Bernardo e templari

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Emiliano Amici

San Bernardo di Chiaravalle e i Cavalieri Templari Ruolo di San Bernardo nella nascita dei Cavalieri Templari Atti del Convegno Medioevo e Neo Templari 23-24 Marzo 2013 Orte

Il seguente testo è di proprietà intellettuale di Emiliano Amici donato alla Cavalleria Angelica Santissimi Michele Arcangelo e Padre Pio Poveri Cavalieri di Cristo Onlus Fr.Ambasciatore

Estero

Emiliano

Amici


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Le origini del Tempio “Poiché, o figli di Dio, gli avete promesso di osservare tra voi la pace e di custodire fedelmente le leggi con maggior decisione di quanto siate soliti, è il caso d'impegnare la forza della vostra onestà (ora che la correzione divina vi ha rinvigoriti) in qualche altro servizio a vantaggio di Dio e vostro. È necessario che vi affrettiate a soccorrere i vostri fratelli orientali, che hanno bisogno del vostro aiuto e lo hanno spesso richiesto. Infatti, come a molti di voi è già stato detto, i Turchi, gente che viene dalla Persia e che ormai ha moltiplicato le guerre occupando le terre cristiane sino ai confini della Romània uccidendo molti e rendendoli schiavi, rovinando le chiese, devastando il regno di Dio, sono giunti fino al Mediterraneo cioè al Braccio di San Giorgio3. Se li lasciate agire ancora per un poco, continueranno ad avanzare opprimendo il popolo di Dio. Per la qual cosa insistentemente vi esorto - anzi non sono io a farlo, ma il Signore - affinché voi persuadiate con continui incitamenti, come araldi di Cristo, tutti, di qualunque ordine (cavalieri e fanti, ricchi e poveri), affinché accorrano subito in aiuto ai cristiani per spazzare dalle nostre terre quella stirpe malvagia. Lo dico ai presenti e la comando agli assenti, ma è Cristo che lo vuole. Per tutti quelli che partiranno, se incontreranno la morte in viaggio o durante la traversata o in battaglia contro gli infedeli, vi sarà l'immediata remissione dei peccati: ciò io accordo ai partenti per l'autorità che Dio mi concede. Che vergogna sarebbe se gente così turpe, degenere,serva dei demoni, dal nome di Cristo! E quante accuse il Signore stesso vi muoverà, se non aiutate chi come voi si trova nel novero dei cristiani! Si affrettino alla battaglia contro gli infedeli, che avrebbe già dovuto incominciare ed esser portata felicemente a termine, coloro che prima erano soliti combattere illecitamente contro altri cristiani le loro guerre private! Diventino cavalieri di Cristo, quelli che fino a ieri sono stati briganti! Combattano a buon diritto contro i barbari, coloro che prima combattevano contro i fratelli e i consanguinei! Conseguano un premio eterno, coloro che hanno fatto il mercenario per pochi soldi! Quelli che si stancavano danneggiandosi anima e corpo, s'impegnino una buona volta per la salute di entrambi! Poiché quelli che sono qui tristi e poveri, là saranno lieti e ricchi; quelli che sono qui avversari del Signore, là Gli saranno amici. Né indugino a muoversi: ma, passato quest’inverno, affittino i propri beni per procurarsi il necessario al viaggio e si mettano risolutamente in cammino.”1 1

Sembra che Papa Urbano II avesse utilizzato il detto "Dio lo Vuole" alla fine del discorso. Divenne il grido di battaglia usato da Pietro l'Eremita nelle sue predicazione per arruolare crociati per la Crociata dei pezzenti. Questo

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Con queste parole, Urbano II durante il Concilio del Clermont, invocò la prima spedizione verso la Terra santa, passata alla storia come Prima Crociata. Era il 27 novembre dell’Anno del Signore 1095 e il pontefice, nel rispondere ad una lettera di aiuto scritta dall’imperatore di Bisanzio Alessio Comneno che chiedeva truppe per respingere l’attacco dei turchi Selgiuchidi ormai ad un passo da Costantinopoli proprio nel momento in cui molti pellegrini cristiani, giunti in Terra santa per visitare i luoghi evangelici erano sottoposti ad indicibili torture, decise di richiamare “all’ordine” tutti i principi cristiani per difendere in nome di Dio e di suo Figlio i luoghi santi. L’obiettivo per la verità neanche troppo velato era quello di normalizzare la vita dei ranghi nobili europei duramente provati dalla lotta per le investiture e dalle guerre interne. E’ importante sottolineare come ancora non si parlava dell’obbiettivo di riconquista di Gerusalemme dato che i luoghi, benché fossero in mano musulmana, erano visitati dai pellegrini cristiani grazie a salvacondotti anche se circa un secolo prima al Hakim nel 1009 distrusse la basilica del santo Sepolcro e tutti i simboli cristiani. La spedizione era da considerarsi come metodo per redimere i peccati e chi fosse perito in battaglia avrebbe guadagnato il Premio Celeste. Secondo alcuni eminenti storici come Franco Cardini, l’intenzione dei civili e dei cavalieri era il pellegrinaggio a Gerusalemme al fine di ottenere la completa remissione di ogni peccato senza dimenticare che, benché animato in alcuni casi da un vero spirito religioso interiore, rimaneva pur sempre un pellegrinaggio armato. Le truppe cristiane partirono alla volta del Medio Oriente sotto l’abile guida di Goffredo di Buglione e, dopo tre anni e non pochi problemi dovuti alla mancanza totale di disciplina di alcuni cavalieri “improvvisati”, arrivarono nel luglio del 1099 a motto giustificava l'utilità della conquista militare della Terra santa come un sacrificio per la libertà del Santo Sepolcro.

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Gerusalemme che fu conquistata dopo un lungo assedio e dopo una carneficina totalmente ingiustificata: "Tra i primi entrarono Tancredi [d'Altavilla] e il duca di Lorena, che in quel giorno versò una quantità incredibile di sangue. Dietro di loro tutti gli altri salivano le mura, e i saraceni erano ormai sopraffatti. Ma, udite meraviglia!, per quanto la città fosse a quel punto quasi tutta nelle mani dei Franchi, tuttavia coloro che stavano dalla parte [dove si era schierato] il conte [di Tolosa] continuavano a resistere. Appena però i nostri ebbero occupato le mura e le torri della città, allora avresti potuto vedere cose orribili: alcuni, ed era per loro una fortuna, avevano la testa troncata; altri cadevano dalle mura crivellati di frecce; moltissimi altri infine bruciavano tra le fiamme. Per le strade e le piazze si vedevano mucchi di teste; mani e piedi tagliati; uomini e cavalli correvano tra i cadaveri. Ma abbiamo ancora detto poco: veniamo al Tempio di Salomone, nel quale i saraceni erano soliti celebrare le loro solennità religiose. Che cosa vi era avvenuto? Se diciamo il vero, non saremo creduti: basti dire che nel Tempio e nel portico di Salomone si cavalcava col sangue all'altezza delle ginocchia e del morso dei cavalli. E fu per giusto giudizio divino che a ricevere il loro sangue fosse proprio quel luogo stesso che tanto a lungo aveva sopportato le loro bestemmie contro Dio. Essendo la città piena di cadaveri e di sangue, molti fuggirono alla torre di David e chiesero sicurtà al conte Raimondo al quale consegnarono la fortezza. Ma, presa la città, valeva davvero la pena di vedere la devozione dei pellegrini dinanzi al Sepolcro del Signore, e in che modo gioivano esultando e cantando a Dio un cantico nuovo. E il loro cuore offriva a Dio vincitore e trionfante lodi inesprimibili a parole. Il giorno straordinario, la nuova e perpetua letizia, lo sforzo fatto nella fatica e nella devozione esigevano nuove parole e nuovi canti. Questo giorno celebre nei secoli a venire cambiò, lo affermo, ogni nostro dolore e sofferenza in gioia e in esaltazione; questo giorno, lo affermo, segnò la fine dei pagani, il rafforzamento della cristianità, il rinnovamento della fede nostra… In questo giorno il signor Ademaro, vescovo di Le Puy, fu visto in città: e molti giurarono di averlo visto salire per primo sulle mura e incitare i compagni e il popolo tutto… In quel giorno cantammo l’uffizio della Resurrezione, perché appunto in quel giorno Colui che per Sua virtù resuscitò dai morti aveva per Sua grazia resuscitato anche noi."2

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Brano tratto dalla Historia Francorum qui ceperunt Iherusalem di Raimondo d’Aguilers, nella versione italiana di F.Cardini, Il movimento crociato, p .83, Firenze, Sansoni, 1972

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Non tutti i cavalieri avevano inteso il pellegrinaggio armato come via verso una conversio interiore; molti di loro erano animati dalla voglia di conquista dei territori, altri dal portare a casa un ricco bottino, e pochi altri avevano colto il vero senso della missione, ossia quella non solo di redimersi ma di abbandonare tutti i fronzoli, ricchezze e vanità della militia saeculi al fine di portare a termine un percorso spirituale interno che avrebbe trasformato il cavaliere nel braccio armato di Cristo lottando con Cristo e per il Cristo. Ritenuto sciolto il proprio voto, alcuni cavalieri tornarono in patria, lasciando la difesa di Gerusalemme solamente a pochissimi compagni d’arme: un numero totalmente insufficiente data la vastità dei luoghi e i continui attacchi ai pellegrini che raggiungevano la Città Santa. Proprio in un’ottica di difesa Goffredo di Buglione, che si fece nominare non re ma Advocatus, istituì quattro fondazioni canoniche costituiti da religiosi che vivevano occupandosi del culto e delle anime sulla regola di Sant’Agostino fra questi i Canonici del Santo Sepolcro (ai quali si rivolse Hugues de Payns e il primo nucleo di quelli che diventeranno Cavalieri Templari) e i Canonici del Tempio chiamati così perché si insediarono nella chiesa del Templum Domini sulla spianata del Tempio di Salomone e nell’anno 1114 i Canonici del Tempio ricevettero dal Patriarca Arnolfo una regola uguale a quella seguita dai Canonici del Santi Sepolcro estendendo in questo modo la spiritualità del santo di Ippona. Proprio grazie a questa scelta i Canonici accettarono i primi cavalieri laici che intendevano darsi a Dio pur rimanendo nelle elite cavalleresche. Siamo al 1119 e per iniziativa di Hugues de Payns, originario dello Champagne e che molto probabilmente partecipò alla crociata, furono raccolti a Gersualemme alcuni compagni in una confraternita laica con l’ottica chiara di difendere il Santo Sepolcro. Sappiamo che l’iniziativa non fu l’unica: pochi anni 6


prima, soprattutto nella penisola iberica durante la reconquista, erano state formate confraternite armate con l’obiettivo di lottare contro i nemici della chiesa, tralasciando la conversione alla vita del cenobio. Nel periodo in cui Hugues de Payns era intento a raccogliere i suoi compagni di avventura per donarsi alla nuova missione le popolazioni, secondo Fulcherio, vivevano in uno stato di assedio continuo: le vie di comunicazione erano infestate dagli islamici che erano dediti ad attacchi e omicidi continui. La goccia che fece traboccare il vaso fu il vile attacco che subirono alcuni pellegrini nel tragitto che divide Gerusalemme dal Giordano dove furono trucidai con rara cattiveria. Di tutta risposta nel 1120 a Nablus fu data una prima approvazione alla nuova milizia appena formata tanto che alcune fonti fanno risalire i primi esordi del gruppo templare proprio nel 1120. Bisogna però chiarire un aspetto non secondario: il concetto di non-violenza è alla radice del Vangelo e nonostante Cristo avesse mostrato di perdonare il soldato (si veda la figura di Longino centurione romano la cui cecità parziale guarì dopo che un fiotto di sangue proveniente dal costato di Cristo gli coprì il volto) la società cristiana non vedeva di buon occhio l’uso delle armi arrivando a creare una netta distinzione tra militia saeculi quella dedita alle guerre futili, alle giostre, al gioco, alla vanitas e alla lussuria e la militia Dei che aveva l’obbiettivo di combattere il peccato con la fede e la penitenza. Facciamo un piccolo passo indietro: il bisogno di sicurezza si avvertì soprattutto nel X secolo allorché iniziò la seconda ondata di invasioni barbariche con la conseguente nascita di strutture difensive (i castelli). Di certo anche il perfetto cristiano non poteva immaginare una efficace difesa contro un nemico particolarmente abile con l’uso delle armi a cavallo come gli ungari, pertanto fu ripreso il concetto di sant’Agostino della guerra giusta da egli stesso formulata quando vide con i propri occhi la sofferenza delle popolazioni d’Africa del Nord nel mentre in cui i Vandali saccheggiavano 7


tutto ciò che incontravano sui loro passi. In quel particolare momento Agostino giustificò la forza armata solamente quando c’era da difendere una causa di estrema importanza trasformando il combattimento armato in un mezzo per assicurare la vita agli altri. Secondo Agostino d’Ippona, la guerra diventa, quindi, un mezzo fondamentale per combattere contro l’oppressione di innocenti trasformandola in strumento di difesa. Agostino però non si ferma solo ad affermare che guerra e pace non erano da considerarsi come antitesi, tende soprattutto a rivestire la “spada” del cavaliere di una certa sacralità trasformando il combattente in una emulazione di Gesù nella lotta contro male, pertanto se il canonico combatteva contro il male con il servizio pastorale, similmente i cavalieri potevano combattere per Cristo usando le armi. Il primo nucleo dei Cavalieri Templari fece voto di povertà, castità ed obbedienza dinanzi al Patriarca di Gerusalemme il quale affidò a loro il delicato compito di difendere i pellegrini che si recavano verso la Terra santa. L’idea di Hugues de Payns era di carattere prettamente penitenziale assimilando in toto il senso delle parole di Urbano II a Clermont. Baldovino II decise di “assumere” questo sparuto gruppo di cavalieri (composto da Hugo di Payens, Goffroy de Saint-Omer, Goffroy Bisson, Roland, Payen de Montdidier, Archambaud de Saint Amand, André de Montbard e Gonthemar) come strumento di polizia del suo regno sia contro i nemici esterni, sia contro quegli esponenti della nobiltà che avevano all’interno della Terra santa velleità autonomistiche. Dato il ruolo importante che stavano assumendo i cavalieri che ora si chiameranno Militia Salominica Templi il re decise di assegnare loro un’ala della sua reggia nei pressi dei resti di quello che doveva essere il Tempio di Salomone collocabile nell’attuale Al-Aqsa mantenendo lo spirito di povertà associato alle armi, diventando in questo modo pauperes commilitones Christi. I primi anni video una vera e propria penuria di vocazione, 8


essenzialmente per tre motivi: innanzitutto la normale diffidenza verso un ordine che pur animato da spirito penitenziale non tralasciava di gettare armi, poi il fatto che non tutti i membri della cavalleria amavano il rispetto dei tre voti e infine la vita dei Templari era troppo dura per chi aveva concepito il viaggio in Terra santa come occasione di guadagno. Il Concilio di Troyes Per rispondere alla crisi di vocazioni, Hugues de Payns decise di intraprendere nel 1127, quello che oggi chiameremo una “raccolta di adesioni” in Europa in un viaggio “porta a porta” con l’intento dichiarato di cooptare la nobiltà cristiana per una difesa adeguata del regno di Gerusalemme. Hugues de Payns e il suo gruppo di circa trenta cavalieri erano ben consci del fatto che una milizia laica con siffatta struttura non poteva essere sufficientemente attendibile in un’ottica di difesa dei territori di Cristo senza un avallo formale della Chiesa che in quegli anni era motrice di forti spinte riformatrici che arrivavano dal monastero di Cluny proponendosi di riportare l’intero ambiente ecclesiastico, troppo preso dall’accumulo di ricchezze, alla povertà e ad un ritorno della concezione di povertà della Chiesa di Cristo. Ricordiamo infatti che i figli cadetti che non avevano il diritto all’eredità, entravano in un monastero (quando non decidevano di intraprendere la carriera militare) portandosi così una ricca dote fonte di sostentamento dell’intera abbazia. L’orientamento si era fortemente affermato durante l’XI secolo grazie all’opera riformatrice di Pier Damiani che aveva condannato in ogni caso il ricorso diretto e indiretto alla forza; il santo nei suoi scritti associava costantemente la vita laica al peccato e la contornava di termini che rimandano alla sfera della corruzione. La forza era una prerogativa del saeculum e dato che accomunava la vita laica a quella peccaminosa, l’uso delle armi era vietato e per gli ecclesiastici il ricorso alle armi era come 9


abbandonare la conversio per ritornare al saeculum. I valori del mondo sono negativi e ci si può salvare solo andando in un monastero e poiché la conversio non è ancora completa, la militia christi non può essere tale a meno che non coincide con la rinuncia alla vanitas. Sulla stessa linea era Bernardo di Chiaravalle uno dei più grandi teologi del tempo a cui Hugues de Payns si rivolse per avere un appoggio politico e morale per una “creatura mostruosa” che affiancava la sacralità dell’essere un monaco, all’uso della spada affinchè Bernardo si facesse promotore di una mozione presso il pontefice per quella che doveva essere un’approvazione ufficiale tutt’altro che impossibile data la fama di cui godeva l’abate legato all’idea di cavalleria anche per ragioni familiari; lo zio di Bernardo Andrea di Montbard è un del primo nucleo di cavalieri Templari: Il matrimonio del fratello Gauderico lo imparentò con Ugo di Payens, fondatore dei Templari. Infine, il conte Ugo di Champagne, grande benefattore di Clairvaux, ma soprattutto di Trois-Fontaines, nel 1125 diventa anch’egli templare. Nonostante la sua diffidenza dovuta all’impostazione della riforma cluniacense di cui era un grande ispiratore, Bernardo decise di supportare i cavalieri templari nel loro sviluppo appoggiando una milizia religiosa pur continuando a vedere nella vita monastica l’unico modo possibile per arrivare alla salvezza. Ciò dipese anche dal fatto che il suo caro amico Hugues De Champagne, invece di entrare a Citeux decise di aderire ai Templari creando forte rammarico nell’abate cistercense. “Se per grazia di Dio sei diventato da conte soldato e povero da ricco che eri, in questo mi congratulo con te, com’è giusto, e in te glorifico Dio, sapendo che «questo è mutamento della destra dell’Eccelso… Potrei scordare l’antico affetto e i benefici che hai prodigati con tanta larghezza alla nostra casa?… Quanto a me, e per quanto è in me, io non essendo

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affatto ingrato, tengo conficcato nella memoria il ricordo della tua munificenza…”3.

L’improvviso cambio di rotta di Bernardo è da leggersi anche in un’ottica di cristianizzazione della società: il XII secolo era un periodo in cui la violenza era all’ordine del giorno e l’unica maniera possibile per riportare i cristiani all’ordine era quello di creare un guerriero religioso in grado di canalizzare il processo di cristianizzazione che restava comunque imperfetta. Da “tecnico” quale era Bernardo sapeva perfettamente che non poteva prendere un’iniziativa autonoma dall’eventuale decisione del papa e, proprio grazie all’intervento dell’abate, Onorio II fu propenso ad affrontare il tema dei templari solamente con un concilio per dare riprova che la chiesa era unita. Non partecipò, il papa, al concilio ma inviò il suo legato Mattia d’Albano e un rispettato ed autorevole membro cistercense Stefano Harding. Grazie all’eloquenza di Bernardo e alla sua partecipazione ai lavori, venne costituito il primo ordine religioso e al contempo militare della storia. Durante il concilio di Troyes ne 1129 fu approvata anche la Regola dei Templari che in appropriatamente ne si attribuisce la stesura a Bernardo il quale ne fu solamente l’ispiratore seguendo i dettami della regola di Benedetto. Abbiamo notizia di tre versioni della regola templare: una in latino, una in francese ed una posteriore a queste, i Retraits o capoversi, che aggiungono alle precedenti regole altri precetti. La regola latina prevedeva l’approvazione del patriarca di Gerusalemme ed istituiva il mantello bianco per i cavalieri ed il saio marrone per tutti gli altri. Dal 1139 la regola venne trascritta in francese, riportando però alcuni punti discordanti con la versione latina, concernenti il problema dei cavalieri scomunicati. La regola non cambierà più ma saranno effettuate delle aggiunte, i cosiddetti Retraits (1156-1169) che 3

Opere di san Bernardo, Lettere, ed. F. Gastaldelli, vol. VI/1, Milano 1986, pp. 160-161

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riguardavano: l’organizzazione, la vita conventuale, l’ammissione e le sanzioni; ulteriori aggiunte si ebbero nel 1260. Ai frati era fatto divieto di tenere esemplari della Regola e dei Retraits, ma durante la cerimonia di ammissione ne venivano riassunti i principali articoli. Il fatto di non mostrare a nessuno la Regola fu assunto come prova di colpevolezza durante il processo contro l’ordine. Lettere di San Bernardo sui Templari Lettera 175. Risalente al 1130 e dirretta a Guglielmo di Messines, patriarca di Gerusalemme. “…Vi prego di dirigerei vostri occhi sui cavalieri del Tempio e di aprire le viscere della vostra così grande pietà a così valorosi difensori della Chiesa. Sarà gradito a Dio e piacevole agli uomini che voi manifestiate il vostro favore a chi ha offerto la propria vita a difesa dei fratelli”

Lettera 206. Scritta probabilmente verso il 1140 e indirizzata a Melisenda, la Regina di Gerusalemme. “Gli uomini hanno udito che ho presso di voi un tantino di benevolenza, e molti che sono in procinto di partire per Gerusalemme chiedono di essere raccomandati da me a vostra Eccellenza. Fra questi vi è questo giovane mio consanguineo, un giovane, come mi dicono, molto valoroso e di buon carattere…”.

Lettera 288. Inidirizzata nel 1153 ad Andrea di Montbard, fratello della madre di Bernardo Aleth. Andrea, si imparentò con la famiglia di Ugo di Payens. Divenne Gran Maestro verso il 1153. Avendo saputo che Bernardo era gravemente malato, scrisse al nipote per manifestargli l’intenzione di venirlo a trovare. “…Che abbondanza ricava l’uomo “dall’immensità del lavoro con cui si affatica sotto il sole”? Perciò eleviamoci sopra il sole e la nostra

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considerazione riguardi i cieli, facendo ascendere in anticipo la nostra mente là dove ci troveremo in seguito col corpo. Lì, mio Andrea, lì è il frutto della tua fatica: lì sarà la tua ricompensa. Tu militi sotto il sole ma a servizio di chi s’erge sopra il sole. Pur militando qui, aspettiamo la ricompensa di lassù. La retribuzione della nostra milizia non proviene dalla terra, non si trova qui giù: “di lontano, dagli estremi confini giunge il premio”. Sotto il sole c’è povertà; l’abbondanza è al di là del sole… Da un lato desidero che tu venga, dall’altro lo temo”

Lettera 289. Scritta nel 1153 a Melisenda la quale fu consigliata di condurre una vita degna di una vedova. “…Per fortuna è intervenuto Andrea, mio carissimo zio materno, al quale non posso non credere, che con un suo scritto mi ha comunicato notizie migliori, che cioè tu ti comporti in pace e con mansuetudine, che avvalendoti dei più saggi governi rettamente te e il tuo stato, che ami e consideri tuoi familiari i fratelli del Tempio, e che cerchi di porre destramente e provvidamente rimedio ai pericoli che incombono sulla tua terra, secondo la saggezza fornitati da Dio e valendoti dei migliori consigli ed aiuti.”

Il pasto dei Cavalieri Templari La precettoria aveva la proprietà di settanta botteghe e case dotate di orto e il Tempio controllava forni e mulini che, unitamente alla vendita di vino e pesce, erano una ottima fonte di guadagno. Il fatto di essere esenti dal pagamento di tasse di ogni genere, consentiva ai Templari di applicare tariffe molto vantaggiose sollevando le proteste, peraltro più che legittime, delle corporazioni. Le precettorie Occidentali avevano il fondamentale compito di produrre cibo per i soldati impiegati in Oriente ed erano da considerarsi alla stregua delle attuali aziende agricole dedite all’allevamento e alla coltivazione. Nelle fattorie lavoravano i “civili” del Tempio mentre nei campi operavano i “fratelli di mestiere” ma spesso ci si serviva di manodopera esterna affidata ai conductores. Ovunque si coltivavano cereali, legumi e si allevavano maiali per la carne, 13


bovini per il lavoro nei campi e gli ovini per latte formaggi ma anche per la lana. Le eccedenze erano inviate al Tesoro del Tempio spesso anche sottoforma di denaro. I sergenti avevano il compito di ispezionare l’azienda in tutti i suoi aspetti sia contabili, sia produttivi e sia di approvvigionamento. Se vi erano irregolarità il precettore veniva punito e sostituito. La Regola consigliava ai cavalieri di rimanere a tavola il tempo necessario per mantenersi efficienti ed in forza per combattere ma il pericolo di una eccessiva ascesi non era molto grande. Venivano privilegiati pesce, uova, formaggi e legumi e pane che aveva, anche per la sua importanza simbolica, un posto di primo piano. "Sebbene il premio della povertà, che è il Regno dei Cieli, si debba senza dubbio ai poveri, a voi tuttavia, ordiniamo di dare ogni giorno al vostro elemosiniere la decima parte del pane".

Ovviamente l’alimentazione era diversa a seconda che ci si trovasse in Oriente o in Occidente; in occidente l’animale principale era il maiale e il cui lardo veniva talvolta usato come condimento. Anche gli ovini erano molto diffusi in quanto fornivano carne, latte e formaggi che, se in eccesso, venivano venduti. Vino e birra erano molto consumati e sovente erano aromatizzati: al vino ad esempio aggiunta cannella, chiodi di garofano, miele per poi portare tutto ad ebollizione creando una bevanda speziata chiamata ippocrasso. L’espressione “bere come un Templare” non corrispondeva ad un comportamento reale, perché l’ubriachezza nell’Ordine non era tollerata e veniva punita molto severamente, anche con l’espulsione. “…e se un fratello è abituato a bere tanto da diventare ubriaco e non vuole correggersene, bisogna punire la sua colpa…”

Il vino aveva un importante ruolo anche nelle funzioni religiose tanto che ogni precettoria doveva produrne in quantità tale da esserne autosufficiente. Proprio per questo motivo l’Ordine 14


possedeva innumerevoli vigneti e, in mancanza di essi, ci si dedicava alla preparazione di altre bevande come ad esempio la birra particolarmente utilizzata nel nord Europa dato che le condizioni climatiche rendevano estremamente complessa la produzione del vino. Quando si era lontani dalla casa madre, si poteva allestire i bivacco solo dopo aver udito: “Signori fratelli, predisponete gli alloggi, in nome di Dio”.

Successivamente si installavano le tende intorno a quelle che avevano la funzione di cappella, comando e dispensa. Quando era annunciata la distribuzione di cibo, la consegna, ogni cavaliere si doveva recare silenziosamente alla dispensa dove il vivandiere distribuiva il cibo in parti uguali variando i pezzi di carne affinché il cavaliere potesse trovare anche il suo pezzo più gradito. Godevano di un “trattamento di favore” i feriti e malati costituita da una porzione extra pari ad un terzo di quella degli altri fratelli. In alcune zone si mangiava polenta di grano saraceno proveniente dal Turkestan e coltivato in Italia. In Terra santa non si usava il maiale, un po’ per il caldo un po’ per non inimicarsi le popolazioni arabe privilegiando il montone, pecora e capra. L’olio era sempre di pregevole fattura, il vino era abbondante e al posto del miele, per addolcire, si utilizzava la canna da zucchero. In Oriente i Templari potevano usufruire di una enorme quantità di frutta (banane, arance, limoni ecc…), di datteri, fichi e carrubo. Durante l’Avvento (la “piccola Quaresima”) e Pasqua i Templari abolivano la carne consumando il pesce che doveva essere sempre disponibile e, proprio per questo, furono creati un gran numero di allevamenti di pesce in tutte quelle zone che erano scarsamente servite dal mare o dai fiumi. Intorno al XIII secolo ogni cavaliere aveva la propria ciotola, un cucchiaio, un coltello e due coppe di cui una per i pasti particolari. Cavalieri, sergenti e scudieri mangiavano separatamente. I Templari mangiavano nel refettorio il cui posto d’onore spettava al commendatario della casa, su lunghe tavole, 15


seduti uno di fronte all’altro. Le tavole erano ricoperte da tovaglie bianche, tranne il Venerdì Santo quando, in segno di umiltà, mangiavano sul nudo legno, che prima veniva ben lavato e strofinato. Il cappellano benediceva i presenti, i pasti e dopo la recita del Pater Noster a turno un cavaliere leggeva un estratto della regola. Si mangiava in rigoroso silenzio, ascoltando le letture sacre. Non si poteva parlare e si comunicava con gesti convenzionali. Era vietato alzarsi prima del commendatario a meno che no si soffrisse di epistassi o si verificasse un evento improvviso. Il cibo non andava mai sprecato e, qualora fosse avanzato qualcosa, veniva dato ai poveri. Inoltre privati e nobili spesso concedevano al Tempio cibi di alta qualità che erano concessi o a chi si era particolarmente distinto oppure in speciali ricorrenze. In linea di massima quanto era presente sulla tavola dei Cavalieri Templari era il prodotto della precettoria o delle sue dipendenze. In particolari occasioni il precettore poteva fruire della sua borsa o fondo personale per l’acquisto, fuori dell’area della precettoria, di particolari alimenti. Articoli della regola in riferimento al pasto dei Templari: VIII: Il riunirsi per il pasto In un palazzo, ma sarebbe meglio dire refettorio, comunitariamente riteniamo che voi assumiate il cibo, dove, quando ci fosse una necessità, a causa della non conoscenza dei segni, sottovoce e privatamente è opportuno chiedere. Così in ogni momento le cose che vi sono necessario con ogni umiltà e soggezione di reverenza chiedete durante la mensa, poiché dice l'apostolo: Mangia il tuo pane in silenzio. E il Salmista vi deve animare, quando dice: Ho posto un freno alla mia bocca, cioè ho deciso dentro di me, perché non venissi meno nella lingua cioè custodivo la mia bocca perché non parlassi malamente.

IX: La lettura 16


Nel pranzo e nella cena sempre si faccia una santa lettura. Se amiamo il signore, dobbiamo desiderare di ascoltare attentamente le sue parole salutifere e i suoi precetti. Il lettore vi intima il silenzio.

X: Uso della carne Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S. Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne: l'abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l'uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore della Santa Resurrezione. Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangono contenti di uno, ringraziando.

XI: Come debbono mangiare i soldati E' opportuno generalmente che mangino due per due, perché l'uno sollecitamente provveda all'altro, affinché la durezza della vita, o una furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una uguale ed equivalente misura di vino.

XII: Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di legumi Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell'uno sia rifocillato dall'altro.

XIII: Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta Nella feria sesta riteniamo lodevole accontentarsi di prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza alla passione, tenuto conto però della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei santi fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S. Maria o degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino due volte.

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XV: Il decimo del pane sia sempre dato all'elemosiniere Benché il premio della povertà che è il regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiana vi confessa indubitabilmente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.

XVI: La colazione sia secondo il parere del maestro Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale, come è consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi rechiate a Compietà, ma prima desideriamo che assumiate un convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; quando con benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma sia parco...

Il vestiario Templare Il vestiario "formale" dipendeva, come succede anche ai giorni d'oggi, dal grado che si aveva all'interno della gerarchia del Tempio. Nell’Ordine vi erano tre classi principali costituiti da: Cavalieri, Cappellani, Sergenti a loro volta seguita dagli Scudieri e i Fratelli di Mestiere caratterizzati dai muratori, artigiani, agricoltori, oltre ai Turcopoli. La guarnigione era divisa in dipartimenti: in Terra santa e in Europa il loro abbigliamento era in funzione del dipartimento di appartenenza (in Terra santa si privilegiavano abiti freschi dato il caldo torrido) e del rango. Nonostante questo vi erano elementi in comune. L’abbigliamento del templare non fungeva da decoro estetico ma serviva per ripararsi dal sole, dal caldo e soprattutto doveva essere molto comodo in modo che ci si potesse spogliare e rivestire rapidamente soprattutto in Oriente visti i continui scontri col nemico. Fino al 1128 l’abbigliamento templare era ancora quello di un normalissimo cavaliere: dopo il Concilio di Troyes fu codificata una divisa che vide, nel 1145, l’aggiunta 18


della famigerata croce patente (o meglio, la sua conferma dato che veniva già usata anche prima dell'ufficializzazione). Il fratello adibito al controllo delle vesti era il drappiere che vigilava sugli indumenti che dovevano avere la lunghezza e la taglia adatta al cavaliere ed essere essenziali e privi di qualsiasi fronzolo. Date le minacce musulmane i Templari avevano un “armadio” da guerra particolarmente ricco di elementi: -Usbergo: tunica di cuoio intrecciato con maniche e cappuccio, successivamente creato in maglia di ferro e veniva riposto, quando non usato, in una sacca di cuoio; -Giaco: più leggero dell’usbergo non proteggeva le braccia; -Brache di ferro: gambali di maglia di ferro che l’allacciatura nella parte posteriore della gamba; -Cappuccio da guerra: protezione di maglie fissate da allacciature che veniva posta sotto l’elmo o il cappello di ferro, un casco che chiudeva la testa ed era utilizzato alcune volte in sostituzione dell’elmo che per essere indossato si dovevano avere barba rasata e capelli corti come ordinato al capitolo XXVIII della Regola: “Della superfluità dei capelli. Bisogna che tutti i fratelli, soprattutto quelli della Magione, abbiano i capelli tagliati, i modo che appaiano, davanti e dietro, regolari e decenti. Si osserverà inviolabilmente la stessa regola per la barba i baffi, affinché nulla appaia superfluo e ridicolo”

Durante le battaglie, il cavaliere infilava la cotta sopra quella fatta di maglie allo scopo di proteggere l’usbergo da sole. La cotta, bianca, portava la croce patente e scendeva fino al ginocchio e stretta da una cintura e un budriere cinghia di cuoio che i soldati portavano a tracolla per tenervi appesa la spada o la sciabola. Altro elemento importante erano gli speroni regolati dal capitolo XXXVII:

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“Noi non vogliamo assolutamente che appaiano, in nessun modo, né oro, né argento, che risaltino la ricchezza dei particolari, ai morsi o ai pettorali, né agli speroni, né alle briglie, e non sarà permesso a nessun fratello di acquistarne. Se si tratta di vecchi ornamenti donati per carità, che si oscuri l’oro e l’argento, in modo che il loro splendore e la loro lucentezza non sembrino agli altri un atteggiamento di arroganza. Se vengono donati da nuovi, che il Maestro ne disponga come gli piacerà”

L’armatura del cavaliere, che aveva una concezione diversa da quella che intendiamo ora, era composta di una tunica, spalliere e scarpe e per armamenti erano dotati di: -Spada: a doppio filo e punta arrotondata. -Scudo: triangolare fatto di legno, imbottito, ricoperto di cuoio e leggermente curvo. -Lancia: fabbricata in frassino terminava con un ferro a losanga o a forma di foglia di salice. Essa era lunga anche tre metri. -Mazza turca: poco impiegata, era formata da un manico di legno e un pezzo di metallo all’estremità. -Ascia: per spaccare legna. -Coltello d’arme: arma due tagli e portata al fianco destro. -Coltello da taglio: utilizzato per il pane. -Temperino: da utilizzare in varie occasioni. L’abito “civile” veniva confezionato in base alle materie prime disponibili: al capitolo XX la Regola afferma; “Ordiniamo che i vestiti siano sempre di un colore, per esempio bianchi o neri, e di stoffa robusta; e concediamo a tutti i cavalieri professi di avere degli abiti bianchi in inverno e in estate, se ciò è possibile, perché coloro che hanno rifiutato una vita di tenebre possano riconoscersi dai loro vestiti bianchi poiché una vita luminosa li ha riconciliati al loro Creatore. Cosa significa il bianco, se non castità e integrità? Castità significa la tranquillità dello spirito e la salute del corpo. A meno che ciascuno dei cavalieri non si conservi casto fino alla fine, non potrà mai raggiungere il riposo eterno né vedere Dio, secondo la testimonianza dell’Apostolo San Paolo: mantenete la pace con tutti, e la castità senza la quale nessuno potrà vedere il Signore (Ebr. XII, 14). Ma poiché questi vestiti non devono avere nulla di ostentato e di superfluo, ordiniamo che tutti l’abbiano in modo che ciascuno possa

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facilmente vestirsi e svestirsi, mettersi e togliersi le scarpe da solo. Coloro che hanno questo incarico devono ben controllare che l’abito non sia troppo lungo o troppo corto, ma conformarlo alla taglia di ciascuno; che essi usino per i fratelli tutta la stoffa necessaria. Quando ai fratelli verranno assegnati degli abiti nuovi, che essi restituiscano subito i vecchi, perché siano conservati nel guardaroba, o in qualunque altro luogo scelto dal drappiere, per servire ai sergenti e agli altri servitori, e talvolta anche i poveri”

Come abbiamo visto, il drappiere era colui il quale gestiva la distribuzione degli abiti e poteva farsi aiutare anche da sarti e tagliatori: “Il drappiere deve dare ai fratelli ciò che è necessario per vestirsi e per dormire, come compete alla sua carica, salvo le coperte di lana per i letti. Quando i vestiari provengono da oltremare, il drappiere deve essere presente per disfare i pacchi, e tutti i doni indirizzati ai fratelli del convento, devono essere portati al proprio posto o dove devono essere. Inoltre si deve prendere cura che i fratelli siano vestiti onestamente, e, se uno di essi non lo fosse, egli può riprenderlo ed il fratello deve obbedire; poiché dopo il maestro ed il maresciallo, il drappiere ha una posizione superiore rispetto ad ogni altro fratello. Il drappiere deve assicurarsi che nessun fratello abbia sovrabbondanza o possieda un oggetto che non gli spetta, che vengano abbandonati o vengano resi a chi sono dovuti; tutti i fratelli devono essere contro colui che agisce o parla in modo falso. Il drappiere deve prendere in consegna dal fratello, quando lo si ordina fratello templare, tutto il suo abbigliamento se questo è di vaio o di scarlatto; e se egli dona dell’oro o dell’argento o del denaro alla casa, se il valore è entro i 10 bisanti, questi devono restare alla drapperia ed il resto va al comandante della terra. E tutto quanto è attribuito al drappiere del convento, lo è anche del drappiere della terra di Tripoli e di Antiochia”

Il Templare riceveva come corredo personale: due paia di calze (una con la suola in cuoio) sostenute da lacci legati attorno alla gamba, due brache fissate alla vita da una cintura in tela, due camicie (capitolo LXIX) “che non sarà permesso d’avere che una sola camicia di tela dalla festa di Pasqua fino ad Ognissanti. Avendo considerato che bisogna tenere in considerazione i grandi caldi della regione orientale, si concederà, non per

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diritto, ma per grazia, una sola camicia di lino a ciascuno dalla festa di Pasqua ad Ognissanti, ben inteso che questo sarà a disposizione di chi vorrà servirsene; e per il resto dell’anno non si avrà in generale che delle camicie di lana”

e una piccola cintura. Per la tenuta da casa era prevista una cappa che avvolgeva il corpo, con un cappuccio e maniche che coprivano le mani: tuttavia quando il cavaliere era in punizione poteva solamente indossava la cappa senza dotarsi della croce. A ciò si aggiungevano due mantelli di cui uno più pesante dell'altro. Il mantello era un abito di estrema importanza per l'Ordine e la Regola precisa al capitolo XXI che “i servitori non devono affatto avere l’abito, cioè i mantelli bianchi : noi siamo assolutamente contrari all’uso che si praticava nella Maison de Dieu e dei fratelli cavalieri, e senza consultare né richiedere per questo il parere del capitolo comune, noi lo classifichiamo a tutti gli effetti come un abuso nel quale si era caduti; in quanto un tempo i servi e i serventi d’arme avevano delle tuniche bianche, e ciò causava una confusione intollerabile. Si sono scoperti, in zone oltremontane, dei falsi fratelli, e per giunta sposati; ed altri che si dicevano del Tempio, anche se erano del mondo. Questi hanno causato all’Ordine dei cavalieri molto disonore e scandalo, ed i servi che abitavano nella Casa hanno fatto nascere degli scandali a causa della loro superbia. Che essi portino quindi degli abiti neri, e se non possono trovarne di questo colore, che si servano di quelli che si usano nella provincia o nel luogo in cui abitano, e di ciò che sarà a disposizione di più vile colore, e di qualche stoffa grossolana secondo la taglia: il dispensatore delle stoffe dovrà essere preciso su questo articolo”.

Il mantello di colore bianco spettava solamente ai cavalieri e alle alte cariche del Tempio: gli scudieri avevano abiti scuri e i sacerdoti avevano vesti nere. Qualora un cavaliere si fosse reso responsabile di un gesto che andava contro la Regola di Bernardo, era costretto a restituire il mantello e le armi (che erano di proprietà dell'Ordine) in cambio di una cappa a meno che non ci si trovasse sotto attacco, in quel caso il “peccatore” poteva riappropriarsi momentaneamente del suo equipaggio 22


salvo poi riconsegnarlo a fine combattimento. A pena espiata, rientrava in possesso del suo corredo completo. La Regola (capitolo LXX) fornisce obblighi anche per quanto riguarda l’equipaggiamento per la notte: “che si devono fornire i letti, e tutto ciò che può servire per il letto. Noi giudichiamo, a questo proposito, che sia opinione comune che, per quanto riguarda il dormire, ognuno dorma a parte nel proprio letto, eccetto nel caso di una grande necessità. Ciascuno avrà dei letti o dei giacigli secondo il giudizio del Maestro. Ma noi crediamo che un sacco, un materasso e una coperta siano sufficienti. Se a qualcuno mancherà una di queste cose, che abbia un tappeto, e sempre in ogni stagione potrà avere lenzuola di tela. Si dormirà con la camicia e i calzoni, e che ci sia sempre una luce durante il sonno dei fratelli”

La Regola elencava anche ciò che era possibile donare: magari una vecchia cotta di maglia, un vecchio giustacuore, le vecchie brache o le vecchie camicie, le vecchie uose o calzari, o ancora una lanterna di propria fabbricazione, un pezzo di cuoio o una chevreline (probabilmente un mantello di pelle di capra).I doni erano destinati agli scudieri i quali ma prestavano servizio a termine. Quando uno scudiero terminava il lavoro presso un cavaliere, gli poteva donargli una veste che avesse almeno due anni. Quando uno scudiero lasciava il servizio di un cavaliere, quest’ultimo, se era soddisfatto di lui, aveva il diritto di fargli dono di una veste indossata da almeno due anni. Per finire si aggiunge che il cavaliere aveva l’obbligo di badare con cura meticolosa alla perfetta manutenzione del proprio equipaggiamento a cui non si poteva apportare alcuna modifica senza consenso del Commendatario. De Laude Novae Militiae Ad Milites Templi Tra il 1129 e il 1135 Bernardo scrisse un sermone esortativo dal Titolo De Laude Novae Militiae Ad Milites Templi con l’intento 23


di enumerare i caratteri fondanti dell’etica templare: il rifiuto della ricchezza, la conversione, il martirio. Di certo il trattato non rappresenta una inversione di rotta di Bernardo il quale rifiutava i concetti di uso della violenza e il modo di vivere e di comportarsi della milizia secolare. Per Bernardo la vera militia Christi era quella che nasceva in seno ad un monastero caratterizzata da una forte ascesi spirituale secondo una linea di pensiero da sempre presente nella Chiesa per cui la rinuncia agli agi della vita esterna al chiostro era la sola via che conduceva alla perfetta comunione con Dio, cosa di cui lui stesso ne fu il più lampante esempio. Come immaginiamo, Bernardo non si discostò mai da quelli che erano i propri ideali che nascono in seno alla riforma cluniacense dato che Cluny era il centro propulsivo della riforma ecclesiastica e della cristianizzazione del mondo laico. I sei anni che intercorrono dall’approvazione a Troyes e la stesura del De Laude denotano senza dubbio uno sforzo importante per trovare una perfetta sintesi tra la teoria del bellum iustum e quella del contemptus mundi ossia il totale abbandono di mezzi materiali. L’impresa era tutt’altro che facile ed è facile immaginare il tormento interiore e il forte imbarazzo di Bernardo nel trovare un punto di convergenza tra due argomenti apparentemente opposti anche perché è fondamentale ricordare come l’abate si sentiva un monaco completo tanto più che le sue origine non sono di certo povere; forse anche per questa ragione la conversione auspicata nell’Ordine dei Templari rimaneva sempre un gradino sotto alla vera conversione che prevedeva, come abbiamo visto, la vita cenobitica la quale rimaneva il più alto esempio di conversione possibile. Il problema che doveva quindi affrontare era insito nel carattere penitenziale dei templari i quali si offrirono in qualità di conversi canonicali in modo tale da apparire già inquadrati all’interno della Chiesa: l’elemento fondamentale della conversio era l’espiazione dei propri peccati che doveva 24


avvenire a partire dal lato prettamente esteriore: si dovevano vestire vesti rovinate, era vietato avere la barba ordinata, silenzio durante i pasti, preghiera, e risate sguaiate. Questi elementi erano presenti anche nella Regola ispirata da Bernardo e in qualità non solo di penitenti ma anche di poveri, il rifiuto per la mondanità, lussuria, ricchezza, fasti e fronzoli di ogni tipo era netto ed irrinunciabile e i tre voti che si dovevano fare per entrare nella confraternita ne sono una fulgida testimonianza. Leclercq definisce il De Laude come una carta che giustifica la violenza della cavalleria e vede nella medesima una alternativa alla cavalleria laica che, come abbiamo visto, era ben lungi dal convertirsi. Bernardo si trovava dinanzi ad un forte imbarazzo: come conciliare l’attività cenobitica con l’uso delle armi? Anche se durante la cerimonia di addobbamento la spada era consacrata arrivando così anche a militarizzare il cristianesimo, essa doveva essere usata anche per uccidere non solo il peccato ma anche il nemico contravvenendo in modo palese al Comandamento che vieta l’uccisione di un cristiano. Per sbrogliare l’intricata matassa, Bernardo, da abile mente, formulò il concetto di malicidio. Riprendendo il concetto agostiniano di «guerra giusta», Bernardo teorizzò che l'uccisione di un infedele, di un eretico o di un pagano - giudicati come nemici della fede - non deve essere considerata come un omicidio (vietato dal V Comandamento), ma come un «malicidio», ovvero come l'estirpazione di un male. Il pagano da sopprimere doveva essere eliminato in quanto portatore di un Male assoluto e irredimibile, ma restava degno di amore per la sua umanità. Tuttavia, secondo Bernardo, non è lecito uccidere il male nell'infedele (e l'infedele stesso) se prima non si è «ucciso» il male in sé stesso. In questo modo, la crociata diviene nella concezione cattolica medievale un momento ascetico e penitenziale del guerriero stesso. Bernardo si dichiara in ogni caso contrario alla coercizione per forzare la conversione gli infedeli, e giustifica la violenza come mezzo di difesa della fede, dichiarando che «Non si dovrebbero 25


uccidere neppure i pagani qualora ci fosse una maniera diversa per impedir loro di opprimere i fedeli.». Questa teoria fu elaborata da Bernardo in base ad una specifica questione postagli dai Cavalieri Templari per dare una qualche risposta alla difficoltà per un cristiano di conciliare la guerra non difensiva con la parola di Dio. Bernardo riprende e sviluppa in diverse altre occasioni gli argomenti alla base della nozione di malicidio. Nel 1146, nella lettera 363 il santo esorta il clero ed i fedeli della Francia orientale a prendere le armi per difendere la Chiesa d'Oriente contro il pericolo degli infedeli, ed afferma che «La morte inflitta o ricevuta nel nome di Cristo da un canto non ha nulla di criminale, dall'altro merita una gran gloria». L’elogio del cavaliere martire mostra come per Bernardo sarebbe certamente meglio non uccidere se solo vi fosse un modo per impedire loro di nuocere ai cristiani. I Templari servivano da modello non solo ai cavalieri laici ma anche a molti monaci. Il cavaliere laico è imprudente ed impetuoso, i Templari scendono in campo con disciplina e Bernardo afferma che la prudenza è accompagnata da un valore senza dare tregua al nemico. La società del tempo era divisa in due fazioni: vi era chi come Gregorio VII che voleva una cavalleria che fosse il vero braccio armato della Chiesa, vi erano, come abbiamo visto, altri come Pier Damiani che aborriva ogni uso di armi per qualsiasi ragione in quanto l’arma era prerogativa del saeculum tanto da definire “oltraggioso” ogni termine che si riferiva ad ambienti esterni al monastero e l’unica vera Militia Christi era quella cenobitica. Composizione del De Laude Del testo esortativo abbiamo già parlato, tuttavia in questo paragrafo lo affronteremo in maniera più compiuta arrivando a scorgerne i tratti essenziali. Ci appare subito chiaro come nell’esaltare la nuova cavalleria, Bernardo critica la milizia del 26


secolo che definirà maliziosa (non militia sed malitia) rimproverandone la mondanità, la vanità, la partecipazione a tornei, all’utilizzo di pietre preziose e ai fronzoli che non incutono timore nel nemico ma solo cupidigia. La sfrontatezza di alcuni cavalieri laici li condusse ad atti di violenze e saccheggi a danno dei poveri tanto che la Chiesa decise di instaurare una pax Dei con l’intento di porre fine alle atrocità punendo con la scomunica chiunque si macchiasse di oltraggi a persone e a luoghi, specialmente se sacri. Il sermone inizia con un prologo: “A Ugo, cavaliere di Cristo e Maestro della Milizia di Cristo, Bernardo, abate di Chiaravalle solo di nome: combattente il giusto combattimento (II TM, 4, 7). Per, una, due e tre volte, se non erro, o dilettissimo Ugo, mi hai chiesto di scrivere un discorso di esortazione per te e per i tuoi compagni d’arme e di brandire lo stilo, dal momento che non mi è concesso brandire la lancia, contro un nemico tirannico. Affermi che sarà per voi di non poco conforto se io vi incoraggerò per mezzo dei miei scritti, dal momento che non posso farlo per mezzo delle armi. Ho tardato alquanto, in verità, non perché la richiesta mi sembrasse da disprezzare, ma perché il mio consenso non fosse tacciato di leggerezza e frettolosità: uno migliore di me potrebbe adempiere più degnamente a questo compito. Se nella mia inesperienza, peccassi di presunzione rischierei di rovinare per colpa mia un’opera quanto mai necessaria. Mi rendo conto di aver atteso abbastanza a lungo e inutilmente, e, per non sembrare riluttante più che incapace, ho fatto infine quello che ho potuto: il lettore giudichi se sono stato all’altezza del compito. E se pure qualcuno rimarrà poco o niente soddisfatto, non importa poiché, nella misura delle mie capacità, io non ho deluso la tua aspettativa.”

Il primo capitolo è una vera e propria esortazione ai cavalieri del Tempio “Da qualche tempo si diffonde la notizia che un nuovo genere di Cavalleria è apparso nel mondo, e proprio in quella contrada che un giorno Colui che si leva dall’alto visitò essendosi reso manifesto nella carne; in quegli stessi luoghi dai quali Egli con la potenza della sua mano (Is, 10,13) scacciò i principi delle tenebre, possa oggi annientare con la schiera dei suoi forti

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seguaci di quelli, i figli dell’incredulit, riscattando di nuovo il suo popolo e suscitando per noi un Salvatore nella casa di David, suo servo. (Ef, 2, 2; Lc, 1, 69). Un nuovo genere di Cavalieri, dico, che i tempi passati non hanno mai conosciuto: essi combattono senza tregua una duplice battaglia, sia contro la carne ed il sangue, sia contro gli spiriti maligni del mondo invisibile.”

Si prosegue poi con la critica alla milizia secolare “Qual è dunque il fine ed i vantaggi di quella cavalleria secolare che io non chiamo “milizia” ma “malizia” dal momento che l’uccisore pecca mortalmente e chi muore perisce per l’eternità? Infatti, per usare le parole dell’Apostolo: chi ara deve arare nella speranza e chi batte il grano nella speranza di coglierne i frutti (I Cor, 9, 10). Pertanto, cos’è, cavalieri questo errore tanto sbalorditivo, questa follia tanto insopportabile: compiere la vostra milizia con tante spese e fatiche senza nessun altra ricompensa se non la morte ed il crimine? Bardate di seta i cavalli, e sopra le vostre armature indossate non so quali bande di stoffa ondeggianti; dipingete le lance e gli scudi e le selle; abbellite con oro, argento e gemme i morsi e gli speroni E con tanto sfarzo, con un furore vergognoso e una stupidità che vi impedisce la vergogna vi precipitate alla morte. Ma sono questi ornamenti militari o piuttosto abbigliamenti da donne? Credete forse che la spada del nemico rispetterà l’oro, risparmierà le gemme e non sarà in grado di trapassare la seta? Ed infine tre sono le qualità principalmente necessarie al combattente cosa che voi stessi molto spesso e concretamente avete sperimentato - cioè che il cavaliere sia risoluto, abile e circospetto per la propria salvezza, libero da impedimenti per poter correre e pronto a colpire. Voi, al contrario, lasciate crescere con uso femmineo la chioma a molestia degli occhi, impacciate i passi con camicie lunghe e fluenti, seppellite le mani tenere e delicate in maniche ampie e svolazzanti. Ma, al di sopra di tutto ciò, vi è cosa che maggiormente atterrisce la coscienza d’un uomo d’armi - la causa leggera e frivola per la quale intraprendete la vita di cavalleria tanto pericolosa. Tra voi null’altro provoca le guerre se non un irragionevole atto di collera, desiderio d’una gloria vana, bramosia di qualche bene terreno. E certamente per tali motivi non è senza pericolo uccidere o morire.”

Nella terza parte, bernardo descrive chi sono i Cavalieri di Cristo evidenziando tutti i contrasti con la cavalleria del secolo

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“I Cavalieri di Cristo, al contrario, combattono sicuri la guerra del loro Signore, non temendo in alcun modo né peccato per l’uccisione dei nemici né pericolo se cadono in combattimento. La morte per Cristo, infatti, sia che venga subita sia che venga data, non ha nulla di peccaminoso ed è degna di altissima gloria. Infatti nel primo caso si guadagna [ vittoria] per Cristo, nel secondo si guadagna il Cristo stesso. Egli accetta certamente di buon grado la morte del nemico come castigo, ma ancor più volentieri offre se stesso al combattente come conforto.”

Il quarto capitolo riprende la regola del Tempio sciolinando le norme da rispettare durante la quotidianità “Ma ora, per dare un esempio e per confondere i nostri cavalieri secolari, che certamente non militano per Dio ma per i! diavolo, trattiamo brevemente dei costumi e della vita dei cavalieri di Cristo: come essi si comportano in guerra e in pace, affinché appaia chiaramente quanto differiscano tra loro la cavalleria di Dio e la cavalleria del secolo. Innanzitutto certamente non manca la disciplina, né l’obbedienza vie ne mai disprezzata: poiché, secondo la testimonianza della Scrittura, Il figlio disobbediente perirà (Eccl, XXII, 3) e Opporsi alla disciplina è peccato pari all’esercizio della magia, e non voler obbedire è peccato quasi come l’idolatria (I Re, 15, 23). Ad un cenno del superiore si viene e si va si veste di ciò che egli donò; né si attende da altre fonti il nutrimento e il vestito. Nel vitto e nell’atteggiamento ci si astiene da ogni cosa superflua, si provvede alla pura necessità. Si vive in comune, con un genere di vita sobrio e lieto senza spose e figli”.

La parte quinta parla del Tempio di Gerusalemme “Il tempio di Gerusalemme, nel quale hanno comune dimora, è una costruzione senza dubbio più modesta dell’antico e di gran lunga più famoso tempio di Salomone, ma non gli è inferiore in gloria. Mentre lo splendore di quello consisteva in cose corruttibili d’oro e d’argento (I Pt, 1, 18), nella squadratura delle pietre, nella varietà dei legni, tutto il decoro di questo, al contrario, e l’ornamento che fa gradita la sua bellezza è la devota religiosità dei suoi abitanti ed il loro disciplinatissimo genere di vita.”

Come abbiamo accennato, Bernardo non sopporta l’idea del pPellegrinaggio, egli non vedrà mai Gerusalemme ne aveva mai avuto la minima intenzione di andarvi. L’abate preferiva riflettere sul significato dei luoghi della Terra santa pertanto 29


dedica l’ultima parte del De Laude ad un ideale itinerario interiore atto a divenire una guida spirituale che spiega il significato teologico e religioso dei luoghi. L’abate procede nel suo lavoro analizzando il significato del nome del luogo in esame, dandone poi una spiegazione mistica; così facendo passa in rassegna i principali siti sacri: da Gerusalemme a Betlemme, da Nazareth a Bethfage, la valle di Josafat e, soprattutto, il Tempio. I luoghi fisici servono soltanto per costruire l’itinerario mistico della trattazione che porterà alla ricerca divina. Bernardo, servendosi di opere come il Liber interpretationis hebraicorum nominis di S. Girolamo, analizza il significato del nome nella lingua ebraica. Il primo luogo sacro passato in esame è il Tempio, che è la sede della confraternita e che dà anche il nome all’ordine stesso. Lasciandosi influenzare dalle sue concezioni artistiche, Bernardo, mette il nuovo edificio a confronto con l’antico, ponendo in risalto la sobrietà del decoro dell’edificio templare con la maestosità architettonica ed artistica della costruzione antica. Un nuovo tempio che viene glorificato dalle azioni dei suoi occupanti e gli arredi, che anticamente erano di immenso valore, sono sostituiti dalle armi e dagli scudi dei cavalieri. Da qui i cavalieri partono per compiere la propria missione di liberare e difendere i luoghi della vita di Cristo. La sede del Tempio come quartier generale venne perduta più volte e mai più riconquistata, poiché l’ordine la trasferì a S. Giovanni d’Acri. Betlemme è la seconda tappa di questo itinerario spirituale, che dà a Bernardo l’opportunità di spiegare il mistero dell’incarnazione; il significato del toponimo “casa del pane” è il punto di partenza della spiegazione dell’offrirsi del Verbo agli uomini come pane spirituale: molto semplicemente Betlemme rappresenta il luogo in cui nacque il divino figlio. Nazareth, altra tappa del viaggio mistico che Bernardo ha creato per i Templari, è il luogo d’infanzia del Cristo. Il bel significato del toponimo è “fiore” e rimanda simbolicamente alla crescita del Figlio di Dio, il cui “profumo” 30


era stato avvertito già dai profeti, ma non riconosciuto del tutto dal popolo ebraico, il suo popolo; mentre gli ebrei in un primo momento sono stati in grado di riconoscerlo e quindi lo hanno “assaporato” ed odorato, dopo lo hanno condannato, mentre i cristiani lo hanno odorato ed assaporato tanto profondamente da arrivare a nutrirsi del pane spirituale. Bernardo arriva quindi al monte degli Ulivi e alla Valle di Josafat. Questi due luoghi vengono esaminati insieme, non solo per la vicinanza geografica, ma anche per il loro valore simbolico: il monte, simboleggia la misericordia e la valle indica il luogo dove alla fine dei tempi si manifesterà la giustizia divina: il giudizio universale. Nella trattazione inerente alla valle, Bernardo ritorna su un punto importante trattato più volte nell’opera: la contrapposizione tra l’umiltà (che anima anche i Templari) e la superbia (che anima invece la cavalleria laica), cogliendo l’occasione per parlare del sacramento della confessione. La tappa successiva è rappresentata dal fiume Giordano che fornisce lo spunto per trattare del battesimo di Cristo. Nelle successive due tappe, il Calvario e il Sepolcro, l’itinerario si inoltra nel cuore profondo del mistero cristiano; il viaggio attraverso questi luoghi fornirà a Bernardo l’occasione per spiegare il mistero della redenzione dai peccati e la resurrezione del Cristo dalla morte: il Calvario è il luogo della “morte” del Cristo, attraverso la quale ha liberato l’umanità dai peccati per salvarla dalla dannazione eterna che l’affliggeva già dai tempi di Adamo; il Sepolcro è dove Cristo ha riposato dopo morto e che secondo l’abate è il sito più venerato. Con la trattazione del Sepolcro, l’abate scrive un’alta pagina cristologica, in cui enuncia le sue teorie sul Salvatore. Con la sua “morte” il Cristo non solo ha liberato l’umanità con il perdono dei peccati, ma ha dato a tutti gli uomini la speranza della resurrezione; vengono qui messi in stretta relazione i concetti di morte e di peccato. Nell’unire questi concetti, Bernardo parla dell’anima asserendo che con il peccato l’uomo perde la vita, andando incontro ad una 31


duplice morte: spirituale e corporale. Ma quando il Cristo ha scelto di morire per gli uomini, ha cancellato questa situazione. In un secondo momento Bernardo si interroga sulla volontà soteriologica, giustizia e natura del Cristo. Secondo Bernardo l’uomo raggiunge la salvezza completa proprio nella figura del Cristo animata da giustizia, pietà, modestia e che rendendosi simile ad un uomo ha scelto di morire rimettendo i peccati. L’abate poi definisce “follia” le scelte fatte dal Cristo, inconcepibili per qualsiasi altro uomo, ma giuste per lui e spiega anche che affinché si compia la giustizia divina, l’uomo dovrà morire, ma risorgerà nell’amore divino quando sarà il momento. Le ultime due tappe dell’itinerario sono i villaggi di Bethfage (la casa della bocca) e di Betania (casa dell’obbedienza), dove vissero Maria e Marta. A proposito di Bethfage l’abate parla della confessione e a proposito di Betania, del conflitto tra la contemplazione e l’azione, che caratterizzava la vita monastica del tempo. Ne viene fuori un vero e proprio elogio dell’obbedienza, virtù che ogni buon cristiano deve avere. Attraverso l’immagine del villaggio di Bethfage, che è anche il villaggio dei sacerdoti, Bernardo invita gli uomini ad aprire non solo le loro labbra ma anche il cuore sigillato dal peccato, nel sacramento della confessione. Col villaggio di Betania si tratta della contemplazione, che è rappresentata da Maria, mentre Marta simboleggia l’azione. Alcuni monasteri sceglievano di praticare un modello di vita contemplativa, altri, come il monastero cistercense di Bernardo, un modello di vita attiva, fondato sul lavoro fisico, al quale viene attribuita quella stessa grande importanza che gli riconoscevano anche i Templari. Su entrambe però prevale quella obbedienza, per la quale il Cristo si è privato della vita per salvare l’umanità.

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Conclusioni Finali Emerge con grande forza nel De Laude tutto l’enorme lavoro di coscienza fatto dal Santo di Chiaravalle. Da una prima analisi il testo può essere visto come un coacervo di contraddizioni: Bernardo odia la guerra ma la giustifica, era contro la crociata ma la predica con grandissimo vigore e con una forte carica simbolica dato che proprio tramite la spedizione della II crociata volta alla riconquista di Edessa e che si trasformerà di un totale disastro, anche quegli scellerati condannati nel De Laude potevano trovare una strada verso la conversione. Il tormento in Bernardo doveva essere a tratti insostenibile, lui stesso vedeva nelle parole l’unico mezzo per risolvere ogni problema trasformando la sua parola in una spada da usare ad intra contro il peccato ed ad extra contro il nemico. Il Doctor Mellifluus (così lo chiamò Pio XII il 24 maggio del 1953 dopo la sua enciclica Doctor Mellifluus proprio dedicata al santo) fu incredibilmente abile a fornire una giustificazione per un omicidio identificando il nemico come il male non l’uomo. Lo stesso Dante Alighieri se vo troverà come guida spirituale all’interno della Candida Rosa e gli farà dire una preghiera alla Madonna di rara bellezza… «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura 5nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. 10 Qui se' a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre

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15sua disianza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, 20in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, 25 supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi 30ti porgo, e priego che non sieno scarsi, perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. Ancor ti priego, regina, che puoi 35ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!» (Paradiso XXXIII, vv 1-39)

Forse non è un caso che Dante affida a Bernardo questo ruolo: forse Dante stesso era un affiliato ai templari, un sostenitore esterno e comunque appare palese che la Divina Commedia rappresenti un lungo e tormentato viaggio verso la conoscenza perfetta, ossia quella di Dio, viaggio che forse è da intendere come il vero Santo Graal.

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