g4FRECCE c sosta a... ESQUILINO #6
il rione paradosso storia - mappa - itinerario - racconto - fumetto - curiositĂ
CoNtaCHILoMEtRI SOMMARIO
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4FRECCE Supplemento di SETTESTRADE Anno XI n. 4 ottobre 2012 4frecce.wordpress.com 4frecce.redazione@gmail.com Direttore Responsabile Umberto Cutolo Redazione, testi e progetto grafico Michela Carpi, Andrea Provinciali Hanno collaborato: Federico Cerminara, Tiziana Albanese e Isabella Ferrante
contagiri editoriale retromarcia storia retrovisore passato presente tergicristallo foto autostop racconto navigatore mappa scuola guida itinerario autoradio playlist frizione cultura marmitta fumetto revisione memorie a confronto lunotto citazione
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Stampa PoLigraf srl Via Vaccareccia, 41/b Pomezia (RM) www.poligrafsrl.it SETTESTRADE Bimestrale dell’Automobile Club di Roma Registrazione Tribunale di Roma n. 184 del 17.05.2001 Editore Acinservice Srl Sede legale, pubblicità e redazione Via C. Colombo, 261 – 00147 – Roma http://www.roma.aci.it/
Foto e illustrazioni di copertina rispettivamente di Michela Carpi e Isabella Ferrante
EDITORIALE CoNtaGIRI
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La posizione dovrebbe favo- 40 mq e 40 persone. Vanta le tantissime rirlo, se non altro in visibilità. Si chiese e l’imponente Basilica di Santa estende sul colle più alto di Maria Maggiore, ma anche misteriosi Roma, ospita la piazza più edifici che ospitano culti cinesi, peruviani, ampia della città. Eppure indù. Per non parlare degli antichi riti mil’Esquilino ha qualcosa che lo fa sem- sterici che vi si tenevano. brare come compresso, schiacciato. E poi, qui, il passato sembra dimenticato. Sarà perché Monti lo sovrasta per di- I resti dell’antica Roma, del Medioevo, mensioni e localetti cool, sarà per la Sta- dei fasti ottocenteschi, ci sono, ma se ne zione Termini che lo sommerge di stanno lì rannicchiati, nascosti. E quindi immigrati, sarà sembra tutto un per la conge- Raccontateci il vostro quartiere po’ sommerso, stione del traffico all’Esquilino, che inviando foto o testi a e dei rumori, o le cose te le devi 4frecce.redazione@gmail.com andare a scoperché quelli che amano l’”etnico” vare. Ma è anche se ne vanno a San Lorenzo. Sarà, ma tutto molto esposto, esibito. La merce di l’Esquilino se ne sta lì, un po’ dimenti- venditori cinesi e cingalesi, tutta quella cato. I romani passano oltre. I turisti gente in strada a tutte le ore, gli odori che pure. Un quartiere troppo fuori dagli invadono l’olfatto là dove la vista non arschemi, sembra. Un quartiere-para- riva. Perché è anche un quartiere che ridosso: con le sue vie squadrate e ordi- sveglia i sensi: con i suoi colori e odori, nate, e con quella sua piazza Vittorio, dai con quei suoni di musiche e lingue scoportici di rigore sabaudo, pare incredibile nosciute, arabo, cinese, etiope, somalo, che sia diventato il centro nevralgico del romano parlato con accento cinese, disordine, del diverso, dell’ingovernabile. etiope, somalo… Perché questo è. Quartiere multietnico e È un invito a lasciarsi cortegdi forti contrasti. Ospita sia le intolleranze giare, sedurre, a sostare aldella fascista Casa Pound sia gli immi- meno un po’, prima di fuggire grati addossati stretti in appartamenti da via. Ad azionare le 4frecce. a
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Stazione Termini, piazzale dei Cinquecento, di M. Carpi
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REtRoMaRCIa STORIA GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI Dalle fosse comuni ai portici
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lupi e gli uccelli dell´Esquilino spargono le membra insepolte»: no, non è la scena di un thriller. Sono le parole di Orazio (insepulta membra differunt lupi / et Esquilinae alites: cercare per credere) che descrive l’enorme cimitero dei poveri che si trovava nella parte orientale del colle Esquilino. Era una zona terribile e malsana: qui i poveri, gli schiavi, i condannati a morte, le meretrici, e chi svolgeva lavori considerati indegni (per esempio attori, mimi e musici) erano buttati nei puticoli, le fosse comuni a cielo aperto, dove i cadaveri in decomposizione attiravano bestie che ne divoravano i corpi. Come se non bastasse, veniva anche utilizzato come discarica: i romani vi gettavano rifiuti e carogne di animali.
Horti Maecenatis, da Google
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Le cose cambiarono quando il ricchissimo Mecenate, consigliere e amico di Augusto, tra il 42 e il 35 a.C. bonificò la zona per costruire i suoi horti, gli horti Maecenatis. «Ora si può abitare sull’Esquilino reso salubre e passeggiare al sole sull’aggere (il muro che faceva da confine della città), da dove poco fa tristi si guardava un campo informe biancheggiare di ossa». Era stato l’Imperatore a voler dare un nuovo volto alla città, e l’Esquilino visse un periodo di splendore: giardini, ville, fontane, ne segnarono il paesaggio. Il poeta latino Orazio, m anche Virgilio, Properzio, Nerone, vi passarono lunghi periodi. Per tutta l’età imperiale numerosi facoltosi romani eressero qui le proprie tenute, beneficiando della rete
Esquilino dall’alto, da Google
di condutture idriche che passavano attraverso le vicine mura. Con la caduta dell’Impero però, iniziò il declino. Durante il Medioevo la zona passò in possesso di vari ordini religiosi, mentre maghi, streghe e negromanti si davano convegno sul colle e celebravano misteriosi riti. Solo dal tardo Rinascimento, quando vennero restaurati gli antichi acquedotti, l’Esquilino tornò ad essere sede di varie ville e ampie tenute. Poi venne l’Unità d’Italia, e il bisogno, per Roma, di nuovi quartieri per la borghesia impiegatizia. L’attuale rione viene praticamente edificato ex novo, secondo uno schema rigorosamente geometrico. Come il Rione Prati. Come Torino. Portici, strade lineari, ampie piazze. Tutto molto ordinato. Finché il disordine del Sud Italia prima, del Sud del mondo poi, non verrà a stravolgerlo. E a vivificarlo. a
Piazza Vittorio Emanuele II, di M. Carpi
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REtRoVIsoRE PASSATO PRESENTE MISTERI D'ORIENTE E OCCIDENTE I tesori nascosti dell'Esquilino PORTA ALCHEMICA Molto vicino all’area ora occupata da Piazza Vittorio sorgeva nel Seicento Villa Palombara, del marchese Massimiliano Palombara. Membro dell’ordine esoterico dei Rosacroce, appassionato di scienze esoteriche e
amico di Cristina di Svezia, dedita alle scienze, all’alchimia e all’ermetismo, ospitò nella propria villa gli incontri di numerosi alchimisti e di studiosi con le sue stesse passioni: antichi riti, esoterismo, segreti. Tra cui, quello che permette di trasformare la comune materia in oro. Tra
MUSEO NAZIONALE D’ARTE ORIENTALE «GIUSEPPE TUCCI» Incredibilmente suggestivo, questo museo di via Merulana. Sta lì da più di cinquant’anni, ma sono pochi a sapere della sua esistenza. Ospitato dalle lussuose sale di palazzo Brancaccio, immerso nella quiete silenziosa di luci soffuse, ha in sé la magia di un viaggio lontano nel tempo e nello spazio. Se un’ampia sezione è dedicata al Vicino e Medio Oriente, una più piccola ma non meno importante è riservata all’estremo Oriente, con opere provenienti da Cina, Corea e Giappone. Emozionante è la sezione dedicata alla complessa arte del Gandhara, terra di frontiera fra mondi diversissimi nell’antico NordOvest indiano, corrispondente all’attuale Pakistan e a parte dell’Afghanistan, con le sue figure che narrano storie di impronta buddhista. Il museo custodisce inoltre una delle più importanti collezioni d’arte tibetana del mondo, sia per quantità che varietà, frutto delle esplorazioni del famoso orientalista Giuseppe Tucci a cui è stato intitolato il museo.
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Buddha - collezione Auriti, da Google
Porta Alchemica, piazza Vittorio Emanuele II, di M. Carpi
gli ospiti del laboratorio di Palombara vi era anche un certo Domenico Borri, medico e alchimista milanese perseguitato dalla Santa Inquisizione. Ce l’aveva fatta. Era riuscito a ricreare l’oro. Ma non ci fu il tempo di verificare che sparì nel nulla, lasciando dietro di sé appunti pieni di enigmi e simboli magici che nessuno fu in grado di decifrare. Il marchese di Palombara li fece allora incidere su una delle porte della sua villa, nella speranza che qualcuno riuscisse a decifrarli. Invano. A metà dell’Ottocento Villa Palombara fu interamente demolita per far spazio ai nuovi palazzi della borghesia romana. Si salvò soltanto la piccola porta d’accesso al laboratorio alchemico del marchese, che venne poi
leggermente spostata e collocata all’interno di piazza Vittorio. Gli stipiti della porta contenevano iscrizioni in latino ed ebraico e una miriade di simboli: piramidi, il sigillo di Salomone, pianeti, cerchi. Accanto ad essa, poi, vennero posizionate due bizzarre statue, tolte dai giardini del Palazzo del Quirinale. Come se ne fossero i custodi. Corpi tozzi, barbuti, volti grotteschi. Raffigurano il dio Bes, e sono collegate al culto di Iside, la dea egizia. Venerata non molto lontano da qui, nelle strade intorno a Colle Oppio, verso via Labicana e il Colosseo, dove un tempo sorgeva il maestoso Tempio di Iside e Serapide, e oggi non ne rimane che un decadente relitto.
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tERGICRIstaLLo FOTO
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ALMOST CUT MY HAIR di Michela Carpi 9
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aUtostoP RACCONTO QUELLA LINEA IMMAGINARIA di Federico Cerminara
Il tassista arrestò bruscamente la vettura e lo scaricò di fronte ad uno degli ingressi di Piazza Vittorio.
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icola era a Roma per il compleanno della nonna, ma desiderava prima incontrare un’amica che bazzicava spesso nei suoi pensieri. Le aveva scritto un sms ad ora di pranzo: “Ciao. Sono nell’Urbe. All’orologio tra un po’?”. Indeciso sul da farsi, cercò un diversivo nel fingersi turista spaesato alla fermata dell’autobus. Facile d’altronde: spaesato lo era di suo e trovarsi in una città così grande, in un quartiere che aveva visto sì e no due volte, non lo aiutava. Lesse il numero di una linea a caso, poi chiese ad un signore se il 105 fosse già passato. Il tipo gli rispose qualcosa, ma in una lingua difficile da masticare. Nelle cartoline di auguri spedite a Natale e a Pasqua,
Nuovo Mercato Esquilino, di M. Carpi
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Elena doveva aver dimenticato di raccontargli che la zona in cui viveva era popolata principalmente da stranieri. Così prese a noia quel gioco, pensando che ne aveva inventati di migliori per ammazzare il tempo. La risposta al messaggio diceva: “Sorry, problemino alla moto. Arriverò. Forse. Love. E”. Si erano conosciuti quello stesso giorno di sei anni prima, a due passi dalla stazione Termini. Lei aveva un guasto al motorino (aveva sempre un guasto al motorino, ma il più delle volte si risolveva passando da un benzinaio), un vecchio Sì che non voleva ripartire. Lui si era avvicinato per aiutarla, con un’espressione infantile disegnata sul volto che lo faceva sembrare lo scemo del paese che
Lo sguardo di lui si spostò lentamente dalla punta del dito lungo una linea immaginaria che andava ad infrangersi nella vetrina di un alimentari pakistano. va ad accogliere il forestiero. E sulle prime, bisogna dirlo, lei non parve apprezzare quel gesto di cortesia. Ma lui non era tipo da arrendersi facilmente, anche questo va detto. Le chiese se e come poteva rendersi utile, non prima di essersi presentato con un piccolo inchino. Lei gli rispose che era molto gentile, ma che era abituata ai capricci del catorcio e comunque abitava lì nei paraggi. Nel mentre allungò il dito quasi a caso in una direzione indefinita. Lo sguardo di lui si spostò lentamente dalla punta del dito lungo una linea immaginaria che andava ad infrangersi nella vetrina di un alimentari pakistano. Sulla via del ritorno, incrociò lo sguardo di lei ed insieme tornarono indietro. Poi lui prese il manubrio del motorino e cominciò a camminare lungo quella linea. Lei impiegò un paio di secondi per decidere se cominciare ad urlare o assecondare l’iniziativa dello sconosciuto. Vinse la pigrizia, vinse il piacere di sentirsi coccolata da un uomo qualunque, appena proclamatosi suo maggiordomo. Lungo la strada fu sempre e solo Nicola a parlare: le raccontò della sorella ricoverata di appendicite pochi giorni prima, del gatto strabico, della nonna che compiva 86 anni, ma era ancora arzilla e fresca come una rosa. Cadenzava le sue parole con un ritmo pacato, sereno, quasi una ninna nanna. Elena chiuse gli occhi e si strinse a quei racconti come ad un cuscino. Arrivati a Piazza Vittorio, si sentì in dovere di ringraziare il tizio biz-
via Marsala, di M. Carpi
zarro che pure l’aveva aiutata. Pensò di regalargli qualcosa a cui era particolarmente legata. E di nuovo puntò il dito, questa volta indicando un obbiettivo preciso: «Lo vedi quell’orologio dentro il muro?». «Sì, ma è fermo... », disse lui. «Ci venivo con mio fratello, quando ancora funzionava. Ora ci passo ogni volta che voglio ricordare il suo sorriso, il suo scooter che non mi lasciava mai a piedi». Nicola stava fissando l’orologio mentre aspettava, quando una pallonata in pieno volto rischiò di rompergli gli occhiali. Due ragazzini si avvicinarono a chiedergli scusa. Lui sorrise e chiese al più alto se poteva giocare con loro. a
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NaVIGatoRE MAPPA di Isabella Ferrante
http://4frecce.wordpress.com
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sCUoLa GUIDa ITINERARIO ESQUILINO: ISTRUZIONI PER L’USO di Federico Cerminara e Tiziano Albanese
Questo è l’ombelico del mondo, è qui che nasce l’energia, centro nevralgico dell’universo, è da qui che parte ogni nuova via. Jovanotti lo cantava, un certo Esquilino, e i suoi abitanti lo vivono sulla propria pelle. Ogni vicolo è un microcosmo variegato e multiforme, fusione di dialetti, suoni, colori che popolano il quartiere.
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l nostro percorso inizia da Roma Termini, il secondo scalo ferroviario più grande d’Europa dopo Parigi: con oltre 800 treni che partono e arrivano ogni giorno, è il punto ideale per fissare la bandierina del via. Costeggiamo la stazione lungo via Giolitti, poi imbocchiamo via Cattaneo fino all’Acquario Romano, in Piazza Fanti: un secolo di storia alle spalle, l’acquario sta recuperando ora le sembianze originarie dopo essere stato un teatro e tante altre cose che con l’acqua hanno poco in comune. Sulla parallela, al n.8 di via Na-
poleone III, c’è CasaPound, il primo centro sociale di ispirazione fascista, fondato nel 2003. Da qui alla chiesa di Sant’Eusebio il passo è breve. Da non perdere, ogni 17 gennaio, il rito della benedizione degli animali. C’è una leggenda secondo cui la Regina Teodolinda qui avrebbe ricevuto in sogno la vocazione cristiana, facendo poi costruire il Duomo di Monza e collegandolo alla chiesa di Sant’Eusebio con un passaggio segreto. Ma non c’è tempo per soffermarsi su anfratti misteriosi. Di fronte a noi si spalanca Piazza Vittorio
Piazza Vittorio Emanuele II, di M. Carpi
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Chiesa di Sant'Eusebio, di M. Carpi
Emanuele II, luogo simbolo del rione. Dal nobile tentativo di valorizzare questo incrocio di tradizioni, è nata l’Orchestra di Piazza Vittorio: diciotto musicisti da dieci paesi diversi, ben nove lingue differenti, fondono nella musica la ricchezza delle proprie origini. Altro esempio di incontri felici tra culture differenti è Matemù, centro di aggregazione giovanile nei dintorni di via Manzoni, in cui ragazzi di tutte le età e da ogni paese, si ritrovano e danno vita ad un laboratorio permanente di scrittura, danza e recitazione. Torniamo ad immergerci nella folla, facendo due passi nel Nuovo Mercato Esquilino, che raggruppa i commercianti del vecchio mercato di Piazza Vittorio, ne raccoglie la tradizione provando a coniugarla con la modernità. E certo un’altra roccaforte della tradizione romana, è il Palazzo del Freddo ossia la celeberrima Gelateria FASSI, in via Principe Eugenio, costruita nel 1928 per la spesa di oltre un milione di lire all’epoca. Qui la sosta è d’obbligo.
Ma l’Esquilino ci riserva altre sorprese. È sufficiente allontanarsi da Piazza Vittorio e andare verso via Merulana che già sembra di essere in un altro mondo, in un’altra città. Come viaggiare in auto lungo la costa siciliana, dove basta allontanarsi pochi chilometri dal mare per assistere ad un cambio di vegetazione radicale. Così in un attimo arriviamo all’Auditorium di Mecenate, un piccolo ninfeo d’epoca romana, venuto alla luce nel 1874, proprio quando cominciavano i lavori per la costruzione del quartiere. L’Auditorium è situato a metà tra il Teatro Brancaccio e il Forno Panella, attivo da più di cento anni nella capitale. Torneremo lì, per concludere la nostra passeggiata con un ottimo aperitivo, magari seduti ai tavolini fuori e ammirando la cupola dell’imponente Basilica di Santa Maria Maggiore, il cui profilo si staglia alla fine di via Merulana. Ma non prima di aver visitato il Museo Storico della Liberazione in via Tasso. Perché anche questo è l’Esquilino, un luogo percorso dalla storia che si è fatta Storia. a
Teatro Brancaccio, via Merulana, di M. Carpi
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aUtoRaDIo PLAYLIST
XYZMNPQRSTUV RADIO 4FRECCE
titolo: esquilino durata: 48 ‘46’’
on air: www.youtube.com/user/radio4frecce
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01 - l’orchestra di piazza vittorio - tarareando (4 ‘ 56 ‘’)
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02 - l’orchestra di piazza vittorio - sahara blues (4 ‘ 46 ‘’)
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03 - l’orchestra di piazza vittorio - balesh tebsni (6 ‘ 26 ‘’)
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04 - l’orchestra di piazza vittorio - ya baba (5 ‘ 50 ’’)
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05 - l’orchestra di piazza vittorio - sona (5 ’ 14 ’’)
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06 - l’orchestra di piazza vittorio - lamma bada (4 ’ 24 ’’)
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07 - l’orchestra di piazza vittorio - ena andi (3 ’ 41 ’’)
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08 - l’orchestra di piazza vittorio - ana fi intizarak (5 ’ 01 ’’)
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09 - l’orchestra di piazza vittorio - ninderli (5 ’ 26 ’’)
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10 - l’orchestra di piazza vittorio - vagabundo soy (3 ’ 02 ’’)
CULTURA FRIZIoNE ESQUILINO NEI LIBRI BORGHESIA CHE NON C’È PIÙ Carlo Emilio Gadda Quer pasticciaccio brutto de via Merulana «Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi»
STORIA DI DESTRA Domenico Di Tullio Nessun dolore «Quando hai una storia e un mondo a cui appartieni, una comunione d’intenti così grande e profonda che niente può scalfirla, quando ti guardi negli occhi e, senza pensare, riconosci accanto a te il fratello, il padre, la figlia, il tuo amore […] non esiste più nessuna paura, non rimane più nessun dolore»
LE PAROLE DI OGGI Igiaba Scego La mia casa è dove sono
Amara Lakhous Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio
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MaRMItta FUMETTO LA GIORNATA DEL DRAGONE di Isabella Ferrante
REVIsIoNE MEMORIE A CONFRONTO CHE TIPETTO, EH? Novant’anni di Esquilino
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driana è del gennaio del 1923, il che significa che tra quattro mesi compirà novant’anni. La aspetto alla fermata della metro di piazza Vittorio, tra bancarelle di abbigliamento, l’odore intenso del kebab, una farmacia con le insegne in cinese. Finché non la vedo emergere dal sotterraneo che sale i gradini a due a due, senza avere nemmeno il fiatone. «Abito al quinto piano, faccio sempre le scale, e quando i ragazzi mi chiedono se voglio salire con l’ascensore rispondo che lo farò quando avrò la loro età». Sorride. Poi, decisa, dice: «Allontaniamoci di qua», e lancia uno sguardo da trapassare il cuore ai due ragazzi che alle nostre spalle stanno finendo il loro piatto di kebab fumante. Seduti a terra, le gambe incrociate, la schiena poggiata alla colonna. Lei scuote la testa. «Questo quartiere l’hanno fatto i Piemontesi, lo sai, sì?» Eccome no. «Un tempo era bello passeggiare sotto questi portici così eleganti: c’erano negozi raffinati, distinti… e ora, guarda com’è ridotto». Mi guardo intorno, non potevo aspettarmi che tutto questo le piacesse. Gli odori intensi, la folla, la sporcizia a terra e sui muri e nell’aria, il disordine. Il quartiere l’ha vissuto in un’altra epoca, in un’altra era, mi viene da pensare. È per questo che ci siamo rivolti a lei, no? Per sapere come era l’Esquilino prima che fosse così, «con questa pletora di negozi di telefonia, televisori, aggeggi elettronici, e poi negozi di cinesi, cinesi cinesi…». Lo dice mentre ci avviciniamo al Nuovo Mercato Esquilino. Ecco, chissà prima com’era? «Era meraviglioso. Al centro c’era tutta un’area verde, dove potevi
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portare i bambini a giocare mentre facevi la spesa ed era un mercato in cui la gente risparmiava veramente. Durante la guerra il mercato ha sofferto parecchio, certo, ma poi si è ripreso, è diventato fiorente, ed era un piacere incontrarsi con tutte le massaie e c’era tutta un’allegria, andare dall’abbacchiaro, che vendeva gli abbacchi, dai fruttaroli, dai pesciaroli, e parlare con loro, farsi consigliare, battagliare sul prezzo…», si guarda intorno e inizio a capire che non è solo la diffidenza verso il nuovo e il diverso a trapelare dalle sue parole, ma vera nostalgia, un ricordo struggente, amaro. Ci allontaniamo di lì, e chiedo a lei di guidarmi nel quartiere. Ed è così che ha inizio un inaspettato tour religioso. «Il 5 agosto si andava a Santa Maria Maggiore… o Santa Maria “Liberiana”, o Santa Maria “ad nives”. E lo sai perché? Quel giorno di un anno remoto della seconda metà del quarto secolo avvenne un evento portentoso. Papa Liberio aveva ricevuto in sogno il suggerimento di dedicare alla Madonna
il luogo di culto nel posto che all’indomani avrebbe ritrovato ricoperto di neve. Era agosto. Lo stesso sogno fece il patrizio che rappresentava in Roma l’Imperatore trasferitosi ormai a Costantinopoli. E il giorno seguente, 5 agosto, nevicò su un’altura del colle Esquilino. Da cui il nome Santa Maria della neve, o Liberiana, da Papa Liberio. Era una cerimonia toccante perché sull’altare facevano piovere una nevicata di fiori bianchi e tutti i bambini rimanevano a guardare la neve col nasino all’insù. Ancora oggi assistono alla festa moltissime persone». Da Santa Maria Maggiore passiamo alla Chiesa di San Marcellino. «Ecco, qui c’è la culla di tutti i miei ricordi più belli. Un tempo c’era - e non so se ci sia ancora la Congregazione delle Teresine, che veneravano una statua molto bella di Santa Teresa e quando era la sua festa venivano organizzati festeggiamenti impressionanti, con le bambine vestite con l’abitino bianco e piene di ghirlande di fiori. Avevo portato lì la mia figlia maggiore per la preparazione alla Prima Co-
munione. C’era con me anche la più piccina che quando ha visto la sorella rimanere in chiesa senza di noi, non ne ha voluto sapere di andarsene. L’ho dovuta lasciare lì, tanto era il chiasso che faceva! E così fu per tutto l’anno. Non aveva ancora compiuto cinque anni ma al termine del corso la suora mi disse che se volevo potevo far fare la comunione anche a lei. E così mi sono messa a ricamare due vestiti, uno corto al ginocchio per la piccola e l’altro lungo per la grande. Capito che tipetto, eh?». Annuisco e non la voglio interrompere. «Così si avvicina il giorno della Comunione, ma mio marito deve partire all’improvviso per l’America». Per l’America? «Le mie nipoti dicono che il nonno vendeva i lacci perché poi lui in pensione è andato ad aiutare mio fratello nel negozio di calzature a piazza Navona - ma lui era ufficiale della Difesa Aeronautica» e qui ha inizio una lunga digressione che ha come protagonisti un uomo e una donna che si sono amati molto e fino alla fine, dedicando tutta la vita alla famiglia e al
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via A. Lamarmora, di M. Carpi
lavoro. Finché non torniamo a quella Prima Comunione: «Insomma, poteva mai un padre non assistere? Così riuscimmo a far fare la Comunione alle bambine alcune settimane dopo, nella chiesa dell’Immacolata. Lì c’era il culto di Sant’Anna, e ogni anno nella sua ricorrenza venivano in pellegrinaggio giovani madri, gestanti, e donne di ogni genere per ringraziare la Santa di una grazia ricevuta, o per implorarne una. Ma la funzione che io preferivo più di tutte era quella legata a Sant’Antonio: ogni anno sfilavano lungo la strada le persone con in mano un giglio bianco, e anche quella era una festa per le mamme, che si rivolgevano con fervore al Santo, e c’era l’usanza di vestire i bambini con il saio e il cordone come Sant’Antonio come segno di devozione, e tu vedevi questi bimbetti vestiti come fraticelli, pure nella culla!, o zampettando con i sai vicino alle mamme. E poi c’erano le donnine anziane dei castelli coi vestiti arricciati in vita, le gonne lunghe, le crocchie dei ca-
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pelli… profumavano il marciapiedi! Ai piedi della scalinata tenevano questi enormi cesti di vimini con la lavanda: si acquistava e si conservava tutto l’anno, e poi non la si doveva buttare ma bruciare, come le palme di Pasqua». Io guardo la lunga scalinata della chiesa mentre la scena mi si compone sotto gli occhi, allegra e piena di speranze. Finché la voce squillante di Adriana non mi riporta alla realtà. «Noi abitavamo lì, in quel palazzo», dice, indicando un punto indefinito su via Labicana. «Ho sposato subito dopo la Guerra. Prima abitavo a piazza Paradiso, vicino a piazza Navona, e per noi qui era già… be’, non dico periferia ma quasi. Ma c’era questo conoscente che liberava il suo appartamento… noi lo andammo a vedere: c’erano i pavimenti alla veneziana, il salone con due finestre, i servizi! E da lì vedevi il Colosseo e i campanili di San Giovanni e ce ne innamorammo. Ma eravamo giovani, i soldi erano davvero pochi. Facevo la spesa ogni giorno al
Nuovo Mercato Esquilino, di M. Carpi
MEMORIE A CONFRONTO REVIsIoNE «Con questa pletora di negozi di telefonia, televisori, aggeggi elettronici, e poi negozi di cinesi, cinesi cinesi…» mercato, e poi andavo a pranzo a casa di mia mamma per risparmiare. Al ritorno prendevo l’autobus, la corsa finiva al Colosseo e bisognava pagare un supplemento ma io, sempre per risparmiare, scendevo e andavo a piedi. E quando qualcuno che conoscevo mi chiedeva perché scendevo lì io mi inventavo le cose: che dovevo andare in banca, in farmacia…». Le chiedo come fosse vivere lì nel Dopoguerra. «Durante la Guerra era un pianto, era tutto grigio! Io non abitavo ancora qui, però mi sembrava comunque un bel posto in cui vivere. E mio nonno, sai, lo adorava. Ha comprato tre appartamenti, qui, nel corso degli anni. Gli piaceva il tram, più di tutto. Aveva fatto l’abbonamento andata e ritorno e si faceva le passeggiate in tram. Quando siamo venuti ad abitare qui i primi tempi non si dormiva! Finiva il notturno e alle 5 si ricominciava, era uno sferragliare continuo! Non era una zona tranquilla. Poi hanno costruito il Palazzo delle Agenzie delle Entrate, la notte hanno illuminato il Colosseo… e tutto è diventato più vivibile».
E gli altri appartamenti li avete ancora?, le chiedo, curiosa di sapere se anche l’intransigente Adriana ha un appartamento affittato a… «Uno, sì, a via Emanuele Filiberto. Una camera si affaccia sul cortile interno, e si sente l’odore del forno. Squisito. Non come sul portone, l’odore degli extracomunitari che è nauseante ma mia nipote non vuole che io lo dica». Oggi l’ha affittato a «un signore del Bangladesh» che ha un suo banco a Ostia. Ne parla con rispetto, quasi stupita dalle sue stesse parole. Ci avviamo verso la metro Manzoni. Prima di immergersi a passo rapido nella metropolitana mi indica le vetrate dell’hotel Hilton. «Lì un tempo c’era un negozio di tappeti», mi dice, «e avevano delle statue enormi, ma enormi eh, tutte nude. Un’indecenza. Allora io sono entrata, ho detto che ero la preside della scuola qui di fronte, e che li avremmo denunciati per oltraggio al pudore se non avessero fatto qualcosa». E loro che hanno fatto? «Hanno preso i tappeti e glieli hanno poggiati addosso, a coprire tutte quelle nudità». Che tipetto, eh? a
RINGRAZIAMENTI La Redazione di 4frecce ringrazia tutti coloro che con segnalazioni, ricordi, racconti, hanno reso possibile la realizzazione di questo numero. In particolare ringraziamo Federico Cerminara e Tiziana Albanese che dalla lontana Calabria sono venuti a raccontarci Roma: potete leggerli anche sui blog www.lemadie.it e www.bombacarta.com. Ringraziamo poi Isabella Ferrante per le sue preziosi e vivaci illustrazioni: fumettista, caricaturista, illustratrice e grafica, nata a Roma, lavora tra la Capitale e Milano e ovunque la porti il fumetto e il web (isacomics.blogspot.it).
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LUNOTTO «… le belle serve tutte fronzute de sélleri e de spinaci, in della sporta, quanno venivano da piazza Vittorio la mattina» (Carlo Emilio Gadda)
Basilica di Santa Maria Maggiore, di M. Carpi