g4FRECCE c sosta a... TRASTEVERE #2
al di là del ponte storia - mappa - itinerario - racconto - fumetto - curiosità
CoNtaCHILoMEtRI SOMMARIO
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4FRECCE Supplemento di SETTESTRADE Anno X n. 3 giugno 2011 http://4frecce.wordpress.com 4frecce.redazione@gmail.com Direttore Responsabile Umberto Cutolo Redazione, testi e progetto grafico Michela Carpi, Andrea Provinciali Hanno collaborato Enrica Murru e Clara Galanti
contagiri editoriale retromarcia storia retrovisore passato presente tergicristallo foto autostop racconto navigatore mappa scuola guida itinerario autoradio playlist frizione cultura marmitta fumetto revisione memorie a confronto lunotto citazione
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Stampa PoLigraf srl Via Vaccareccia, 41/b Pomezia (RM) www.poligrafsrl.it SETTESTRADE Bimestrale dell’Automobile Club di Roma Anno X n. 3 giugno 2011 Registrazione Tribunale di Roma n. 184 del 17.05.2001 Editore Acinservice Srl Sede legale, pubblicità e redazione Via C. Colombo, 261 – 00147 – Roma
Foto e illustrazioni di copertina rispettivamente di Michela Carpi e Clara Galanti
EDITORIALE CoNtaGIRI
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Piace ai romani, piace ai gio- soso, le perdoniamo gli stranieri a cui vani e agli anziani, piace la si è concessa, i loft-pied-à-terre-manmattina per il mercato, il po- sarde-soppalchi-cantine-soffitte che ha meriggio per il gelato, piace la venduto, i negozi del kitsch e dei prezzi notte, soprattutto quando è esorbitanti, i menù in quattro lingue calda l’estate, piacciono i vicoli le escluso l’italiano, perdoniamo lei e i trapiazze gli angoletti gli anfratti, piac- steverini e i non trasteverini, perdociono i baci sotto le pergole, piacciono niamo noi stessi, sì, soprattutto noi le pergole, piacciono le gonne corte stessi, che nonostante tutto l’amiamo. delle turiste piacciono i sanpietrini no- C’è l’antica Roma qui sepolta, basta scendere nelle nostante i tacchi Raccontateci il vostro quartiere cripte delle chieo i motorini, pise per vederla acciono i colori inviando foto o testi a tutta, e ci sono pastello l’acqua 4frecce.redazione@gmail.com storie di martiri e che sgorga dalle fontane, piacciono le chiese, i loro di gran dame, storie di battaglie che ampi cortili, piace tutta Trastevere, e hanno fatto l’Italia, ci sono i racconti di tutto le si perdona, come a una donna scrittori e artisti e cineasti che oggi, bella la svagatezza, l’irrimediabile di- come due secoli fa, ne celebrano grastrazione. Le perdoniamo ore perse zia ferocia e bellezza. Noi ci siamo ferper raggiungerla in cerca di un par- mati qui, ad ascoltare quello cheggio, e le perdoniamo le multe, le che è stato detto, a osserperdoniamo quell’aria un po’ radical- vare tutto quello che ancora chic che ha messo su da un po’, e la c’è. Venite ad azionare sfacciata franchezza, il vociare chias- 4frecce con noi. a
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Ponte Sisto, di M. Carpi
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REtRoMaRCIa STORIA DI LÀ DAL TEVERE Tra santi, nobili e repubblicani
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l termine dell’attuale via del Porto, all’altezza del complesso del San Michele, si trovava il ponte più antico di Roma, il Sublicio, unico a collegare – con assi di legno facilmente smontabili – la città con le terre al di là del Tevere, trans Tiberim, appunto, da cui il nome Trastevere. Terra appartenente agli etruschi, conquistata per controllare e difendere meglio il proprio territorio, non divenne mai parte integrante della città. Il Santuario Siriaco sul Gianicolo testimonia il grande afflusso – in età repubblicana – di immigrati dall’Oriente (in particolare, appunto, ebrei e siriani), che andarono a infoltire quella periferia dell’urbe fatta di marinai e pescatori. Soltanto in età imperiale la regio transiberina – come venne denominata
San Crisogono, sotterranei, di E. Averina
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sotto Augusto – iniziò ad acquistare qualche considerazione: l’imperatore Aureliano, nel III sec. a.C., fece estendere le mura della città fino a includere quest’area, e importanti personalità dell’epoca vi edificarono le proprie ville (tra cui Clodia, forse amata da Catullo, sicuramente vilipesa da Cicerone). I resti di antiche ville romane si trovano oggi sotto le Chiese di Santa Cecilia e San Crisogono, sotto l'ex Conservatorio di San Pasquale Baylon in via dei Genovesi. Trastevere medioevale era già un labirinto di vie strette e tortuose, non lastricate, su cui si affacciavano case modeste e ricchi palazzi dei signori. Ancora relativamente isolata rispetto alla città, avrebbe affrontato i secoli senza venire sfiorata dalla Storia.
S. Cecilia, di M. Carpi
Nell’Ottocento, quando è ormai un rione a sé stante, Trastevere si presenta densamente popolato, vivace e industrioso, con pochi palazzi nobiliari e molti popolari, con chiese, monasteri, conventi, e anche ospizi, conservatori, ospedali, confraternite. Nell’estate del 1849, nel fervore delle Guerre d’Indipendenza e sotto il breve ma glorioso periodo della Repubblica Romana, Trastevere ospitò nelle proprie cantine repubblicani e garibaldini pronti a difendere la città dalle truppe francesi. Passarono di qui Mazzini e Garibaldi, con la città per un mese sotto assedio, seguirono una manciata di giorni eroici, innumerevoli morti e feriti, e poi la resa: il due luglio i francesi passano per (l’attuale) via Garibaldi occupando Trastevere e Porta Portese. Nello stesso giorno in Campidoglio venne letta al popolo la Costituzione appena approvata, che non sarebbe mai entrata in vigore. a
FONTANA DELLA BOTTE Nel quartiere delle osterie e del vino non poteva non esserci una “fontana della botte”: realizzata nel ’27 dall’architetto Pietro Lombardi, la si trova tra via della Cisterna e via San Francesco a Ripa. La fontana ha la forma di un caratello (botte usata un tempo per trasportare il vino dei Castelli) dalla cui parte centrale esce l'acqua che viene raccolta in un tino; ai lati si trovano due brocche, le stesse da cui ancora oggi viene servito nelle osterie il vino della casa, da cui pure sgorga acqua potabile… e peccato non sia vino. Fontana della botte, di M. Carpi
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REtRoVIsoRE PASSATO PRESENTE SONO PASSATI DI QUA Uomini e donne emblemi del rione AL FOLKSTUDIO
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areti insonorizzate con sacchi di iuta, un piccolo bar, uno stanzone con la pedana bassa a fare da palco: non era che un’umida cantina nel cuore di Trastevere, ma se all’inizio dei Sessanta volevi ascoltare musica americana, o i nuovi cantautori italiani, dovevi venire qua, al Folkstudio di via Garibaldi. Padroni di casa erano Harold Bradley, pittore e musicista afroamericano, nero, che faceva l’attore nei kolossal, e Giancarlo Cesaroni, chimico con la passione della musica e dei cavalli: i due avrebbero ospitato musicisti d’oltreoceano (tra cui un allora sconosciuto Bob Dylan) fino al 1967, quando Bradley tornò in America lasciando a Cesaroni la direzione (come testimonia il simbolo del locale, una mano bianca che stringe una nera). Da allora la programmazione spaziò dalla musica popolare al jazz a gospel e spiritual, ma fu la canzone d’autore italiana che ne segnò la storia: al Folkstudio hanno suonato, ai loro esordi,
Antonello Venditti e Francesco De Gregori, Mimmo Locasciulli, Sergio Caputo, Grazia Di Michele, Stefano Rosso, Rino Gaetano, Gianni Togni, Giovanna Marini, tanto per dirne alcuni. «Erano tempi lenti e con poche auto, erano passeggiate da farsi placidamente a piedi, avventure da mordere a fondo – notti comprese – fra bar, cantine, ristoranti, librerie, gallerie e iniziative... luoghi umani ed artistici legati strettamente dallo stesso spirito neo-romantico», ricorda Antonello Venditti, «erano tempi – sana nostalgia per la giovinezza a parte – in cui Roma Capoccia dominava sul mondo infame dall'alto della sua rivoluzione culturale e il Folkstudio in via Garibaldi (con annesso il limitrofo Bar delle Rose) era un microcosmo capace di far convivere guitti intellettuali e popolo, hyppies globetrotters e politici, ceti razze ed età, tutte unificate dal jazz, dal folk, dalla sangrilla e dall'amicizia grande, fatta di grande complicità» (A. Venditti, prefazione a Canzoni pennelli bandiere supplì, di E. Bassignano). a
L. Dalla e F. De Gregori al Folkstudio, da Google
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Santa Cecilia, di M. Carpi
CORPI DI DONNE, MANI DI UOMINI È un dolore che travolge e afferra lo stomaco, quello che combatte la giovane Ludovica, un dolore di spasmi e contorsioni, le mani al petto, le vesti disordinate, la testa reclinata sui cuscini e contratta in un grido silenzioso, le ginocchia piegate, i piedi tesi, un dolore inimmaginabile e mortale che fa chiudere gli occhi di stupore, e socchiudere la bocca per un ultimo respiro. L'ha resa eterna il Bernini, questa estasi di dolore, scolpendo la Beata Ludovica Albertoni, splendida e terribile, nel momento in cui morte la vince. Più pudico ma non meno stupefacente il corpo di Santa Cecilia, reclinato su un fianco, quasi accucciato, quasi come appena sopito, le mani che sembrano aver appena fatto scivolare un libro, o un oggetto prezioso, in attesa di qualcuno che prima che sia notte lo raccolga, la testa insolitamente ritorta all'indietro, quasi a voler nascondersi, a sottrarsi allo sguardo, a imporre un no, non mi guardate ora. La scolpì all'inizio del Seicento Stefano Maderno, allora ventitreenne: le spoglie della martire (suppliziata milletrecento anni prima) erano appena state rinvenute miracolosamente intatte, e furono esattamente riprodotte. Una sofferenza pacata, pacificata, bianca e fragile, che invita al riposo. L'una la si può vedere in una cripta di San Francesco a Ripa, l'altra sotto l’altare maggiore dell'omonima chiesa, la Basilica di Santa Cecilia. Beata Ludovica Albertoni, da Google
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tERGICRIstaLLo FOTO
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RAMBLAS di Michela Carpi 9
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aUtostoP RACCONTO BIANCO E NERO E GRIGIO di Enrica Murru
- Non so, allora diciamo che odio i fiori recisi. E lo diceva con quello sguardo serio ma distratto che Luca conosceva bene.
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e era sfuggita una ciocca scolorita dalla crocchia che si faceva sulla sommità della nuca mentre leggeva. - A me sembra assai sciocca come cosa da odiare. Cioè, come se qualcuno si disturbasse a odiare i fiori recisi: ma fammi il piacere Giù!
Vicolo del Cedro, di M. Carpi
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Intanto sentiva rantolare sui sampietrini sconnessi di via del Politeama le latte vuote e le bottiglie di birra abbandonate che i netturbini spazzavano via. Una litania quotidiana che interrompeva ogni momento di riposo, ogni giorno, sempre uguale. La udiva però come una cosa distante, fastidiosa certo, che interrompeva gli arpeggi morbidi di Bill Callahan. Giulia seguiva le note con uno sguardo sognante che Luca percepiva appena fra le ciglia annerite di mascara. - Senti ma adesso perché devi cavillare su quello che odio o non odio? Stavo leggendo in pace, arrivi tu, santo dio, a fare polemica. Sai proprio essere intollerabile. Non aveva appoggiato il libro, sperava ancora di finire la seconda parte di una trilogia che avrebbe amato se non fosse uscita in libreria a distanza di anni. Digressioni lunghe, frasi ampie, una sequela interminabile di subordinate, matrioske sintattiche che si rincorrevano sulla pagina. Midcult qualcuno lo aveva definito. Odiava i filologi, a volte. - È che non sopporto questa tua paciosità da mucca scema. Non è possibile essere così buoni e accondiscendenti: o sei una finta buonista o una grossa ipocrita. Oppure, peggio ancora, sei semplicemente troppo insicura per esprimere un giudizio su qualsiasi cosa. Il senso di nausea e ansia non lo abbandonavano dal mattino, da quando,
Via del Politeama, di M. Carpi
fra il quotidiano del giorno prima e la tazza di caffellatte, non era riuscito a staccarsi di dosso quella leggera sensazione di perdita d’equilibrio, troppo pacata per diventare vertigine, troppo persistente per essere scacciata come una mosca col rovescio della mano. - Eh no, non insultarmi pure ora. Vacca paciosa ci sarai tu. Non è che tutti dobbiamo avere bisogno come te del pastello rosso/blu per segnare gli errori. Cazzo, mica è tutto bianco e nero. Niente è così semplice. Era dal mattino che ciondolava in casa con fare svogliato e fintamente mansueto, si vedeva che c’era qualcosa che lo rendeva inquieto, ma lei non si sarebbe lasciata trascinare in una di quelle inutili discussioni sul filo di una retorica contorta, che finivano puntualmente per sfiancarla e intristirla. - Sì invece: è bianco l’amore, è nero l’odio. Io ti amavo e ora nemmeno ti odio più. Quindi sarei grigio, secondo
la tua dialettica stringente? Ora lo avrebbe mandato al diavolo, ne era certo. Anzi no, avrebbe frignato. Oppure sarebbe scesa in strada a far deflagrare la disperazione. I netturbini l’avrebbero guardata attoniti mentre correva inciampando sulla strada assolata. I turisti ammorbati dall’afa delle 3 del pomeriggio sarebbero rimasti imbalsamati come trofei di caccia. Avrebbero fissato attoniti le vie trasteverine smettendo di girare come forsennati ogni angolo pronti a scattare foto. E a lei sarebbe colato il trucco, quel mascara passato sulle ciglia una ad una. Giulia era rimasta senza fiato un attimo, un attimo solo. Il tempo necessario ad elaborare le informazioni, a ricondurle nella casella assegnata alle emozioni astratte nel suo cervello. Sciolse i capelli. Rifece con meticolosità la crocchia e girò pagina. Lo avrebbe finito quel libro oggi. Che lui tacesse o no. a
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NaVIGatoRE MAPPA
http://4frecce.wordpress.com
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sCUoLa GUIDa ITINERARIO À REBOURS di Enrica Murru
A ritroso come piacerebbe a Huysmans: un ideale itinerario, di qualsiasi natura, dovrebbe partire sempre dalla fine per addentrarsi poi nel profondo.
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a fine di Trastevere è il punto in cui molte esistenze ribelli sono finite relegate, dove sono ubicati i più noti 3 scalini di Roma, oggetto persino di un motto popolare «A via de la Lungara ce sta 'n gradino chi nun salisce quelo nun è romano, nun è romano e né trasteverino»: ne è degna destinataria una Circe che sa come lambire gli Argonauti, Regina Coeli. Scendendo su via della Lungara si arriva ad un luogo di culto laico fra i più belli di Roma, Palazzo Corsini, sede dell’Accademia dei Lincei, magnifica biblioteca che ebbe tra i suoi primi soci
S. Maria in Trastevere, di M. Carpi
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Galileo Galilei. Impossibile a questo punto non dedicarsi ad un’altra religione invisa alla Chiesa, quella animista, che troverebbe idoli ideali nell’Orto Botanico di Roma, in Largo Cristina di Svezia, un parco di 30 ettari che ospita alcune specie rare di piante e un giardino giapponese con tanto di alberi di ginko biloba e pagoda. Difficile udire lo strimpellare dei più feroci automobilisti romani, quelli del lungotevere, qualche metro più in alto: la natura riesce ancora a difendersi. Proseguendo su via della Lungara ci si addentra finalmente nel cuore del
rione, varcando Porta Settimiana, crocevia cardine di Trastevere: a sinistra si inerpica via Garibaldi, strada che conduce a due note vie rifugio dei fidanzatini in vena di romanticismi che di questi tempi sarebbero additati per oltraggio al pubblico pudore: via di Porta San Pancrazio e Salita del Bosco Parrasio. Per sciogliere le ultime inibizioni può essere utile passare al Baretto, in cima a via Garibaldi, una vetrata da vertigine e un cortile immerso nel verde. Ridiscendendo per via Garibaldi si incrocia via Mameli, costeggiata da una scalinata ripida che riscende nei meandri di Trastevere. Sbucherete in uno dei vicoli più caratteristici e fortunosamente deserti del quartiere, vicolo del Leopardo, colorato dai panni stesi, dai fiori, dalle luci da presepe. Da esso si torna su via della Scala. Qui, al civico 64, si incontra il regno incontrastato del buon bere, facilmente riconoscibile per l’antica insegna di marmo che recita “vini e olii” e per la botte piazzata all’esterno a mo di tavolino. Si arriva poi a piazza Sant’Egidio (vale una visita il Museo in Trastevere), ultima contrafforte della minutezza delle antiche piazze trasteverine prima dell’immersione nella munifica Santa Maria in Trastevere, piazza a pianta centrale con tanto di fontana e piccioni. Si prosegue poi alla volta di San Calisto. A questo punto tappa obbligata è via dei Fienaroli. È qui che trovate Bibli, libreria fornitissima e caffè con delizioso cortile interno, dove gustare torte fatte in casa in porzioni generose per tenere compagnia nella lettura. Per sfociare nella parte di Trastevere più nascosta basta attraversare viale Trastevere percorrendo via S. Francesco a Ripa. Ogni stradina vale la pena di essere percorsa, fra edere e tetti che dise-
Ponte Sisto, di M. Carpi
gnano uno skyline frastagliato. Consigliata poi una tappa all’Accademia di Santa Cecilia, nell’omonima piazza, e via a rifocillarsi da Roma sparita: carciofi alla romana e tonnarelli cacio e pepe vi imporranno la tipica passeggiata digestiva. È d’obbligo a questo punto una capatina nella famosa piazza Trilussa: dopo cena enologico da Ferrara o brasiliano con mohito originale da Bum Bum di Mel (via del Moro 17), riconoscibile per il cartello elettronico esterno che indica quale dei numerosi frozen preparati da Ana è destinato a voi. Se a questo punto avrete da smaltire sbornie non resta che salire su Ponte Sisto e vedere la città sottosopra riflessa nel “biondo Tevere”. Voltarsi indietro a rimirare Trastevere è d’obbligo. La nostalgia qui non è un optional. a
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aUtoRaDIo PLAYLIST
XYZMNPQRSTUV RADIO 4FRECCE
titolo: trastevere durata: 36 ‘
on air: www.youtube.com/user/radio4frecce
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01 - claudio villa - casetta de trastevere (3 ‘ 41 ‘’)
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02 - stefano rosso - letto 26 (3 ‘ 29 ‘’)
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03 - alvaro amici - ciumachella de trastevere (3 ‘ 05 ‘’)
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04 - franco califano - roma nuda (3 ‘ 07 ’’)
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05 - nino manfredi - trastevere (3 ’ 10 ’’)
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06 - lando fiorini - barcarolo romano (3 ’ 59 ’’)
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07 - claudio lolli - folkstudio (3 ’ 17 ’’)
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08 - antonello venditti - dove (7 ’ 04 ’’)
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09 - francesco de gregori - arlecchino (2 ’ 21 ’’)
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10 - corveleno - trastevere (3 ’ 06 ’’)
CULTURA FRIZIoNE IN POESIA
Statua Trilussa, da Google
Trastevere ricorda i poeti popolari e romaneschi, con le statue di Giuseppe Gioacchino Belli e di Trilussa – nell’omonima piazza – e la poesia si è fatta strada tra i vicoli del quartiere con gli occhi di Dario Bellezza e Sandro Onofri, che considerava piazza San Cosimato – al tempo delle canzoni di Claudio Villa – come il vero cuore di Trastevere.
Targa S. Leone in viale Glorioso, di M. Carpi
NEL CINEMA Anna Longhi attrice e comica (la buzzicona moglie di Alberto Sordi) era una trasteverina verace; Alvaro Vitali, il pierino e gianburrasca della commedia sexy all’italiana (ma anche Cotechiño centravanti di sfondamento) nacque a Trastevere nel Cinquanta; il regista Valerio Zurlini frequentava il bar di Marzio col suo cane; oggi Nanni Moretti ha in Trastevere il suo Nuovo Sacher e Sergio Leone rimase colpito dal quartiere al punto da immedesimarsene.
FILM Trastevere, di Fausto Tozzi (1971); Roma, di Federico Fellini (1972); Un sacco bello, di Carlo Verdone (1980); In nome del popolo sovrano, di Luigi Magni (1990)
LIBRI Rafael Alberti Roma, pericolo per i viandanti (Passigli)
Simone Caltabellota Il giardino elettrico (Bompiani)
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MaRMItta FUMETTO COME ACCADE di Clara Galanti
REVIsIoNE MEMORIE A CONFRONTO PIÙ SEMO E MEJIO STAMO Due secoli di Trasteverini
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rastevere fine Ottocento: «Ma che vai a Roma?», era solito chiedere un trasteverino all’altro se lo vedeva «passare ponte», oltrepassare il Tevere, ché il rione appariva, rispetto al resto della città, come un grande e distaccato villaggio. Lo popolava gente di estrazione plebea ma fiera di un lignaggio antico, che non intendeva compromettere abitudini e linguaggio con quelli di là dal fiume. «Spesso biondo, colla pupilla azzurra, rozzo e montanaro» è il trasteverino descritto, in contrapposizione al monticiano, nelle Memorie inutili (1875) di Alfredo Oriani: «meno pronto allo scherzo ma più difficile al coltello, appartato, coi forestieri poco garbato, non li calcola perchè non li sfrutta, non li osserva perchè li ha sempre veduti; geloso delle proprie donne fino al delitto contro chi osa corteggiarle senza permesso, ma proclive a venderle; ignorante, ozioso, contemplativo sul genere dei lazzaroni napoletani». Altrettanto lazzarone, nelle pagine dello stesso autore, le trasteverine: «floride anche troppo nel sembiante, forme rotonde, pupille nere, labbra rosse, le gote candidissime e soffuse d'incarnato, trecce nere, portamento provocante, volto statuario non molto simpatico, preste a rispondere con una insolenza ad un complimento arrischiato con soverchia temerità, eppure famigliari anche di primo tempo, niente affatto casalinghe, orgogliose più della fierezza che della onestà». Niente affatto casalinga la gente di Trastevere, che viveva prevalentemente fuori casa e avrebbe continuato a farlo per i decenni a seguire, tra osterie, vicoli, piazze. Di giorno donne
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Via della Paglia, di M. Carpi
e uomini affaccendati nei più vari mestieri, come li aveva visti e poi descritti Giacomo Leopardi nella lettera al fratello Carlo del 1823 quando, risalendo il Gianicolo per visitare la tomba del Tasso, si trovò ad attraversare le strette vie popolari alle sue pendici: «[La strada] risuona dello strepito de’ telai e d’altri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli operai occupati al lavoro. In una città oziosa, dissipata, senza metodo, come sono le capitali, è pur bello il considerare l’immagine della vita raccolta, ordinata, e occupata in professioni utili. Anche le fisionomie e le maniere della gente che s’incontra per quella via, hanno un non so che di più semplice e di più umano, che quelle degli altri, e dimostrano i costumi e il
«Ormai qui se ne vedono de tutti li colori. Trastevere, che ‘na vorta era come un paese, è diventato un porto de mare. ‘Na volta se conoscemmio tutti» carattere di persone la cui vita si fonda sul vero e non sul falso, cioè che vivono di travaglio e non d’intrigo, d’impostura, e d’inganno, come la gran parte di quella popolazione». Trasteverini riversati tra i vicoli, si diceva, con le sedie fuori dai portoncini, lunghe tavolate apparecchiate per sé e per gli amici, con taverne affollate fino a tarda notte, tra partite a carte, stornelli e risse. «Nella sera si darà forse più di una coltellata, poiché‚ è giorno festivo; ma noi godremo dello spettacolo senza correre alcun rischio», raccontava lo scrittore e critico d’arte francese Edmond About nel suo pamphlet sulla “Roma Contemporanea”: «Vedrete uomini robusti come tori e non meno irascibili, che scagliano un pugno colla facilità con che da noi si tracanna un bicchiere d'acqua […]. Ma voi potete andare e venire in mezzo a loro, spender molto, pagar in oro, far risuonare la
vostra borsa, ed uscire dopo mezza notte nelle vie più oscure, senza timore che venga in mente ad alcuno d'attentare al vostro danaro. Anzi, può dirsi meglio: questa gente vi accoglierebbe volentieri e si ristringerebbe per farvi posto» (Rome Contemporaine, 1860). Trasteverini dalla doppia anima – da una parte chiusi e sospettosi verso gli altri romani, dall’altra tolleranti verso gli stranieri – d’altronde: «Semo romani, trasteverini / Semo signori senza quatrini / Ma er core nostro è na capanna / Core sincero che nun t'inganna», come ricorda lo stornello… ma per quanto tempo ancora? Romolo, barista nel film di Fausto Tozzi Trastevere (1971), lamenta al Conte venuto dal Nord: «Ormai qui se ne vedono de tutti li colori. Trastevere, che ‘na vorta era come un paese, è diventato un porto de mare. ‘Na volta se conoscemmio tutti da quando eravamo neonati, crescem-
Piazza San Cosimato, di M. Carpi
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mio insieme, come ‘na famija, mo’ t’arivano li stranieri, l’artisti, li capelloni… pagheno ‘ste case – certe fabbriche de bacherozzi – a peso d’oro, e li trasteverini, piano piano se ne vanno. Io pure, dico ‘a verità non me ce aritrovo più, va a finì che da ‘n giorno all’altro pianto baracca e burattini e me ne vado pure io. […] Io vorrebbe sape’ che ce trovano, che ce trovate in Trastevere, che venite tutti qui». Già, che ci trovano? «Bacherozzi, ladri, figli di mignotte, magnaccia, topi… ma almeno ‘ze zente ruspante!» (risponde il Conte). Già da una decina d’anni il cinema aveva fatto di Trastevere il simbolo della Roma popolare (contrapposto a quella trasognante della Dolce vita) e dei trasteverini una specie di razza a sé. Nel 1961, in via della Luce, si potevano incontrare Marcello Mastroianni e il francese Jacques Perrin tra una ri-
S. Maria in Trastevere, di M. Carpi
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presa e l’altra del film Cronaca familiare di Valerio Zurlini, regista che negli anni Cinquanta aveva reso omaggio a Trastevere con il cortometraggio Racconto del quartiere (1950). Da allora scrittori, artisti e intellettuali, ma anche gente della moda e del cinema, avrebbero scelto Trastevere come propria casa, trasformando lo stile di vita e le abitudini del rione. Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo Pasolini e Vittorio Gassman frequentavano l’appartamento in via Garibaldi 88 di Rafael Alberti, il poeta spagnolo amico di Picasso, comunista, antifranchista in esilio, che usciva per le strade di Trastevere munito di vernice a scrivere «Franco assassino» e che ci ha lasciato alcune tra le più commoventi pagine sul quartiere. Era la metà degli anni Sessanta e il poeta aveva fatto della sua casa una scuola di poesia, un punto di ritrovo per gli artisti e intellettuali spagnoli di passaggio, per scrittori, cineasti, pittori della sinistra italiana. A Trastevere Rafael Alberti imparò “a torear il traffico” che tanto temeva, innamorandosi del rione fino a definirlo «la vera capitale d’Italia», cuore della Roma popolare «piccola, non grandiosa, con i ragazzini per le strade, le bottegucce degli artigiani, le scritte sui muri. E questa gente così genuina, generosa, chiassosa, politica, molto politica anche. Gente che grida fino al delirio, esplode in risse, con una libertà piena che si manifesta anche nel vestire», gente, quella di Trastevere in particolare «la più viva ed autentica del mondo». Gente viva e autentica, che non ha perso, nonostante l’invasione della borghesia romana e degli stranieri, la propria anima goliardica. «Er mejo paraculo de Trastevere» era il padre di Bombolo/Venticello in Squadra Anti-
MEMORIE A CONFRONTO REVIsIoNE truffa, citato da Venticello stesso prima di andare a messa: un padre che i mejio colpi li faceva tutti in Chiesa. Passando di fronte al bar Settimiano, in via di Porta Settimana, non si può non ricordare Un sacco bello di Carlo Verdone – e la scena in cui una bottiglia d’olio viene rotta di fronta a Marisol, in cerca dell’ “hotel della Juventus” – così come le serate estive e la festa de ‘noantri, tra la folla e i turisti per i vicoli del rione, ricordano la Roma di Federico Fellini, con la passeggiata al suono di stornelli e serenate, l’incontro di pugilato a Piazza de’ Renzi in un ring montato in strada, con il monologo dello scrittore Gore Vidal sulla fine del mondo a Roma: «Mi domandate perché mai uno scrittore americano viva a Roma… prima di tutto perché mi piace i romani – che si frega niente se sei vivo o morto – sono neutrali, come gatti. Roma è la città delle illusioni, non a caso qui c’è la Chiesa, il Governo e il Cinema, tutte cose che producono illusione, come fa tu, come fa io, sempre più il mondo si avvicina alla fine perché troppo popolato, e quale posto migliore di questa città morta tante volte e tante volte rinata, quale posto più tranquillo per aspettare la fine da inquinamento, sovrappopolazione? È il posto ideale per vedere se tutto finisce oppure no».
Ponte Sisto, di M. Carpi
Trasteverini genuini generosi e chiassosi, che accolgono ancora oggi col canto festoso di uno stornello, «Roma bella, Roma mia, / Te se vonno portà via / Er Colosseo co' Sampietro / Già lo stanno a contrattà / Qui se vonno venne tutto / Cielo sole e staria fresca / Ma la fava romanesca / Gliela potemo arigalà / Venite tutti a Roma v'aspettamo / Se dice che più semo e mejio stamo / Se dice che più semo e mejio stamo». a
RINGRAZIAMENTI La Redazione di 4frecce ringrazia tutti coloro che con segnalazioni, ricordi, racconti, hanno reso possibile la realizzazione di questo numero. In particolare ringraziamo Raffaelle Mozzillo per averci fatto scoprire la targa a Sergio Leone; ringraziamo Ekaterina Averina per le sue foto di Roma antica, e poi i collaboratori di questo numero: Enrica Murru e Clara Galanti. Adottata da Roma, Clara Galanti ama l'illustrazione, le parole e i labirinti come Trastevere; Enrica Murru scrive, è una trasteverina convertita, entrambe le cose la rendono felice.
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LUNOTTO
Piazza Trilussa, di E. Murru
«Checco! Ah Checco! Ma qua c’è ‘na puzza, ma proprio er tavolo vicino al tombino ce dovevi da’ stasera?», «A biondona, questa è l’odore de’ li secoli!» (Federico Fellini, Roma)