2024
Tutte le interviste di Italia a Tavola
2024
Tutte le interviste di Italia a Tavola
L’aumento delle catene di marca (per lo più pizzerie o fast food) e gli investimenti in attrezzature e digitale sono alcune delle tendenze che - secondo il recente rapporto annuale della Fipe - stanno cambiando l’organizzazione dei ristoranti italiani per restare su un mercato sempre più complicato.
Se da un lato l’andamento del 2024 conferma quello dell’anno scorso (con il recupero delle posizioni pre-Covid per occupazione e consumi) è indubbio che il comparto ha infatti bisogno di migliorare la gestione e la competitività.
Con 332mila locali (il livello più alto in tutta Europa, nonostante una leggera flessione) la marginalità delle aziende non può essere eccellente. Anzi. La produttività della ristorazione italiana è, del resto, nettamente inferiore alla media dell’intera economia: siamo al 59%. Comprensibile che Fipe, che ha la responsabilità di fare crescere il comparto, ne sottolinei i punti di maggiore debolezza:
• la tradizionale struttura fondata sulla micro e media impresa (spesso con poche risorse finanziarie);
• il robusto utilizzo di manodopera (oltre un milione e 70mila addetti) che si fraziona, però, in troppe unità (con una media di 4,1 addetti per bar e 7.5 per ristoranti), con poche possibilità di aumentarne la qualificazione e la specializzazione.
Per resistere serve cambiare pelle e serve
aumentare la dimensione di scala (meno imprese e più grandi) e investire in innovazione a tutti i livelli. Una strada è quella della ristorazione in catena che è quasi raddoppiata nell’ultimo decennio e assorbe l’11% dei consumi nel fuori casa.
Le catene, grazie a elevata dimensioni, possono investire in marketing e soluzioni digitali avanzate, e offrire prezzi competitivi, più facilmente dei ristoratori indipendenti. Interessante in questa prospettiva è peraltro la crescita di piccole catene, ristoranti che ne aprono altri o che si collegano con “colleghi”. Si tratta di un processo non facile, ma che permette di tutelare tradizioni, cultura e lo stile tipico della ristorazione famigliare italiana.
A parte gli investimenti per la riduzione dei costi energetici o per migliorare la sostenibilità, secondo la ricerca Fipe non va poi trascurato l’impatto dell’evoluzione tecnologica che ultimamente ha coinvolto 9 aziende su 10.
Dai Pos alla traduzione automatica dei menu o dei siti web in diverse lingue, dalla gestione degli ordini a quella delle prenotazioni. E ancor di più si potrà fare con l’Intelligenza artificiale per creare piatti o menu, avendo presente tendenze e preferenze ali-
La ristorazione italiana sta affrontando sfide significative e necessita di migliorare la gestione e la competitività. La marginalità delle aziende è bassa e la produttività è inferiore alla media dell’economia
BRAZZALE, UN’EVOLUZIONE CASEARIA LUNGA OTTO GENERAZIONI
Il Gruppo Brazzale conta 10 impianti produttivi tra Italia, Repubblica Ceca, Brasile e Cina e realizza ogni anno 40mila tonnellate di prodotti, tra cui burro, e formaggi come Gran Moravia, provoloni, paste filate e pressate
Cibus 2024, sold out a Parma per la fiera dedicata all’agroalimentare italiano
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP si racconta
Agugiaro & Figna protagonista al Campionato Mondiale della Pizza
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Come garantire un’accoglienza di successo
Questo simbolo in coda a un articolo indica che sul quotidiano online www.italiaatavola.net ci sono versioni più ampie del testo, approfondimenti o gallery fotografiche consultabili inserendo nel campo cerca per codice o parola chiave il numero che lo affianca. Questo simbolo indica che c’è un video
Il 18 maggio con Fipe celebriamo la Giornata della Ristorazione. L’obiettivo è riunire ristoratori di ogni livello per celebrare insieme un tema fondamentale: l’ospitalità, la cultura dell’ospitalità e l’arte dello stare insieme. Solitamente questo genere di eventi si propongono per ricordare o per valorizzare qualcosa. La giornata del 18 maggio, per noi, si pone ambiziosamente entrambi gli obiettivi.
Da una parte vuole essere un vero e proprio invito a non dimenticare. Un appello per le istituzioni e per la politica affinché si ricordino i valori che la ristorazione rappresenta per il nostro
Paese, sia in termini economici sia in termini di filiera e di promozione del made in Italy. La ristorazione, infatti, ha un componente fortemente identitaria ed è un momento di socialità e aggregazione con implicazioni culturali di ampia portata e una ricaduta quotidiana sul Paese. Questo le attribuisce anche una funzione strategica nella comunicazione dell’italianità in Italia e in tutto il mondo.
La Giornata della Ristorazione tende, però, anche a valorizzare e il verbo già contiene il punto di partenza dell’iniziativa: i valori. La stessa Giornata è ispirata al Manifesto dei valori della ristorazione italiana, che Fipe ha voluto scrivere in un momento buio per le sue imprese, individuando i punti della visione del nostro comparto e del nostro Paese, con l’obiettivo di rischiarare il futuro in una fase molto complessa.
Trattorie, osterie, pizzerie e taverne diventano e sono attori protagonisti di questo evento. Delle vere e proprie
agenzie di promozione del territorio, che aiutano a perseguire l’obiettivo di rieducare l’uomo al vivere insieme. La Giornata è, infatti, anche un’occasione sociale per rifondare il senso di comunità.
Aderire è semplicissimo: basta che ogni ristoratore dedichi uno o due piatti alla Giornata e inviti i suoi clienti a goderne. Questi devono essere i suoi cavalli di battaglia, la rappresentazione eloquente della filosofia del ristorante. Aderire comporta una promozione su tutto il territorio nazionale, ma è anche e soprattutto la festa del nostro lavoro, delle nostre aziende e della loro importantissima funzione sociale.
Per maggiori informazioni e per aderire: www.giornatadellaristorazione.com
l ritorno dalla campagna”. Cosi iniziava una canzone di un noto cantautore italiano scomparso, nella quale tratteggiava in musica la dura vita del contadino. Mestiere di indiscussi sacrifici, che hanno causato, con il “boom” industriale ed economico italiano, l’abbandono delle terre e una grande migrazione di giovani verso le città industriali.
Ora una grande notizia a conforto della nostra economia: un ritorno al green e alle coltivazioni, facendo salire di oltre il 12% le imprese italiane locate all’agricoltura rispetto allo scorso anno. Fautori gli under 30, a conferma dell’attrazione dei giovani verso il mondo agrario. Nuova realtà che di fatto ha rivoluzionato la figura dell’agricoltore, focalizzandosi e impegnandosi in attività multifunzionali e trasversali ai contesti agricoli, che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti, alla loro vendita diretta; dalle fattorie didattiche, ad attività ricreative e sociali, come l’inserimento di diversamente abili, detenuti o tossicodipendenti, con la conseguente costituzione di cooperative di lavoro e sociali.
a colpire l’intero mondo agricolo in Europa, è più che legittima, lo riconosco, in quanto gli agricoltori non guadagnano anzi, spesso lavorano in perdita! A mio modesto avviso, però bisogna anche dire che, con il tempo, queste imprese si sono fatte “aggiogare”, a differenza delle nuove attività dei giovani, da un sistema di filiera e di passaggi che schiacciano il produttore e le distribuzioni (Gdo) economicamente e contrattualmente deboli, che sono esposte al controllo diretto di lobby discutibili, pronte a speculazioni di ogni sorta. Chi non ricorda la salita del prezzi dei prodotti di ogni sorta allo scoppiare della guerra in Ucraina?
Questi giovani hanno superato e cambiato gli stereotipi del vecchio contadino e hanno saputo creare opportunità lavorative in un settore strategico per l’Italia sempre più attento all’innovazione e alla sostenibilità. Non confortano le cronache di pochi mesi fa dei trattori di “contadini tradizionali” che bloccano strade e assediano i palazzi del potere, creando allarmismo tra tutti, specie nelle “new entry” di questo settore. La protesta partita prima dall’Olanda, poi in Romania fino
Noi tutti e, in primis la Federazione Italiana Cuochi con il suo silenzioso lavoro, certamente non possiamo debellare questo stato di cose, ma insieme possiamo dare un forte aiuto all’intera categoria degli agricoltori e anche alla nostra economia. Come? Facendo rete, informando, favorendo un certo tipo di commercio e di approvvigionamento, orientandosi verso imprese “sane”, fatte di giovani, legate al territorio e capaci di anteporre al puro profitto, aspetti coerenti e sociali di innovazione.
Un aspetto fondamentale dell’offerta di un ristorante è rappresentato dalla proposta enologica. Cucina e cantina vanno di pari passo allo stesso modo di cucina e sala. Sono passaggi della filiera interna che si conclude a tavola al cospetto della clientela. Sono ormai lontani i tempi in cui si proponeva “bianco o rosso?”, di strada se ne è percorsa tanta, ma la ricerca delle bottiglie da mettere in carta deve essere sempre ragionata.
Il ventaglio di etichette si struttura in base alle caratteristiche e alla caratura del ristorante, ma come regola di fondo mi piace puntare sul made in Italy, promuovendo il nostro vino e le piccole cantine. Sono numerose quelle che si presentano sul mercato con un rapporto qualitàprezzo davvero eccellente. È solo questione di rimboccarsi le maniche e andarle a cercare. Un orientamento nazionale che significa promuovere produzioni e territori, soprattutto alla luce del flussi turistici che dall’estero si configurano in costante incremento e molto spesso focalizzati sul nostro universo enogastronomico.
Il territorio, come accennato, è una chiave di volta. Il detto “più i vini sono vicini, più sono buoni” non è
una buttata banale. Rappresentano un legame storico, culturale, climatico e organolettico che si sposa a meraviglia con gli ingredienti tipici e le ricette di una determinata area geografica. Il chilometro zero che accomuna cantina e cucina è tutt’altro che un concetto scontato. In molti casi, infatti, non viene mai applicato.
E poi la carta che, meglio se non smisurata, va raccontata. Deve essere comunque chiara, esplicativa e soprattutto studiata per non essere ingessata. I vini vanno fatti girare. Una soluzione, in questo senso, può essere rappresentata anche dalla proposta di vino al bicchiere. In questo modo si aiuta la clientela a spaziare da un’etichetta all’altra senza il vincolo di passare dall’acquisto della bottiglia e si possono servire vini per molte tasche irraggiungibili.
in fatto di abbinamenti andando oltre quelli canonici. Mettiamoci un po’ di creatività, impegno e ricerca. Facciamo delle prove. La clientela non aspetta altro che essere sorpresa.
Un’opzione “democratica” che viene incontro alle esigenze di tutti. Un menu degustazione che include i vini al bicchiere è un’altra strada da seguire. In questo caso si può osare
Il lievito madre da rinfresco - fondamentale per creare grandi lievitati, prodotti da colazione, cornetti, pizze, focacce, pane - è un prodotto di tradizione che è diventato un simbolo che parla subito di artigianalità. Gli italiani ne sono i custodi, anche se tutto il mondo ultimamente ci sta guardando per imparare a farlo.
Un tempo ci si affidava all’esperienza del singolo pasticcere per stabilire la salute del proprio lievito madre, condizione imprescindibile per prodotti eccellenti: oggi un grande aiuto - in termini di risparmio di tempo e ore di lavoro - viene dalla tecnologia, che ha fatto passi da gigante per agevolare il lavoro in laboratorio, anche nel caso di un prodotto delicato come il lievito madre da rinfresco.
È necessario poter contare su impastatrici con variatori di velocità, per trattare l’impasto con la corretta energia. Da tempo ci sono le celle di lievitazione, ma più evoluti ancora sono i fermalievita, che danno la possibilità di modulazione dei tempi di lievitazione del nostro lievito.
I fermalievita controllano la gestione della temperatura - calda e anche fredda - e dell’umidità permettendo di governare la lievitazione, mantenendo inalterata la qualità del prodotto. Il loro impiego riduce il lavoro notturno e permette di riorganizzare i processi produttivi del laboratorio, mantenendo gli impasti eccellenti. Avere la possibilità di settare una temperatura più bassa significa fermare la lievitazione fino a quando
sarà il momento, ottenendo un prodotto maturo e pronto per la cottura secondo le proprie esigenze e i propri tempi, che variano da laboratorio a laboratorio. Un’opportunità di investimento da considerare, oggi resa fattibile dal sistema Industria 4.0 e dai crediti d’imposta sui beni tecnologici e strumentali. Le aziende che procurano le macchine organizzano corsi per usarle al meglio e utilizzare tutte le funzioni secondo i parametri desiderati.
Èdi nuovo il momento del gelato. La primavera dà il via alla produzione e la clientela è pronta, anzi, prontissima per il consumo. Molto più in questo periodo rispetto a settembre. Il gelato è un alimento ormai destagionalizzato, ma i mesi del risveglio della natura fanno sentire il loro fascino anche in gelateria. Le belle giornate sono sempre da sold out e nei laboratori ci si augura che il meteo rispetti con rigore il suo decorso naturale. Ecco allora che le vaschette fanno sfilare i gusti con la frutta di stagione accompagnata da quella esotica.
È un panorama che vede brillare i frutti di bosco, fragola, melone, anguria, albicocca, ma non mancano mango, papaja, frutto della passione. Rimangono comunque protagonisti i gusti a base latte e le creme. Nocciola e pistacchio sono in vetta alla graduatoria delle preferenze. Ricordiamo però che una tendenza che fa sentire il suo peso vuole in evidenza quelli che possiamo definire mix particolari. Un esempio è rappresentato dal gusto cioccolato-arancia variegato con frutto della passione. La creatività si deve esprimere a pieno ritmo. E poi non dimentichiamoci della vetrina, che deve
saper abbinare tradizione e novità. La clientela acquista prima con gli occhi e per questo l’area di esposizione deve essere ordinata e colorata.
Su questo fronte la monotonia va bandita. Le vaschette, a livello cromatico, devono scadire un ritmo. Si richiede un’allegra alternanza di colori. Anche il cioccolato interpreta un ruolo da protagonista. Il ventaglio di tipologie è ormai molto ampio, ma per non sbagliare sono fondamentali quello al latte, il fondente, anche nelle sue diverse percentuali di cacao, e una proposta particolare, un blend che incuriosisca e appaghi vista e palato. Molto apprezzata la ricerca di cioccolato monorigine. Il gelato è un alimento che piace a tutti, ma i clienti più affezionati sono i bambini che spesso trascinano i genitori in gelateria. Allora allestiamo vetrine che soddisfino anche i loro desideri, che siano giocose e divertenti. Un gelato in un ambiente pulito e colorato, servito con un bel sorriso diventa ancora più buono.
Nel mondo della pasticceria, la crescita professionale autentica non si misura con targhe, titoli o trofei, bensì con la volontà di imparare, condividere e collaborare. Troppo spesso ci si concentra sull’accumulare riconoscimenti esteriori, trascurando il vero cuore del nostro mestiere: la continua ricerca della perfezione e il desiderio di migliorare costantemente.
La formazione nel nostro lavoro è la pietra angolare su cui si basa il successo. Attraverso l’apprendimento continuo, possiamo ampliare le nostre competenze, esplorare nuove tecniche e rimanere al passo con l’evolversi del nostro settore. La formazione non conosce limiti di età o di esperienza; è un percorso senza fine che ci arricchisce e ci rende migliori nel nostro lavoro.
Ma la formazione da sola non è sufficiente. È la condivisione di ciò che impariamo con i nostri colleghi che porta la nostra crescita professionale a un livello superiore. Quando condividiamo conoscenze, esperienze e idee con gli altri, non solo arricchiamo la nostra comunità, ma anche noi stessi. La collaborazione è ciò che ci permette di superare le sfide, di trovare soluzioni innovative e di crescere insieme.
Pertanto, è tempo di guardare oltre le luci accecanti dei riconoscimenti esteriori e concentrarsi sulle vere fonti di crescita professionale. Lasciamo perdere l’illusione del “migliore di qua e di là” e abbracciamo invece una mentalità di apprendimento e collaborazione. Solo così potremo veramente eccellere nel nostro mestiere e lasciare un’impronta duratura nel mondo degli artigiani.
Insieme a tutti i colleghi Conpait, da tempo, portiamo avanti questi concetti: nelle scuole, negli eventi, durante gli incontri di formazione, quando veniamo chiamati a presenziare in manifestazioni pubbliche, ovunque. È il migliore messaggio di professionalità che si può individuare e proporre.
Avete mai pensato a quanto il ruolo di un sommelier possa influenzare l’esperienza culinaria in un ristorante? Negli Stati Uniti il ruolo del sommelier “versa” in pessime condizioni. Negli ultimi giorni non si fa altro che parlare della decisione degli americani di rinunciare alla figura del sommelier. La carenza di personale ha portato molti ristoratori a rinunciare a questa figura.
Il sommelier è una figura fondamentale per un ristorante, è colui che crea una carta vini adatta alla cucina del proprio chef, costruita anche in base al luogo in cui si opera, si occupa della gestione della cantina e dell’affinamento dei vini.
Acquisti e vendite delle bottiglie, numero di bottiglie da acquistare annualmente, conosce le caratteristiche delle
annate e sa quali scegliere. Fa del budget e dei ricarichi la fortuna dell’azienda, perchè il fatturato passa soprattutto dalle sue mani. E infine, sa consigliare il cliente nella scelta migliore tra centinaia di etichette.
Il sommelier ha conoscenze approfondite sui diversi tipi di vini, sulle regioni vinicole, sulle tecniche di degustazione e sull’abbinamento cibo-vino. La presenza di un sommelier in un ristorante può migliorare notevolmente l’esperienza culinaria dei clienti, offrendo consigli personalizzati e garantendo che i vini serviti siano di alta qualità e si adattino perfettamente ai piatti serviti.
Ma si può fare a meno del sommelier? Forse non è questa la domanda corretta: si può fare a meno di un professionista? No!
C’è una frase che mi piace spesso ripetere: ”Se pensi che un professionista ti costi troppo, non sai quanto ti costerà un dilettante!”
Chiudo con questa riflessione. Un ristorante senza sommelier è come una bottiglia senza tappo: incompleto e destinato a rovinarsi!
Accogliere, Ospitare, Educare è stato il tema del XIX Convegno di Solidus che si è tenuto a Roma a gennaio durante il quale è stato presentato il Manifesto del Turismo di Solidus. Il Documento ha proposto una radiografia del settore e avanzato alcune scelte dalle quali partire per migliorare la nostra situazione nel campo del turismo.
La riqualificazione del territorio italiano è l’elemento fondamentale per incentivare e promuovere i flussi turistici e per dar vita a un Progetto Turismo Italia che abbia basi serie e concrete di riuscita. Il progetto deve avere una struttura regionale nello studio e nell’attuazione con l’assunzione di precise responsabilità politiche da parte delle amministrazioni pubbliche comunali, provinciali e regionali.
coloro che buttano cicche, carte e qualsivoglia altro oggetto per strada oltre che contro coloro che evitano di recarsi nelle isole ecologiche preferendo abbandonare i loro rottami lungo le strade e fuori dei centri abitati.
Vanno messi in rete tutti i sistemi di videosorveglianza esistenti nei centri urbani installandoli laddove non esistono o nelle zone non sottoposte a controllo, soprattutto nelle periferie. Tolleranza zero anche contro i padroni di case abbandonate e ai condomini che non curano la pulizia e il decoro delle facciate dei loro edifici. I sindaci devono garantire la pulizia del territorio di loro competenza, devono anche far asfaltare le strade comunali. Il decoro urbano e paesaggistico fanno parte dell’identità e dell’etica di un popolo civile e nello stesso tempo sono formidabili strumenti di marketing turistico.
L’accessibilità riguarda la manutenzione delle strade comunali e provinciali e la realizzazione di un Piano Parcheggi che miri a pedonalizzare i centri storici. I parcheggi devono essere realizzati sotto le principali piazze o vicini al centro storico o in connessione con i mezzi di trasporto pubblico, possono essere autobus, metropolitane, scale mobili. Nessuna deroga per i residenti. Esistono mezzi alternativi per muoversi senza inquinare come golf car elettriche, monopattini elettrici, tappeti mobili orizzontali. L’obiettivo è quello di Parigi: il 50% dei residenti ha rinunciato all’automobile preferendo i mezzi pubblici, i taxi in città e il noleggio per spostarsi fuori città.
L’Italia in Europa è tra i paesi più virtuosi nella raccolta differenziata dei rifiuti oltre che nell’industria del loro riciclaggio. Tolleranza zero dai sindaci contro i graffitari che danneggiano con la vernice monumenti e abitazioni civili come contro tutti
Una efficiente e diffusa illuminazione pubblica è uno strumento per garantire la sicurezza dei cittadini durante le ore notturne ed è anche un ottimo elemento di dissuasione dei comportamenti vandalici o criminali. Vanno inasprite le sanzioni per chi guida in maniera pericolosa, soprattutto sulle strade urbane. Vanno inasprite le sanzioni a carico di chi delinque contro i turisti approfittando dell’insicurezza o dell’ingenuità tipiche di chi si muove in un territorio sconosciuto.
il concorso Buscemi dall’Accademia
Il giorno martedì 19 marzo 2024 presso “l’Ipssar “F. Buscemi” di San Benedetto del Tronto si è tenuta la finale del concorso bandito dall’Accademia delle 5T (territorio, tradizione, tipicità, tracciabilità, trasparenza) di Milano.
A sfidarsi dopo una selezione nazionale sono stati gli istituti:
• Istituto Professionale Crotto Caurga di Chiavenna (So) con il piatto “Il passato incontra il presente”
• Ipsseoa G. Vernelli di Cingoli (Mc) con “Frascarello Marchigiano con ragù di coniglio porchettato e pera, coscia di Val d’Aso”
• Ils Iev Florio di Erice (Tp) con “L’Arco dell’elefante”
• Ipsseoa A. Celletti di Formia (Lt) con “La nostra versione dei broccoletti”
• Ils V. Crocetti V. Cerulli di Giulianova (Te) con “Evoluzione al grana di pura pecora”
• Guido Stecchi, presidente accademia 5T
• Massimo Biagiali, sommellier professionista Ais
• Andrea Fabbri, docente universitario
• Valter di Matteo, docente istituto Alberghiero
Hanno giudicato vincitore l’Istituto di Giulianova, al secondo posto l’Istituto di Cingoli e al terzo posto l’Istituto di Chiavenna ex aequo gli altri tre Istituti. Il piatto vincente “Evoluzione al grana di pura pecora” era composto da un trittico di bruschetta al grano solina con grana di pura pecora e olio evo varietà “tortiglione”, nuvola al grana di pura pecora con purea di zucca violina e perle di lavanda, panna cotta salata al grana di pura pecora e stimmi di zafferano con crumble di ceci rossi. Il vino in abbinamento: Pecorino Igt Colli Aprutini.
• Psseoa F. De Gennaro di Vico Equense (Na) con “Tortello ripieno di pesce bandiera, ricotta su letto di pomodorini rossi e gialli del Vesuvio”
La giuria era formata da:
• Valerio Beltrami, presidente nazionale di Amira
• Maria Cristina Benedetta, giornalista
• Francesca Petrini, presidente nazionale Cna alimentare
• Francesco Lucantoni, dirigente scolastico
• Vincenzo Moretti, dirigente scolastico
Per coloro che hanno trascorso la Pasqua tra le montagne, confido che abbiate potuto immergervi nella bellezza mozzafiato dei paesaggi alpini, riscoprendo un contatto autentico con la natura e ricaricando le energie per le sfide che ci attendono.
A tutti i colleghi che hanno trascorso la Pasqua al lavoro, voglio esprimere la mia più sincera gratitudine. La scelta di lavorare durante le festività è un esempio tangibile della nostra dedizione al settore turistico. Il nostro lavoro non è passato inosservato e ha contribuito a rendere questa Pasqua indimenticabile per molti.
Ora, con l’arrivo della stagione estiva, ci apprestiamo ad aprire un nuovo capitolo nel libro del turismo italiano. Dopo essere stati testimoni dell’entusiasmo e della positività emersi durante l’evento “Fare Turismo” a Roma, siamo fiduciosi nel vedere che i dati sulle nuove assunzioni nel settore turistico stanno segnalando una tendenza al rialzo. Questo è un segnale incoraggiante che ci riempie di speranza e ci fa guardare al futuro con ottimismo e determinazione.
L’estate rappresenta sempre un momento cruciale per il turismo italiano, una stagione in cui il nostro Paese si apre al mondo e accoglie milioni di visitatori desiderosi di scoprire le sue meraviglie. Dalle coste bagnate dallo splendido mar Mediterraneo alle città d’arte intrise di storia e cultura millenaria, l’Italia offre un patrimonio ineguagliabile di esperienze e emozioni.
Tuttavia, non possiamo ignorare le sfide che ancora ci attendono lungo il cammino verso la piena ripresa. La pandemia ha colpito duramente il settore turistico, imponendo
restrizioni e limitazioni che hanno mes so a dura prova la resilienza di operatori e professionisti. È imperativo continuare a lavorare insieme per garantire un turismo sicuro e sostenibile, adattandoci alle nuove esigenze e alle aspettative dei viaggiatori.
Per i Barmen di Abi Professional, questa estate rappresenta un’opportunità straordinaria per dimostrare la nostra capacità di adattamento e innovazione. Siamo pronti a mettere in campo le nostre competenze e la nostra passione per offrire servizi di alta qualità e promuovere la bellezza e l’autenticità del nostro territorio.
Dalle esperienze enogastronomiche uniche alle attività all’aria aperta immersi nella natura incontaminata, c’è tanto che possiamo offrire a coloro che scelgono di visitare l’Italia quest’estate.
Che questa stagione sia colma di soddisfazioni e gioie per tutti noi, e che possiamo guardare al futuro con fiducia e ottimismo. Siamo pronti a fare del nostro meglio per garantire che ogni viaggio in Italia sia un’esperienza indimenticabile, ricca di bellezza, cultura e autenticità.
Tutto esaurito a Cibus 2024: la manifestazione di riferimento per il comparto agroalimentare made in Italy, infatti, sarà da tutto esaurito! Una 22esima edizione che quest'anno supererà ogni altra per numero di espositori (oltre 3mila brand e una lista di attesa di 600 aziende) e per la presenza di buyer della grande distribuzione ita liana e internazionale - ad oggi più di 1.000 già registrati - provenienti da mercati come Stati Uniti, Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Me dio Oriente. Il 2024 sarà inoltre l'an no dei Paesi dell'area Asean, con il ritorno della Cina, la grande assente durante la pandemia, e un'impor tante delegazione dal Giappone. Appuntamento a Parma dal 7 al 10 maggio.
I numeri della 22a edizione superano tutte le manifestazioni precedenti.Tutto esaurito per il salone di riferimento del comparto agroalimentare Made in Italy in programma a Parma dal 7 al 10 maggio
Cibus, dunque, si conferma come un salone sempre più simbolo dell'agroalimentare italiano, che si dimostra attivo anche sullo scenario mondiale, con una strategia che punta a creare quella che Antonio Cellie, amministratore delegato di Fiere di Parma, definisce «un sistema di alleanze nazionali e internazionali che consolidi l'agroalimentare italiano ed europeo come riferimento per un consumo consapevole e sostenibile a livello globale. I nostri eventi garantiscono un percorso non solo fieristico ma esperienziale pensato per accompagnare i mercati, anche lontani, verso il nostro modello alimentare. La finalizzazione della partnership con Koelnmesse rientra in questa strategia».
Un accordo, quello recentemen te siglato con Koelnmesse, in virtù del quale il gruppo tedesco, uno dei principali attori del mercato fieri stico nel mondo, si occuperà dello sviluppo internazionale sia di Cibus sia di Tuttofood, la cui gestione è passata in capo a Parma alla luce dell'accordo stretto nel 2023 con Fiera Milano. In particolare l'accor do con Colonia porterà visitatori internazionali a Cibus ed espositori dall'estero per Tuttofood.
«Con il supporto di Koelnmesse, le due manifestazioni potranno con tare su più visitatori ed espositori internazionali, anche grazie ad una riprogrammazione dei calendari che armonizzerà Cibus, Tuttofood e Anu ga, la fiera del food and beverage di Koelnmesse. Cibus potrà così conso lidare il suo ruolo di facilitatore dello sviluppo dell'export dell'agroalimentare italiano, mentre Tuttofood nel giro di due edizioni vedrà crescere gli espositori esteri dall'attuale 10% ad almeno il 50%» commenta Cellie.
Cibus - 120mila mq di superficie espositiva distribuita su 8 padiglioni - offrirà uno spaccato completo del settore alimentare italiano, presentando in fiera tutto il meglio dei principali settori dell'agroalimentare
made in Italy: prodotti freschi, carni, salumi, dairy, piatti pronti e surgelati, oltre alla sezione grocery, con pasta, conserve e condimenti, pilastro del nostro export agroalimentare.
A Parma, grazie alla collaborazione con Agenzia Ice, saranno
infatti presenti buyer, category manager e responsabili acquisti delle più importanti catene di supermercati.
Saranno altresì presenti le realtà di riferimento a livello internazionale per l'Horeca, così come gli importatori e i distributori chiave per il made in Italy nel mondo. Una nutrita presenza internazionale, risultato del roadshow che Cibus ha sviluppato nell'ultimo anno nei principali mercati insieme ad Agenzia Ice. Un tour globale che ha già toccato Colonia, Shanghai, Las Vegas e che vedrà tra le prossime tappe Dubai e Tokyo, per concludersi tra giugno e ottobre a New York (Usa) e Parigi.
Tantissimi i Top Buyer che potranno vivere l'esperienza immersiva dei Cibus Destination, un programma di retail e technical tour altamente coinvolgenti, organizzati nel territorio e all'interno delle aziende della Food Valley.
Previsti anche tour on site, tra gli stand di Cibus, con visite e degustazioni dedicate alle richieste ed esigenze specifiche dei top buyer italiani ed esteri.
Prodotti regionali, fuori casa, innovazione, prodotti di nicchia e per il segmento fine dining: sono solo alcuni percorsi di scoperta che guideranno i visitatori professionali tra gli stand della fiera.
Novità di questa edizione sarà l'area “Cibus delle idee”, che valorizzerà la spinta innovativa delle aziende espositrici della manifestazione. Lo spazio, collocato strategicamente all'ingresso del padiglione 7 (ingresso Ovest), ospiterà alcune aree di
Il Gruppo Brazzale conta 10 impianti produttivi tra Italia, Repubblica Ceca, Brasile e Cina e realizza ogni anno 40mila tonnellate di prodotti, tra cui burro, e formaggi come Gran Moravia, provoloni, paste filate e pressate. Negli anni ha sviluppato una filiera ecosostenibile e realizzato un Centro scientifico con la Statale di Milano. L'obiettivo è offrire ai consumatori prodotti naturali e di alta qualità attraverso nuove filiere sostenibili e una costante innovazione, che può oggi godere dell’azione del Centro scientifico
di Gabriele Ancona
Dal 1784 la famiglia Brazzale è un faro nel mondo del latte e dei suoi derivati. Una storia aziendale che ha origine ben otto generazioni fa - con la nona che già gattona per gli uffici - sull’altopiano di Asiago, dove la famiglia era presente fin dal ‘500. Alla fine del ‘700 i Brazzale esercitavano il commercio del burro e dei formaggi tra le malghe asiaghesi e la pianura vicentina. Nel 1898 Giovanni Maria Brazzale scende in pianura a Zanè (Vi), vicino a Thiene, dove la famiglia acquista una fattoria e realizza il primo burrificio industriale, subito dopo la Prima guerra mondiale. Oggi il Gruppo Brazzale conta 10 impianti produttivi distribuiti in Italia, Repubblica Ceca, Cina e Brasile e realizza ogni
anno 40mila tonnellate di prodotti, tra cui burro e formaggi come Gran Moravia, provoloni, paste filate e pressate. Il fatturato 2023 si è attestato sui 313 milioni di euro, di cui oltre un terzo deriva dall’export.
Il Gruppo è costituito da un sistema articolato di imprese che fa capo alla famiglia, che ne cura la gestione. L’attuale generazione alla guida dell’azienda è rappresentata da Gian Battista, Roberto e Piercristiano Brazzale (attuale presidente della Federazione internazionale del latte), tutti attivi in azienda con diversi ruoli e aree di gestione. Presidente di Florentis, la società capogruppo, è zale
«Tre anni fa - spiega Roberto Braz zale - abbiamo avuto la consapevolez za che il Burro Superiore Fratelli Braz zale, nato nel 2015 come espressione del Rinascimento del burro promosso dalla famiglia, è un prodotto ideale per i professionisti oltre che amatissimo dal consumatore. Un burro che nasce da una selezione scrupolosa ed atten ta della materia prima e dei foraggi dai quali quella deriva, realizzato con un latte di raccolta di altissima qualità, centrifugato immediatamente dopo la mungitura, del quale il sapiente
processo di burrificazione preserva tutta la straordinaria ricchezza. Il Burro Superiore Fratelli Brazzale e il Burro delle Alpi Pro sono oggi utilizzati dai più grandi chef e chef patissier italiani ed internazionali. Burri unici a cui abbiamo dedicato uno stabilimento a parte, autonomo, a Cogollo del Cengio, in provincia di Vicenza. Qui vengono prodotti i burri speciali di altissimo livello qualitativo, confezionati a mano e declinati in diverse tipologie. Per esempio, gli aromatizzati per il retail o il BurroAroma Naturale, una preparazione alimentare
conservazione delle fragranze nella fase di cottura».
«In questo stabilimento stiamo realizzando anche il Gelato Fratelli Brazzale che viene proposto come un alimento fonte di proteine e con funzioni nutrizionali, grazie alle caratteristiche del Burro Superiore Fratelli Brazzale e della specifica preparazione alimentare a etichetta pulita, senza additivi, con cui si prepara. Tutti prodotti rigorosamente naturali, perché́ il nostro obiettivo è proprio quello di aiutare la natura ad esprimersi nelle sue meraviglie. Un risultato di eccellenza che ha radici profonde nel passato. Le tappe fondamentali dello sviluppo dei Brazzale risalgono a un secolo fa, al ritmo di un crescendo continuo di decennio in decennio. Negli anni ’20 e ’30 del XX secolo l’azienda estende le sue vendite a tutta Italia con il marchio Burro delle Alpi e accanto alla produzione di formaggi tipici veneti (Asiago) cresce l’attività di commercio di formaggi grana tipici lombardi ed emiliani.
Una struttura arricchita anche dai nuovi Laboratori del Brazzale Science Center dedicati a nostro padre, Tino Brazzale, dotati di strumenti e tecnologie sofisticate che permettono una conoscenza inedita della materia prima e dei prodotti finiti. Perché il latte, o la panna, possano esprimersi appieno è infatti necessaria la conoscenza profonda della loro intima natura. Il latte è una materia prima di straordinaria complessità e le caratteristiche dei prodotti finiti che vengono apprezzate dal consumatore e dai professionisti dipendono dalla sua composizione, legata a fattori ambientali e gestionali che possono essere conosciuti e analizzati in modo impensabile grazie all’impiego di avanzata strumentazione e di competenza».
Un risultato di eccellenza che ha radici profonde nel passato. Le tappe fondamentali dello sviluppo dei Brazzale risalgono a un secolo fa, al ritmo
di un crescendo continuo di decennio in decennio. Negli anni ’20 e ’30 del XX secolo l’azienda estende le sue vendite a tutta Italia con il marchio Burro delle Alpi e accanto alla produzione di formaggi tipici veneti (Asiago) cresce l’attività di commercio di formaggi grana tipici lombardi ed emiliani.
Negli anni ’40 e ’50 prende il via la produzione pionieristica del formaggio grana nella pianura vicentina, a Camisano. Negli anni ’60 nascono il nuovo burrificio di Zané e il grande caseificio da Grana Padano con allevamento suinicolo di Campodoro (Pd). Tra gli anni ’70 e ’80 il gruppo sviluppa il marchio Alpilatte, che contraddistingue latte e panna Uht, utilizzando la nuova tecnologia Tetra- pack che si sta affermando sul mercato. Nel 2000 viene lanciato un innovativo progetto in Moravia, regione agricola della Repubblica Ceca, dove si trovano grandi disponibilità̀ di terreni, aziende agricole di altissimo livello e condizioni climatiche ideali.
Lo scopo è dar vita a un’impresa che esprima il meglio della tradizione casearia italiana. «Abbiamo deciso di aprire uno stabilimento in Moraviaspiega Roberto Brazzale - perché facciamo le cose dove riescono meglio. E qui ci sono coltivazioni foraggere a perdita d’occhio e la salubrità e il benessere animale sono assoluti. C’è una impressionante sovrabbondanza di terreni per l’agricoltore: la nostra filiera comprende 72 fattorie su 94mila ettari. Sono 23 mila i capi in lattazione e ognuno ha a disposizione 4 ettari, dieci volte più che in Italia».
Nel 2003 nasce Gran Moravia, formaggio tradizionale a lunga stagionatura, e nel 2007 Verena, il formaggio a pasta pressata da latte di montagna,
che deriva dalla tradizione dei formaggi prodotti nelle malghe degli altopiani di Asiago, dove per secoli ha operato la famiglia Brazzale.
Nel 2010 viene creata la filiera ecosostenibile del Gran Moravia. Si intende così introdurre una rivoluzionaria novità nei modelli produttivi, senza modificarne la convenienza, per andare incontro alla mutata sensibilità del consumatore. In Repubblica Ceca nasce la catena di negozi del Gruppo a marchio La Formaggeria Gran Moravia. Nei punti vendita vengono offerti i prodotti del caseificio, dal Gran Moravia ai formaggi freschi di produzione propria, e molti prodotti tipici della tradizione italiana selezionati dall’azienda e offerti a prezzi accessibili. La catena conta oggi 23 punti vendita in tutto il Paese.
«Il Gran Moravia - puntualizza Roberto Brazzale - continua nella sua costante crescita di produzione - abbiamo superato il mezzo milione di litri di latte al giorno - e di diffusione nel mondo. La quota export è pari al 60% in 70 Paesi. Grande successo in Europa, Cina e in Medio Oriente. Già da due anni, inoltre, funziona a pieno regime il sito di stagionatura robotizzato
Sant’Agata di Cogollo del Cengio che al momento accoglie 250 mila forme. Il tutto gestito solo da due tecnici specializzati». L’impianto è autosufficiente dal punto di vista energetico perché alimentato solo da pannelli solari.
La rivoluzione di questo sito è duplice e radicale: da un lato si ottiene l’eliminazione delle tare costituite dai corridoi, che nei magazzini di precedente generazione rappresentano circa il 50% dell’intero deposito. Si permette così la massima stabilizzazione di temperatura e umidità, a beneficio del naturale e complesso processo di stagionatura e con una forte riduzione di consumi energetici. In secondo luogo, l’affidamento alle navette e agli
antropomorfi di tutte le operazioni di carico e scarico, spazzolatura e rivoltatura, controllate da un sistema informatico centrale, garantisce l’optimum di stagionatura.
Sempre nel 2021 prende vita a Zanè il centro di ricerca Brazzale Science Center, in partnership con i laboratori di ricerche analitiche e tecnologiche su alimenti e ambiente Disaa dell’Università degli Studi di Milano, «L’obiettivo è quello di una conoscenza finalizzata a far esprimere al meglio la natura e le sue incomparabili meraviglie. Il Centro nasce dall’unione della nostra azienda con l’ateneo milanese, che ci ha proposto questa sinergia per realizzare un modello che vedesse insieme studio accademico e ricerca applicata - sottolinea Roberto BrazzaleIl Bsc, Brazzale science nutrition&food research center, che presiedo con mio fratello Piercristiano, è diretto da due autorità indiscusse in scienza e tecnologia degli alimenti: Fernando Tateo e Monica Bononi dell’Università
di Milano. Un centro interno all’azienda che fa ricerca sulle materie prime, sui processi e sulle innovazioni tecnologiche. Per fare un esempio, abbiamo introdotto per primi il grattugiato con la confezione riciclabile nella carta».
«Abbiamo, di fatto, sostituito la plastica. Un enorme passo avanti se pensiamo ai milioni di confezioni che vengono prodotte. Il Centro è operativo anche nella creazione di prodotti nuovi come il Gelato Fratelli Brazzale: un preparato senza additivi, ottenuto solo con prodotti naturali e disponibile in diversi gusti, che permette con una macchina da gelato, anche domestica, di ottenere un chilo di gelato con 40 grammi di burro Fratelli Brazzale e 700 di latte scremato in polvere. Un’innovazione straordinaria. Anche il BurroAroma Naturale è frutto del lavoro del Bsc, che tiene anche corsi di formazione sia per gli operatori della produzione sia per il commerciale. Una vera e propria attività accademica».
L'obiettivo che da sempre guida l’attività di Brazzale è di offrire a tutte le fasce di consumatori prodotti della tradizione casearia italiana di elevata qualità con la massima efficienza permessa dalla completa libertà di inventiva e creazione. Il gruppo ha inoltre deciso di orientare tutto il suo sviluppo verso la creazione di sistemi agroindustriali fondati su una base agricola e zootecnica equilibrata, in grado di operare con i più virtuosi rapporti ambientali, nonché la salubrità dei prodotti stessi.
Per creare tali filiere è stato dapprima necessario individuare le aree che ne permettessero l’insediamento in virtù di un’ampia disponibilità̀ di terreni e di condizioni climatiche favorevoli, quindi realizzare delle innovative linee di prodotto. Sono state scelte il Brasile per l’allevamento di bovini da carne e
la silvicoltura e la Repubblica Ceca per la produzione di formaggi.
In Mato Grosso do Sul è stato creato un sistema per l’allevamento di bestiame da carne definito “Silvipastoril”, basato sulla consociazione tra pascolo e coltura arborea (eucalyptus). La piantagione di circa 300 alberi di alto fusto per capo genera un ciclo biologico sostenibile, che raggiunge i più elevati standard di benessere animale ed efficienza economica senza modificare l’equilibrio ecologico naturale. Con 1,5 milioni di alberi piantati nei propri pascoli, inoltre, il gruppo Brazzale ha raggiunto il traguardo "carbon neutral", compensando le emissioni
di tutti i suoi stabilimenti nel mondo. In merito ai formaggi, è stata creata la filiera ecosostenibile Gran Moravia, che ha ottenuto la certificazione di tracciabilità. Gli obiettivi di filiera hanno previsto stringenti requisiti in materia d’impatto ambientale in un’ottica di salvaguardia dell’ambiente, quali la dotazione di almeno 4 ettari di terreno per ogni capo bovino in lattazione, la stabulazione libera con cuccette individuali per il 100% del bestiame allevato, un carico di nitrati per ettaro sette volte inferiore rispetto ai limiti comunitari e l’assenza di aflatossine nel prodotto finito.
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Un prodotto unico per storia, tradizione e soprattutto gusto. Una vera gemma dell'agroalimentare italiano. Per scoprirlo meglio, abbiamo intervistato il Presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico
Tradizionale di Modena DOP, Enrico Corsini
L’ Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP rappresenta una tradizione produttiva antichissima del territorio modenese. Un lentissimo processo “in continuo” che avviene all’interno delle botticelle della batteria deve essere seguito dal produttore con attenzione e passione in ogni sua fase evolutiva, stagione dopo stagione, anno dopo anno. I tempi lunghissimi
solo in un invecchiamento, ma nella fase vitale di evoluzione del prodotto dovuto ad azione microbiologica che nel tempo dà origine ad un numero incredibilmente alto di elementi aromatici: il risultato è una grande intensità olfattiva, piacevole armonia fra il dolce e l’agro e un retrogusto molto persistente.
È molto di più, quindi, di un semplice invecchiamento e anzi il tempo è solo uno “degli ingredienti” necessari a raggiungere il giusto livello qualitativo. L’eccellenza finale dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena dipende infatti anche dalla modalità di cottura del mosto, dall'essenza del legno e dalla dimensione delle botticelle, dal microclima dell’acetaia e dal saper fare del produttore, ma soprattutto dalla tipologia e qualità delle uve, prodotte esclusivamente sul territorio della Provincia di Modena e da vigneti iscritti nell’apposito albo.
Per conoscere meglio questa gemma unica dell’agroalimentare abbiamo intervistato il Presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico
Tradizionale di Modena DOP, Enrico Corsini
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, un prodotto unico, tutelato da un disciplinare rigoroso e che affonda le sue radici nella storia, ma partiamo dall’inizio, perché “Balsamico”?
Del mosto prodotto in questi territori che veniva cotto per essere trasformato in risorsa alimentare di grande importanza strategico-militare ed economica, hanno parlato nei secoli i grandi Cicerone, Plinio, Virgilio. Columella, importante studioso di agricoltura, nel I secolo d.C. Si ritiene che l’origine del processo produttivo del Balsamico sia databile ai secoli di maggior espansione dell’Impero Romano. Il primo documento nel quale si descrive un aceto di sorprendente qualità e valore è il “De Vita Matildis” scritto nel 1076
dal monaco Donizone, nel quale si descrive con quanto apprezzamento fosse stato valutato l’aceto del Marchese di Canossa, nel 1046, dal re di Franconia Enrico II, divenuto poi Imperatore Enrico III.
Nei secoli successivi sono svariati i documenti che parlano dell’aceto di Modena e durante il dominio Estense del Ducato di Modena e Reggio, i Duchi si facevano orgoglio di far regalo del loro prezioso aceto ai rappresentanti delle case reali europee. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali, corroborante, medicinale ed addirittura afrodisiaco. Probabilmente fu proprio per queste sue decantate virtù, unitamente all’intenso profumo suo caratteristico, che gli venne attribuito il nome “Balsamico”, citato per la prima volta nell’Inventario delle Cantine Ducali del 1747.
Quali sono le particolarità nella produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP?
Tutte le fasi della filiera di produzione, dalla vendemmia all’imbottigliamento, devono avvenire nei territori della Provincia di Modena, è prodotto direttamente dal mosto di uva che viene cotto a fuoco diretto
in caldaie “a cielo aperto”, a temperature intorno ai 90° centigradi, fino alla giusta concentrazione, sapore e profumo ottimali secondo il produttore. Il mosto cotto viene poi lasciato raffreddare e quindi inserito nella botte madre, dove subisce un processo microbiologico di contemporanea fermentazione e acetificazione e verrà utilizzato, l’anno successivo, per i rincalzi alle batterie, cioè per compensare le perdite dovute all'evaporazione e ai prelievi annuali. La batteria è il modulo produttivo, costituito da botticelle in legno.
Ogni anno si procede alla pratica dei “rincalzi e travasi”: partendo dalla botte più piccola della batteria la si riporta a livello con la necessaria quantità di aceto prelevato dalla seconda botticella, poi si riporta a livello la seconda con l’aceto della terza, e così via (travasi) fino all’ultima botte, detta botte madre, nella quale si fa il “rincalzo” con mosto cotto. Grazie a queste operazioni annuali, il prodotto contenuto nella batteria giunge progressivamente a maturazione.
Dal momento in cui la batteria entra in attività, solo dopo 12 anni sarà
1. Tutte le fasi della filiera di produzione, dalla vendemmia all’imbottigliamento, devono avvenire nei territori della Provincia di Modena
2. L’unica bottiglietta prevista dal Disciplinare per tutti i produttori è da 100 ml e fu progettata nel 1986 da Giorgetto Giugiaro
3. Esistono solo due invecchiamenti: 12 anni e 25 anni (Extravecchio)
4. Un solo ingrediente: 100% mosto di uve tipiche della provincia di Modena (Trebbiano e Lambruschi, Spergola e Berzemino)
possibile estrarre un primo prelievo (aliquota annuale) di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena finito (e solo dopo 25 anni di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Extravecchio) dalla botticella più piccola della batteria. Il prodotto viene poi sottoposto ad attento esame organolettico dal panel di assaggiatori esperti e, se approvato, imbottigliato ad opera del centro di imbottigliamento autorizzato dal Masaf. Il prodotto autentico è seguito da un Piano dei Controlli che è applicato dall’organo di certificazione su tutta la filiera di produzione. Il panel di assaggiatori esperti garantisce che il prodotto abbia raggiunto almeno le caratteristiche minime richieste dal Disciplinare di Produzione.
Un prodotto facilmente riconoscibile anche per la bottiglia disegnata da Giugiaro…
Per l’aceto Balsamico Tradizionale di Modena l’unica bottiglietta obbligatoria prevista dal Disciplinare per tutti i produttori in cui commercializzare il pregiato prodotto è da 100 ml e fu progettata nel 1986 dal famoso designer
Giorgetto Giugiaro per incarico della Camera di Commercio di Modena al fine di distinguere il prodotto autentico dalle numerose imitazioni. La bottiglia, sigillata dal contrassegno numerato, è garanzia di qualità e di originalità, oltre al marchio di qualità europeo della DOP.
Forse non tutti sanno che… Esistono solo due tipi di invecchiamento
Nel 1839 il conte Giorgio Gallesio, (il più importante pomologo italiano) restò ammaliato dal metodo produttivo e dalle caratteristiche del Balsamico e ne descrisse le procedure nelle antiche acetaie del Conte Salimbeni a Nonantola. Fu il primo anche a descrivere i due processi produttivi in atto a Modena, da cui derivano due prodotti
differenti: quello da solo mosto cotto (oggi Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP), e quello da mosto e aceto di vino (oggi Aceto Balsamico di Modena IGP).
Eventi e progetti per il futuro?
Le finalità del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena sono lo svolgimento di funzioni pubbliche quali promozione, difesa e tutela del prodotto. Saremo presenti a fiere ed eventi come ad esempio Cibus a Parma (Pad 05 | Stand I 064) e a Summer Fancy Food Show in collaborazione con il Consorzio Aceto Balsamico di Modena IGP con il quale proprio un anno fa si è costituito un Consorzio di secondo grado, Le Terre del Balsamico, per essere più forti nella lotta alle contraffazioni.
Qualche curiosità?
La cosa che pochi sanno, ma a cui i modenesi tengono molto è la tradizione di regalare una batteria alla nascita delle figlie femmine. Un tempo aveva un reale valore e costituiva la dote, oggi rimane una tradizione legata al costume e alle consuetudini sociali delle famiglie modenesi.
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Una rivoluzione nel mondo delle conserve con etichette innovative che indicano i tempi di cottura per i pomodori, facilitando la preparazione e rendendo i consumatori più consapevoli
al mondo delle conserve arriva una novità: le etichette rivoluzionarie che indicano i tempi di cottura per i pomodori, proprio come per la pasta, per valorizzare ogni varietà e le specifiche peculiarità di uno dei simboli iconici del made in Italy. Sapevamo già quanto questo aspetto fosse importante per la pasta, ma ora lo stesso principio viene applicato con successo ai pomodori in conserva, semplificando la preparazione e rendendo i consumatori più informati e consapevoli.
L'idea è di Finagricola, azienda con sede a Battipaglia (Sa), un territorio caratterizzato da condizioni pedoclimatiche particolarmente favorevoli come la Piana del Sele, alle porte del Cilento.
In generale, il pomodoro giallo, considerato il progenitore del pomodoro come lo conosciamo oggi, sia per la forma che per il colore, è tornato in voga dopo secoli di inutilizzo.
Per questo, molti consumatori si interrogano su come utilizzarlo e valorizzarlo, spesso impiegandolo in cucina come un tradizionale pomodoro, senza considerarne le sue particolarità, come la sua naturale dolcezza, caratteristica che apre nuovi scenari nella gastronomia.
Domenico Catapano, responsabile marketing di Finagricola, commenta: «Mi sono dedicato a questa iniziativa con lo spirito di promuovere la cultura del pomodoro in cucina. L'obiettivo è valorizzare ogni varietà con le sue peculiarità, compreso il suggerimento dei tempi di cottura, proprio come avviene per la pasta. Questo approccio semplifica la preparazione e rende i consumatori più consapevoli. Ogni pomodoro ha caratteristiche specifiche, e applicare la giusta cottura permette di assaporarlo quando ne sono esaltate appieno le caratteristiche. Sempre nell'ottica di una maggiore consapevolezza da parte del consumatore, riteniamo fondamentale tracciare l'intera filiera, per questo abbiamo siglato la collaborazione con Authentico».
«Il marchio Così Com’è - continua Catapano - è stato pioniere nell'intro-
duzione del ketchup di datterino giallo, diventato uno dei nostri prodotti più celebri e iconici. Inoltre, siamo orgogliosi di offrire i pregiati pomodorini datterini, disponibili sia nella variante rossa che gialla, conservati in acqua di mare. Grazie a questo particolare processo, il datterino mantiene inalterate le sue caratteristiche organolettiche, regalando a ogni piatto una irresistibile nota di sapidità».
Da oggi grazie a un sistema di etichettatura innovativo, ogni varietà di pomodoro in conserva è corredata da un'etichetta speciale che suggerisce il tempo di cottura ideale per ottenere il massimo sapore e la consistenza perfetta. Inoltre, attraverso il Qr code indicato sull'etichetta, il consumatore può accedere a molte informazioni per approfondire in modo specifico ogni tipologia di pomodoro, dagli abbinamenti gastronomici ai particolari utilizzi. cod 104232
Se desideri portare la tua esperienza culinaria a livelli superiori, non cercare oltre: Cuisine Royale, il semilavorato pronto da usare, senza glutine senza lattosio ideale per piatti come uova strapazzate, torte salate, frittate, pancake, crespelle, crepes, carbonara, muffin e appetizer con la garanzia di risultati codificati e replicabili e una resa sempre perfetta.
Cuisine Royale è confezionato in una pratica bottiglia da 1000 grammi con tappo richiudibile che, oltre a garantire igiene e sicurezza alimentare, consente di dosare il prodotto facilmente e con precisione, riducendo al minimo gli sprechi.
La panna presente dentro a Cuisine Royale non solo favorisce la coagulazione dell’uovo, riducendo il rischio durante la preparazione, ma assicura anche una cremosità irresistibile e un gusto rotondo e avvolgente, grazie ai suoi grassi.
Ottenuto dalla sgusciatura di uova 100% italiane di categoria A da allevamento a terra provenienti
dalla filiera controllata e certificata di Gruppo Eurovo, è idoneo per il consumo di persone celiache e intolleranti al lattosio in quanto gluten e lactose free.
Si conserva in frigo e ha una shelf life di 50 giorni.
Standardizza le tue ricette in modo replicabile, garantendo risultati costanti nel tempo. Inoltre, grazie alla sua consistenza unica, non impacca mai in padella, permettendo di aggiungere altro prodotto e riportarlo in cottura senza sprechi.
Cuisine Royale è ideale per la cottura in padella, a bagnomaria o sottovuoto in forno a vapore, garantendo sempre una resa eccellente e una consistenza cremosa.
Scegli Cuisine Royale e trasforma ogni piatto in un capolavoro gastronomico, con qualità e praticità senza paragoni. cod 104432
Qualità e gusto, senza dimenticare sostenibilità e identità culturale. Sono questi i cardini che da sempre guidano Molino Grassi e si traducono in un approccio distintivo in termini di filiera e produzione. Il grande molino parmense è stato uno dei primi a credere nel biologico e nell’approvvigionamento a chilometro il più possibile zero: erano gli Anni Novanta quando ha intrapreso la strada del bio e del recupero di grani locali, un momento storico in cui il concetto di sostenibilità era ben più defilato rispetto ad oggi.
Una visione lungimirante da cui sono nati prodotti esclusivi, come Miracolo®: farina di grani teneri antichi tipici italiani (tra cui varietà originarie proprio del parmense) unica per sapori
e profumi, realizzata in collaborazione con Claudio Grossi ed Ezio Marinato. Tipo 1, 2 e integrale, utilizzabile in panificazione, pizzeria, pasta fresca e pasticceria, preserva la ricchezza cruscale con tutti i suoi valori organolettici, riportando i prodotti finiti al genuino sapore “di una volta”.
Oggi i grani da cui deriva Miracolo® sono ritornati protagonisti in alcune aree agricole del parmense e in generale dell’Emilia Romagna, rinnovando così un patrimonio culturale tramandato di generazione in generazione. Valori etici e rispetto dell’ambiente, ma anche tanto gusto: Miracolo® significa farine di alta qualità dal gusto distintivo, capaci di originare prodotti finiti particolarmente ricchi e saporiti. Tutto questo, con la garanzia del know how Molino Grassi, la cui Ricerca e Sviluppo
costanti, prestanti e affidabili, adatti alle attuali esigenze del professionista.
La filiera italiana è poi grande protagonista di un’altra innovativa linea firmata dal Molino: La Pasticceria Bio, in cui all’italianità - le cinque farine di cui si compone provengono da grano 100% italiano - si aggiunge il valore del biologico. Si tratta di referenze tecniche, quindi con forze diverse, per rispondere concretamente ai differenti usi di pasticceria. A comporre la gamma, le farine Croissant, Frolla, Sfoglia, Pan di Spagna e Lievitati. cod 104221
essenziali della creatività, dell’innovazione e della fantasia. Molino Dallagiovanna chiude così la sua prima partecipazione a Identità Milano 2024, dove ha portato sul suo palco una ricca varietà di interpretazioni dolci e salate del tema portante del Congresso internazionale di gastronomia. «I risultati sono stati sorprendenti - sottolinea Sabrina Dallagiovanna, sales & marketing manager dell'azienda molitoria piacentina. Alla vigilia dell'evento avevamo lasciato totale libertà ai maestri pasticceri, pastai, pizzaioli e chef coinvolti e siamo
rimasti piacevolmente colpiti da come questa pagina bianca si sia via via riempita di curiosi e interessanti contenuti, esteticamente belli quanto buoni al palato, che siamo certi possano entrare a pieno titolo nel novero delle proposte future dei professionisti coinvolti».
Tra i principali eventi:
• Il “Bacio” al cacao, vaniglia e crema al caramello e la colomba gastronomica di prodotti del territorio veneto sono stati i protagonisti della “disobbedienza” del Maestro Pasticcere Denis Dianin che con Giulia Golino ha presentato il format “Frolla da like” per esplorare e valorizzare al meglio il mondo della frolla.
• La Chef Isa Mazzocchi, insieme a Mattia Masala, seguendo il suo personale “undicesimo comandamento”, ovvero quello di non rinunciare ai carboidrati, ha presentato un pan bauletto con riduzione al brodo di pane, mayonnaise al lievito madre ed erbette.
• Disobbediente, ma con la grande ambizione comunicativa, è il panettone con gelato, da consumare e apprezzare tutto l’anno, presentato dal Maestro Pasticcere Salvatore Tortora, insieme a Stefano Ferrara
• Grande classico di Gino Fabbri, la colazione si è arricchita di un pain au chocolat con cioccolato al caramello e sale, mentre Iginio Massari, ha spiazzato il pubblico con la sua pizza al caffè con stracciatella, alici e foglie di cappero: il tutto coadiuvato da Giacomo Pini e Riccardo Pirrone
• “Stellato” il babà di Giuseppe Amato, accompagnato da salsa di fragola e peperone con chantilly al cioccolato bianco e vaniglia.
• Lievitato superstar con “Trilogy suprema” di Leonardo Di Carlo che insieme a Fabio Del Sorbo e Giulia Golino ha dimostrato come da lievito madre possano nascere altri tre prodotti: fetta biscottata, pane burro e marmellata e il “dimenticato” pane caramellato. Per poi chiudere con uno speciale pic-nic dolce, ovvero un bauletto con pasta di mandorle e marshmallow.
Appuntamento a Cibus per scoprire le novità di Molino Dallagiovanna! cod 103850
Agugiaro & Figna ha aperto il “Campionato Mondiale della Pizza” in veste di main sponsor della manifestazione, affiancando i pizzaioli provenienti da tutto il mondo nelle competizioni con il suo brand di farine “Le 5 Stagioni” dedicate alla pizzeria professionale. Non solo gare ma anche tre giorni di formazione e divertimento dedicati a pizzaioli e appassionati. “Le 5 Stagioni” ha offerto ai pizzaioli un’esperienza straordinaria all’interno del Campionato, combinando eccellenza culinaria, formazione di alto livello e l’impegno per la sostenibilità che Agugiaro & Figna persegue da sempre.
Ampio spazio è stato dato ai focus tematici sulle farine e i lievitati,
Ciccio Vitiello e Sara De Bellis Giulia Vicini premiata da Riccardo Agugiarosenza dimenticare gli show cooking e le masterclass di approfondimen to sulle tendenze del mondo pizza.
Relax, svago e networking, oltre a un fitto programma di appuntamenti hanno animato la Lounge Pizza Sto ries de Le 5 Stagioni, con la colla borazione dei master istruttori della Scuola Italiana Pizzaioli e dei Tecni ci Ricerca&Sviluppo del Molino.
In occasione del Campionato Mondiale della Pizza, Agugiaro & Fi gna ha lanciato un nuovo sito con il programma completo: www.campio natomondialedellapizza.le5stagioni.it
La lounge è stata il centro nevralgico delle storie dei professionisti della pizza con la presenza di pizzaioli di spicco come Ciccio Vitiello, Gianni Di Lella, Giulia Vicini, che oltre a essere stata proclamata vincitrice del Campionato Mondiale della Pizza 2024, si è aggiudicata per il secondo anno di seguito il Premio Pizzaiolo per il Cambiamento.
Gli ambassador Le 5 Stagioni e i maestri pizzaioli tra cui Petra Antolini, Federica Mignacca e Pasquale Petrillo, miglior Pizzaiolo Emergente 2023, hanno animato la lounge con racconti e storie di pizza ai microfoni della radio live nelle interviste di Lorenzo Palma di RDS Music.
Sempre in questi spazi si è rinno vata la collaborazione tra Le 5 Sta gioni e i suoi partner tecnici come Velier, storica azienda importatrice di distillati e Fever Tree, presenti nell’Area Bar insieme all’iconico Tra pizzino.
Novità di quest’anno è stato il Pre mio Agent dedicato agli agenti di vendita della linea Le 5 Stagioni, che ha visto 24 squadre composte
da distributori provenienti da ogni regione italiana sfidarsi in una competizione sulla pizza classica.
Ogni team è stato supportato da un coach pizzaiolo. Ha vinto il premio il team Marchi composto da Andrea Sartori, Roberto Zabeo, Nicola Minuzzo che si è aggiudicato un viaggio a Las Vegas in occasione di Pizza Expo 2025.
Per il secondo anno di seguito Agugiaro & Figna ha promosso il Premio Pizzaiolo per il Cambiamento,
candole al proprio lavoro quotidiano.
L’istituzione di questo premio all’interno del Campionato Mondiale della Pizza è nata dall’iniziativa “Un sacco di Cambiamento”, un progetto dell’azienda che ha l’obiettivo di favorire la creazione di un collettivo di professionisti in grado di farsi portavoce di una nuova visione di fare impresa e promuovere il valore della sostenibilità attraverso le buone pratiche. cod 104436
Agugiaro & Figna Molini 049 9624611
www.agugiarofigna.com
I vincitori del Premio Agent: Nicola Minuzzo, Andrea Sartori e Roberto ZabeoAmbassador di Molino Spadoni. Anche quest’anno utilizzerà in via esclusiva le farine e le miscele del brand, supportando costantemente l’azienda in attività di ricerca e sviluppo. Proprio la sua grande expertise sarà fondamentale per valorizzare al massimo le nuove referenze che verranno lanciate prossimamente da Molino Spadoni, frutto di un accurato studio per la formulazione di prodotti altamente performanti e in linea con gli ultimi trend del mercato.
La collaborazione con Renato Bosco prevede anche la realizzazione di contenuti specifici sul tema dei lievitati
mente protagonista sui canali digital e social di Molino Spadoni: in questi contesti presenterà le diverse farine in chiave funzionale ma anche creativa, al fine di valorizzarne le caratteristiche e le peculiarità. Preparerà ricette originali che punteranno sulla praticità di realizzazione e il gusto del risultato finale, raggiunto anche grazie alla materia prima selezionata.
La scelta di siglare questa collaborazione nasce da una condivisione fondamentale: quella della passione e dell’expertise nell’affascinante mondo dell’arte bianca e dei lievitati. È su questo terreno che si sono incontrati e hanno sviluppato un progetto comune due punti di riferimento del settore: un professionista esperto e riconosciuto e
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un’azienda che da oltre un secolo opera in questo mercato e che detiene il primato della gamma più ampia di farine e miscele per il canale professionale, destinate in maniera trasversale o specifica a tutte le destinazioni di utilizzo.
C’è, infatti, una farina Molino Spadoni adatta per ogni tipo di preparazione che si desidera realizzare, per impasti a breve, media o lunga lievitazione, per ricette tradizionali o versioni moderne e creative. Ogni professionista - pizzaiolo, panificatore, pasticcere o chef - può trovare nell’azienda un alleato affidabile che mette sul piatto il massimo dell’expertise per offrire risultati certi.
È ricerca la parola chiave sia per Bosco che per Molino Spadoni: proprio questa volontà di trovare sempre nuove soluzioni, di sperimentare e di evolvere è la chiave del successo di entrambi e il contributo che hanno saputo portare al loro settore. Per Molino Spadoni questo significa anche impegno a offrire prodotti in linea con i più recenti trend di mercato e proprio da questa sinergia nasceranno le nuove referenze che si prestano a molti usi diversi in cucina, dimostrando una grande versatilità e assicurando un risultato professionale.
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L’Enkir è il nome commerciale di una farina ottenuta dal cereale triticum monococcum, un farro monococco considerato il padre dei cereali, le cui origini risalgono alla Mezzaluna fertile, nell’antica Mesopotamia. Nella mitologia sumera il dio Enki era uno dei quattro dei creatori del mondo, considerato il signore degli oceani e delle acque sotterranee apportatrici di vita, oltre ad essere anche il dio della sapienza e delle arti. Dal nome di questa divinità deriva quello del cereale. Di farro monococco ne esistono ancora oggi moltissime varietà, è una pianta predisposta alla nascita spontanea, il che la rende molto semplice da coltivare, molto resistente, difficilmente viene attaccata da parassiti e patogeni, è in grado di crescere anche in caso di siccità e terreno povero e resiste alle temperature rigide.
Nel corso del tempo il monococco scomparve (intorno al 2000 a.C.)
per lasciare il posto alle più produttive varietà di grano frumento, sebbene in alcune aree dell’Europa si ha traccia della coltivazione del monococco dal Medioevo ad oggi. Attualmente, il monococco è uno dei cultivar antichi, ampiamente rivalutato e ricoltivato con successo in molte parti del mondo, in particolare, in Europa, nelle zone delle Alpi provenzali, così come in Piemonte, in Lombardia ed in Sardegna, per usi non solo rivolti all’alimentazione degli animali, ma anche alla alimentazione umana.
In Piemonte, soprattutto nell’Alta Langa, da una selezione delle tante varietà che si sono sviluppate, è nato l’enkir, una vera e propria popolazione di semi, che negli ultimi vent’ anni si è adattata al territorio mantenendo la propria biodiversità. Nel territorio della bassa bresciana lo shebar, in Sardegna nella zona di Orosei il Grano di Atlantide. Tutti sono marchi commerciali registrati.
Per quanto riguarda l’aspetto, la farina di enkir è riconoscibile per il
suo colore giallo intenso originato dall’alto contenuto di carotenoidi, sostanze antiossidanti naturali e precursori della vitamina A. A livello nutrizionale, invece, la sua caratteristica principale è l’alto contenuto proteico, in media del 18% (con punte fino al 24%), mentre basso è il suo contenuto di glutine e di grassi.
Data la sua natura di cereale, quando utilizzato in farina il farro monococco è ideale per tantissimi prodotti di lievitazione, dolci e salati, come pani, crostate, biscotti, torte ma anche crepes e pasta fresca. In purezza, invece, si può utilizzare come il classico farro, per preparare pietanze calde oppure fresche insalate estive.
Il Birrificio 2 Sorelle di Santo Stefano Belbo (Cn) e il Birra del Borgo lo utilizzano per una Specialty Grain Ale dal brillante giallo ambrato. Se siete curiosi su come utilizzarlo, allora il libro di Antonella Scialdone edito da Maglio Editore fa per voi.
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LE RADICI DEL CIBOIn una società dove il 25% della popolazione risulta intollerante al lattosio, si fa strada la necessità per ristoratori e pasticceri di trovare nuove soluzioni per andare incontro ai bisogni dei propri clienti. Debic, storica azienda leader nel panorama dei prodotti lattiero-caseari che da sempre si schiera a fianco dei professionisti, ha per questo deciso di inse-
In risposta alla crescente domanda di alternative senza lattosio, Debic introduce la Panna 35% Senza Lattosio. Realizzata con latte 100% italiano, si presta a diversi utilizzi dalla pasticceria alla ristorazione rire nella propria gamma un nuovo prodotto che possa soddisfare le specifiche esigenze nutrizionali dei consumatori.
Nasce così Debic Panna 35% Senza Lattosio, una panna multiuso da montare, che si rivela come estremamente versatile, adatta sia per l’uso in pasticceria sia in ristorazione. Frutto di un’accurata ricerca, Debic Panna 35% Senza Lattosio si contraddistingue per l’elevata qualità, che da sempre caratterizza tutti i prodotti Debic, e per la sua ottima tenuta. La consistenza molto strutturata risulta cremosa e piacevole, qualità che è conferita da latte 100% italiano che con il suo sapore ricco e gustoso è in grado di rendere inconfondibili i pro-
dotti di origine italiana. La new entry della gamma Debic risulta versatile e adatta a diversi utilizzi: è infatti il prodotto ideale per la preparazione di chantilly, torte, semifreddi e guarnizioni. La sua capacità di sviluppare un elevato volume, conferisce al gelato una consistenza vellutata e un’ottima spatolabilità magnificando il gusto del latte.
Ma Debic Panna 35% Senza Lattosio non è pensata solo per le preparazioni dolci. Raffinata e delicata si adatta perfettamente all’utilizzo sui primi piatti, squisita e saporita si combina in maniera naturale su secondi e verdure, come nella ricetta Tartare di salmone con crema di mandarino, mascarpone, nocciole e olive nere.
Debic Panna 35% Senza Lattosio è semplicemente il prodotto perfetto per esaltare il sapore dei singoli ingredienti mantenendo il sapore naturale del latte, senza la presenza di lattosio.
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Ingredienti:
Salmone marinato
600 g salmone
15 g zucchero di canna
15 g sale fino
2 g grani di pepe nero
10 g aneto fresco
Una buccia d’arancia
Per la crema al mandarino:
200 g Debic Panna 35% Senza Lattosio
30 g succo di mandarino tardivo di Caciulli
10 g aceto di mele
1 g sale
Per l’olio all’aneto:
30 g foglie di aneto
100 g olio evo
Per la finitura:
50 g olive disidratate
50 g nocciole
aneto q.b.
Preparazione
Per il salmone marinato, mescola lo zucchero con il sale, la buccia d’arancia grattugiata, l’aneto e il pepe tritato, copri il filetto di salmone con questo composto, metti sottovuoto e lascia marinare per 4 ore in frigo.
Trascorso questo tempo sciacqua il filetto dalla marinatura, asciugalo bene e ricondizionalo sottovuoto. Conserva in frigorifero fino al momento dell’utilizzo.
Per la crema al mandarino, mescola tutti gli ingredienti e conserva in frigorifero fino al momento dell’utilizzo.
Per l’olio all’aneto, sbollenta l’aneto in acqua bollente per 5 secondi. Raffredda in acqua e ghiaccio. Appena fredda, strizzala e con l’aiuto di un Bimby sfumala con l’olio fino ad ottenere un composto verde brillante.
Passalo al setaccio e versa in un biberon.
Taglia il salmone a brunoise (molto piccolo). Con l’aiuto di 2 coppa pasta forma un anello al centro del piatto, schiaccia il salmone all’interno e togli i coppapasta, versa al centro dell’anello la crema al mandarino e dressa qualche goccia di olio all’aneto. Con uno stuzzicadenti mescola i 2 composti, ottenendo l’”effetto variegato”. Guarnisci con le olive disidratate e le nocciole tostate, termina con qualche ciuffo di aneto.
La Panna Delyce Senza Lattosio rappresenta un ingrediente d’eccellenza nel mondo della ristorazione, offrendo agli chef e ai professionisti del gusto un’opzione autentica e inclusiva per le loro creazioni gastronomiche
Nel mondo della ristorazione, la ricerca della perfezione è una costante. Dall’alta cucina alla pasticcera più ricercata, ogni dettaglio conta.
Ed è proprio qui che la Panna Delyce senza lattosio entra in gioco, offrendo agli chef e ai professionisti del gusto un ingrediente d’eccellenza in grado di valorizzare le proprie creazioni.
La Panna Delyce è l’emblema dell’innovazione senza compromessi. Realizzata con latte proveniente dagli allevamenti del Piemonte, è un ingrediente dal sapore autentico e la solu-
zione perfetta per chi offre esperienze gastronomiche inclusive.
La versatilità della Panna Delyce senza lattosio la rende un ingrediente essenziale in qualsiasi cucina professionale, ma non solo. Grazie a un contenitore riciclabile e sostenibile e al suo design pratico, richiudibile ed esteticamente impeccabile, questo ingrediente può farti fare bella figura anche sul bancone bar, per accompagnare bevande calde e fredde, gelati e macedonie di frutta fresca.
La Panna Delyce senza lattosio al 35% m.g. non è solo perfetta dal punto di vista della struttura, altamente performante, ma anche del sapore. Il suo gusto ricco, cremoso e leggermente dolce si sposa nelle pietanze con il garbo equilibrato di una vera star della cucina, al servizio degli chef più esigenti.
In un mondo in cui l’innovazione e la versatilità sono fondamentali, la Panna Delyce Senza Lattosio al 35% si distingue come un vero gioiello per l’artista del gusto. La scelta ideale per chef e professionisti che cercano di creare esperienze gastronomiche straordinarie. Scegli la Panna Delyce e preparati a stupire i tuoi clienti con piatti indimenticabili. cod 104294
Il Consorzio Tutela Formaggio Asiago riparte con il progetto Asiago Academy on tour, che ha visto come protagonista lo chef Nikita Sergeev ad Ancona il 19 marzo e Stefano Di Gennaro a Bari il 23
Il Consorzio Tutela Formaggio Asiago, nell’ambito del progetto formativo itinerante “Asiago Academy on tour”, dedicato a mostrare al mondo dei professionisti le diverse declinazioni culinarie dell’Asiago DOP, promuove il cooking show “Sperimentare è la nostra tradizione più antica”.
«Utilizzare il formaggio Asiago DOP - ha dichiarato lo chef Nikita Sergeev, JRE - Italia, del Ristorante L’Arcade, 1 stella Michelin di Porto San Giorgio (Fm), che ha condotto con successo la prima tappa di Ancona, lo scorso 19 marzo, e realizzato quattro inedite ricette per far conoscere l’ampia duttilità di questa produzione casearia - è stata una bellissima opportunità per dimostrare quanto il prodotto si presti a preparazioni di grande tecnica ed eleganza gustativa. Aver utilizzato nelle Marche l’Asiago DOP mi ha aiutato a riconfermare la correttezza della convinzione dell’ingrediente a km
buono invece che per forza a km 0. A permettere ciò è stata la qualità dell’Asiago DOP, gustato in purezza oppure in ricette più complesse».
A Bari, il 23 aprile, sarà la volta di un altro chef d’eccellenza, Stefano Di Gennaro, JRE - Italia, del Quintessenza Ristorante, 1 stella Michelin, di Trani, che farà scoprire l’impiego del formaggio Asiago in maniera innovativa, capace di qualificare i menu e soddisfare i palati dei clienti più esigenti.
«L’utilizzo del formaggio Asiago DOP in cucina, date le peculiarità delle differenti stagionature, consistenze, profumi e affinamento, dal Fresco allo Stagionato - afferma Di Gennaro - mi permette di usare questo prodotto in modo versatile in preparazioni e lavorazioni che abbracciano portate salate o addirittura di pasticceria».
A Bari, il 23 aprile, “Asiago Academy on tour” sarà allo Spazio Murat (Piazza del Ferrarese 13) dalle ore 15:30. L’incontro è a ingresso libero ma i sono posti limitati e si richiede l’iscrizione all’indirizzo: https://asiagocheese.it/ontour cod 103652
Unilever Food Solutions presenta la nuova Salsa Bisque di Crostacei Knorr, con crostacei ed estratto di aragosta, per preparare i migliori piatti di pesce della tradizione, risparmiando tempo e costi e con la garanzia di un gusto ricco, ma bilanciato. La nuova Bi-
La nuova Bisque di Crostacei Knorr è una salsa già legata con crostacei ed estratto di aragosta, ideale per piatti di pesce tradizionali. Priva di glutammato e conservanti è disponibile nel formato da 600 g
sque di Crostacei Knorr è una salsa già legata, caratterizzata da una consistenza liscia e dal tipico colore dei crostacei, pronta in pochi minuti, per garantire la massima praticità in cucina. Ideale per la Pasta allo Scoglio e per tutti i primi e secondi piatti rossi a base di pesce e crostacei. Sono
tante le ricette sul sito unileverfoodsolutions.it alle quali ispirarsi. Tra queste i Tortelli di ricotta alla bisque di granchio blu, le Linguine all’astice e i Fusilloni allo zafferano mari e monti.
L’utilizzo del nuovo prodotto Knorr è estremamente semplice: basta portare ad ebollizione 1 litro di acqua, sciogliere 50 g di prodotto nell’acqua e cuocere a fuoco lento per 2 minuti. In pochi passaggi è possibile creare un piatto di pesce dalla qualità eccellente, con un notevole risparmio di tempo e risorse.
La Bisque di Crostacei Knorr è senza glutammato e senza conservanti. È disponibile nel formato da 600 g (6 pezzi per cartone) per una resa di 12L di salsa o 24L di brodo.
Il nuovo prodotto Bisque di Crostacei va ad arricchire la gamma Knorr, brand storico dal 1838 e punto di riferimento per lo chef che vuole realizzare le migliori ricette della tradizione o innovative, esaltandone gusto e sapori. cod 104263
Master Martini presenta due nuovi prodotti per soddisfare il sempre crescente mercato vegano:
Plant Based + Dual e Plant Based + Chef, creme vegetali lactose free e arricchite con proteine della fava
n tocco cremoso e avvol gente a ogni piatto, ma senza lattosio: Master Martini, sub-brand Martini Professional, lancia due innovativi prodotti pensati per rispondere al crescente mercato vegano, offrendo a cucine e laboratori ingredienti plant based dalle alte performance. Frutto di un’esclusiva Ricerca & Sviluppo firmata Unigrà, nascono così Plant Based + Dual e Plant Based + Chef, creme vegetali lactose free arricchite da proteine della fava.
Si tratta di referenze performanti e dall’ottimo profilo organolettico, resistenti agli ingredienti acidi e con grassi vegetali non idrogenati.
può essere utilizzata tal quale in ricette salate e, montata, in pasticceria: non collassa e non genera sineresi, oltre ad avere un ottimo sviluppo. Con il 32% di grassi, è perfetta in molte preparazioni, dotata di eccellente palatabilità e alto valore di servizio grazie a varietà applicativa e lunga shelf life.
Plant Based + Chef (23% di grassi) è invece dedicata agli utilizzi di cucina, donando corpo e consistenza vellutata a creme, primi piatti, salse per secondi piatti e molte altre preparazioni; insomma, ovunque sia necessario aggiungere cremosità impiegando però ingredienti senza lattosio.
Come nel dna di Martini Professional, Plant Based + Dual e Plant Based + Chef sono una soluzione concreta alle più attuali esigenze di chef e pasticceri, unendo versatilità, bontà e risultato costante. Senza dimenticare gli aspetti nutrizionali: le proteine di fava conferiscono una pregevole nota in questo senso, fornendo apporto proteico pur in assenza di materie prime animali e donando contestualmente struttura alle creme. cod 104230
Il 22 marzo a Frontone (PU), Giuseppe Cristini, direttore dell’Accademia del Tartufo nel mondo, ha presieduto una cerimonia di grande rilievo presso il rinomato ristorante Daino. Durante l’evento, è stato conferito un prestigioso premio dedicato a coloro che hanno contribuito e continueranno a farlo alla storia della cucina marchigiana nel contesto internazionale: il premio “Storicità della cucina marchigiana” ideato da Giuseppe Cristini.
Quest’onore è stato attribuito al ristorante Daino per i suoi sessant’anni di impegno nel promuovere e preservare l’arte culinaria marchigiana, con un’enfasi particolare sulla valorizzazione del pregiato Tartufo fresco tutto l’anno, mantenendo intatto il suo autentico carattere.
Enzo Galassi, proprietario del ristorante Daino, è stato insignito del premio, mentre Claudio Viti, consigliere comunale di Frontone, ha accolto l’evento con parole di elogio: «Partecipare a eventi di tale spessore nella nostra comunità è sempre un grande onore. Il ristorante Daino, celebrando sei decenni di eccellenza culinaria, si è affermato come un faro per Frontone, una solida istituzione nel tempo. I nostri complimenti vanno a Enzo, alle sue figlie e ai collaboratori che hanno contribuito al successo di questa storica attività».
Accademia del Tartufo nel Mondo
L’Accademia Mondiale del Tartufo ha inoltre conferito al ristorante Daino una medaglia speciale, simbolo del suo ruolo di modello e ispirazione nel settore culinario. Questo riconoscimento riflette l’apprezzamento della Regione Marche, che considera la cucina tradizionale non solo un merito, ma una caratteristica unica della regione. cod 104166
SUL “RING” DELLA NATURA: UNIONE E DIVERSITÀ NEL MONDO DEL TARTUFO
Giuseppe Cristini, direttore dell’Accademia del Tartufo nel Mondo, ha incontrato a Roccafluvione (AP) Luigi Di Bacco, educatore cinofilo della Majella, circondati da uno scenario meraviglioso.
«Oggi stiamo svolgendo una prova di ricerca sportiva su ring, - dichiara Di Bacco - un simulacro delle condizioni del bosco che mette alla prova
la gestione del cane. Gli atleti che partecipano hanno addestrato i loro cani a reagire positivamente anche in situazioni ricche di stimoli. All’interno di contenitori appositi sono nascosti del Tartufo nero pregiato e i concorrenti devono trovarne 5 entro i tre minuti di tempo a disposizione. Il vincitore sarà determinato dal tempo migliore». cod 103924
Durante una conferenza nazionale presso l’Università di Urbino, con la partecipazione del Magnifico Rettore Giorgio Calcagnini, dell’Ambasciatore e Commissario Expo per Osaka 2025 Mario Vattani, di Giorgio Cancellieri a nome della Regione Marche e con la supervisione di Giuseppe Cristini, è stato concordato che il tartufo italiano sarà protagonista nel Padiglione Italia in Giappone attraverso la sua filiera istituzionale.
A 400 giorni dall’apertura di Expo Osaka, con un’attenzione speciale alla settimana della biodiversità programmata dal 17 al 28 settembre 2025, Urbino, città simbolo del Rinascimento che ha ispirato la realizzazione del Padiglione Italia progettato da Mario Cucinella, ha ospitato l’Ambasciatore Vattani per illustrare le opportunità e i benefici di Expo 2025 e per acquisire ulteriori elementi che arricchiranno la partecipazione italiana all’evento, basandosi sui valori della bellezza, della gioventù e del sogno italiano che il Padiglione Italia intende offrire ai 30 milioni di visitatori previsti. cod 103992
Quando si tratta di colazione fuori casa non si può non pensare al croissant, amato dai consumatori di tutte le età in ogni sua variante. Per consentire agli operatori di poter offrire in sicurezza anche a chi segue un’alimentazione
Croissant à la francaise in imballo monoporzione infornabile.
Senza glutine e con un alto contenuto di fibre, il Croissant à la francaise Schär ha un gusto delicato e una consistenza sfogliata irresistibile; grazie alla sua versatilità è perfetto sia per
to e 15 secondi di microonde a 360W o in 9 minuti nel forno tradizionale preriscaldato a 200 °C si può servire un caldo e fragrante croissant gluten-free in totale sicurezza, sia per l’operatore che per il cliente.
L’imballo infornabile permette infatti la cottura promiscua nello stesso forno con prodotti contenenti glutine, escludendo ogni rischio da contaminazione e consentendo anche a chi non dispone di due forni separati di servire il senza glutine in totale serenità. Una soluzione davvero comoda per tutti gli operatori del fuori casa (hotel, B&B, bar e canale travel) che desiderano accogliere e offrire ai propri clienti celiaci e sensibili al glutine prodotti di qualità e gustosi in modo veloce e si-
Il California Prune Board, l’ente che dal 1952 rappresenta i coltivatori e i confezionatori delle Prugne della California, rinnova anche per l’anno 2024 la partnership con lo chef Andrea Mainardi
Le Prugne della California sono l’ingrediente fondamentale di 4 nuove ricette, due primi piatti e due secondi, ideate da chef Mainardi per mettere in risalto le qualità e la versatilità delle Prugne della California e per essere replicate facilmente durante tutto l’anno.
«Il successo raggiunto negli ultimi tre anni grazie alla collaborazione con lo chef Andrea Mainardi ci ha entusiasmato: con la sua grande creatività ed esperienza professionale sa valorizzare al meglio le qualità distin-
tive e la versatilità delle Prugne della California», spiega Esther Ritson-Elliott, California Prune Board Director of International Marketing & Communications.
«L’Italia, tra i primi mercati di riferimento per il California Prune Board in Europa, vede anche per il 2024 il rinnovato dell’impegno del Board con attività integrate di marketing e comunicazione. Siamo lieti di rinnovare la partnership con lo chef Andrea Mainardi e la creazione di ricette, grazie alle quali le qualità uniche delle Prugne della California vengono messe in risalto. Con le sue creazioni innovative, chef Mainardi dimostra come le Prugne della California si rivelino un ingrediente di alta qua-
lità sia per preparazioni professionali, quanto per piatti casalinghi all’insegna del gusto» conclude Esther Ritson-Elliott.
Tutte le ricette e i contenuti digitali creati in partnership con lo chef, sono disponibili sul sito ufficiale del California Prune Board e sui canali social di Prugne della California e dello Chef Andrea Mainardi, offrendo fonte d’ispirazione e di utilizzo delle Prugne della California.
Prugne della California: alleate per il benessere quotidiano
Apprezzate in tutto il mondo, le Prugne della California sono sempre di stagione, non richiedono refrigerazione e sono uno spuntino accessibile e nutriente, così come un ingrediente dalle molteplici potenzialità.
Grazie all’alta qualità, al gusto distintivo e alle grandi dimensioni, sono un ingrediente versatile che si integra perfettamente con preparazioni salate e dolci con risultati senza rivali. Naturalmente prive di grassi e di zuccheri aggiunti, le Prugne della California sono alleate fondamentali per il benessere quotidiano a partire dalla tavola. Sono ricche di composti fenolici che agiscono come antiossidanti, e racchiudono una notevole quantità di vitamine e nutrienti noti per portare beneficio alle ossa: boro, potassio, rame e vitamina K.
Uno nuovo studio scientifico pubblicato su “Osteoporosis International” ha, inoltre, recentemente dimostrato che le donne in postmenopausa che hanno mangiato prugne secche ogni giorno per un anno hanno mantenuto in gran parte la struttura ossea e la resistenza ossea, rispetto alle donne che non hanno mangiato prugne secche.
Prugne secche e salute delle ossa: nuovo studio rivela benefici sorprendenti
«Abbiamo studiato le prugne secche perché la loro combinazione di nutrienti sembra esercitare un effetto positivo sulle ossa. Sebbene i farmaci e le terapie ormonali possano aiutare le donne a mantenere la loro densità e forza ossea con l’avanzare dell’età, spesso richiedono una gestione a vita e comportano alcuni rischi, per cui imparare a conoscere cambiamenti dietetici che possano contribuire alla salute delle ossa può essere di grande aiuto» spiega l’autrice principale dello studio Mary Jane De Souza, Ph.D., professoressa emerita presso il Dipartimento di Kinesiologia della Pennsylvania State University.
Lo studio si aggiunge a un crescente numero di ricerche che dimostrano come il consumo quotidiano
di prugne secche possa contribuire a mitigare la perdita ossea in età avanzata. Questi risultati, in particolare, fanno parte della ricerca più ampia, “The Prune Study”, condotta per 12 mesi su un campione di 183 donne in postmenopausa di età compresa tra 55 e 75 anni, non fumatrici e non gravemente obese.
«Mangiare prugne secche ogni giorno è una sana abitudine che consiglio ai miei pazienti: regalano, infatti, sensazione di sazietà con meno di 100 calorie per porzione grazie alla presenza di fibre e per la natura dei loro glucidi che quasi non vengono assimilati dal nostro corpo . In particolare, insieme al buon sapore, donano effetti benefici dimostrati da tante prove scientifiche riguardo la salute delle ossa», conclude Annamaria Acquaviva, dietista e nutrizionista per il California Prune Board in Italia.
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Per informazioni:
www.californiaprunes.net/it/
Il colore del cibo influisce sul desiderio, sulle emozioni e sulla storia del nostro legame con il cibo, riflettendosi sia nelle tradizioni alimentari che nella psicologia dei consumatori.
Il colore del cibo va oltre l’aspetto estetico, rappresentando una connessione profonda con storia, cultura e emozioni umane
Cdi Matteo Scibilia
on l’arrivo della primavera, segno della rinascita della natura, iniziamo una serie di studi e racconti sul “colore del cibo”. Il colore è uno strumento di
marketing nel mondo del food. Cosa racconta il colore del cibo, quanto influisce sul desiderio, sulle emozioni, sulla storia del nostro legame al cibo, cosa differenzia un cibo di mare o di terra, quanto il colore influisce sui nostri acquisti?
In questo senso il colore del cibo è una rappresentazione profonda, una sintesi ideale di ciò che le comunità antiche mettevano in gioco rispetto ai loro bisogni, al rapporto con la loro storia, la loro memoria, il loro territorio. Colori che non sono quelli degli alimenti presenti in un piatto, piuttosto quelli diventati espressione della società che quegli alimenti produceva, conservava, consumava collettivamente e celebrava, ancora oggi è così. In passato l’opposizione tra bianco e nero per esempio rappresentava la differenza tra il pane bianco gentile e il pane scuro di farine grevi per i poveri, ma anche le verdure verdi, sempre per questi ultimi e il rosso per la carne e il vino per i ricchi.
Ma un esempio su tutti per capire quanto è importante il colore del
cibo: è il pomodoro. Arrivato in Europa grazie al condottiero Cortés nel 1540, con la scoperta delle Americhe, la prima regione italiana in cui si diffuse la sua coltivazione fu la Sicilia, ma i primi frutti arrivati dalle americhe non erano rossi, anzi tendevano a un rosso bordeaux, negli anni in realtà si puntò ad una modifica del suo colore, e in fondo ebbero ragione, i nostri due piatti italiani per eccellenza, la pizza e la pasta con il pomodoro non sarebbero mai nati senza un pomodoro rosso.
Il colore del cibo, soprattutto della frutta e della verdura, ha anche un valore salutistico, ma di questo ne parleremo dopo insieme alla stagionalità, per certi versi dimenticata.
La psicologia dei colori: strategie e effetti sui consumatori Il colore è un importante strumento di marketing per indurre all’acquisto, già all’esterno dei supermercati questo è evidente, le vetrine degli stessi hanno colori sgargianti che servono soprattutto a farci individuare velocemente
il profumo è un ulteriore stimolo all’acquisto e se ci sono pizze e pizzette belle colorate il gioco è fatto.
Tutti i supermercati all’entrata hanno il reparto ortofrutta, il colore vivace e variegato dei vari prodotti induce tranquillità ed essendo prodotti agricoli hanno prezzi, sia per i confezionati
dea della dieta mediterranea per superficialità e significato dei colori.
Sembrerebbe di sì! Per capirlo sono stati condotti alcuni esperimenti tra
noiamo! E questo vale anche per il colore e la consistenza dei cibi che mangiamo. Motivo per cui dolcetti come gli Smarties, sebbene abbiano tutti lo stesso gusto, vengono presentati con colori diversi: lo scopo è mantenere vivo il nostro interesse!
Proseguiremo nel prossimo nu-
Dopo gli eventi organizzati dall’Ambasciata Italiana ad Abu Dhabi e dal Consolato Italiano a Dubai, in occasione della Festa della Repubblica Italiana, si torna negli Emirati Arabi per promuovere l’olio extravergine italiano
Fausto Borella
na missione importante e impegnativa quella di educare i consumatori all’olio extravergine di eccellenza, che con fatica e tanta passione porto avanti da ormai quasi 20 anni. Sono necessarie tanta determinazione, una buona dose di pazienza e un pizzico di follia per continuare in questo impegno.
Piano piano però le cose si stanno muovendo in una direzione nuova, più sensibile e attenta, forse. Dopo l’appuntamento di novembre scorso, per raccontare i migliori oli extravergini durante la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, ospite della nostra Ambasciata Italia-
na ad Abu Dhabi e del Consolato Italiano di Dubai, il mio impegno in questa profetica missione di promozione dei migliori oli artigianali italiani continua.
Nuovamente invitato dall’Ambasciatore Fanara, sono onorato di poter partecipare agli eventi che si terranno a Dubai proprio in occasione della nostra Festa della Repubblica Italiana. Ogni anno, tutta la rete diplomaticoconsolare italiana organizza alcuni degli appuntamenti più belli e importanti in tutto il mondo per festeggiare la festa della nostra Repubblica anche quando si è un po’ più distanti da casa, e forse proprio per quello è ancora più vivo e spumeggiante il desiderio di celebrare insieme questo momento.
E così, tornerò negli Emirati Arabi Uniti anche a giugno e insieme ai brand più rappresentativi dell’elegan-
za, dell’automotive, della tecnologia, porterò i migliori oli extravergini artigianali italiani. Un prodotto che viene scoperto, conosciuto e apprezzato sempre di più in Italia ma che sta conquistando anche buone fette di pubblico all’estero, anche in paesi dove la tradizione culinaria di questo prodotto non è così vicina.
Le aziende olivicole italiane scommettono sulla qualità
Azienda storiche con tanta passione e tradizione da raccontare, ma anche aziende giovani e intraprendenti, con tanti sogni negli occhi, tutte accomunate da un prodotto che nasce dall’impegno e dalla determinazione di olivicoltori senza compromessi. È questa l’Italia che mi piace raccontare, i prodotti in cui credo e che comunico. Ed è meraviglioso trovare persone sensibili a scoprire di più su questo mondo, a trattarlo come uno dei migliori prodotti che rappresentano il nostro “made in Italy”.
Riusciremo poco a poco a fare breccia nei cuori dei consumatori, ma prima di loro, degli importatori e operatori del settore che rimarranno sempre più colpiti dalla qualità, dalla manodopera, dalla cura al dettaglio e dalla genuinità di prodotti di questo tipo. Passo dopo passo.
Perché l’olio è una cosa seria. cod 104466
Si registra una tendenza verso la diversificazione e l'innovazione, con attenzione verso prodotti a basso contenuto alcolico, dealcolati e ready to drink. Il vino è visto oggi come un prodotto fuori dagli schemi tradizionali, con packaging diversificati e una maggiore sensibilità verso la sostenibilità e l'enoturismo. Sempre maggiore è l'interesse verso vitigni autoctoni e pratiche di vinificazione alternative, come affinamenti in anfora o sott'acqua
di Piera GentaProduttori in generale soddisfatti, malumori inevitabilmente si registrano, ma atmosfera propositiva. Forse mancavano grandi nomi, può darsi, ma una sorta di ricambio ci deve essere.
Di certo dobbiamo iniziare a pensare al vino come un prodotto che esce dai canoni classici. I vini diventano a basso contenuto alcolico, dealcolati, con un packaging diverso dai soliti standard (e lo si nota dai numerosi restyling delle etichette). Certo è che questa nuova tendenza ha sollevato pareri e opinioni discordanti, tra chi è d'accordo è si è già messo all'opera con nuovi prodotti e chi è invece contrario, come ha dichiarato l'associazione Fivi attraverso la voce del presidente Lorenzo Cesconi.
Si parla di crisi dei vini rossi, di affinamenti alternativi tra anfora (c’è anfora ed anfora!) e a quelli sott’acqua (in mare, al lago), di riscoperta di vitigni autoctoni usati in purezza o in blend e di enoturismo. Si ascoltano anche i consumatori, non più considerati come elemento di disturbo, pronti solo a bere. Ma dai consumatori si ricavano informazioni, si costruiscono i vini del futuro. I giovani che si avvicinano al vino arrivano da palati con esperienze diverse. Non mancano temi importanti: sostenibilità, riciclo, tappi alternativi. Tante le suggestioni e mai come quest’anno al Vinitaly occorreva ascoltare. E chi è arrivato preparato, ha raccolto i frutti. cod 104698
L'arrivo dell'Asti Rosé è una novità interessante che apre nuove prospettive per la storica denominazione piemontese. Un prodotto che ha tutte le carte in regola per conquistare il palato dei consumatori, in particolare dei più giovani, come ci racconta il presidente del Consorzio di tutela dell'Asti e del Moscato d'Asti, Lorenzo Barbero cod 104641
Amaro Sprint è un classico che torna sul mercato con la ricetta originale del 1964. Un prodotto simbolo della rinascita e del successo del Dopoguerra, che Caffo 1915 ripropone per conquistare il palato degli italiani di oggi. cod 104673
La Sicilia si è presentata all'ultima edizione di Vinitaly con tante novità e tanti temi cruciali. L'Opera Unica di Donnafugata, uno Chardonnay letteralmente irripetibile; i 200 anni di Duca di Salaparuta con celebrazioni tra arte, territorio; nuovi packaging di Caruso & Minini come la Linea Floreali, in collaborazione con il laboratorio Zanzara. Fazio, che punta sempre di più sull'unicità della Doc Erice, così come Feudo Disisa e Principe di Corleone, che puntano sulle specificità della Doc Monreale. Da non dimenticare poi l'impegno di aziende e istituzioni nel progetto Bi.Vi.Si per il recupero dei vitigni “reliquia”. Serata immancabile poi a Palazzo Verità Poeta a Verona per scoprire l'ultimo nato tra il metodo classico Etnei di Firriato, il Gaudensius Vintage, per finire poi con due eccellenze olivicole il Consorzio Olio Igp Sicilia e la Dop Monti Iblei cod 104771
Tramonto DiVino, il roadshow del gusto dell'Emilia-Romagna che da 19 anni sposa vini regionali e cibi a qualità certificata (Dop e Igp), cultura enogastronomica e turismo, riparte a inizio estate. Molte le novità del tour 2024 che, da giugno a settembre, porterà i grandi vini e i cibi dell'Emilia-Romagna in 7 location simboliche della regione. cod 104593
CESCONI
(FIVI): «LA NOSTRA FORZA È LA TIPICITÀ. VINI DEALCOLATI? NO, GRAZIE»
La Federazione italiana vignaioli indipendenti è in forte crescita: +10% soci ogni anno. I vini dei circa 1.700 collaboratori, espressione del territorio e della tradizione, conquistano sempre di più il palato degli italiani, come confermato dal presidente Lorenzo Cesconi: «Ogni vigneto ha le sue caratteristiche: la biodiversità è il nostro punto di forza».
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MARISA CUOMO: LA FORZA DELLA TRADIZIONE FAMILIARE IN UN TERRITORIO UNICO
LBARDOLINO: NON SOLO
«U
n vino rubino, sapido ed elegante che può essere degustato dai consumatori che sono alla ricerca di vini freschi da bere in annata» ha raccontato a Vinitaly il presidente del Consorzio, Fabio Dei Micheli. «Il Bardolino - ha aggiunto a Italia a Tavola - mira a essere il giusto vino per tutti i momenti della giornata».
cod 104616
e Cantine Marisa Cuomo rappresentano un'eccellenza nel panorama vitivinicolo italiano, essendo strettamente legate a un territorio unico e suggestivo. La loro storia è intrecciata con le scogliere mozzafiato della Costiera Amalfitana, un luogo caratterizzato da paesaggi incantevoli e da una tradizione enologica antica e appassionata. «Produrre vini in Costa d'Amalfi - ha dichiarato Andrea Ferraioli - non ci rende competitivi per una questione di costi, ma siamo super competitivi per l'identità territoriale». cod 104685
IL CONEGLIANO VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE DOCG
UNICA BOLLICINA DELLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg si conferma protagonista d'eccezione al cinema: infatti, sarà il sostenitore ufficiale per le prossime tre edizioni della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Le sue eleganti bollicine saranno le uniche a brindare durante le serate di gala di apertura e chiusura. «Le parole giuste sono “essere orgogliosi”. - esordisce Diego Tomasi, direttore del consorzio - Durante lo scorso Vinitaly abbiamo siglato questa collaborazione con l'81ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia».
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Prosit Group, innovativa realtà del comparto vitivinicolo è stata presente a Vinitaly in un solo spazio insieme a tutte le cantine del gruppo. Oggi l’azienda dispone di 800 ettari coltivati in cinque regioni, nel 2022 ha prodotto oltre 26 milioni di bottiglie con un fatturato di 83 milioni di euro. cod 104681
Mlanca ormai solo la conferma dal Ministero per le modifiche al disciplinare della doc bergamasca: aggiunta alla versione base di 5 vitigni al taglio bordolese (Merera, Franconia, Incrocio Terzi, Rebo e Petit Verdot); rimangono invariati invece il Riserva e il Valcalepio bianco. cod 104799
LE AZIENDE DELLA VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE DOCG PROTAGONISTE CON TANTE NOVITÀ
Non smettono mai di innovare le aziende dell'area (Patrimonio Unesco) delle colline di Congeliano Valdobbiadene: Drusian ha introdotto il restyling del rosé e il Valdobbiadene Rive di Bigolino, per Col Vetoraz tre nuove selezioni di Valdobbiadene Docg e abbinamenti gastronomici studiati ad hoc. Serena Wines 1881 ha lanciato
il Valdobbiadene Superiore Docg Brut e una prima bevanda a 0.0 Alcohol. Bisol ha illustrato gli abbinamenti dei suoi cinque Prosecchi Superiore e il lancio di Gondolieri a ridotto tenrore alcolico, mentre Ruggeri ha presentato il Superiore Docg, Ladaltempo, un primo esperimento di lunghissimi affinamenti. cod 104796
Il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato chiude un Vinitaly di grande successo, marcato dal lancio di un ambizioso progetto di restyling e dalla celebrazione dei dieci anni della denominazione Nizza Docg. Il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato chiude un Vinitaly di grande successo, marcato dal lancio di un ambizioso progetto di restyling e dalla celebrazione dei dieci anni della denominazione Nizza Docg. «Abbiamo avuto conferma che la più importante fiera del vino in Europa, è in Italia, è Vinitaly. Questo anche secondo tutti gli associati che abbiamo ascoltato, c'è stata grandissima affluenza soprattutto di persone interessate al Piemonte, interessate al Monferrato e quindi alle nostre denominazioni. Abbiamo fatto altre due fiere in Europa, che non sono andate altrettanto bene e quindi ne usciamo da vincitori. E questo rafforza lo spirito dei nostri associati e del nostro Piemonte» commenta Vitaliano Maccario, presidente del consorzio. cod 104736
MEZZACORONA: 120 ANNI DI SUCCESSI VERSO UN FUTURO SOSTENIBILE
Al Vinitaly 2024 il Gruppo Mezzacorona si è presentato forte dei risultati ottenuti che lo proiettano ad essere una delle più importanti aziende italiane del settore vitivinicolo, guidato dal presidente Luca Rigotti e dal direttore generale Francesco
GiovanniniSono stati moltissimi i visitatori, gli ospiti e gli operatori che hanno voluto degustare le novità enologiche proposte dal Gruppo presso il proprio stand nel padiglione 3 del Trentino e conoscere i progetti e le proposte aziendali, proprio nell’anno in cui ricorre il 120° di fondazione. Il Gruppo Mezzacorona, che può vantare una forte vocazione globale, ha chiuso il 2023 con un bilancio consolidato che ha sfiorato i 218 milioni di Euro, un risultato ottenuto grazie alla qualità e all’eccellenza dei propri prodotti, al forte legame con il territorio, al rafforzamento dei propri marchi (Mezzacorona, Rotari, Feudo Arancio, Stemmari, Tolloy) e al dinamismo commerciale. cod 104777
Sostanziale ottimismo per quanto riguarda le esportazioni ed in particolare il mercato americano, dove si prevede una ripresa dopo i leggeri cali degli ultimi due mesi che hanno visto peraltro un aumento percentuale della quota di mercato del gruppo. Attenzione e valorizza-
«Gli
Icon Wines sono la punta di diamante che tante aziende altoatesine hanno creato negli ultimi decenni. I primi sono usciti già dieci anni fa, per esempio con il “Primo” di Terlano o L’ “Appius” di Hans Terzer. Adesso tante altre aziende li stanno producendo, un vino di punta che offre il meglio possibile del nostro territorio. Al momento abbiamo circa una ventina di Icon Wines in tutto l'Alto Adige, ma ogni anno se ne aggiunge qualcuno in più» spiega Andreas Kofler, presidente del Consorzio Vini Alto Adige.». cod 104577
zione delle Doc storiche e nuove iniziative per sostenere lo sviluppo di nicchie di mercato strategiche come il metodo classico Kettmeir prodotto in Alto Adige e il Pinot nero che offre molte prospettive di sviluppo per la leggerezza e il basso livello di alcool.
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Il Vinitaly 2024 ha visto protagoniste alcune tra le più rinomate aziende vinicole toscane, ognuna con la propria storia, innovazioni e tradizioni da condividere. Da Folonari (il nuovo Selvante, bianchi e rosati per l'estate) a Carpineto, passando per Castelfalfi (tanta attenzione al packaging con le nuove linee) fino al consorzio di tutela del vino Montecucco (che punta sempre di più sulla certificazione biologica), l'evento ha offerto uno spaccato appassionante del panorama vitivinicolo della regione.
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VINI ALTO ADIGE: ANNATA 2023 TRA "ICON WINES" E SOSTENIBILITÀL'azienda vitivinicola Muratori, situata nella rinomata regione vinicola del Franciacorta, in occasione di Vinitaly ha presentato il recente rinnovamento guidato dalla terza generazione della famiglia. Questa nuova fase è stata caratterizzata da un restyling dell'etichetta dei loro vini, mirando a un design più pulito ed elegante, e da un'evoluzione nella qualità del prodotto, grazie alla consulenza esperta del dottor Riccardo Cotarella e di Pier Paolo Chiasso.
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Exubera si sprigiona come un riff di basso all’apertura della bottiglia e si scatena con tutta la sua forza
Un vino che nasce in collina, ma cresce nel mare. È questo il progetto speciale che la Cantina Paololeo ha voluto portare al Vinitaly. “Mormora”, questo il nome scelto per questo metodo classico realizzato con Verdeca e che rimarrà a riposare a 30 metri sotto il livello del mare ancora fino a giugno. Anche se non è ancora terminato il periodo di affinamento, la rassegna di Verona è utile per fare un primo bilancio di questa sperimentazione.
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mentre il Sagrantino, color rubino intenso, gira nel bicchiere.
«È un Sagrantino in purezza, il vino più espressivo dell’Umbria con una grande potenza tannica che ci siamo impegnati a domare. Pur viaggiando su quelle note - racconta Giampaolo Farchioni -, abbiamo deciso di fare qualcosa di meno verticale e più orizzontale per permettere alle persone di conoscerci e anche per renderlo più gradevole, meno ruvido ed anche ad un pubblico femminile».
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Sli parte dal lago di Gardo con le novità di Tinazzi e nello specifico un nuovo Garda Bianco Doc, fresco e beverino che ben si accompagna al Chiaretto sempre prodotto a Lazise o perché no al nuovo rosato prodotto nella tenuta pugliese della famiglia. E poi Pasqua che con l'installazione immersiva "Onirica" ha voluto celebrare il premio "Innovator of the Year" di Wine Enthusiast, senza dimenticare la terza iterazione del bianco "Hey French you could have made this but you didn't".
Collis Heritage che si presenta in una veste nuova derivata dalla fusione tra Cantine Riondo e Casa Vinicola Sartori 1898.
O Ancora il Cercastelle di Elèva, un taglio "quasi" bordolese in cui il Cabernet è sostituito dall'Oseleta, tipica della Valpolicella.
Proseguiamo in questo viaggio verso oriente per seguire le novità della linea Terre di Plovia di Albino Armani, due autoctoni che danno il nome anche alle nuove etichette: Sciaglin e Ucelut, due varietà ancestrali.
Per poi finire con i 60 anni di Livon, storica cantina del Collio, celebrati con il lancio di annate storica in grande formato (dai 3 ai 9 litri) di Braide Alte. cod 104792
MURATORI: LA TERZA GENERAZIONE GUIDA IL RINNOVAMENTO DELLA CANTINA EXUBERA, IL SAGRANTINO FUORI DAGLI SCHEMI DI TERRE DELLA CUSTODIATra le novità delle aziende produttrici di spirits presenti al Vinitaly, Domenis1898 ha presentato due nuove varietà di grappa, la Futura Barrique e la Grappa 353, pensate rispettivamente per appassionati e neofiti del mondo della grappa. La Distilleria Roner ha collaborato con la birreria Forst per creare il Ter Lignum, un whisky unico caratterizzato dall'utilizzo di tre diversi legni nella botte. ale. Mavolo ha ampliato il proprio catalogo con una vasta gamma di spiriti, soft drink e liquori di alta qualità, senza dimenticare la crescente richiesta di bevande senza alcol. Antica Distilleria Petrone ha presentato nuove creazioni per la linea Alchimisti Reali, tra l'Amaro Esoterico, e anticipato la seconda emwersione della cantina sottomarina di Elixir Falernum, confermando l'impegno dell'azienda nella ricerca di prodotti unici e di alta qualità. cod 104791
Cantina Santadi festeggia i oltre a puntare sempre più sull'accoglienza in cantina e in vigna, pubblica il libro "Terroir Sulcis", curato da Andrea Cappelli e che racconta oltre sessant'anni di storia della cantina, ma anche tutto il territorio del Basso Sulcis e declinato in senso ampio, attraverso l'archeologia, la storia, la natura, le tradizioni, le eccellenze
Un territorio di eccellenze quello della Calbria, paritamo con Ippolito 1845 e il suo Rivadiva, Banc De Blancs da uve Greco Bianco e Pecorello. Pecorello che non poteva mancare anche in purezza. Oltre a questo la collaborazione con Frelly per una limited edition il cui ricavato andrà a finianziare il restauro della fontana del Principe a Cirò. Cantine Benvenuto presenta il Bianco di Falco, zibibbo vinificato secco. Terre di Balbia con il suo rosato Ligrezza da uve Gaglioppo e Fervore da uve Magliocco.
Concludiamo con Cantine Viola e il Moscato di Saracena, un vitigno unico al mondo con una lavorazione altrettanto unica e affascinante. Dopo una lunga e lenta fermentazione si ha un passito color giallo ambra con riflessi aurei, dall’aroma intenso e dal sapore di miele, fichi secchi, frutta esotica. cod 104797
enogastronomiche e artigianali. E poi Ferruccio Deiana con i suoi passiti, tra cui il Girò (un rosso), la Malvasia di Cagliari o il Oirad Isola dei Nuraghi Igt.
Nuovi Poderi amplia la sua gamma con il Fadas, un nuovo rosato da uve Syrah, inusuale per l'isola ma in linea con l'idea della cantina di sperimentare nuovi approcci. cod 104800
Un Vinitaly speciale per Michela Marenco (e la sua cantina) che ha ricevuto il “Premio Angelo Betti 2024” conferito a coloro che hanno contribuito significativamente alla promozione e alla valorizzazione della cultura vitivinicola nella propria regione. Pico Maccario presenta due novità che vanno ad arrichire la gamma, un Langhe Nebbiolo e un Langhe Arneis Bianco, prosegue poi l'iniziativa dei pali matita per delimitare i vigneti che si sono tradotti negli esclusivi pack da collezione delle singole bottiglie.
E per finire con Infiore della cantina Col dei Venti, un metodo Martinotti da uve Cortese, Chardonnay e Pinot nero, fresco ed estivo e dalla facile beva. Senza dimenticare le pregevoli etichette artistiche realizzate dalla titolare Ornella Cordara. cod 104798
Quando la montagna incontra il mare si crea un legame di eleganza e raffinatezza unico, perfetto per poter vivere al meglio la convivialità della tavola. Ed è così che la tagliata di tonno marinata, realizzata dall’executive chef Stefano Goller, incontra l’armonia delle bollicine di montagna Trentodoc di Cantina Rotari.
Dalla selezione dei più vocati vigneti coltivati a nord di Trento nasce AlpeRegis Brut, espressione del raffinato Chardonnay di montagna che si caratterizza per gentilezza, equilibrio e
fragranza aromatica. Fresco ed elegante, AlpeRegis Brut è Trentodoc Millesimato che si esprime nel calice con un suadente color giallo paglierino dalle sfumature rosate e aromi fini che spaziano dalla frutta gialla matura con richiami floreali e agrumate, alla crosta di pane e accenni di frutta secca.
Al palato, la maturazione sui lieviti ormai superiore ai 48 mesi genera un sorso cremoso e vellutato che offre un piacevole equilibrio tra struttura, acidità e freschezza minerale. AlpeRegis Brut saprà esaltare a pieno le caratteristiche della tagliata di tonno donando
La tagliata di tonno marinata in salsa di soia preparata dallo chef Stefano Goller si sposa alla perfezione con il piacevole equilibrio tra struttura, acidità e freschezza dell'AlpeRegis Brut Millesimato di Rotari
un palato fresco, pulito e di enorme piacevolezza.
Il nome “AlpeRegis” evoca la figura regale di Rotari ed un forte richiamo al territorio alpino, aromi e profumi inconfondibili raccontano una regione, i suoi frutti e un metodo di produzione antico e rinomato, oggi conosciuto come metodo classico Trentodoc.
La passione dei viticoltori e il duro lavoro in vigna creano le condizioni ideali per ottenere uve qualitativamente eccellenti da destinare ad un Millesimato AlpeRegis Trentodoc. Ogni etichetta racconta una sfumatura del territorio montano trentino, la vocazione di una vigna e la passione dei numerosi soci contadini che contribuiscono anno dopo anno a consolidare l’identità e l’eredità enologica della grande famiglia chiamata Rotari.
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Trentodoc millesimato ottenuto da una selezione di uve Chardonnay raccolte nei vigneti di montagna a nord di Trento. Presenta un colore giallo tenue con sfumature paglierine molto delicate e un perlage molto fine. Al naso seduce con le sue note varietali di frutta matura, mela golden e ananas. Raffinate note fruttate e aromi di crosta di pane, completano infine il suo importante bouquet aromatico.
Fragrante ed equilibrato, offre uno stile asciutto e minerale tipicamente alpino. Il suo finale è lungo e persistente, esaltato da note di frutta secca, come noci e nocciole.
Ricetta dell’executive chef, presidente dell’Associazione Cuochi Trentini, Stefano Goller
Ingredienti (per 4 persone): Filetto di tonno g 600, misticanza di insalatine croccanti g 160, pistacchi g 60, dressing allo yogurt e miele, salsa di soia g 50, olio extra vergine d’oliva q.b. Sale e pepe di macinino q.b.
Per il dressing allo yogurt e miele: yogurt naturale g 70, miele g 20, succo di limone g 10, olio extra vergine d’oliva q.b., sale e pepe di macinino q.b.
Per prima cosa mettete a marinare il tonno con la salsa di soia
ciotola lo yogurt naturale, il miele, il succo di limone e del sale e pepe di macinino, frustate e aggiungete a filo dell’olio extra vergine d’oliva. Emulsionate il tutto.
Togliete il tonno dalla marinatura e adagiatelo nella granella di pistacchi da entrambi i lati, pressando per farla aderire.
Preriscaldate un saltiere antiaderente, aggiungete un filo di olio Evo e adagiate il tonno cuocendolo due minuti per lato. Ponetelo quindi sul tagliere, facendolo riposare un paio di minuti prima di tagliarlo.
Disponete le insalatine croccanti nel piatto prescelto e conditele con il dressing preparato. Scaloppate il tonno e adagiatelo so
Il Consorzio Barbera d'Asti e Vini del Monferrato è il cuore pulsante di una terra proclamata Patrimonio dell'Umanità Unesco, rappresentando un punto di riferimento imprescindibile per una catena produttiva vinicola che esprime, tramite i suoi prodotti, la storia e il valore di un territorio senza pari. Il Consorzio ad oggi protegge e promuove 13 prestigiose denominazioni (4 Docg e 9 Doc). Tra queste il Nizza Docg e Albugnano Doc “549” rappresentano due gemme enologiche indiscusse di questo territorio.
Queste due denominazioni sono il frutto di una perfetta alchimia tra varietà di uva selezionate, terroir unici e la sapienza di generazioni di viticoltori. Due vini che, pur nascendo da terreni e clima simili, svelano personalità distinte, raccontando storie di passione, dedizione e innovazione.
Il Nizza Docg rappresenta l'espressione più elevata e pura della Barbera, vitigno regale che in questo territorio trova la sua massima espressio -
ne. La zona di produzione del Nizza Docg, riconosciuta nel 2014, si estende attraverso 18 comuni, ognuno contribuendo con le proprie peculiarità alla creazione di un vino di eccellenza. Da Agliano Terme a Vinchio, passando per il cuore di Nizza Monferrato, ogni angolo di questa terra è permeato di una storia vinicola che si intreccia con la cultura e le tradizioni locali. Il Nizza Docg si distingue per il suo colore rubino profondo, i suoi profumi intensi e complessi, che spaziano dalle note fruttate a quelle speziate e al gusto caratterizzato da importante struttura tannica che promette un notevole potenziale di invecchiamento. Questo vino è l'espressione più autentica del terroir di Nizza, storicamente conosciuto per i terreni vocati per le produzioni di grandi vini che, grazie alle sue specifiche condizioni pedoclimatiche, permette al vitigno Barbera di esprimere le sue migliori potenzialità.
Alla periferia dell'antico Marchesato del Monferrato, in una zona di colline dove l'area astigiana si estende fino
ai confini della provincia di Torino, si è formata l'Associazione Albugnano 549 con l'obiettivo di rafforzare e valorizzare le peculiarità enologiche, storiche, culturali e naturalistiche della regione.
Il 5 aprile 2017, grazie all'impulso di nove viticoltori del comune di Albugnano, situato a un'altitudine di 549 metri, è stata infatti fondata l'Associazione Albugnano 549, che oggi conta 15 produttori nei quattro comuni della Doc (Albugnano, Pino d'Asti, Castelnuovo Don Bosco e Passerano Marmorito).
Il Nebbiolo, vitigno capace di differenziarsi qui rispetto ad altre denominazioni, beneficia dell'altitudine superiore, risultando equilibrato, con tannini vigorosi e un corpo ben bilanciato. Il lungo affinamento in botte e in bottiglia permette all'Albugnano Doc di sviluppare un bouquet che va dalle note di ciliegia sotto spirito, a sensazioni eteree e note di tabacco. Servito a 18°C in un bicchiere ampio si abbina alla cucina piemontese, esaltando piatti come la pasta fresca con sughi di carne, carni rosse, selvaggina, formaggi stagionati e tartufo. cod 104271
Per informazioni:
www.viniastimonferrato.it
Eros
l Fiano è un vitigno che per secoli ha contrapposto gli ampelografi in lunghe diatribe sulla sua origine. Tra le tesi più accreditate quella che il nome risalga a un toponimo. Si suppone che siano stati i coloni pelasgici, provenienti dal Peloponneso, l’antica Apia, a portare in Campania un vitigno che poi prenderà il nome di vite apiana, discendente del Fiano, menzionato per la prima volta intorno alla metà del XIII secolo nel registro acquisti della corte dell’imperatore Federico II, e non molto dopo in un’ordinanza del re di Sicilia Carlo II d’Angiò, che ordina di reperire 16.000 viti di Fiano da inviare a Manfredonia per impiantare la vigna del re. cod 104497
MASTROBERARDINO 1
Varietà: 100% Fiano
Forma di allevamento: Guyot
Prezzo medio: € 37-76
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La riserva Stiléma rappresenta un vino di riferimento, punto di arrivo e di partenza. Si origina nelle tenute di Montefalcione e Manocalzati su terreni dalle peculiarità differenti, il primo è sabbioso, sciolto, di matrice vulcanica, il secondo calcareo-argilloso.
La raccolta manuale, avviene a metà ottobre, la vinificazione in acciaio a temperatura controllata, a cui seguirà l’affinamento su fecce integrali per circa 24 mesi, 12 mesi di maturazione in legno per il 10% del prodotto e 18 mesi di sosta in bottiglia. Già al naso se ne percepisce la grandezza e se ne intuisce la longevità, complesso, fine, ampio, con sentori di nocciola tostata, pera abate, agrumi, idrocarburi, erbe aromatiche. Al palato concentrazione e struttura, un bell’equilibrio tra parte aromatica e intensità, fresco, croccante, persistente, mela granny, mandorla tostata, cedro, con delicate note minerali e iodate. In abbinamento: Sgombro affumicato, mela, rapa rossa, rafano e machetto di acciughe, ricetta di Giuseppe Ricchebuono del ristorante Vescovado di Noli, presente sulla guida TavoleDoc Liguria.
Varietà: 100% Fiano
Forma di allevamento: Guyot
Prezzo medio: € 13 / 20
Una storia che racconta di un territorio e di un desiderio di due fratelli di proseguire sulle orme dei genitori, pur aprendosi a nuovi percorsi, grazie alla collaborazione instaurata da una decina d’anni con l’enologo Riccardo Cotarella. 12 ettari vitati, a 700 metri sul livello del mare, dove produrre i vitigni autoctoni Aglianico, Fiano, Greco di Tufo, Falanghina, Taurasi. L’assaggio si è focalizzato sul Fiano di Avellino Docg Lessenza, una delle etichette che meglio ne incarnano la filosofia. Un Fiano che al naso colpisce per finezza olfattiva e profilo aromatico, con sentori di pesca, albicocca, mela gala, pera passacrassana, mango, litchi, bergamotto, timo, camomilla. Al palato arrivano subito freschezza, morbidezza, acidità, seguiti da note minerali, accenni balsamici e fiori, per un sorso snello, persistente, lungo. In abbinamento: Capasanta, pesca, portulaca e cipria di barbabietola, ricetta di Emanuele Donalisio del ristorante Il giardino del gusto di Ventimiglia, presente sulla guida TavoleDoc Liguria
Varietà: 100% Fiano
Forma di allevamento: Guyot
Prezzo medio: € 24 / 36
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Il Pian di Stio è un Fiano biologico d’altitudine che si rivela particolarmente interessante, grazie alle piccole parcelle selezionate del vigneto di Stio a 650 m. La vendemmia manuale avviene in piccole cassette e una volta selezionate le uve ed effettuata la pressatura soffice, iniziano sei ore di criomacerazione, a cui seguiranno 6 mesi in acciaio sulle fecce fini, fino alla messa in bottiglia. Al naso aromi freschi, ricchi, intensi, con lievi note iodate e floreali, di elicriso, salvia, rosmarino, che ricordano la macchia mediterranea. Il sorso profondo, nitido, elegante, scorrevole, persistente, si apre sapido, minerale e fresco, con una struttura fine che caratterizza un vino ottimo da bere ora, ma che lascia presagire un notevole potenziale d’invecchiamento.
In abbinamento: Mazzancolle al vapore con finocchio e salsa agli agrumi ricetta di Paolo Alberelli del ristorante DOC di Borgo Verezzi, presente sulla guida TavoleDoc Liguria
5 Hats, assieme ad Italia a Tavola, scoverà le Maestrie italiane del food&beverage interagendo con trasformatori, produttori o tecnici del settore accostandoli e miscelandoli come in un affascinante drink in pairing con arte, architettura, cinematografia, teatro, fotografia, pittura e molto molto altro.
I MAESTRI RACCONTANO...Il momento delicato che il settore food&beverage sta attraversando in termini di export mi ha portato a fare una conversazione aperta con il mio socio Andrea Pilotti che da decenni è nel mondo delle vendite internazionali e per me è sempre una fonte di ispirazione. Mangiare dati per orientare la strategia del team ed i mercati per le aziende produttive che supportiamo e vendiamo è per Pilotti un mindset quotidiano e non potevo che riportare le preziose analisi a servizio di tutti quelli che si stanno chiedendo
come imbastire i nuovi approcci commerciali in un momento come questo.
Partiamo con una domanda secca? Il mondo del vino italiano è davvero in crisi di vendite?
No, è una crisi di idee e lo spiego con i numeri. Secondo l’Oiv (Organizzazione internazionale della vigna e del vino) nel 2022 il mondo ha consumato 24 miliardi di litro di vino e nel 2023 l’Italia ha venduto nel mondo poco più di 2 miliardi di litri di vino. Quindi da un’operazione matematica si evince che vendiamo meno del 10% del volume mondiale dei consumi. Motivo per cui sostengo con forza che manca la capacità dei produttori italiani di vendere all’estero per prendersi il restante
90% in mano agli altri. Se poi parliamo di Dop Economy includendo le altre categorie merceologiche, il mercato mondiale potrebbe portare nelle casse dei produttori nazionali cento miliardi di euro l’anno perché questo è il valore delle richieste invendute.
Quindi mi stai dicendo che indipendentemente dalle mode del vino che stanno “modificando” i consumi mondiali e i vari focolai di crisi economiche sparse qui e là nel mondo, il problema è altrove?
Sì, esatto. Io da quando sono nel commercio e nel marketing strategico (circa 40 anni) ho imparato bene che le crisi sono opportunità ben mascherate e che le situazioni di stallo nei mercati
sono veicoli di crescita esponenziale. I più grandi successi commerciali li ho ottenuti nelle crisi da quelle degli anni 90 in poi. L’importante è affrontarle con le idee innovative senza rimanere ancorati al solito modo di agire.
Stai riscontrando che oggi i produttori nazionali abbiano poche idee innovative?
Non dico che non hanno idee innovative in assoluto ma di sicuro per quanto riguarda il modello di vendita, almeno quello internazionale che è quello in cui agiamo noi. Quindi sì certo. Anzi c’è di più, vedo il deserto e la povertà di idee in senso assoluto.
Puoi spiegare meglio per cortesia?
Quando chiediamo ai produttori quale sia la loro strategia per la vendita internazionale la risposta è composta così: 50% dice il mio prodotto è la strategia; 20% faccio le promozioni omaggiando prodotti e faccio sconti se mi comprano tanto, 20% io faccio prodotti e quando li vendo sono gli altri che devono pensare a come vendere, non è un problema mio. Quindi la metà
aziende produttrici di vino e tantissime di loro fanno un buon prodotto; quindi, è una strategia che non serve a farti emergere ma a diventare uno qualunque. Il 20% di loro pensano solo a caricare di prodotti l’importatore il più possibile dandogli merce in omaggio o abbassano i prezzi ma non fanno nulla per supportare l’imprenditore estero a far ruotare il prodotto giacente nel magazzino dell’importatore. L’altro 20% addirittura non si fa nemmeno carico del pensiero di come vada venduto il vino una volta che esce dalla porta della cantina. Quindi nessuna strategia, nessun controllo, nessuna crescita.
Stai affermando che i produttori non hanno idee perché non sentono il bisogno di trovare idee?
Esatto. Il produttore produce senza tener conto delle problematiche di chi compra e vende il suo prodotto. Questo è il motivo per cui sentiamo tantissimi produttori che ci dicono: avevo un importatore in tal paese ma poi è sparito e non compra più. Eppure, non si fermano a domandarsi il perché, passano
che non vendiamo un prodotto sono soldi persi. Il mondo del consumismo ci ha fatto capire molto bene da decenni che più si investe in promozione più si vende come è vero il suo contrario.
Ma molte aziende indicano i buyer come problematica perché spesso spariscono.
Ottima riflessione, e a noi che abbiamo l’opportunità quotidiana di confrontarci con loro indicano anche le motivazioni. La prima indicazione che ci riferiscono è che loro amano i prodotti italiani ma che non vogliono avere a che fare con produttori italiani. E quantd chiediamo loro perché, la risposta di getto è: troppo difficile non capiscono.
Questo è il motivo per cui le fiere non funzionano più?
No, non è corretto questo pensiero. Ciò che va variato è il motivo e la modalità con cui si fanno le fiere. Prendiamo il Vinitaly. Sicuramente tutti si sono fatti due conti di quale sia il costo complessivo per ogni nominativo raccolto che produce nel tempo degli acquisti. Ad esempio, secondo le statistiche lo scorso anno è stato di circa 7.500 euro calcolato su un’azienda con uno stand minimo ed un personale ridotto all’osso. Un costo molto alto se lo si fa solo con questo obiettivo.
Tutte queste informazioni possono essere destabilizzanti, hai delle soluzioni pratiche al riguardo?
Le soluzioni ci sono, ma non stiamo parlando di singoli professionisti o aziende, anche se esistono alcune realtà molto preparate. Poche ma ci sono. Qui va fatto un cambiamento di sistema e sarà un processo lungo che dovrà coinvolgere migliaia di player. Per ora sarebbe sufficiente avviare il nuovo corso anche con poche unità e poi fare da apripista per l’intero settore. Quindi: serenità e strategia. cod 104409
Ldi Giuseppe De Biasi
a presenza al Printemps des Arts di Monte-Carlo di uno dei più grandi chef al mondo come Yannick Alléno, un mito della cucina francese con il suo parigino Pavillon Ledoyen, struttura indipendente più stellata al mondo, ci consente in questo spazio una digressione fra le assonanze rituali di cibo, vino e musica. Affinità che hanno visto dialogare, nella meravigliosa cornice della Salle Belle Époque dell’Hôtel Hermitage di Monte-Carlo, il 55enne maestro francese con il virtuoso violino di David Haroutunian.
Fra percezioni gustative e sonore la performance a quattro mani ha rappresentato uno dei tanti eventi originali, assemblati dall’esperto direttore
artistico Bruno Mantovani, per festeggiare, dal 13 marzo al 4 aprile, il quarantennale del Printemps des Arts.
Nel weekend di apertura, visto il tema scelto quest’anno, il rapporto fra uomo e natura, evidenziato fin dal titolo “Chants de la Terre”, si è potuto assistere al poetico sogno ecologico del film di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, Le Sel de la Ter re, seguito da momenti artistici che hanno invitato, per dirla con le parole della principessa Caro line di Monaco, “…a percepire ciò che è prezioso, raro, fragile nel mondo che ci circonda”.
il cartellone ha spaziato fra generi, epoche musicali e multidisciplinarietà artisti ca spostandosi nei luoghi più suggestivi del Princi pato.
Sempre all’insegna di un’idea innovativa. Come quella che ha associato l’Ensemble Gilles Binchois e il sassofono contemporaneo di Sandro Compagnon dialogare fra le Sequenze di Luciano Berio e il Requiem del maestro più rappresentativo della scuola rinascimentale fiamminga, Johannes Okeghem. O come la prima mondiale di Opéra di Sophie Lacaze, partitura da camera ispirata alla cultura aborigena australiana con riflessioni sull’incerto destino ecologico del nostro pianeta, con Bruno Mantovani nel ruolo di direttore d’orchestra dell’Ensemble Orchestral Contemporain. Insomma, un degno quarantennale da festeggiare, per rimanere in tema monegasco, magari con un leggiadro Rosé Côtes de Provence Baron de Monte-Carlo, griffe enologica di Christian Louis de Massy, figlio della principessa Antoniette di Monaco. cod 104301
Un trittico d’autore, i tre vini prodotti dalla Tenuta Carretta di Piobesi d’Alba (Cn), che portano in etichetta altrettante illustrazioni di Rosetta Avalle, pittrice e scultrice, figlia dello stesso territorio da cui provengono i vini. Rosetta fu docente negli istituti albesi e apprezzata scultrice: suo è il bronzo del Monumento al Donatore in piazza Medford ad Alba (Cn).
Un tratto sempre riconoscibile che regala uno sguardo unico e originale sull’essenza femminile, alla ricerca della sua rappresentazione in corpi rotondi e materni o spigolosi e austeri, attraverso forma e colore, volumi e ombre.
I tre vini per ricordare l’amicizia che legava l’artista a Ivana Brignolo Miroglio, presidente di Tenuta Carretta e delegata delle Donne del vino del Piemonte, sono: Alteno della Fontana Roero
Arneis Riserva, Campofranco
Langhe Riesling doc; Cuvée San Rocco Nebbiolo d’Alba spumante doc Rosé, metodo Classico da uve nebbiolo in purezza. cod 104302
di Gianni Paternò
Dalla fine dell’800 la famiglia Caruso produceva vino a Mar sala (Tp) da vigne poste nelle colline di Salemi. La svolta si ebbe alla fine del secolo scor so quando Stefano Caruso si allea con Mario Minini che si occupa della commercializ zazione. Oggi i vigneti sono 120 ha, coltivati in biologico; Stefano, agronomo, si oc cupa della produzione coadiuvato da bravi tecnici dalla vigna alla cantina, i tre figli lo af fiancano nel resto.
Nel tempo, per au mentare la qualità di minuendo la produzio ne, le bottiglie si sono ridotte ad 800 mila all’anno che per oltre il 70% vanno all’estero.
I vitigni: Nero d’A vola, Grillo, Catarratto, Syrah, Perricone, Frap pato con una selezione ed una zonazione spe rimentata in collabora zione con l’Università di Palermo che ha com preso anche l’utilizzo di lieviti indigeni.
Nella provincia di Trapani, dove
la maggioranza di vigne sono a quote molto basse, le viti di Caruso & Minini crescono fino ai 450 m favorendo la qualità complessiva implementata dalle escursioni termiche notturne. Delle molte etichette degustiamo il Cutaja 2018 Nero d’Avola Riserva
Il nome deriva dai “cuti”, termine siciliano che significa sassi in quanto ne è molto ricco il vigneto. Viti a spalliera bassa di 30 anni, selezione dei grappoli, un anno in acciaio, 2 anni in tonneau, stabilizzazione tartarica a freddo per preservare i profumi, leggerissima filtrazione.
Nel calice colore rubino scuro, un naso complesso, ricco, fruttato anche in confettura, poco vegetale, speziato, balsamico, intenso, franco, spettacolare; al palato spicca l’armonia con tannini morbidi, vibrante acidità, lunga fragranza; vino da apprezzare dove c’è carne e da gustare da solo in salotto.
Cdi Guido Ricciarelli
accia al Piano è immersa nell’incantevole territorio di Bolgheri (Li), dove la perfetta combinazione di microclima mediterraneo e terreni argillo-calcarei crea il terroir ideale per grandi vini. Lungo la suggestiva Via Bolgherese, che corre tra vigneti e ulivi, nel 2003, l’enologo Franco Ziliani iniziò una nuova avventura che oggi i figli Cristina, Arturo e Paolo portano avanti con la stessa passione.
Si parte dal CaP Rosé 2021. Sboccatura marzo 2023. Inedita e sorprendente versione spumantistica da uve Syrah e Merlot, ma da un esperto in materia come Franco
Ziliani (ricordiamo che è alla guida della Guido Berlucchi & C. , azienda leader in Franciacorta), potevamo anche aspettarcelo. Pressatura soffice delle uve intere. Vinificazione in acciaio e successiva rifermentazione in bottiglia e maturazione di 10 mesi a stretto contatto con i lieviti. Primo Metodo Classico prodotto nella zona, fonde la aromaticità del Syrah alla struttura e morbidezza del Merlot. Lievi ma presenti note di sottobosco, spezie, ciliegie e un tocco balsamico. Finale saporito e di grande bevibilità.
Il Bolgheri Bianco Lungocosta 2021 deriva da uve Vermentino e Sauvignon Blanc. Fermentazione in acciaio e affinamento in barrique e botti da 10 hl per circa 12 mesi. Almeno 3 mesi di ulteriore affinamento
in bottiglia. Evidenzia un ventaglio di avvolgenti profumi fruttati (pesca e pompelmo), floreali (mentuccia) con note minerali sorrette da una piacevole freschezza. Acidità ben inserita e finale sapido in bella continuità.
Il Bolgheri Rosso Ruit Hora 2021 è composto principalmente da uve Merlot alle quali si aggiungono Cabernet Sauvignon, Syrah e Petit Verdot, tutti provenienti dai vari cru aziendali. Fermentazioni in acciaio, affinamento in barrique e botti da 35/50 hl per circa 16 mesi. Almeno 6 mesi di ulteriore affinamento in bottiglia. Etereo, avvolgente, leggermente balsamico, con note di potpourri, lampone, mirtillo, cassis, ciliegia scura e nuances speziate di pepe. La piacevolezza immediata lascia aperta la
strada per un finale lungo e saporito.
In alto i calici infine per il Bolgheri Superiore Caccia al Piano 2020. Blend di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc da una attenta e minuziosa selezione delle migliori uve della vigna di San Biagio, il cru più importante della Tenuta. Fermentazione in acciaio , affinamento in barrique per oltre 20 mesi. Almeno 6 mesi di ulteriore affinamento in bottiglia. Il bouquet è balsamico e speziato con note di macchia mediterranea e confettura di frutti rossi in evidenza. Bocca di bella consistenza con ottima componente acida che porta tannini succosi. Finale fruttato, elegante e molto, molto persistente.
cod 104452
ANTINORI, 50 ANNI DI TIGNANELLO E UN REGALO PER FIRENZE: IL RESTAURO DI PONTE VECCHIO
MONTINA, QUANDO IL FRANCIACORTA È A REGOLA D'ARTE E SPOSA IL DESIGN
La cantina di Monticelli Brusati (Bs) rivede l'immagine delle etichette per valorizzare le sue bollicine di alta qualità frutto del lavoro della famiglia Bozza. Nuovo logo dopo un accurato lavoro di ricerca artistica. Torna, stilizzata, la tiara papale (Papa Montini) affiancata dai leoni simbolo di Brescia. Una scelta grafica per ricordare il profondo legame con il territorio dove nasce il Franciacorta.
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Il 2024 rappresenta un anno speciale per la famiglia Antinori che celebra i 50 anni di Tignanello, lo storico supertuscan conosciuto in tutto il mondo e ambasciatore dell'artigianato produttivo vitivinicolo made in Italy e ancor più del made in Tuscany. In una conferenza stampa alla presenza del sindaco di Firenze, Dario Nardella, la famiglia Antinori al completo ha annunciato di partecipare al restauro conservativo di uno dei monumenti simbolo della città, Ponte Vecchio. In particolare la famiglia Antinori si occuperà del progetto più ampio del restauro, sostenendo la parte relativa ai prospetti del ponte. I lavori interesseranno il restauro dei materiali originari di tutti gli elementi presenti quali armille, prospetti, arcate, pile, spalle, muri d’ala, pavimentazione e i parapetti nelle due piazzette centrali, al fine di garantirne la loro conservazione nel tempo. cod 104513
RUFFINO 1877 ALLA MILANO DESIGN WEEK CON IL FINE WINE “RISERVA DUCALE ORO”
Oro Obsessed Party ha animato la notte milanese di martedì 16 aprile per festeggiare la presenza di Ruffino alla Milano Design Week. E, così, «Ruffino sta scrivendo una nuova emozionante pagina della sua storia, che eleva il sogno imprenditoriale e l'approccio pioneristico dei nostri fondatori nel 1877 e che si ispira all'iconico design italiano e alla bellezza che questo riesce a evocare - ha evidenziato Sandro Sartor, presidente e amministratore delegato di Ruffino - . Il protagonista di questa evoluzione, oggi come allora, è Riserva Ducale Oro, attorno al quale è stata sviluppata, la nuova campagna di comunicazione globale “An Instant Connection” e questa meravigliosa mostra ORObyRUFFINO». cod 103531
«A
bbiamo riflettuto e ad oggi non esiste una tecnica che consenta di mantenere i nostri livelli di qualità diminuendo l'alcol in modo significativo». A dirlo è il presidente della Maison Manuel Reman , a margine della presentazione de “Les Créations de 2011” tenutasi a “Le Cattedrali by Laqua Collection” nell'Astigiano, impreziosito dal Ristorante “Cannavacciuolo - Le Cattedrali”.
cod 104312
Dalla tradizionale “prima” di San Valentino, all'8 di aprile. Per la nuova annata del rosé della Valtènesi, Riviera bresciana del Garda, è stato un cambio di data (e di passo) per consentire al rosato di crescere e maturare in tempi adeguati. «Abbiamo avuto modo di affinare l'annata - dice il presidente del Consorzio, Paolo Pasini - dopo una vendemmia a fasi alterne. L'annata 2023 è stata piuttosto fresca e quindi i vini si sono rivelati meno pronti rispetto al passato; ecco perché abbiamo posticipato di quasi due mesi la presentazione agli addetti al settore, ai ristoratori e alla stampa».
CRESCE IL PINOT GRIGIO
DELLE VENEZIE DOC: ECCO
LE STRATEGIE PER IL FUTURO
Dal museo della Mille Miglia di Brescia, alla sempre accogliente - con magnifica vista lago - Villa Galnica di Puegnago (Bs), sede del Consorzio. Una quarantina di cantine hanno messo in vetrina il meglio della produzione. «Rosé (o chiaretti, che dir si voglia) essenziali, straordinariamente fini - rimarca ancora Pasini - che riescono a raccontare la succosità delle uve delle nostre colline. Vini (a latere, magnifico il Groppello) che si contraddistinguono per una grande quantità di sapori su una struttura molto sottile, che garantisce piacevolezza al palato, freschezza, digeribilità e stuzzicano la voglia di divertirsi, in particolare nella stagione estiva». cod 104446
Il 2023 è stato un anno difficile per tutti, viticoltori, distributori e consumatori: in controtendenza alcuni vini italiani, come il Pinot Grigio, mostrano ancora un trend positivo. È quanto emerso nel corso della conferenza stampa di presentazione del quadro economico in campo enologico organizzata a Milano, al prestigioso hotel Hilton, dal Consorzio Doc delle Venezie.
«Dal 2017 ad oggi - ha dichiarato il presidente del Consorzio Doc delle Venezie Albino Armani - il balzo
Passaggio di testimone al femminile, da Gilda Fugazza a Francesca Seralvo, per la presidenza del Consorzio Oltrepò. La nomina da parte del consiglio di amministrazione è avvenuta all’unanimità, a conferma di come per il più importante comprensorio vincolo della Lombardia sia l’ora di una svolta epocale. La fine delle polemiche e il rientro di molte aziende che avevano abbandonato il Consorzio sono l’eredità che Fugazza passa a Seralvo che, per parte sua, potrà contare su un’unità di intenti e su una coesione che non c’era mai stata. cod 103919
in avanti è innegabile, al di là delle aspettative iniziali. I dati sono più che incoraggianti: ora come ora nel Triveneto si produce l'85% del Pinot Grigio italiano - e il 43% di quello globale - e si contano 25mila ettari vitati potenzialmente destinati alla Doc Delle Venezie, con una produzione di 240 milioni di bottiglie/anno. Evidentemente in Italia e all’estero si percepisce positivamente lo sforzo del Consorzio di far crescere la cultura del rispetto delle regole, che ci siamo dati noi stessi». cod 104400
Tra gli ultimi arrivati in casa Serena Wines
1881, Più Spritz The Deer è l’aperitivo in fusto “ready to drink”, pronto per essere servito. Presentato ufficialmente lo scorso febbraio, Più Spritz è un prodotto di tendenza che combina il piacere di una bevanda dalla moderata gradazione alcolica (8% vol.) ad aromi freschi e dissetanti di erbe officinali, spezie e agrumi.
Non solo, Più Spritz è l’alleato di ogni bartender, capace di sintonizzare le nuove esigenze di servizio con le rinnovate dinamiche di consumo, che richiedono una fruizione sempre più veloce ed economicamente accessibile, senza rinunciare alla qualità.
Disponibile in fusto da 20 litri, Più Spritz è una soluzione comoda, pratica e salvaspazio che si distingue per un gusto ed un profumo davvero unici. Una volta spilla-
ta, questa miscela di vino bianco, erbe aromatiche e agrumi in vero Italian style è pronta da bere con la semplice aggiunta di ghiaccio e di una fetta di arancia. The Deer è il giovane brand funky e hipster firmato Serena Wines 1881 pensato per chi ama la vita e ha sempre voglia di sorridere e divertirsi. Protagonista di ogni etichetta è il simpatico cervo Ross, sceso dal Cansiglio, un verde altopiano delle Prealpi settentrionali, tra Veneto e Friuli, per stabilirsi tra le morbide colline di Conegliano e trasformare in festa ogni occasione. Oltre a Più Spritz, la linea include il Prosecco Doc extra dry, il Prosecco Biologico ed una Cuvée extra dry.
Con sede a Conegliano (Tv), nel cuore del territorio del Prosecco, Serena Wines 1881 è un’azienda a conduzione familiare con una storia secolare, oggi guidata dalla quinta generazione Luca Serena e posizionata tra i colossi del panorama vitivinicolo di tutto il Veneto. Leader di mercato riconosciuta a livello internazionale, dopo oltre 140 anni di attività Serena Wines 1881 continua a mantenersi fedele ai suoi valori di riferimento, primi fra tutti il rispetto per il suo territorio d’origine ed una proposta enologica che valorizza la tradizione locale. cod 104292
Per rendere ottimali le prove d’assaggio del caffè, un adatto comfort ambientale è di primaria importanza. Marco Bazzara, Sensory project manager e Academy director della Bazzara Academy, ci spiega tutto quello che occorre all’interno di una perfetta sala assaggi e come farla diventare un vero e proprio “laboratorio dei sensi”.
«Nella sala assaggi è opportuno mantenere una temperatura costante intorno ai 20-25 °C, adatta alla concentrazione e favorevole alle percezioni. L’aria troppo secca riduce la percezione olfattiva ma anche un ambiente con un’umidità superiore all’80% può alterare la concentrazione dell’assaggiatore» spiega.
«Un’umidità relativa che va dal 50 al 70% circa è appropriata. Gli ambien-
ti adibiti alla valutazione del caffè vanno arieggiati (specialmente dopo le tostature di campionatura). Durante l’assaggio è bene avere una leggera ventilazione per migliorare il ricambio dell’aria. È di fondamentale importanza non confondere l’olfatto con odori estranei provenienti dall’esterno o da prodotti profumati, come ad esempio i detergenti per la pulizia degli arredi» prosegue.
«Inoltre, fonti di distrazione, come i rumori molesti, vanno ridotti al massimo. Un ambiente tranquillo con una soglia di accettabilità del rumore inferiore a 40 decibel e senza elementi di disturbo riveste un ruolo rilevante per l’assaggio».
«La classificazione dei campioni e l’osservazione della crema dell’espresso vengono effettuate in una sala con
una luminosità diffusa e uniforme, data preferibilmente dalla luce solare o da luci bianche di adeguata intensità. Nell’assaggio non va sottovalutata l’influenza dei colori delle pareti, del tavolo d’assaggio e degli arredi. Di norma, colori tenui e sobri per gli arredi e pareti con una tinta bianca e neutra, sono l’ideale; toni accesi o scuri possono falsare l’esame visivo del caffè. Naturalmente, lo spazio, le sedute e i piani di lavoro devono essere il più possibile comodi per una facile movimentazione dei campioni, delle tazze e del materiale utile nelle varie fasi. La sala deve essere fornita di tutte le attrezzature professionali, di strumenti e accessori disposti con criterio e calibrati per l’uso» conclude. �� cod 104300
Per informazioni: www.bazzara.it/formazione/
Come si crea una tazza di caffè equilibrata? Richiede abilità, conoscenza, esperienza e un pizzico di intuizione. L’acqua di rete è il punto di partenza per preparare un caffè delizioso, tuttavia, non esiste acqua chimicamente pura in natura. L’acqua è conosciuta come un solvente universale perché è in grado di dissolvere una vasta gamma di altre sostanze. Quando l’acqua delle precipitazioni filtra attraverso il terreno,
Quindi l’acqua che incontriamo nella nostra quotidianità (oceani, laghi, fiumi, falde acquifere e acqua del rubinetto, ecc.) contiene inevitabilmente una miscela di minerali e sostanze chimiche, e la sua composizione - e quindi le sue proprietà - varia da luogo a luogo.
Altre sostanze disciolte nell’acqua possono causare problemi tecnici alle macchine da caffè (ad esempio, lasciando depositi di calcare o di gesso) e appiattire o alterare i flavors del caffè preparato con acqua che li con-
Per realizzare una tazza di caffè impeccabile dal sapore armonico e bilanciato, è anche molto importante evitare alcune sostanze come il cloro e le sostanze organiche e regolare la mineralità dell’acqua, scegliendo un contenuto bilanciato dei sali “buoni”.
Quale è l’impatto principale dell’acqua su una buona estrazione?
Le principali interazioni sono:
• GUSTO, i diversi sali minerali contenuti in acqua giocano un ruolo fondamentale nel bilanciamento tra amarezza, acidità e dolcezza in tazza;
• MOUTHFEEL, la mineralità dell’acqua avrà un’influenza sull’astringenza o l’aftertaste del caffè. Anche le sostanze disinfettanti, come il cloro utilizzato per rendere l’acqua potabile, lavorano in ossidazione del caffè creando un mouthfeel poco piacevole;
• OLFATTO, sostanze organiche e disinfettanti impattano moltissimo sulla percezione aromatica.
Ecco perché la regola per una buona interazione è sempre bilanciare (i sali minerali) ed eliminare (cloro e composti organici). cod 100061
ffidabilità, competenza, preparazione ed esperienza sono nel Dna di Ros Forniture Alberghiere, attiva dal 1984 nella ricerca di articoli e attrezzature per alberghi, bar e ristoranti. Proprio quest’anno l’azienda con sede a Zanica, in provincia di Bergamo, festeggia i 40 anni di attività, trascorsi al fianco degli imprenditori del comparto ricettivo e alberghiero.
In quattro decenni la famiglia Pezzotta ha sempre offerto i migliori articoli e attrezzature con l’obiettivo di accogliere al meglio i commensali, dando la massima priorità agli aspetti legati alla sicurezza, emersi in maniera importante durante la pandemia. L’emergenza sanitaria ha avuto un impatto importante nel settore della ristorazione e l’esperienza vissuta ha portato tutte le strutture ad avere un’attenzione specifica alla sanificazione degli strumenti di lavoro, ma anche allo stoccaggio e al trasporto degli alimenti.
Il settore si è dimostrato resiliente e decisamente vivace, tanto che Ros ha proseguito la sua crescita e oggi conta una trentina di dipendenti. Nel contempo Ros è sempre alla ricerca di prodotti innovativi da offrire a tutto il comparto, dagli chef stellati agli hotel di lusso, senza dimenticare ristoranti, trattorie e strutture ricettive che promuovono quotidianamente il made in Italy.
«Il nostro è un settore in continua evoluzione - fa presente Sergio Pez-
funzionalità e caratteristiche capaci di renderli unici».
Da sempre il cliente al centro dell’offerta
L’azienda è certamente all’avanguardia, sempre al passo con i tempi, nel comparto delle forniture selezionate per hotellerie, ristorazione e catering. Da 40 anni seleziona fornitori e prodotti per il mondo dell’ospitalità e nel tempo ha composto un catalogo con oltre 15mila referenze fra prodotti per la mise en place, pentole, apparecchiature e capi d’abbigliamento. Ros ascolta i clienti, in modo da crescere insieme a loro e raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi, progettando soluzioni innovative in porcellana, metallo, vetro, legno e melaminico.
«Siamo pronti per andare incontro alle esigenze dei nostri clienti in tempo reale - aggiunge Antonella Giupponi del consiglio di amministrazione di Ros - La nostra disponibilità parte naturalmente dalla consulenza e con tantissimi nostri clienti è nato un rapporto di fiducia reciproca che dura da decenni. Proprio per stare al passo con i tempi, presenteremo entro maggio una nuova piattaforma a disposizione dei nostri clienti
per visionare gli ordini ed effettuare nuovi acquisti in maniera semplice e veloce».
Ros celebra i 40 anni con un concorso a premi per i clienti
Per festeggiare al meglio i 40 anni, Ros ha lanciato anche un concorso a premi «per tutti i clienti che effettueranno acquisti entro il 30 aprile - conclude Michele Pezzotta, che si occupa della parte commerciale - Per ogni 200 euro di spesa viene consegnata una cartolina «gratta & vinci» che dà la possibilità di vincere premi per un montepremi totale che ammonta a 75mila euro».
Per maggiori dettagli sui prodotti distribuiti da Ros si può visitare il quartier generale a Zanica, in provincia di Bergamo. A disposizione dei clienti c’è anche il sito www.ros.bergamo.it, che offre la possibilità di effettuare una visita virtuale dell’esposizione fisica con tutte le referenze offerte da Ros cod 104058
Siggi Group, azienda vicentina con oltre 50 anni di esperienza nella produzione di abbigliamento professionale, si impegna per il secondo anno a promuovere la sostenibilità con il lancio della nuova collezione Rock_Le Band 2024
Grembiuli realizzati utilizzando eccedenze di tessuti e rimanenze di brand di alta moda che altrimenti sarebbero diventati scarto, contribuendo così a evitare l’accumulo in discariche o l’incenerimento di materiali pregiati.
In collaborazione con Maeba International, grossista italiano di tessuti e accessori, il progetto si propone di allungare il ciclo di vita di grandi volumi di tessuti di qualità che altrimenti sarebbero diventati rifiuto senza essere mai stati utilizzati. Inoltre, il marchio ReLiveTex® di Maeba certifica che i tessuti selezionati sono stati recuperati da processi di svalorizzazione.
Quest’iniziativa si inserisce nel contesto più ampio dell’economia circolare, promuovendo condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo di materiali e prodotti esistenti per estendere il ciclo di vita dei prodotti e ridurre i rifiuti.
I sei nuovi grembiuli della collezione prendono il nome di leggendarie band rock come Rolling Stones, Oasis, Doors, Queen, AC/DC, U2. Versatili e stilosi, possono essere utilizzati in un’ampissima gamma di ambiti lavorativi: quelle più strettamente legati alla ristorazione, come bar, gelaterie, pasticcerie e panifici, ma anche in aziende in cui si lavora spesso con materiali che possono sporcare, come quelle del settore dell’artigianato e del giardinaggio.
Questi grembiuli sono a edizione limitata, poiché sono stati creati con
materiale limitato, legato a ciò che è stato recuperato, enfatizzando così il valore della sostenibilità nell’industria della moda.
La collezione fa parte del Progetto “VITAE” di Siggi Group. L’acronimo VITAE riassume le parole chiave espresse in questa frase: “Diamo Valore ai prodotti, alle risorse e al lavoro delle persone, Ispirati dalla visione di un pianeta migliore ci impegniamo con Tenacia in progetti e azioni concrete mettendo al primo posto l’Ambiente e l’Etica”.
La collezione Rock_Le Band 2024 è disponibile da questa primavera presso i rivenditori autorizzati Siggi e sullo store online. cod 104215
uando si tratta di cucine nel settore della ristorazione commerciale, avere le attrezzature giuste è indispensabile per garantire operazioni efficienti e risultati di alta qualità. Le attrezzature hanno infatti un impatto significativo sulla produttività e sul successo complessivo dell’attività di ristorazione. Qui entra in gioco Electrolux Professional con una gamma completa di soluzioni adatte a qualsiasi tipologia di ristorante. Ecco i fondamentali in cucina:
Le linee 700XP e 900XP sono progettate con una serie di funzioni intelligenti che le rendono la linea di cottura perfetta sia per quick che full-service restaurants. Una di queste funzioni è il piano cottura ad induzione ad alta potenza, che garantisce una bassa dispersione di calore per aumentare risparmi e performance.
Una vasta gamma di lavabicchieri, sottotavolo, lavastoviglie a capottina,
lavastoviglie a cesto trascinato, lavautensili e lavanastro soddisfano qualsiasi esigenza, combinando prestazioni massime e risparmi in termini di denaro ed energia. Le lavabicchieri e lavastoviglie sottotavolo “green&clean”, inoltre, rappresentano una scelta sicura e sostenibile.
I frigoriferi ecostoreHP assicurano capacità e un livello di efficienza energetica ai vertici del settore. Queste unità sono dotate di Frost Watch Control, una funzionalità che offre notevoli vantaggi: ottimizzando lo sbrinamento e prevenendo cambiamenti improvvisi di temperatura, questa tecnologia riduce la proliferazione di batteri, minimizza i danni alimentari e riduce i consumi.
4. Friggitrici
Le friggitrici HP rendono la frittura agevole grazie alla loro Automatic Cooking Function. Questa funzione regola i parametri di cottura in base al carico, garantendo risultati costanti e perfetti ad ogni utilizzo.
5. Soluzioni Cook&Chill
Le soluzioni Cook&Chill offrono innovazione senza pari con la funzionalità SkyDuo, che consente sincronicità tra la cottura e l’abbattimento di temperatura. Questa tecnologia semplifica la preparazione dei pasti durante gli orari di minor affluenza, rappresentando così una soluzione economicamente vantaggiosa. I forni e gli abbattitori SkyLine lavorano in tandem, comunicando tra loro. Combinando queste attrezzature è possibile risparmiare denaro e spazio, anche attraverso una gamma completa di accessori e utensili.
In sintesi per Electrolux Professional le esigenze di chef, staff e clienti sono la priorità. Lo dimostra l’ampia offerta di soluzioni ad altre prestazioni e basso impatto ambientale progettate su misura per ottimizzare tutte le operazioni in cucina.
cod 103082
Lʼepoca digitale ha ridefinito il modo in cui i puristi della gastronomia eleggono la loro prossima destinazione culinaria. Prima ancora di varcare la soglia di un ristorante stellato, è il sito web a offrire il primo assaggio - non dei piatti, ma del loro pricing. E in questa vetrina virtuale, ogni dettaglio conta: dalla trasparenza nell'esposizione dei costi fino all'eloquenza dei numeri stessi, che danzano accanto a termini come "degustazione" e "abbinamento".
Nell'empireo culinario, dove le stelle brillano, la prima portata servita non è altro che un preludio digitale: il menu online. E in questo universo parallelo, popolato da cifre e simboli, ogni dettaglio del pricing è un'arte sapientemente coreografata, un balletto di numeri che si compie sotto gli occhi dell'epicureo navigatore ancor prima di un solo assaggio.
Da questa prospettiva celeste, allora, s'intravede il palcoscenico digitale dei due ristoranti in esame, pronti a svolgere il tessuto della loro offerta,
a dipanare i fili d'oro dei loro prezzi, in una danza di numeri che rivela tanto quanto promette, e che incanta prima ancora che l’esperienza abbia attraversato la soglia della realtà.
Si premette che non c’è nessuna critica gastronomica, né tantomeno giudizi su decisioni di business ma puro commento sullo strategic pricing. Il distintivo di valutazione sarà rappresentato dall'icona della clessidra, intramontabile metafora che cristallizza l'essenza del tempo.
Più che sui minuti e sulle ore, la nostra clessidra pone l'accento sul
valore qualitativo del tempo speso a tavola: due pasti della stessa durata possono lasciare ricordi diametralmente opposti, distillati dai momenti unici che vi hanno preso forma.
In questa ottica, lo strategic pricing di un établissement gastronomico trascende la semplice nozione di costo per abbracciare una dimensione di valore, intrecciando prezzo e tempo in un diadema esperienziale che deve convincere il cliente di aver investito saggiamente tempo e risorse. La nostra valutazione esaminerà la trasparenza e la chiarezza del pricing, la flessibilità offerta, il posizionamento e la sottile psicologia dei prezzi.
nerario”, viene proposto a 280,00 per persona e, il secondo, “Mettici l’anima” a 300,00.
La prima cosa che balza all’occhio è la scrittura del prezzo: manca il simbolo della valuta (ad esempio, €), che, sebbene “alleggerisca” l’ammontare,
blico internazionale. A questo punto, se l’intenzione è attenuare il costo, si rimuovano anche i due zero dopo la
Il posizionamento dei prezzi dei due menu è interessante: la differenza di soli 20€ (circa 7%) mette a proprio agio il cliente e permette di concentrare l’attenzione sugli ingredienti principali dei piatti. "Itinerario", con la possibilità di essere ordinato in abbinamento al menu à la carte, e "Mettici l'anima", solo per tutto il tavolo, sono nomi che suggeriscono un'esperienza narrativa legata al cibo, ma non viene fornito un ulteriore contesto o descrizione di come queste esperienze si traducano nei piatti serviti. Arricchire la storia dietro il cibo potrebbe giustificare ulteriormente i prezzi e rendere l'esperienza più unica.
Esaminiamo ora la scelta alla carta. Il menu bi-portata si posiziona a 190€, un esborso contenuto, mentre l'esperienza di tre portate tocca quota 240€, e con l’aggiunta di un dolce a 30€, arriva a 270€ e confina con il menu degustazione. È una strategia prezzi che guida dolcemente il commensale verso quest’ultimo. Per 10€ in più, si opta per un'immersione più profonda e variopinta nel mondo di Villa Crespi.
La versatilità della carta si rivela un punto di forza: attraendo clienti con budget minori o meno tempo da dedicare al rito del pasto,
permette di esplorare ugualmente l'olfatto e il gusto nell'ambiente creato dallo chef, selezionando personalmente le proprie pietanze predilette. Tuttavia, questa libertà assoluta nella scelta ha anche le sue ombre.
Primo, rischia di appiattire il valore percepito di ogni pietanza, senza valorizzare appieno le diverse tecniche e qualità degli ingredienti. Secondo, le descrizioni dei piatti potrebbero dipingere attese disallineate rispetto al valore reale, potenzialmente portando a delusioni se il cliente paga €100 "alla cieca". Terzo, limitare la scelta a un massimo di tre portate senza una quarta opzione prezzata può frenare il desiderio del commensale di estendere la sua avventura culinaria secondo ispirazione personale.
Un aspetto del servizio che merita una rifinitura riguarda le strategie di upselling, attualmente offuscate da una presentazione nebulosa: l'option aggiuntiva di una selezione di formaggi, pur essendo appetibile, manca di dettaglio. Al costo di 30€, sarebbe auspicabile sapere quali varietà sono incluse. La proposta di una degustazione di vini, invece, benché intrigante, termina in un riferimento criptico alla carta dei vini, la cui consultazione online non risulta né immediata né intuitiva. Oltre a ciò, una serie di piatti viene segnata con un enigmatico asterisco, che lascia il cliente in uno stato di incertezza su possibili supplementi, allergeni o semplici annotazioni di cucina. Un chiarimento potrebbe trasformarsi in un raffinato tocco di comprensione e trasparenza.
GIUDIZIO FINALE
Punto di forza: flessibilità e semplicità di scelta per il cliente Area di miglioramento: trasparenza dei prezzi e chiarezza della proposta
Pricing: l'esempio dell'Osteria Francescana
Spostiamoci a Modena, all’Osteria Francescana e affidiamoci all’estro del pluripremiato chef Massimo Bottura. Il “Tasting Menu”, unica degustazione, comprende piatti con nomi intriganti e creativi che stimolano la curiosità, e propone un abbinamento vini molto dettagliato. La presentazione intriga, i nomi dei piatti suggeriscono un percorso culinario che è al contempo un viaggio culturale e sensoriale, e può giustificare un prezzo premium.
La trasparenza nel prezzo si evidenzia nel collocarlo senza sotterfugi alla fine del menu: il costo è espresso in € e senza decimali inutili, rendendolo semplice e diretto.
Dando un'occhiata al menu alla carta, possiamo notare alcune cose interessanti. Ogni piatto ha un prezzo ben visibile, il che è utile per orientare i
clienti. Tra un piatto di 80€ e 110€ l’avventore puó supporre che nel secondo ci siano ingredienti più prelibati e tecniche di lavorazioni più complesse.
Scegliere alla carta può risultare più costoso che optare per il menu degustazione, specie se si decide per una cena completa con tre portate
più dolce. Calcolando il “costo medio per portata”, che è un pratica troppo semplice ma abbastanza comune, troviamo che la scelta degustazione
è particolarmente interessante con 17 portate con meno di 20€ ciascuna.
Mettendo a confronto questa cifra con i prezzi alla carta, dove soltanto un antipasto può arrivare a costare 90€, un primo 100€ e un secondo anche 150€, diventa evidente come “Tasting Menu” possa offrire una varietà maggiore pagando in proporzione un prezzo minore.
Inoltre, la degustazione di formaggi italiani per 80€ è presentata con accuratezza e dettaglio. È degna di nota la menzione di accompagnarli con pane alle spezie e composte, fornendo al cliente una spiegazione completa di ciò che sarà servito. Questo livello di specificità è sicuramente apprezzabile per chi desidera sapere esattamente cosa aspettarsi e inneggia all’effetto “no-surprise”.
GIUDIZIO FINALE
Punto di forza: trasparenza, descrizione del menu, ancoraggio dei prezzi come bussola per il cliente. Area di miglioramento: specificare se il menu è per tutto il tavolo
La scelta tra questi santuari del sapore si articola attorno all’esperienza che si desidera vivere. Che sia un'avventura culinaria pianificata, una libertà à la carte o un'esplorazione emotiva dei gusti, Villa Crespi e Osteria Francescana hanno punto in comune: la promessa di un'esperienza che supera le semplici aspettative.
cod 104447
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Èun'usanza tipica della tradizione culinaria italiana; affonda le sue radici nel Medioevo e poi si è via via evoluta fino a diventare una voce imprescindibile dello scontrino di un ristorante perché serve a coprire i servizi aggiuntivi al pasto: il coperto.
Da allora, quando il termine nacque perché le locande offrivano rifugio e di conseguenza un tetto a viaggiatori e pellegrini, il servizio si è evoluto per rimanere al passo coi tempi e oggi il coperto include tendenzialmente l'uso di posate, piatti, bicchieri, tovaglioli e anche il cesto del pane portato in tavola e può quindi variare
in base alla qualità e al tipo utensili utilizzati. Senza contare che in certi casi si considerano anche elementi dal valore soggettivo, come la posizione del tavolo, il prestigio, la storicità o l'atmosfera che si respira nel locale, nonché la professionalità del suo personale. Ma, mentre una volta questa pratica era comune in tutta Europa oggi è ancora diffusa soltanto in Italia.
Giacomo Pini, consulente ed esperto di marketing della ristorazione, nonché fondatore di GpStudios ed autore dei fortunati volumi "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale", "L'Arte del Breakfast" e "Il marketing territoriale dell'Italia che non ti aspetti. Come vendere i luoghi magici fuori dai circuiti turistici commerciali",
spiega quale sia il giusto prezzo per il servizio del coperto e fare in modo che non sia percepito come eccessivo da parte della clientela.
Secondo l'esperto di marketing della ristorazione il coperto è «quella voce che alcuni ristoranti inseriscono nel menu al pari di una sorta di “tassa” che i clienti devono pagare e in cui generalmente vengono soffocati i costi vivi dell’apparecchiatura per ogni singolo avventore - ha spiegato il fondatore di GpStudios - Alcuni ristoratori decidono di formulare un valore di coperto che includa anche una sorta di valorizzazione economica di ciò
che si può considerare come “servizio extra”, come consumare il pranzo o la cena in una location prestigiosa, magari con una vista panoramica, oppure un tavolo speciale, posto in una posizione privilegiata rispetto agli altri, o, ancora, la professionalità del personale coinvolto per un servizio premium».
Per Pini si parte dal presupposto che non esiste una regola di base valida per tutti i ristoranti utile a stabilire il valore di un coperto.
«Infatti, alcuni ristoratori lo calcolano partendo dal costo del tovagliato e delle posate utilizzati aggiungendo poi il costo del pane - ha ripreso Pini - Altri ancora tengono le voci separate, mentre c’è chi copia quello che fa il suo concorrente più “vicino”, sperando che poi non arrivino critiche sui social, perché troppo alto rispetto a quello che è il valore effettivo del servizio percepito così come dal cliente. In ogni caso il prezzo del coperto dovrebbe essere sempre proporzionale alla tipologia di mise en place e servizio fornito. Questo per un principio di trasparenza e rispetto verso chi consuma il proprio pasto fuori casa in un determinato locale».
Pini suggerisce di fissare il valore di un coperto in base alla tipologia e al costo effettivo del servizio offerto e percepito dalla clientela.
«Se consumo un pasto in un fine dining o comunque in un ristorante di un certo tipo, mi aspetto una mise en place curata, tovaglie ben stirate e di un tessuto pregiato e ben lavato - ha spiegato l'esperto di marketing della ristorazione - Ma anche posate di un certo tipo oltre alla presenza di più bicchieri e calici. Diversamente, se vado in una trattoria o una pizzeria, è più probabile trovarsi seduti a un
Iposti premium arrivano anche al ristorante. Apripista in questo senso la Spagna, ma la soluzione potrebbe presto sbarcare anche in Italia. A Siviglia, in Andalusia, un locale ha applicato una maggiorazione per posti definiti “premium”. Un ristorante della città andalusa offriva tre tavoli situati "in prima linea", con una migliore vista della città, con una posizione migliore e con qualche servizio aggiuntivo, come un bicchiere di vino all'arrivo. Tutto per 10 euro a persona.
Le linee guida regionali specificano che possono essere fissati dei prezzi diversi per consumare al tavolo o in terrazza, ma che il locale deve informare il consumatore anticipatamente nel menu, nella lista dei prezzi e in qualsiasi mezzo di pubblicità. In Italia si registrano aperture da parte della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, che però evidenzia
come un punto fermo sia quello di informare puntualmente e in anticipo il cliente. Il vicepresidente vicario nazionale di Fipe, Aldo Cursano, non ha dubbi sulla bontà della soluzione: «Penso che sia opportuno applicare un supplemento per la comodità, la panoramicità e la suggestione: certe posizioni strategiche ed emozionanti sono ambite e creano quel valore aggiunto che è un elemento estremamente importante». D’altronde «anche a teatro o allo stadio è così». Il fatto che questa pratica possa prendere piede espone al rischio di vedere applicare supplementi anche per servizi che attengono alle buone pratiche di un ristoratore. «Un conto - chiarisce Cursano - è vendere l’ombra, piuttosto che un contesto confortevole e adeguato che rappresentano un dovere del ristoratore e un diritto del cliente, un altro è il valore aggiunto dato da un’emozione che solo certe posizioni possono offrire».
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tavolo con tovaglietta e tovagliolo di carta. Per questo motivo è normale aspettarsi un coperto molto variabile tra le due casistiche. Provando ora a giustificare questi esempi con numeri e dati precisi, il costo del tovagliato classico può pesare a un locale sui 60 centesimi per cliente servito, questo partendo dal costo di acquisto iniziale degli elementi della mise en place e considerando poi anche il costo della lavanderia. Quello della mise en place con tovaglietta americana e tovagliolo di carta invece la metà, arrivando a circa 30 centesimi. È chiaro che non bisogna per forza avere le fatture del fornitore sott’occhio per capire la differenza di costo: anche un cliente lo capisce, e se da cliente vado in un locale dove il coperto costa 4 euro e mi ritrovo una tovaglietta di carta, mi aspetto che il servizio sia di buon livello o magari che mi venga servito un cestino del pane prodotto internamente. In sostanza, è importante che il prezzo del coperto rispecchi quanto più possibile una quantificazione realistica delle voci di spesa sostenute per il servizio».
Infine, a chi si chiede se sia o meno giusto pagare il coperto Pini risponde con una serie di domande provocatorie. «Come vengono calcolati i prezzi sulla carta? A partire dal full cost o copiando quello che fa la concorrenza? Siamo davvero trasparenti quando formuliamo le voci sul menu tra referenze e coperto? Come gestiamo i pesi e le misure quando mettiamo in atto le tecniche di pricing per formulare il prezzo finale di vendita? Il coperto è una consuetudine a cui ormai i clienti di un ristorante sono avvezzi ed è generalmente accettato purché rispecchi il servizio che effettivamente viene offerto nel locale. Se ci mettiamo invece nei panni di un risto-
ratore, abbiamo il caso concreto di un locale dove solo la voce del coperto ha inciso per un 12% sulle vendite totali di un anno. Non proprio briciole insomma: eliminarlo dal menu comporterebbe una perdita sostanziosa di entrate; pertanto, togliere questa voce è una decisione da ponderare in maniera oculata e accorta, con i “numeri” sottomano. Per chi decide di abolirlo il consiglio è di abbattere il più possibile i costi legati al servizio e al
coperto (magari valutando soluzioni alternative più sostenibili anche a livello economico) e di rivedere i prezzi sul menu e definirli in modo strategico, che siano competitivi rispetto al mercato, rispetto, quindi, a quelle che sono la concorrenza, il contesto e le aspettative della clientela target, ma soprattutto che rispettino la tipologia di proposta e di servizio del locale e soprattutto la sua struttura dei costi». cod 103735
Il 2024 presenta sfide significative nel settore food & hospitality, con un'incertezza economica globale e pressanti questioni ambientali. Tuttavia, il turismo in Italia mostra resilienza e potenziale di crescita. La gestione delle materie prime, del personale e dei costi energetici rimane complessa. Per affrontare queste sfide, emerge la tendenza al ritorno alla semplicità, non solo una moda passeggera ma una strategia necessaria
Ndi Massimo Artorige GiubilesiFounder & ceo Giubilesi & Associati
Chairman FCSI Italian Unit
on vorrei sembrare colui che ribadisce l’ovvio, ma come consulente nel vasto settore food & hospitality, non posso che condividere con voi che il trend gestione della ristorazione e dell'ospitalità continua ad essere alquanto complesso e complicato.
Avvicinandosi quindi alla stagione estiva, il 2024 emerge come un anno di significative contrapposizioni e riflessioni: tra le sfide globali, l'incertezza
economica e le pressanti questioni ambientali, nasce un desiderio collettivo di ritorno all'essenziale, di riscoperta di una adeguata serenità ormai dimenticata. La stagione turistica alle porte secondo Confindustria Turismo prevede che il numero di arrivi di turisti stranieri in Italia nel 2024 possa raggiungere i 68 milioni, con un aumento del 15% rispetto al 2023. Questi dati riflettono non solo la resilienza del nostro settore turistico, ma anche il suo potenziale di crescita in un contesto globale ancora caratterizzato da incertezze.
Nonostante tutte le buone previsioni, nessun operatore può illudersi che la
gestione dell'approvvigionamento di materie prime smetterà di essere un esercizio di equilibrismo, con la volatilità dei mercati che mette a dura prova la stabilità degli inventari.
In questo contesto, il ritorno alla semplicità non rappresenta soltanto una moda passeggera, ma si afferma come una strategia necessaria e salutare per navigare nella tempesta trovando una via di uscita. La valorizzazione di materie prime povere del territorio (sarebbe meglio definirle umili)
non solo allevia le difficoltà legate all'approvvigionamento riducendo la dipendenza da catene di fornitura lunghe e incerte, ma si allinea anche con un'etica di consumo più sostenibile, rispondendo alle richieste di un pubblico sempre più attento e consapevole al valore che il cibo deve portare dentro di sé.
È in questo contesto che la cucina, da sempre specchio delle dinamiche sociali e culturali, si fa portatrice di un messaggio profondo e rivoluzionario: la voglia di semplicità. Abbandonando la corsa all'eccesso e al superfluo, la riscoperta della cucina umile diventa il simbolo di una resistenza poetica contro il caos del mondo moderno, un viaggio attraverso gli ingredienti semplici e le preparazioni tradizionali che si fa manifesto di autenticità, sostenibilità e creatività. Inoltre, l'adozione di menu più semplici e focalizzati può contribuire a mitigare la crisi del personale, rendendo la formazione più accessibile e consentendo agli operatori di valorizzare le competenze locali, forgiando team più coesi e motivati. Infine, una cucina che privilegia l'essenzialità, si traduce spesso in processi più efficienti dal punto di vista energetico, con benefici tangibili sia in termini di sostenibilità ambientale che di sostenibilità economica.
Newstalgia e resilienza: ripensare la cucina italiana per un futuro sostenibile
Attraverso questo ritorno alle origini, il settore può sperare di rinnovarsi, attingendo forza e ispirazione dalla ricchezza della tradizione culinaria e dalla genuinità degli ingredienti, per costruire un futuro resiliente, responsa-
bile e profondamente umano. La riscoperta della cucina umile e la valorizzazione degli ingredienti semplici si inseriscono perfettamente nella tendenza definita con il recente neologismo “newstalgia”, un termine che fonde insieme il fascino del passato con l'innovazione del presente, offrendo una “nuova nostalgia” per esperienze autentiche e ricche di significato.
La cucina umile che valorizza la filiera “food & people” del territorio, quando incontra innovazione e tecnologia nelle modalità di preparazione, cottura, conservazione fa certamente un salto di qualità che fa bene all’impresa e fa bene ai consumatori. In momenti di incertezza emerge una verità fondamentale: la soluzione più efficace spesso risiede nella capacità di fare il massimo con ciò che si ha a disposizione. Questa filosofia, radicata nella pratica della cucina umile e nella tendenza della “newstalgia”, offre un potente promemoria dell'importanza della resilienza e dell'ingegnosità che sono i pilastri fondamentali della cucina italiana.
In conclusione, il 2024 si prospetta come l'anno in cui il settore food & hospitality potrà riaffermare la sua identità attraverso la semplicità, la tradizione e l'innovazione.
I ristoratori che sapranno interpretare e applicare il concetto di “newstalgia” nel loro approccio culinario non solo risponderanno alle aspettative di un pubblico in cerca di autenticità, ma contribuiranno anche a definire l’identità del futuro della ristorazio-
ne italiana, dimostrando che la strada verso l'innovazione può essere sapientemente lastricata dalla riscoperta delle nostre radici più profonde.
Riconoscere e abbracciare la semplicità, quindi, non è una mera necessità, ma una scelta consapevole che può portarci a riscoprire il valore delle nostre radici culturali e culinarie, e a costruire un futuro sostenibile, resiliente e umano. cod 104509
Per informazioni: www.giubilesiassociati.com
LLuca Bassi
a cucina molecolare è scomparsa? Finita? O meglio, cos'è rimasto della cucina molecolare? Viviamo in un'epoca in cui ogni situazione viene ribaltata di continuo, immersa in quel frullatore
chiamato social network che detta mode e tendenze quasi ogni anno. E tutti giù ad adeguarci. Questo meccanismo, ovviamente, non risparmia nemmeno il mondo della cucina e negli ultimi anni ha fatto una vittima illustre: la cucina molecolare, la madre di tutte le sperimentazioni.
Oggi di cucina molecolare si parla sempre meno. Alcuni dei ristoranti
più celebri che la praticavano hanno chiuso i battenti da tempo (su tutti, il celebre ElBulli di Ferran Adrià che ha segnato la storia della cucina internazionale), mentre tanti altri la praticano - in parte - senza pubblicizzarla più di tanto. Del resto, cenando in un ristorante d'alto rango è facile imbattersi in una sifonata, in una preparazione realizzata con l'azoto liquido o
Di cucina molecolare si parla sempre meno: oggi molti grandi cuochi continuano a servirsi di tecniche “molecolari”, senza aver bisogno di dichiararsi adepti di una setta. La cucina molecolare è stata integrata, e quelle tecniche sono usate sempre di più, non solo in ristoranti stellati.
Tuttavia l’immagine dello chef-scienziato è stata surclassata da quella dello chef-ortolano e allevatore
in un uovo costruito senza utilizzare l'uovo stesso: oggi molti grandi cuochi continuano a servirsi di tecniche “molecolari”, senza aver bisogno di dichiararsi adepti di una setta. La cucina molecolare è stata integrata, e quelle tecniche sono usate sempre di più, non solo in ristoranti stellati, e magari le abbiamo incontrate senza che ce ne accorgessimo.
Spesso criticata senza una vera e propria ragione, in realtà la cucina molecolare ha, per certi versi, anticipato i tempi: nel “Manifesto della Cucina Molecolare Italiana" redatto nel 2003 da Davide Cassi, del dipartimento di fisica dell'Università di Parma, e da Ettore Bocchia, cuoco del Ristorante Mistral Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio, si parla di «nuove tecniche di cottura e prepa-
razione grazie ai quali i nuovi piatti sono studiati e pensati per valorizzare gli ingredienti naturali e le materie prime italiane di qualità. La cucina molecolare italiana sarà attenta ai valori nutrizionali e al benessere di chi mangia». Pensieri attualissimi, scritti però con vent'anni di anticipo.
Apparsa a cavallo tra gli anni '80 e '90, la cucina molecolare ha rivoluzionato letteralmente il modo di concepire la cucina. A studiarla per primi sono stati i ricercatori francesi dell'Inra, l'Institut national de la recherche agronomique, con il fisico e gastronomo Hervé This e il premio Nobel per la Fisica Gilles de Gennes. Alla base della cucina molecolare c'è
uno studio accurato e scientifico sui meccanismi che si scatenano durante le trasformazioni culinarie, al fine di ricercare e ottenere nuovi metodi di preparazione e cottura dei cibi, alternativi a quelli tradizionali.
La preparazione nella cucina molecolare si fonda sull'utilizzo di schiume, additivi, gelatine, che servono per realizzare piatti che portano con sé sapori nuovi, inconsueti, accostamenti straordinari, pur rispettando le caratteristiche organolettiche dei cibi.
Sette sono invece le tecniche di lavorazione di questo ramo particolare della cucina: la gelificazione (sostanze liquide solidificate e trasformate in gel alimentari), la sferificazione (piccoli globuli di sapori che ‘scoppiano' in bocca), la pressurizzazione degli alimenti allo stato liquido
con un sifone per farli aumentare di volume, la sospensione (grazie alla quale frutti ed erbe aromatiche non precipitano in fondo a soluzioni cremose), il raffreddamento attraverso azoto liquido, la frittura nello zucchero (senza oli né grassi), la polverizzazione tramite maltodestrina. Tecniche utilizzate di frequente ancora oggi.
Tra gli chef più rappresentativi della cucina molecolare ci sono il grande Ferran Adrià, chef di El Bulli in Spagna, e suo fratello Albert, a cui si deve l'invenzione e la messa a punto del processo di sferificazione. Oltre ai due Adrià, da citare sono anche Heston Blumenthal, Pierre Gagnaire, ma anche gli italiani Ettore Bocchia e Daniele Facen. Anche Davide Scabin, in un territorio fortemente legato alla tradizione qual è il Piemonte, è stato capace di fare grandissime cose affiancando cucina e scienza nel suo Colombal.Zero, a Rivoli (chiuso nel 2020). Celebri alcuni suoi piatti che, dopo un'iniziale diffidenza, hanno sbancato il lunario: il Cyber Egg, somma provocazione di Scabin a base di uovo, caviale e vodka o il Piola kit, uno scenografico concentrato di Pie-
monte con bagna cauda, tomino al verde, cotechino con purè e tartufo, agnolotti in brodo, lingua brasata, panna cotta e Barbera d'Asti disposti in chicchere (in realtà mini barattoli e una provetta per il vino) allineate dentro una scatola da asporto. Ma anche il Rognone al Gin, carne e burro imbustati e cotti in padella poi serviti con una dadolata di cetriolo fatto macerare per due ore nel gin, oltre a una salsa al gin calda o l'Infusione a freddo, una sorta di macedonia con piccoli pezzi di frutta e qualche meringa mignon intrappolati dentro il succo di lime ghiacciato sciolto con un goccio di acqua frizzante.
Oggi di cose così se ne vedono sempre meno. Quel frullatore chiamato social network - di cui parlavamo all'inizio di questo articolo - ha spostato l'attenzione su altro, ha creato nuove tendenze: i grandi chef non vogliono più cambiare la forma delle cose, ma preferiscono prodursi da soli il cibo.
I grandi ristoranti, oggi, tendono tutti verso il sogno di una cucina in cui tutti gli ingredienti sono prodotti dal ristorante stesso, nei propri orti, e nelle proprie fattorie: l'immagine dello chef-scienziato è stata surclassata da quella dello chef-ortolano e allevatore, che accarezza oggi giorno i suoi cavoli e le sue erbette e guarda negli occhi gli animali che servirà.
L'estetica dei piatti, che nella cucina molecolare tendeva verso l'arte astratta, imita sempre di più la natura, detesta la geometria e fa vedere le cose per la forma che hanno.
E a noi, forse, interessa meno mangiare della carne di maiale a forma di carota, ma andiamo al ristorante proprio per vedere che una carota è una carota. cod 104419
Emanuele Svetti
i è mai capitato di parlare con un vostro conoscente e sentire pronunciare la frase “ho preso l'architetto per ristrutturare il mio locale”? A me è successo spesso e tutte le volte ho pensato a come avesse
“preso” questo soldatino, o Pokemon (per parlare con lessico contemporaneo), perché altra non potrebbe essere la scena da immaginare davanti ad un’affermazione del genere. Pensate: questi eserciti indomiti di imprenditori, manager, decision maker alla ricerca di architetti da “prendere” un po’ come i mostriciattoli del famoso anime giapponese: una scena aberrante.
Per questo quello che oggi si manifesta in me è, in realtà, un senso di disagio, perché penso a quante volte sarò stato “preso” anche io nella mia carriera di professionista, preso e posizionato sopra un tetto di un cantiere come un parafulmine di Fantozziana memoria, dando così una risposta ad eventi spiacevoli che poi nel tempo sono accaduti, oltre che alla scarsa
Nel linguaggio comune utilizzato nell'ambito dell'architettura e del design occorre sostituire il termine preso con scelto per riflettere un rapporto più rispettoso e collaborativo tra architetto e cliente. Importante diventa il dialogo aperto e la fiducia reciproca nel processo decisionale e progettuale. Inoltre, per l'identità professionale dell'architetto è importante essere riconosciuti per il proprio valore e costruire relazioni basate sull'onestà
qualità di molti progetti che si vedono in giro.
Mi chiedo quale tipo di sforzo intellettuale potrebbe essere il sostituire semplicemente il termine “preso” con quello meno svilente, da ambo le parti, che è: Scelto! Sì, Scelto! Perché nella vita capita spesso di dover fare scelte, siano esse importanti, giuste o dolorose, queste modificheranno e segneranno il tuo futuro. L'architetto deve essere scelto, deve sapere farsi scegliere e con coraggio condividere le proprie scelte, perché il processo di elaborazione di un progetto è fatto ancora una volta di scelte, che vengono fatte con coerenza, a volte con violenza, altre in maniera naturale senza condizionamenti.
Non fare ricerca, non mettersi in condizione di scegliere al meglio è una sorta di lasciarsi vivere senza una rea-
le partecipazione, una sorta di rinvio della decisione fino al non poter essere più i soggetti della scelta, ma solo eventi completamente avulsi dalla nostra volontà. Scegliere d’altra parte è anche decidere, quindi impegnarsi in maniera cosciente e ragionata a fronte di una situazione, in questo caso il progetto che si intende realizzare: fare la prima scelta, far brillare la scintilla che possa generare il risultato desiderato è l’ingrediente senza il quale non si possono raggiungere risultati eccellenti in qualsiasi campo
Scegliere un architetto, quindi è parte fondamentale del processo progettuale, è pensiero che si trasforma in parola per diventare azione, per questo dobbiamo avere chiaro sempre che un progetto non è semplice-
mente un processo di “costruzione”, ma una vera e propria “Co-costruzione”, cioè un processo decisionale, di confronto, realizzativo, che richiede la generazione di un “Tertium non datur”. Diviene facile comprendere, che se in un sistema di pensiero di questo genere si lascia al caso la definizione di uno dei componenti, se ne ammette in qualche modo in maniera implicita la possibilità di fallimento, ed ecco così palesato il nostro scopo: non ci dovrà mai essere una terza possibilità in questo rapporto.
Forse la spinta intellettuale che sta guidando la penna inizia a prendere il “sopravvento” e non vorrei portare le mie argomentazioni in un territorio eccessivamente complesso dove anche io potrei rischiare di perdermi dietro logiche metafisiche Aristoteliche, per questo preferisco tornare con i piedi per terra e limitarmi a cercare di dare alcuni semplici consigli sia al committente che al professionista.
Parlando con i miei clienti, che spesso diventano per ovvie ragioni anche amici, confidenti e, perché no, “pazienti” (non potete immaginare quante sedute “psicoterapiche di interior design o architettura” ho fatto in quasi venti anni di carriera), la mia prima domanda è: perché avete scelto me? A questo punto se vedo che le espressioni si fanno stupite incalzo: quali sono le motivazioni? Avete visto i miei lavori che tipo di taglio hanno? Vi è piaciuto qualcosa in particolare? Perché pensate che potrei essere io l’architetto giusto per realizzare il vostro sogno? Credo che capirete, se siete arrivati a leggere fino a questo punto, e quindi non avete abbandonato con
“l’inchino Aristotelico” di poche righe fa, come risposte del tipo “mi hanno parlato bene di Lei” o “mi è stato consigliato da un amico”, diventino per me inaccettabili, per quanto sia piacevole sapere che venga apprezzato da quel “tertium”, di cui scrivevo poco fa, ma che ribadisco, non voglio nel processo di interazione tra due soggetti ben definiti.
È questa la ragione per cui tutte le volte rimando alla visione di quello che ho già realizzato, all’analisi dello stile, del genere di intervento, all’empatia che si può generare davanti alla persona con cui si sta parlando,
cercando così di generare la rottura di un blocco intellettuale illogico, che in realtà dovrebbe portare, con la generazione di tessere di diversa grandezza, un puzzle che ha più gradi di soluzione, da quella imminente della definizione della scelta di un architetto a quella più complessa della genesi di un progetto, fino alla consacrazione della sua realizzazione ed infine, si spera, la celebrazione di un successo.
Ragionando su quanto scritto fino adesso, risulterà chiaro come in ogni momento della vita potrà capitare di trovarci davanti a delle scelte, più o meno importanti, che per prenderle
dovremo concentrarci su noi stessi e sui nostri bisogni, lasciandoci guidare dalle nostre necessità, non per forza dall’intuito: un esercizio propedeutico potrebbe essere quello di utilizzare lo smartphone per una volta nella modalità più appropriata, ossia per fare ricerca non su “come risolvere un dubbio di design”, ma su “chi potrebbe essere il soggetto più adatto a risolvertelo”, chi potrebbe prendere decisioni al posto tuo, sollevandoti da qualsiasi responsabilità.
E qui introduco un’altra tessera del nostro puzzle, la fiducia. Sì, perché non possiamo far a meno di questa
componente, l’architetto che sceglierai dovrà godere della tua assoluta fiducia, un fattore che ti aiuterà ad ottenere il miglior progetto possibile, preservando il tuo tempo, e anzi trasformandolo in quello che gli antichi Greci chiamavano Kairos o “momento giusto” e che in seguito Seneca ha definito “…l’occasione che incontra il talento”
Un’ultima attenzione la farei sul piano delle capacità, diffidate da chi sa fare tutto, d’altra parte credo di poter affermare con assoluta tranquillità che non esistono i “tuttologi”, perché quindi dovreste diventarlo voi stessi
o peggio prenderne uno perché “costa poco”, è un “amico” o è “vicino”. Sceglilo, selezionalo, guarda il suo stile, cosa realizza, parlaci, cerca di comprendere se è la persona che può aiutarti: deve essere una risorsa non un costo.
Una volta cercato di chiarire il problema dal punto di vista del cliente voglio fare un salto indietro e tornare al titolo che ho voluto dare a questo breve scritto: “Uno, nessuno e centomila”. Preso in prestito da Pirandello e uno dei suoi più celebri caratteri, Vitangelo Moscarda, voglio affrontare la problemtica dal punto di vista più vicino a me: quello degli architetti.
Vi chiederete il perché di questo spunto, in realtà, credo che come lui ci poniamo spesso di fronte ad un tema, quello della visione che abbiamo di noi stessi e l’idea che invece hanno gli altri di noi, che non è qualcosa di fisso, ma bensì in costante cambiamento.
Uno quindi rappresenta l’immagine che ogni architetto ha di se stesso, nessuno è quello che molti progettisti scelgono di essere durante il loro iter professionale. Centomila indica l'immagine che gli altri hanno di noi. Capirete quanto sia complesso gestire la presenza di così tante componenti e di come la necessità di “farsi scegliere” diventi fondamentale nell’evoluzione professionale di un architetto, che in qualche modo come Vitangelo, si ritrova a vivere un vero dramma, intimorito dal pensiero che la visione che ha lui di sé non sia la stessa che la moglie coglie, anzi è completamente diversa, così come succede al progettista quando scopre che non è visto dal cliente esattamente per quello che
è, mettendolo terribilmente in crisi e cambiando il destino professionale dell’intrepido architetto.
Questo per sottolineare come l’immagine di noi venga, diciamo così, “disegnata”, per usare un termine a noi caro, da chi osserva il nostro lavoro, ma anche il nostro comportamento e, perché no, il nostro stile di vita.
A chi, d’altra parte, non è capitato di sentirsi incompreso almeno una volta nella vita professionale? Quante volte avremmo voluto dare un’immagine di noi più rispondente alla realtà e allo stesso tempo avremmo voluto essere ascoltati per il valore che abbiamo?
Non solo in famiglia, ma anche a scuola o con la nostra comitiva di amici. E non ne abbiamo sofferto?
Un progetto può “sbiadirsi” fino quasi a scomparire se non valutato per quello che è, e celebrato per quello che dovrà divenire. Ed ecco che le “centomila” immagini di noi che hanno gli altri, riescono a ridurre in “pezzi” l’essenza di un progetto e si precipita diventando “nessuno” Tutto ciò deve farci comprendere che nella vita niente resta immutato, tutto è in movimento, tutto cambia, quindi anche le opinioni degli altri, e l’uomo ha tutte le capacità per modificarle.
Per questo cerchiamo di Co-Costruire il rapporto, facciamoci scoprire per quello che siamo, ricordiamo che al centro dei nostri progetti rimane e rimarrà per sempre l'uomo, non vendiamoci per quello che non siamo, perché solo un rapporto intellettualmente onesto e pieno di fiducia reciproca potrà generare progetti di eccellenza cod 104299
Per maggiori informazioni lo Studio Svetti Architecture rimane a disposizione, per approfondimenti info@studiosvetti.com
Da vent’anni Fedegroup è leader nel segmento dei servizi di ristorazione in outsourcing per l’hotellerie e nella ristorazione retail con dei numeri che parlano chiaro: oltre 40 strutture in tutta Italia e nel mondo, la collaborazione con lo chef una stella Michelin Paolo Gramaglia, un ricco portfolio di offerte food&beverage che puntano sulla riconoscibilità come quelle di Golocious, Baessato, Artisti del Vegetariano e Feeling Pizza, e un fatturato in continua crescita.
«Uno dei capisaldi della nostra società, che ci ha permesso di essere un punto di riferimento nel settore, è la capacità di fornire a tutti i nostri partner una consulenza a 360°. La nostra forza sta nel valutare tutte le leve che possono portare un servizio di ristorazione in outsourcing ad essere un valore aggiunto per l’hotel nel suo complesso» dichiara Mirko Sanna, Direttore Generale di Fedegroup. «Per l’albergo è importante innescare un circolo virtuoso in cui anche l’offerta in termini di food&beverage costituisca un fattore positivo di ricaduta sull’esperienza del cliente e vada ad incidere positivamente quindi sul rating e a volte anche sul prezzo stesso delle camere. Il nostro lavoro è quello di studiare a fondo i clienti della struttura, i competitor, la posizione geo-
grafica, l’offerta di materie prime che il territorio propone, per capire quali possono essere i punti di forza non ancora sfruttati dall’albergo. Ma non solo, perché la nostra consulenza si spinge anche a rivisitare in chiave di arredi e di struttura la sala o la cucina perché possano diventare efficienti, piacevoli e funzionali restando sempre in linea con l’identità dell’albergo».
L’attenzione massima alla soddisfazione del cliente finale è per Fedegroup la chiave per decidere che tipo di proposta elaborare per l’hotel e quale tra le diverse soluzioni del proprio portfolio proporre, sempre con l’obiettivo di dare vita a un’esperienza nuova e significativa. Alla base di questo uno studio costante del mercato per cogliere o addirittura anticipare i trend nel settore food&beverage, sapendoli poi tradurre in proposte non solo nuove e convincenti, ma anche sostenibili.
«La scelta di inserire nelle proposte ai nostri partner dei brand ristorativi diversificati - propri o acquisiti
- è anche volta a rendere immediatamente comprensibile al partner quale potrebbe essere la soluzione per lui migliore, sapendo che il cliente finale è sempre più attento ed esigente in termini di proposte culinarie». continua Mirko Sanna «Per quelle strutture i cui clienti vogliono avere un’esperienza divertente e pop proponiamo per esempio Golocious, una realtà tutta italiana nata dal genio di due giovani imprenditori oggi format esclusivo di Fedegroup che l’ha esportato anche in Oman. Le parole che più caratterizzano questo brand sono giovane, genuino e buono: Golocious offre, nel suo menu, hamburger di qualità realizzati con ingredienti selezionati, favorendo quelli di origine italiana con l’obiettivo di far vivere al pubblico un’esperienza del tutto nuova, che non rinuncia alla qualità e al gusto. Acquisito nel 2023 e di tutt’altro genere è invece Baessato un marchio che punta sul connubio tra
beverage di alto livello, intrattenimento e convivialità, con un’offerta che non si limita al pranzo o alla cena, ma comprende anche il dopocena e gli aperitivi offrendo un’alternativa elegante e sempre al passo con i tempi. Gli stessi ambienti sono pensati per creare un’atmosfera ideale per l’incontro, la socialità e la condivisione, in grado di coinvolgere un pubblico esigente, dinamico e attento alle nuove tendenze».
Nuove frontiere culinarie: green eating e tradizione napoletana
E proprio per soddisfare un pubblico sempre più esigente e consapevole, Fedegroup ha acquisito di recente Artisti del Vegetariano, format di “green eating” che fa del benessere e della sostenibilità la propria cifra stilistica. Il menu di Artisti del Vegetariano porta oggi la firma dello chef una stella Michelin Paolo Gramaglia, che
ha studiato un’offerta ricca di proposte sfiziose e interamente plant based, con ricette che valorizzano la stagionalità delle materie prime e riducono gli sprechi alimentari in un’ottica di virtuosa sinergia tra sostenibilità economica, ambientale e sociale.
Quest’anno Fedegroup ha presentato anche un nuovo brand originale: Feeling Pizza, format ideato in collaborazione con il maestro pizzaiuolo Alberto Buonocore che omaggia la regina della tradizione italiana, la pizza napoletana, con una proposta appetibile, veloce e sana e un menu che spazia dalle pizze tradizionali a quelle più originali.
«Per Feeling Pizza abbiamo creato ambienti contemporaenei che si caratterizzano per lo stile industrial con linee basic, pulite e semplici, ma allo stesso tempo d’impatto. Il cliente viene accolto quindi in un’atmosfera rilassante dove scoprire o rivivere la migliore tradizione partenopea gustando i piatti che compongono la proposta culinaria di alto livello» commenta Sanna.
Ogni format, quindi, è unico e offre una proposta culinaria inedita, in grado di coniugare tradizione e modernità e offrire al pubblico una degustazione originale. Una soluzione ideale per quei partner che riscontrano una certa difficoltà nel settore food and beverage e intendono affidarsi a Fedegroup.
«L’obiettivo della nostra società è la soddisfazione reciproca sia in termini di immagine sia economici, e questo è possibile perché abbiamo studiato, selezionato e creato, un portfolio di brand amati dal pubblico che fanno anche della riconoscibilità la loro chiave strategica. Riusciamo a rendere reale tutto questo ogni giorno grazie alla costruzione di un team di chef guidato dall’executive chef Raimo Chiacchiera, affiancato dal maestro pizzaiuolo Alberto Buonocore e dallo chef una stella Michelin Paolo Gramaglia con una “squadra di cucina” composta da oltre 200 persone che condividono la passione per la cultura enogastronomica italiana e la mission di offrire proposte di primo livello. L’altissima qualità dell’offerta non si riscontra solo nella proposta di differenti menu, ma anche nella selezione di fornitori in grado di reperire materie prime eccellenti assicurando una filiera etica e garantita» conclude Mirko Sanna. cod 102562
Vietri, col suo centro storico e il lungomare che dà inizio alla costiera Amalfitana, ha fatto da scenario ideale all’evento con cui la più iconica associazione di ristoranti italiani, l’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, ha festeggiato alla grande i suoi primi 60 anni. Con “100 Chef per una sera", un aperitivo nel corso Umberto I e una cena a bordo mare, menu e specialità di tutta la penisola sono andati in scena per rappresentare quella che a tutti gli effetti è stata una delle più riuscite occasioni per degustare il meglio dell’Italia a tavola. Un’occasione unica che si è caratterizzata anche
per il fatto che tutti i cuochi hanno partecipato gratuitamente al complesso lavoro che ha animato Vietri, mentre il ricavato dei biglietti (120 euro l’uno) per la cena è stato devoluto a due associazioni del territorio (L’Abbraccio Odv e Open - Oncologia Pediatrica e Neuro blastoma Onlus).
Ed è stato proprio que sto spirito di gruppo e di vera amicizia degli chef del Buon Ricordo che è
stato il segno distintivo di una festa in cui, tutti insieme, si sono sentiti orgogliosi di essere i portabandiera della più autentica cucina italiana di qualità.
Firmata dalla gran parte dei 100 chef dell’associazione, la serata è stata anche l’occasione per rinsaldare un rapporto per molti versi unico al mondo con la storica Ceramica Solimene che proprio a Vietri (Sa) produce in maniera arti-
gianale i famosi piatti del Buon Ricordo che raffigurano la pietanza simbolo di ciascun locale e che vengono donati come “Buon Ricordo”, appunto, di un’indimenticabile esperienza culinaria. Piatti che sono fatti a mano, tanto che ognuno è un oggetto a sé e che oggi sono tornati ad essere sempre più ricercati.
Visto che la tradizione vince anche a tavola, e giusto per rispettarla, tutti i partecipanti alla cena benefica per i 60 anni dell’Unione hanno quindi ricevuto in dono il piatto del 60°, dipinto a mano dagli artigiani di Solimene. Un oggetto realizzato in edizione speciale datata e numerata e in distribuzione solo in occasione dell’evento, a sottolinearne la storicità e l’unicità. Presso Solimene molti fan e collezionisti hanno fra l’altro avuto colto l’occasione della festa per “integrare” le loro raccolte acquistando qualche piatto di antiche edizioni rimasto in deposito.
«L'Unione Ristoranti Buon Ricordo, in questi 60 anni, è stata ambasciatrice e portavoce della valorizzazione della cucina locale ed è proprio questo che ci caratterizza oggi a fronte di un rinnovato interesse del consumatore verso le nostre proposte e verso la cultura della Cucina italiana - ha sintetizzato Cesare Carbone - A noi del Buon Ricordo le cose banali non piacciono: dopo l’esperienza della prima edizione di “100 Chef per una sera” organizzata nel 2014 nel centro di Parma in occasione del nostro 50° compleanno, siamo venuti a Vietri per tre ottimi motivi: festeggiare le nostre nozze di diamante con la cucina della tradizione italiana, ringraziare Vietri per le splendide ceramiche che da 60 anni sono i nostri “Piatti del Buon Ricordo”, destinare
donazioni il più possibile importanti a due associazioni che si occupano di chi è meno fortunato. Per questo tutti i nostri colleghi sono venuti in costiera da tutta Italia e dall’estero a loro spese e hanno lavorato senza percepire neppure un minimo rimborso. Qui abbiamo trovato un’accoglienza e una collaborazione straordinari: ringraziamo di cuore tutti quanti - istituzioni e privati - ci hanno affiancato con entusiasmo per la riuscita dell’evento». E a simboleggiare questo connubio ideale e storico, a nome dell’associazione il segretario Luciano Spigaroli (manager della serata) ha donato una targa di ringraziamento all’azienda Solimene.
L’evento è inziato nel centro storico di Vietri con una ricca degustazione di prodotti regionali a cura degli associati Buon Ricordo che hanno saputo valorizzare le tipicità dei diversi territori italiani, dal Culatello di Zibello alla Bresaola e al Bitto della Valtellina, dalle Olive all’Ascolana ai Peperoni cruschi, dalla Raspadüra al Salame Cremonese e a quello di Varzì, dai Pecorini all’Erbazzone, dalla Battuta di Fassona agli Involtini di petali di peperone ripieni di crema di Castelmagno, decine di prelibatezze accompagnate dai migliori vini regionali hanno permesso di ricreare un ideale tavolo italiano.
La Cena di gala si è poi tenuta sul panoramico Lungomare della Rosa dei Venti. Ideato per evocare la più rappresentativa tipicità della cucina italiana, il menu si è articolato in 4 portate, con ricette del nord, centro e sud Italia: Baccalà mantecato alla veneta con polenta di mais bianco perla e crostone di pane ai cereali, Trofie “matte” al pesto genovese con basilico Dop e Parmigiano Reggiano Dop 60 mesi, Darna di pesce scottato agli agrumi delle due Costiere, Delizia al limone (a cura dell’Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano). Tutta la cena è stata abbinata a Franciacorta Brut Le Marchesine e Franciacorta Satèn Brut Chiara Ziliani, le due cantine scelte dal consorzio Franciacorta, partner dell’associazione.
La serata ha avuto molti supporti di aziende ed istituzioni. Per la parte pubblica, è significativo il commento del sindaco di Vietri, Giovanni De Simone, per il quale «è stata una manifestazione eccezionale e per il Comune di Vietri sul Mare è stato un onore ospitare questo evento. Una vetrina importante per il nostro territorio. In tanti hanno potuto apprezzare le nostre bellezze, la nostra ceramica, il nostro paesaggio e noi abbiamo potuto gustare squisiti piatti tradizionali». cod 104496
Marche celebra la connessione tra Rossini e l'eccellenza enogastronomica delle Marche. Quindici tappe attraverso ristoranti, cantine e luoghi culturali, dove i famosi Maccheroni alla Rossini vengono reinterpretati con ingredienti locali e stagionali
Andrea Maria Antonini, assessore alla Agricoltura Regione Marche Enoturismo
di Omnia Comunicazione
“L
o stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni”. In queste parole sta tutta la passione di Rossini per la buona tavola. Il genio pesarese, compositore e grand gourmet, è al centro di un’edizione speciale di “Enoturismo Marche: dalla Vigna alla tavola”, iniziativa finanziata dalla Regione Marche - assessorato all’Agricoltura, arricchita dalla prima edizione del Grof, acronimo di Gioachino Rossini Opera Food.
Gioachino Rossini
Opera Food
Un tour enogastronomico di quindici tappe nella provincia di Pesaro e Urbino ospitate in ristoranti, cantine e luoghi culturali dove si reinterpreta il piatto rossiniano per eccellenza, i noti Maccheroni alla Rossini, prepa-
rati con gli ingredienti legati alle produzioni locali e tipiche delle Marche, valorizzandone la stagionalità e la provenienza territoriale.
Un paniere ricchissimo di sapori e profumi tipici: tra le Dop, per esempio, la Casciotta d’Urbino e il Formaggio di Fossa, tra i prodotti Igp, l’olio Marche e il Ciauscolo, la Mozzaretta Stg, i prodotti con marchio Qm come pane, tartufi e cereali, attingendo anche dalla lunga lista di prodotti tradizionali. C’è, inoltre, una sezione speciale dedicata ai vini con assonanze rossiniane, ovvero che ricordano per qualità organolettiche, i vini amati e apprezzati dal compositore.
Ricette che sono pura sinfonia. Lo chef Antonio Scarantino del ristorante AlMare di Fano porta in tavola un’interpretazione autentica della grande passione di Rossini gourmet seguendo alla regola l’antica ricetta in cui le spezie fanno da protagonista.
Un viaggio del gusto rossiniano anche quello condotto da Daniele Patti e Alessandro Furlani, chef creativi e appassionati del ristorante Lo Scudiero di Pesaro, che interpretano la cucina del grande maestro attraverso un magnifico banchetto in chiave tradizionale e raffinata così come Il Galeone dello chef Marco Vegliò.
Come nasce la ricetta di Rossini?
«È una ricetta autobiografica risalente al 1866 - racconta Otello Renzi, gastronomo e sommelier - I maccheroni di Napoli, di grosso calibro, scottati in acqua salata, vengono farciti con un ripieno ben tritato di fois gras, tartufo nero, prosciutto crudo, tuorlo d’uovo, funghi secchi e assaporati con pepe e crema di latte. La salsa veniva personalmente siringata da Rossini in ogni maccherone posto ordinatamente in una casseruola, poi gratinati al forno con del burro di nocciola oppure
GIBAS (Pesaro) - 18 aprile; PONENTE (Urbino) - 8 maggio.
Tra le cantine:
COLLINA DELLE FATE (Fossombrone) - 23 maggio; CRESPAIA (Fano) - 26 maggio;
MARIOTTI (Colli al Metauro) - 6 giugno; DI SANTE (Fano) - 21 giugno.
Nelle cantine ci sarà un momento di degustazione per mettere in luce le anologie tra i vini regionali e quelli amati e apprezzati da Rossini e aperitivi a base di prodotti tipici delle Marche. Gli altri 4 incontri si terranno in alcuni luoghi storici e culturali della provincia di Pesaro e Urbino.
con del formaggio grattugiato. Rossini raccomandava prudenza di pomodoro al fine di non sovvertire i sapori. Al piatto si può abbinare un vino strutturato ma bianco, come un Bianchello del Metauro Superiore o accompa-
gnarlo a un Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva oppure Classico».
«Con Enoturismo Marche: Dalla Vigna alla Tavola - dichiara l’assessore all’Agricoltura della Regione Marche, Andrea Maria Antonini - si intende promuovere le eccellenze, le storie e i saperi delle Marche attraverso una visione progettuale attrattiva e moderna, capace di raccontare i nostri magnifici territori attraverso la cultura del vino. La Regione Marche mira a valorizzare il settore enogastronomico regionale attraverso progetti di promozione basati sul connubio tra vino, prodotti agroalimentari di qualità, birre artigianali e agricole, menu tipici regionali. Sono sicuro che anche questo progetto incentrato sulla figura di Gioachino Rossini sia uno straordinario volano promozionale per scoprire luoghi e sapori provenienti dalle molteplici realtà locali del nord della regione che stanno vivendo la straordinaria esperienza legata a Pesaro Città della Cultura 2024». cod 104458
Per informazioni: www.dallavignaallatavola.marcheandwine.it
SOTTO LA TOQUE: SINCERA, SENSIBILE, DETERMINATA
«M
i chiamo Francesca Barone, ho 25 anni. Da un paio di anni sono la chef di Fattoria Delle Torri, uno storico ristorante di Modica, precedentemente gestito da mio padre, Peppe Barone». Inizia così il nostro incontro con la bella Francesca. Un sorriso luminoso e disarmante, idee chiare e mirate al traguardo. Che è sempre un nuovo stimolante inizio.
Francesca pensa che la sua storia d’amore per il cibo sia nata insieme a lei ma quello per il lavoro in cucina risale all’estate dei suoi 14 anni, quando per la prima volta si approccia a questo mondo. Lo stimolo non viene direttamente da lei. È lo chef Peppe Causarano (all’epoca chef di Fattoria) a capire il suo desiderio di fare la cuoca. Le dice che sta già perdendo tempo e che quell’estate la vuole in brigata. Finito il liceo, frequenta il corso di cucina a Pollenzo
all’Università di Scienze Gastronomiche, durante il quale fa due stage a Milano e Rivoli: il primo al Ratanà e il secondo al Combal0. A queste esperienze seguono 3 stagioni al Signum di Salina, uno stage alla Montecchia dalla famiglia Alajmo e brevi e frequenti viaggi all’estero. Tornata a casa capisce che gli equilibri a Fattoria, dopo la pandemia, sono cambiati. Due le alternative: vendere l’attività o prenderla in gestione. Ne ragiona a lungo con la sorella Carla, ora in sala a Fattoria, e decidono di prendere loro stesse in mano lo storico ristorante di Modica. Spinte dalla voglia di mettersi in gioco, Francesca e Carla accettano la sfida nonostante mille timori. Una firma molto personale quella di Francesca in cucina che stravolge e ricostruisce la Sicilia gastronomica attingendo dalle esperienze all’estero e da ingredienti ed elaborazioni di ricette che le sono rimaste nel cuore. Una contaminazione coraggiosa e vincente che toglie gli eccessi e va alla sostanza. Piatti monocromatici di elegante e diretta essenzialità. cod 104468
Da bambina cosa sognavi di diventare?
Mi sarebbe piaciuto lavorare nei R.I.S.
Il primo sapore che ti ricordi. Il sugo di mia zia.
Qual è il senso più importante?
Il tatto.
Il piatto più difficile che tu abbia mai realizzato.
Coniglio al pomodoro e poi fritto.
Come hai speso il primo stipendio?
Un viaggio in Andalusia.
I tre piatti da provare almeno una volta nella vita.
Biancomangiare, la chaufa de arròz, tarte tatine alle mele.
Cosa non manca mai nel frigo di casa tua?
Frutta
Qual è il tuo cibo consolatorio?
Riso, burro e parmigiano.
Che rapporto hai con le tecnologie?
Pessimo.
All’Inferno ti obbligano a mangiare sempre un piatto: quale?
Il sedano.
Chi inviteresti alla cena dei tuoi sogni?
Tutte le persone che amo.
Quale quadro o artista rappresenta meglio la tua cucina?
“Luisa paints herself in the mirror” Sebastião Salgado.
Se la tua cucina fosse una canzone quale sarebbe?
“Stranizza d’amuri” Franco Battiato.
Il 32° Simposio tecnico di AMPI, il tema "Tecniche & Tecnologie per ottimizzare la produzione", è stata un'occasione fondamentale per approfondire un dibattito cruciale che va al cuore dell'arte dolciaria. Nel bel mezzo di una turbolenta accelerazione tecnologica e di una sempre crescente globalizzazione dei mercati, la pasticceria italiana si trova a confrontarsi con una serie di sfide complesse. Queste riguardano non solo la conservazione della sua eredità storica e culturale, ma anche l'esigenza di adattarsi a nuovi contesti produttivi e di consumo.
La prima grande sfida è rappresentata dall'integrazione tra l'antica arte pasticcera e le nuove tecnologie. Un equilibrio assai delicato: da un lato, vi è il rischio di snaturare prodot-
ti che sono l'espressione di secoli di tradizione; dall'altro, l'adozione di tecnologie avanzate è indispensabile per rispondere alle esigenze di un mercato sempre più esigente e competitivo. La pasticceria italiana, dunque, è chiamata a trovare soluzioni innovative che permettano di ottimizzare i processi produttivi senza compromettere la qualità e l'unicità dei suoi prodotti.
Una seconda sfida riguarda la sostenibilità economica. L'incremento dei costi di produzione, dovuto al rialzo dei prezzi delle materie prime e all'aumento dei costi energetici, pone i pasticceri di fronte alla necessità di ottimizzare le risorse disponibili. La ricerca di efficienza diventa quindi un imperativo per garantire la competitività sul mercato, senza però ridurre gli standard di eccellenza che caratterizzano questo settore tanto importante.
Infine, i maestri pasticceri si confrontano quotidianamente con la necessità di innovare i propri prodotti, rendendoli al contempo fedeli alle tradizioni e appetibili per un pubblico globale.
La reinterpretazione dei classici, l'attenzione alle preferenze alimentari contemporanee, come la riduzione delle percentuali zuccherine o l'adeguamento a diete specifiche, rappresentano vie obbligate per rispondere a queste esigenze. Luigi Biasetto di Pasticceria Biasetto a Padova e Marco Battaglia di Pasticceria Marlà di Milano, entrambi Accademici AMPI, proprio nel solco di queste considerazioni, hanno sollevato una questione cruciale: come può l'antica arte della pasticceria italiana mantenere la propria essenza pur abbracciando le
nuove tecnologie per restare competitiva?
Biasetto ha posto l'accento sulla duplice sfida che il settore affronta oggi: da un lato, l'aumento dei costi di produzione, spinti verso l'alto da fattori quali il costo del lavoro, dell'energia e delle materie prime, come il cioccolato, la cui quotazione ha più che triplicato a causa di circostanze impreviste. Dall'altro, la necessità di preservare l'autenticità e la qualità che caratterizzano la pasticceria italiana nel mondo, nonostante la pressione di adeguarsi a metodi di produzione più efficienti e meno costosi.
«La competitività in Italia, più che in altri Paesi, si chiama costo del lavoro, si chiama costo dell'energia, si chiama oggi il costo del cioccolato perché il cioccolato ha più che triplicato ed è un'esplosione inattesa» afferma Biasetto, evidenziando le sfide economiche che il settore deve affrontare. Nonostante ciò, sottolinea l'importanza della ricerca e dell'innovazione tecnologica come mezzi per mantenere la competitività senza sacrificare la qualità.
Innovare senza tradire
Marco Battaglia, dal canto suo, esem plifica l'approccio innovativo richiesto oggi nel reinterpretare i classici della pasticceria italiana, come la zuppa in glese e la millefoglie, per renderli più adatti al contesto contemporaneo. Battaglia ha messo in evidenza come la ricerca e l'innovazione non siano finalizzate solo a modernizzare i gu sti, ma anche a ottimizzare i processi produttivi per ridurre costi e tempi, senza però compromettere la qualità.
Percentuale zuccherina e traspor tabilità diventano fattori cruciali per l'esportabilità e, in questo senso, la pasticceria deve continuare ad evol
versi, adottando tecnologie che permettano di gestire meglio ingredienti e conservazione, sempre rispettando le regole scritte sulle tavole della pietra.
Entrambi i maestri concordano sull'importanza di un equilibrio tra il rispetto delle tradizioni e l'adozione di tecnologie che possano ottimizzare la produzione. Biasetto rileva come talvolta sia necessario fare un passo indietro, riconoscendo che alcune vie di innovazione potrebbero non essere adeguate alla pasticceria. «Innovare è, a volte, anche una marcia indietro perché non dobbiamo nascondere che a volte si fa ricerca nella direzione sbagliata» riflette Biasetto, che mette in luce la necessità di una costante valutazione critica del progresso tecnico nel rispetto delle tradizioni.
Durante la terza e ultima giornata del 32° Simposio tecnico si sono, inoltre, svolti gli esami per l’ammissione in AMPI. Esami che valutano i candidati per le abilità tecniche, il metodo di lavoro, l’organizzazione e pulizia, la creatività, la conoscenza e la ca-
superato gli esami ed entrano così ufficialmente in AMPI: Yuri Cestari, Cesare Murzilli, Alessandro Tiscione e Nicolò Trovò
L’accesso a questa fase è stato solo l’ultimo step di un rigoso percorso di selezione dei candidati attuato dalla parte della Commissione tecnica, comprese delle visite a sorpresa da parte di alcuni accademici AMPI, nei rispettivi luoghi di lavoro e attività. Quest’anno si è registrato un boom di richieste per accedere in Accademia.
«Piena soddisfazione per la preparazione dei candidati. Siamo felici di aver avuto davanti ragazzi volenterosi e contenti - ha dichiarato la commissione d’esame - Guardare il loro sorriso, durante la proclamazione è stato un orgoglio anche per noi. Speriamo di far accedere sempre più talenti in AMPI, per far sì che l’Accademia diventi sempre più un punto di riferimento per la pasticceria italiana in tutto il mondo». «A nome di Accademia do il benvenuto ai nuovi maestri che hanno mostrato un altissimo livello di preparazione - ha aggiunto Salvatore De Riso, presidente AMPICari Yuri, Cesare, Alessandro e Nicolò benvenuti in “famiglia”».
L’evoluzione di un classico della pasticceria del Nordest viene rivisitato ex novo dal Maestro AMPI, che grazie a una tecnica di ieri dà vita a un gioco tra passato e futuro per un dolce familiare e innovativo al tempo stesso
Francesca Tagliabue per conto di AMPI
Una tendenza contemporanea, quella di reinventare dolci di tradizione territoriale che ormai hanno una portata di diffusione nazionale e sono conosciuti ben oltre il livello regionale o provinciale. Abbiamo chiesto
al Maestro AMPI Sandro Maritani di Staranzano (Go), la cui produzione è altamente artigianale, se si è mai trovato a ripensare a un classico di tradizione, trasformandolo ma mantenendone l’essenza.
«Proprio di recente ho scelto di rivedere un dolce intramontabile, molto sentito dalle mie parti: lo strudel» ci racconta. «Di strudel ne esistono diverse varianti, quella considerata “principe” vede per l’involucro del ripieno utilizzata una pasta molto sotti-
le, tipo la tipica pasta matta o talvolta la phyllo. L’impasto della pasta matta usa una farina molto proteica, è ricco di olio e l’effetto è di una pasta seto sa ed elastica. Il dolce così realizzato è certo buonissimo, ma già il giorno dopo non si può più vendere perché diventa un po’ appiccicoso, si capisce che non è fresco. Uno strudel che usi pasta sfoglia per l’involucro presenta più o meno le stesse problematiche, anche se la sfoglia riesce a contenere maggiormente l’umidità del ripieno».
«In laboratorio ho provato tutte queste versioni, ma non sono mai sta to pienamente soddisfatto. Ho quindi riflettuto su quanto si faceva nel pas sato, quando il dolce si realizzava con la frolla avanzata: mi spiego, una vol ta non si tirava la sfoglia con il burro, ma si incassava nella sfoglia quanto rimaneva di una frolla che avanzava, che ormai aveva perso friabilità post cottura o era stata lavorata troppe volte. Una frolla tanto “lavorata” inizia a creare una piccola maglia glutinica che in fase di cottura non sarà più friabile ma diventerà croccante».
«Ho anche scelto di fare uno strudel tondo, nella mia nuova evoluzione del tradizionalissimo strudel: preparo il ripieno con uvetta e mele saltate con burro e zucchero di canna, lo faccio un po’ scolare perché le mele rilasciano acqua, poi aggiungo polvere e granella di nocciola. Se necessario, solo qualche briciola di pan di Spagna. L’ideale sarebbe farlo con sole mele Golden, ma qui da noi quelle più fresche ci sono solo a ottobre e novembre, mentre il dolce lo vogliamo offrire tutto l’anno. Nella farcitura si può anche fare un blend di melerossa, renetta, verde - per trovare un equilibrio di acidità e gusto. Una volta pronto il ripieno, lo faccio sgocciolare e lo verso in un tubo di acetato, com-
primo per bene e congelo. Prendo poi la classica sfoglia e le do una piega in più, incassandovi la frolla».
«A questo punto, taglio metà del pastello a strisce di 1 cm, che poi appoggio orizzontalmente sull’altra metà, come si fa per il pain Suisse francese. Stendo poi questo panetto ricomposto come una sfoglia, per poi girarlo in modo che il lato con le righe appoggi sul piano di lavoro. A questo punto la stendo a uno spessore sotto il centimetro, spennello l’interno con l’uovo, sfilo il ripieno ancora congelato dal tubo al centro della sfoglia e la riarrotolo: a questo punto le righe saranno di nuovo a vista. Chiudo le estremità, avvolgo il dolce in un tappetino di silicone microforato e lo sistemo così arrotolato in una teglia da
pane, così sta fermo. Inforno a 240°C per un ora poi a 180°C per 30 minuti».
La particolarità di questa evoluzione dello strudel? «La parte ulteriore di grasso data dallo strato di frolla all’interno dell’impasto contribuisce a isolare bene il ripieno, “proteggendo” l’involucro dall’umidità del cuore dello strudel e raddoppiando la shelf-life del dolce rispetto a una tipica versione con pasta matta o classica sfoglia. Si può vendere intero o a fette, come monoporzione». Il nome? «Non potevamo che chiamarlo Insolito Strudel». cod 104373
Presso CastAlimenti il maestro titolare della gelateria Ciacco Lab, con insegne a Parma e Milano, ha tenuto una masterclass sul tema “Il potere evocativo del gelato e i lievitati”. Un viaggio nella creatività alimentare
di Gabriele Ancona«Il gelato è il primo amore, ma si evolve». Non poteva essere più chiaro il maestro gelatiere Stefano Guizzetti, introducendo una masterclass di acuto interesse presso CastAlimenti, la scuola di cucina e centro di formazione fondata a Brescia nel 1997 da Vittorio Santoro e Iginio Massari. In questo centro, che sviluppa e dispensa arte, scienza e tecnologia degli alimenti, il 9 aprile Guizzetti ha affrontato il tema de “Il potere evocativo del gelato e i lievitati”.
Un argomento in linea con la sua visione del gelato e dell’utilizzo degli ingredienti. Stefano Guizzetti, ber-
gamasco, è titolare dal 2013 della gelateria Ciacco Lab, con insegne presenti a Parma e Milano, premiata nel 2019 per il miglior gelato gastro nomico d’Italia. E questa è stata la linea guida della lectio magistralis tenuta a Brescia.
Guizzetti, va sottolineato, ha il merito di aver tracciato il percorso ideale della filosofia del “senz’altro”, che esclude dagli ingredienti gli ele menti che non siano naturalmente già presenti nelle materie prime im piegate ogni giorno. Uno studio e una sperimentazione che lo hanno portato alla realizzazione del primo gelato artigianale italiano privo di qualsiasi tipo di additivo alimentare di origine sia naturale che artificiale.
Una capacità di muoversi tra le ma terie prime che nella sala di CastA limenti ha tessuto la trama di una narrazione alimentare che ha visto il gelato diventare gastronomico, an dando oltre il gusto classico.
Ecco allora il sorbetto Salsa tonna ta, dove la materia prima diventa un elemento composito a base di cap peri, acciughe, tonno, aceto, tuorlo d’uovo, olio evo e olio di girasole o il Pulled pork, gelato carneo che pre vede che la spalla di maiale venga aromatizzata, cotta e stracciata pri ma di essere trasformata in un sor betto servito tra due soffici fette di pane. Stefano Guizzetti è un vulcano di idee che diventano edibili come nel caso dei sorbetti alla Cera d’Api, al Fieno o di quello alcolico al Mar sala e tuorlo. Creatività estrema con il Barricato, dove l’aromatizzazione raggiunge le doghe di botte di rove
ne di un gusto di gelato sviluppato
vogliamo portare la nostra esperienza educando le nuove leve al corretto utilizzo dello zucchero in pasticceria. Lo zucchero non è infatti tutto uguale. Non solo un dolcificante, ma un ingrediente che dona valore aggiunto. La linea Infundo si sviluppa in ben dieci referenze con alle spalle la caratura di Italia Zuccheri, che vanta l’unico zucchero 100% italiano da agricoltura sostenibile. Una cooperativa forte di 4 mila aziende agricole che coltivano barbabietole. Garantiamo una filiera corta, dal seme al prodotto, alla commercializzazione». cod 104490
La prossima masterclass di CAST Alimenti si terrà il 15 maggio con Jeffrey Cagnes che affronterà l'argomento “L'offerta di viennoiseries dolce e salata in stile francese”.
Giuseppe Maglione è un professionista che da sempre sa guardare avanti. Merito suo e della nonna, Anna Daniele, che a metà del Novecento nei Bassi di Napoli metteva le mani in pasta e friggeva pizze. Una pizzaiola in anticipo di decenni sui tempi e per tempra, determinazione e arte. «Ecco, proprio l’arte - spiega Giuseppe Maglione - La nonna mi ha insegnato ogni base e sfumatura del metodo di lavoro, dall’arte dell’osservazione all’utilizzo degli ingredienti».
Un grande desiderio della nonna fu quello di guidare una pizzeria con il suo nome, un marchio di identità. Le ha tributato questo onore il nipote, che nel 2016 ha dato vita ad Avellino a Daniele Gourmet, a cui hanno fatto seguito nel 2021 e nel 2023 i locali di Salerno e Casoria (Na). Sempre ad Avellino il tenace Giuseppe ha voluto diversificare, per abbracciare una fascia ancora più ampia di clientela, con il lancio di Daniele Urban, pizzeria e friggitoria classica napoletana in formato street food.
A monte di questi successi d’impresa tanto studio e pratica. «Certo - conferma Giuseppe Maglione - Uno stimolo fondamentale per me è stata la ricerca degli ingredienti. Ho viaggiato tanto per conoscere i territori e capire la genesi della cultura gastronomica dei luoghi. Ho scoperto un mondo di piccoli agricoltori e sono riuscito a creare una rete di produttori con cui collaboro». Tra i primi a mettere in pra-
tica il concetto di cucina sulla pizza, nei Daniele Gourmet rende omaggio alle singole tradizioni contadine esaltandone gli ingredienti sulle sue elaborazioni gastronomiche.
Ingredienti ad ampio raggio. Lo testimoniano le pizze dolci o quelle con la frutta. Una ricerca che fin dagli inizi si è concentrata anche sugli impasti. «Come quello al cacao per la storica Innamorarsi sul Vesuvio, che prevede crisommola, menta e frutti di bosco», annota Maglione.
Con Cirio Alta Cucina si sostiene il territorio
Nel menu di Daniele Gourmet s’incontrano pizze “futuriste” e quella della tradizione partenopea, morbidezza che nasce dall’utilizzo di farine tipo 2 e tipo 1. La stagionalità è di rigore. Tra gli ingredienti di base, spiccano quelli a marchio Cirio Alta Cucina.
«Una scelta coerente con la mia filosofia di cucina - puntualizza - Sono
prodotti nati da una filiera italiana sul territorio e che mi permettono di sostenere famiglie intere di conferitori, di singoli agricoltori. In aggiunta c’è la tradizione di famiglia. Per la nonna Anna Daniele Cirio era un punto di riferimento e una garanzia. Utilizzo Cuor di Pelato, con la sua consistenza densa e cremosa, su tutte le pizze a base rosso e I Datterini Gialli, ricchi di dolcezza naturale. Sto pensando di inserirli nell’Anna Daniele, Pizza dall’Anno nella guida Pizzerie d’Italia 2024 del Gambero Rosso, che prevede quattro varietà di pomodori campani». Molto apprezzata anche la Delicato Sorrentino, pizza gourmet a base di Datterini Gialli Cirio Alta Cucina, pesto di basilico, limone, Parmigiano Reggiano e mozzarella di bufala. cod 103904
Ci sono due mari nella vita di Luigi Buondonno. Uno è quello di Napoli, l’altro quello di Grado (Go), uniti da una diagonale che va da sud ovest a nord est. E viceversa, perché Buondonno sverna in Campania e la bella stagione lo vede in prima linea nel suo locale in Friuli, il ristorante pizzeria La Ciacolada.
«In questo modo, vivendo su due fronti opposti, posso scegliere sul campo le materie prime, in un rapporto diretto con i produttori», spiega. La Ciacolada, segnalato dalla Guida
Top Pizza, è un locale storico di famiglia, da 18 anni guidato da Luigi Buondonno con la moglie Laura e il fratello Giovanni. Si sviluppa su 200 metri quadri più un centinaio nel dehors e conta 200 coperti.
In Friuli dal 2002, da quando era ventenne, dopo aver conosciuto Laura, è cresciuto in sala a stretto contatto con la clientela, un’esperienza di fondo nel gestire oggi il locale e gli esigenti ospiti soprattutto dal nord Europa. «Oltre agli italiani - racconta - sono numerosi gli austriaci, di casa a Grado, per non parlare di tedeschi e olandesi. La Slovenia è poi dietro l’angolo. In questo modo la promozione del made in Italy dell’accoglienza e dell’enogastronomia in particolare viene effettuata ad ampio raggio. Con ottimi risultati».
Basta fare un salto in cucina e al banco pizza, regno di suo fratello Giovanni, per rendersene conto. Qui la stagionalità e il tipico campano sono di casa. «Il menu viene reimpostato ogni
quattro mesi». Ecco allora salsiccia o polpette ai friarielli, spaghetti ai frutti di mare, paccheri ai pomodorini, ricotta e granella di pistacchio, pesce alla griglia. Le pizze offrono un ampio ventaglio che associa tradizione ed estro nei topping, miscelando i sapori del sud con quelli del nord est.
«Sempre molto apprezzata - sottolinea Buondonno - la 4 formaggi revolution, che prevede fior di latte di Agerola, scaglie di Latteria 9 mesi dell’agricola Zoff di Cormos, Blu di Bufala, Provolone del Monaco di Agerola, confettura di pere pennate di Agerola e di Martinka. Un altro mix di culture è rappresentato da Passione, con fior di latte di Agerola, peperoni saltati in padella, olive, salsiccia; viene poi piegata su se stessa e sopra aggiunti prosciutto crudo di San Daniele, stracciatella di bufala e peperoncino».
La carta dei vini è a orientamento Collio e per la farine si torna a Napoli. «Abbiamo puntato sulla tradizione per eccellenza - puntualizza - che è
rappresentata da Mulino Caputo. Una garanzia per noi napoletani e un punto fermo anche per la clientela straniera. Il valore e la fama di Caputo sono infatti di dominio internazionale. Farine versatili e affidabili. Utilizziamo la Tipo 1, estremamente funzionale, e la Nuvola, trasversale, ottima per ottenere cornicioni fragranti e alveolati. Il nostro impasto è a base di lievito madre naturale». cod 104337
Un'accoglienza personalizzata del turista in Italia è una necessità urgente. Con la globalizzazione, i turisti si aspettano un servizio attento ai loro codici comportamentali, cultura e tradizioni. La pandemia ha rafforzato questa esigenza, con gli ospiti che ora sono più vigili e meno propensi a tollerare errori tamentali con riferimento alla provenienza e alla cultura e alle tradizioni di coloro che si ricevono.
n Italia sarebbe, finalmente, il momento che si passasse da un accoglienza standardizzata nei confronti degli ospiti ad una "su misura", personalizzata e attenta, e non solo in albergo, ma già a partire dai ristoranti, rispettando i codici compor-
Con la globalizzazione gli ospiti che gli operatori nell'ambito della ristorazione, ricevono, si aspettano, oramai, un'accoglienza incentrata sul rispetto dei propri codici comportamentali, espressione dei propri usi e costumi finanche con l'attenzione alle proprie eventuali superstizioni,
specie se asiatici, poiché non è più possibile ritenere attuale il motto: "Tutto il mondo è Paese!"
Come la pandemia ha cambiato i parametri Senza alcun dubbio, la pandemia ha mutato, inevitabilmente, le dinamiche dell'accoglienza e del rapporto con gli ospiti che manifestano aspettative e bisogni diversi da prima.
Si è atteso da parte di tutti, ristoratori e albergatori in primis, di festeggiare la fine delle restrizioni dovute al virus Covid 19, ma ci si è chiesti, se il personale che lavora in sala come al front office, conosca effettivamente e non per sentito dire, i codici comportamentali degli ospiti, con la loro sensibilità, che torneranno e saranno molto più vigili e meno predisposti a scusare comportamenti e atteggiamenti non consoni?
Pertanto, ci si è mai chiesti se il personale sia in grado di coccolare realmente l'ospite, partendo proprio dalla sua specifica provenienza, e quindi, dalla sua etichetta e dal suo stile e dalle sue più particolari consuetudini e credenze?
Quale formatore specializzato nei codici comportamentali nell'ospitali-
tà, nel fare le mie consulenze, anche nelle vesti di mistery guest, ho constatato come, per esempio, il personale delle brigate di sala, spesso, non sa ben gestire gli ospiti tedeschi, i più numerosi in Italia, che pretendono un servizio attento e rigoroso, fino al dettaglio, non sopportando alcuna frettolosità, richiedendo comunicazioni a voce bassa e privacy, aspettando di essere trattati come un re e una regina, valutando il servizio anche in relazione a quello degli altri tavoli loro vicini.
Con la mia esperienza professionale, ho spiegato come gli ospiti tedeschi, per mentalità e cultura, sono sempre molto attenti a spendere, e quando aprono il portafoglio per ricevere un servizio, il costo dello stesso dovrà corrispondere esattamente al suo valore, non un soldo di meno. Altrimenti diventeranno ipercritici ed insofferenti e si faranno sentire an-
che online, sui Social Network, per lamentarsi, facendo cattiva pubblicità alla struttura e al Paese visitato, a svantaggio di tutto il sistema turismo nostrano.
Insomma, se non si conoscono i codici comportamentali dei propri ospiti, come mai si potrà sperare che gli ospiti stessi si sentano "meglio che a casa propria"? Come mai si potrà fidelizzare l'ospite ma anche aspettarsi citazioni di ringraziamento per l'accoglienza e il servizio se non si riesce a fargli percepire la sensazione che lo si conosca da sempre nella sua mentalità e nei suoi bisogni?
Solo una crescita della cultura dell'accoglienza potrà aiutare veramente la continuità della ripresa del turismo in Italia che tutti ben sappiamo come offra quanto di meglio il turista desidera quanto a storia, luoghi e panorami. cod 104345
Pchelin situato ad Alba (Cn), è un ristornate che mostra due volti del servizio in sala: la parte minimalista ed essenziale della mise en place dei tavoli apparecchiati esclusivamente con il tovagliolo ed il bicchiere e poi la parte più stravagante e creativa dei piatti dello chef Enrico Crippa e delle decorazioni della due differenti sale tra cui sicuramente spicca quella affre-
fattori completamente opposti ma che viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda e ne determinano il fascino unico e identitario di Piazza Duomo.
«Nonostante l’essenzialità della sala, sono migliaia i dettagli da dover curare per poter assicurare la migliore
esperienza ai nostri ospiti» spiega Davide Franco, restaurant manager di Piazza Duomo «Un team di sala di 13 persone, per 11 tavoli disponibili, che è alla continua ricerca di perfezionare l’esperienza di chi passa a trovarci da tutto il mondo».
«Il servizio di sala a Piazza Duomo - continua Franco - lo definirei molto dinamico e familiare. È un servizio in cui i tranci sono rari ma che da un supporto totale allo stile di cucina dello chef, fatto di tanti elementi e satelliti che compongono un’unica portata. L’esempio più lampante è l’Antipasto Piemontese, ammetto che è uno dei miei piatti preferiti, composto da molteplici assaggi che variano giornalmente serviti in una volta sola».
Classe 1986, Pugliese di origine ma cittadino del mondo per adozione, Davide Franco, inizia la propria carriera a Trani, città di origine, dove comprende sin da subito l’amore per l’accoglienza che lo porterà a lavorare in alcuni dei migliori ristoranti d’Italia ed Europa come Villa Feltrinelli a Gragnano (Bs), Trussardi alla Scala a Milano, Dinner by Heston Blumenthal, Marcus Wareing, Helene Darroze at The Connaught e Core by Clare Smyth a Londra.
Il suo stile di accoglienza caldo, familiare e naturale lo porta dal 2022 a ricoprire il ruolo di restaurant manager di Piazza Duomo a fianco di Enrico Crippa. cod 104483
Probabilmente è arrivato il tempo di cambiare prospettiva.
Occorre formare gli operatori di sala sulle tecniche di vendita, guidarli ogni giorno nell'applicazione cosciente di quest'ultime e monitorare i risultati
di Enrik GjokaIniziamo con le ovvietà. Ogni azienda, in qualsiasi settore dell'economia, ha due attività primarie: produrre e vendere. Creare un prodotto materiale o un servizio e in seguito metterlo sul mercato, venderlo. La prima attività (la produzione) genera solo costi. La seconda (la vendita), oltre i costi, genera i ricavi, il fatturato. Ma ciò che veramente interessa all'impresa (qualsiasi essa sia) non è il fatturato. Si potrebbero realizzare 100mila euro al giorno di ricavi ma se poi ne abbiamo 101 di costi per produrre tali ricavi, allora andiamo in perdita e l'impresa non ha ragione di esistere. L'unica ragione di esistenza per un'azienda for profit (al contrario di un'azienda non
profit) è il profitto netto, ciò che rimane in tasca una volta pagate tutte le spese (e le tasse). Il profitto netto è il risultato del fatturato meno i costi. Dunque, per aumentare il profitto possiamo aumentare il fatturato, diminuire i costi oppure applicare ambedue le azioni sopraelencate.
Da ristorante ad azienda: il ruolo del cameriere
In un ristorante, la cucina coincide con il reparto produttivo dell'azienda invece la sala coincide col reparto vendite. La cucina genera solo costi, invece la sala, oltre che generare costi, realizza anche ricavi, introiti. Visto che il food & beverage cost è un argomento largamente trattato ci fermeremo ad analizzare le modali-
tà per far crescere il fatturato. Ma abbiamo anche un'altra ragione per concentrarci sul fatturato. Tagliare i costi può aiutarvi a incrementare i margini di profitto, ma spesso ha un prezzo salato: deteriora progressivamente la qualità dell'offerta.
Ma mettiamo (ed è solo un'ipotesi) che riuscissimo a produrre a costo zero. Se non fatturiamo, se non ven-
diamo, allora non incassiamo, non realizziamo nessun profitto, nessun utile netto e quindi non mettiamo niente in tasca. Dunque, bisogna vendere e bisogna sapere come farlo. E queste sono le ovvietà.
Il ruolo della formazione del cameriere
Visto che è ovvio che vendere è un'attività primaria per un'azienda ristorativa, perché quasi nessuno insegna a chi sta alla front line (inteso come personale in contatto diretto col cliente) le tecniche di vendita? Perché nessun istituto alberghiero dedica una materia specifica all'argomento? Perché le tecniche di vendita vengono solo menzionate, ma non approfondite? Perché, quando si dedica un po' di spazio all'argomento, vengono prese in considerazione solamente l'up selling e il cross selling?
Di vendita nella ristorazione si parla, non quanto si dovrebbe, ma si parla. Il problema è che nella realtà si fa veramente poco a riguardo. Poco interesse per l'argomento (si delega quasi tutto alla funzione “servizio” o al menu), poca formazione, poca applicazione e quasi nessuna analisi dei risultati conseguiti.
Cameriere: è tempo di cambiare
Probabilmente è arrivato il tempo di cambiare prospettiva. Forse bisogna smettere di continuare a ripetere in pappagallesco (e in modo ipocrita) che l'obbiettivo principale del personale di sala sia quello di servire
il cliente, di accontentare il cliente, di coccolare il cliente, di viziare il cliente, ecc... Verosimilmente dobbiamo ammettere che la mansione principale della brigata di sala sia la vendita, che la vendita è la raison d'être di un'azienda for profit e che senza le vendite non ci sono ricavi e, di conseguenza, profitti.
Tale cambio di prospettiva non deve essere sterile ma deve essere seguito da un cambio di livello di considerazione. Occorre formare gli operatori di sala sulle tecniche di vendita, guidarli quotidianamente nell'applicazione cosciente di quest'ultime e monitorare continuamente i risultati in modo di correggere gli errori e di migliorare le competenze. I ricavi, e soprattutto i profitti, ringrazieranno.
Cliccando su questo link ( https://360gradi-ristoconsulenza. it/corso-di-formazione-sulle-tecniche-di-vendita/) troverete ulteriori informazioni e approfondimenti sui benefici relativi all'applicazione delle tecniche di vendita nella ristorazione commerciale. Il mio intento, però, non è solo quello di condividere ma soprattutto quello di confrontarmi sui suddetti ragionamenti, perché personalmente sono convinto che dalle discussioni scaturiscono le idee migliori. Perciò vi invito vivamente a scrivermi per qualsiasi opinione (soprattutto se divergente dalle mie), correzione o punto di vista attinente all'argomento tramite questo link (https://360gradi-ristoconsulenza.it/contatti/). cod 103124
Nasce all’ombra del Gennargentu, nelle valli della Barbagia, esattamente a Fonni (Nu), ed ha 24 anni. La giovane età può trarre in inganno ma lui, Antonio Chillocci, ha esperienza da vendere.
Inizia con una seria dose di gavetta, i bicchieri da lavare e spazzare per terra sono il primo approccio faticoso per Antonio. L’esperienza accumulata durante quel periodo di apprendimento è fondamentale per la sua crescita professionale.
Con pazienza e perseveranza, si prepara ad affrontare le sfide e le opportunità che il suo cammino professionale gli riserva. Antonio osserva con ammirazione i professionisti che lavorano attorno a lui. Sia i barmen che preparano ottimi cocktail, sia i baristi che si dedicano alla perfezione nella preparazione di espressi e cappuccini.
È durante queste ore trascorse a lavorare, osservare e apprendere che Antonio sente nascere dentro di sé una passione crescente per il mondo del bartending e della caffetteria.
fessionista freelance nel mondo del bar tending, concen trando le sue energie nel la forma zione, nell’or ganizzazione di eventi privati e nel le consulenza per l’a pertura di nuovi lo cali.
di Antonio con Abi Professional è stata una scoperta emo zionante e stimo lante fin dall’inizio.
«Fin da marzo 2023 quando sono entrato nell’associazione, ho trovato in Abi Professional un alleato ideale - cosi ci dice Antonio - e una comunità accogliente nella quale condividere le mia ambizioni e l’entusiasmo per la formazione e per i grandi progetti». La sua partecipazione attiva alla vita associativa è motivata dalla volontà di contribuire al suo sviluppo e alla sua crescita.
Per Antonio, Abi Professional non è solo un associazione dedicata al mondo del bar «ma una famiglia che condivide valori e le sue aspirazione più profonde». Un consiglio che si sente di dare ai giovani che si avvicinano al mondo del bartending è di far parte di un associazione perché è ciò che fa la differenza «si va oltra alla pura pratica del bartending e rappresenta sicuramente un insegnamento prezioso che contribuisce alla formazione di individui consapevoli e solidali». cod 104440
La ricetta presentata al “Caffè Vergnano e Abi Professional Challenge”. Un drink perfetto per un'espe-
Liquore al panettone 40 ml
Specialty coffee mono-origine colombiana estratto in aeropress
Sciroppo di zucchero
Panna Debic con polvere di
Secondo la tecnica dello “shake and double strain”, unire 40 ml di liquore al panettone, 20 ml di Cointreau, 50 ml di Speciality coffee mono-origine e 10 ml di sciroppo di glucosio. Ser-
di Serena Pironi, Francesca Agostini e Silvia Lorenzini
Nel settore alimentare la sicurezza e la qualità degli alimenti sono di fondamentale importanza per proteggere la salute dei consumatori e garantire la fiducia nel prodotto. Quando si parla di contaminazioni alimentari molto spesso si pensa solo a quelle biologiche ovvero allo sviluppo di microorganismi degradativi e/o patogeni.
Tuttavia, tra i pericoli che minacciano la sicurezza alimentare, è bene non sottovalutare altre due categorie di contaminazioni: quelle chimiche e fisiche. Andiamo a scoprire nel dettaglio le contaminazioni chimiche e quindi i
pericoli che si celano negli alimenti.
Per contaminazione chimica si intende la presenza nei prodotti alimentari di molecole chimiche oltre i limiti di legge oppure che dovrebbero essere assenti. Le conseguenze sulla salute dei consumatori possono essere molteplici:
• reazioni allergiche, che possono sfociare in shock anafilattico;
• intossicazioni acute se ad alte concentrazioni;
• effetti cronici legati ad esposizioni a lungo termine a basse concentrazioni del contaminante, che possono manifestarsi come danni al sistema nervoso, disturbi endocrini, all’apparato riproduttivo, a quello immunitario o aumentando il rischio di cancro.
Le fonti di contaminazione sono spesso sottovalutate o ignorate dagli addetti ai lavori e dai consumatori, ma sono molteplici e possono essere da produzione primaria, da microrganismi, da additivi, da allergeni, da attrezzature, da imballaggi, dal processo produttivo impiegato e così via.
Innanzitutto, l’ambiente in cui viviamo già ci offre contaminazioni. Sono di origine ambientale metalli pesanti come il mercurio, il cadmio, l’arsenico e il piombo, che possono ritrovarsi negli alimenti a causa dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua o del suolo; gli inquinanti industriali come i Pcb, gli Ipa, le diossine e le sostan-
ze radiologiche come, ad esempio, il radon nelle acque
I Pfas (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate), che stanno destando crescente preoccupazione a livello internazionale sono sostanze di sintesi, estremamente persistenti, ampiamente utilizzate a livello industriale, che con il tempo hanno dato luogo ad una diffusa contaminazione ambientale, entrando nella catena alimentare e destando allarme a causa della loro tossicità e della capacità di dare luogo a bioaccumulo negli organismi viventi.
Nella produzione primaria ci sono diverse sostanze chimiche che, in assenza di buone pratiche adottate dagli addetti ai lavori, possono arrivare nel piatto. Parliamo di residui di pesticidi (sostanze chimiche impiegate per il controllo degli infestanti, funghi ed altre piante durante la produzione primaria) e, nel caso di prodotti di origine animale, di antibiotici (sostanze impiegate per la cura o la prevenzione di malattie negli animali).
I microrganismi quando si trovano nelle condizioni giuste iniziano a moltiplicarsi e quando lo fanno a volte producono sostanze che si sviluppano in seguito ad una scorretta gestione dei prodotti alimentari, come le micotossine (sostanze tossiche prodotte da funghi, come ad esempio le Aflatossine). Avete mai visto un frutto o un formaggio con della muffa grigioazzurra? Ecco, proprio quella muffa potrebbe generare tossine che, se presenti oltre certi livelli, non
si distruggono nemmeno con il calore e potrebbero divenire cancerogene.
Non sono, inoltre, da trascurare gli allergeni, ancora troppo sottovalutati dagli addetti alla ristorazione. Sono parti di proteine naturalmente presenti negli alimenti in grado di scatenare reazioni allergiche in individui sensibili, anche a piccolissime dosi.
Il regolamento europeo 1169 del 2011 riporta una lista di allergeni “noti”: anidride solforosa e solfiti (oltre ai 10 ppm), arachidi, cereali contenenti glutine oltre ai 20 ppm (grano, farro, segale, avena, orzo, khorasan), crostacei, frutta con guscio (noci, nocciole, mandorle, pistacchi, ecc.), lupini, molluschi, pesci, prodotti lattiero caseari, sedano, senape, sesamo, soia, uova e derivati
Avrete notato che in due casi sono stati specificati dei “ppm” (parti per milione), mentre negli altri casi no. Significa che solo per i solfiti ed i cereali contenenti glutine è stata individuata a livello europeo una soglia numerica di sensibilità. Le persone allergiche ad una di queste due sostanze manifestano
i sintomi con quantità superiori ai ppm citati. Invece in tutti gli altri casi ad oggi non è stato possibile individuare una soglia di riferimento, pertanto vige lo “zero”.
La lista riportata nel regolamento europeo non è esaustiva, nel senso che ci saranno persone che possono essere allergiche ad altre sostanze (si pensi ad esempio alle fragole), ma l’entità non è elevata sul territorio europeo.
La presenza di questa lista impone anche nel settore della ristorazione la conoscenza di quali sostanze allergeniche siano presenti in cucina, non solo tra gli ingredienti, ma anche dichiarati in tracce (e quindi probabili) nei singoli ingredienti.
Inoltre, occorre tenere ben presente la possibile “contaminazione crociata”, cioè la possibilità che alcuni allergeni presenti in un alimento, vadano a finire in un altro, che normalmente non li conterrebbe, a causa di scarsa attenzione da parte dell’alimentarista. Ciò potrebbe capitare quando un operatore tocca con le mani un pane di grano e senza lavarsele tocca un pezzo di formaggio. Il glutine va a finire nel formaggio, magari destinato ad un celiaco o ad un allergico al grano. Ma pensate alle attrezzature
ed alle superfici che vengono adoperate e che se non dedicate ad uso esclusivo o se non lavate tra un passaggio e l’altro potrebbero innescare tali contaminazioni.
Contaminazioni da materiali a contatto con gli alimenti (Moca)
Tornando ad altre tipologie di contaminazioni chimiche non possiamo non citare quelle da Moca (materiali ed oggetti a contatto con gli alimenti). Attrezzature di acciaio potrebbero cedere del nichel agli alimenti con cui vanno a contatto, gli ftalati potrebbero andare a finire nel cibo da contenitori di plastica, oli minerali (Mosh/Moha) potrebbero celarsi nella carta e passare nei prodotti.
Come tutelarsi? Controllando di impiegare macchinari, utensili, materiali idonei al contatto alimentare: il simbolo del bicchiere e la forchetta indica proprio tale idoneità. Inoltre, per legge i produttori di Moca devono redigere delle dichiarazioni di conformità alimentare da dare ai propri clienti e che possono essere richieste.
Non sono da sottovalutare tutte quelle molecole chimiche che si formano durante la lavorazione o la cottura degli alimenti. Ne è di esempio
La definizione di ALLERGIA è una risposta eccessiva da parte del sistema immunitario al contatto con una sostanza esterna considerata dannosa (allergene) (rif.Humanitas). Un individuo, ad esempio, allergico ai prodotti lattiero caseari non tollera assolutamente le caseine e le lattoglobuline (proteine) presenti nel latte e nei prodotti derivati, anche se in tracce.
L’INTOLLERANZA è la scarsa presenza o attività di taluni enzimi nell’individuo: la persona che mangia un componente a cui è intollerante non sarà soggetto a shock anafilattico, ma comunque potrà stare male a livello neurologico e/o gastro-intestinale a causa dell’alimento ingerito che non riesce in qualche modo a metabolizzare. Si pensi ad un intollerante al lattosio (zucchero).
La CELIACHIA è una intolleranza permanente al glutine e la persona per stare bene non lo deve ingerire.
Occorre maggior attenzione e consapevolezza a queste problematiche che potreste riscontrare in una buona percentuale dei vostri clienti! Nei prodotti alimentari le etichette devono riportare in modo grafico differente, quando presenti, le sostanze allergeniche in modo da risaltare e quindi tutelare il consumatore allergico.
Nei menu dei ristoranti o di altre attività devono essere presenti le indicazioni in merito la presenza degli allergeni o i camerieri devono essere istruiti ed essere in grado di dire quali allergeni sono presenti in ogni piatto coadiuvati da un elenco condiviso con il responsabile dell’autocontrollo.
l’acrilammide, sostanza chimica che si forma naturalmente negli alimenti amidacei durante la cottura o le lavorazioni industriali ad alte temperature di prodotti a base di grano, di patate, di caffè. L’individuazione dei pericoli sopra elencati è visibile solo per via
analitica, però una efficace gestione del rischio permette di tenerli sotto controllo.
Alla base di tutto è la gestione corretta di prerequisiti igienico sanitari quali la scelta di materie prime da fornitori qualificati, l'uso corretto e regolamentato di additivi alimentari che impone il rispetto dei limiti di legge ed il non impiego di sostanze non autorizzate, la corretta gestione dei prodotti chimici, l’uso di Moca idonei, rispettare le lavorazioni per evitare la presenza di sostanze estranee e la formazione delle risorse umane affinché applichino con consapevolezza e responsabilità tutte le azioni preventive necessarie. cod 104427
Per informazioni: www.psfoodservice.it info@psfoodservice.it
gli ultimi anni, il concetto di detox ha guadagnato una notevole importanza nel settore alimentare, poiché sempre più persone cercano opzioni alimentari che non solo soddisfino il palato, ma che promuovano anche la salute e il benessere generale. Questo cambiamento riflette una crescente consapevolezza della relazione tra alimentazione e salute e l’interesse per uno stile di vita più equilibrato. Ne abbiamo parlato con Chiara Arseni marketing manager di Acetificio Carandini Emilio Spa un’azienda che affonda le proprie radici nella tradizione dell’Aceto Balsamico di Modena Igp ma che punta anche sui mercati freschi e “healthy-orien-
Applelixir a base di Aceto di mele e superfood.
Quali sono i principali trend nel settore della salute e del benessere attualmente?
«Negli ultimi 5 anni e in modo particolare a partire dal periodo della pandemia, il focus sull’alimentazione equilibrata e sul benessere sono tornati prepotentemente al centro dell’attenzione del consumatore, tanto che ormai non possiamo parlare più di trend ma di vera e propria abitudine di acquisto/consumo. Un corretto stile di vita, un’alimentazione equilibrata e l’assunzione di ingredienti funzionali sono tra i principali cambiamenti che hanno modificato il carrello della spesa. Proprio per questa ragione abbiamo visto nascere nei supermercati nuovi spazi e nuove categorie di prodotto legati al benessere che riguardano ogni categoria di prodotto alimentare, comprese le bevande, e ogni occasione di consumo. Proprio il mondo del beverage sta vivendo un momento di profondo rinnovamento e cambiamento, con drink senza zuccheri ma con tanti ingre-
dienti funzionali. Anche il trend del non alcolico sta crescendo esponen zialmente, in tutte le fasce d’età.»
Quali benefici per la salute sono associati all’aceto di mele?
«Fin dall’antichità all’Aceto Balsa mico di Modena venivano associate proprietà benefiche, in modo partico lare legate al miglioramento della di gestione. Oggi, nella categoria Aceti, è senz’altro l’Aceto di Mele Biologico con la madre ad essere diventato il prodotto maggiormente associato ad una routine di bellezza e benessere. Tanti benefeci vengono associati a questo prodotto e molti consumatori usano diluirne un cucchiaino in un bic chiere d’acqua al mattino per un effet to detossinante grazie alle proprietà digestive e di riduzione del colestero lo.»
Come gli Applelixir di Carandini si distinguono dagli altri prodotti sul mercato nel promuovere una routine di benessere?
«Gli Applelixir Carandini nascono con l’obiettivo di unire l’Aceto di Mele ai superfood per regalare tre innovati ve esperienze di benessere, gusto e colore aggiungendo nuovi sapori e proprietà benefiche al “classico” scaf fale degli Aceti. Tre diverse ricette, Ap plelixir con Aceto di Mele, Kombucha, Zenzero e Curcuma, Applelixir con Aceto di Mele, Te Matcha, Spirulina e Menta e Applelixir con Aceto di Mele, Acai, Aronia e Fiori di Sambuco che sposano diversi gusti da quello più speziato dello zenzero, a quello più fresco della menta e quello più dolce dei fiori di sambuco per arricchire drink di benessere e tante vinaigrette e marinature.»
Francesca FornaciariComunicare alimenti “healthy” in modo responsabile significa evitare pro messe di traguardi alimentari irrealistici e con centrarsi invece sui benefici per la salute di una dieta equilibrata. È importante adottare un linguaggio neutrale e non giudicante, evitando trigger per chi soffre di disturbi alimentari. Da evitare sono parole come “die ta”, “controllo del peso”, “cibo buono o cattivo” e “riduci gli eccessi”, poiché possono promuovere comportamenti disordinati legati all’alimentazione. Promuovere l’in dulgenza moderata anziché proibizioni assolute e fornire informazioni accurate basate su evi denze scientifiche può aiutare a creare un ambiente sicuro e accoglien te per tutti.
per ogni colore dell’arcobaleno.
Un particolare approccio alla nutrizione che coinvolge consapevolezza durante il consumo del cibo. Questo metodo incoraggia le persone a essere presenti nel momento e a notare sensazioni fisiche, emozioni e pensieri legati all’atto di mangiare, promuovendo una relazione più sana e consapevole con il cibo.
3. Greta Garbo seguiva una dieta che includeva lievito crudo, siero di latte e una pagnotta al sedano.
4. La Dieta delle cinque mani di Victoria Beckham implica il consumo di proteine cinque volte al giorno.
5. Marilyn Monroe adottava una dieta che includeva digiuno a pranzo e un gelato come dessert serale.
L’inserimento delle calorie nel menu può rappresentare un’opportunità per ristoranti e ristoratori, oltre ad aiutare i clienti ad effettuare scelte più consapevoli, con ricadute positive anche per la salute. Si tratta, in ogni caso, di una pratica ancora poco diffusa in Italia e le difficoltà non mancano: ecco perché
Indicare le calorie nel menu è ancora pratica poco diffusa, ma il dibattito sull’opportunità di inserirle è sempre più acceso. A crescere è da un lato la consapevolezza che l’attenzione all’apporto calorico è un’esigenza sempre più diffusa da parte dei clienti che spesso associano la salubrità dei cibi alle calorie che portano con sé. Dall’altro, però, potrebbe anche rappresentare un’ulteriore certificazione di qualità della cucina e aiutare nella prevenzione di alcune malattie.
Indicare le calorie nei menu può ridurre le morti per malattie cardiova-
scolari secondo uno studio condotto in Inghilterra dai ricercatori dell’University of Liverpool. Ma anche il medico nutrizionista Giorgio Calabrese, presidente del Cnsa, il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, del Ministero della Salute, ne è sicuro.
Calabrese, infatti, sottolinea: «Si tratta di un’iniziativa che ridurrebbe certamente il rischio di malattie». Fondamentale sarebbe partire da un’educazione nelle scuole, «dalla materna in su», come evidenzia ancora Calabrese che è stato anche promotore di un progetto di legge per introdurre l’educazione alimentare a scuola.
Ma anche gli istituti alberghieri possono ricoprire un ruolo di primo
piano, come specifica Matteo Scibilia, dirigente Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) ed Epam (Associazione provinciale milanese pubblici esercizi) e responsabile scientifico di Italia a Tavola: «Un’idea interessante che potrebbe dare una svolta anche al lavoro dei cuochi potrebbe essere quello di incentivare un percorso - che non sia solo relativo alle calorie - con le scuole alberghiere e cominciare così a formare i giovani cuochi».
Calorie e non solo: cosa inserire nel menu
«Finalmente - dice Calabrese - in Italia ci si sta accorgendo di queste tematiche, ma oltre agli allergeni
a parte qualcuno, non si sono mai messe le calorie nel menu. Eppure, già a inizio anni ’90, avevo sperimentato, quando ero dietologo della Fiat, come l’indicazione delle calorie portasse ad una riduzione del colesterolo, anche della metà, in 15 giorni». Nel menu, secondo il presidente del Cnsa, infatti, non andrebbero indicate solo le calorie: «Non solo le calorie: i tre parametri principali da indicare sono la quantità di zucchero, colesterolo e fibra vegetale».
Scibilia - chef patron dal 1994 dell’osteria della Buona Condotta a Ornago (Mb) e che dal 2020 gestisce Piazza Repubblica a Milano - illustra come si traduce tutto questo in termini di cibo: «Una porzione di pasta con tonno e pomodoro può avere le stesse calorie di due bicchieri di birra, ma è evidente che i due cibi, pasta e birra, non diano al nostro corpo gli stessi effetti. La pasta con tonno è più ricca di nutrienti (carboidrati, proteine, vitamine, fibra, omega tre) e ogni volta che mangiamo le molecole del cibo e le calorie dialogano con il corpo con aspetti diversi».
Scibilia aggiunge: «L’indicazione delle calorie dei piatti elencati nei menu dei ristoranti avrebbe un effetto domino su tutto il settore dei pubblici esercizi e della ospitalità e avrebbe di sicuro un ritorno di immagine e di professionalità per tutto il settore. Un settore che spesso è sotto attacco per molti motivi: l’aspetto salutistico e anche di sostenibilità sarebbero i primi riflessi positivi, da un lato in un momento in cui molte preparazioni o ricette soddisfano l’ego di molti cuochi in un eccesso di creatività con ingredienti sempre più esotici e globa-
li, ma che non sempre soddisfano il cliente, tant’è che un po’ ovunque c’è un nascere di trattorie e osterie che rapidamente si ritagliano uno spazio grazie ad una offerta di piatti della tradizione».
«Introdurre le indicazioni nel menu insieme agli allergeni - prosegue Calabrese - permetterebbe ai clienti di poter scegliere dalla carta ciò che preferiscono senza la necessità di dover esporre i propri problemi di salute: aiuterebbe anche la privacy di chi si sta curando». Per il medico nutrizionista è una soluzione «assolutamente da implementare, a maggior ragione per gli chef stellati: sarebbe sufficiente rivolgersi comunicando il menu al servizio igiene alimenti dell’Asl o anche ad un privato, purché sia iscritto all’Albo e ci sia una valutazione dietologica refertata».
Calorie nel menu, i motivi di una svolta che non decolla
Ma se finora questa soluzione non ha preso piede i motivi sono certamente diversi. Se Calabrese sottolinea come a volte ci possa essere superficialità da parte dei ristoratori, è anche vero che l’associazione tra apporto calorico e salubrità del
cibo rimane centrale nell’immaginario del cliente, anche se lo stesso medico precisa: «Se una persona volesse mangiare un fritto misto, è ovviamente libera farlo, ma devo comunque essere consapevole delle calorie piuttosto che del colesterolo che ha».
Scibilia quindi rimarca: «Ai cuochi, però, pur apparentemente attenti alla qualità delle materie utilizzate, spesso sfugge una serie di nuovi valori che sono le nuove sfide che tutta la cucina dovrà affrontare. Studio, cultura e preparazione scientifica sono i nuovi traguardi, ma la difficoltà di reperimento del personale - soprattutto di cucina - rende difficile questo salto in avanti, se si tiene conto anche dell’elevato numero di personale straniero nei pubblici esercizi».
«Un reale impedimento - conclude lo chef - è anche dato dal ristorante che cambia spesso i piatti in menu: sarebbe interessante che qualche azienda specializzata creasse un programma che incentivi e faciliti questo passaggio e non è detto che arrivi qualche norma europea visto che per molti prodotti alimentari confezionati i dati relativi a calorie, grassi, zuccheri, proteine questo è già obbligatorio». cod 104217
Cdi Domenicantonio Galatà Presidente Associazione Italiana Nutrizionisti in Cucina
hi di voi, da bambino, preparava la salsa di pomodoro? E chi invece la giardiniera? E le melanzane sott’olio? Durante un’intervista per la presentazione del mio ultimo libro, il giornalista Michele Mirabella, sorridendo e riferendosi alla vasocottura esclamava: “Galatà è inutile che te la ridi non hai inventato nulla.”
Aveva proprio ragione Mirabella, in effetti non era proprio il momento di inventare, e non lo è ancora oggi, è solo il tempo di tornare a fare le
cose, quelle di una volta ma con le conoscenze di oggi. È incredibile pensare a quante cose non facciamo più: il vino, il suo cugino l’aceto. Per non parlare di cose ancora più semplici come la pasta fatta in casa. La cucina mediterranea è fatta anche di questo, di ingredienti preparati in casa.
A tal proposito, oggi voglio darvi la ricetta per preparare la giardiniera in poche mosse e in pochi minuti. Vi conviene leggere fino alla fine. In agrodolce preparo anche le cipolle rosse di Tropea, mia moglie ne è ghiotta.
Pensate che al supermercato un barattolo di giardiniera arriva a co-
stare 15 euro. Questo mi invoglia a prepararla a casa. La giardiniera di Domenicantonio Galatà (ricetta rubata all’amico e chef Marco De Vita)
“Anche questo dovrebbe fare il nutrizionista. La dieta non basta, occorre qualche consiglio d’uso, qualche altro per gli acquisti e poI dare il buon esempio.”
Aceto? Un alleato della dieta mediterranea Quando parliamo di dieta mediterranea, ci vengono in mente sempre i soliti: olio extravergine, pesce azzurro, verdure e legumi. Ma non stiamo dimenticando qualcosa? Anzi, qualcuno? Ad esempio l’aceto!
Secondo studi recenti, è in grado di abbassare la glicemia post-prandiale, limitando l’assorbimento di zucchero. E se vi pare poco, l’aceto è benefico perché aumenta anche la capacità del corpo di assorbire i minerali dal cibo che mangiamo, specialmente il calcio. Ne bastano pochi cucchiai al giorno. Ecco un buon motivo per preparare in casa le verdure in agrodolce, inoltre stanno molto bene con il baccalà o lo stoccafisso.
“Alloro, timo, rosmarino sono altri prodotti dimenticati. Così come le spezie. Ne usiamo sempre meno, mentre mettiamo più sale e più olio con la speranza di dare sapore. Ma non basta!”
Mentre il pesce azzurro è ricco di grassi buoni, i cereali integrali e i legumi contengono carboidrati, proteine e fibre. Ma non basta, ci occorrono le vitamine, i minerali e le sostanze bioattive spesso non pervenuti nei piatti perché “vittima” di inadeguati metodi di cottura.
Non dimentichiamoci della frutta fresca e di quella secca, delle uova (anche uno al giorno), dei formaggi e degli yogurt ricchi di fermenti lattici. C’è anche il vino rosso sulla tavola del Mediterraneo, ma sempre in moderate quantità.
Oggi non mangiamo più gli stessi prodotti di ieri. Sono diversi, non solo il tenore di conservanti e additivi, oggi quello che mangiamo è principalmente ultra-trasformato. E poi siamo sicuri che a rendere la dieta
mediterranea così virtuosa per la salute siano solo i caratteristici prodotti del bacino mediterraneo oppure c’è altro che ancora non sappiamo?
Del resto, Ancel Keys e Fidanza, che per primi osservarono il fenomeno della “dieta mediterranea”, non studiarono come le modalità di cottura o i metodi di conservazione intervenissero in merito.
La dieta mediterranea è spesso una celebrazione di prodotti - anche la famosa piramide, ribattezzata tempio alimentare - si limita a posizionare degli ingredienti in una sorta di scala.
Sempre nella stessa si legge “consumare con moderazione” riferito a dolciumi e zucchero, posizionati accanto ad alimenti come uova, carni, latte e derivati che hanno invece un alto valore nutrizionale e altre frequenze di consumo.
Non possiamo mettere sullo stesso piano questi alimenti; è chiaro che c’è qualcosa nella dieta medi-
terranea che va oltre questa scala. I dolciumi venivano consumati dalle centenarie di queste aree geografiche solo in occasioni speciali, alcune addirittura affermano di aver mangiato dolciumi solo al loro matrimonio. cod 104439
Giardiniera con carote, peperoni e cipolla di Tropea
Ingredienti per 1 kg di sapone:
• 1/2 litro di aceto di mele
• 1/2 litro di acqua minerale
• 2 carote
• 2 peperoni
• 1 cipolla di Tropea
:
Per il liquido di governo mettete al microonde mezzo litro di aceto di mele e scaldatelo per qualche minuto. Poi aggiungete mezzo litro di acqua minerale. Tagliate delle verdure, le carote e i peperoni a listarelle seguendo le dimensioni del barattolo e poi finite di riempire gli spazi con la cipolla rossa di Tropea a julienne.
Se sono adatti, chiudete e fate cuocere al microonde per 3 minuti circa, anche a più riprese oppure se avete dei normalissimi barattoli con tappo fate bollire in acqua bollente per almeno un’ora. Potrete poi conservare i barattoli in dispensa, in frigo una volta aperti.
La scelta delle verdure per la vasocottura ricade su quelle che hanno un maggior contenuto vitaminico espresso in carotenoidi, sostanze bioattive molto resistenti al calore e al ph acido. Vi sconsiglio di farlo con zucchine, asparagi, melanzane ecc. mangereste delle verdure morte.
L’Italia emerge come un’auten tica eccellenza nell’ambito dell’accoglienza senza glutine, un servizio cruciale per chi convive con la celiachia. Una patologia, la cui unica cura consiste in una dieta rigorosamente priva di glutine, che colpisce circa l’1% della popolazione mondiale. Tuttavia, solo una parte di questi individui è diagnosticata, circa 250.000 in Italia su oltre mezzo milione di persone celiache stimate.
La componente enogastronomica, centrale nell’esperienza turistica italiana, insieme alla tradizione culinaria “glutinosa” del nostro paese, ha contribuito a forgiare l’immagine dell’Italia come un vero e proprio paradiso per i celiaci, tanto che la stima dell’Associazione Italiana Celiachia dei turisti celiaci stranieri che hanno visitato l’Italia nel 2023, si attesta tra le 200 e le 400 mila
persone. E anche di più sono attese nel 2024, secondo i trend generali di crescita del turismo straniero nel nostro Paese. Tale reputazione emerge non solo attraverso esperienze dirette di turisti celiaci stranieri, ma anche dalle testimonianze degli italiani all’estero, che spesso lamentano una mancanza di varietà e qualità di prodotti senza glutine rispetto all’Italia.
Questo primato si riflette anche nei numeri, con il nostro paese tra i primi per la presenza di locali e strutture aderenti al servizio senza glutine, insieme a Spagna e Regno Unito. Al centro di questa eccellenza c’è il programma Afc (Alimentazione Fuori Casa senza glutine) dell’Associazione Italiana
Celiachia. Attraverso questo programma, dal 2000 le strutture ricettive e ristorative interessate seguono corsi sulla celiachia e sulla cucina senza glutine, impegnandosi a rispettare uno standard tecnico specifico. In cambio, ricevono supporto e visibilità da parte dell’Aic, tramite strumenti di comunicazione come guide cartacee e digitali, e un’app dedicata anche ai turisti celiaci stranieri.
Nonostante i successi, ci sono ampi margini di crescita. Con oltre 4.000 strutture aderenti al programma Afc in Italia, la sfida è mantenere e consolidare il primato nazionale nell’accoglienza senza glutine. Le aziende del settore Horeca che sapranno cogliere questa opportunità non solo si differenzieranno nel mercato, ma contribuiranno anche a soddisfare una domanda sempre crescente e a mantenere alto il prestigio italiano in questo campo. cod 104288
Per maggiori info: www.celiachia.it
» Dieta senza glutine
» Programma Alimentazione Fuori Casa
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