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Monastero Carmelitane Scalze di Piacenza
Elisabetta Marchetti
Per dar principio
Trecentocinquant’anni di presenza delle Carmelitane Scalze a Piacenza
Introduzione di Adriano Cevolotto
Nelle edizioni Itaca
Benedetto XVI / Joseph Ratzinger
Fatti per l’Infinito
Giacomo Biffi
Lettere a una carmelitana scalza 1960-2013
A cura di Emanuela Ghini
Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar
Conversazioni sulla Chiesa. Interviste di Angelo Scola
Traduzione e postfazione di Giorgio Sgubbi
Eugenio Dal Pane
Perché tu sia felice
Eucaristia, nutrimento della vita
Monastero Carmelitane Scalze di Piacenza, Elisabetta Marchetti
Per dar principio. Trecentocinquant’anni di presenza delle Carmelitane Scalze a Piacenza www.itacaedizioni.it/per-dar-principio-carmelitane-scalze-piacenza
Prima edizione: aprile 2024
© Elisabetta Marchetti per la sezione Le Carmelitane Scalze a Piacenza e gli Indici © Monastero Carmelitane Scalze di Piacenza per la sezione Una lunga eredità. Il Carmelo attuale 2024 Itaca srl, Castel Bolognese
Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-526-0779-0
Copertina di Franco Corradini
Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)
Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Utilizziamo inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.
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A tutte le Sorelle che ci hanno precedute e a quelle che verranno.
A tutti coloro che ci hanno voluto bene, che ce ne vogliono e che ce ne vorranno.
Una delle espressioni più alte e significative della vita cristiana è la testimonianza di chi, in risposta a una chiamata particolare, sceglie di vivere in clausura, dedicando a Dio non solo il proprio cuore e il proprio tempo, ma anche lo spazio della propria vita. La stabilità che caratterizza la vita monastica riduce l’esplorazione del mondo esteriore, per favorire l’esplorazione del mondo interiore.
La mentalità secolarizzata, largamente diffusa nella nostra società occidentale, porta facilmente a pensare che la scelta della vita claustrale avvenga per sfuggire da qualcosa o da qualcuno. Generalmente si pensa alla vita di clausura con stereotipi che non corrispondono al vero. Per il “mondo” è quasi impossibile comprendere che una scelta così radicale possa essere motivata solo dal riconoscimento del primato che spetta a Dio nella vita e, conseguentemente, dal desiderio di una sempre maggiore intimità con Lui.
La pubblicazione di questo libro appare quanto mai opportuna e utile a conclusione delle celebrazioni per i trecentocinquant’anni di presenza a Piacenza della Comunità Teresiana, iniziata nel marzo 1673. Queste pagine ce ne fanno conoscere meglio l’origine e l’evoluzione, le realizzazioni e le dolorose vicende che ne hanno segnato la vita: in particolare la drammatica esperienza della soppressione – avvenuta all’inizio dell’Ottocento per decreto di Napoleone – e le grandi difficoltà vissute dalle monache durante le due guerre mondiali.
Nel corso dei secoli la Comunità ha saputo affrontare anche le prove più dure, dando sempre testimonianza di fede e di speranza, nella consapevolezza che la vita cristiana è sempre caratterizzata dalla dinamica pasquale di morte e risurrezione.
Il trasferimento della Comunità Teresiana dall’antico monastero, che sorgeva in una zona abbastanza centrale della città, al nuovo monastero costruito in periferia, è avvenuto nell’aprile 1964, mentre era in corso il Concilio Vaticano II. Dal magistero conciliare la Comunità Carmelitana ha saputo trarre alimento per rinnovarsi e compiere scelte in linea con i tempi, capaci di mantenerla “concentrata” su Colui che è all’origine, al centro e al fine di tutto.
La vita delle Carmelitane si svolge all’interno del recinto monastico, rimanendo nascosta agli occhi dei più, ma la loro missione si apre al mondo intero, per aiutare l’uomo di ogni tempo a esplorare il divino e l’umano, condizione per la fioritura personale e la felicità. Volendo raggiungere le persone dove sono realmente, le Carmelitane si servono anche degli strumenti e degli spazi virtuali, per poter far conoscere al maggior numero di persone la possibilità di un modo diverso di vivere.
In un mondo in cui dominano l’isolamento, la fretta, il rumore, la produzione e il profitto, il Carmelo testimonia il valore dell’interiorità, del silenzio, della contemplazione, della fraternità, in una forma di vita semplice e sobria.
Grati a Dio per la presenza di queste Sorelle nella nostra Chiesa diocesana, e confidando nella loro preghiera, auguriamo che la loro missione possa continuare a lungo, serenamente e fruttuosamente, a beneficio di tutti.
+ Adriano Cevolotto Vescovo di Piacenza-BobbioLe Carmelitane Scalze a Piacenza
Una lunga eredità.
Il Carmelo attuale
Mi viene chiesto di scrivere una pagina su come ho ideato la copertina di questo bel libro. Ma Matisse diceva: «Chi vuole darsi alla pittura deve cominciare col farsi tagliare la lingua»; intendeva innanzitutto che l’artista deve lasciare liberi gli occhi di chi guarda.
Ebbene, corro il rischio e procedo. Da dove cominciare?
Qualcuno direbbe: dalla testa. Invece no, cominciamo dai piedi. Se di cognome vi chiamate Scalze, ci sarà un motivo importante. Ho disegnato dunque, sulle bandelle, due piedi che non si sa bene se appartengano a una monaca o a Cristo; li attraversa una traccia di sandalo, come memoria del sacrificio. Essere scalzi vuol dire scrivere sulla terra, sentire crescere il seme, conoscere la materia con la quale Dio (il primo scultore) plasmò Adamo. Sul Cammino di Santiago ho scoperto che si può lodare Dio non solo con le labbra, ma anche con le vesciche dei piedi. Laggiù, i farmacisti, quando entravi da loro, non ti chiedevano niente: guardavano i piedi, e mentre tu stavi per aprire bocca, ecco: la pomata era già lì pronta sul bancone.
«Scuotete la polvere dai vostri piedi» dice Gesù ai discepoli, qualora non vengano accolti. E ancora: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone notizie» profetizza Isaia. Non dice: come sono belli i gesti o la voce
del messaggero, ma i suoi passi. Il grande scultore Henry Moore, creando figure sdraiate, dava la stessa importanza ai volumi dei piedi e della testa; per lui non c’erano parti secondarie del corpo umano.
Anche i sandali hanno un valore simbolico di povertà, di austerità. Se ci pensiamo, nel Vangelo compaiono ben pochi cenni al vestire di Gesù, ma sono ben ricordati i sandali (da Giovanni al Giordano), e un asciugatoio al momento della lavanda dei piedi. Piccole presenze, ma forti quanto quelle delle vesti e della tunica della Passione.
Sulla copertina compaiono i volti di tante Sorelle, vissute in questo monastero nel passato. Meritavano la copertina, sono loro le protagoniste del libro. Non le ho ritagliate con le forbici, fredde e rigide, ma con le dita, per accoglierle con tenerezza. Sono incorniciate dentro la grata, simbolo di clausura. Una grata di tanti colori, gioiosa, come scarabocchiata con i gessetti da un bambino discolo. Per dire che la grata non imprigiona, non reclude, ma paradossalmente è dono. Qualcuno insinua che certe sbarre della grata delle nostre Carmelitane siano fatte di liquirizia. Le sorelle non sono prigioniere, sono libere; le grate racchiudono i loro silenzi, le preghiere, la loro beatitudine; rivelano un’appartenenza: alla contemplazione, all’adorazione, a una Luce dall’alto. La vera reclusione sta in quello che è al di fuori di queste inferriate, cioè la nostra convivenza con le idolatrie urlate, gli influencer (brutta parola, non si potrebbe chiamarli, come una volta, imbonitori?), l’anoressia della cultura, l’intolleranza. Ecco la vera prigionia, dalla quale è quasi impossibile evadere.
Le Sorelle hanno scelto, per l’avventura a cui sono state chiamate, nuovi nomi di battesimo, stupefacenti, celestiali, come suor Maria Teresa Giuseppa Giovanna della SS. Trinità, o suor Maria Maddalena di Sant’Adeodato.
La vincono di gran lunga su certi grandi nomi d’arte: Tintoretto, Caravaggio, Donatello. Quest’ultimo però non scherza con i suoi veri nomi, e vuole pareggiare: si chiama Donato di Niccolò di Betto Bardi.
Ecco le sorelle nei colori dell’abito, della tocca, della cappa e del velo.
L’abito e lo scapolare sono del colore che sui tubetti dei pittori si chiama “terra di Siena bruciata” (bruciata da chi, poi?). Colore austero, naturale, che comunemente chiamiamo marrone. Un colore che non esiste nell’arcobaleno, perché viene creato dall’insieme di altri colori (in questo caso pure simbolici).
Non resisto alla tentazione di accennare a un aneddoto riguardante, appunto, questo colore. Anni fa, fui docente alla formazione e all’aggiornamento di insegnanti con temi sull’arte e sui colori. Un giorno posi questa domanda: perché il marrone non è presente nell’arcobaleno? Distribuii foglietti alla quarantina di insegnanti e attesi le risposte scritte. Poi scrutinammo in maniera anonima i brevi testi, riportanti varie ipotesi, molte delle quali pertinenti, finché giunsi a leggere l’ultimo foglietto. C’era scritto: «Dio Creatore nel settimo giorno, due punti: “Basta, adesso sono stanco; se volete il marrone fatevelo da soli”».
L’altro colore delle sorelle è il bianco, simbolo da sempre di purezza. Soffro quando viene considerato un non-colore. Il bianco è il più drammatico dei colori, il più interrogativo perché parla di infinità, di mistero; bianco è il sudario, bianche le nevi del Kilimangiaro; il pittore, davanti a una grande tela bianca, prova sgomento.
Ecco dunque le sorelle pronte all’appuntamento; all’alba le loro preghiere allontanano le tenebre, svegliano il giorno. Nella notte, come le dieci vergini del Vangelo, sono in attesa dello Sposo; non hanno lampade, ma Lui le riconosce dai
loro cuori fosforescenti. Le loro lampade sono la povertà, il silenzio. Tutti ammiriamo la povertà, ma non desideriamo essere poveri; tutti amiamo il silenzio, ma non siamo silenziosi. Picasso, al culmine del successo, ci lasciò questa confessione: «Vorrei tornare povero, vorrei che qualcuno per la strada mi donasse una giacca. Il successo è solo la somma di tante ferite».
Le sorelle, anche le più anziane, esprimono gioventù; ne sono certo, perché le conosco: una di loro è del mio paese. Van Gogh scriveva all’amato fratello Theo: «Finché dura l’autunno, non avrò abbastanza mani, tele o colori per dipingere le cose belle che vedo. Ma vorrei riuscire a esprimere un poco di forza, di gioventù, perché proprio la gioventù è il bene che ho perduto».
Nel libro del profeta Michea, si leggono alcune righe che amo: «Sono diventato come uno spigolatore d’estate, come un racimolatore dopo la vendemmia». Mi ricordano giorni lontani in cui con il mio nonno Claudio percorrevamo i campi mietuti, abbaglianti di luce dorata come i quadri di Vincent, o i vigneti dove si addolcivano i racimoli trascurati dai vendemmiatori. Quelle piccole raccolte insegnavano intanto a non essere ladri, e portavano in dono quel poco di farina o di mosto per il pane o il vino più saporiti, frutto di cammini e di ginocchia piegate. Mio padre, che era falegname, mi diceva: «È da questi poveri trucioli che nascono i bei tavoli».
Ecco, penso così le Sorelle: non latifondiste dei raccolti e dei vigneti, ma umili custodi dei frutti necessari, che sembrano agli occhi del mondo trascurabili, ma sono la misura del coraggio e dell’amore che vi viene versato.
Insomma, queste monache sono sorelle della vera bellezza, quella che non compare nei video. Essa è infatti, semplicemente, la forma che l’amore dona alle cose.
Care sorelle, vorrei tanto che regalaste a noi un poco della vostra Arte, dei vostri colori, proprio oggi che si affaccia la primavera, e tornano gli scriccioli al nido, e i petali sul melo.
21 marzo 2024
La nostra comunità desidera ringraziare tutti coloro senza i quali questa pubblicazione non sarebbe stata possibile: grazie alla professoressa Elisabetta Marchetti per la sua appassionata attività di studio e ricerca sulle Carmelitane Scalze e per aver accettato di approfondire la storia di questi trecentocinquant’anni; grazie a Franco Corradini per averci donato un po’ della sua infinita creatività per la realizzazione della copertina… e grazie a Matteo Corradini per averne curato il progetto grafico; grazie al nostro Vescovo, monsignor Adriano Cevolotto, per le parole che introducono alla lettura del testo; grazie al dottor Patrizio Capelli e ad Alfredo Manzini per i loro essenziali confronti e consigli che hanno permesso il concretizzarsi di questo progetto; grazie alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, in particolare al vicepresidente, professor Mario Magnelli, per il preziosissimo contributo che ha reso possibile la stampa di quest’opera; grazie a Eugenio Dal Pane e Cristina Zoli di Itaca per la competenza, il supporto e la pazienza.
Ci auguriamo che la lettura di queste pagine susciti in voi tutti la stessa gioia che pervade i nostri cuori nel poter festeggiare un anniversario così importante per la storia del nostro Carmelo.
Le Sorelle del Carmelo di Piacenza
contatti
Monastero SS. Giuseppe e Teresa
Via Spinazzi 36 – 29122 Piacenza (PC)
telefono: 0523 614832
email: carmelitanepc@gmail.com
Facebook: carmelitanepiacenza
... mentre ero nel monastero di San Giuseppe di Medina del Campo, piena di consolazione al vedere che le sorelle seguivano le orme di quelle di San Giuseppe di Avila quanto a fedeltà alla vita religiosa, a fraternità e a spirito interiore, e al vedere che Nostro Signore provvedeva alla sua casa, sia per il necessario alla chiesa, sia per il necessario alle sorelle, iniziarono a entrare alcune novizie che sembravano scelte dal Signore tanto erano adatte ad essere fondamento di simile edificio: voglio dire che da questi inizi dipende tutto il bene successivo, perché quando le prime trovano il cammino, è per quel cammino che vanno anche le altre che arrivano dopo.
Santa Teresa d’Avila