere il suono dolce cia, gia, cio, gio, ciu, giu z l’ h per rendere il suono duro chi, ghi, che, ghe

CE E CIE

La sillaba CE si scrive senza la I.

ce nere rapa ce

Alcune parole, però, fanno eccezione e vogliono la I.

cie lo  cie co cro cie ra superfi cie  suffi cie nza insuffi cie nza ar cie re suffi cie nte spe cie  bra cie re so cie tà effi cie nza ( capacità )

pasticc ie re ma anche pasticc e re

GE E GIE

La sillaba GE si scrive senza la I.

ge nerale  ge ografia

Alcune parole, però, fanno eccezione e vogliono la I.

i gie ne rag gie ra formag gie ra effi gie ( ritratto )

CIA E GIA

Osserviamo le parole che terminano in CIA e GIA preceduti da una vocale.

farm a cia b u gia

Al plurale mantengono la vocale I.

farmacia  farma cie bugia  bu gie

Osserva le parole che terminano in CIA e GIA preceduti da una consonante.

ara n cia fra n gia

Al plurale perdono la I.

arancia  aran ce frangia  fran ge

Ricorda!

Al plurale i nomi che terminano con -cia e -gia mantengono la “i” se -cia e -gia sono precedute da vocale ; perdono la “i” se -cia e -gia sono precedute da consonante CO E GO

I nomi maschili che terminano in -co e -go possono formare il plurale in -ci , -chi , -gi , -ghi

mani co  mani ci bu co  bu chi astrolo go  astrolo gi ma go  ma ghi

Se non sei sicuro, controlla sul dizionario!

I SUONI C E G

1. Cerchia nelle seguenti parole la lettera che precede i suoni CIA e GIA, poi forma il plurale.

ma n cia  man ce (senza i)

mancia, pioggia, lancia, valigia, roccia, spiaggia, pancia, bilancia, miccia, quercia, boccia, pelliccia, scheggia, buccia, chioccia.

2. Scrivi una frase con le seguenti parole. Puoi usarle anche nella forma plurale: pancia, valigia, doccia, camicia, pioggia, ciliegia.

3. Osserva la lettera che precede CIA e GIA: circondala in se è una vocale e in se è una consonante. Sul tuo quaderno, poi, trasformale al plurale. pancia, farmacia, ciliegia, spiaggia, mancia, valigia, focaccia, chioccia, quercia, pioggia, bugia, reggia, doccia, frangia, faccia, socia, grattugia, scheggia, pelliccia, ferocia, boccia, guancia, tecnologia.

4. Volgi al plurale i seguenti nomi con i rispettivi articoli. la roccia l e rocc e la focaccia

la valigia la frangia

la guancia

la bugia

il circo il medico

il dialogo il monaco

il farmaco l’astronomo

5. Completa con CIE o CE.

1. Il lo stellato è meraviglioso.

2. La prossima settimana partiremo per una cro ra sul Nilo.

3. Il papà compra una corni per il quadro.

4. Il camion è bloccato in un vicolo co.

5. Per colazione in Inghilterra preparano uova e pan tta.

6. Da bambino si fermava ogni giorno davanti alla pastic ria del suo paese.

7. Il lo in autunno è plumbeo.

6. Prova a spiegare con le tue parole, oppure aiutandoti con un dizionario, il significato delle seguenti parole.

CELO nascondo

CIELO

CAMICE

CAMICIE

CIECO

CECO

7. Cancella la forma sbagliata fra quelle proposte.

1. In primavera gli alberi si coprono di gemme / giemme.

2. Per evitare le malattie è importante curare l’igiene / igene.

3. Sulle monete dell’antica Roma c’era l’effige / effigie dell’imperatore.

4. Ho comprato un bellissimo braccialetto d’argento / argiento.

5. Spesso a giennaio / gennaio nevica.

6. A Lucia piace molto il gelato / gielato al cioccolato.

Riscrivi le frasi corrette sul quaderno.

8. Sottolinea nel breve brano le parole con GIE.

Il dentista Gerardo prestava molta attenzione all’igiene dentale. Gli strumenti che usava venivano igienizzati ogni mattina e disposti in bell’ordine a raggiera accanto alla poltrona da dentista.

Riscrivi sul quaderno le parole che hai trovato, inserendole in frasi nuove.

9. Ricopia sul quaderno le seguenti parole, poi trasformale al plurale. roccia, farmacia, frangia, grigia, caccia, faccia, freccia, ciliegia, bambagia, arancia, valigia, pioggia, cuccia, lancia, torcia, loggia .

10. Colora la casella che contiene la forma corretta nella coppia di parole.

arance arancie cieco ceco

acacie acace crociera crocera

cieste ceste braciere bracere

superficie superfice sufficiente sufficiente

società socetà cielo celo

acieto aceto cientro centro

specie spece ciedola cedola

Le doppie

Osserva queste parole:

se t e  se tt e ca m ino  ca mm ino to r i  to rr i

ca s a  ca ss a pa l a  pa ll a so n o  so nn o

Le consonanti possono raddoppiare quando il suono si prolunga o si accentua. Abituati a riconoscerle e prova a mettere e togliere una doppia per sentire il suono diverso.

Le consonanti G e Z non si raddoppiano mai davanti a IONE (gione/zione).

Pianta gione , carna gione , pri gione , reli gione, a zione , organizza zione , cola zione , vegeta zione

TI RICORDI DI ME? GNOMO

Le sillabe permettono di spezzare la parola per andare a capo.

LE DOPPIE E LE SILLABE

1. Trova cinque parole per ogni suono di doppia.

z BB

z CC

z FF

z RR

z TT

2. Trova cinque parole per ogni suono.

GIONE

ZIONE

3. Indovinelli. Risolvili, facendo attenzione alle doppie .

Una razza di cani molto bassi: B A S S O T T O

Si infilano nelle asole: B N .

Si tira in rete: P N

Parapioggia: M L

Il verso del leone: R T .

Il piccolo della pecora: G N

La moglie del nonno:

Va da lunedì a domenica: S I

4. Completa usando una delle parole tra parentesi.

1. La mamma accese il fuoco nel (cammino / camino)

2. Ieri (note / notte) ho sentito le (note / notte) del cucù.

3. Dopo quella corsa avevo una gran (sete / sette)

4. Quei bambini non hanno mai (sono / sonno) .

5. Lucia ha un (fioco / fiocco) nei (capelli / cappelli)

5. Trova tu un’altra coppia di parole, poi componi una frase con ogni parola.

CASA CASSA POLO POLLO NONO NONNO

6. Dividi in sillabe i nomi di questi animali: Asino, oca, anatra, vipera, bufalo, cicala, ghepardo, formica, lontra, gatto, farfalla, gallina, coccodrillo, squalo, tigre, scimmia, leone, piccione, aquila.

7. Riscrivi la poesia, dividendo ogni parola in sillabe. Conta quante sillabe per ogni riga.

Nel settembre generosa, ora la terra si riposa sotto un fremito di foglie.

F. Castellino

riga 1:

riga 2:

riga 3:

Il rovo ha le foglie porporine nel bosco mezzo verde e mezzo giallo; il cespo delle rose, tutto spine, risplende con le bacche di corallo.

M. Mazza

riga 1:

riga 2:

L’accento

Ogni parola che pronunciamo ha un accento.

bili à rdo scr ì vere migli à ia

Nella lingua italiana, l’accento si scrive solo quando cade sull’ultima vocale.

andr à  perch é  cos ì  sar ò  Per ù pap à

MONOSILLABI E ACCENTI

Le parole formate da una sola sillaba, i monosillabi (mono = una), hanno l’accento sulla vocale in fondo alla parola.

Se la vocale è una, non serve l’accento.

bl u  f a  f u  n o  s a  s o  st o

st a  s u  v a d o  r e  tr e

Se le vocali sono due, è necessario mettere l’accento.

c iò  g ià  g iù  p iù  p uò

Ci sono dei monosillabi che indicano parole diverse. Il suono è lo stesso ma è diverso il senso , il significato della parola.

Attento al senso!

Per mettere l’accento sui monosillabi non basta sentire il suono, ma occorre capire il senso.

Ricorda!

ACCENTO NO

di preposizione semplice

ACCENTO SÌ

È il compleanno di mia sorella. dì : giorno

li pronome : loro

Li ho visti stamattina! lì

congiunzione : unisce nomi o frasi

e

Io sono amica di Elisa e Alice. è

ne pronome

Ci sono degli scoiattoli: ne ho visto uno!

se congiunzione ipotetica

Se non è zuppa è pan bagnato.

te pronome

Io voglio bene a te

si pronome : accompagna un verbo

Un bel dì ti incontrai.

avverbio : in quel luogo

Lì ci sono i girini.

verbo : essere

Questa giornata è bella!

congiunzione : neppure

Non volevo né la banana né la pera.

pronome : sé stesso

Alla mattina Francesco si lava. sì

la articolo determinativo

La bottega è chiusa.

da preposizione semplice

Vado da mio nonno.

Ognuno ha un cuore buono dentro di sé

nome : bevanda

Noi facciamo il tè letterario.

avverbio : affermazione

Io ti dico di sì

avverbio : in quel luogo

Là c’è la mamma.

verbo : dare

Il nonno dà sempre la mancia.

L’ACCENTO

1. Leggi attentamente il brano a voce alta. Gli accenti sono stati tolti: rimettili al posto giusto dopo aver sottolineato le parole scritte in modo sbagliato; riscrivi le parole corrette segnando l’accento con un colore.

Quando l’Ondina capi che non avrebbe potuto in alcun modo sfuggire al pescatore incomincio a piangere e supplico: «Lasciatemi andare poiche io sono l’unica figlia di un Re, e il padre mio, e vecchio e solo».

Ma il giovane pescatore rispose: «Non ti lascero andare prima che tu mi abbia fatto una promessa: ogni qualvolta ti chiamero, tu verrai e canterai per me, poiche i pesci si rallegrano al canto della Gente Marina, e cosi le mie reti saranno sempre piene».

«Mi lascerai andare davvero se ti prometto questo?» grido la piccola Ondina. «In tutta verita io ti lascero andare» disse il giovane pescatore.

Allora ella fece la promessa. Ed egli allento la stretta delle sue braccia e l’Ondina, tutta tremante di paura, si rituffo nell’oceano.

ì ,

Oscar Wilde, Racconti , Bur cap

2. Andiamo a caccia di accenti!

1. Fa rima con: A sofà, papà, . E cioè, I così, O pedalò, . U Perù,

2. Alcuni giorni della settimana: lunedì,

3. I numeri che finiscono con tre: settantatrè, millequattrocentotrè,

4. Verbi al tempo futuro: parlerò,

5. Verbi al tempo passato remoto: cascò,

6. Parole che con l’accento cambiano di significato: Como - comò, cerchio - cerchiò,

3. Oggi è il compleanno di Nicolò e i suoi amici gli stanno organizzando una festa a sorpresa. Utilizza i seguenti monosillabi per completare le frasi.

NO PUÒ GIÀ PIÙ QUI SÌ QUA STA

1. Quasi tutti gli invitati sono arrivati.

2. Arriva anche Margherita e chiede: «È la festa?».

3. « , vieni ad aiutarci a preparare »

4. «Giosuè, appendi le bandierine !»

5. «Pietro gonfiare i palloncini?»

6. « , ma li posso gonfiare io».

7. «Nascondiamoci tutti, Nicolò arrivando!»

8. «Sorpresa!!!» Per Nicolò è il bel compleanno mai avuto.

4. Scrivi una frase con: LÀ (luogo) e LA (articolo), con DÀ (verbo) e DA (preposizione semplice), con DÌ (giorno) e DI (preposizione semplice).

5. Cerchia i monosillabi accentati.

Laggiù è caduta molta neve.

1. Non parlo né spagnolo né francese.

2. Spero di andare lì in vacanza.

3. Che disordine! I vestiti sono sparsi qua e là.

4. Tutti i dì Luigi fa colazione con latte e biscotti.

5. Un proverbio dice: «Chi fa da sé fa per tre!».

6. La nonna mi dà sempre qualche dolcetto.

7. Sì, ci vediamo al parco nel pomeriggio.

6. Metti l’accento dove occorre.

1. Quassu e caduta molta neve.

2. Anna non puo piu usare l’ombrello perche e rotto.

3. Quest'estate non andro ne al mare ne in montagna, ma restero in citta.

4. Oggi sto bene e domani tornero a scuola..

5. Letizia da da mangiare al suo cane tutte le sere.

6. Gli zii di Giorgio sono gia arrivati alla stazione.

7. In Cina e la stagione della raccolta del te.

8. La mia casa è quella la!

9. La in fondo abita il mio piu caro amico.

10. Mi mancano solo le figurina ventitre e centotre.

7. Completa con il monosillabo adatto.

DA / DÀ

DI / DÌ

SI / SÌ

SI / SÌ

NE / NÉ

NE / NÉ

LI / LÌ

LI / LÌ

LA / LÀ

LA / LÀ

SE / SÉ

SE / SÉ

TE / TÈ

TE / TÈ

DA / DÀ

1. Oggi pomeriggio andrò Anna Lidia.

2. Questo gioco è Pietro.

3. Alla mattina Greta pettina.

4. Ho chiesto ad Adele se potevo giocare con lei, mi ha detto .

5. Non gioco a tennis a padel.

6. Carolina se ricorda sempre.

7. La mia casa è proprio in fondo.

8. passo a prendere io.

9. Guarda : si vede il Cervino!

10. nostra classe è al secondo piano.

11. non sarete stanchi, ci vedremo stasera.

12. Chi fa da fa per tre!

13. Ho preso in prestito il tuo libro. lo ridò domani.

14. Ogni pomeriggio a casa mia si beve il con i biscotti.

15. Se il papà mi il permesso vengo a casa tua.

L’apostrofo

Si apostrofano gli articoli LO , LA , GLI , UNA.

l a arte  l’arte  l o orso  l’orso  gl i indiani  gl’indiani un a amica  un’amica  un a asola  un’asola

Attenzione!

L’articolo indeterminativo maschile UN non si apostrofa mai davanti a parole che iniziano per vocale: un amico, un armadio, un albero.

Si apostrofano le preposizioni semplici DI e quelle articolate formate con gli articoli LO e LA.

d’ argento  d’ arancia  d’ oro (l’aggettivo dorato è una parola unica) dell’ oca  dall’ amica  nell’ antichità  nell’ armadio

Si apostrofano gli aggettivi.

quest’ occhio  quell’ albero  grand’ uomo  sant’ Antonio  bell’ amico  vent’ anni

UN PO’

La parola poco può essere troncata (tagliata) e diventare po’.

un poco di torta  un po’ di torta

GRAN, BEL, BUON…

Alcune parole, come ad esempio gli aggettivi grande e bello , possono perdere la lettera o la sillaba finale per accordare il suono senza bisogno dell’apostrofo.

buon compleanno  buon uomo  gran traffico  bel giorno

Attenzione!

L’espressione QUAL È non si apostrofa mai.

L’APOSTROFO

1. Completa con l’articolo indeterminativo adatto. Attento all’apostrofo! Un mercato strada zio merenda aquila armadio ostacolo squalo stagione orsa uovo esploratore esploratrice auto imbuto amico occasione anniversario opera elenco iniziativa aeroplano ufficio unicorno amicizia ospedale amica orologio unghia arcobaleno

2. Segna l’apostrofo dove è necessario.

1. Mi passi un po di pane?

2. Ho ordinato un insalata e un uovo in camicia.

3. Hai avuto un idea magnifica!

4. Sto organizzando un incredibile sorpresa per Alice!

5. Amo passeggiare d inverno per la città.

6. Ci è costato un occhio, ma non vale un acca!

7. Il gallo ha cantato all alba.

8. È un eccezione che conferma la regola.

3. Completa le frasi con C’È, CI SONO, C’ERA, CERA, C’ERANO.

1. Attenti a non scivolare perchè ho passato la sul pavimento.

2. Tanto tempo fa non la televisione.

3. Oggi per pranzo gli gnocchi al pomodoro.

4. L’altro giorno in giardino dei bambini che giocavano a calcio.

5. Le candeline sulla torta sono di

6. Oggi a scuola non Carolina.

7. Nella baita in montagna un camino e una slitta.

4. Inventa una frase con ognuna delle seguenti espressioni.

c’è c’era

ci sono

c’erano

dov’è qual è qual era

5. Inserisci C’ERA o CERA, C’È o CE, S’ERA o SERA.

1. Le api producono la per fare le candele.

2. A teatro molta gente.

3. una volta, in un regno lontano, una bellissima principessa.

4. qualcosa che non va.

5. lo confermeranno domani se verranno a cena da noi.

6. Rosso di bel tempo si spera.

7. Erano solo le otto di e Luca già addormentato .

6. Mentre leggi ad alta voce le seguenti frasi, soffermati laddove, secondo te, è necessario ricorrere all’elisione e correggi.

1. Ci è un bel sole.

2. Ha un bello anello.

3. Ce ne è per tutti!

4. Da ora in poi pensaci tu!

5. Lo aspetto è gradevole.

6. Lo credo anche io.

7. È la più grande isola di Italia.

L’h del verbo avere

Ci sono solo quattro parole della lingua italiana che iniziano con la lettera H e appartengono tutte al verbo avere: HO, HAI, HA, HANNO

La lettera H iniziale deriva dal verbo AVERE latino: HABERE.

Come riconosco se ci vuole l’H?

Occorre riconoscere se è voce del verbo avere.

HO O O?

Siamo aiutati anche dal suono diverso.

HO = suono aperto

Ho visto un gatto nero.

O = suono chiuso

Vuoi la biro nera o la biro blu?

Per riconoscere il verbo avere, cambiamo il tempo presente con il tempo imperfetto.

HA O A?

Il suono è identico, quindi proviamo a sostituire con AVEVA.

HA = verbo avere

Federica ha un pesce rosso. 

Federica aveva un pesce rosso.

A = preposizione semplice

vado a scuola  torno a casa  gioco a carte

HAI O AI?

Il suono è identico, quindi proviamo a sostituire con AVEVI.

HAI = verbo avere

Hai fame.

 Avevi fame.

AI = preposizione articolata

Sono andata ai giardini pubblici.

HANNO O ANNO?

Ci domandiamo: «È inteso l’anno di 12 mesi?».

HANNO = verbo avere

I bambini hanno il raffreddore.

 I bambini avevano il raffreddore.

ANNO = nome (12 mesi)

Ogni anno cambiamo la classe.

Ricorda!

-ARE, -ERE, -IRE L’ACCA FAN FUGGIRE! a mangiare, a bere, a dormire

-ATO, -ITO, -UTO L’ACCA HAN VOLUTO! ha mangiato, hai bevuto, ho dormito

L’HO L’HAI L’HA L’HANNO

Il suono degli articoli LA e LO è lo stesso delle espressioni L’HA e L’HO L’ANNO si legge come L’HANNO , ma il significato è diverso.

l’anno scorso i nostri compagni hanno perso la coppa, quest'anno l’hanno vinta

Devi fare attenzione al senso di quello che scrivi e riconoscere il verbo avere.

Come fare a distinguere?

Se LA e LO sono articoli, dopo ci sono dei nomi.

la mela lo zio

Se L’HA e L’HO contengono il verbo avere, dopo ci sono altri verbi.

l’ha mangiato l’ho pulito l’ha voluto

L’H DEL VERBO AVERE

1. Il verbo avere e l’H . Scopri il senso e riordina le frasi.

Attento a dove metti il verbo avere!

1. scuola Luca a la mangiato merenda ha.

2. nonni cornice regalato ai una hai Natale a.

3. per un i amici miei cucina anno hanno frequentato di corso il.

4. o non capito ho vuoi: latte cioccolata?

2. Completa con HO oppure O.

1. Vi piacerebbe mangiare il tiramisù il gelato?

2. Ieri sera visto un film bellissimo!

3. Verrò con Sara con Chiara.

4. Andrai al mare in montagna?

5. Non ancora deciso dove andrò in vacanza.

6. Dovete dirmi se sarete quattro cinque per cena.

3. Completa con HAI oppure AI.

1. raccontato alla mamma cosa fatto oggi?

2. Andiamo a giocare giardinetti.

3. finito di fare i compiti?

4. dato l’acqua fiori?

5. bambini piace giocare giochi di società

4. Completa con HA / A .

1. Vado casa.

2. La mamma preparato una cena squisita.

3. Il treno che porta Firenze un ritardo di dieci minuti.

4. Ci vediamo settembre!

5. Torna casa mettere in ordine la tua camera!

6. Maria imparato la poesia Natale.

5. Completa con HANNO / ANNO .

1. Le classi terze la gita al museo.

2. Le mie amiche lo stesso diario.

3. In quale sei nato?

4. Stiamo preparando la festa di fine

5. Da qualche si allenano e finalmente vinto la medaglia d'oro.

6. Quest’ gli alunni studiato molto e avuto buoni risultati.

6. Inserisci O/HO, A/HA, AI/HAI, ANNO/HANNO.

1. Per festeggiare vorresti mangiare casa in pizzeria?

2. sete!

3. visto un tramonto bellissimo!

4. Spedisco una cartolina nonni.

5. Ci vediamo questo pomeriggio giardini.

6. voglia di andare scuola!

7. Ambrogio preparato la cena.

8. Il treno che porta Roma un ritardo di trenta minuti.

9. Da settembre giugno frequenterò un corso di chitarra.

10. Le mie vicine di casa un cane.

11. In quale sei nato?

12. Stiamo preparando dei giochi per la festa di fine

13. I bambini di III C vinto la partita.

7. Riscrivi le frasi sul quaderno trasformando il verbo avere al tempo presente.

Finalmente ti rendi conto che AVEVA ragione tua madre!

Finalmente ti rendi conto che HA ragione tua madre!

1. A Cesare piaceva giocare a pallone, ma non AVEVA fatto tutti gli allenamenti.

2. Chi AVEVA fatto il puzzle? Aiutatemi almeno a raccogliere i pezzi.

3. Alcuni non AVEVANO capito che i mondiali di calcio non sono ogni anno.

4. Dopo un anno di allenamento tutti i giocatori AVEVANO raggiunto un buon grado di preparazione.

5. Che cosa AVEVANO di macchiato quei pantaloni?

6. Rebecca, AVEVI completato l’esercizio?

7. AVEVI bisogno di aiuto?

8. Ti AVEVO visto ieri al parco.

8. Completa: attento all’H!

1. Riccardo fatto una lunga passeggiata.

2. Preferisci il tè caldo freddo?

3. Abbiamo dato il nostro aiuto bambini di I.

4. Quest’anno andremo Venezia.

5. tanto sonno.

6. miei compagni piace giocare calcio.

7. Non tutti interessa questo film.

8. Il leone la criniera.

9. L’ prossimo saremo in IV.

9. Sul quaderno riscrivi sostituendo il nome che si ripete con L’HO, L’HAI, L’HA, L’HANNO.

Ho preparato un panino : ho aperto il panino , ho imbottito il panino con il prosciutto, ho mangiato il panino , ho finito in fretta il panino , ho gustato molto il panino . Sostituisci “un panino”. Ho preparato un panino: l’ho aperto, l’ho imbottito con il prosciutto, l’ho mangiato, l’ho finito in fretta, l’ho gustato molto.

1. Ho letto un libro : ho aperto il libro, ho sfogliato il libro, ho letto il libro pagina per pagina, ho concluso il libro; ho trovato il libro un po’ noioso.

2. Il gelato alla fragola è buonissimo: hai comprato il gelato? Hai assaggiato il gelato? Hai trovato il gelato buono?

3. Il nonno ha seminato l'insalata, ha concimato l'insalata, ha annaffiato l'insalata, ha raccolto l'insalata, ha mangiato soddisfatto l'insalata.

4. L’acqua è stata molto importante per gli uomini delle civiltà fluviali perché hanno usato l’acqua per coltivare, hanno raccolto l’acqua in bacini, hanno fermato l’acqua con le dighe, hanno distribuito l’acqua attraverso dei canali.

10. Completa scegliendo tra gli articoli LO, LA oppure tra L’HO, L’HA.

1. Ho visto zia, salutata e ringraziata per il regalo.

2. Questa è macchinina di Martino: comprata e poi dimenticata a scuola.

3. Hai paura? Perché non me detto prima?

4. Che bel vestito, dove comprato?

5. nonna ha preparato una torta e cotta nel forno.

6. Hai una gomma da prestarmi? No mi spiace, non ce

7. Mi spiace, la lettera scritta ma non ce fatta a imbucarla.

8. Ho perso l’astuccio: l’ultima volta visto in sala. visto per caso? Sì, ce io, avevo bisogno di una gomma. Eccolo!

11. Inserisci L’HO, L’HA, L’HAI, L’HANNO e ricopia le frasi sul quaderno.

1. Questo libro te regalato gli zii per il tuo onomastico.

2. No, ho detto che non trovato il tuo quaderno.

3. Non avete più il pallone perché ve sequestrato!

4. vista anche tu quella stella cadente?

5. Ve già spiegato decine di volte!

6. Che bella collana! Chi te regalata?

7. Quando Laura me raccontato, tu che cosa hai pensato?

8. Te detto che verranno a trovarti domani?

METTITI ALLA PROVA

1. Completa con SC, GN, GL.

Pe vendolo pru e a gamano so atore

coni o co ome olo ru llo bava olo

fami ia

2. Completa con CU, QU, CQU.

S ola suba eo tran illità erizia oca a ario e atore ore a ua

3. Continua la catena di rime con lo stesso accento.

Però, parlò,

Maestà, velocità,

Perché, bebè,

4. Completa con È, E, C’È, C’ERA, C’ERANO.

A pranzo ieri il pollo, oggi l’arrosto.

L’arrosto gustoso saporito. Ieri i grissini, ma non il pane; l’acqua gasata o liscia?

Non la Coca-cola?

5. Completa con HO, O, HA, A, HAI, AI, HANNO, ANNO.

Ieri giardini incontrato un mio compagno

dell’ scorso. Abbiamo giocato fino quando

mi punto una vespa; urlato di dolore ma non pianto. la mamma mi portato in farmacia e mi messo una pomata che le indicato.

Stamattina la mamma mi chiesto: “ ancora male?”

Le risposto di no e sono venuto scuola.

MORFOLOGIA

Le parole hanno tante forme e le possiamo raccogliere in diversi gruppi o parti.

Alcuni gruppi già li conosciamo, altri li conosceremo quest’anno:

mamma, leone, sole, amicizia, forza… sono NOMI

il, lo, la, i… sono ARTICOLI

giocare, vedere, mangiare, pensare… sono VERBI

MORFO + LOGIA = FORMA della PAROLA

a, di, da, con… sono PREPOSIZIONI

Le parole si combinano; per accordarsi, alcune si modificano, cambiano la forma (di solito nella parte finale).

l a bambin a l e bambin e un bambin o alcun i bambin i

Nella lingua italiana ci sono parole, come i nomi e i verbi, che si modificano: sono le parti variabili

Ci sono parole, come le preposizioni e le congiunzioni, che non si modificano: sono le parti invariabili .

L’articolo

Una bella mattina il vecchio topo d’acqua mise la testa fuori dal suo buco. Aveva gli occhi scintillanti e rigidi baffi grigi e la sua coda sembrava un lungo pennello nero. Alcuni anatroccoli nuotavano nello stagno e sembravano tanti piccoli canarini e la loro madre insegnava loro come tenere la testa eretta sull’acqua.

Hans Christian Andersen, Il brutto anatroccolo

Una , il , la , gli , un … sono ARTICOLI.

Gli articoli DETERMINATIVI sono

IL LO LA per il singolare

I GLI LE per il plurale

Gli articoli INDETERMINATIVI sono

UN UNO UNA per il singolare

DEI DEGLI DELLE per il plurale

L’articolo è quella parola che accompagna e concorda con il nome nel genere (maschile o femminile) e nel numero (singolare o plurale).

ARTICOLI

1. Cerchia nel testo gli articoli e analizzali.

Aveva un pappagallo di trent’anni, molto grazioso, con un piumaggio variato dove predominava il verde, ma non mancavano il giallo e l’azzurro e perfino una pennellata di rosso.

2. Completa le frasi con gli articoli mancanti.

1. Al mercato ho comprato spinaci e banane.

2. mio amico Tommaso ha trovato moneta antica.

3. Ieri Sandro ha incontrato strano tipo con baffoni rossi e cappello arancione.

4. Diletta, sorellina di Luca, è andata al mare con suo monopattino.

5. Ho visto barca in mezzo al mare con vele colorate.

3. Scrivi, prima di ogni nome, l’articolo determinativo corretto.

L’ usignolo xilofono interrogazione uomo studente maestra astrologo elefante compito gnocchi scrivania interrogazioni amica indiano eroe

4. Cerchia l’articolo corretto, poi ricopia sul quaderno e trasforma al plurale.

Il / lo / i / gli scienziato Lo scienziat o  Gli scienziat i

z Il / lo / i / gli gnocco

z Il / lo / i / gli zaino

z Il / lo / i / gli psicologo

z Il / lo / i / gli spogliatoio

z Il / lo / i / gli pneumatico

z Il / lo / i / gli zoccolo

5. Sul quaderno riscrivi i nomi premettendo l’articolo indeterminativo corretto. Attento ai nomi femminili!

Un’ oliva, un infermiere

oliva, infermiere, orchestra, isola, operaio, acacia, orchidea, animo, unghia, arteria, ortolano, alba, arpa, ancora, incudine, armonica, uomo, asse, ascia.

6. Collega i seguenti nomi agli articoli indeterminativi corretti e colorali con lo stesso colore. UN, UNO, UNA.

scoppio maestra straccio gioco cena minestra uccello struzzo zebra amico elefante orto

7. Trasforma al femminile.

Un ors o  Un’ ors a

Un arancio

Un astronomo

Un albicocco

Un esploratore

Un automobilista

Un attore

8. Premetti l’articolo indeterminativo ai nomi elencati. eroe, astrologo, osso, gnomo, gnocco, anfora, altalena, riccio, indiano, armadio, orto, aeroplano, aranciata, asta, uomo, imbuto, edera, attaccapanni.

9. Leggi il brano, sottolinea solo gli articoli e analizzali.

Si avvicinava l’inverno. Un uccellino che aveva un’ala spezzata non sapeva dove rifugiarsi. Si portò faticosamente fino al bosco. Il primo albero che incontrò fu la betulla dal manto d’argento.

«Graziosa betulla» implorò l’uccellino. «Vuoi lasciarmi vivere tra le tue fronde fino alla buona stagione?».

La betulla rispose: «Vattene! Ne ho già abbastanza a custodire le mie foglie!».

10. Sottolinea nel brano in gli articoli determinativi e in gli articoli indeterminativi.

Un giorno di festa, un re decise di andare a caccia in un bosco vicino, insieme al figlio e al suo buffone. Poiché il caldo era insopportabile, il sovrano e il principe posero i loro mantelli sulle spalle del buffone. Il re sorridendo gli disse: «Buffone! Hai un carico da asino!» ed egli rispose: «No, signore! Ho il carico di due asini!».

11. Sul quaderno scrivi cinque frasi utilizzando l’articolo e il nome suggerito. un’amaca, un’infermiera, un’amica, un’isola, un’armatura.

12. Nelle seguenti frasi inserisci gli articoli indeterminativi.

Nel freddo mese di gennaio, spesso soffia vento impetuoso che spazza via le nubi. Dalla mia finestra vedo albero spoglio. Sui suoi rami si posa uccellino infreddolito, e poi spicca il volo. Passa sulla strada

automobile veloce e sul marciapiede cammina uomo con cappello e cappotto. Quando esco di casa in giornata nuvolosa, indosso impermeabile e porto con me ombrello.

13. Premetti l’articolo indeterminativo ai seguenti nomi.

Trasformali al plurale usando i seguenti articoli: DEI, DELLE, DEGLI .

Un cobra  dei cobra

cobra, falò, gas, analisi, città, ipotesi, serie, autobus, film, tribù, taxi, sport.

Il nome

Una bella mattina il vecchio topo d’ acqua mise la testa fuori dal suo buco . Aveva gli occhi scintillanti e rigidi

baffi grigi e la sua coda sembrava un lungo pennello nero. Alcuni anatroccoli nuotavano nello stagno e sembravano tanti piccoli canarini e la loro madre insegnava loro come tenere la testa eretta sull’ acqua .

Hans Christian Andersen, Il brutto anatroccolo

Mattina , topo , acqua , testa , buco … sono nomi.

I NOMI sono quelle parole che identificano e distinguono ogni cosa.

IL NUMERO DEI NOMI

Il nome può essere

SINGOLARE (uno) mattina topo

PLURALE (più di uno) anatroccoli occhi

IL GENERE DEI NOMI

Il nome può essere

MASCHILE buco baffi canarini pennello

FEMMINILE testa coda madre acqua

Osserva!

Solo i nomi di persona o di animale possono avere forma sia maschile che femminile. I nomi di “cosa”, invece, hanno forma o maschile o femminile.

la zia, lo zio  il divano, la scopa

Molti nomi hanno una sola forma per il maschile e il femminile.

il cantante - la cantante il pianista - la pianista

Alcuni nomi hanno la forma maschile del tutto diversa da quella femminile.

papà - mamma il toro - la mucca il fratello - la sorella

Molti nomi hanno un diverso significato a seconda del genere.

il caso - la casa il collo - la colla

I nomi delle piante da frutta in genere sono maschili, mentre i nomi dei frutti sono femminili.

il pesco = albero  la pera = frutto

IL NOME PROPRIO

Il lago Maggiore era tranquillo. Saetta , la barca di nonno Emilio , filava veloce sull’acqua. Avevo con me Lilli , che agitava spaventata la sua lunga coda nocciola. Io mi facevo cullare dolcemente dalle piccole onde, mentre mio fratello Andrea remava con forza. Quando poco dopo giungemmo a Intra , il sole era ormai tramontato e, al posto del monte Rosa , si vedeva soltanto una grossa macchia nera.

Maggiore , Saetta , Emilio … sono nomi PROPRI e si scrivono con la lettera maiuscola.

Osserva!

Davanti ai nomi propri di persona non si mette l’articolo. Ci sono tanti tipi di nomi propri: di persona, di città, di fiume, di squadra, di personaggio, di nazione, di regione, di mare, di continente, di animali, di vie, di laghi, di isole.

COME SI ANALIZZANO I NOMI

Quando analizzo un nome, scrivo sempre se è comune o proprio, il genere e il numero.

Gita : nome comune, femminile, singolare.

Emilio : nome proprio, maschile.

NOMI

1. Sottolinea i nomi.

La notte, quando la neve ricopre con il suo manto monti e vallate e il silenzio avvolge l’ampia conca, tutti gli animali della foresta si radunano, Cominciano ad arrivare i falchetti, poi le gazze, i fagiani e gli urogalli: è tutto un frullo d’ali che fa stormire le pinete. Poi scendono dalle cime le volpi argentate, dalle tane sbucano le lepri, i tassi e le marmotte si svegliano dal letargo.

2. Riconosci i nomi propri e riscrivili sul quaderno con la lettera maiuscola. carlo, crema, poesia, po, roma, chiesa, africa, lombardia, mediterraneo, francia, paola, fufy, via montenapoleone, lago di como, sicilia, popolo, ombrello, uva.

3. Sottolinea tutti i nomi nel brano e riscrivili.

Gli Egizi furono maestri nell’architettura.

I templi e le piramidi dimostrano ancora oggi l’abilità dei loro architetti.

La grande piramide di Cheope si trova vicino alla città egiziana del Cairo.

Le piramidi erano le grandi tombe dei faraoni.

Erano costruzioni grandiose, alte come una collina e avevano una forma con la cima a punta.

4. Inserisci i nomi nella colonna giusta, poi trasformali. nonno, moglie, re, cognato, sorella, cugina, papà, zio.

Maschile Femminile Maschile Femminile nonno nonna

5. Inserisci i nomi nella colonna giusta, poi trasformali. pittrice, dottoressa, maestro, imperatrice, attore, poeta, direttore, contadina, scrittore, principessa, giocatore.

Maschile Femminile Maschile Femminile pittore pittrice

6. Questi nomi hanno un significato completamente diverso se si cambia il genere. Con l’aiuto del dizionario, prova a scrivere sul tuo quaderno una frase per ognuno dei due significati.

il pasto  Consumo il mio pasto velocemente. la pasta  Preferisco la pasta al ragù.

1. il mostro - la mostra

2. il pizz o - la pizza

3. il palo - la pala

4. il busto - la busta

5. il velo - la vela

6. il colpo - la colpa

7. Completa la tabella inserendo le forme mancanti.

Maschile

Femminile

7. la banca - il banco

8. il capitale - la capitale

9. il torto - la torta

Maschile

Femminile

il ragazzo la ragazza il padre la madre il bambino il re il gelataio la cugina la lettrice il mago l’allenatore la maestra

lo zio il giornalista la cantante il fioraio il fidanzato il sarto la contadina il suonatore lo sciatore la pianista il regista il panettiere la professoressa il preside la biologa lo studente il segretario l’animatrice

8. Volgi i seguenti nomi nel genere opposto, dove è possibile.

il banano  la banan a il pesco la pera il nocciolo la noce

il castagno il cocco la ciliegia

l’albicocco la prugna

l’arancia

9. Riscrivi i nomi al posto giusto. casa, donne, chiave, leoni, indiano, gatti, forchette, pollo, streghe, bruco, treni, moto, guardie, ladro, spiagge.

SINGOLARE

PLURALE

10. Analizza i nomi nella tabella e metti una “x” nelle caselle corrispondenti. Segui l’esempio.

cozze × × ×

Alberto lampada

Sicilia ombrellone

Grigna compiti

sabbia fiumi

Giuditta montagna

delfino

11. Considerando le caselle segnate con la “x”, inserisci i nomi adatti.

12. Analizza i seguenti nomi come nell’esempio. scrivania Nome comune, femminile, singolare

Cenerentola quaderni

pallone bicicletta

Cervino sciarpe

13. Lavora come nell’esempio.

maestra Nome comune × Maschile Singolare ×

Nome proprio Femminile × Plurale

scrivania Nome comune Maschile Singolare

Nome proprio Femminile Plurale

Tommaso Nome comune Maschile Singolare

Nome proprio Femminile Plurale

quaderni Nome comune Maschile Singolare

Nome proprio Femminile Plurale

pallone Nome comune Maschile Singolare

Nome proprio Femminile Plurale

valli Nome comune Maschile Singolare

Nome proprio Femminile Plurale

cima Nome comune Maschile Singolare

Nome proprio Femminile Plurale

14. Trasforma da maschile a femminile e osserva come cambia il significato.

Maschile Femminile

Maschile Femminile

L'arco Il collo

L'albo Il polpo

Il panno Il torto

Il melo Il punto

Il busto il muto

15. Nelle seguenti frasi sottolinea in gli articoli e in i nomi.

1. Il vento freddo soffia.

2. Il ghiro dorme.

3. Gli alberi hanno i rami spogli.

4. Le giornate sono brevi.

16. Sul quaderno trasforma al plurale i seguenti nomi e articoli. il boa, il lama, il re, la musica, la città, lo sport, il caffè, la virtù, il sosia, il gorilla, l’autobus, il bar, il computer, la civiltà, il papà.

17. Inserisci nelle colonne giuste i nomi con i rispettivi articoli, poi trasformali come nell’esempio.

il pasticcino, la moto, le radio, lo smalto, il libro, i cacciavite, il cavatappi, lo sci, i brindisi, l’oasi, le gru, l’automobile, il cinema.

SINGOLARE PLURALE

il pasticcino i pasticcini

Il verbo

Una bella mattina il vecchio topo d’acqua mise la testa fuori dal suo buco. Aveva gli occhi scintillanti, rigidi baffi grigi e la sua coda sembrava un lungo pennello nero. Alcuni anatroccoli nuotavano nello stagno e sembravano tanti piccoli canarini e la loro madre insegnava loro come tenere la testa eretta sull’acqua.

Hans Christian Andersen, Il brutto anatroccolo

Mise , aveva , sembrava , nuotavano , sono voci dei VERBI.

Mettere , avere , sembrare , nuotare sono VERBI.

Il VERBO è quella parola che dice, che predica, che afferma.

Nella voce del verbo riconosciamo:

Il TEMPO DEL VERBO

Quando?

PRESENTE

PASSATO

FUTURO LA PERSONA DEL VERBO

Chi?

io, tu, egli - ella - esso, noi, voi, essi - esse

LE PERSONE DEL VERBO

Le persone del verbo sono sei: tre singolari e tre plurali.

IO  1ª persona singolare

TU  2ª persona singolare

EGLI - ELLA - ESSO  3ª persona singolare

NOI  1ª persona plurale

VOI  2ª persona plurale

ESSI - ESSE  3ª persona plurale

Io, tu, egli, noi, voi, essi… sono pronomi personali, si usano al posto dei nomi.

Ricorda!

Il verbo e la sua persona devono concordare col numero.

Io parlo. Noi parliamo.

I VERBI ESSERE E AVERE

I verbi ESSERE e AVERE hanno voci (forme) particolari, per questo si dice che hanno una propria coniugazione. Nei testi possono trovarsi coniugati in modo autonomo.

io sono, voi eravate stati, noi saremo io ho, tu hai avuto, essi ebbero

Oppure possono servire come aiuto per i tempi composti degli altri verbi. In questo caso si chiamano verbi ausiliari (ausilio = aiuto).

Ieri ho bevuto. voce del verbo bere Io sono uscito. voce del verbo uscire

LE TRE CONIUGAZIONI

I verbi appartengono a tre coniugazioni: -ARE , -ERE, -IRE

Per imparare a riconoscerle, cerchiamo il modo infinito .

mangio  mangiare leggevo  leggere  avevo dormito  dormire ho saltato  saltare avrò corretto  correggere avevo pulito  pulire

z I verbi che terminano in -ARE appartengono alla 1 a CONIUGAZIONE.

z I verbi che terminano in -ERE appartengono alla 2 a CONIUGAZIONE.

z I verbi che terminano in -IRE appartengono alla 3 a CONIUGAZIONE.

Ricorda!

z I verbi ESSERE e AVERE hanno una CONIUGAZIONE PROPRIA.

z I verbi DIRE e FARE si considerano appartenenti alla 2ª CONIUGAZIONE (dal latino: dire  dicere ; fare  facere ).

COME SI ANALIZZANO I VERBI

Per analizzare un verbo devo dire:

1. la voce del verbo a cui appartiene

2. la coniugazione a cui appartiene

3. il tempo in cui è coniugato

4. la persona che agisce.

Indossano : voce del verbo indossare, 1ª coniugazione, tempo presente, 3ª persona plurale.

Ha capito : voce del verbo capire, 3ª coniugazione, tempo passato prossimo, 3ª persona singolare.

Ero : voce del verbo essere, coniugazione propria, tempo imperfetto, 1ª persona singolare.

VERBI

1. Riconosci i verbi sottolineandoli.

C’era una volta un asinello dispettoso. Gli piaceva essere dispettoso. Qualsiasi cosa gli mettessero sulla schiena la scalciava via e inseguiva la gente cercando di morderla. Siccome non voleva avere padroni, scappò via e si unì a una carovana che percorreva in quel momento la strada.

2. Completa con le persone del verbo adatte.

1. partiremo per le vacanze fra quindici giorni.

2. avevate telefonato, ma ero appena uscito.

3. non sapevano che la palestra era chiusa.

4. attendo mio cugino a casa per giocare.

5. Francesco ed andiamo alla partita di basket: siamo della stessa squadra.

6. e Luisa siete vicine di casa: siete molto amiche.

7. Il cane e il gatto dormono davanti al camino: riposano al caldo.

3. Sostituisci ai nomi comuni e propri scritti in corsivo il pronome personale corrispondente.

1. Il dottore  mi ha visitato ieri.

2. Francesca  mi ha aiutato ad eseguire i compiti.

3. Papà e mamma  sono al lavoro.

4. I poliziotti  hanno cercato di inseguire il ladro, ma è riuscito a scappare.

5. Marco ed io  abbiamo deciso di iscriverci insieme al corso di musica.

6. La pianta  è posta nel vaso davanti alla finestra.

7. Boby è il cane della mia vicina:  abbaia di continuo.

4. Inserisci le persone adatte a ogni voce verbale.

andavo è sorpreso scrivete ridono dormirete abbiamo ricordato

apparecchiate bagnerai laveranno ebbi suonato cadde cucina aveva risposto bevevano avranno promesso canterà hanno chiesto leggemmo

5. Sottolinea nelle seguenti frasi i pronomi personali: in rosso quelli singolari e in verde quelli plurali.

1. Tu ami disegnare i fumetti, noi preferiamo dipingere paesaggi.

2. Domani io andrò allo zoo con la mia famiglia, voi cosa farete?

3. Essi hanno organizzato a casa una bella tombola.

4. Egli ha segnato un gol nell’ultimo minuto della partita.

5. Noi visitammo con curiosità il museo degli animali.

6. Voi avete ammirato un meraviglioso tramonto.

7. Io verrò a casa tua per pranzare insieme.

6. Volgi al singolare i pronomi e trasforma le voci verbali mantenendo il tempo.

Noi (1ª pers. plur.) giochiamo.  Io (1ª pers. sing.) gioco.

1. Essi ( ) rideranno. ( )

2. Voi ( ) avete scritto. ( )

3. Essi ( ) parlarono. ( )

4. Noi ( ) abbiamo lavato. ( )

7. Volgi al plurale i pronomi personali e trasforma le voci verbali mantenendo il tempo.

Io salirò.  Noi saliremo.

1. Egli ha bagnato.

2. Tu sei venuto.

3. Io leggevo.

4. Ella cucina.

8. Quando il verbo essere è da solo può avere il significato di stare, trovarsi, esistere. Trascrivi le frasi sul quaderno e sostituisci al verbo ESSERE un verbo che abbia lo stesso significato.

Il nonno è in casa.  Il nonno si trova in casa.

1. Ancora un momento e sarò da te.

2. Io sono in spiaggia.

3. Non so più dove sono

4. Quando sei in montagna, fai lunghe passeggiate nel bosco.

5. La scorsa settimana la zia era in vacanza.

6. La mamma è dal parrucchiere.

9. Quando il verbo avere è da solo può significare possedere, sentire, provare. Trascrivi le frasi sul quaderno e sostituisci al verbo AVERE un verbo che abbia lo stesso significato.

1. Se hai fame, puoi mangiare della frutta.

2. Potreste aprire il finestrino? Io e Paolo abbiamo caldo.

3. Tu hai uno zaino molto bello.

4. Marco e Franco hanno alcuni giochi di società molto divertenti.

5. Nelle mattine invernali abbiamo molto freddo quando usciamo da casa.

10. Completa con l’ausiliare ESSERE .

1. Il cane nascosto sotto il letto.

2. arrivati l’altro ieri con il pullman.

3. Oggi vi svegliati presto per andare in gita.

4. corso da te appena ho potuto.

5. La neve scesa fitta fitta.

6. Francesco e Maddalena andati insieme alla festa della loro compagna Caterina.

11. Completa con l’ausiliare AVERE .

1. Sofia ed io chiesto scusa alla mamma.

2. Voi mangiato troppa cioccolata.

3. Il gatto catturato un topo.

4. La palla tirata da Fabio rotto il vetro.

5. La maestra scritto alla lavagna il compito.

6. Due anni fa visitato Roma.

12. In queste frasi i verbi essere e avere hanno la funzione di ausiliari. Scrivi nella parentesi la voce verbale corrispondente.

1. Mio fratello ha compiuto ( ) otto anni.

2. Ieri mi sono graffiata ( ) il ginocchio.

3. Luca ha chiesto ( ) a sua sorella una penna in prestito.

4. Noi siamo venuti ( ) a casa tua per festeggiarti.

5. Il cuoco ebbe cucinato ( ) una pasta deliziosa.

6. La mamma ha preparato ( ) la valigia.

7. In estate Piero ebbe visitato ( ) molte città d’arte.

13. Scrivi il verbo all’infinito e indica la coniugazione corretta.

VERBO

studiamo studiare × chiudo disegnava hanno sarà partirà diamo credevo scegli vado

14. Cancella gli intrusi.

I CONIUGAZIONE II CONIUGAZIONE III CONIUGAZIONE

sognare leggere guarire

giocare vincere scrivere mangiare fare finire uscire aprire salire

15. Completa ogni persona con la voce verbale corretta del verbo “prendere”. Io prendo

16. Completa le frasi con la persona adatta.

1. ho scoperto che conoscete tutte le piante.

2. Ieri sono andato al cinema.

3. All’improvviso scapparono impauriti.

4. adori la torta al cioccolato.

5. prepara la cartella per andare a scuola.

6. Domani andremo in gita ai Camuni.

Essi

17. Completa, volgendo il verbo al tempo indicato.

PASSATO PRESENTE FUTURO andavo vado andrò mangiavo

dormo sono

canterò suonerò

scrissi

ballerò

piango gioco

nuotai

vidi

riderò

18. Sottolinea i verbi e scegli il tempo corretto.

PASSATO PRESENTE FUTURO

Ieri ho studiato molto. ×

Oggi Luca gonfia il pallone.

Domani andremo al luna park.

La rana salta sui sassi dello stagno.

Domenica scorsa avete visitato lo zoo.

Il prossimo anno studieremo i Greci.

Lo scienziato scoprì una formula segreta.

19. Sottolinea i verbi, poi trasforma sul quaderno le frasi al presente e al futuro semplice.

1. Il nonno porse a Pietro la cartella.

2. La tavola del re era imbandita.

3. Nevicò moltissimo in alta montagna.

4. La mamma addobbò l’albero e preparò il presepe con cura.

5. Gli uomini primitivi erano nomadi.

20. Elimina con una barretta il verbo al tempo sbagliato.

Oggi era / è una bellissima giornata di sole.

1. Più tardi tornerà / torna Tommaso dagli allenamenti.

2. Domani recitiamo / reciteremo la poesia.

3. Un anno fa eravamo / siamo in seconda.

4. L’uomo primitivo inventerà / inventò la ruota.

5. Le formiche sono / furono degli insetti.

6. Perché avrai / hai solo una penna nell’astuccio?

21. Completa le frasi con il verbo indicato al tempo imperfetto.

1. Ogni volta che (tornare) da un viaggio i nonni mi (portare) un regalo.

2. Da piccola la mia sorellina non (mangiare) quasi nulla.

3. In un regno lontano (vivere) una bellissima fanciulla.

22. Completa le frasi con il verbo indicato al tempo passato remoto.

1. Quando (arrivare) in spiaggia subito ci (buttare) nel mare.

2. Per il compleanno la mamma e il papà (regalare) a Marta una splendida bicicletta.

3. Giacomo (parlare) con il suo amico Luca.

23. Completa le frasi con il verbo indicato al tempo passato prossimo.

1. La mamma (aiutare) il mio fratellino Lorenzo.

2. (Guardare) i cartoni animati e ora vado a fare i compiti.

3. Questa mattina (festeggiare) il compleanno di Sara.

4. A ginnastica Filippo si (rompere) un braccio.

24. Completa le frasi con il verbo indicato al tempo futuro semplice.

1. Quest’estate (andare) in vacanza in montagna.

2. La campanella (suonare) fra qualche minuto.

3. Domani la mamma (parlare) con la maestra.

25. Con una crocetta indica il tempo del verbo. SEMPLICE

eri stato avevate hanno avuto era stato sono saranno stati ebbe sarete avemmo avuto abbiamo

26. Completa, volgendo i verbi al tempo indicato.

Presente Passato prossimo Imperfetto Trapassato prossimo ho ho avuto avevo avevo avuto

avevi

abbiamo avevate avuto

ha avuto

sei erano eravamo stati

Passato remoto Trapassato remoto Futuro semplice Futuro anteriore ebbi ebbi avuto avrò avrò avuto avrà avuto

ebbero avremo aveste avuto

fui saremo saranno stati

27. Analizza i seguenti verbi.

avevo Verbo avere, coniugazione propria, tempo imperfetto, 1ª persona singolare. avevamo, hai avuto, ebbero, avrò avuto, avranno, ha, aveva avuto, ebbi avuto, avesti, abbiamo, avevamo avuto.

L’aggettivo

Una bella mattina il vecchio topo d’acqua

mise la testa fuori dal suo buco. Aveva gli occhi scintillanti , rigidi baffi grigi

la sua coda sembrava un lungo pennello nero . Alcuni anatroccoli nuotavano

nello stagno e sembravano tanti piccoli canarini e la loro madre insegnava loro come tenere la testa eretta sull’acqua.

Hans Christian Andersen, Il brutto anatroccolo

Bella , vecchio , suo , scintillanti sono AGGETTIVI.

Le parole aggiunte al nome che ci danno informazioni in più rispetto alle sue qualità si chiamano AGGETTIVI QUALIFICATIVI

mattina bella topo vecchio occhi scintillanti baffi grigi

L’aggettivo concorda, in genere e in numero, col nome.

bambin o brav o  bambin a brav a  bambin i brav i  bambin e brav e

ALTRI TIPI DI AGGETTIVI

Oltre all’aggettivo qualificativo, esistono altri tipi di aggettivi che aggiungono informazioni diverse rispetto al nome a cui sono legati.

Marco mangia un panino caldo e buono

«Questi libri sono interessanti» dice Ludovica alla sua maestra. Alla fine della scuola mancano circa tre mesi

Alle gare di atletica Giorgia si è qualificata al terzo posto . Qualche giorno fa, la mamma ha detto a Giacomo: «Mangia qualche cucchiaio di risotto».

« Che imbarazzo arrivare tardi all’appuntamento con il dottore!» esclama Nora. « Quante caramelle ha ricevuto Pietro?» chiede Francesco.

LA CASA DEGLI AGGETTIVI È MOLTO NUMEROSA!

Gli aggettivi che esprimono una qualità: caldo, buono, giallo, importante…

Gli aggettivi che esprimono un possesso: mio, tuo, suo, nostro, vostro, loro

Gli aggettivi che esprimono un numero preciso della quantità o dell’ordine: uno, due, tre…; primo, secondo, terzo…

Gli aggettivi che esprimono un numero imprecisato, non definito, indefinito: qualcuno, alcuni, ciascuno, certi, ognuno…

Gli aggettivi che indicano, mostrano, qualcosa o qualcuno in particolare: questo, quello, stesso, medesimo…

Gli aggettivi che servono per interrogare o esclamare: che, quale, qual…

si chiamano

AGGETTIVI QUALIFICATIVI

si chiamano

AGGETTIVI POSSESSIVI

si chiamano

AGGETTIVI NUMERALI

si chiamano

AGGETTIVI INDEFINITI

si chiamano

AGGETTIVI DIMOSTRATIVI

si chiamano

AGGETTIVI INTERROGATIVI

e AGGETTIVI ESCLAMATIVI

COME SI ANALIZZANO GLI AGGETTIVI

Quando analizzo un aggettivo devo dire:

1. di che tipo di aggettivo si tratta

2. il genere

3. il numero

Caldo : aggettivo qualificativo, maschile, singolare.

Sua : aggettivo possessivo, femminile, singolare.

Terzo : aggettivo numerale, maschile, singolare.

AGGETTIVI

1. Riconosci nei brani e sottolinea gli aggettivi.

Nuvole

Sono piccole, modeste, tenui, quasi trasparenti e pare che vogliano annunciare una giornata serena. Vanno adagio come un pigro branco in fila indiana.

Alba

Il cielo ha due bande di diverso colore. Una più in alto argento chiarissimo tra le nubi grigie, una più in basso d’oro lievissimo. L’acqua tinge di luce il breve tratto di spiaggia scoperta dalla bassa marea.

2. Indovina indovinello! Ricava dal nome l’aggettivo qualificativo.

1. L'orario della settimana

SETTIMANALE

2. L’orario della scuola

6. Il buio della notte

7. Il segnale della strada

3. I giorni dell’inverno

8. Il paesaggio del monte

4. I mesi dell’estate

9. Le civiltà dei fiumi

5. Le acque del mare

10. Il menù del giorno

3. Riconosci e sottolinea con colori diversi i nomi e gli aggettivi; trascrivi poi gli aggettivi sul tuo quaderno e con essi componi altre belle frasi.

1. La pioggia leggera picchiettava sui tetti spioventi delle case, sulle foglie gialle degli alberi, sulle strade e sugli ombrelli colorati dei passanti.

2. Nel pomeriggio Carletto giocava con il pallone in giardino. Dalle nubi grigie scendeva una fitta pioggia. Il duro pallone non rimbalzava bene, Carletto scivolò sull'erba bagnata e finì in una pozzanghera davanti a lui. Il gioco terminò e il ragazzino raffreddato passò l’intera serata a letto.

3. «Tu sei il migliore amico di Carletto; l’hai chiamato per telefono?».

4. Leggi e comprendi le frasi; sottolinea gli aggettivi con il loro nome. Rifletti: che compito hanno gli aggettivi che hai trovato?

1. Fabio gioca con il pallone nuovo.

2. La bambina bionda si pettina i capelli lisci e morbidi.

3. Rita e Mara sono amiche inseparabili.

4. Nel giardino ci sono rose stupende e profumate!

5. A Rimini ci sono le coste basse e sabbiose.

5. Elimina l’aggettivo qualificativo non adatto al nome.

margherita cane mela zaino spinosa delicata bianca fedele affettuoso ghiacciato succosa pelosa rossa pieno delizioso colorato

6. Sottolinea in gli aggettivi qualificativi e cerchia il nome cui si riferiscono.

1. Ivan è simpatico e generoso.

2. Oggi abbiamo eseguito degli esercizi difficili e impegnativi.

3. Il cielo grigio e scuro promette pioggia.

4. In autunno le foglie gialle e appassite cadevano dagli alberi.

5. La mia bicicletta nuova ha il sellino rosso.

6. Stanno spuntando delle tenere foglioline verdi.

7. A ogni nome assegna tre aggettivi adeguati.

Nome Aggettivi qualificativi

la classe grande spaziosa accogliente

il vicino di banco

la maestra

i miei quaderni

la mia cameretta

la ricreazione

i compiti

le vacanze

8. Sottolinea nel brano gli aggettivi e collegali al nome cui si riferiscono.

Era un uomo grande , forte, pesante, con la pelle abbronzata dal sole;

il lungo codino nero come la pece gli penzolava giù dalle grosse spalle

sulla sudicia giacca blu; aveva grandi mani ruvide coperte di vecchie cicatrici

e con le unghie nere e spezzate; il segno livido di una sciabolata

gli attraversava la guancia destra.

Ora disegna il vecchio pirata secondo la descrizione.

9. Leggi e comprendi le frasi; sottolinea gli aggettivi con il loro nome.

Rifletti: che compito hanno gli aggettivi che hai trovato?

Claudia: Il tuo cucciolo Rex gioca volentieri con le stringhe delle mie scarpe!

1. Paolo: Per fortuna le tue scarpe sono di tela. Se fossero di pelle come quelle di mia sorella…

2. Claudia: Che cosa ha combinato alle scarpe di tua sorella?

3. Paolo: Prova a immaginare cosa ha potuto fare il mio cagnolino con i suoi dentini e le sue unghiette…

4. Claudia: Ah, riesco a immaginare anche le vostre preoccupazioni!

5. Paolo: Dovevi sentire i commenti dei nostri genitori!

10. Trasforma al plurale e al singolare.

SINGOLARE PLURALE

il mio astuccio i miei astucci

la tua penna

il suo diario

il nostro libro

la loro maestra

le vostre figurine le nostre biciclette

11. Sottolinea gli aggettivi possessivi e collegali al nome cui si riferiscono.

Nel mio acquario vivono molti pesci esotici.

1. Ogni animale difende i propri cuccioli.

2. I vostri amici sono molto simpatici.

3. Suo zio abita a Roma.

4. Anna è venuta a giocare a casa mia.

5. Marco gusta la sua pizza.

12. Completa le frasi con gli aggettivi possessivi adatti.

1. Il sguardo è triste: che cosa avete?

2. Sara è proprio brava: il disegno ha vinto il primo premio!

3. La scuola è nuova e la aula è grande e luminosa.

4. I vicini di casa sono gentili e simpatici.

5. Ho terminato la colla: mi presteresti il nastro adesivo?

13. Riconosci e sottolinea gli aggettivi e il nome a cui aggiungono qualcosa; prova a spiegare cosa dicono quegli aggettivi del nome a cui si riferiscono.

1. La nostra casa è bella e spaziosa.

2. «Questi quadri sono incantevoli» dice Paolo alla guida della mostra.

3. Alla fine dell’anno mancano circa quattro mesi.

4. «Quanto pane mangi!» esclama Nora rivolgendosi a sua sorella.

5. «Quante caramelle ha ricevuto Pietro?» chiede Francesco.

6. Qualche giorno fa, la zia ha detto a Giacomo: «Mangia qualche cucchiaio di zuppa».

mORFOLOGIA

Le preposizioni

Una bella mattina il vecchio topo d’ acqua mise la testa fuori dal suo buco. Aveva gli occhi scintillanti, rigidi baffi grigi e la sua coda sembrava un lungo pennello nero.

Alcuni anatroccoli nuotavano nello stagno e sembravano tanti piccoli canarini e la loro madre insegnava loro come tenere la testa eretta sull’ acqua.

Hans Christian Andersen, Il brutto anatroccolo

d’ (di) , dal , nello , sull’ (sulla) sono PREPOSIZIONI.

DI , A , DA , IN , CON , SU , PER , TRA , FRA sono PREPOSIZIONI

Le preposizioni semplici possono unirsi agli articoli per formare le PREPOSIZIONI ARTICOLATE

PREPOSIZIONI

Preposizioni semplici

DI del dello della dei degli delle

A al allo alla ai agli alle

DA dal dallo dalla dai dagli dalle

IN nel nello nella nei negli nelle

SU sul sullo sulla sui sugli sulle

Le PREPOSIZIONI sono piccole parole che si mettono davanti ad altre parole per legarle, metterle in relazione, in modo significativo.

topo d’ acqua fuori dal suo buco nuotavano nello stagno eretta sull’ acqua

Riconosciamo le varie parti del brano, sottolineando con diversi colori: articoli, nomi, verbi, aggettivi, preposizioni.

Una bella mattina il vecchio topo d’acqua mise la testa fuori dal suo buco. Aveva gli occhi scintillanti, rigidi baffi grigi e la sua coda sembrava un lungo pennello nero.

Alcuni anatroccoli nuotavano nello stagno e sembravano tanti piccoli canarini e la loro madre insegnava loro come tenere la testa eretta sull’acqua.

ANALIZZIAMO OGNI PAROLA CHE RICONOSCIAMO il : articolo determinativo maschile singolare.

vecchio : aggettivo qualificativo maschile singolare.

topo : nome comune maschile singolare.

d’ (di): preposizione semplice.

acqua : nome comune, femminile, singolare.

mise : voce del verbo mettere, 2ª coniugazione, tempo passato remoto, terza persona singolare.

PREPOSIZIONI

1. Riconosci e sottolinea le preposizioni nel brano.

I bambini andarono in soggiorno e spostarono in un angolo il tavolo e le seggiole per avere spazio. Erano pronti per le gare: la corsa con i sacchi, la staffetta con l’uovo sul cucchiaio e il trasporto del bicchiere colmo d’acqua. Il percorso era dalla porta alla finestra.

2. Riconosci e sottolinea le preposizioni semplici, poi trascrivile.

1. L’amico di Andrea si chiama Giorgio e abita in questa strada.

2. Domani andrò a Venezia e visiterò la città con tanti amici.

3. Vi raggiungerò fra pochi minuti.

4. La mamma dice a Marco: «Prepara la borsa di nuoto».

5. Ho comprato le uova per la torta di mele.

6. Lucia ha spedito una cartolina da Roma.

7. Non sono sicuro di avere messo in valigia tutto ciò che mi serve per questo viaggio.

Preposizioni semplici:

3. Completa le frasi inserendo la preposizione semplice adatta.

1. Vado scuola l’ autobus.

2. Prendo l’autobus andare scuola.

3. Ieri ho parlato Marco calcio tre ore.

4. Ho visto un gatto un albero: poverino, aveva molta paura!

5. Perché non sei venuto teatro noi, ieri sera?

Lo spettacolo è stato bellissimo.

6. Ho appena finito studiare; venti minuti esco

e vado piscina.

7. Le tue scarpe ginnastica sono rotte, devi deciderti buttarle via!

8. questo scrittore conosco soltanto il nome, non ho mai letto niente lui.

4. Riscrivi le frasi in modo corretto, evidenzia con un colore le preposizioni articolate.

1. Sono andato in ufficio da la mamma.

2. Ieri sono andata da il fruttivendolo.

3. Oggi vado a il parco per giocare un po’ a lo aperto.

4. La rana si tuffa in lo stagno.

5. La barca scivola su la acqua limpida.

6. La torta di la nonna è molto buona.

7. Il collega di il papà è un bravo ingegnere.

8. Dopo la partita di calcio mi cambio in gli spogliatoi.

9. Su le scale ho trovato una giacca verde.

10. Mi metto a la opera per comporre un bel testo.

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

5. Riconosci e sottolinea le preposizioni semplici e articolate; scegline alcune e componi con esse almeno cinque frasi sul tuo quaderno.

1. Il libro di lettura ha centosessantacinque pagine.

2. Giochiamo a palla nel nostro giardino grande.

3. Pietro nuoterà nella piscina olimpionica della scuola.

4. I Sumeri sfruttarono le acque del fiume per coltivare.

5. Agnese guardava dalla finestra dell’aula le nuvole grigie.

6. La corrente impetuosa del fiume è pericolosa.

6. Riscrivi sul quaderno i seguenti nomi preceduti dalla preposizione articolata ALLO/ALLA, senza apostrofo e con l’apostrofo.

alba  alla alba  all’ alba

entrata, oratorio, ingresso, atrio, ospedale, improvviso, aurora, uscita, estero.

7. Riscrivi sul quaderno i seguenti nomi preceduti dalla preposizione articolata SULLO/SULLA, senza apostrofo e con l’apostrofo.

auto  sulla auto  sull’ auto

isola, ascensore, astronave, arca, elicottero, amaca, uscio, albero, occhio.

8. Riscrivi sul quaderno i seguenti nomi preceduti dalla preposizione articolata DALLO/DALLA, senza apostrofo e con l’apostrofo.

arco  dallo arco  dall’ arco altro, altalena, eternità, ultimo, inizio, altra, ora, angolo, ospite, orecchio.

9. Usa i colori e analizza sul quaderno articoli, preposizioni e nomi.

1. Vado dalla zia a mangiare la pizza al prosciutto e una fetta di torta con panna.

2. Di sera guarderemo un film sui dinosauri alla televisione!

3. Al mattino, di domenica, rimango volentieri nel mio letto e aspetto che la mamma venga a chiamarmi per fare colazione.

4. Oggi pomeriggio uscirò con le mie amiche per andare ai giardini vicino a casa mia: giocare all’aperto mi piace!

METTITI ALLA PROVA

NOMI, ARTICOLI, AGGETTIVI, PREPOSIZIONI

1. Sottolinea in i nomi maschili e in quelli femminili. Montagna, fiume, gru, leone, esame, bar, penna, pioggia, uragano, moto, viale, schiuma, tappo.

2. Assegna a ogni nome comune un nome proprio.

personaggio

3. Sottolinea i nomi e gli articoli con due colori diversi

Un cane e un gatto vivevano nella stessa casa, ma erano nemici da lunga data. Il cane detestava il gatto: non sopportava le sue fusa, si spaventava per le sue mosse improvvise e si innervosiva nel vederlo correre dietro a una pallina. Per questo gli mostrava i denti abbaiando.

Analizza:

UN:

CANE: LE:

FUSA:

UNA:

4. Riconosci preposizioni semplici e articoli.

PREPOSIZIONE ARTICOLATA PREPOSIZIONE SEMPLICE + PREPOSIZIONE SEMPLICE

DELLA DI + LA

SUL

DALLO

AGLI

NEI

DELLE

5. Sottolinea nomi e aggettivi , poi riscrivi ogni aggettivo con il suo contrario.

L’ alunno attento scrive sul piccolo quaderno attento  distratto piccolo  grande

Il pasticcione nonno Alberto prepara una cattiva pasta al sugo.

La lunga barba di Mangiafuoco s'intreccia tra i puzzolenti piedi del burattino.

METTITI ALLA PROVA

IL VERBO

1. Indica la persona e il numero delle seguenti voci verbali.

VOCI VERBALI PERSONA NUMERO

È partito

Ho studiato

Sei simpatico

Abbiamo visto

Sono andati

Avvertimi

Mangerei

Ha scritto

Esco

Venite

2. Colora in il presente, in il passato remoto, in l’imperfetto, in il futuro.

avevo ebbe hanno avremo abbiamo avemmo ha avevate avrò

3. Scrivi tu nei cartellini tre verbi al tempo presente, tre al tempo futuro e tre al tempo passato prossimo.

4. Indica il tempo e/o la persona e trasforma sul quaderno.

1. Lunedì sarà il primo giorno di primavera

tempo: ; trasforma all’imperfetto.

2. Io ho gli occhi azzurri.

persona: ; trasforma nella III p.s.

3. Cenerentola sarà al ballo.

tempo: ; pers.: ; trasforma al presente e II p.p.

4. Io sono felice.

pers.: ; trasforma in tutte le altre pers.

5. Il papà leggerà una fiaba.

tempo: ; trasforma negli altri tempi.

5. Sottolinea i nomi, gli aggettivi, gli articoli, le preposizioni e i verbi con colori diversi.

Nel giorno della festa i cuochi preparano una bella focaccia dolce. Prima però di mettere in forno a cuocere, introducono nella pasta una grossa fava fresca. La persona che troverà la fava nella sua fetta di focaccia riceverà una corona e diventerà il re o la regina della festa.

SINTASSI

Le parole si combinano e formano i sintagmi

Sono sintagmi:

IL MIO CANE

COMBINAZIONE SIGNIFICATIVA

DELLE PAROLE

LA ZUPPA FUMANTE

OGNI MOMENTO SONO STATA PRESA

IN UN CERTO LUOGO

DENTRO IL CASSETTO

Osserviamo questa frase.

Oggi i miei compagni sono venuti a casa mia per la festa del mio compleanno.

Riconosciamo delle composizioni.

Oggi / i miei compagni / sono venuti / a casa mia / per la festa / del mio compleanno.

Certe parole cambiano la loro forma per legarsi tra loro. Quando parliamo, usiamo questo legame senza accorgerci; ora riconosciamo questa regola nel combinarsi delle parole.

Ci sono poi parole che vogliono essere accompagnate solo da certe parole e non da altre.

I sintagmi

Nelle frasi le parole si combinano tra loro con un certo ordine, obbediscono a certe regole e svolgono un preciso compito all’interno della frase. Queste combinazioni si chiamano SINTAGMI

Nel suo lungo viaggio / il fiume / disegna / ampie curve.

Ogni sintagma può essere formato da una singola parola o da gruppi di parole.

Le parole variabili all’interno del sintagma concordano nel genere e nel numero.

femminile singolare maschile singolare maschile singolare La nuova cartoleria / del mio paese / vende / ottimo materiale scolastico.

Ogni sintagma ha una funzione particolare e, insieme agli altri sintagmi, aiuta a costruire il significato della frase.

Due sintagmi fondamentali

IL PREDICATO

La parola più significativa della frase, il cuore, è il verbo , tanto che può formare una frase da solo.

Piove!

Per questo occorre sempre partire dal verbo!

Ha il compito di “dire”, di “predicare” qualcosa del soggetto (di chi si parla). Il sintagma che “dice”, che “predica” qualcosa del soggetto è il SINTAGMA VERBALE: si chiama PREDICATO

Nel predicato c’è sempre un verbo e a volte può essere accompagnato da un nome o da un aggettivo.

Lucia / mangia Lucia / è bella

IL SOGGETTO

L’altro sintagma fondamentale è il SOGGETTO , ovvero il nome che indica e nomina ciò di cui parla il predicato.

Il numero (singolare e plurale) e la persona (io, tu, egli, il postino, noi, voi, le bambine) del predicato sono determinati dal soggetto; per questo soggetto e predicato concordano sempre in genere e numero.

singolare singolare

La cuginetta / di Sara / frequenta / la classe prima. plurale plurale

I cani / corrono / nel prato.

A volte il soggetto può non essere espresso. Nel caso seguente è sottinteso.

Stasera / leggo / volentieri / un libro.

IO, soggetto sottinteso

Attenzione!

Il soggetto è sempre un sintagma nominale (S. N.) e può essere formato da un nome (con articolo e aggettivo) o un pronome. Il soggetto non è l’unico sintagma nominale della frase (ce ne sono altri con diverse funzioni).

La frase minima

Soggetto e predicato sono gli elementi essenziali della frase, concordano sempre in genere e numero e, insieme, formano la FRASE MINIMA

soggetto predicato

Il cappello / del nonno / volò / per un colpo / di vento.

Il cappello volò  frase minima

I complementi

Le frasi di solito sono formate dalla frase minima e da altri sintagmi che hanno il compito di completare e arricchire la frase minima. Questi sintagmi si chiamano COMPLEMENTI Ciascun complemento ha una funzione precisa.

complemento complemento complemento Il cappello / del nonno / volò / per un colpo / di vento

COME SI ANALIZZA LA FRASE

1. Frase minima

COSA SI DICE?

sono sbocciate predicato

DI CHI SI PARLA?

alcune primule soggetto

Nel giardino / della nonna / questa mattina / sono sbocciate / alcune primule.

2. Complementi

In quale luogo? nel giardino

Di chi è il giardino? della nonna

In quale tempo? questa mattina

SINTASSI

1. Leggi lentamente e, facendo attenzione al significato, dividi le frasi in sintagmi dotati di significato.

La maestra / ha disegnato / alla lavagna / un albero fiorito.

1. Il calciatore ha segnato un bellissimo goal.

2. La nonna ha cucinato una torta squisita.

3. Domani Giovanni andrà al mercato.

4. La maestra è andata al museo con i suoi alunni.

5. Francesca ha letto un bel libro di centoquaranta pagine.

6. Le carpe nuotano nelle profondità dei fiumi.

7. Serena ha risolto una difficile operazione sul suo quaderno.

2. Leggi con attenzione le frasi e collega gli aggettivi e gli articoli ai nomi cui si riferiscono. Poi dividi le frasi in sintagmi e sottolinea la concordanza che hai riconosciuto.

Il nonno aveva giocato a carte con i suoi amici.

Il nonno / aveva giocato / a carte / con i suoi amici

maschile singolare maschile plurale

1. Nella cantina della nonna era nascosto un topolino.

2. Laura gioca con le bambole sul tappeto della sua stanza.

3. La mamma preparerà una torta per il compleanno di Lucia.

4. Sui rami degli alberi erano spuntati tanti fiori colorati.

5. Ieri Federica ha misurato la capacità di tre contenitori con un bicchiere di vetro.

6. Giovanni ha scritto sul quaderno un bel testo.

7. Ogni giorno noi leggiamo un nuovo capitolo del libro di narrativa.

3. Ordina i sintagmi in modo da costruire una frase di senso compiuto.

Andrà / la mamma /al lavoro / ogni giorno / in centro città.

Ogni giorno la mamma andrà al lavoro in centro città.

1. gli Egizi / studiano / gli alunni.

2. interroga / Caterina / la maestra / giovedì.

3. al telefono cellulare / lo zio / risponde / in ritardo.

4. per le vacanze / al mare / vanno / i fratelli / di Giulia.

5. il violino / il musicista / con maestria / suonava.

6. berranno / gli amici / alla festa / di compleanno / di Micaela / la limonata fresca.

4. Osserva l’esempio. Sul tuo quaderno dividi le frasi in sintagmi, poi sostituisci ogni volta un sintagma per formare nuove frasi.

Ogni mese / Alessandro / mette / una moneta / nel suo salvadanaio.

Ogni sabato / Alessandro / mette / una moneta / nel suo salvadanaio.

Ogni mese / Marco / mette / una moneta / nel suo salvadanaio.

Ogni mese / Alessandro / aggiunge / una moneta / nel suo salvadanaio.

Ogni mese / Alessandro / mette / una banconota / nel suo salvadanaio.

Ogni mese / Alessandro / mette / una moneta / nel suo cassetto

1. Il papà di Luca cucina gli spaghetti alla carbonara.

2. Questa sera guarderemo alla televisione un bel film.

3. Il treno per Roma partirà dal terzo binario alle 18.00.

4. Gli alunni studiano la storia antica.

5. Le pecore pascolano sulla collina.

6. La famiglia di Giulia è andata in gita in cima alla Marmolada.

7. Il fiume scorreva con lentezza in pianura.

8. I ragazzi avevano giocato a nascondino in giardino.

9. Gli alpinisti ebbero sete dopo la lunga scalata.

10. Il libro di geografia è sul tavolo della sala.

5. Dividi le frasi in sintagmi; poi prova a spostare almeno un sintagma senza che la frase cambi significato.

Ogni giorno / la mamma / andrà / al lavoro / in centro città. La mamma / andrà / in centro città /al lavoro / ogni giorno.

1. Un uccellino si è posato su un ramo dell’albero in giardino.

2. Davide portò un regalo alla nonna per il suo compleanno.

3. Per il battesimo di Lucia i genitori hanno organizzato un’ottima festa.

4. In questi giorni il sole primaverile scalda le nostre giornate.

5. Nelle vacanze di Pasqua noi andremo al mare con alcuni amici.

6. Scegli il verbo più adatto tra quelli proposti.

1. corre

2. correvano Il cane / corre / in giardino.

3. ho parlato

1. ha colorato

2. abbiamo colorato

3. dicevi Noi / / il nostro disegno.

1. frequenterà

2. compie

3. frequento

1. parla

2. scivola

3. galleggiano

1. è

2. erano

3. è caduto

1. dorme

2. palleggia

3. palleggiavano

1. sono andate

2. hanno visto

3. gioca

1. avevano

2. ha

3. ricorda

Giorgio / / la classe terza.

La barca / / sull’acqua.

La valigia / / nel ripostiglio.

I calciatori / / con abilità.

Le mie sorelle / / in spiaggia.

Il sussidiario / / cento pagine.

7. Leggi la frase, dividila in sintagmi e sottolinea il sintagma verbale (il predicato).

La maestra / scrive / i compiti / alla lavagna.

1. Al mattino Caterina beve il latte nella tazza.

2. Gli alunni studiano la storia antica.

3. Le farfalle volano sui prati.

4. Le classi terze sono andate in gita al museo egizio.

5. Il chitarrista suonava con energia al concerto.

6. Gli amici avevano giocato a scacchi in classe.

7. Gli sciatori ebbero fame dopo gli allenamenti.

8. Il pallone da calcio è nell'armadio della camera.

8. Sottolinea il predicato, sostituiscilo con uno di numero diverso: cosa accade al soggetto?

Voi / dormite / sul divano. Tu / dormi / sul divano.

1. Il falegname / costruisce / robuste sedie.

2. La cascata / precipitava / sulle rocce.

3. Il pianista / suonava / allegre melodie.

4. Gli scribi sumeri / incidevano / su tavolette d’argilla.

5. Dalle cime innevate / scende / l’esperto sciatore.

9. Scegli il sintagma più adeguato tra quelli proposti.

Gli alunni, La mamma, Io  La mamma / risponde / al telefono.

1. I bambini

2. Mio fratello

3. Voi / beve / il latte.

1. La luna

2. Le stelle

3. Essa / splendono / nel cielo buio.

1. Luca

2. Voi

3. Le due sorelle / sono andate / in piscina.

1. La rana

2. I pesci

3. Io / scivola / nell’acqua.

1. L’acqua limpida

2. I fiumi

3. Le onde / bagna / la spiaggia.

10. Pensa e scrivi un soggetto adatto al predicato. / credeva / in un solo Dio. Il popolo ebreo / credeva / in un solo Dio.

1. / pigolano / da mattino a sera.

2. / di Alberto / abbaia / tutta la notte.

3. Dal fruttivendolo / / ha comprato / frutta buonissima.

4. Giovedì / / era andata / dal dentista.

5. In piscina / / ha incontrato / una sua amica.

11. Sostituisci il soggetto con uno di numero diverso: cosa accade al predicato?

La maestra / corregge / i quaderni. Le maestre / correggono / i quaderni.

1. Nell’acquario / guizzano / i pesciolini colorati.

Nell’acquario / /

2. Sulla spiaggia / giocano / gli allegri bambini.

Sulla spiaggia / /

3. Il telefono / squillava / insistentemente. / / insistentemente.

4. La sedia / è accostata / al tavolo. / / al tavolo.

5. Il professore / di scienze / interroga / gli studenti. / di scienze / / gli studenti.

12. Dividi la frase in sintagmi e individua i suoi sintagmi fondamentali: il predicato e il suo soggetto. Ricorda di partire sempre dal predicato!

A Natale nasce Gesù.

FRASE PREDICATO SOGGETTO

A Natale nasce Gesù

1. Ieri gli alunni hanno partecipato al presepe vivente.

2. Michele studia storia con passione.

3. A colazione le sorelle di Giovanni mangiano i biscotti al cioccolato.

4. La mamma preparò un’ottima cena per la sua famiglia.

5. Il papà e il nonno aggiustano l’armadio della camera.

6. Giulia temperava con cura le matite del suo astuccio.

7. Le rondini torneranno in città.

13. La frase si può accorciare: osserva l’esempio, poi scrivi tu una frase per ogni immagine togliendo ogni volta il sintagma non necessario.

La farfalla / vola / sui fiori / in giardino.

La farfalla / vola / sui fiori.

La farfalla / vola.

Il gatto / dorme / in salotto / sul tappeto.

Alice / corre / con Lucia / nel prato.

14. Ora disegna tu.

La luna / splende / nel cielo / con le stelle.

La luna / splende / nel cielo.

La luna / splende.

15. La frase si può arricchire e, quindi, allungare: osserva l’esempio, poi prova tu, aggiungendo ogni volta il sintagma adatto.

cane / corre.

Samuele / gioca.

La maestra / scrive.

16. Ora disegna tu!

Il cane / corre / nel prato. Il cane / corre / nel prato / con Giacomo.

Elisa / gioca. Elisa / gioca / a carte. Elisa / gioca / a carte / con la nonna.

Il

17. Arricchisci la frase minima rispondendo alle domande.

Lasarta cuce

Marco parte

Che cosa? A chi?

Per dove?

Con che cosa?

Nicola disegna

Che cosa?

Che cosa? Quando? Quando?

Quando?

Ilpapà mangia
Il sole riscalda Checosa?

18. Dividi le frasi in sintagmi, individua il predicato e il suo soggetto, poi scrivi la domanda alla quale risponde ciascun sintagma.

Nel giardino della nonna sono sbocciate alcune primule dietro un sasso. Nel giardino / della nonna / sono sbocciate / alcune primule / dietro un sasso.

Dove? Di chi?

Cosa si dice?

PREDICATO

Di chi si parla? SOGGETTO Dove?

Nel giardino della nonna sono sbocciate alcune primule dietro un sasso

1. A casa della nonna mio fratello ha trovato un vecchio album di fotografie.

2. Allo stadio il tifoso sventolava la bandiera della sua squadra preferita.

3. Gli occhiali sono nel cassetto della credenza.

4. All’arrivo della primavera gli uccelli costruiscono il nido sull’albero.

5. Le grosse gocce di pioggia avevano bagnato i tetti e le strade della città.

6. Il cuoco ha aggiunto un pizzico di sale all'ottimo pesce.

7. L’audace alpinista affrontò la ripida parete della montagna.

8. Oggi la sorellina di Giovanni compie un anno.

METTITI ALLA PROVA

1. Leggi con attenzione, sottolinea il predicato , dividi in sintagmi, riconosci il soggetto e scrivi la frase minima.

I miei cugini avevano una graziosa casa in montagna. I miei cugini / avevano / una graziosa casa / in montagna. Frase minima: I miei cugini avevano.

1. Domani sera arriveranno i nonni da Torino in treno.

2. Durante la gara uno sciatore della Svezia è caduto violentemente sulla neve.

3. Stamattina hanno trovato sulla strada numerose pozzanghere.

4. Settimana scorsa siamo stati in campagna dai nonni.

5. La zia per molti mesi era rimasta all'estero per il nuovo lavoro..

2. Dividi in sintagmi e riconosci in ogni frase soggetto (indica con S) e predicato (indica con P).

La città ha un centro storico con parecchi palazzi antichi, grandi banche e uffici pubblici.

Nella periferia troviamo i quartieri con alti condomini e molte aree verdi come parchi e giardini.

Al suo esterno sorge la zona industriale.

Ora con i diversi colori sottolinea: nomi, articoli, preposizioni, aggettivi e verbi.

3. Dividi in sintagmi, evidenzia il soggetto e il predicato e scrivi le domande.

Giovedì scorso / la classe terza / è andata / in montagna / con il pullman. Quando? S P Dove? Con che cosa?

1. In laboratorio questa mattina abbiamo preparto i cartelloni per la festa.

2. Il giardiniere ha messo i gerani nei vasi dei balconi.

3. Stamattina c’erano molte auto nel parcheggio della scuola.

4. Componi tu una frase con soggetto, predicato e due sintagmi che rispondono alle domande: “Dove?” e “Quando?”.

PUNTEGGIATURA

Nella costruzione dei nostri testi scritti, usiamo dei segni che ci aiutano ad esprimere il senso e a farlo capire a chi lo legge.

Sono i SEGNI DI PUNTEGGIATURA

Hans Christian Andersen, L'acciarino . , ; : ? !

“ ” « » –

Un-due, un-due! Un soldato veniva avanti marciando per la strada principale. Con lo zaino sulle spalle e la sciabola al fianco, perché era stato alla guerra, e adesso tornava a casa. Sulla strada s’imbatté in una vecchia strega: era davvero orribile, col labbro che le scendeva fino al petto! «Buonasera, bel soldatino!» disse, «Che bella sciabola che hai, che grande zaino! Sei davvero un bel soldatino! Ora sì che potrai avere tutti i soldi che vuoi». «Grazie tante, vecchia strega!» rispose il soldato.

Il punto e la virgola

Il primo segno è proprio il PUNTO che mettiamo alla fine di una frase, per questo si chiama punto fermo

Quando la frase che segue non è legata al pensiero precedente, si mette il punto e si va a capo.

Oltre al punto fermo, conosciamo il punto di domanda e il punto esclamativo

Il secondo segno che usiamo per separare le frasi è la VIRGOLA

La si usa anche quando il pensiero non è completo, ma si conclude una frase.

Si usa per separare i nomi di un elenco, per separare frasi o pezzi di frasi che sono all’interno.

I segni del discorso diretto

Quando riportiamo in un testo le parole dette, possiamo usare due modi diversi per scrivere.

Carlo dice di essere in ritardo.

Carlo dice : « Sono in ritardo »

Nella seconda frase sono riportate direttamente le parole di Carlo. Quando si scrive una frase o un discorso diretto è necessario usare i segni che li delimitano.

Sono i DUE PUNTI e le VIRGOLETTE (o le lineette ).

Virgolette e lineette servono per iniziare e concludere il discorso diretto. La frase diretta inizia con la lettera maiuscola.

PUNTEGGIATURA

1. Inserisci il punto (.) al posto giusto. Ricorda di mettere la lettera maiuscola.

Aurora è andata nel bosco a raccogliere le fragole ha preso un cestino di vimini ed è partita a passo veloce vicino a una radura, nascoste tra l’erba alta, ha trovato delle bellissime fragole

erano piccole, rosse rosse e molto dolci

Aurora ne ha colte più che poteva e le ha sistemate nel cestino

2. Metti il punto e la maiuscola in queste frasi, poi ricopiale con la punteggiatura corretta sul tuo quaderno.

1. Ho finito il quaderno a quadretti domani ne devo comprare uno nuovo

2. Oggi la mamma è andata al lavoro in bici si è bagnata per la pioggia

3. Ho studiato tutto il giorno alla sera sono uscito per andare al cinema

4. Domenica ho fatto una torta con la mamma ho invitato la mia amica a mangiarla

5. Alla fine la televisione non ha trasmesso la partita l’abbiamo dovuta ascoltare alla radio

3. Leggi e disegna sul quaderno. Attento al punto!

1. Il papà legge un libro. Sul divano il gatto dorme. Il papà legge un libro sul divano. Il gatto dorme.

2. Francesco gioca in giardino. Irene parla con Chiara. Francesco gioca. In giardino Irene parla con Chiara.

4. Metti la virgola (,) dove occorre.

1. È molto tempo che non vedo Carlo il fratello di Andrea.

2. Questa mattina gli uccellini saltano cinguettano cantano

3. Prima di andare a dormire devo preparare lo zaino per la scuola farmi la doccia asciugarmi i capelli mettere il pigiama e lavare i denti.

4. Il signore della casa di fronte è uscito sul balcone ma con tutto questo freddo non ci resterà a lungo.

5. Dopo esserci incontrati per caso siamo andati a prendere un gelato insieme.

5. In queste frasi la virgola è messa nel posto sbagliato. Correggi, mettendola tu al posto giusto.

1. La mamma stira i panni in lavanderia mentre il papà, stende la biancheria bagnata.

2. Mentre Emma leggeva suo fratello, ascoltava la musica.

3. Maria e Caterina cantano, a squarciagola Sofia le ascolta.

4. Verrei a giocare con te ma devo finire, i compiti.

5. Lunedì durante, la lezione di nuoto, sono scivolato sulla scaletta.

6. Leggi le risposte e scrivi le domande. Attento alla punteggiatura!

1. Risposta: Ho dieci anni.

2. Risposta: No, perché non ho sete, grazie.

3. Risposta: L’animale che preferisco è la tigre.

4. Risposta: Perché non mi piace!

7. Inserisci nel testo il punto esclamativo (!) e interrogativo (?).

Ricorda: il punto esclamativo indica un’emozione di stupore, di rabbia… mentre il punto interrogativo indica una domanda o un dubbio.

Al telefono:

– Pronto Parlo con la parrucchiera

– Sì, mi dica.

– Potrei parlare con Maria

– Maria Ma qui non c’è nessuna Maria

– Oh no Mi sa tanto che ho sbagliato numero.

– Ma per caso sta cercando Mariella

– Mariella Oh che sbadato Ha ragione, ho confuso il nome.

– Un attimo che la chiamo subito.

8. Inserisci nelle frasi il punto esclamativo e interrogativo.

1. La mamma chiede: «Com’è andata la verifica di grammatica ».

2. Luigi esclama: «Che paura Ho visto una vipera nel bosco».

3. «Guarda che bella giornata Andiamo a fare un giretto ».

4. «Quando sei nato Ma come sei giovane rispetto a me ».

5. «Quante volte te lo devo dire Ho detto di no ».

6. «Che bella sorpresa Quando sei arrivato ».

9. Scegli il punto esatto (? ! .).

1. Il vigile controlla il traffico

2. Scappa

3. Buona notte

4. Accipicchia

5. Mi passi il pennarello rosso

6. Anche tu qui

7. Accidenti, domani non posso

8. Ho vinto una partita

9. Ti piace

10. Aiuto

11. Che cosa sarà mai

12. Le api producono la cera

13. Quanto vale una dozzina

14. Ho otto anni

10. Trascrivi il fumetto utilizzando la punteggiatura del discorso diretto.

risponde: « ».

Luca chiede a Filippo: « ».
Filippo
FILIPPO

Inventa tu.

11. Inserisci i due punti (:) e le virgolette (« ») quando occorrono.

Paola chiede al papà : « Quanto manca per arrivare a casa? »

Il papà le risponde : « Ancora una ventina di minuti circa » .

1. Marco chiede ai suoi compagni Posso giocare con voi? Stefano risponde

Sì, certo.

2. Come è andata la verifica la mamma chiede a Giulia. Giulia risponde

La maestra non l’ha ancora corretta.

3. Porti tu i compiti a Gaia che è assente? Chiede la maestra ad Alex.

TABELLE DEI VERBI GRAMMATICA

TABELLE DEI VERBI - MODO INDICATIVO

IL VERBO ESSERE

Presente

Passato prossimo io sono io sono stato

tu sei tu sei stato egli è egli è stato

noi siamo noi siamo stati

voi siete voi siete stati essi sono essi sono stati

Imperfetto

Trapassato prossimo io ero io ero stato

tu eri tu eri stato

egli era egli era stato

noi eravamo noi eravamo stati

voi eravate voi eravate stati essi erano essi erano stati

Passato remoto

Trapassato remoto io fui io fui stato

tu fosti tu fosti stato

egli fu egli fu stato noi fummo noi fummo stati

voi foste voi foste stati essi furono essi furono stati

Futuro semplice

Futuro anteriore io sarò io sarò stato

tu sarai tu sarai stato

egli sarà egli sarà stato noi saremo noi saremo stati

voi sarete voi sarete stati essi saranno essi saranno stati

IL VERBO AVERE

Presente

Passato prossimo

io ho io ho avuto tu hai tu hai avuto

egli ha

egli ha avuto

noi abbiamo noi abbiamo avuto

voi avete voi avete avuto

essi hanno

Imperfetto

essi hanno avuto

Trapassato prossimo

io avevo io avevo avuto

tu avevi tu avevi avuto

egli aveva

egli aveva avuto

noi avevamo noi avevamo avuto

voi avevate voi avevate avuto

essi avevano essi avevano avuto

Passato remoto

Trapassato remoto

io ebbi io ebbi avuto

tu avesti tu avesti avuto

egli ebbe

egli ebbe avuto

noi avemmo noi avemmo avuto

voi aveste voi aveste avuto

essi ebbero

Futuro semplice

essi ebbero avuto

Futuro anteriore

io avrò io avrò avuto

tu avrai tu avrai avuto

egli avrà

noi avremo

egli avrà avuto

noi avremo avuto

voi avrete voi avrete avuto

essi avranno essi avranno avuto

IL VERBO AMARE

Presente

Passato prossimo

io amo io ho amato tu ami tu hai amato

egli ama egli ha amato

noi amiamo noi abbiamo amato

voi amate voi avete amato

essi amano essi hanno amato

Imperfetto

Trapassato prossimo

io amavo io avevo amato tu amavi tu avevi amato

egli amava egli aveva amato

noi amavamo noi avevamo amato

voi amavate voi avevate amato

essi amavano essi avevano amato

Passato remoto

Trapassato remoto

io amai io ebbi amato tu amasti tu avesti amato

egli amò egli ebbe amato

noi amammo noi avemmo amato

voi amaste voi aveste amato

essi amarono essi ebbero amato

Futuro semplice

Futuro anteriore

io amerò io avrò amato

tu amerai tu avrai amato

egli amerà egli avrà amato

noi ameremo noi avremo amato

voi amerete voi avrete amato

essi ameranno essi avranno amato

IL VERBO TEMERE

Presente Passato prossimo

io temo io ho temuto tu temi tu hai temuto

egli teme egli ha temuto

noi temiamo noi abbiamo temuto voi temete voi avete temuto

essi temono essi hanno temuto

Imperfetto

Trapassato prossimo

io temevo io avevo temuto tu temevi tu avevi temuto

egli temeva egli aveva temuto

noi temevamo noi avevamo temuto voi temevate voi avevate temuto

essi temevano essi avevano temuto

Passato remoto

Trapassato remoto

io temetti (temei) io ebbi temuto tu temesti tu avesti temuto

egli temette (temé) egli ebbe temuto

noi tememmo noi avemmo temuto voi temeste voi aveste temuto

essi temettero (temerono) essi ebbero temuto

Futuro semplice

Futuro anteriore

io temerò io avrò temuto tu temerai tu avrai temuto egli temerà egli avrà temuto

noi temeremo noi avremo temuto voi temerete voi avrete temuto essi temeranno essi avranno temuto

IL VERBO PARTIRE

Presente

Passato prossimo

io parto io sono partito tu parti tu sei partito

egli parte egli è partito

noi partiamo noi siamo partiti voi partite voi siete partiti

essi partono essi sono partiti

Imperfetto

Trapassato prossimo

io partivo io ero partito tu partivi tu eri partito

egli partiva egli era partito

noi partivamo noi eravamo partiti voi partivate voi eravate partiti

essi partivano essi erano partiti

Passato remoto

Trapassato remoto

io partii io fui partito tu partisti tu fosti partito

egli partì egli fu partito

noi partimmo noi fummo partiti voi partiste voi foste partiti

essi partirono essi furono partiti

Futuro semplice

Futuro anteriore

io partirò io sarò partito tu partirai tu sarai partito egli partirà egli sarà partito

noi partiremo noi saremo partiti voi partirete voi sarete partiti essi partiranno essi saranno partiti

LEGGERE È INCONTRARE

E RICORRENZE

INCONTRIAMO LA POESIA

˜ Filastrocca mascherata

˜ Filastrocca sulla filastrocca

˜ Valore di un sorriso

Ridere in famiglia

Un modo di dire

La

Gattopiatto

Pippi

FIABE E LEGGENDE

L’epopea di Gilgamesh 170

La pecora arrabbiata 171

Il nipote del mago 171

L’estate di Nico 172

Lotta Combinaguai 172

Estrela e il fiore perduto 172

MUSICHE

Quadri da un'esposizione, Modest Petrovič Musorgskij 4

Sonata a 8 viole con una tromba in Re Maggiore, primo movimento, Alessandro Stradella 26

Concerto n. 9 in Mi bem. maggiore per Pianoforte, Wolfgang Amadeus Mozart 50

Sinfonia dei giocattoli, F.J.Haydn 76

Moldava, Bedřich Smetana 98

Nabucco, Va' pensiero, Giuseppe Verdi 114

Le mille e una notte, Nikolaj Rimskij-Korsakov 142

CANTI

E non è mica vero 4

Dario 26

Come ti chiami tu? 50

Il gioco dell’oca 76

Preziosa vita 98

Gam gam 114

La leggenda della grigna 142

˜ Poesie, filastrocche e proverbi

◊ Comprensioni del testo

· Attività espressive

RIFLETTIAMO SULLA NOSTRA LINGUA

ORTOGRAFIA

Partiamo dai segni 174

Ripassiamo i suoni

I suoni C e G

L’accento 199

L’apostrofo 206

L’h del verbo avere 210

MORFOLOGIA

SINTASSI

sintagmi

sintagmi fondamentali

frase minima

Il punto e la virgola

I segni del discorso diretto

TABELLE DEI VERBI

ALLA SCOPERTA DEL MONDO

LIBRI DI TESTO PER

LA SCUOLA

PRIMARIA

ALLA SCOPERTA DEL MONDO 1

Classe 1

Fieri di saper leggere, scrivere, contare

Tre volumi indivisibili:

• Lettura · Percorsi disciplinari

• Prerequisiti · Italiano · Matematica

• Quaderno del corsivo

• Sillabario + Segnalibri didattici

ALLA SCOPERTA DEL MONDO 2

Classe 2

Il ritmo delle stagioni

Due volumi indivisibili:

• Lettura · Grammatica

• Matematica · Discipline

SCOPRI DI PIÙ SU ITACASCUOLA.IT

ALLA SCOPERTA DEL MONDO 3

Classe 3

Leggere è incontrare

Tre volumi indivisibili:

• Lettura · Grammatica

• Matematica

• Discipline

• Segnalibri didattici

ALLA SCOPERTA DEL MONDO 4

Classe 4

Occhi aperti

Sussidiario dei linguaggi

• Lettura · Grammatica

ALLA SCOPERTA DEL MONDO 5

Classe 5

La lettura, che avventura!

Sussidiario dei linguaggi

• Lettura · Grammatica

e sul Canale ITACASCUOLA su Itacaeventi!

ALLA SCOPERTA DEL MONDO 4

Classe 4

Sussidiario delle discipline

Due volumi indivisibili:

• Matematica

• Scienze · Geografia · Storia

ALLA SCOPERTA DEL MONDO 5

Classe 5

Sussidiario delle discipline

Due volumi indivisibili:

• Matematica

• Scienze · Geografia · Storia

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