MONACI E CROCIATE: LA PRIMA CROCIATA ATTRAVERSO LO SGUARDO DI UN MONACO DI FLEURY
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LA CROCIATA. “ Crociata ” è un termine tardivo ( metà del XIII secolo ), che derivò dalla croce che chi partecipava alla spedizione cuciva sui propri abiti. All’inizio si parlava di iter Hierosolimytanum, via Sancti Sepulcri, in seguito di passaggio o di viaggio oltremare. Si trattava propriamente di un pellegrinaggio in armi verso il Santo Sepolcro a Gerusalemme, stabilito dal pontefice che accordava privilegi spirituali e temporali ai crociati, che i testi chiamano molto più spesso peregrini che crucesignati. Il Mayer ci fa osservare come, in senso lato con il termine crociata si intenda talvolta ogni guerra mossa dalla Chiesa contro gli eretici e i nemici del papato; confusione che gli storici ovviamente contestano. La crociata fu l’esito di diversi fattori e un momento della lenta maturazione della civiltà cristiana. L’ideale del pellegrinaggio in Terrasanta, pellegrinaggio penitenziale fin dal VII secolo, divenuto a partire dal XII secolo pratica obbligatoria per chi infrangeva la pace e il passaggio da un’idea di guerra legittima a quella di “ guerra santa ” che i cristiani conducevano contro gli infedeli erano i fattori fondamentali che si incontravano nella realtà della crociata. Il contesto favorevole al suo inizio fu certo la congiuntura economico-sociale dell’XI secolo ma che sarebbe sbagliato considerare come la causa determinante delle crociate. All’alba della prima crociata un'altra dimensione acquista una discreta rilevanza: quella escatologica per cui era sentita una certa urgenza di conversione degli ebrei e più in generale di tutti gli infedeli. Le crociate avrebbero avuto allora in quest’ottica lo scopo di provocare la loro conversione prima della fine dei tempi.
I turchi erano avanzati in Asia Minore ( si ricordi la vittoria di Manzikert del 1071 ), i Bizantini avevano lanciato diversi appelli al pontefice romano, in particolare con le
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ambascerie di Michele VII nel 1074 e di Alessio nel 1095, lamentando le persecuzioni che i cristiani subivano in Terrasanta e le sventure nell’Anatolia. 1 Costantinopoli non si risolveva ad inviare rinforzi o mercenari occidentali di cui altrove si era servita . Intanto si stava consolidando il potere del papa all’interno di quel movimento di riforma della Chiesa che si era visto affermarsi in particolare con Gregorio VII.
E furono lo stesso Gregorio e Urbano II poi a progettare una
spedizione indetta dalla Chiesa. Queste erano le cause prossime della crociata.
Nel novembre del 1095 si teneva il Concilio di Clermont durante il quale Urbano II lanciava l’appello diretto ai cristiani d’Occidente perché spendessero le loro energie non in guerre fratricide ma in soccorso dei loro fratelli in Oriente, liberando Gerusalemme e il sepolcro di Cristo. Se papa Urbano II abbia realmente inteso inviare la cristianità a un intervento militare contro i musulmani, nel suo discorso tenuto al concilio Clermont-Ferrand il 27 novembre 1095, è stato a lungo materia di controversia fra gli storici. Tutto lascia pensare che i cronisti, da cui abbiamo ricevuto varie versioni dell’appello, abbiano avuto la penna intenta a giustificare il grande movimento militare 2. Ma sembra certo anche l’intento dei pontefici nell’indire tale spedizione.
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A questo proposito sarebbe interessante vedere l’idea e la concezione di “ Christianitas “ nel medioevo al fine di comprendere di quale unità si trattasse tra cristiani d’Occidente e fedeli in Oriente. Si veda per esempio MARCO PELLEGRINI, L’idea di “Christianitas” nei cronisti latini della prima Crociata RSB 7 (1991) pp. 69-99. 2 Così riporta l’appello Fulcherio di Chartres nella sua Historia Hierosolymitana, di cui si fornisce traduzione da F. GAETA e P. VILLANI, Documenti e testimonianze, vol. I, Principato, Milano 1978 : “Poiché, o figli di Dio, gli avete promesso di osservare tra voi la pace e di custodire fedelmente le leggi con maggior decisioni di quanto siate soliti, è il caso di impegnare la forza della vostra onestà (ora che la correzione divina vi ha rinvigoriti ) in qualche altro servizio a vantaggio di Dio e vostro. E’ necessario che vi affrettiate a soccorrere i vostri fratelli orientali, che hanno bisogno del vostro aiuto e lo hanno spesso richiesto. Infatti, come a molti di voi è già stato detto, i Turchi, gente che viene dalla Persia e che ormai ha moltiplicato le guerre occupando le terre cristiane fino ai confini della Romània uccidendo molti e rendendoli schiavi, rovinando le chiese, devastando il regno di Dio, sono giunti fino al Mediterraneo cioè al Braccio di San Giorgio. Se li lasciate agire ancora per un poco, continueranno ad avanzare opprimendo il popolo di Dio. Per la qual cosa insistentemente vi esorto – anzi non sono io a farlo, ma il Signore – affinchè vi persuadiate con continui incitamenti come araldi di Cristo, tutti, di qualunque ordine ( cavalieri e fanti, ricchi e poveri ), affinchè accorrano subito in aiuto ai cristiani per spazzare dalle nostre terre quella stirpe malvagia. Lo dico ai presenti e lo comando agli assenti, ma è Cristo che lo vuole. Per tutti quelli che partiranno, se 2
Il successo dell’appello , ripreso da molti predicatori, superò i confini della Francia e superò anche l’ambito degli uomini d’arme cui il pontefice intendeva probabilmente indirizzarlo. La crociata vera e propria, detta crociata dei “ principi ” vide la partenza di quattro eserciti: dal Nord quello di Goffredo di Buglione, dalla Francia centro-meridionale quello di Raimondo di Tolosa e dall’Italia del Sud l’esercito guidato da Boemondo di Taranto; i crociati si riunivano in Asia Minore nel maggio 1097 dopo la promessa fatta ad Alessio I di restituire le terre riconquistate dai Turchi. Le tappe della riconquista furono la presa di Nicea restituita successivamente all’impero, l’occupazione di Edessa, la presa di Antiochia sottoposta a lungo assedio e infine la riconquista di Gerusalemme il 15 luglio del 1099. Di notevole appoggio erano stati i contingenti genovesi e veneziani arrivati via mare che avevano contribuito all’insediamento crociato. E notevoli furono i vantaggi di tipo commerciale che guadagnarono, il monopolio dei traffici con il Medio Oriente fino alla fine del XIII secolo. Nascevano gli Stati latini d’Oriente: la contea di Antiochia, la contea di Edessa, quella di Tripoli e il regno di Gerusalemme.
incontreranno la morte in viaggio o durante la traversata o in battaglia contro gli infedeli, vi sarà l’immediata remissione dei peccati: ciò io accordo ai partenti per l’autorità che Dio mi concede. Che vergogna sarebbe se gente così turpe, degenere, serva dei demoni, sconfiggesse uomini forniti di fede in Dio e resi fulgidi dal nome di Cristo! E quante accuse il Signore stesso vi muoverà, se non aiutate chi come voi si trova nel novero dei cristiani! Si affrettino alla battaglia contro gli infedeli, che avrebbe già dovuto incominciare ed essere portata felicemente a termine, coloro che prima erano soliti combattere illecitamente contro altri cristiani le loro guerre private! Diventino cavalieri di Cristo, quelli che fino a ieri sono stati briganti! Combattano a buon diritto contro i barbari, coloro che prima combattevano contro i fratelli e i consanguinei! Conseguano un premio eterno, coloro che hanno fatto il mercenario per pochi soldi! Quelli che si stancavano danneggiandosi anima e corpo, s’impegnino una buona volta per la salute di entrambi! Poiché quelli che sono qui tristi e poveri, là saranno lieti e ricchi; quelli che sono qui avversari del Signore là Gli saranno amici. Né indugino a muoversi: ma, passato questo inverno, affittino i propri beni per procurarsi il necessario al viaggio e si mettano risolutamente in cammino.” 3
Gerusalemme celeste
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Un fenomeno che interessa tre secoli e mezzo La prima crociata è indetta dunque nel 1095 da Urbano II e termina nel 1102 con la presa di Gerusalemme. Vi prende parte come condottiero militare, al fianco di un vescovo legato pontificio, Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena che ha appena riconquistato il feudo sottrattogli illegittimamente schierandosi contro il pontefice nella lotta per le investiture e che è proprio il primo ad accorrere all'appello del papa. La seconda crociata va dal 1146 al 1148 per la riconquista della città di Edessa, precipitata nuovamente sotto le armi turche. Conosciuta come la crociata predicata da san Bernardo di Chiaravalle vede la disfatta dell'esercito cristiano presso Damasco. Dal 1187 al 1193 va la terza crociata; indetta da Clemente III per liberare Gerusalemme nuovamente occupata nell'ottobre del 1187 dal Saladino e comandata da Riccardo Cuor di Leone e Filippo Augusto. Vi partecipa anche Federico Barbarossa come soldato semplice perché appena scomunicato nella lotta per le investiture. L'imperatore che pure aveva preteso di potersi imporre alla struttura religiosa fino a pensare di normarla non rinuncia a partecipare alla spedizione, anche se come un soldato qualunque. Aveva tenuto una solenne Curia Jesu Christi il 27 marzo 1188 nella cattedrale di Magonza dove, davanti a un trono lasciato vuoto per il Cristo, aveva preso la croce insieme con tredicimila uomini, di cui quattromila cavalieri, e nel maggio dell'89 l'imperatore guidava la sua militia da Ratisbona . Morirà come è noto guadando un fiume alla periferia di Alessandria di Egitto.
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F.CARDINI, Studi sulla storia e sull'idea di crociata, Jouvence Società Editoriale, Roma 1993. 5
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La crociata si concludeva con la sconfitta dei cristiani e la riconquista di Gerusalemme da parte del Saladino. Come osserva Franco Cardini , dalla perdita di Gerusalemme l'idea di crociata subisce un primo importante spostamento, la Città Santa non era più da difendere ma da recuperare. 4
La quarta crociata è indubbiamente quella in cui prevalgono interessi e convenienze di carattere politico ed economico. Gestita soprattutto dal doge di Venezia Enrico Dandolo non giunse mai in Terrasanta. Gli accordi intercorsi nel 1202 tra Innocenzo III e i Veneziani per la riconquista di Zara, l'appello di Isacco II l'Angelo per tornare sul trono usurpatogli tendevano già ad altro obiettivo. La motivazione religiosa non è capace di imporsi automaticamente alla materialità dell'esistenza. Senza dubbio snaturata nella sua preoccupazione ideale la quarta crociata si conclude con il tragico sacco di Bisanzio nel 1204 e gli accordi per la spartizione dei territori dell'Impero Latino d'Oriente (1204-1261). “Innocenzo III non aveva approvato l'avventura di Costantinopoli; pure vi si adattò, scorgendovi se non altro un mezzo provvidenziale per la soluzione dello scisma d'Oriente ”. Così commenta ancora Cardini. Durante il concilio del 1215 Innocenzo III ribadiva che uno dei principali obiettivi della Cristianità rimaneva il passagium generale, la crociata per il recupero di Gerusalemme. Si preparava la quinta crociata secondo la strategia del cardinal Pelagio legato pontificio. Attaccando i porti maggiori egiziani si sarebbe indotto il sultano del Cairo a cedere Gerusalemme pur di non perdere Alessandria e Damietta. Tutto si risolse in un rovescio delle armi cristiane sotto le mura di Damietta.
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F.CARDINI, Dio lo vuole! Intervista sulla crociata a cura di Pasquale Pellegrini, Il Cerchio, Rimini 1994. 8
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Un imperatore non molto cristiano né come concezione né come pratica di vita sente la necessità di fare la VI crociata. Federico II riuscì addirittura a non combattere perché negoziò con il sultano del Cairo Malk-al-Kamil, un discendente del Saladino, ottenendo buona parte della Città Santa e riconquistando in generale i luoghi della nascita e dell'infanzia.
Non bisogna dimenticare le due spedizioni di Luigi IX il Santo. Nel 1248 contro l'Egitto il sovrano francese viene fatto prigioniero e rimarrà quattro anni nelle prigioni turche. Ancora nel 1270 durante quella che sostanzialmente si può considerare l'ultima crociata, l'VIII (1263-1291), Luigi IX segue la spedizione verso Tunisi e muore prima di vedere la caduta di Acri, ultima piazzaforte crociata, nel 1291 tenacemente difesa dai Templari.
Nel 1310 il Papa predica e finanzia un'altra crociata, praticamente senza esito. Questo è il quadro cronologico. Mi è parso opportuno delinearlo per poter considerare come le crociate siano state un fenomeno che ha accompagnato sistematicamente la vita e l'espressione della civiltà cattolica occidentale, qualcosa di essenziale e di vitale che teneva permanentemente in “movimento” la vita della Chiesa medioevale.
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CAPITOLO I
«GESTA DEI» NELLA CRISTIANITA’
Uno sguardo attraverso la storiografia crociata Instituit nostro tempore praelia sancta.5
Così si esprime Guiberto di Nogent nella
sua cronaca della prima crociata definendo quelle spedizioni armate sulla via del pellegrinaggio gerosolimitano. Si tratta della prima definizione che si accompagna a quelle di peregrinatio, iter, via fino ad allora utilizzate. Il concetto di proelium sanctum si accompagna alla concezione di gesta Dei.6 Le Res sanctae, secondo Giustiniano, erano di esclusiva pertinenza divina, inviolabili da parte degli uomini. Guiberto di Nogent non conosceva il termine crociata perchè non esisteva ancora ai suoi tempi. Ma le definisce sante e può farlo perchè le concepisce azioni di Dio realizzate attraverso gli uomini. La volontà di Dio si coglie del resto attraverso la Sua Chiesa e le Scritture. In Guiberto si concepisce un'azione volta al recupero di un bene legittimo sottratto e alla difesa di una potestà violata che coincide con la concezione di iustum bellum secondo Agostino e i Padri della Chiesa. La volontà di Dio dunque è il movente principale di questi praelia.7 A questo proposito possiamo ascoltare un'altra testimonianza significativa, quella di Roberto il Monaco, in cui emerge come il pontefice stesso investisse di sanctitas la spedizione: “Viam sancti Sepulchri incipite, terram illam nefarie genti auferte eamque vobis subicite...Arripite igitur viam hanc in remissionem peccatorum vestrorum, securi de immarcescibili gloria regni coelorum ”. 8 5
GUIBERT DE NOGENT, Gesta Dei per Francos, in RHC, HO, IV, p.124
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F. CARDINI, Studi sulla storia e sull'idea di crociata, Jouvence, Roma 1993, pag. 169." L'espressione proelium sanctum difatti, [...] rinvia alle res sanctae quali le qualificano le Institutiones di Giustiniano, cioè a tutte quelle cose che - Terra Santa anzitutto e in modo precipuo venivano considerate come appartenenti o riguardanti direttamente Dio ." 7
" Iusta autem bella ea definire solent quae ulciscuntur iniuras, si qua gens vel civitas, quae bella petenda est, vel vindicare reglexit quod a sui improbe factum est vel reddere quod per iniuras ablatum est. Sed etiam hoc genus belli sine dubitatione iustum est, quod Deus imperat ". Augustini, Quaestiones in Heptateucum, VI, ed. I. Frapoint, in CCSL, pag. 139 8 ROBERTI MONACI Hierosolymitana expeditio, in RHC, HO, III, pp.727 ss. 11
Roberto il Monaco fissa le sue memorie sul discorso di Clermont nel 1107. Urbano II avverte in maniera chiara la necessità della crociata e la difesa di quel patrimonio che, secondo la cronaca di Fulcherio di Chartres, definì patria. 9 I fedeli del Signore sono il mezzo, lo stumento attraverso cui Dio stesso agisce e riconquista la sua eredità. La crociata non è solo una guerra di liberazione della Palestina ma di conquista destinata a durare.10 A Clermont Urbano II afferma già con chiarezza il diritto inviolabile della CRISTIANITAS alla proprietà della Terrasanta. La defensio, la tuitio o la dilatatio Chistianitatis è non contro uno straniero qualunque ma contro gli INFIDELES: un concetto che già Gregorio Magno aveva chiaramente affermato parlando di SANCTA, PIA, CHRISTIANA RESPUBLICA. “Il legame tra certi tipi di guerra e la volontà di Dio, che poteva ben giungere a configurare quelle guerre tra le res sanctae, giunge a chiarire come - e si apre qui un problema non ancor del tutto circostanziato - il grido Deus vult !, proferito dagli astanti durante l'allocuzione di Urbano II a Clermont nel novembre 1095 secondo la versione che di quel fatto e di quelle parole ci fornisce Roberto il Monaco - il quale ci dice di esserne stato testimone oculare - può essere stato spontaneo e provenire da una cultura non ecclesiale, anzi ben laica e guerriera, quella delle chansons, ma
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FULCHERIO DI CHARTRES, Gesta Francorum Iherusalem Peregrinantium, in RHC, HO, III, p.138. Il Papa " collega la pratica tradizionale del pellegrinaggio gerosolimitano all'incanalamento delle esuberanti energie dei milites verso un progetto di guerra agli infedeli o di resistenza nei loro confronti sia in Oriente che a Occidente ". 10 E' interessante l'aspetto della guerra santa nella misura in cui è un pellegrinaggio armato al Santo Sepolcro o expeditio peregrinorum diretta alla liberazione, alla difesa e quindi al recupero di Gerusalemme e dei Luoghi Santi; o guerra rivolta all'Islam, nemico della Cristianità. 10Per un quadro più dettagliato del rapporto tra defensio e dilatatio Christianitatis rimandiamo a C. ERDMANN, Die Entstehung des kreuzzugsgedankens, Stuttgart 1935, N. Ausg.1955; citiamo per comodità l'ed. inglese The origin of the idea of crusade, Princenton 1977, trad. M.W. Baldwin e W. Goffart; A. MORISI, La guerra nel pensiero cristiano dalle origini alle crociate, Firenze 1963; G. VISMARA, Impius foedus, " Studi urbinati di scienze giuridiche ed economiche ", 1943-50, pp. 107-210. 12
aveva comunque in sè qualche elemento che poteva giustificarne un'esegesi proprio nella direzione della sanzione di sanctitas alla spedizione che si stava profilando ”. 11 Di questo argomento si sono occupati molti autori con contributi di varia natura. Citerò quelli che ho tenuto maggiormente presenti nel corso del mio studio, facendo opportunamente più specifici riferimenti nel testo. Uno studio sulla storiografia delle crociate si può dire inizi nel 1611 con la pubblicazione dei principali cronisti delle crociate ad opera del Bongars. L'autore intitolò la sua raccolta Gesta Dei per Francos come Guiberto di Nogent aveva intitolato cinque secoli prima la sua cronaca. Nel secolo XIII le crociate che erano state considerate la “gloria dei Francesi e della Cristianità” furono guardate meno benevolmente. E' la storiografia romantica francese a trovare nuovamente suggestivo l'argomento ad avviare nuove ricerche e un primo studio critico delle fonti. I dirigenti dei Monumenta Germaniae historica hanno accolto nella sezione degli “Scriptores” i testi relativi alle crociate.
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Molti studiosi tedeschi hanno dedicato lavori notevoli
alle crociate mentre continuavano gli studi dei Francesi.Citerò a tale proposito gli autori che ho avuto di più a portata di mano; il Grousset, il Cahen, il Rousset e il Richard per indicare almeno i maggiori per contributo. Paul Rousset, più di ogni altro si è posto il problema della profondità con la quale l'idea e il mito stesso della crociata hanno agito nel mondo e nell'immaginario occidentale fino ai giorni nostri. Rousset ha sottolineato la contraddizione di fondo dell'uso dell'espressione “guerra santa”. Villey definiva “guerra santa” una “guerra condotta da un potere spirituale e per interessi religiosi ”13 Rousset distingue tra il problema storico e quello storiografico. «La crociata si può leggere in una prospettiva storico-antropologica e morfologica della “guerra santa” o
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F. CARDINI, La guerra santa nella cristianità, in " Militia Cristi " e Crociata nei sec. XIXIII: Atti della undecima Settimana internazionale di studio, Mendola, 28 agosto- 1 settembre 1989. 12Nei MGH, SS sono pubblicate le cronache relative a Federico Barbarossa ad esempio. 13 VILLEY, La Croisade. Essai sur la formation d'une théorie juridique, Paris 1942; ID; L'idée de la Croisade chez les juristes du Moyen-age, in Comitato Internazionale di Scienze Storiche, X Congresso internazionale di Scienze Storiche. Relazioni, III, Firenze 1955, pp. 565-94. 13
si può fare una critica all'uso corrente di identificare la crociata con una generica guerra santa ».14 Secondo il Dupront, solo a partire dal XII secolo la crociata diventa la forma occidentale della guerra santa.15 Non più modesto il contributo della storiografia inglese: dalla History of the Crusades del Runciman, pubblicata in tre volumi a Cambridge, tra il 1953 e il 1956; alla monumentale History of the Crusades dell'università di Pennsylvania (U.S.A.) composta con il contributo di autori diversi, che si sono occupati diperiodi, aspetti e questioni varie. Per molto tempo l'argomento meno studiato è rimasto quello della genesi delle crociate. Ora, nessun fenomeno si può studiare, e a maggior ragione comprendere, prescindendo dalle sue origini. Un movimento dell'ampiezza delle crociate risulterebbe addirittura assurdo; deve essere studiato nella sua genesi. Ovviamente coloro che si sono occupati di crociate hanno pur espresso il loro punto di vista in merito. Sembrano tutti concordi sul fatto che la crociata sia come la conclusione di una lunga evoluzione, in cui confluiscono elementi diversi. Pare altrettanto pacifico che l'iniziativa di Urbano II l'abbia condotta alla sua risoluzione. Più divergenti i pareri rispetto al rilievo attribuito ad motivo piuttosto che a un altro: dalla tradizione della guerra santa appunto contro il nemico della Cristianità, a quella tradizione di pellegrinaggio spinto e animato da profonda e appassionata devozione per la Terrasanta; per non parlare dei problemi politico-sociali della Francia feudale. Ancora notevoli divergenze si individuano per quanto riguarda i propositi del Pontefice e le sue intenzioni: il Papa voleva soccorrere le Chiese d'Oriente o voleva più di tutto riunire le due Chiese, ancora separate dal 1054 per lo scisma? Forse il Pontefice desiderava mettere fine ai disordini che animavano la Francia e pensò bene di incanalare le esuberanti forzr della feudalità francese; e forse ancora
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P. ROUSSET ha presentato una relazione su L'idée de la Croisade chez les chroniqueurs d'Occident oltre che la sua Histoire approfondendo sempre di più la sua interpretazione. 15 A. DUPRONT, Guerre Sainte et Chrétienté, in AA.VV., Paix de Dieu et Guerre Sainte en Languedoc au XIII siècle, Toulouse 1969, pp.17-50; il saggio è stato ripubblicato con il medesimo 14
Urbano II aveva ben visto di poter prendere le redini della società cristiana - siamo ancora nel corso della lotta per le investiture. Si capisce la ricchezza della problematica.In epoca piuttosto recente alcuni studiosi si sono dedicati alla questione della genesi delle crociate, secondo prospettive varie. Ancora segnalo le opere che a mia volta ho utilizzato: La genesi delle crociate, del Cognasso; l'opera di Erdmann, Die Entstehung des Kreuzzugsgedankens; Les origines et les caractères de la prèmiere croisade, di Paul Rousset; Paul Alphandery, La Chrètientè et l'idèe de croisade. L'aspetto studiato dal Cognasso è il quadro delle relazioni tra Occidente e Oriente nell' XI secolo. Sottolinea il passaggio della funzione direttiva della società cristiana dall'impero d'Occidente alla Chiesa di Roma e osserva il mutamento delle relazioni tra la Santa Sede e Bisanzio nell'arco di tempo intorno allo scisma, la nascita e la diffusione dell'Islam e la lotta dei musulmani contro Bisanzio; riflette da ultimo sull'appello di Clermont e sulla risonanza che ebbe in Europa. L'interpretazione del Cognasso è decisamente politica anche per quanto concerne i fatti più specificatamente religiosi. Erdmann studia in particolare la linea evolutiva, se così si può dire, dell'idea di guerra nel pensiero della Chiesa. Pone l'attenzione sull'espressione “guerra santa” e sottolinea le caratteristiche di guerra a servizio della Chiesa e per la difesa della fede. Una particolare riflessione è dedicata all'evoluzione dell'idea di pellegrinaggio armato, cui prendono parte alcune classi sociali, individuando l'influenza che in questo ebbe l'ordine cluniacense.16 E' il Rousset a studiare in maniera peculiare ma limitata agli aspetti della spiritualità medioevale e più specificatamente dell'XI secolo la genesi della prima crociata.
titolo in A. DUPRONT, Du Sacré. Croisades et pélérinages. Images et languages, Paris 1987, pp.264-287. 16 C. ERDMANN, Les origines et les caractères de la première Croisade, Neuchatel 1945. 15
Anche l'Alphandery vede nel motivo religioso il motore delle crociate. Individua però e riesce a delineare maggiormente la vita individuale e sociale dei crociati. La questione della “genesi” della crociata si trasforma nella questione della genesi dell' “idea” di crociata. La riflessione si sposta sull'ideologia della crociata e notevoli sono i contributi: Jonathan Riley-Smith, con The first crusade and the idea of crusading; e ancora con The Crusades: idea and reality; a carattere più generale, ma notevole contributo, l'opera di Hans Eberhard Mayer, di cui indico la traduzione ad opera del Gillingham, The Crusades. Già il Villey 17 era andato chiarendo la nozione di crociata. Nel tempo, agli studi basati sulle fonti occidentali si è andato affiancando uno studio che si valeva di quelle orientali. Successivamente gli orientalisti si sono messi a studiare il problema, chiaramente considerando la crociata in rapporto con la realtà del mondo in cui si inseriscono. Si sono riviste anche le relazioni tra Bisanzio e i crociati. Il Rousset, il Villey hanno apportato modifiche e approfondimenti alle loro opere . Il Runciman ha dedicato parte del suo studio a esaminare la reazione delle province bizantine alla crociata e lo stesso ha successivamente scritto The decline of the crusading idea. Anche il Cahen aveva esaminato punti interessanti, soffermandosi su alcune considerazioni di fondo di rilievo. Si era domandato se la situazione in Oriente fosse davvero come era rappresentata dai propagandisti della crociata; che ripercussioni e conseguenze avesse avuto in Oriente l'ideologia della crociata. A questi studi di carattere fondamentale per chi si volesse accostare allo studio delle crociate, vorrei aggiungere alcune indicazioni bibliografiche sui contributi italiani di
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VILLEY, La Croisade, essai…, Paris 1942. 16
cui mi sono valsa per un primo approccio e per alcune considerazioni sul broblema della crociata.18 Di Franco Cardini le opere che ho maggiormente considerato e più frequentemente citato sono: Studi sulla storia e sull'idea di crociata; e i contributi in ‘Militia Christi’ e crociata nei secoli XI-XIII, negli atti della undecima Settimana internazionale di studio, Mendola, 28 agosto-1 settembre 1989. Per un iniziale spunto sull'idea di “guerra santa”, come guerra voluta da Dio per la difesa e la tutela della Santa Chiesa, della fede cristiana e dell'eredità del popolo cristiano, cito l'intervista a Cardini, Dio lo vuole!, a cura di Pasquale Pellegrini. E ancora del Cardini, All'origine dell'idea di crociata; interessante per il tentativo di andare alle radici della cavalleria medievale, forse in continuazione con il lavoro del Flori, sulla ricostruzione della storia dell'ordo cavalleresco nell'XI e nel XIII secolo e dei rapporti con il crociato. 19Comprendere tale legame equivale a comprendere la lenta maturazione dell'unico popolo cristiano d'Occidente nel suo tentativo di rispondere a esigenze profonde. I crociati sono una categoria di milites Christi, militia di tutta la Cristianità, coloro che debbono liberare la Terra Dei, chiamati a ristabilire il sicuro possesso di tutta la terra promissionis.
18Del
resto, come osserva Roul Manselli nella premessa al suo Italia e Italiani alla Prima crociata, " Se alla prima grande spedizione contro l'Islam partecipò l'Europa cristiana, ma specialmente quella del popolo, non potevano mancare e non mancarono gli Italiani. " Di conseguenza non potrebbero mancare gli studi degli Italiani sulla crociata, per quanto ancora modesti nel numero. 19Ho trovato a questo proposito interessante e significativo, anche in riferimento alla mia premessa, sia pure apparentemente paretetico nel contesto, riportare un'osservazione di Cardini, fatta nell'opera indicata, " L'alternativa alla costruzione di un ideale guerriero cristiano sarebbe stata, se è lecito esprimersi in via ipotetica, l'impossibilità di cristianizzare l'uomo di guerra,il che in un mondo segnato dalla violenza e dall'insicurezza e dominato dalle aristocrazie militari come quello dei secoli presi in esame - avrebbe coinciso con l'impossibilità di costruire una società cristiana: imperfettamente cristiana, sia pure; contraddittoriamente cristiana, certo; superficialmente cristiana, senza dubbio: ma cristiana infine. Chi non capisce questo, perde il suo tempo se cerca di intendere il fenomeno cavalleresco. 17
Tornano utili e di semplice consultazione alcune osservazioni di Cinzio Violante sulla dialettica tra crociata in Terrasanta e reconquista spagnola. 20 Comprendere il fenomeno delle crociate e intendere la messa in moto della prima crociata e di tutte le altre implica anche cercare di capire perchè le guerre contro i Musulmani in Terrasanta vengono chiamate crociate e distinte da quelle contro i Saraceni in Spagna. Sull'origine dell'idea di “guerra santa” , Anna Morisi ha scritto La Guerra nel pensiero cristiano dalle origini alle crociate. Roul Manselli si è dedicato alla partecipazione italiana alla prima crociata 21. Tutti i contributi all'interno degli atti di Mendola, in ' Militia Christi ' costituiscono validi spunti di riflessione e occasione di approfondimento.
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C. VIOLANTE, I laici nel movimento patarinico, in AA.VV, I laici nella " Societas christiana " dei secoli XI e XIII, Milano 1968, ripubb. in C. VIOLANTE, Studi sulla Cristianità medievale, Milano 1972, pp. 145-246. 21 Mi permetto di segnalare in particolare il primo capitolo del libro, intitolato La Res Publica Christiana e l'Islam, in cui l'autore si preoccupa - cito - di " precisare come, nel divenire storico dell'Occidente, si sia formata nei popoli convertiti al Cristianesimo la coscienza di costituire una unità sovranazionale e sovrastatale di cui era appunto elemento essenziale la fede comune." 18
Le fonti. I primi storici delle crociate furono proprio coloro che vi presero parte: cavalieri, monaci che scrivevano notizie su ciò che accadeva. Alcuni mandavano lettere a familiari, alle autorità ecclesiastiche, al Papa stesso. In esse incontriamo i protagonisti ancora sul luogo; ne cogliamo l'impressione viva del momento, l'immediatezza del racconto. 22 Ci sono numerose cronache, a cominciare dagli anonimi Gesta Francorum et aliorum Hierosolymitanorum utilizzata in larga parte e rimaneggiata da diversi cronisti. Le notizie riportatevi trovano conferma in diversi altri cronisti nochè in numerose delle lettere di cui si accennava.23 Una cronaca importante è quella di Raimondo di Aguilers che al seguitodi Ademaro di Monteuil, vescovo di Puy e legato pontificio, era partito per la crociata. Passato al servizio del conte di Tolosa ne narra appunto le imprese, con una ricchezza di particolari notevole.24 Ricordiamo la cronaca di Fulcherio di Chartres, un ecclesiastico che si era recato in Terrasanta al seguito del conte di Blois, era passato poi al servizio di Baldovino di Boulogne ed era divenuto cronista ufficiale dell'impresa. Scrisse tra il 1101 e il 1127; utili le sue informazioni sul paese dove si trova. 25 Ricche e di notevole valore le cronache di: Roberto il Monaco, Hierosolymitana expeditio, 26che si valse dei Gesta Francorum per scrivere i suoi resoconti; quella di Guiberto di Nogent, 27 Gesta Dei per Francos; e la Historia Hierosolymitana di Baldrico di Borgueil. 28 22
HAGENMAYER ne pubblicò una raccolta nel 1901. I Gesta Francorum sono pubblicati nel Rècuil des historiens des croisades, Historiens occidentaux, ( citato in RHC, HO), III. 24 Si trova pubblicato in RHC, HO, III, pp. 235-309. 25 La cronaca di Fulcherio si trova in RHC, HO, III, pp.311-485. 26 RHC, HO, III, pp.717-802. 27 RHC, HO, IV, pp. 115-263. 28 RHC, HO, IV, pp. 1-111. 23
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Alberto di Aix, che pure non si era recato alla crociata, scrive tra il 1119 e il 1150 una cronaca, Liber christianae expeditionis, in cui possiamo reperire informazioni esclusive dell'autore.29 Queste indicazioni sono relative alle principali fonti sulla prima crociata.
30
Anche le altre crociate ebbero i loro cronisti. Dobbiamo ricordare che accanto ai cronisti latini e greci abbiamo cronisti arabi, armeni, siriani, persiani e ebraici. Non mi dilungo in questa sede. Menziono invece la corrispondenza papale, esigua nell'XI e nel XII secolo ma via via sempre più ricca. Lettere inviate dai pontefici e lettere ricevute da legati, monaci, crociati.31 Molto interessanti quelle raccolte che vanno sotto il nome di Itinera hierosolymytana, soprattutto per chi fosse indirizzato a uno studio sulle origini, sulla genesi della crociata. Si tratta di descrizioni della Terrasanta, di racconti di viaggio, o di descrizioni di pellegrinaggi di carattere informativo e divulgativo per chi, ad esempio fosse interessato a intrapprendere lo stesso iter. La tradizione di queste operette inizia molto tempo prima delle crociate. Le prime risalgono addirittura al IV secolo. La serie prosegue fino all'XI e oltre. Si può ben dire che queste descrizioni cosituissero un po' il patrimonio conoscitivo dell'Occidente su quelle terre.Se ne trova una buona raccolta nei RCH. Un'altra tipologia di fonti risulta a mio avviso molto interessante e utile per diversi aspetti. Sono i componimenti poetici, quelli lirici, le cosidette canzoni di gesta.
29
RHC, HO, IV, pp. 265-313. in nota altre fonti cui ho attinto personalmente con più frequenza e che ho trovato ricche di spunti: CAFFARI DE CASCHIFELLONE, De liberatione civitatum Orientis, in Annales Januenses; EADMERI, Historia Novorum in Anglia, ed. M. RULE, London 1884 ( Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, 81 ); EKKEHARDI URAUGENSIS ABBATIS, Hierosolymita, ed.H. HAGENMAYER, Tubingen 1877. 31 Cfr.JAFFE’-LOEWENFELD, Regesta pontificum romanorum. ROHRICHT, Regesta regni Hierosolymitani. 30Aggiungo
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Queste canzoni riescono bene a esprimere gli ideali che muovevano i crociati. Lasciano trasparire il movente militare o religioso e mantengono tutta l'immediatezza della narrazione in diretta, se così si può dire. Sono componimenti caratteristici dei secoli XI e XII, la maggior parte composte tra il 1050 e il 1150. Ciò significa che accompagnarono gli eventi della prima crociata, della presa di Gerusalemme e le successive azioni musulmane. Queste opere ci servono a conoscere la mentalità dell'epoca delle crociate e dei crociati stessi. Diversi storici se ne sono serviti: il Rousset in particolare le ha studiate e utilizzate. Potremmo accennare in ultimo a tutta la serie di miniature ornamenti, sculture e pitture murali che narrano episodi delle spedizioni. Non abbiamo avuto in questa sede la pretesa di essere esaustivi circa l'informazione bibliografica sulle crociate, tantomeno sulla prima crociata. Abbiamo voluto indicare quelli che ci sembrano i contributi principali e che sono stati indispensabili al nostro lavoro come crediamo siano indispensabili a chiunque volesse accostarsi al broblema delle crociate o svolgere un'indagine sulla genesi di questo fenomeno.32 Sintetizzando: ho cercato di recuperare i termini di un fenomeno che è estremamente complesso attraverso il lavoro di questi storici sulle origini.
32
Vorrei rimandare a questo proposito anche alle considerazioni sulla crociata che ho reperito nella collana della storia della Chiesa redatta sotto l'alta direzione di Jubert Jedin. L'autore mi sembra il più grande storico cattolico di questo secolo; scrive: " la spiritualità crociata è in qualche modo la prima spiritualità del laicato cattolico medievale ". Mi è sembrato un autorevole giudizio sul fatto che la crociata sia stata una missione, una testimonianza in armi, un pellegrinaggio armato.Sembra chiaro al grande storico l'ottica di questi uomini per cui la fede in Cristo era tutto e per cui l'orizzonte delle fede era l'universalità della Chiesa. Ora, nelle sue radici storiche, e direi nel suo corpo, la Chiesa era attaccata alle comunità orientali e alla Città Santa tanto da provocare tutto il popolo cristiano a recuperare la libertà di accesso ai luoghi santi e a difendere i propri fratelli nella fede. Mi si perdoni la precisazione in merito al commento dello Jedin. Ma è proprio dal problema che lo studio della crociata pone, del perché una tale massa di fedeli prese la croce, che è maturato il mio interesse per il fenomeno e l'iniziativa di accostarmici personalmente sia pur per un esiguo contributo.
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Per capire un fenomeno, dicevamo, tanto più un fenomeno complesso, bisogna partire dalle radici. Ciò che vedremo è che le radici sono quelle di una motivazione assolutamente religiosa. Questa motivazione religiosa ha a che fare con una coscienza culturale e civile dell'Occidente che si sta formando, che per questo deve fare i conti con la guerra, e che per questo deve quindi fare i conti con la violenza. Gli studi cui ho fatto riferimento lasciano emergere bene il problema: non si tratta forse di un'incoerenza di carattere etico bensì di carattere culturale. Tanta parte di storiografia ha voluto vedere nelle crociate l'espressione della vera natura occulta della religione, che sarebbe di essere imperialista e di usare la violenza per conseguire i propri fini di carattere politico, economico, ideologico. Sicuramente fenomeno articolato e complesso, le crociate hanno un’origine semplice, non facile o lineare, però fondamentalmente semplice: la fede con tutto quello che dell' uomo deve tirarsi dietro.
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CAPITOLO II
MONACI E CROCIATE
I monaci diedero un contributo notevole e direi fondamentale nella formazione di una visione, diremmo meglio di una concezione delle crociate. E' particolarmente significativo considerare quale fu la percezione che ebbero del movimento crociato e come ne motivarono le spedizioni in Terrasanta. Citavamo prima nel repertorio delle fonti principali alcune lettere e cronache di personaggi che vi parteciparono, o che semplicemente valendosi di altre testimonianze e racconti approntarono il loro resoconto della spedizione. Pratica ricorrente questa che ci testimonia di quale importanza dovesse essere il fatto di redigere personalmente una narrazione dei fatti e quale fosse il sostegno che si forniva alle spedizioni di riconquista dei luoghi santi. Noi ci occuperemo di una di queste cronache in particolare, verosimilmente anonima ma certamente redatta nel monastero di Fleury-sur-Loire da un monaco.. Ma prima di proseguire ci iteressa vedere come presso diversi esponenti di ordini monastici fosse presente, o andasse formandosi, un'idea di crociata.
San Bernardo e l’idea di crociata. E' innanzitutto dagli scritti di Bernardo di Chiaravalle, anche se posteriori alla prima crociata, che possiamo veder emergere l'idea di una vita cristiana come militare Deo. In alcuni scritti Bernardo descrive la Chiesa di Dio come una fortezza assediata dal male e che la militia dei fedeli è chiamata a difendere. I termini di militia Christi e di miles Christi compaiono presto nelle opere dell'abate a designare il fedele e vedremo in particolare il monaco nel suo compito di difensore della fede, della Chiesa di Cristo.
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Quella monastica, per san Bernardo e per tutta la tradizione benedettina, aspetto quest'ultimo che ci interessa in particolare nel merito, è la militia33 che combatte contro le forze del male stretta in un corpo in cui i singoli membri si sostengono vicendevolmente, quasi non potendo fare a meno l'uno dell'altro; ritorna qui per altro un tema di eco paolina della Chiesa come corpo di cui i singoli sono le membra in una unità inscindibile.
Altri benedettini ci testimoniano con la medesima determinazione questo ideale del militare Christo che troverebbe rilievo nella medesima Regola benedettina.34 Ma per Bernardo e per i suoi contemporanei sono milites , Christi e pur con qualche punto in meno, anche i Templari, per i quali lo stesso san Bernardo collaborò a stenderne la regola. Dal punto di vista istituzionale i Templari erano un vero e proprio ordine di penitenti strettisi con i voti monastici e dediti alla difesa dei Luoghi Santi. Bernardo non esita a chiamarli milites Christi pur con i problemi che il loro essere legati da voti monastici e ad un tempo essere dediti alle armi poneva alla mentalità del tempo. Di questo argomento si sono occupati diversi autori;35 a noi preme sottolineare la funzione di carattere difensivo che questo ordine andava ricoprendo in relazione a quella crociata nel solco della medesima tradizione. Uno degli aspetti più interessanti sotto questo profilo è il trattato che s. Bernardo scrive a esortazione perchè sia offerto aiuto nella lotta contro il grande nemico infernale, così i templari avrebbero condotto una guerra di carattere difensivo, in opposizione alla violenza della militia saecularis, e facendo uso della forza in modo
33
Una delle più belle descrizioni di questa immagine si trova nella lettera di san Bernardo a Pietro il Venerabile. V. The letters of Peter the Venerable, ed.G. CONSTABLE, I, Cambridge Massachusetts 1967, ep.20, p. 31. 34 A questo proposito si rimanda agli studi di E. MANNING, La signification de " militaremilitia-miles " dans la Règle de Saint Benoit, "Révue bénédictine", 72 (1962), pp. 135-138; e M.T. BROLIS, La crociata per Pietro il Venerabile: guerra di armi o guerra di idee?, "Aevum", 61 (1987), n.76 di p. 341. 24
non solo legittimo ma santo. In sostanza la funzione loro attribuita coincide con il compito di difendere e proteggere i cristiani residenti in Terrasanta e i pellegrini ivi diretti che avevano il diritto di viaggiare in tutta sicurezza. L'altro aspetto che ho trovato particolarmente interessante è che l'ufficio di questi soldati è ciò che al tempo stesso li riveste di una speciale dignità. La loro difesa di un patrimonio, sacro e inalienabile,di tutto il popolo cristiano quale erede legittimo di Dio stesso, li rende certi della dispensa e dell'eterna ricompensa, per aver procurato gloria a Cristo stesso. Il miles Christi è “malicida non homicida”.Del resto al cristiano non è lecito uccidere neanche gli infedeli, se non nel caso in cui non vi fosse altro mezzo per impedirne la violenza contro i cristiani e contro i luoghi della storia di Cristo.
Giustificazione simile è addotta in occasione dell'enciclica scritta per la crociata dallo stesso Bernardo. I cristiani hanno un diritto inalienabile quello di professare la loro fede. Tale diritto deve essere salvaguardato a costo della violenza. Non si tratta pertanto di un invito alla violenza. Le armi sono l'ultima possibilità di difesa. Nel De Laude
viene enunziato il principio per cui l'uccisione degli infedeli si rende
inevitabile qualora nessun'altro mezzo possa distoglierli dal sopprimere i diritti del cristiano di professare la propria fede. Il Cardini osserva a questo proposito che ci troviamo nell'ambito della definizione agostiniana di bellum iustum, cioè di una guerra non voluta o cercata per desiderio di conquista, bensì di carattere essenzialmente difensivo. La guerra dei crociati è legittima in quanto inevitabile. Pure ai crociati san Bernardo non attribuisce i medesimi connotati dei templari. I milites del Tempio non avevano come fine una guerra di conquista ma di sola difesa di Gerusalemme. La militia crociata, reclutata da tutto il continente, deve liberare tutta la terra santa, la terra di Dio in cui Cristo nacque, diventò un uomo; la terra in cui era morto e risorto, la terra della sua vita storica, della sua storia carnale. E' 35
F. CARDINI, Le crociate tra il mito e la storia, Roma 1971; F. CARDINI, La crociata mito politico, " Pensiero politico ", 7 (1975), pp.3.32; J. LECLERCQ, Attitude spirituelle de Saint Bernard 25
diverso l'obiettivo rispetto a quello dei Templari. L'epistola 363, conosciuta come l'enciclica della crociata, è il testo che più testimonia questi aspetti. Bernardo evidenzia nettamente il compito, la prerogativa dei crociati: ristabilire il possesso di tutta la terra promissionis.
L'elemento che evidenziamo è la
presentazione della crociata come guerra non solo di liberazione, ma di duratura conquista della Palestina. Un aspetto questo per altro emerso fin dall'appello di Clermont, in occasione della prima crociata, da Urbano II, dove era sottintesa nell'affermazione del diritto da parte della Cristianità al possesso della Terrasanta. Bernardo scrive più tardi e in occasione della seconda crociata, ma è significativo che questo aspetto trovi la sua genesi nella genesi stessa delle spedizioni a Gerusalemme. La conquista è legittima, giustificata dal diritto al recupero di una proprietà al legittimo proprietario. Pietro Comestore, prima di Bernardo, si trova a dover esprimere una tale giustificazione, quando, un patriarca di Gerusalemme si rivolge al teologo cistercense chiedendo se i cristiani non contravvenissero alle prescrizioni della dottrina cristiana36. L'atteggiamento critico nei confronti della crociata
doveva essere tutt'altro che limitato e comune tanto al campo musulmano quanto a quello cristiano. Comunque sono diversi gli autori che dedicano tanto spazio alla confutazione dell'illiceità della lotta armata contro gli infedeli. E molte erano le polemiche suscitate dalla problematica della crociata in Terrasanta e in Occidente. Si vedrà a questo proposito come ai partecipanti fosse chiaro il carattere sacro della missione loro affidata manifestato non solo dalla predicazione di vescovi e prelati o dalle parole di incitamento dei condottieri ma dal sostegno che Dio stesso prestava alla loro opera, e che non cessava di mostrare attraverso eventi prodigiosi, visioni, segni del Cielo.
devant la guerre, " Collectanea cisterciensia ", 36 (1974), pp.195-225. 26
Negli scritti di san Bernardo emerge un ulteriore aspetto tutt'altro che trascurabile: questi servi crucis ottengono in premio un tempo di misericordia ricco della grazia del Signore che viene elargita con speciale abbondanza e generosità a remissione dei peccati e a salvezza dell'anima. Ma non solo: l'annus iubileus costituisce un autentico momento straordinario e di straordinaria amministrazione della grazia divina; le opere dei fedeli in questo tempo sono benedette e beneficiano di tutta la pienezza dell'intervento divino. Inoltre si acquista mediante il pellegrinaggio (armato) stesso l'indulgenza plenaria. L'impresa dei crociati si qualifica anche come atto d'amore nei confronti dei fratelli nella fede. La spedizione di riconquista della terra di Dio, e quindi dei cristiani, costituisce un atto di carità verso il prossimo perchè riconquista a tutti la possibilità del pellegrinaggio e dell'acquisto dell'indulgenza. Come ha osservato nel suo testo 37 Riley-Smith, l'amore a Cristo si manifesta nel prendere il segno della croce e l'amore ai fratelli nella fede nel rendere nuovamente accessibile il luogo della grazia, della salvezza. L'evangelico: “Non c'è amore più grande che dare la vita per l'amico” procurò parecchi martiri tra i crociati. La questione è quella della natura universale del cristianesimo e della funzione profetica dei fedeli, come osserva Franco Cardini, e del problema agostiniano del compelle intrare e della legittimità del collegamento fra guerra e missione. Jonathan Riley-Smith ha collegato l'agape cristiana alla crociata concepita come atto d’amore nei confronti e delle comunità cristiane d'Oriente che avevano bisogno di essere tutelate contro gli infedeli e degli infedeli stessi che acquisivano una sorta di punizione positiva nella possibilità di convertirsi al cristianesimo; e qui tornano Agostino e Bernardo cui l'autore ha evidentemente attinto. 38
36
J. LECLERCQ, Gratien, Pierre de Troyes et la seconde Croisade, in " Studia Gratiana ", II (1957), pp.62-73. 37 J. RILEY-SMITH, Crusading as an act of love, pp.177-192. 38 Più autori hanno richiamato i rapporti tra crociata e missione;B. Z. KEDAR, Crusade and mission. European approaches toward the muslims, Princeton 1984. 27
Dunque per san Bernerdo colui che entra nell'esercito crociato è un penitente. Non è un cavaliere secolare ma fa parte di un ordine superiore. Allo stesso tempo si distingue dai Templari che avendo espresso voti monastici si sono qualificati come autentici milites Christi. Mai Bernardo arriva a identificare allo stesso modo i crociati e mai li chiama milites Christi, termine col quale li abbiamo pure fin qui designati, rifacendoci alla concezione dell'abate stesso, ma utilizzando un'espressione che entrerà solo più tardi a identificarli. Bernardo chiama i crociati servi crucis, o semplicemente milites; è l'idea della milizia cristiana che affonda le radici lontano in Agostino, dicevamo, e in S. Gregorio Magno prima. Alla milizia crociata dunque è negato l'appellativo di militia Christi ma è importante sottolineare che non si tratta di una concezione negativa. Il problema sembra piuttosto porsi nei confronti di quelle forme di vita perfette che hanno adottato i voti monastici, ovunque militino e operino per Cristo. E' chiaro che per comprendere l'importanza e l'influsso che Bernardo esercitò nei confronti degli avvenimenti e dei problemi della Chiesa del suo tempo occorre situare sempre il contributo del suo pensiero nell'ambito del dibattito teologico che si svolge nel periodo della sua più fervida attività, il secondo quarto del secolo XII. E occorre tener conto della straordinaria personalità di Bernardo e della sua vita. Appartenente al ramo più rigido e severo del monachesimo occidentale, l’ordine cistercense, che era sorto per opera di Roberto di Molesme, Alberico e Stefano Harding verso la fine dell'XI secolo proprio come tentativo di riforma del rilassamento progressivo in atto nell'ordine benedettino, egli, monaco e abate, si trovò a essere implicato in tutti gli affari più importanti della Chiesa del suo tempo.
Per quanto riguarda il pensiero di Bernardo sulla crociata, Delaruelle, per primo, negli anni cinquanta, vi si accostò studiandolo nel contesto del pensiero dell'epoca 28
del santo. Delaruelle
39
sottolineava il valore penitenziale e espiatorio, di
pellegrinaggio che aveva la crociata. Lo storico prese in considerazione diverse fonti: cronache della prima crociata, opere di Bernardo, epistole del santo. All'epoca di Bernardo la crociata era ancora in via di definizione e l'abate ne colse in particolare l'aspetto mistico e spirituale, quello di un vero e proprio giubileo, concesso da Dio ai cristiani per espiare le loro colpe. Era questa l'idea di fondo che san Bernardo offriva ai cavalieri del suo tempo trasmettendo a una questione militare e cavalleresca il significato di un momento della lotta dell'uomo contro le forze del male. E Bernardo capiva bene di dover come tenere sui binari l'iniziativa chiara che il primo papa delle crociate aveva imposto al viaggio. Anche Rousset nel suo studio sottolineava questi aspetti 40. Il pensiero di Bernardo va inserito nell'ambito dell'evolversi del pensiero sulla crociata in generale. Bernardo segna in un certo senso una tappa in tale processo. Il Cardini ha ben evidenziato in questa direzione come il pensiero del monaco cistercense subisca una evoluzione, e acquisti infine una valenza non solo occasionale ( per la seconda crociata ), ma anche universale, cioè per la condizione crociata in quanto tale.
Cardini interpreta le asserzioni di Bernardo riguardo l’uso della violenza armata, prima a favore dei Templari, come abbiamo visto in precedenza, poi per la crociata da lui predicata, come parti integranti di un unico pensiero bernardiano sulla guerra. L'esperienza bernardiana sarebbe un momento, di grande rilievo spirituale, del fenomeno della Crociata.
39
E. DELARUELLE, L'idée de Croisade chez Saint Bernard, in Mélanges saint Bernard, Dijon 1953, pp.53-67. 40 P. ROUSSET, Les Origines et les Caractères de la première Croisade, Neuchatel 1945. 29
Abbiamo visto la posizione di Bernardo di fronte alla cavalleria. Come emerge dagli studi del Leclercq sugli scritti bernardiani 41 l’abate, nelle molteplici occasioni in cui dovette intervenire in affari temporali, mostrò “ les limites d'un saint quand il fait de la politique ”. L'abate di Clairvaux non innovò molto la tradizionale posizione di fronte alla cavalleria e alla guerra, l'uso stesso fatto da Bernardo dei termini militia e affini non si discostava dall’impiego comune. Il dato interessante, che emerge da un saggio di Paul Rousset42, è che non c'è soluzione di continuità tra i resoconti della prima crociata e l’attività predicatoria del santo o i suoi scritti. Aspetto per noi importante per
tracciare quello che potè essere il
pensiero monastico sulla Crociata.
Un altro aspetto della riflessione di Bernardo ci interessa sottolineare e concerne il suo pensiero sui cristiani d'Oriente, sui non cristiani, gli infedeli, e la loro conversione. Questa problematica della conversione non interessa Bernardo tanto nello sviluppo del suo pensiero, quanto nell'ambito della tematica dei rapporti tra cristiani e non. L'attenzione del santo va in particolare poi agli ebrei per cui nutre naturale rispetto filiale, se così si può dire, in quanto da questo popolo sono sorti i Profeti e Cristo stesso, e per i quali nutre la certezza circa la Salvezza promessa da Dio. Bernardo infatti aborrisce le persecuzioni scoppiate in occasione della crociata contro di essi 43.
L’antico popolo eletto viene strenuamente difeso. Nel presente stesso gli Ebrei sono il simbolo della passione del Salvatore. La condanna del monaco alle persecuzioni è aspra e decisa.
41
J.LECLERCQ, L'attitude spirituelle de Saint Bernard devant la guerre, "Collectanea Cisterciensia" 36(1974), pp.195-225, tradotto in inglese con il titolo St. Bernard's Attitude toward War, in Studies in Medieval Cistercian History, II, Kalamazoo 1976, pp. 1-39. 42 Il saggio è una rivisitazione, con particolare attenzione alla istituzione cavalleresca, dalle idee già espresse, sempre dal Rousset, nel citato Les Origines et les Caractères, pp. 152-167. 30
Ma Bernardo non si pone affatto il problema del dialogo o del rapporto tra la cristianità e le fedi “ esterne ”. Queste ci sono come possesso del Nemico; il bene e il male sono innanzitutto due modi di essere. San Bernardo non mostra alcun riguardo verso gli infedeli: certo sarebbe meglio non massacrarle - afferma - ma bisogna pur difendersi dai loro attacchi. Al crstiano non è consentito venire a patti con i pagani. Questo non è segno della carità. Carità cristiana è ristabilire la pace e l’ordine, è riconquistare l’eredità dei cristiani e rendere possibile la conversione a tutti. Bernardo è chiaramente in sintonia con il pensiero del suo tempo, con la dottrina dei suoi predecessori e in particolare con Anselmo da Baggio 44 . L'abate propone continuamente al laico la conversione di cuore, sia nel caso in cui voglia farsi monaco, sia non voglia proprio rinunciare alle armi facendosi templare ( visto che qualcuno che difenda gli altri cristiani deve pur esserci ), sia diventi crociato. Il crociato partecipa pur sempre a qualcosa il cui valore è eterno anche se la durata è temporanea. Quello che guadagna è l'indulgenza, la remissione dei peccati commessi e con questa la possibilità di ricominciare una nuova vita. Negli scritti posteriori alla crociata emerge sempre questo aspetto della spedizione in Terrasanta come una autentica occasio salutis . Si capisce l'importanza dell'intenzione nel partecipare alla crociata e alla guerra, che dovrebbe avere la forza di cambiare realmente, e non temporaneamente il cavaliere.
Comunque nelle lettere per la crociata Bernardo non affronta il problema del ritorno. Chi muore in guerra ottiene il Paradiso e è considerato alla stregua di un martire.
43
A questo proposito si rimanda ancora agli studi citati del Leclercq che raccolgono il contributo di altri studiosi in merito. 44 Molto vicina alla posizione di Bernardo è quella di Pietro il Venerabile, che, come osserva la Brolis, tuttavia " individuò nel dibattito intellettuale un altro metodo di lotta " ( cfr. BROLIS, La crociata per Pietro il Venerabile, soprattutto pp. 353-354 ). 31
La crociata trova dunque la sua giustificazione nella stessa salvezza promessa alle anime dei partecipanti 45. Tutti possono contare sulla remissione dei peccati concessa dall'indulgenza crociata. E' evidente che quando Bernardo scrive l’Apologia 46, all'indomani della sconfitta, sa bene di non poter essere capito da tutti. Il suo discorso, del resto, è destinato prevalentemente al papa, agli ecclesiaatici e a se stesso. Ma colpisce quello che l'abate vuol fare emergere e cioè che chi agisce conformemente alla volontà di Dio non può incorrere in errore, qualunque sia l'esito delle proprie azioni. E' l’obbedienza alla volontà divina che fa essere nel giusto. Per cui solo chi si discosta da tale volere non può che incorrere nell'errore e nella confusione. E questo Bernardo aveva sempre predicato tanto per i templari quanto per i crociati. Bernardo è sicuro del proprio operato e di quello dei predicatori della crociata che si sono impegnati obbedendo ai comandi del pontefice, e quindi alla volontà di Dio attraverso di lui.
Deus vult ! Sembra ancora dire Bernardo. E fin dall'inizio l’abate rimise la questione nelle mani del pontefice romano. Si sentì autorizzato ad agire solo dietro invito e delega da parte di Eugenio III e solo allora aveva acconsentito a predicare la crociata 47.
45
Questo aspetto è sottolineato da un altro personaggio del tempo, Ottone vescovo di Frisinga, in un Excursus composto nei suoi Gesta, a giustificazione, appunto, della crociata che era fallita, da un punto di vista di successi OTTONIS Gesta, I, 65: Excursus ad excusandum eventum illius expeditionis. 46 La composizione del trattato oscilla verosimilmente tra gli anni 1148 e 1153. 47 E. VACANDARD, Vie de Saint Bernard, abbé de Clairvaux, II, Paris 1895. 32
La partecipazione dei monaci Componente essenziale del pensiero bernardino sulla crociata consiste proprio nella possibilità per i monaci di prendere parte alla spedizione. Fedele alla regola professata, Bernardo vieta al monaco la partecipazione che implicando il viaggio in Terrasanta andava contro la stabilitas loci, uno dei presupposti fondamentali della vita claustrale. La vocazione monastica era scelta di vita ritirata dal mondo, volta alla preghiera e all'ascesi per riunirsi a Dio. Non serve al monaco uscire dal monastero per recarsi a Gerusalemme, alla Gerusalemme terrena; il monaco raggiunge nella stabilitas la contemplazione di Dio, quella condizione privilegiata della Gerusalemme celeste. Per il monaco è meglio rimanere nel proprio monastero piuttosto che vagare in terre lontane dal momento che neque...terrenam, sed caelestem requirere Ierusalem monachorum propositum est, et hoc non pedibus proficiscendo, sed affectibus proficiendo 48. Molti altri esempi Bernardo lascia del suo pensiero in proposito
49.
Come la
condizione templare, quella monastica è una scelta che implica tutta la vita, mentre non è così per il crociato, che si impegna per un periodo limitato della propria esistenza, anche se aderendo alla crociata spera di ricavare la remissione di tutte le colpe commesse e, se dovesse morire, la salvezza eterna. E' chiaro che a questo punto si può ordinare gerarchicamente in livelli di perfezione le scelte di adesione a questa o a quella esperienza di vita. Il laico può scegliere liberamente ma anche definitivamente. Non si tratta di una immobilità di vita; il movimento continuo, per tutti, è quello della lotta contro il male, sia che esso si trovi dentro di noi o fuori di noi. 48
Ep. 399. Anche se Bernardo non perde l'occasione per consigliare la moderazione e paragonando l'abate al padre e il monaco al figliol prodigo, come da parabola evangelica: Vos autem, pater, non molestam habeatis eius reversionem, etsi suspectam habeatis eius converstionem; quin potius gaudere, quia hic filius vester mortuus fuerat, etrevixit; perierat, et inventus est. 49 Si veda ancora l'Ep. 459, scritta a un esponente della casa degli Staufen per scusare il fratello di questi per aver rinunciato a prendere parte alla crociata. 33
In ognuna di queste scelte Dio offre una grande possibilità di salvezza personale: in questo sta la missionarietà di Bernardo.
Il ruolo di Bernardo nella crociata Il giudizio degli storici si è esercitato diffusamente sul ruolo che Bernardo ebbe nell'affare della crociata. Il problema era ampio perchè chiamava in causa l'esito della spedizione 50. Certamente Bernardo svolge un compito affidatogli dal pontefice, pur con l'eccezionalità che gli è consueta. Deve fronteggiare situazioni impreviste e imprevedibili, nello svolgere il suo incarico, e cerca di farvi fronte tentando di incanalare tutte le forze emergenti dell'Occidente nell'ambito di una crociata cristiana e papale. E come emerge dalla Quantum predecessores, con la quale Eugenio III aveva bandito la crociata ufficiale, la spedizione in Terrasanta era un'iniziativa dei pontefici romani, e segnatamente del predecessor... noster felicis memoriae papa Urbanus che aveva affidato la difesa della Santa Romana ecclesia a franchi e italici
50
In merito si sono espressi in molti. er una visione generale si consulti E. VACANDARD, Vie , II, Paris 1895; A. AMBROSIONI, Bernardo e il papato, in Bernardo cistercense, pp. 59-79; Bernardo cistercense. Atti del XXVI Convegno storico internazionale, Todi 8-11 ottobre 1989, cur E. Menestò, Spoleto 1990; F. CARDINI, Bernardo e le crociate, in Bernardo cistercense, pp. 187-197; G. CONSTABLE, A Report of a Lost Sermon by St Bernard on the Failure of the Second Crusade, in Studies in Mediaeval Cistercian History presented to J.F. O'Sullivan, cur.J. R. SOMMERFELDT, Spenser ( Massachusetts ) 1971 ( Cistercian Studies Series, 13 ), pp. 49-54; E. DELARUELLE, L'idée de Croisade chez saint Bernard, in Mélanges Saint Bernard, Dijon 1953, pp. 53-67; C. D. FONSECA, La storiografia da Vacandard a Leclercq, in Bernardo cistercense, pp.118;J. LECLERCQ, L'attitude spirituelle de Saint Bernard devant la guerre, " Collectanea Cisterciensia", 36( 1974 ), pp. 195-225. Trad. ingl.: idem, ST. Bernard's Attitude toward War, in Studies in Medieval Cistercian History, II, Kalamazoo 1976, pp. 1-39; P. ZERBI, Bernardo di Chiaravalle, in Bibliotheca Sanctorum, III, Roma 1963, coll. 3-16. 34
durante la prima crociata. La prima spedizione divino...auxilio comitante aveva liberato Gerusalemme e molte altre città.51
Altre spedizioni minori si erano susseguite a quella principale, volte a dilatare pro viribus nomen christianum, rendendo possibile la riconquista alla cristianità di alcune città in mano agli infedeli. L'appello accorato del pontefice52 insisteva sulla difesa della Terrasanta e dei cristiani oppressi. Per l'autorità concessa da Dio a lui e ai suoi predecessori il papa garantiva a chi fosse partito la remissione dei peccati e assicurava la protezione della Chiesa a mogli e figli.53 Lo scopo della lettera del papa era bandire la crociata. E nella direzione di una crociata cristiana e papale si era mosso Bernardo. Non entro nel merito del problema
51
EUGENII III Epistolae, PL 180, col. 1064B: Ad ipsius (Urbanus II) siquidem vocem ultramontani et precipue Francorum regni fortissimi et strenui bellatores et illi etiam de Italia caritatis ardore succensi convenerunt et maximo congregato exercitu, non sine magna proprii sanguinis effusione, divino eos auxilio comitante, civitatem illam, in qua salvator noster pro nobis pati voluit et gloriosum ipsius sepulchrum passionis suae nobis memoriale dimisit, et quam plures alias, quas prolixitatem vitantes memorare supersedimus, a paganorum spurcicia liberarunt. 52 Ibidem, col.1064B: Universitatem itaque vestram in Domino commonemus, rogamus atque precipimus et in peccatorum remissionem iniungimus, ut qui Dei sunt et maxime potentiores et nobiles viriliter accingantur et infidelium multitudini... sic occurrere et aecclesiam orientalem, tanta patrum vestrorum...sanguinis effisione ab eorum tyrannide liberatam, ita defendere et multa captivorum milia confratrum nostrorum de ipsorum manibus eripere studeatis, ut Christiani nominis dignitas vestro tempore augeatur et vestra fortitudo, quae per universum mundum laudatur, integra et illibata servetur. 53 Ibidem, col. 1065B-C: Nos autem vestrorum (in)quieti et eiusdem aecclesiae destitutioni paterna sollicitudine providentes illis, qui tam sanctum tamque pernecessarium opus et laborem devotionis intuitu suscipere et perficere decreverint, illam peccarorum remissionem, quam prefatus predecessor noster papa Urbanus instituit, auctoritate nobis a Deo concessa concedimus et confirmamus atque uxores et filios eorum, bona quoque et possessiones sub sanctae aecclesiae, nostra etiam et archiepiscoporum et aliorum prelatorum aecclesiae Dei protectione manere decernimus. Auctoritate etiam apostolica prohibemus, ut de omnibus, quae, cum crucem acceperint, quiete possederint, nulla deinceps questio moveatur, donec de ipsorum reditu vel obitu certissime cognoscatur. 35
storiografico esistente intorno alla sua opera
54 ;
ma
è precisamente in quel senso
che vanno intese le lettere che Bernardo inviava in ogni parte d'Europa .55
54 Si vedano ad esempio J. LECLERCQ, Bernardo di Chiaravalle, Paris 1989, trad. it. Milano 1992, cap. VI: Impegni della avanzata maturità (1139-1148), par.V: Per la seconda crociata, p.88. Per uno sguardo d'insieme sull'opera del Leclercq ci si può rifare a J. LECLERCQ, Momenti e figure di storia monastica italiana, cur.V. CATTANA, Cesena 1993 (Italia benedettina, 14). 55 Anche perchè per Bernardo, come per tutta la sua epoca, la guerra è innanzitutto un fatto , una realtà presente, una condizione. Per cui non si tratta di stabilire se la guerra sia lecita o meno, ma se la guerra sia permessa a un cristiano come già spiegato. 36
La crociata per Pietro il Venerabile.
Il Leclercq definiva il progetto di Pietro una “croisade intellectuelle”
56
necessaria per
prevenire la contaminazione della cristianità dall’errore islamico. Ma secondo l’interpretazione del Leclercq e di buona parte della storiografia che se ne occupò per anni la crociata di cui Pietro era convinto assertore era una crociata pacifica, le cui armi erano le parole. Una lettura che presto fece pensare anche ad una avversione del monaco alla crociata in armi, e a un suo sostanziale giudizio negativo su di essa. L’abate di Cluny non sarebbe stato completamente soddisfatto della direzione che il movimento crociato aveva preso. Molte implicazioni della “guerra santa” restavano problematiche pur riconoscendo santo e legittimo l’obiettivo di riconquista dei luoghi santi. Oltre tutto il principale obiettivo sarebbe dovuto essere quello della conversione dei musulmani, sacrificato, in un certo senso dall’urgenza dei problemi politici e militari stessi imposti dalla spedizione. Più studiosi finirono con il considerare l’opera apologetica di Pietro il Venerabile come una alternativa pacifica alla contemporanea iniziativa militare dei crociati. Ma altra parte della storiografia sostenne in un’ipotesi sostanzialmente opposta. 57 Una tappa significativa in questo in questi studi storiografici la segnò Paolo Lamma con il suo libro Momenti di storiografia cluniacense, edito nel 1961 che inseriva Pietro in un confronto con i suoi predecessori, facendo emergere così il pensiero della tradizione di Cluny in proposito. E in continuità con l’etica dell’abate Odone, per esempio, Pietro avrebbe insistito sul carattere spirituale e morale di elevazione che il cammino crociato doveva portare con sè. Pietro dimostra una grande ammirazione
56
J.LECLERQ, Pierre le Vénérable, Abbay S. Wandrille 1946 V. BERRY, Peter the Venerable and the Crusades, in Petrus Venerabilis …, cit., pp.141-162; l’autrice, per esempio, scrisse con lo scopo di dimostrare che Pietro il Venerabile fu decisamente 57
37
per gli sforzi che la cavalleria europea, con i poveri e le masse, sosteneva nelle lontane regioni della Palestina, pur dimostrando la sua preoccupazione per la quanto tali imprese allontanano dalla meditazione e dalla contemplazione. E chiaramente gli ripugna vedere religiosi che si danno alla guerra. Il Lamma colse la complessità dell’atteggiamento di Pietro verso la crociata e le apparenti contraddizioni presenti in esso e scriveva: “In realtà a Pietro interessa profondamente una cosa sola: la realizzazione del suo ideale religioso in un mondo di pace e tranquillità dove le differenze e le lotte siano eliminata ”. 58 In sostanza Pietro, teologo interessato e preoccupato del dialogo con i suoi interlocutori, opta per un approccio intellettuale a preferenza della crociata perché
convinto che il vero avversario non si possa sconfiggere con la spada. Negli anni ottanta ancora buona parte della storiografia è convinta dell’ipotesi irenica del pensiero dell’abate sulla crociata. Pietro rimane un uomo del suo secolo e esprime parole di ammirazione per la prima spedizione in Terrasanta. Nel medioevo si criticarono solo alcuni aspetti della crociata, non il concetto stesso. Spesso ci furono critiche motivate addiritura dal desiderio di migliorare le campagne militari. E valutare l’opinione di Pietro il Venerabile non può prescindere dal tener presente il più generale problema della guerra nel pensiero cristiano59 . L’atteggiamento di Pietro nei confronti della crociata va compreso alla luce della sua opinione sulla guerra in generale e sulla lotta all’eresia60. E comunque l’abate è favorevole alle crociate lungo tutto il corso della sua esistenza e che la sua partecipazione fu tutt’altro che passiva. 58 P. LAMMA, Momenti…, cit., p. 146. 59 Rimandiamo ancora a A. MORISI, La guerra…; particolarmente illuminante e ricca di riferimenti bibliografici l’opera di F. CARDINI, Alle radici…; e ancora F. CARDINI, Gli studi sulle crociate dal 1945 fino ad oggi, “ Rivista Storica Italiana “, LXXX (1968), pp.79-106. 60 A questo scopo sarà utile rifarsi all’epistolario dell’abate in particolare, ci si può valere della edizione critica delle sue lettere curata da Giles Constable (The Letters of….) ; si rimanda anche 38
inequivocabilmente chiaro quando descrive l’entità della minaccia musulmana. Nel Contra Saracenos sostiene che dovendo enumerare tutte le eresie non non se ne potrebbe eguagliare alcuna a quella islamica, ritenendo così l’Islam sostanzialmente non solo un’eresia, ma addirittura la più pericolosa: la tappa intermedia del piano satanico per distruggere la Chiesa cristiana. E Pietro si rendeva conto di aver di fronte anche l’espressione di una civiltà potente dal punto di vista culturale tanto quanto da quello militare,che minacciava seriamente la Respublica christiana. Dunque le armi della Chiesa non potevano essere che duplici: la carità cristiana doveva adoperarsi per convertire; la crociata riconquistare i luoghi santi. Spetta a volte all’autorità ecclesiastica punire, intervenire severamente; 61
e più volte Pietro si pronunzia per la fermezza pur senza avallare l’uso diretto delle
armi da parte dei chierici o dei monaci, principio sul quale resta irremovibile quanto san Bernardo. La presenza degli ecclesiastici alla crociata era ammessa solo nelle funzioni di assistenti spirituali o di consiglieri. Anche se è alcuni ignorando il divieto della Chiesa in proposito, presero parte attivamente alle spedizioni. Pietro fu uno dei più aspri critici di tali disobbedienze; egli giudicò grottesco e ripugnante per un monaco prendere le armi e non lo vedeva nemmeno bene in qualità di pellegrino. I crociati dovevano essere laici che, recta intentio disposti al martirio, si univano ad un iter penitenziale, per arrestare l’avanzata degli infedeli e per liberare la terra “ubi steterunt pedes Domini ”.
Pietro aveva lodato lo sforzo di molti re che avevano impegnato le loro forze nella lotta agli infedeli come apprezza lo sforzo e il sacrificio dei crociati.
alle opere di Pietro il Venerabile sulla religione musulmana per cui J. KRITZECK, Peter the Venerable and Islam, “ Princeton Oriental Studies “, 23, Princeton 1964. 61 Per un approfondimento della teoria dei due gladii si veda P. ZERBI, Riflessioni sul simbolo delle due spade in san Bernardo di Clairvaux, in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale, Raccolta di studi in memoria di G. Soranzo, I, Milano 1968 (Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Contributi, Serie Terza, Scienze Storiche, 10), pp. 345-362. 39
Gli apprezzamenti verso i partecipanti alla prima crociata si riscontrano in due documenti: una lettera ai monaci del Monte Tabor e il sermone De Laude Dominici Sepulchri 62 . Ma i capisaldi della recta intentio con cui i crociati si mossero e che sempre la Chiesa raccomandava erano l’amore a Cristo e la disponibilità al martirio. In linea con la tendenza XII secolo a sottolineare il valore delle intenzioni interiori rispetto ai contemporanei esterni, Pietro raccomandava ai monaci: «Purificate ergo tam recta intentione quam sacris virtutibus oculum cordis, quo Christum in monte suo non iam corporali ut
olim, sed spirituali gloria transformatum, ipsi spirituali
immutatione transformati, nunc quidem per spem et amorem, in futuro ‘autem facie ad faciem’ contemplari mereamini »63. Sappiamo anche del sermone scritto dall’abate in data a noi ignota sul Santo Sepolcro, destinato ad infiammare lo zelo dei crociati. L’ammirazione di Pietro per i popoli che erano giunti al Sepolcro dai luoghi più remoti della terra e avevano liberato l’accesso ai Luoghi Santi non ha un solo motivo: Pietro loda l’intenzione che li ha messi in viaggio; collega l’opera dei crociati con il mandato apostolico ad gentes sul compito missionario affidato i cristiani 64. Secondo Pietro, i protagonisti della prima crociata, che avevano liberato il Sepolcro, avevano realizzato la profezia del profeta Isaia (66, 19-20) confermando come per lui la crociata non fosse una mera azione militare.
Come san Bernardo, anche Pietro esprime i suoi timori per i riflessi della crociata sul mondo monastico. La partecipazione dei religiosi ai pellegrinagi come alle crociate minacciava la prima norma di vita manastica: la stabilitas loci. Era un topos della spiritualità monastica 62
PETRI VENERABILIS Epistole, G. CONSTABLE ed., The Letters of Peter the Venerable, Cambridge (Ma.) 1967, vol. I, ep.80, pp.214-217. 63 P.V.ep. 80, p.216. 64 Come recenti studi hanno indicato, il rapporto tra missione e crociata è un problema che deve essere approfondito ai fini di una maggiore comprensione del fenomeno crociato stesso. 40
affermare che la Gerusalemme celeste, contemplata dai monaci tra i muri del chiostro, era superiore a quella terrena, visitata dai pellegrini. Secondariamente e come Bernardo Pietro individua il rischio di una alternativa di scelta tra conversio monastica e voto crociato. E Pietro era ben certo della superiorità dei voti monastici rispetto agli altri. Infine l’abate di Cluny è perplesso di fronte alla possibilità, insita nell’esperienza crociata, chesi crei una confusione tra gli ordines ( questo a riguerdo della condanna dei religiosi in armi ).
L’opinione di Pietro a proposito della militia Christi si conforma al medesimo ideale gregoriano. La vocazioni in armi si giustufica solo a favore e a servizio della Chiesa. Inoltre i falsi cristiani sono nemici peggiori degli infedeli, quindi in un certo senso il primo impegno del cristiano è quello in terra cristiana rispetto alla crociata transmarina. Giudizio tuttavia da prendere cautamente considerando il fatto che Pietro si esprime in proposito in un momento particolare per Cluny. Ai Templari l’abate non pare accordare fiducia incondizionata 65 . In sostanza Pietro non fu contrario alla crociata, riteneva perfettamente legittimo, come la gente del suo tempo, contrastare militarmente l’avanzata degli infedeli nella Terra Santa; solo, individua nel dibattito intellettuale una alternativa alla lotta armata necessaria e complementare alle spedizioni. “La crociata, dunque, per Pietro il Venerabile è guerra d’armi e di idee, guerra senza dubbio necessaria e meritoria, purchè non danneggi o non sia in alcun modo anteposta ad un’altra, più importante lotta, quella combattuta dai monaci, nel silenzio dei chiostri, contro il pessimus hostis Dei ” come afferma la Brolis .
65
P.V. ep. 173, p. 143. 41
CAPITOLO III
LA I CROCIATA VISTA DA UN MONACO DI
FLEURY
La narratio fa parte di una cronaca di Francia che va dall’anno 879 al 1110 contenuta nel manoscritto latino 6190 della Biblioteca nazionale a Parigi. Si tratta di una cronaca anonima redatta nel monastero di Fleury-sur-Loire, da dove proviene il volume che la contiene.
Il monastero di Fleury. Fleury fu fondata nella metà del settimo secolo sulla riva destra della Loira. La villa fiscale di Floriacus, di cui si ignora il nome celtico, si trovava in una regione particolarmente fertile della valle della Loira cui fu dato il nome di Valle d’Oro, vicino alla sponda del fiume maggiormente protetta dal pericolo d’inondazione. In questo punto un guado formatosi nel letto del fiume interrompe una strada molto vecchia proveniente da Berry che si congiunge a nord a una via antica detta la Sente aux Boeufs, e che arriva da Sully fino a Montereau. La funzione di bretella tra la Loira e il tratto medio della Senna e l’affiancarsi a sud della Loira Bourguignonne che porta le acque di Rhône e Saône fino all’Oceano la rese un importante nodo commerciale. Un po’ a nord del villaggio la vecchia via che collega Auxerre a Chartres.
42
43
Il borgo non è mai stato isolato come lo è oggi. All’epoca merovingia il paese aveva fatto parte addirittura di un regno di Borgogna, annesso successivamente alla Neustria. La storia della fondazione di Fleury non fu oggetto di una ricerca ordinata. La tradizione locale è esposta nel IX secolo da Adrevaldo . Tra la storia della traslazione delle reliquie di San Benedetto e dei suoi miracoli è inserita la storia dell’abbazia cominciando dalle notizie relative a Leodeboldus Floriacensis monasterii fundator. Nel 639 morto il re Dagoberto gli era successo al trono il figlio Clodoveo II che aveva sposato la regina anglosassone Batilde. Sotto la sua influenza in particolare era ripresa la diffusione del monachesimo e si andavano affermando le regole di San Benedetto e di Colombano. A questo punto secondo un’altra fonte, l’autore della Historia translationis
66
,
Leodebodus abate di Saint-Aignan d’Orléans, che sentiva giunto il momento di mettere le mani sull’affare di Fleury, scambiò il dominio patrimoniale di Attigny (splendida a giudicare da quanto vi ci si affezionarono i sovrani, tanto da preferirla alle altre dimore) con una terra del fisco di Fleury67 e vi costruì due Chiese consacrate rispettivamente alla Vergine e a S. Pietro68. Avrebbe messo in seguito a capo del monastero l’abate Mommolus. Ma secondo Aimoin69 e il Catalogo degli abati di
L’Historia translationis è stata studiata per la prima volta nel 1605 da Jean du Bois, in seguito dai Bollandisti , da Mabillon e dal Duchesne, dal Migne e da Certain. 67 Lo strumento di questo scambio fatto con il re Clodoveo si trovava negli archivi; l’atto proprio dello scambio, noto con il nome di Testamentum Leodebodi, segnalato dall’autore della Historia traslationis, e inserito da Helgaut all’inizio della vita Robertii regis lo troviamo in M. PROUT – A. VIDIER, Recueil des chartes de l’abbaye de S.-Benoît-sur-Loire (Documents publiés par la Soc. hist. et archéol.du Gâtinais, V-VI), 2 vol., Paris 1965. In realtà la questione dell’autenticità del documento è molto controversa: si pensò troppo presto che il ritrovamento all’interno della Historia ne fosse il garante ma fu un grave errore probabilmente. Nell’atto si fa menzione di uno scambio tra un re e un abate. Il Testamentum è invece un atto di donazione sospetto in cui le diverse parti si contraddicono e la cronologia non è determinabile. Tutti gli studiosi trovarono difficoltà ma il Mabillon lo ritenne autentico. Solo più tardi gli fu negata l’autenticità. 68 Si rimanda anche a RHE, Vues sur l’histoire de l’abbaye de Fleury, VII-VIII s. 69 «Abbatem instituit nomine Rigomarum qui quinquennio expleto…successorem accepit nomine Mummolum» (Gesta Francorum, IV, 42; ed. DUCHESNE, Hist. Frac. Script., III, p.120. 66
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Fleury70 Mommolo non sarebbe stato il primo ma solamente il secondo degli abati di Fleury. La tradizione lo faceva morire a Bordeaux di ritorno da un pellegrinaggio a Saint-Jacques de Compostelle e le sue reliquie sarebbero state rinvenute nel IX secolo. Ma con questa storia siamo in piena leggenda. Mommolo sarebbe successo a Rigomerio nel 632. Divenuto abate si prese a cuore la costruzione e il mantenimento del suo monastero. Per trovare le risorse necessarie Avrebbe potuto tenere le reliquie di un santo oppure ricorrere alla generosità reale. Fece uso di entrambe: così troviamo l’attestazione della presenza delle reliquie di S. Aignan d’Orléans a Fleury per quell’epoca 71. Non è questa la sede per discutere dell’autenticità delle reliquie, certo è che le reliquie puramente figurative della Vergine e di san Pietro erano già fonte di interesse per i pellegrinaggi. La devozione dei frati andava come è ovvio a san Benedetto e a san Colombano. Così quando gli inviati del monastero di Mans, in viaggio per l’Italia nella speranza di ottenere le reliquie di santa Scolastica, sostarono a Fleury trovarono un gruppetto di monaci pronti a intraprendere il medesimo cammino. La spedizione sarebbe arrivata a Montecassino per ottenere le reliquie di san Benedetto. La data del 653 è accettabile e per lo più fondata per la traslazione delle reliquie72. La traslazione delle reliquie ottenne al monastero il prestigio per i secoli successivi. Erano numerosi i pellegrini che si recavano a Fleury. Inoltre la posizione privilegiata dell’abbazia assicurava la rapida diffusione delle notizie e dei racconti dei miracoli compiuti dal padre del monachesimo occidentale. A Fleury affluì una ricchezza abbastanza grande da concedere ai monaci di riprendere una tradizione culturale maggiormente dedita allo studio che al lavoro della terra. Si può tranquillamente affermare che la presenza di San Benedetto consentì a Fleury di diventare uno dei maggiori centri intellettuali del primo medioevo. Sotto l’abate Teodulfo d’Orleans (798-818) e specialmente dopo la riforma di Fleury per mezzo di Oddone di Cluny (si veda più avanti) il monastro aveva esercitato la sua Si consulti anche Lista degli abati, in Dictionnaire d’Histoire et de Geographie ecclesiastique, 1 vol., p.466. 71 P.-V., I, p. 5, 1. 26-27. 72 Historia translationis S. Benedicti et Miracula S. Benedicti, vol I, in Miracula, p. 1-14 e 15-89; Annales Floriacenses, in Vidier, p. 217-20. 70
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influenza intellettuale ben oltre le mura del monastero stesso. Nel X secolo Fleury era uno dei principali centri del movimento della riforma monastica. Non sono moltissime le notizie che possediamo sulla storia del monastero prima del X secolo. Per il VII secolo abbiamo qualche informazione relativa alle donazioni che Fleury ricevette; in particolare nel 674 Clotario III confisca Caput Cervio e ne fa dono a San Benedetto. Il monastero ha qualche problema qualche anno più tardi nell’ambito della guerra che oppone Neustria e Borgogna. Tra il 673 e il 679 si succedono tre abbaziati relativamente brevi; segno delle interferenze allora in atto. Ancora l’abbazia sembra essere stata circospetta quarant’anni più tardi durante la lotta tra Pipinidi e Merovingi. Ma registriamo un dato importante sulla fine dell’VIII secolo: Fleury riceve alcuni codici antichi che fecero la sua gloria. Non si sa se successivamente Montecassino abbia alimentato di libri la biblioteca di Fleury. Sono stati ritrovati testi della regola di san Colombano praticata evidentemente con quella di San Benedetto e ricordi dei miracoli operati dal santo al momento dell’arrivo delle reliquie nella zona addirittura per il periodo di Carlo Magno.
Più tardi l’abbaziato di Mangulfo, amico di Alcuino, porta notevoli cambiamenti: vengono ricostruite la casa abbaziale, la biblioteca e una nuova Chiesa di San Pietro dove trovano asilo le reliquie di San Benedetto. Si ignora tutto il resto della storia del monastero tra il VII e l’VIII secolo. 73Sappiamo dei rapporti che Fleury instaura in questo periodo e manterrà sempre con
73
Per la bibliografia fondamentale relativa alla storia del monastero di Fleury-sur-Loire abbiamo consultato J. LAPORTE , Fleury, in Dictionnaire d’Histoire et de Geographie ecclesiastique, vol. I, pp.466-476; A. VIDIER, La fondation de Fleury, in L’historiographie à Saint Benoît-sur-Loire, Paris 1965; M. MOSTERT, The Library of Fleury, Hilversum (Middeleeuwse Studies en Bronnen, III), 1989. 46
l’abbazia di Saint Denis; e della costruzione di Saint-Germain-les-Pres nei pressi del monastero stesso ad opera di Teodulfo vescovo di Orléans. Una serie di diplomi ancora sotto Carlo il Calvo e sotto Carlo il Semplice tra l’855 e il 900.
Dal punto di vista economico si può dire che i monasteri abbiano giocato un ruolo di spugne lavorando alternativamente ad accumulare ricchezze fondiarie e a ridistribuirle sotto l’effetto delle donazioni e delle espoliazioni di cui furono successivamente oggetto. Tradizionalmente sono i Normanni i responsabili della disorganizzazione delle chiese alla fine del IX secolo con il loro gusto per il saccheggio e l’avventura. In realtà essi non furono che gli agenti efficaci di una realtà ben più ampia. I Normanni entravano nella Senna nell’841 e non giungono nella valle della Loira che quindici anni più tardi, quando Orléans è saccheggiata e Fleury ridotta in cenere.
Successivamente i religiosi di Fleury pensarono di istallarsi più a est. Avevano preso piede in Borgogna da lungo tempo. Nell’876 Perrecy-les-Forges nello Charolais era stato un luogo di rifugio che in seguito ricevettero in dono per varie vicissitudini. Nasceva un nuovo monastero, una piccola Fleury che accumula favori e donazioni fino a che la casa madre è ricevuta da S. Oddone e Cluny si impone nella regione. Con Oddone si apre una delle più grandi epoche di Fleury. Il monastero comincia a partecipare all’azione riformatrice di Cluny. Fleury condivide con Saint-Pierre de Gand, riformata da S. Gérard de Brogne la prerogativa dell’instaurazione del monachesimo in Inghilterra. Sant’Osvaldo si istruirà a Fleury. Ma la vita intellettuale si risveglia verso la fine del secolo con Abbone (abate dal 988 al 1004) e all’inizio del secolo seguente con lo storico Aimoin. Abbone entrato a Fleury verso il 950 come bambino oblatofu un uomo di grande scienza. Insegnò a Sant’Osvaldo, nipote del primate d’Inghilterra che divenuto arcivescovo di York lo chiamò nell’isola nell’985. 47
Torna a Fleury per succedere all’abate Oylboldus. Aveva già composto numerosi trattati. Abbone viene assassinato nel 1004 durante una rivolta. Il periodo dell’abate e dei suoi scolari vide il culmine dell’influenza intellettuale dell’abbazia grazie anche alla qualità dell’insegnamento fornito dalla scuola. Un importante fattore contribuiva allo status di Fleury: la sua posizione con la stima del re, del vescovo di Orléans e del papa stesso. Fleury godette anche del privilegio che gli ottenne l’indipendenza entro la diocesi e l’esenzione. E’ significativo che il successore di Abbone, Gauzlinus, fosse un figlio illegittimo di Ugo Capeto, designato per la lunga e duratura relazione tra il monastero e la dinastia reale. Il re Roberto veglia sui beni della casa. In questo contesto la vita intellettuale fiorisce. Sarà dal XII secolo in avanti che l’importanza e l’influenza di Fleury caleranno. I centri di superiorità intellettuale cambieranno dai monasteri alle università e nel mondo monastico Fleury dovrà lasciare la posizione a lungo occupata. Tuttavia solo quando nel 1299 il numero dei monaci fu ristretto a 45 Fleury perde il livello di potere monastico mantenendo la sola importanza locale. Quando i protestanti saccheggiarono il monastero nel 1562 l’equilibrio tra la quantità dei libri disponibili e il numero dei religiosi aveva avuto già un capovolgimento. Al tempo della Rivoluzione erano rimasti solamente dieci monaci e la storia di Fleury volgeva al termine.74
Nel 1026 il monastero era bruciato interamente e l’abate Gauzlinus lo aveva fatto ricostruire e decorare con pitture e oggetti d’arte. Fatto arcivescovo di Burges conserva il pastoralr di Fleury e muore nel 1030. Nonostante i problemi interni la vita intellettuale prosegue, come vedremo oltre, tanto che intorno al 1060, dopo che alcuni monaci hanno raccolto gli Annali Floriacensi, opera di notevole valore storico, Fleury bilancia, se così si può dire, Saint Denis e 74
M. MOSTERT, The Library of… 48
Filippo I chiede di essere seppellito nel monastero. Ciò ci induce a dire che l’abbazia ha preso il posto dell’altra come monastero dinastico. Sotto il profilo temporale nel regno di Enrico I e l’inizio di quello di Filippo I si assiste a un periodo di progresso regolare.75 Diverse sono anche le nuove acquisizioni di Chiese. Si stipulano accordi in Normandia per l’acquisto di diversi beni e lo stesso avviene in Francia. Questa prosperità è ben esplicata dalla ricostruzione di Nôtre Dame sotto l’abate Guglielmo (1069-1080).
Tra il 1080 e il 1103 sembra di assistere a un momento di deterioramento. Il monastero esce perdente in una serie di arrangiamenti. Ma nel 1095 il terribile incendio del lunedì di Pasqua 26 marzo76 non riesce a sconvolgere l’abate Josserand. 77
L’abate Josserand (Joscerannus) muore l’anno seguente, come apprendiamo dalla lista degli abati di Fleury precedentemente citata. Sono gli anni in cui è bandita la prima crociata in Terrasanta. Gli succede l’abate Simon che morirà poi il 20 marzo 1108, giorno della commemorazione dell’elevazione delle reliquie di San Benedetto.78
Fino al 1218 monaci e abati si sono dedicati a una considerevole opera di ricostruzione con una tale perseveranza da renderci obbligatoria una certa venerazione. E a quest’opera di ricostruzione andrebbero del resto addebitate le inevitabili deficienze di tipo amministrativo ed economico in cui il monastero incorse. 75
J. LAPORTE, Fleury, Histoire, in DHGE, p. 450. Come ci è ancora attestato in DHGE, p.450. 77 Attestato nei Miracula, p.321. 78 M.PROUT-A. VIDIER, Recueil des chartes de l’abbaye de Saint-Benoît-sur-Loire (Documents publiés par la Soc.hist.et archéol.du Gâtinais, V-VI), 2vol., Paris 1900-37. 76
49
Come dicevamo in precedenza, fino all’inizio del XII secolo non pensiamo si possa parlare di decadenza seria dell’ordine floriacense. Il Leclercq individuava verso il 1130 l’apogeo di Fleury, tanto più che dalla metà del XII secolo la situazione economica e sociale comincia a evolvere. Il Rinascimento del secolo XII esige dei baget che l’economia monastica (riorganizzata nel X secolo) è incapace di fornire e dall’inizio del XIII secolo il monastero non riuscirà più a rispondere alle nuove esigenze. Inoltre la divisione del patrimonio in uffici indipendenti, ponendo delle strettoie alla circolazione interna delle risorse, rende difficile anche il tentativo di ottenere delle piccole riprese. L’abate Bosone, di cui ci parla prevalentemente Chazal nella sua Historia Floriacensis coenobii, contenuta nel manoscritto Orléans 490-91,divenuto abate nel 1108, amministra fino al 1137 (anno della morte) con discreto successo ma realizzando più arrangiamenti che acquisizioni. 79 Il suo intervento fu indirizzato anche contro le varie esazioni che alcuni conti cercavano di contrarre dal monastero. L’abate Ademaro (Adhemarus, Adhémar) sembra seguirne le tracce. Ma è deposto nel 1145 dal legato pontificio che lo fa sostituire dal nipote proprio Macario, manaco di Cluny e già abate di Massay. Sembra che Ademaro avesse lasciato decadere il monastero da lungo tempo sia sotto il profilo temporale che spirituale. Questo non è pienamente credibile. Ad ogni modo in quest’epoca si assiste a una vera e propria invasione di Cluniacensi in tutti i monasteri del Nord. A Fleury stessa sono inviati come maestri monaci di Cluny, nonostante l’abbazia non sia assolutamente sottomessa alla giurisdizione del monastero allora governato da Pietro il Venerabile. Macario seppe comunque badare ai problemi cui dovette far fronte per circa diciotto anni del suo abbaziato. E a noi questo basta per conoscere e inquadrare la storia e la realtà di Fleury.
50
Storiografia a Fleury tra XI e XII secolo.
L’abbazia di Fleury è stata alla fine del decimo secolo, per tutto l’arco dell’undicesimo e ancora, ma in modo minore, all’inizio del dodicesimo, il principale centro di produzione storiografico francese.80 I testi nati in quel periodo hanno avuto grande influenza sugli altri centri che si sono sviluppati in seguito a Saint-Germandes-Pres, a Saint Magloire e soprattutto a Saint Denis quando Parigi ha preso definitivamente il posto di Orlèans come cuore del regno dei Capetingi e Adhemar de Chabannes in persona si rese garante dell’opera di Fleury. Già anteriormente, il fatto di possedere le insigne reliquie del corpo di san Benedetto dopo la loro epica traslazione da Subiaco – di cui ha narrato il monaco Adrevald de Fleury – certamente non è stato estraneo al diffondersi della fama dell’abbazia così come la redazione durante diverse generazioni dei Miracula Sancti Benedicti. 81 Questa attività ha potuto svilupparsi grazie alla ricchezza dei manoscritti raccolti nella biblioteca del monastero, manoscritti che oggi si ritrovano disseminati nelle varie biblioteche in Europa.82
Tuttavia bisogna ammettere che cronologicamente la scuola di Fleury si è sviluppata relativamente tardi rispetto a certi grandi centri intellettuali della Francia merovingia e carolingia, come Auxerre, città della Touraine di Gregoire de Tours e ancora di più Sull’abate Bosone esiste una abbondante documentazione di cui in particolare ci riporta PROUTVIDIER. 80 VIDIER, L’historiographie…, p. 313; R.H. BAUTIER, «L’historiographie en France aux X et XI siècles (France du Nord et de l’Est)», dans La storiografia altomedievale. Settimane di Studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, aprile 1969, Spoleto 1970, pp. 793-855, spec. pp. 821-822, 826-828, 833-836, 843-847. 81 Abbiamo visto i numerosi contributi che l’opera ha già fornito a conoscenza della storia dell’abbazia. 79
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Reims, dove l’abate Abbon de Fleury ha frequentato la scuola in gioventù. Ma questo non impedisce ai religiosi di Fleury di avere una chiara coscienza dell’importanza dell’opera intellettuale del loro monastero. E’ caratteristico che aprendo la sua biografia dell’abate Gauzlin, André de Fleury poco prima della metà dell’undicesimo secolo, cominci a glorificare citandone i nomi coloro che attraverso i loro scritti hanno illustrato la sua abbazia83 e insista su colui nel quale vide il primissimo di questa rosa d’autori, e cioè Aimoin. Ricorda giustamente all’inizio della sua opera il nome di colui che fece di Fleury – come dice lui – un torrente di arte libraria e la palestra della scuola di nostro Signore, l’abate Abbon. Sappiamo dalla Vita Abbonis redatta da Aimoin che Abbon prima di redigere le sue opere, prima di portare il suo insegnamento in Inghilterra e prima di accedere all’ufficio di abate di Fleury, aveva, come ci è stato detto, frequentato la scuola di Reims al tempo di Gerbert.
Abbon stesso non era rimasto insensibile al fascino della storia: aveva fatto un riassunto del Liber pontificalis e inoltre, quale esperto del diritto canonico, ha fatto costantemente riferimento ai canoni dei primi concili e li ha ripresi nella sua Collection come parecchie sue lettere. Meglio ancora, egli aveva redatto quando era catechista in Inghilterra, una vita del santo re inglese Edmond. Tuttavia non lo si condidera facilmente un vero storico, probabilmente perché dedito a altri numerosi insegnamenti. D’altra parte prima di lui e fin dal nono secolo Adrevald 84 si era dedicato alla redazione dei miracoli manifestatisi a Fleury presso la tomba di san Benedetto, ma là si trattava prima di tutto di un’agiografia e non esattamente di storiografia.
Sulla biblioteca di Fleury si veda M. MOSTERT, The Library…, p. 315. ANDRÉ DE FLEURY, Vie de Gauzlin, abbé de Fleury / Vita Gauzlini abbatis Floriacensis monasterii, R.H. Bautier et Gillette Labory, Paris 1969. 84 ADREVALD, Historia translationis sancti Benedicti, ed. E.de Certain, Paris 1858. 82 83
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E’ Aimoin,85 allievo di Abbon che riaccende a Fleury la fiaccola della scuola di Reims e con lui nasce veramente la scuola storiografica del suo monastero. Nato da una famiglia nobile ai confini della Guyenne e della Gascogne, quindi non lontano dal priorato La Réole, dev’essere stato affidato molto giovane a Fleury (da cui dipendeva quel priorato), poiché sappiamo che preso l’abito monastico sotto l’abate Amalbert (979-987), e che era ancora puer al tempo dell’incendio del 990. Trascrive la storia dei primi trenta abati di Fleury fino a Abbon, successivamente intraprende la sua Historia Francorum
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per volere dell’abate Abbon stesso (988-
1004). La lascerà incompiuta fermandosi bruscamente al sedicesimo anno del regno di Clovis II (Clodoveo II), certamente perché alla morte brutale di Abbon nel 1004 ha iniziato a scriverne la biografia su richiesta del tesoriere di Saint Martin de Tours Hervé. Vorrebbe terminare la sua Histoire des Francs ma deve redigere la stesura ufficiale della Translatio sancti Benedicti e proseguire la redazione dei Miracles de Saint Benoît interrotti dal momento delle redazioni antecedenti di Adrevald e di Adaleire. La sua stesura sembra interrottasi verso il 1005-1007.
Aimoin è un vero storico. Comincia a scrivere la sua opera Histoire des Francs (la conferma che ne l’autore ci viene dal confratello André) ma a differenza dei compilatori antichi o contemporanei non tratta di avvenimenti del suo tempo, né di narrazioni di carattere storiografico. Non utilizza una sola fonte riassumendola o completandola. La storia, divisa in quattro libri, è preceduta da una descrizione geografica della Germania e della Gallia ai tempi antichi con una descrizione degli usi, dei costumi e delle istituzioni germaniche. Le sue fonti sono Cesare e Plinio 87. Di seguito la narrazione si svolge cronologicamente dalle origini dei troiani alle origini dei Franchi fino all’inizio del regno merovingio e alla morte di Clodoveo, poi
Su Aimoin è interessante vedere M. BERLAND,« Un moine aquitain de l’an mil, Aimoin de Fleury», dans Revue historique de Bordeaux et du département de la Gironde, 30, 1983-1984, pp. 5-32. 86 L’opera è stata oggetto di uno studio e di una eccellente edizione di CHRISTIANE LE STUM, Aimoin de Fleury. Historia Francorum, nella sua brillante tesi École des chartes del 1976. 87 VIDIER, L’historiographie…, pp.72-73. 85
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Tratta la divisione del 511 fino alla morte di Clotario nel 561 e ancora dopo, la nuova divisione fino alla riunificazione del regno franco sotto Clotario II nel 613; infine, a partire da costui, fino al brusco arresto del racconto nel 654. Aimoin riesce a mettere in relazione alla storia del regno merovingio i fatti che visi rapportano, e non solo per quel che riguarda il Papato ma anche Bisanzio e l’Italia. Anche lui tende a raccontare certamente dei fatti immaginari, prodigiosi, miracolosi con una serie di citazioni bibliche. Come osserva ancora Alexandre Vidier nella sua Historiographie a Saint-Benoît-surLoire, l’autore è particolarmente interessato a segnalare la genealogia dei re: così, per ogni regno, adotta un piano cronologico, cominciando dalla nascita del re e il suo battesimo, poi lo caratterizza secondo la sua fede, annotando le chiese volute e le campagne militari intraprese.
E’ verosimile che Aimoin sia ricorso ad alcune opere fondamentali come il Liber historiae Francorum o i Gesta Dagoberti ma combina abilmente le diverse fonti, come ci fa notare Cristiane Le Stum nella sua tesi che ho citato prima88.
L’opera era dedicata all’abate Abbon cui va la dedica dell’autore. Si capisce che fosse anche un’opera voluta dall’abate stesso. Certo come storico il suo merito non è indifferente: egli è riuscito a fornire un resoconto continuo degli avvenimenti che riguardavano il regno dei franchi risalendo alle mitiche origini troiane. E il tema verrà ripreso a Fleury – si veda la Cronique d’Adhémar de Chabannes oppure il Ex genere Priami che servirà poi ad altri autori dell’abbazia. 88
Le Stum afferma che certamente si tratta di Liber pontificalis, di Historia Longobardorum, di Historia Romanorum di Paul Diacre e di Miracula sancti Benedicti, ma che è ricorso anche a molti testi agiografici, a vite di santi fino ad attingere alle fonti classiche. 54
Il racconto di Aimoin, questo è essenziale sottolineare, servirà di supporto a molte opere storiche successive. Interrotto a metà del settimo secolo, il manoscritto di Fleury si chiude con la parola Explicit. A Fleury stessa si volle ben presto continuare a scrivere quest’opera incompiuta. Anzi è verosimile che Aimoin stesso abbia ripreso in mano l’opera per completarla in alcune parti, in particolare sembra che ad Aimoin stesse a cuore riprendere il racconto della fondazione dei grandi monasteri dell’epoca merovingia, tra cui la stessa abbazia di Fleury, e continuare la narrazione terminando con un poema sulla traslazione delle reliquie di san Benedetto, avvenimento che non poteva non essere fondamentale agli occhi dei monaci.
Diversi manoscritti provenienti direttamente da Fleury ci fanno conoscere l’opera primitiva di Aimoin. Ma fin dall’undicesimo secolo si è via via ampliata, senza dubbio con le note provenienti da Fleury stesso oltre che da Saint-Pierre-le-Vif de Sens, di cui è conosciuto il legame con Fleury. Forse è sulla base di questo manoscritto giunto da quel monastero, oppure di un altro di Fleury che la compilazione di Aimoin passa a Saint-Germain-des-Près, dove il testo riceverà ulteriori aggiunte relative a questa abbazia. A diverse riprese avviene una stesura in questa stessa abbazia per essere in seguito continuato a Saint Denis fino alla fine della vita di Luigi VI e infine alla morte di Luigi VII. L’opera così prolungata e rimaneggiata prese il suo posto insieme alla altre nelle biblioteche di Saint-Denis e Saint-Victor a Parigi, e sicuramente anche in quelle di Saint-Magloire, ed è generalmente sotto questa forma che l’opera è conosciuta ed utilizzata, poi tradotta in francese dagli storici del Medio Evo. L’opera di Aimoin e dei suoi continuatore è servita come fondamento per conoscere lungo i secoli la storia della Francia medievale, a cominciare dalla leggenda delle 55
origini troiane dei Franchi. Certamente fonte delle Chroniques de Saint-Denis e delle Grandes Chroniques de France, si è diversamente cercato le più “continuations d’Aimoin”, nelle cronache che sono servite o che a loro volta le hanno continuate.
Sebbene l’opera di Aimoin ha avuto un successo brillante durante tutto il medioevo, gli storici moderni lo hanno snobbato, visto che si tratta di una compilazione di autori anteriori a tutte le epoche e non di una fonte originale come quelle alle quali solitamente fanno riferimento e non si sono interessati minimamente a continuare l’opera. Di fatto si trattò di un’opera assolutamente indispensabile per la storiografia poiché è attraverso di essa oppure attraverso le opere delle quali è stata la fonte di documentazione che si è conosciuto nel corso delle generazioni il lavoro degli storici di epoche anteriori.
Tuttavia Aimoin non è stato soltanto l’autore di questa vasta compilazione. E se l’ha interrotta bruscamente è stato perché laddove la stava scrivendo si è verificato un avvenimento inaspettato che ha sconvolto i piani dei confratelli di Fleury, cioè la morte violenta dell’abate Abbon quando si recò a Réole per tentare ancora una volta di far conoscere l’autorità della sua abbazia-madre da parte di quel priorato. Aimoin era uno dei tre monaci che avevano accompagnato il loro abate, ed era del tutto naturale, visto che la strada da percorrere passava da Aubeterre-sur-Dronne dove era signore suo zio e da Francs, tra Coutras e Castillon, dove viveva sua madre. Fu dunque testimone diretto dell’accoglienza fatta all’abate dalla gente di La Réole e dei tumulti durante i quali l’abate fu ferito a morte da un colpo di lancia; ed è ancora presso uno dei suoi parenti che sulla via del ritorno gli altri feriti vengono medicati. Si comprende perciò che in tali condizioni Aimoin abbia voluto, da vero storico e testimone oculare, dedicare tutte le sue energie alla stesura della biografia del suo abate, in cui l’incidente a La Réole occupa un posto di rilievo. La Vita Abbonis è una delle opere più avvincenti di questo genere letterario. 56
Finita questa impresa Aimoin pensò che fosse necessario redigere, dietro richiesta dei suoi confratelli, una storia degli abati di Fleury, della quale oggi si sa solo per un brave accenno di uno dei suoi successori. L’opera pare sia perduta.
Sempre per la devozione portata al santo patrono della sua abbazia, Aimoin mette in versi il racconto della Translation de Saint Benoît, come sappiamo scritto in prosa da Adalbert e Adrévald, e compone un sermone in cui riunisce e rielabora tutti i testi che avessero a che vedere con il santo patrono dell’abbazia.
Il successore di Abbon, l’abate Gauzlin chiede a Aimoin di continuare la storia fino alla sua epoca, narrando dei miracoli verificatesi a Fleury per le reliquie di san Benedetto, racconto iniziato nel nono secolo da Adrévald e continuato da Adalaire. Aimoin riprende l’opera dalle invasioni dei Normanni fino ai suoi giorni, quando parla del re Roberto il Pio (Robert le Pieux). Lascia incompiuta l’altra opera, la storia del popolo franco e dei suoi re e sembra sia scomparso egli stesso verso il 1010. Ad Aimoin non è sempre attribuito un posto notevole nella storiografia e nella storia letteraria del Medioevo, tuttavia lo considererei uno dei più importanti storici.
Il monaco Helgaud si appresta già all’indomani della morte del re Robert le Pieux nel 1031 a scriverne la biografia.89 Allievo fin da giovanissimo nel monastero – era entrato come bambino oblato sarebbe poi diventato chiliarchus , cioè il guardiano delle reliquie e del tesoro dell’abbazia. Diventa anche cantore solista e sappiamo da diverse fonti che ebbe l’incarico di decoratore del santuario della chiesa dell’abbazia e che su richiesta di 89
HELGAUD DE FLEURY, Vie de Robert le Pieux / Epitoma vitae regis Rotberti Pii, R.H. Bautier et Gillette Labory («Sources d’histoire médiévales publiées par l’Institut de Recherche et d’histoire des Textes», 1), Paris 1965. 57
Gauzlin fece costruire la chiesa di Saint-Denis. Un’iscrizione apposta sulla parete dell’abbazia ne ricorda l’evento. Ricostruì anche la cappella di santa Scolastica. Morto il re Roberto intraprende l’Epitoma vitae regis Rotberti Pii che costituisce una delle principali fonti sul regno di Roberto il Pio. L’opera di Aimoin fu ripresa una trentina di anni dopo la sua morte da un religioso del monastero, André, il quale dopo essere stato il condiscepolo del futuro abate Hugues, sarebbe divenuto priore o decano dell’abbazia come è attestato nel rotolo dei morti redatto dopo il suo decesso. André, nato da una famiglia signorile nella regione di Orléans, aggiunse nel 1041 – data citata da lui stesso – quattro nuovi libri (IV - VII) ai volumi II e III dei Miracula Sancti Benedicti redatto da Aimoin, e dedicò la sua opera all’abate Hugues (103643).
Nel manoscritto della biblioteca Vaticana (Reg. lat. 592) gli ultimi capitoli del suo ultimo libro sono stati scritti da un’altra mano, che potrebbe indicare che non ha potuto terminare l’opera che aveva iniziata. Ma André de Fleury è stato soprattutto l’autore di una dellepiù belle biografie di quest’opera che costituisce anche – anzi può esserlo certamente – una fonte eccellente della storia della prima metà dell’undicesimo secolo. Si tratta della Vita Gauzlini, appunto la vita dell’abate Gauzlin, successore di Abbon (1004-1030). Vi si trovano raccontati non soltanto i fatti personali riguardanti la vita dell’abate come il suo viaggio a Roma o le sue relazioni con i vari signori di Berry, di Gatinais e di Orléans, ma anche informazioni relative alla luce diffusa dal monastero verso la Normandia e l’Inghilterra, la Bratagna, la Catalogna e la Gascogna; inoltre vi si trovano informazioni preziose sui lavori che Gauzlin avrebbe fatto per abballire Fleury, con descrizioni precise delle sculture e delle opere di oreficeria da realizzare, come pure gli oggetti che aveva portato dal suo viaggio a Roma, dei libri di miniature che diede da fare, degli affreschi per ornare i muri della cappella di Saint-Pierre e quelli del refettorio dei monaci. 58
Malgrado sembri essere spesso dimenticato, vorrei ricordare che la scuola storiografica di Fleury si è sviluppata ancora per tutto un secolo. In quel tempo furono composti Abbreviatio gestorum regum Francorum e soprattutto Chronicon anonimi Floriacensis90 che si pensa poter attribuire a Raoul le Tourtier.
Ma di tutta questa scuola, il migliore rappresentante è senz’altro colui che riprese l’opera incompiuta di Raoul le Tourtier, Hugues de Fleury, chiamato anche Hugues de Saint-Marie, di famiglia signorile della regione.91 Verosimilmente è lui all’origine della stesura del testo Ex genere Priami che fa risalire – ancora una volta – le origini dei Franchi alla stirpe troiana di Priamo. Comincia per dare una semplice lista dei re merovingi e prosegue facendo un riassunto della storia della dinastia carolingia e dei primi Capetingi fino al 1109. Allo stato attuale degli studi sull’opera di Hugues, è difficile determinare se si tratta di una prima stesura oppure del riassunto di opere precedenti. In effetti, vi è un’altra sua opera altrettanto importante che ci è giunta sotto diverse forme.
Secondo la sua stessa testimonianza, si è cominciato a redigere una storia degli imperatori romani a partire da Augusto, seguita da quella degli imperatori bizantini, alla quale mischiò le origini della dinastia carolingia e, brevemente il regno di Carlo Magno fino a suo figlio, Ludovico il Pio (Louis le Pieux). Fa seguire una lista dei papi con la durata del loro pontificato fino a Giovanni VIII (872-882), al quale fa
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Il Chronicon anonimi Floriacensis è conservato in un manoscritto unico, certamente un manoscritto d’autore (Bibli. Nat., ms. lat. 6190, fol. 58-69). 59
succedere abusivamente come successore Leone V che, così scrive, canonizza Saint Sardos. E visto che Hugues de Fleury scrisse una Vie de Saint Sardes, non c’è motivo per dubitare che l’autore di questo Codicellus historiae imperatorum et paparum sia proprio Hugues.
A seguito di questo lavoro preparatorio, egli redige la sua opera propriamente detta e che si è presa l’abitudine di indicare came Historia ecclesiastica, ma che egli stesso ha designato con il nome di Gesta Romanorum imperatorum. E’ una autentica storia di imperatori e papi che termina con la morte di Carlo Magno e che ha dedicato nel 1109 a Adèle de Blois, figlia di guglielmo il Conquistatore.
In seguito riprende la penna per redigere ciò che dalle prime parole del testo viene chiamato Ludovicus Pius, un abbozzo che sarà ripreso in seguito. Infine Hugues redige la sua opera principale che fu il risultato di tutti gli schizzi e abbozzi precedenti, il Liber modernorum regum, dedicato all’imperatrice Matilde, figlia del re d’Inghilterra Enrico I Beauclerc, nipote di Adèle, alla quale aveva precedentemente dedicato la sua Historia ecclesiastica. Come indica nella prefazione, intendeva “ trattare in un solo volume tutto ciò che si trova diperso in diverse opere o mescolato a diversi trattati e che nessuno ha in animo di radunare ”.
Si tratta in effetti di un sunto storico dalla morte di Carlo Magno fino al 1110. Il fatto che egli qualifica Matilde come imperatrice è prova Hugues ha redatto la sua opera Dopo il matrimonio di Matilde con Enrico V nel 1114. Ed è persino verosimile che l’abbia scritta dopo il matrimonio di Matilde con Goffredo il Bello, conte di Anjou nel 1127.
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Per le notizie relative a Hugues de Fleury rimandiamo ancora a VIDIER, L’historiographie, pp. 7660
Questa “ Storia moderna dei Franchi ”, 92 come è intitolata dal suo autore, è il risultato di precedenti tentativi, di cui costituisce il compimento. Esso apre con un breve scritto sulle invasioni dei Normanni e della successione dei loro duchi dopo Rollon, avo di Matilde, e prosegue con una cronaca dettagliata, da Charles le Chauve a Filippo I nel 1109. Sitratta di un’opera interessante che si spinge fino all’epoca dell’autore, vista l’aggiunta dalla mano di chi ha trascritto il testo e che porta la data 1125, anno della morte dell’imperatore Enrico V.
In compenso non sembra che essa abbia conosciuto una vera diffusione, anche se vi sono diverse copie; è nota soprattutto quella proveniente da Saint-Magloire alla quale sono stati mescolati dei falsi provenienti da quel monastero. Non abbiamo di quest’opera – come d’altra parte non ne disponiamo di altre opere storiografiche di Fleury – una edizione soddisfacente e finora non si può che attendere i risultati del lavoro di Bautier93 sulla scuola di Fleury.
Annotiamo seppure brevemente un’opera di notevole valore storico raccolta alla fine nell’anno 1063 dai monaci stessi dell’abbazia: si tratta degli Annales Floriacenses. 94 Contenuti nel manoscritto Parigi lat. 5543 in una tavola dei cicli di Denis le Petit vanno dal 532 al 1063. Pertz
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ci ha fornito degli estratti nel 1823
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, pur con delle omissioni su delle note
che l’autore ha ritenuto di scarso interesse storico. Il criterio storiografico aveva guidato la scelta. 81; J. LEPORTE, DHGE, p. 450. 92 Diversi frammenti dell’opera si possono reperire in Recueil des historiens de France. 93 Della storiografia a Fleury Bautier si è occupato anche in un contributo di notevole interesse e utilità di cui si è tenuto particolarmente conto nella presente trattazione; si veda in proposito R.H. BAUTIER, L’école historique de l’abbaye de Fleury d’Aimoin à Hugues de Fleury in Histoires de France, historiens de la France: actes du Colloque internetionale, Reims, 14 et 15 mai 1993, Diffusion, Paris 1994. 94 Per una visione generale si veda VIDIER, L’historiographie, pp. 86-87. 61
Le note in effetti sono state indispensabili a fissare la cronologia storica del monastero di Fleury-sur-Loire. Scritte da più mani e le indicazioni non sono sempre esatte ne complete. Un dato interessante è che gli Annales ci forniscono insieme alla cronologia di eventi propriamente storici, l’elenco dei fenomeni celesti indicati non solo con la data ma addirittura con l’indicazione dell’ora in cui dovettero accadere. Di per se la notazione potrebbe sembrare priva di valore, ma mi è parso significativo sia in riferimento ad una precisa mentalità sia ad un uso che di queste notazioni si fece a Fleury (e non solo) sottolinearne la presenza. L’ordine provvidenziale degli eventi era spesso indicato dai segni del cielo o almeno si credeva che questi servissero a premonire gli avvenimenti. Ed era più che una superstizione o una credenza se venivano inserite in annali storici. Eclissi, segni celesti, apparizioni di stelle e comete nel cielo dovevano avere un valora distintivo e caratteristico. Si avrà modo di tornare sull’argomento. Qui si voleva sottolineare il valore che dovettero attribuirvi e le notizie che questi Annali registravano.
Gli Annales Floriacenses breves si trovano contenuti nel manoscritto Berne 306, che contiene una tavola di due cicli dall’anno 1 all’anno 1063. Il Waitz ne ha fornito degli estratti
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analogamente a ciò che aveva fatto Pertz in seguito al manoscritto di
Parigi. Non ci ha fornito però alcuna menzione dei fatti anteriori all’anno 625.
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MGH, SS, II, pp.254-255; red. MIGNE, PL , 139, col.582-584. Il Duchesne ne aveva già dato un saggio meno esteso nelle Hist. Franc. Script., III, pp. 354-356. 97 MGH, SS, XIII, pp.87-88. 96
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Il carattere dell’edizione si presenta dunque frammentario come era frammentario quello di Pertz. Il lavoro è stato fatto da più mani ed è l’editore stesso a segnalarcene opportunamente la presenza. Sembrerebbe che le note mancanti per gli anni 1000 e 1017 siano state tralasciate nel passaggio di redazionale delle differenti mani. E’ difficile definire il valore di quest’opera, o più propriamente di questo lavoro, se lo si considera isolatamente. Credo potremmo comprenderne meglio la valenza, al di là dell’utilità stessa, se le accostassimo agli altri annali e alle compilazioni provenienti da altre abbazie. Si può dire che il contenuto di quest’opera raccolga i numerosi contributi delle raccolte che vi confluirono e ne costituisca come la summa. Distinguendo le diverse parti e gli aggiustamenti se ne può anche individuare la sorgente, comprendere il valore di ogni lavoro e acquisirne un adeguato giudizio.
Anche negli Annales sono progressivamente elencati gli abati del monastero nell’ordine della loro successione. Il Catalogue des abbés de Fleury presenta numerosi punti in comune con essi. Ed è probabile, come abbiamo precedentemente osservato, che queste compilazioni siano servite da sorgente alle Gesta d’Aimoin per la storia delle origini dell’abbazia di Fleury, e al Liber modernorum regum di Hugues de Fleury in particolar modo per la raccolta delle notizie relative al periodo dell’abate Théodulphe. Indubbiamente la successione degli abati fungeva anche da criterio cronologico in questo tipo di opere, ma vi sono annotate anche le successioni di re e principi, oltre alle registrazioni dei fenomeni celesti verificatsi nella regione (e verosimilmente visti dai monaci di Fleury?) di cui sopra.
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La tradizione annalistica ha sempre caratterizzato la produzione storiografica fin dall’antichità; non sembrerà quindi insolita l’invenzione di questi Annali a Fleury, tanto più se si considera lo sviluppo e la gloriosa tradizione storiografica dell’abbazia. Di questo dovettero avere probabilmente chiara coscienza i monaci stessi di Fleury, se pensiamo che la raccolta e la sistemazione delle notizie relative agli avvenimenti che toccavano il monastero sia stata ordinata dai monaci stessi. Non è inoltre da escludere che l’utilizzo delle compilazioni annalistiche fosse quotidiano negli scriptoria del monastero, una sorta di dizionario degli avvenimenti salienti o una specie di calendario di estrema praticità. Qualunque sia stato il loro uso specifico nell’abbazia, a noi basta sapere che sono stati utilizzati dagli storici di Fleury nel redigere le loro opere maggiori e che rientrano essi stessi nell’ambito della produzione storiografica del monastero.
Abbiamo precedentemente parlato della Historia translationis . Alexandre Vidier si è occupato nella sua Historiographie a Saint Benoît-sur-Loire et les Miracles de Saint Benoît della versione francese dell’Historia che tratta in particolare dell’illatio e della rivendicazione delle reliquie del santo da parte dei monaci di Montecassino.
Alla fine del XIII secolo esiste una raccolta di opere agiografiche di cui Mayer ha dimostrato che il copista e il traduttore erano della Borgogna. La traduzione ,estremamente letterale, non è esente da controsensi derivanti verosimilmente da cattiva lettura del testo latino. Nel XV secolo il manoscritto fece parte del fondo dell’ospedale del Santo Spirito di Digione; nella stessa cartella sono stati trovati tre testi relativi a san Lazzaro protettore appunto dei malati.
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Il testo viene dal manoscritto dopo la vita di Saint Benoît ed è tratto dal secondo libro dei dialoghi di san Gregorio. Non si tratta di una semplice traduzione ma di una trasposizione accorciata. L’inizio ripercorre la traslazione delle reliquie di san Benedetto secondo l’Historia translationis ma è legata dall’ultima frase al secondo racconto, quello dell’illazione. Cronologicamente, in mezzo dovrebbe trovarsi un terzo racconto. Si tratta del racconto della rivendicazione delle reliquie del santo da parte dei monaci di Montecassino. Non ci siamo addentrati nella ricerca di notizie relative a questi episodi se non per quanto indispensabile ad una prima informazione generale. Si può ancora consultare a questo proposito il Dictionnaire d’Histoire et geographie ecclesiastique
e ancora l’opera di Alexandre Vidier citata nella bibliografia
fondamentale.
Abbiamo visto il momento di massimo splendore di Fleury dal punto di vista dello sviluppo della storiografia; abbiamo individuato nel lasso di tempo e nell’attività di Aimoin fino a Hugues de Fleury l’apogeo della scuola storiografica dell’abbazia e il periodo di massima e più significativa produzione di testi nel monastero.
La prima crociata si colloca esattamente in questo momento, da un punto di vista cronologico, e successivamente i più diversi cronisti cominciano a redigere le loro cronache della spedizione in Terrasanta. Fleury, abbiamo detto, non è certo un piccolo e insignificante centro di produzione letteraria, e si può ben immaginare la tensione che i suoi monaci dovevano avere all’avvenimento.
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L’anonimo redattore della cronaca che andiamo a presentare è certo erede di questa cultura floriacense e, a giudicare dallo stile perito ed elegante in molte sue parti dell’opera, non deve essere estraneo nemmeno alla biblioteca del monastero. Mi sembra interessante domandarsi cosa abbia spinto l’autore a occuparsi in prima persona della redazione di una cronaca sulla prima crociata e, vista la vasta produzione di resoconti della spedizione, perché sia stato sensibilizzato a redigerne una personale. Si potrebbe pensare che l’intento fosse quello di una cronaca di Fleury: il centro che intellettualmente più brillava in Francia non poteva non avere la sua cronaca, tanto più che l’autore rimane ufficialmente anonimo. Ma potrebbe essere fin troppo semplicistica come spiegazione. L’autore, come vedremo meglio in seguito, si riferisce chiaramente alle opere dei suoi contemporanei e mostra senza ombra di dubbio di accettare alcune redazioni più di altre: sceglie dei particolari su cui si dilunga in descrizioni minuziose mentre descrive in maniera del tutto generale e quasi sommaria eventi di cui ci aspetteremmo una più ampia trattazione. E in questo le sue preferenze sembrano potersi addebitare alla scelta di un modello come fonte piuttosto che un altro. Ma torneremo in seguito su questi elementi nell’ambito della presentazione dettagliata del nostro testo.
Rimane verosimile che l’anonimo sia stato, o si sia sentito, sensibilizzato a scrivere della crociata per motivi di prestigio culturale e intellettuale dell’abbazia. Ma si può pensare anche a un altro tipo di sollecitazione. Una certa sensibilità all’idea e alla realtà stessa del pellegrinaggio (e quindi anche del pellegrinaggio armato) Fleury doveva averla in quanto meta di numerosi pellegrini a causa della presenza delle reliquie di san Benedetto, e l’appello di Urbano II a tutti i pastori e prelati, ai chierici e a tutti gli ecclesiastici in generale (e Urbano II non era estraneo ambiente monastico) era stato incisivo. Non era mancata poi la predicazione della crociata da parte del clero. Il resoconto era il minimo che ci si potesse aspettare.
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Abbiamo visto inoltre che dalla Terrasanta erano giunte lettere e racconti non solo da parte dei crociati ma anche da parte di monaci che erano partiti al seguito dei pellegrini armati. Non si può certo escludere che delle lettere fossero giunte anche Fleury.
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Narratio floriacensis de captis Antiochia et Hierosolyma et obsesso Dyrrachio.
La narrazione che pubblichiamo sotto questo titolo fa parte di una cronaca di Francia che va dal 879 al 1110 e che è contenuta nel manoscritto latino 6190 della Biblioteca nazionale a Parigi. Questa cronaca è anonima; ma è stata verosimilmente redatta nel monastero di Fleury-sur-Loire, da dove proviene il fittizio volume che la contiene. 98 Il Waitz che ne ha parlato un po’ in un articolo dedicato a Hugues de Fleury crede che l’autore si sia ispirato alle opere di questa storia. Bisogna ammettere che c’è un legame tra questi scritti ma almeno per ciò che riguarda la crociata, è certamente Hugues de Fleury ad essersi ispirato al nostro anonimo nel racconto della spedizione con la quale termina i suoi Modernorum regum francorum actus . Hugues, come sappiamo, ha redatto il suo testo dopo l’anno 1114, mentre l’opera di cui ci occupiamo attualmente è stata terminata molto probabilmente entro l’anno 1110, termina infatti con la menzione dell’eclissi di luna che ha avuto luogo in quell’anno. Il paragone tra i due testi sembra confermare decisamente che l’anonimo sia la fonte di Hugues de Fleury e non viceversa.
Frammento del ms. Paris lat. 6190.
Secondo Julien Havet 99la scrittura sarebbe di epoche differenti. L’inizio risalirebbe alla fine del X secolo. Mentre la fine non sarebbe anteriore al XII secolo. Si veda l’edizione di P. Pithou ( Hist. Fr. Scriptores veteres, pp.83-95) e l’ed. Duchesne (Hist. Fr. Scriptores, t. II, p.638, e IV, 85-95). Si veda anche il catalogo (in fol.) dei manoscritti dell’antico fondo latino della Biblioteca nazionale. 99 J. HAVET, Les couronnements des rois Hugues et Robert. Un document interpolé par Pierre Pithou, in Revue histor., XLV, 1891, pp. 290-297 (o in Euvres de J. Havet, II, p. 68 e ss.). 98
68
Non pare si possa far risalire la prima parte del manoscritto a un’epoca così arretrata. E’ certo che il manoscritto è stato redatto almeno da due mani. Si riscontrano notevoli differenze di scrittura, meno tra le ultime righe della prima parte e le prime della seconda. Havet ha il merito di aver individuato le diverse edizioni date a più riprese. Pithou l’ha pubblicato per esteso due volte. L’inizio si trova nelle sue Scriptores coaetanei XII 100 e la fine in Scriptores veteres XI.101 Ci indica la provenienza del manoscritto: «fragmentum ex antiqua membrana Floriacensis coenobii».
In tipografia il testo è stato reintegrato delle note e delle interpolazioni dell’editore. Duchesne l’ha ristampato
102
sopprimendo una parte relativa alla prima crociata che
non ha trovato posto che nell’ultimo mezzo volume della Recueil des Historiens des Croisades103
Secondo i Benedettini questa cronaca non ha all’inizio alcun valore originale e non sarebbe che un estratto dei Miracula del Santo scritta da Aimoin. Secondo Waitz, come abbiamo accennato in precedenza, non sarebbe che un derivato del Liber de modernorum regum di Hugues de Fleury e di altre fonti. Per Havet il manoscritto ha assolutamente valore originale e i Miracula ne verrebbero addirittura dopo (teoria fondata prevalentemente sulla cronologia e sullo stile). Tesi di fatto inammissibile per altre ragioni.104 Tanto per i racconti del supplice de manichéens à Orléans alla presenza del re Roberto il Pio quanto per il racconto dei fenomeni naturali del 1044 e delle guerre che seguirono la morte del re Roberto II, i
100
Annalium et historiae Francorum ab anno DCCVIII ad annum DCCCCXC Scriptores coaetanei XII…, II, Parisiis 1588 (et Francofurti 1594), pp. 407-416. 101 Historiae Francorum Scriptores veteres XI, Parisiis 1596, pp. 83-95. 102 Hist. Franc. Script., II, pp. 630-632, e I V, pp. 85-95. 103 RHC, HO, V, PP. 356-362. 69
passaggi del racconto di questi avvenimenti ci indicano la medesima scrittura di altri relativi agli anni dell’XI secolo.
Riassumendo non si può pensare che il frammento ci fornisca una compilazione annalistica di cui le prime parti sarebbero originali e che sia servita da fonte ai Miracula de Saint Benoît. E’ piuttosto una cronaca che ha utilizzato altre fonti, i racconti agiografici di Adelier, Aimoin e André de Fleury. Ma sarebbe ingiusto ridurla al rango di semplice saggio redazionale del Liber modernorum regum poiché contiene informazioni che non potremmo reperire che in quest’opera.
Non bisognerebbe separare lo studio di questa compilazione da quella di un altro frammento stampato dal Duchesne il Vetus Chronicon incerti Auctoris sed qui Monachus Floriacensis fuisse videtur
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Non si è potuto ritrovare del manoscritto
questo secondo frammento che comincia con l’arrivo di Carlo il Calvo (come l’opera di Hugues de Fleury) e contiene diversi passaggi in rapporto diretto con il manoscritto lat. 6190 ma di cui altri sembrano invece indipendenti.
Per un approfondimento del problema si può ulteriormente vedere VIDIER, L’historiographie, p. 83. 104
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Prefazione alla Narratio floriacensis.
Ci troviamo in presenza di un’opera molto personale, scritta in uno stile semplice ma anche decisamente elegante che ci lascia supporre una certa perizia nella scrittura. Come si accennava, l’autore non doveva essere estraneo agli scriptoria monastici. Il suo stile denota comunque una penna esperta.
L’autore non ha assistito, questo almeno ci sembra certo, agli avvenimenti che racconta. Non ha preso parte alla crociata. Quindi bisogna ammettere che le sue informazioni, sebbene precise in generale siano state raccolte in narrazioni anteriori alla sua. Queste informazioni provenivano chiaramente da testimoni oculari e il nostro autore le ha combinate molto felicemente, senza tuttavia astenersi dal seguire fedelmente il susseguirsi dei fatti anche da un punto di vista cronologico da qualcuno di questi racconti in particolare.
Il frammento che pubblichiamo può essere diviso in tre parti. La prima contiene sostanzialmente
un
resoconto
dei
principali
avvenimenti
della
crociata
successivamente all’appello di Clermont, nel 1095, fino all’avvento di Baldovino I, nel 1100. Viene poi trattato un passaggio sulla crociata di Guglielmo IX, conte di Poitou, nel 1101-1102. Infine il racconto dell’assedio di Durazzo ad opera di Boemondo, nel 1107-1108.
105
Historiae Normannorum Scriptores antiqui, pp. 32-34. 71
Nella prima parte,
quella che tratta la storia della crociata fino all’avvento di
Baldovino I e più in particolare degli assedi di Antiochia e di Gerusalemme, l’autore non ci dice nulla di nuovo (da un punto di vista prettamente storico relativo agli avvenimenti reali della spedizione).
Per tutto l’insieme del racconto e per
l’andamento generale della narrazione ci ricorda un po’ le “ Gesta Francorum ”. Per quel che concerne il racconto dell’assedio e il racconto della difesa di Antiochia contro Kerboga sembra presentare ancora delle analogie di forma molto caratteristiche con le “ Gesta ”. Ma nelle stesse frasi dove si notano queste analogie inserisce saltuariamente dei dettagli che non hanno le “ Gesta ” e che del resto non può aver inventato.
L’informazione riguardo l’apostasia di Pirro (Pirrus o Pyrrhus), questo ufficiale turco che consegnò, in sostanza, la città a Boemondo, è una notizia che desta particolarmente il nostro interesse (su cui torneremo), in comune con Guibert de Nogent.
Il passaggio in cui narra di un rossore intenso che avrebbe illuminato il cielo fino all’aurora, una delle notti di sosta in Antiochia, potrebbe alludere ad un fenomeno di cui ci parla analogamente Fulcherio di Chartres, il quale ne riporta l’avvenimento durante l’assedio del luogo da parte dei crociati.
Mentre il racconto della presa di Gerusalemme sembra molto originale. Se vi si volessero trovare dei punti in comune con delle narrazioni di altri storici della Crociata troveremmo analogie e riferimenti o similitudini solamente con Baldrico o con Roberto il Monaco e probabilmente con Alberto d’Aix. Anzi sarebbe in special modo con quest’ultimo che bisognerebbe compararlo. Senza dubbio non ne ha potuto utilizzare l’opera, poiche Alberto d’Aix scriveva dopo il 1120; ma certamente ha potuto conoscerne le fonti principali e soprattutto la 72
cronique lorraine dalla quale Alberto sembra avere preso largamente per redigere la prima parte del suo racconto.
Con Raymond of Aguilers concorda in quello che racconta a proposito del comportamento dei baroni franchi di fronte all’elezione di Goffredo di Buglione al trono di Gerusalemme. L’analogia del racconto si riscontrerebbe solo con Raimondo. Secondo tutti gli altri racconti della crociata Goffredo avrebbe rinunciato spontaneamente al titolo di re. Sono Raimondo e il nostro anonimo ad attribuire, l’anonimo poi in maniera ancora più formale della Historia Francorum di Raimondo, questa rinuncia alla pressione dei capi della Crociata.
Tutte queste constatazioni permettono di formulare un’ipotesi sul modo in cui questa prima parte della Narratio è stata redatta dall’autore.106
Essendo inverosimile che l’autore abbia utilizzato simultaneamente tutte queste storie della crociata con cui mostra però di fatto numerosi punti di contatto, possiamo ipotizzare che prendendo a prestito, come per una scelta obbligata dal caso, una prima informazione da una, una seconda dall’altra, seguendo le
“Gesta” in maniera
generale, abbia completato o modificato quest’opera, sia valendosi della testimonianze orali che aveva raccolto da qualche crociato tornato in Francia, sia attraverso i racconti di quelle lettere inviate dalla Palestina in Occidente. Del resto avevano sfruttato queste lettere anche Baldrico e lo stesso Guibert de Nogent negli arrangiamenti delle loro compilazioni.
106
Naturalmente si vedranno meglio nel merito della Narratio stessa le scelte dell’autore rispetto a questi interventi sul racconto canonico – si potrebbe dire –degli avvenimenti della spedizione che se ne discostano, facendo emergere evidentemente un messaggio specifico dell’autore. Non pensiamo si tratti semplicemente di preferenza di redazione o di opinione personale circa il reale svolgimento dei fatti. Doveva essere preciso interesse dell’anonimo lasciare emergere, in questo caso, o meno la 73
Una siffatta ipotesi renderebbe conto di diverse particolarità e peculiarità della sua narrazione. Si spiegherebbero soprattutto quelle aggiunte di dettagli fatte al testo delle “ Gesta ” nei medesimi passaggi da cui ha copiato questo testo quasi parola per parola. Questo tipo di aggiunte non troverebbero diversamente una spiegazione plausibile e ragionevole; senza questa congettura non si comprenderebbero se non supponendo che l’autore avesse sotto gli occhi un manoscritto delle “ Gesta ” molto diverso da quelli che sono giunti fino a noi.
Questa ipotesi trova una ulteriore conferma in alcune espressioni di cui il nostro autore si serve nel passaggio, ad esempio, in cui, raccontando dell’invenzione della Santa Lancia comincia il suo racconto esordendo: «Qui [Dominus], miseratus eorum [Crucesignatorum], misit, ut refertur ab eis, beatum apostolum Andream….» , e termina: «Plura vero et alia prodigia ostendit Salvator per hoc totum tempus……, quae nos, quoniam aliorum scriptis tenentur, omisimus…».
Nella prima frase sembra fare allusione a una lettera o a una testimonianza orale di crociati. La seconda ci mostra che conosceva almeno una delle grandi storie della Crociata e la stessa frase denota nel medesimo tempo la sua preoccupazione di non ripeterepuramente e semplicemente ciò che avevano raccontato altri cronisti della spedizione in Terrasanta prima di lui.107
volontà del condottiero per eccellenza della Crociata o la forza persuasiva dei baroni e le motivazioni che spingevano loro a una tale condotta. 107 L’autore mostra di voler essere originale in questo senso e di possedere anche gli strumenti per esserlo di fatto. Per quanto riguarda la sua cultura, ci pare di poter ancora sottolineare la familiarità con gli scritti e le opere contemporanee, e la perfetta coscienza di potersi valere delle sue onoscenze e abilità per redigere un vero e proprio resoconto personale del pellegrinaggi armato in Terrasanta. 74
La seconda parte dell’opera relativa alla crociata di Guglielmo IX, non ci fornisce alcuna informazione nuova. L’autore deve aver preso ciò che ne riferisce direttamente da uno dei racconti più dettagliati di cui disponiamo di questa sfortunata spedizione. Ma non sapremmo dire quale. Forse potrebbe aver conosciuto qualche lettera giunta dall’Oriente dopo il disastro. O magari riferisce semplicemente quello che si racconta nella regione. Non sappiamo pronunciarci in proposito tanto più che egli non parla che dell’arrivo del conte a Costantinopoli e della disfatta dell’armata cristiana nella solitudine dell’Asia Minore, dove l’avevano persa le guide dell’imperatore greco.
L’assedio di Durazzo da parte di Boemondo, con il cui racconto termina anche il nostro frammento, è stato raccontato ugualmente da qualche storico latino del primo quarto del XII secolo; da Foucher de Chartres, seguito da Lisiard de Tours, Albert d’Aix e Orderic Vital. L’anonimo di Fleury non ha conosciuto verosimilmente alcuna delle loro narrazioni. Queste erano tutte di molto posteriori all’anno 1110. Come per la prima parte della spedizione e la crociata di Guglielmo IX egli nonè testimone oculare. Ma il suo racconto, composto circa due anni dopo gli avvenimenti, sia dei rapporti inviati dall’Illiria in Francia, sia dalla relazione dei personaggi che hannopreso parte alla spedizione, è, per tutto ciò che riguarda la storia di questo episodio della prima crociata, una vera fonte di primaria importanza. E’ anche il più antico dei documenti occidentali che possediamo di questi fatti.
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La narrazione dell’anonimo di Fleury Il racconto inizia con la menzione di un fenomeno celeste, che sarebbe avvenuto nell’anno dell’incarnazione del Signore 1095 quando sembrò quasi che piovessero dal cielo le stelle, fittamente come gocce di pioggia, in alcuni tempi di numerosissime notti. L’autore inizia dunque il suo racconto fornendoci non solo il primo dato cronologico – d’obbligo, in un certo senso, per delimitare tanto la narrazione quanto il reale svolgimento dei fatti accaduti che intende riportare – ma segnando, in un certo senso, l’inizio degli avvenimenti con un segno premonitore del cielo. L’apparizione delle stelle in cielo – per altro di evangelica memoria – ma ben più antico come artificio letterario – segno premonitore o guida, avvertimento di eventi eccezionali imminenti – annuncia , nel vero senso del termine, che qualcosa di nuovo e di travolgente sta per accadere. Abbiamo per altro visto precedentemente, il valore attribuito a questi fenomeni persino dai compilatori delle raccolte annalistiche che li annoveravano alla pari delle successioni o delle morti di abati e re.
Qui il nostro autore, verosimilmente un monaco del monastero di Fleury, inizia anche la sua azione legittimante dell’impresa non ancora enunciata. E’ abbastanza probabile che la visione – diciamo per il momento monastica, ma amplieremo in seguito questa definizione – che l’autore ha dell’impresa o che mostra di avere, lasci emergere la percezione stessa che egli ne ebbe, sia singolarmente sia come appartenente a un ordine preciso. Si vedrà in quale misura istanze di natura spirituale motivarono e caratterizzarono il sostegno alla conquista cristiana dei Luoghi Santi.
E infatti, puntualmente, come le stelle piovute dal cielo hanno anticipato, nello stesso anno papa Urbano II giunge nelle Gallie e indice il massimo concilio di vescovi e di 76
abati presso Clermont nel mese di novembre. E l’anno seguente, adunò un altro concilio presso Nimes nel mese di luglio. Questa era la causa principale della sua stessa venuta e dei concili: i Turchi, gente infedele e aliena dalla conoscenza di Cristo, erano più di tutti gli altri popoli d’Oriente propensi alla guerra cacciando dalla propria terra la moltitudine delle popolazioni del luogo. Aveva occupato Gerusalemme e le regioni poste attorno per molto tempo, cosicché signoreggiava la loro barbara ferinità fino a quel tratto di mare chiamato Braccio di San Giorgio.
L’anonimo si mostra subito ben consapevole dei fatti. Emerge immediatamente la concezione degli infideles, il nemico della cristianità non tanto come popolazione estranea alla religione cristiana – connotazione che pure l’autore non si esime dal dare - bensì come strumento del maligno.
Appare subito chiaramente la violazione di un diritto importante e sacro dei cristiani, quello di abitare e possedere la terra Dei; non solo: è già sottinteso e incluso il diritto al recupero con cui il cronista sta giustificando l’appello del pontefice: difesa di un diritto insidiato o calpestato; punizione del malvagio (del resto unite queste due per forza di cose).108 Per essere una difesa efficace dovrà includere il diritto al recupero da parte del popolo cristiano. Vorrei sottolineare come, si sia già giustificata la spedizione, a prescindere dalla volontà di Dio. Se ci rifacciamo ancora alla concezione di iustum bellum secondo Agostino, appare chiaro come, in ultima analisi, nelle pagine agostiniane la volontà di Dio non possa venir disgiunta dall’elemento di giustizia espresso nelle prime due condizioni, sopra citate: Dio approva il ristabilimento di un diritto. Non vi è dubbio che l’autore della cronaca abbia saputo esprimere sinteticamente quanto chiaramente questo concetto. 108
CARDINI, La guerra santa nella cristianità, in “Militia Christi”, pp.400-401. 77
Da questa premessa, e da questa motivazione, muove quindi la sua stessa narrazione. C’è un legame tra il cronista e la Terrasanta che non è quello della partecipazione all’impresa (ci sembra certo che l’anonimo non abbia partecipato alla spedizione), ma Della partecipazione al suo movente. Appare dunque ora particolarmente interessante esaminare come l’anonimo presenti gli eventi successivi all’interno della propria narrazione, soprattutto nel tentativo di dedurne indicazioni di carattere generale e specifico circa l’influenza dei valori religiosi sull’intervento in Terrasanta.
I Turchi minacciavano anche di invadere e sottomettere l’impero cristiano e la città regia alla ferocia dei propri sudditi. E’ l’intero popolo cristiano d’Oriente a essere in pericolo e l’aiuto si rende già obbligatorio, oltre ogni altra possibile richiesta, per la sola concezione di Christianitas.
109
I più recenti studi sulle crociate hanno fissato ultimamente l’attenzione su uno degli aspetti più interessanti e controversi, almeno per certi aspetti, della tematica, e cioè la dimensione della missione nel gesto crociato . 110 A differenza della guerra puramente difensiva la crociata, così come è subito più o meno implicitamente presentata, era chiaramente una impresa non di sola difesa, ma di riconquista della terra santa, cioè della terra Domini, della terra repromissionis, da parte di quella che sarebbe stata la militia cristiana. Evidentemente l’autore giudica determinante l’ordine espresso dal
Si veda a questo proposito lo studio di PELLEGRINI, L’idea di “Christianitas”…, RSB 7, pp.6999. 110 Ci si riferisca ancora a KEDAR, Crusade and mission…; oltre che a RILEY-SMITH, Crusading as…, pp.177-192. 109
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Papa. E qui emerge una delle caratteristiche della crociata perché – secondo la storiografia – possa essere definita tale: il fatto che si trattasse di una spedizione bandita dal papa.111
In ogni caso, una delle principali motivazioni proposte ai cristiani che dovevano partire era la riconquista della terra santa, che era di Dio e che la cristianità non poteva pertanto tollerare in mano agli infedeli, come emerge bene dalle parole dell’anonimo. L’appello del pontefice sembra così voler sollecitare anche a un grande atto d’amore verso il prossimo, perché si sarebbe dato modo alle popolazioni cristiane d’Oriente di continuare ad abitare quei luoghi, e, soprattutto di continuare ad attingere, nei luoghi santi, alla misericordia di Dio mediante il pellegrinaggio. Come sottolinea lo Riley-Smith , questo è un tema ampiamente svolto e diffuso nella spiritualità crociata.
Lo conferma ancora l’autore. Questa gente che distrugge le chiese di tutto l’Oriente conformandole al culto della sua religione, prendendosi gioco dei vescovi e recando scherno a tutti gli ordini sacri, aveva distrutto ogni culto divino in quelle regioni. Per questo disastro che infuria gli uomini religiosi, turbati…inviano richieste d’aiuto al papa già detto chiedendo con preghiere lacrimose che gli soccorra. Non manca di fedeltà storica citando le richieste d’aiuto dei cristiani d’Oriente, quegli stessi appelli che Urbano II avrebbe menzionato a Clermont secondo i cronisti maggiori come lo stesso Fulcherio di Chartres – di cui si è riportato precedentemente il discorso in traduzione -. Nell’ottica dell’autore emerge l’oltraggio alla Chiesa di Dio e ai suoi ministri, oltre che ai cristiani. Questo passo della cronaca della crociata rappresenta quindi un importante riferimento nel tentativo di individuare quale ruolo ebbero le motivazioni religiose nella partecipazione a tale impresa e quale nozione ne potesse avere non 111
Come emerge bene anche nelle epistole citate con le quali san Bernardo predicherà la seconda 79
solo l’autore ma, siamo indotti a pensare, tutto l’ordine di Fleury. Da questo punto di vista appare particolarmente significativa la narrazione della nascita della crociata, in cui lo storico si discosta dalla maggior parte degli altri cronisti dell’impresa d’Oltremare. Nella Narratio floriacensis, infatti, l’iniziativa papale nonviene subordinata all’azione dei signori feudali che guideranno poi la crociata. Il desiderio di riscattare la Terrasanta dal dominio degli infedeli nasce, secondo l’autore, dall’offesa arrecata dai Turchi direttamente alla Chiesa. 112
Infatti la cronaca dell’anonimo prosegue a questo punto mettendo in evidenza ancora l’oculatezza del papa, nell’indirizzare l’appello soprattutto alla gente dei Galli, poiché sapeva bene che erano un popolo assai bellicoso e capace di compiere azioni militari di tale portata,113 e l’urgenza dell’intervento ad ausilio dei fratelli oppressi dalla violenza dei malvagi affinchè non fosse cancellato il nome stesso di Cristo nelle regioni d’Oriente. La perentorietà del pontefice è ulteriormente rafforzata dall’ordine a tutti i vescovi che ognuno predichi nella propria diocesi, annunci e diffonda queste cose. E la risposta del clero è immediata. Torna continuamente il carattere di universalità dell’appello del papa alla Christianitas. E’ tutto il popolo cristiano – e l’autore insiste – che, provocato dalle ingiurie degli oppressori, infervorato dalle sollecitazioni del papa e anche dei vescovi, si prepara a resistere agli infedeli. E da tutte le parti della terra, in cui vigeva la fede in Cristo, si dirigono verso Gerusalemme, insigniti della croce di Cristo sopra le crociata. 112 In realtà la stessa insistenza sull’iniziativa papale mi sembra che emerga in un altro cronista della prima crociata, Caffaro di Caschifellone. Si veda per un quadro generale in merito alla figura di Caffaro e alle sue narrazioni Annali di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L.T. BELGRANO e C. IMPERIALE DI SANT’ANGELO in FISI, nn.11-14 bis, Roma 1890-1929, I, pp.LXIX-LXXXI. 113 Non credo cadere in una interpretazione forzata evidenziando la sottolineatura dell’autore nella definizione dei Galli: sembra quasi che si vogliano richiamare virtù antiche e provate di queste popolazioni, ma soprattutto non si tralascia il fatto che proprio i Franhe fossero il popolo storicamente difensore della Chiesa, fin dal tempo della scelta del papato tra essi e i Longobardi nell’VIII secolo e nei seguenti. 80
vesti. Così il sovrano apostolico aveva prescritto – dice nella cronaca – che chiunque fosse incoraggiato a questa guerra, essendo propizia la grazia di Cristo, portasse la sua stessa croce in una delle proprie vesti.
Il segno della croce è per eccellenza il simbolo del mistero cristiano: il legno del supplizio infamante divenne, dopo la Resurrezione, strumento di glorificazione, come lo esalta san Giovanni, e fondamento della teologia paolina della salvezza. Segno, perciò, di identità cristiana fin dall’epoca apostolica – il segno della croce veniva compiuto sulla fronte (sphragis) al momento del battesimo – suggellava nello stesso tempo la signoria divina sul mondo ed era lo strumento di approfondimento interiore del singolo fedele che si poneva alla sequela di Cristo. Liturgicamente, occupava un posto fondamentale nella amministrazione dei sacramenti, negli esorcismi e nelle benedizioni. La stessa organizzazione del calendario liturgico, che testimonia lo sviluppo della devozione alla croce con le feste dell’Invenzione della Croce (3 maggio) e della Esaltazione della Croce (14 settembre, dal VII secolo), stimolava le manifestazioni di pietà nelle quali il segno si accompagnava all’espressione verbale. Nella raffigurazione di cui il segno di croce era oggetto, nel gesto che lo designava, esso veniva inteso per la potenza soprannaturale che ne emanava, come la manifestazione della presenza salvatrice di Dio. Il segno di croce mette in fuga il nemico, sacralizza lo spazio e delimita il luogo protetto per i vivi e per i morti. Nella preghiera, nelle litanie delle quali scandisce le invocazioni, ha un valore implorante e imperativo nello stesso tempo, derivante dalla certezza incrollabile nella sua efficacia. Oltre a ciò, per un ristretto numero di fedeli che sceglievano di farne il fulcro della loro esistenza e che volevano essere cruce signati, come i crociati, esso poteva divenire il punto d’arrivo di un’esistenza anch’essa crocifissa. 114
Diversi studi sono stati dedicati a quest’aspetto, segnaliamo M. OLPHE-GALLIARD, Croix (mystères de la), in DSp, II, 2, 1953, pp. 2607-2623; M.J. PICARD, Croix (Chemin de), ibid., pp. 2576-2606; M. VINKEN, Croisiers, ibid., pp. 2561-2576; A. RAYEZ, Humanité du Christ, in DSp, VII, 2, 1971, pp.1820-1831. 114
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L’esordio della Narratio floriacensis ci fornisce dunque diversi preziosi elementi nell’indagine sulla concezione della crociata acquisita dall’anonimo, che sicuramente ricorre anche alla recente tradizione formatasi nel monastero o perlomeno risente di una certa visione monastica e ricorre ad una delle tradizioni principali formatesi in Occidente in riferimento alle gesta di Terrasanta e ai loro protagonisti. L’autore non sembra soffermarsi particolarmente sui capi della spedizione. Ci fornisce un elenco dei ‘grandi’ che prendono parte al viaggio e che lo guidano. Pare interessargli di più il fatto che abbiano risposto all’appello del papa, proprio loro, uomini potenti e famosi, ma non si sofferma sulle loro nobili origini o sulle imprese che avevano compiuto, si limita piuttosto a nominarli aggiungendo che ci furono molti altri uomini potenti e famosi, capi di diverse nazioni che sembra lungo inserire… E’ evidente che non va a questi particolari l’attenzione dell’autore, che rimane però fedele alla realtà dei fatti. Non inventa l’esistenza di personaggi fantomatici, ne sostituisce i protagonisti o i loro nomi come altri cronisti. Il suo elenco dei rappresentanti dell’alta aristocrazia, che ben presto diventerà simbolo del perfetto cavaliere cristiano e intorno al quale si andrà formando un nutrito corpus 115
di leggende, è assolutamente fedele alla realtà. Il ruolo di questi cavalieri rimane
per il momento confinato a questa breve apparizione iniziale.
Anche le avversità del viaggio non ricevono che una rapida rassegna di carattere più compilatorio che descrittivo fino all’arrivo ad Antiochia che è capitale di tutta la Siria. Secondo la testimonianza del cronista giunti ad Antiochia i crociat poterono assistere all’apparizione della cometa a Sud che rimase fissa nel cielo emettendo raggi talmente lucenti da sembrare il riflesso emesso dalla lama di una lancia. Il segno premonitore qui è chiaro. L’Inventio della Santa Lancia è annunciato, come è annunciato il sostegno divino alla spedizione. L’autore mostra di attingere a delle 115
Su Goffredo di Buglione, solo per fare un esempio per il primo condottiero crociato, quale Chevalier au cygne si veda C. LECOUTEUX, Mélusine et le Chevalier au Cygne, Paris 1982, pp.109158. 83
fonti che , al di là dell’attendibilità degli eventi particolari narrati sul piano della realtà storica, sono capaci di cogliere la straordinarietà degli eventi di Terrasanta. 116 Il ricorso a questa tradizione ci mostra quindi un autore ben consapevole, a mio avviso, della dimensione epica delle gesta dei crociati, rafforzata dai prodigi e dagli interventi soprannaturali che ne segnano – come si vedrà meglio in seguito – i momenti decisivi. Il riferirsi a tali fonti non inficia comunque la validità storica del resoconto dell’anonimo di Fleury, redatto all’interno di una vera e propria opera storiografica. L’autore, così come presumibilmente le sue fonti principali pone alla base della crociata una visione in cui si manifesta l’intenzione divina di liberare il Santo Sepolcro.
I crociati dunque ricevono l’annuncio di un evento prodigioso. L’apparizione della stella cometa sta anche ad indicare una tappa fondamentale di questa spedizione in cui i crociati troveranno il completo sostegno divino. Un segno di legittimazione all’impresa prima dell’assedio e della conquista della città.
La presa di Antiochia avviene non senza moltissime perdite di uomini sia da parte dell’esercito cristiano sia da parte di quello degli assediati. Due fattori introducono i cristiani nella città: la grazia divina e l’aiuto di un turco 117 che successivamente abbraccia la religione cristiana e che, si dice, avesse abiurato.
Costui, secondo
l’anonimo, ordì il lodevole tradimento con il duca Boemondo. Essendo custode di
116
Sui cicli epici nati intorno alla crociata rimando a Les èpopèes de la croisade, Premier colloque international, Trèves, 6-11 août 1984, a cura di K. H. BENDER- H. KLEBER, Stuttgart 1987. 117 L’episodio dell’apostasia di Pirro è stata oggetto di uno studio particolarmente interessante e dettagliato da parte di Robert Levine, che attraverso la comparazione di diversi testi di cronache sulla prima crociata, ha mostrato le differenze di tradizione dell’episodio del protagonista che 84
alcune torri della città, fece entrare l’esercito e lo stesso Boemondo attraverso la porta dell’unica torre che presidiava. Quest’episodio sembra riflettere l’ansietà dell’influenza degli sforzi medioevali di armonizzare le autorità greco-romane e quelle giudeo cristiane. La presa di Antiochia ne fornisce un chiaro esempio. Antiochia è presa dai crociati il 3 giugno 1098, dopo un lunghissimo assedio, esattamente come ci riferisce il cronista, e con l’aiuto di qualcuno – un Greco, un Turco o un Armeno – o addirittura di un gruppo di persone che avrebbero reso possibile l’accesso alla città. 118 Naturalmente i cronisti della prima crociata svilupparono gradualmente l’episodio, amplificando la possibilità di un virtuoso traditore. Naturalmente l’aspetto per così dire escatologico della presenza di un traditore ricollegherebbe ancora l’esito vittorioso dell’assedio alla realizzazione di un compito da parte dei crociati, affidatogli direttamente da Dio. E il fatidico personaggio collaborando alla realizzazione di questo piano provvidenziale comparteciperebbe dei benefici concessi ai protagonisti (tanto più che il turco abiurerebbe per l’unica fede in Cristo) e riconquisterebbe la possibilità della salvezza per tutto il proprio popolo, riaprendo la via alla religione cristiana . E’ interessante paragonare il testo della Narratio floriacensis, nel passo descritto dell’apostasia di Pirro, con l’analogo passo degli anonimi Gesta Francorum in cui l’autore inizia la sua versione della presa di Antiochia valendosi dei topos dell’umiltà
119
:
avrebbe sostanzialmente aperto le porte della città ai crociati; si veda R. LEVINE, The Pious Traitor: Rhetorical Reinventions of the Fall of Antioch, MLJ 33,1 (1998), pp.59-80. 118 La teoria troverebbe sarebbe in accordo anche con il Damascus Chronicle, tradotto da A. R. GIBBS (London 1932) 42. 119 Gesta Francorum VIII 19, ed. BREHIER (note 8) 100; ed. HILL (note 8) 44. 85
Omnia quae egimus antequam urbs esset capta nequeo enarrare, quia nemo est in his partibus sive clericus sive laicus qui omnino possit scribere vel narrare, sicut res gesta est. Tamen aliquantulum dicam.
Secondo l’autore un Turco di nome Pirro divenne amico di Boemondo, uno dei leader della spedizione, che convinse l’infedele a consegnare la città 120 :
Erat quidam ammiratus de genere Turcorum, qui nomen Pirus, qui maximam amicitiam receperat cum Boamundo. Hunc saepe Boamundus pulsabat nuntiis adinvicem missis, quo eum infra civitatem amicissime reciperet; eique christianitatem liberius promittebat et eum se divitem facturum cum multo honore mandabat.
Pirro non mostra esitazioni nell’accettare l’offerta, promette piena disponibilità a Boemondo, in qualunque momento sarebbe stato pronto . Anche nelle Gesta le torri sotto il presidio del Turco sono tre. Tutto si svolge secondo i piani. Entrati nella città la corsa alle mura è accompagnata da acclamazioni decisamente significative:
Videntes itaque illi, qui iam erant in turribus coeperunt iocunda voce clamare: «Deus le volt!» Nos vero idem clamabamus.
Mi sembra tuttavia che il passaggio non abbia delle particolari qualità religiose, al di là dell’esclamazione Deus le volt. Lo stesso grido riportato entusiasticamente da un altro cronista della prima crociata, Fulcherio di Chartres. Lo stesso Fulcherio accenna a una certa fraude con cui ai Cristiani sarebbe stata consegnata la città 121: 120 121
Gesta Francorum VIII 19,… FULCHER, Hist. Hier. I, XVII, 1, ed. HAGENMEYER (note 14) 230-231. 86
Cum autem placuit Deo laborem sui consumari, forsitan precibus eorum placatus, qui cotidie preces inde supplices ei fundebant, concessit pietate sua per eorundem Turcorum fraudem, traditione clandestina urbem Christianis reddi. Audite ergo fraudem et non fraudem.
Apparuit enim Dominus noster cuidam Turco, gratia sua praelecto, et dixit ei: «Expergiscere qui dormis! Impero tibi ut reddas civitatem Christianis.»
L’apparizione al Turco si ripete tre volte insistentemente fino all’azione immediata dell’ufficiale. Al di là delle differenze specifiche tra le versioni dei diversi cronisti pare che essi riprendano tutti le Gesta, abbreviando le descrizioni dell’assedio o enfatizzando l’episodio del Turco. Certo in alcuni casi sembra di ascoltare una fabula nella storia. L’anonimo della Narratio floriacensis usa decisamente uno stile più storiografico:
Obsidentibus ergo illis, pluribus tam suorum quam adversariorum quotidianis congressibus ante interfectis, et protracta obsidione jam per octo menses , tandem, Dei favente gratia, recipiunt eamdem urbem per quemdam Turcum, qui nostram suscepit postmodum fidem; sed postea apostatasse dicitur. Hic cum duce Buamundo hanc laudabilem compegit priditionem;qui, cum esset custos aliquarum turrium ejusdem
civitatis, per unius quam servabat turris portam, eumdem
Buamundum universumque exercitum submisit.
L’autore racconta nei termini essenziali la partecipazione del Turco alla riconsegna di Antiochia ai crociati. E seguita nella narrazione insistendo sulla strage avvenuta in città. Torna ancora il tema del malicidio: gli infedeli erano sempre in Satana, tramando insidie. Nel suo saggio dal titolo Crusading as an act of love , Riley-Smith collega la sostanza del messaggio cristiano, l’amore, alla crociata intesa come atto d’amore nei confronti al tempo stesso delle comunità cristiane d’Oriente da tutelare 87
contro gli infedeli e degli infedeli stessi, poiché – e qui attingiamo soprattutto ad Agostino e a Bernardo – la punizione di chi pecca – et erant semper ill in Sathan - al cospetto di Dio può essere volta al bene del peccatore stesso, così come un buo genitore punisce il figlio che si è comportato male o come talora è necessario adottare una cura dolorosa per salvare un malato oppure allontanare qualcuno da un certo pericolo anche contro la sua volontà.122 Il succinto resoconto dell’autore si sofferma dunque senza tanti scrupoli sulla descrizione della strage avvenuta tra le mura di Antiochia e racconta la carestia cui gli uomini furono costretti per molti giorni. Si dilunga nel racconto della fame incredibile e degli stenti che costringono i crociati a nutrirsi addirittura dei pezzi più piccoli di calcinacci, delle particule di cuoio corrotte dalla vecchiaia e delle carni immonde che parevano prelibatezze. Le tre settimane di assedio nella carestia sfiniscono a tal punto l’esercito da indurlo ad invocare Dio. I protagonisti della crociata non sono qui paragonati alle figure veterotestamentarie, spesso citate dai cronisti delle crociate123, per sottolineare il legame tra la necessità della crociata e la difesa di un’eredità, di una patria. Altrove l’autore sottolinea meglio questo aspetto. Qui sembra più intento a preannunciare l’intervento eccezionale divino che sta per arrivare. E il sostegno divino alla spedizione crociata doveva manifestarsi attraverso un atto prodigioso, che fosse segno inconfutabile del carattere sacro della missione affidata ai combattenti occidentali. Proprio per questo motivo l’autore nella Narratio floriacensis
Presenta un’attestazione al miracoloso e al soprannaturale non indifferente, dove predomina un atteggiamento incline a ricercare in prodigi e miracoli l’azione di una
122
J. RILEY-SMITH, Crusading as an act of love, «History»,65 (1980), pp. 177-192.
123
Nella cronaca di Fulcherio di Chartres Urbano II, paragona i crociati ai Maccabei e in più punti ricorrono questi paragoni da parte dell’autore.Cfr. FULCHERIO DI CHARTRES, Gesta Francorum Iherusalem Peregrinantium, in RHC, HO, III. 88
volontà trascendente.124 Se inoltre questo scritto era stato redatto quale relazione per il monastero di Fleury a legittimazione della spedizione e della difesa dei diritti della cristianità da parte dei crociati è logico che l’autore sottolineasse il sostegno divino che aveva garantito il successo all’impresa dei crociati. Nella Narratio, quindi, incontriamo diversi eventi prodigiosi e l’apparizione del beato apostolo Andrea, che in visione notturna svelò a un certo chierico di nome Pietro, che la Lancia dalla quale era stato trafitto in croce lo stesso Signore, era sepolta nella chiesa maggiore, dedicata all’apostolo Pietro. Ricordiamo che l’anonimo attribuisce una valenza miracolosa anche all’apostasia del Turco che aveva reso, praticamente, possibile che i cristiani penetrassero in Antiochia. 125Gli altri eventi miracolosi si collocano dunque in momenti di grave difficoltà per l’esercito critiano e costituiscono un vigoroso sprone al combattimento. Il primo di questi eventi corrisponde all’invenzione in Antiochia della Santa Lancia. Mentre i crociati resistono all’assedio di Kerboga, asserragliati all’interno della città, come abbiamo visto, l’apostolo Andrea appare a un chierico di nome Pietro, che era uno dei compagni di Raimondo di Sant’Egidio, rivelandogli che nella chiesa intitolata all’apostolo omonimo avrebbe trovato sepolta la Santa Lancia. Sotto la protezione di tale reliquia, riacquistata molta fiducia grazie al ritrovamento, i cristiani avrebbero potuto affrontare il nemico senza alcun timore. In effetti il miracoloso ritrovamento della Lancia ha il potere di risolvere l’animo dei crociati che, schieratisi in ordine di battaglia, facendosi precedere dalla Lancia stessa, affrontano i nemici che atterriti per la potenza di Dio, impressionati a tal punto da
124
Questo tuttavia non esclude anche nelle parti della Narratio inerenti agli eventi prodigiosi la presenza dell’azione concreta dei protagonisti della spedizione, con un riferimento sottinteso ad ideali spirituali e a interventi soprannaturali nella realtà immanente. 125 Riguardo agli avvenimenti di Antiochia si veda S. RUNCIMAN, The Holy Lance found in Antioch, in «Analecta Bollandiana», LXVIII (1950), pp. 197-209; P. ALPHANDERY- A. DUPRONT, La cristianità cit., p. 99 e ss.; MANSELLI, Italia e Italiani…, pp. 70-90, 169 e ss. 89
Uno spettacolo simile, si danno alla fuga lasciando le loro tende colme d’ogni abbondanza, cibo e vettovaglie, oltre che di una molteplicità di suppellettili preziosi che i cristiani, correndo da parte a parte, quasi finiscono col calpestare. Nella Narratio si susseguono numerosi riferimenti alle ricompense materiali che le vittorie garantiscono ai crociati. Questo, nonostante al sacrificio richiesto da una volontà trascendente corrisponda la salvezza ultraterrena 126. Se la cronaca è originariamente concepita quale difesa dei diritti cristiani e dell’iniziativa della Chiesa di bandire una tale spedizione, nel contempo, però, l’autore indulge spesso a descrizioni delle stragi compiute dai crociati e soprattutto dell’abbondanza trovata, evidenziando una visione quasi favolistica delle riccheze d’Oriente. Anche in seguito alla presa di Antiochia, i crociati possono raccogliere le ricchezze abbandonate dai nemici. Descrizioni simili seguono in particolare il resoconto della presa di Gerusalemme. Possiamo immaginare, inoltre, come i racconti dei crociati alla vista di simili bottini avessero forte avuto forte presa sull’immaginazione dei concittadini rimasti in patria. Ma siamo indotti a credere che a spronare l’autore a tali descrizioni sia stato più l’intento di premiare i cristiani delle privazioni sofferte, sottolineando ancora una ricompensa divina alla loro volontà anche mediante beni materiali. Bisogna anche sottolineare come questi esempi di arricchimento materiale siano sempre presentati quali risoluzioni di momenti di particolare criticità, in cui l’esercito crociato aveva dovuto affrontare gravi privazioni, come si diceva, oppure aveva esplicitamente invocato l’ausilio celeste attraverso la preghiera e la mortificazione. Nell’anonimo di Fleury, quindi, alla ricompensa spirituale si affianca un più immediato e tangibile premio terreno, che pare testimone del favore divino tanto quanto gli eventi miracolosi e la prodigiosa apparizione dell’apostolo Andrea. E’ chiaro che in conclusione la ricompensa guadagnata dai fedeli al termine di questo lungo, ma salvifico, cammino di lotta e di purificazione sarà ben più grande. L’autore non sottolinea come l’indulgenza plenaria sia il premio decretato da Dio e ricercato da coloro che abbandonano patria e averi per recarsi in Palestina. Ma ad
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essa si riferiscono implicitamente i vescovi inviati da Urbano II a predicare la crociata, come pure i capi della spedizione e i crociati stessi, dopo la presa di Gerusalemme e prima dell’occupazione di Durazzo, si spronano alla penitenza e alla preghiera. Se la pace dell’anima è la ricompensa di quanti entreranno vittoriosi in Gerusalemme, per coloro che soccombono combattendo per la croce vi è la certezza della beatitudine.
Nella spiritualità dei crociati permane la coscienza della propria identità di pellegrini, il cui viaggio è finalizzato all’incontro fisico con i luoghi dei Vangeli. I partecipanti alla spedizione espletano le tradizionali pratiche connesse al pellegrinaggio, quali la visita ai Luoghi Santi, la recita delle Litanie, le notti di veglia in preghiera, l’adorazione del Santo Sepolcro127 . Questi elementi, dunque, ribadiscono la valenza religiosa dell’azione crociata, nonché il suo imprescindibile valore penitenziale. Nella presa di Antiochia sembrano perciò fondersi ansia di redenzione e furiosa violenza. L’autore accenna appena, quasi in maniera annalistica, alla morte del vescovo di Pisa Ademaro, sepolto in Antiochia stessa, tra le molte lacrime del popolo cristiano. Il significato spirituale dell’esperienza crociata, dopo la presa di Antiochia, è inoltre evidenziato da
un
fenomeno
celeste di
valore
evidentemente simbolico
(escatologico?). L’episodio del rossore, di cui si tinse il cielo per tutta la notte e fino all’aurora, come di sangue. Il riferimento, non credo troppo forzato, all’oscuramento del cielo del venerdì santo prima della morte di Cristo, non manca di sottolineare che
J. FLORY, Mort et martyre des guerriers vers 1100. L’exemple de la première croisade, in «Cahiers de civilisation médiévale», XXXIV (1991), pp.121-139. 127 Per ogni riferimento vedi testo in Appendice. 126
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Secondo il volere divino la città è stata espugnata. Come già accennato, il medesimo episodio è riportato solo da Fulcherio di Chartres. L’evento prodigioso fu visto in tutte le parti della terra. L’autore mostra dunque di aver colto quale importanza avessero questi eventi prodigiosi nella reazione cristiana a mesi di privazioni e disagi e nella riconquista della vittoria finale. I segni divini – o celesti – non sono sempre di facile interpretazione, tuttavia, ancora una volta un evento soprannaturale annuncia ciò che sta accadendo e si pone da segno premonitore, visibile a tutto il mondo, di una provvidenza propizia. D’altro canto l’autore mostra già qui – ma lo si vedrà meglio in seguito – come il miracolo, o il segno prodigioso, sia anche una ricompensa per la fede dei crociati, che hanno invocato con umiltà e devozione l’intervento divino. Per cui è solamente dopo una lunga attesa, che funge da prova e interroga la fede dei cristiani, che il prodigio si verifica in tutta la propria straordinarietà. Inoltre, nel caso dell’episodio del rossore che tinse i cieli sopra Antiochia, il fatto che l’autore chiuda il racconto della presa della città con questo avvenimento, pare una dichiarazione in cui la testimonianza oculare di tutte le regioni della terra è presentata quasi come una deposizione resa a conferire autenticità pubblica. Nei miracoli narrati dall’anonimo l’unico intermediario soprannaturale – come abbiamo visto – è l’apostolo Andrea. Ma il riferimento a san Pietro risulta, in realtà implicito in almeno due fattori: il nome del chierico cui l’apostolo Andrea appare in sogno e che è incaricato dell’invenzione della Lancia, e la menzione del nome della chiesa maggiore intitolata appunto a Pietro.
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Antiochia è implicitamente considerata dall’autore terra beati Petri ed è in virtù di tale “petrinità”, che i crociati, ne avrebbero preteso la restituzione. I riferimenti, a mio avviso, mettono in evidenza il legame esistente tra l’Apostolo e la città, che era stata il luogo in cui Pietro aveva battezzato i primi gentili 128. Al monaco di Fleury appare evidente che per questa relazione i crociati reclamino l’eredità di Pietro, e che, in particolare ad Antiochia, l’invenzione della reliquia avvenisse nella chiesa dell’Apostolo. Come ha osservato Riley-Smith129, il ricorso alla figura di Pietro non deve però interpretarsi come un richiamo alla petrinità della Santa Sede, promotrice della spedizione, e alla conseguente definizione della crociata quale servitium Sancti Petri, ma al legame fisico esistito tra il santo e determinati luoghi della Palestina, in cui i cristiani, e i crociati in special modo, avvertivano particolarmente la sua influenza. Un’ulteriore conferma la troveremmo se effettuassimo un’indagine terminologica nelle forme e nelle espressioni utilizzate dall’autore per definire la spedizione. Azzarderei che, l’anonimo monaco che redige la cronaca, confermi come il Vicariato di Cristo trovi le sue radici anche nel movimento crociato, che preferisce riferirsi a Cristo, piuttosto che all’apostolo Pietro, e pone così le basi per lo sviluppo futuro di questa concezione basilare nella visione teocratica del papato. A questo proposito abbiamo tenuto particolarmente conto delle osservazioni che ancora Riley-Smith fa nella sua The First Crusade.
Annotato che per un certo tempo il nuovo possedimento veniva affidato a Boemondo La narrazione prosegue verso Gerusalemme. Il condottiero normanno non è qualificato in modo particolare, l’autore si limita a segnalare che a lui viene concessa la signoria della città. Forse a sottolineare l’intrinseca solidarietà tra cavalieri o, pur senza enfasi, la concordia interna al campo crociato.
128
Atti, 10-11. J. RILEY-SMITH, The First Crusade and St. Peter, in “Outremer”. Studies in the history of the crusading kingdom of Jerusalem, a cura di B.Z. KEDAR-H.E. MAYER, Jerusalem 1982, pp. 41-63. 129
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Di Goffredo, nominato subito dopo, si dice invece che fosse da ammirare tanto per le capacità militari quanto per la saggezza di giudizio. Giunti a Gerusalemme la prendono d’assedio. L’autore prende poi scrupolosamente nota di tutti gli avvenimenti dell’assedio. Descrive minuziosamente le macchine da guerra utilizzate dai crociati, gli strumenti e ogni genere di arma utilizzata nella battaglia. Ne manca di riportare come i nemici resistessero e si opponessero all’assedio. Si tratta della descrizione più lunga della Narratio, o almeno della più particolareggiata. Ma ancora la chiusura e la conclusione vittoriosa dell’episodio di guerra è assicurato dall’invocazione a Dio: protesi nell’assedio, un certo giorno infervorati più acremente del solito attaccano i nemici cinti d’assedio, invocano Cristo con l’animo e con il cuore, lo chiamano con tutta la voce. Prosegue la descrizione fino alla fuga dei nemici incalzati dall’esercito cristiano, che uccide tutti quelli che gli si fanno incontro, senza tante distinzioni di sesso e di età. Risparmiando solo quelli che sarebbero serviti a compiere determinati offici. Nonostante la lunga e particolareggiata descrizione l’autore non pecca di minor precisione, non vi è luogo a fraintendimenti e ripetizioni. Nessuna parte della cronaca, per la verità, darebbe l’impressione di fermarsi ad una stesura provvisoria in attesa di aggiunte. L’esposizione non assume mai un taglio differente, è sempre attenta alla realtà dei fatti, anche se in certi punti risulta meno particolareggiata, o addirittura telegrafica, e in altre estremamente analitica. Si capisce che nella presa di Gerusalemme c’è come il culmine dell’impresa eroica della crociata. Del resto, anche se l’autore non lo riferisce in questi termini, è evidente che l’attesa messianica e la componente escatologica erano stati componenti di grande influenza sulla spiritualità del movimento. Si può, quindi, supporre che la presa di Gerusalemme fosse carica di questi effetti trasmessi nella narrazione anche mediante la peculiare descrizione delle gesta. Aggiungerei un certo spirito nazionale dell’autore, un monaco francese, come francesi erano la maggior parte degli uomini d’arme che avevano risposto all’appello del papa.
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La città è quasi definitivamente espugnata quando i cristiani di affrettano al Tempio di Dio che era stato profanato da quella gente empia, che aveva osato consacrarlo alla propria religione. Ancora sono rinvenuti grandi tesori, preziosi, oro e argento – ancora premio terreno e ricompensa anticipata della ben più preziosa ricompensa della Gerusalemme celeste – ma l’attenzione dell’autore va all’aspetto purificatorio dell’impresa. I crociati ripuliscono, mondano, purificano il tempio e la città con il loro arrivo. Poi decidono di celebrare le litanie, dediti a pratiche di digiuno e a tutte quelle cose – continua l’autore – in attesa che il Salvatore si manifestasse loro e giudicasse chi fosse degno di ricevere lo scettro regale. I crociati evidentemente attendono il prodigio quale segno di favore per la conquista della Città Santa. E’ significativo che in seguito, proseguendo digiuni e litanie, eleggano il comandante Goffredo di Buglione. Si deve supporre che Dio avesse prodigiosamente comunicato loro la sua volontà, o che loro stessi come vicari si fossero risolti nella scelta caduta su Goffredo. L’aspetto davvero interessante della questione arriva nel momento in cui però Goffredo rinuncia clamorosamente alla corona regale, giudicandosi
indegno di
portare qualunque diadema nella città in cui Cristo stesso era stato incoronato di spine. Il solo Cristo era degnamente giudicato Re della Sua Città, nella quale per i peccati degli uomini aveva ricevuto la corona di spine. Al di là della successiva elezione di un patriarca, nella figura di un certo Arnolfo, chierico che aveva sostenuto i crociati durante le loro fatiche con numerose parole di consolazione, l’anonimo non fa menzione alcuna all’opposizione dei baroni all’elezione del comandante. Vuole evidentemente insistere ancora una volta sull’intima unitarietà del contingente crociato; testimoniando una totale condivisione d’intenti e di pareri lascia emergere la funzione pacificatrice della crociata che si esplica all’interno dell’esercito militante
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in Terrasanta, ma che si irradia su tutta la Cristianità 130. La pace interna è necessaria non solo ad imprimere efficacia all’azione bellica, ma anche all’ottenimento e al mantenimento del favore divino. Come osserva Franco Cardini, paradossalmente alla guerra rivolta verso l’esterno della Cristianità corrisponde una pacificazione interna che ne è al contempo il fine e l’effetto. Così Arnolfo adempie al compito che gli è affidato finchè papa Urbano non avesse designato un uomo ricco d’ogni probità, quale fu Daimberto, vescovo di Pisa, accolto con ogni gaudio dai crociati ed eletto patriarca. Le successive azioni belliche presso Gerusalemme si svolgono sempre nel segno della più totale fede in Dio e nel suo sostegno. L’autore non ci fa apprendere particolari storici nuovi. Insiste sul fatto che tutto quello che i partecipanti all’impresa fanno sia segno della volontà celeste tradotta in azione dai fedeli. Tra le righe si allude alla contrapposizione di musulmani e cristiani: i nemici sono sempre atterriti dalla potenza divina che si manifesta nella forza crociata. E l’autore non manca di ribadire quanto il Signore sia mirabile in tutte le sue opere. I milites Dei sono chiaramente lo strumento della riconquista da parte di Dio stesso della sua terra. La guerra intesa come « affare di Dio », osserva sempre il Cardini, “apparteneva a un ordine di questioni sul quale i Padri della Chiesa avevano riflettuto”. Giova qui rammentare che l’autore della cronaca è un monaco, di una certa cultura letteraria, cui non sono certo ignote tali riflessioni. La Sanctitas della spedizione non è ignota neppure ai suoi partecipanti, il cui legame continuo con il Salvatore mediante la fede in Lui, manifestata dalle incessanti preghiere rivolte a Dio, dalle invocazioni e dalle esclamazioni, dalla fiducia riposta continuamente nell’aiuto divino, assicura loro la vittoria e la salvezza. Non va perciò considerata come pura nota di margine la puntuale insistenza con cui l’anonimo non cessa di ricordare l’invocazione cristiana.
130
CARDINI, La guerra santa…, in “Militia Christi” e Crociata , p. 391; VISMARA, “Impius 96
La narrazione della crociata di Guglielmo IX non arricchisce la cronaca di particolari storici significativi. Si può ipotizzare che le notizie di cui l’autore stesso dispone gli siano state tramandate dai racconti dei crociati tornati in patria, o gli siano pervenute mediante qualcuna di quelle lettere che dalla Terrasanta erano giunte in occidente. La circolazione delle notizie nella regione orleanese avrà favorito il diffondersi dell’epopea dell’esercito sperduto per il deserto orientale, dopo l’arrivo del conte a Costantinopoli, e della sua disfatta in Asia Minore a causa della sprovvedutezza delle guide dell’imperatore greco.
L’insinuazione sottile dell’autore, il quale non manca
di sottolineare che non si sa se le guide non conoscessero la strada o fossero state tratte in inganno dall’imperatore, a proposito di questo particolare incuriosisce per l’accento ambiguo di negatività gettato sul personaggio, ma rimane del resto isolata perché la narrazione prosegue nell’elenco delle difficoltà che sfinirono l’esercito, impreparato e destituito, costretto infine alla fuga dal nemico, che torna adorando senza gloria. Sarebbe interessante a questo punto riflettere sul pensiero dell’autore a proposito di questa sconfitta, finendo però per aprire un capitolo quanto mai vasto della storiografia crociata: e cioè come fosse possibile che le gesta di Dio avessero un esito negativo nella fattualità storica. In realtà, come abbiamo visto questa problematica tocca prevalentemente la storiografia della seconda crociata, e in particolare quella su san Bernardo e la sua predicazione della spedizione in Terrasanta, ma un pensiero in proposito, anche solo un accenno, dovrà averlo avuto anche il nostro anonimo, messo di fronte alla sconfitta del conte. O magari, la relazione telegrafica della disfatta dell’esercito maschera ogni possibile interrogativo in merito. E’ a questo punto che appare nuovamente la stella a Occidente per più giorni emettendo uno straordinario raggio di luce.
foedus”…, pp. 1-114. 97
Poi l’autore racconta di come Boemondo, che era signore dei cittadini di Antiochia, attraversato il mare, giunto nelle Gallie, avesse tratto di lì, e non solo dalle Gallie ma da tutto l’Occidente, una moltitudine di uomini, fanti e cavalieri, per giungere con essi nuovamente in Oriente, anche a proteggere coloro che si recavano a Gerusalemme. Accenna al matrimonio di Boemondo con la figlia del re Filippo e della permanenza nel porto di Bari da dove avrebbero potuto invadere l’impero. L’assedio di Durazzo da parte di Boemondo, con il quale termina il frammento dell’anonimo di Fleury, abbiamo visto che è stato raccontato anche da Fulcherio di Chartres, nonché Lisiardo di Tours e Alberto d’Aix allo stesso modo. E abbiamo ipotizzato che tutti questi cronisti avessero attinto alla medesima fonte, essendo i racconti degli altri posteriori alla data di fine redazione della nostra cronaca, e cioè il 1110. Il racconto sarebbe stato composto grosso modo un paio di anni dopo gli avvenimenti e l’arrivo dei rapporti dall’Oriente in Francia. La cronaca resta quindi una fonte fondamentale. Durazzo è cinta d’assedio per molto tempo, i cittadini incitano più volte l’intervento dell’imperatore affinchè, raccolti i contingenti necessari, cacciasse i Franchi dai loro confini. E’ d’obbligo notare come l’autore definisca adesso l’esercito crociato come esercito dei Franchi. L’arrivo ai piedi di Castro Corbiano avviene il Sabato Santo ma poiché il giorno dopo era la Santa Pasqua si comunicarono tutti. Se esteriormente la croce è l’elemento che con maggiore forza simbolica identifica l’esercito cristiano, l’anonimo ricorda anche una serie di comportamenti volti sul piano spirituale a renderlo degno di questa designazione, le litanie e i digiuni, le orazioni segni di mortificazione e la preghiera con cui i fedeli possono rimediare alle proprie mancanze e sperare sempre nell’aiuto e nell’intervento celeste. Prima dei due terribili scontri dell’assedio di Durazzo,
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l’autore cita allora l’Eucaristia, quale sostentamento dei crociati e oramai unico nutrimento. In base a queste osservazioni, ci sembra che l’anonimo di Fleury sia un testimone rappresentativo dello spirito con cui i cristiani prendono parte alla crociata, ma ancor più in particolare, dello spirito con cui i comandanti della spedizione partecipano al movimento crociato come alla guerra santa di Dio. Qui emerge tutta la spiritualità crociata e il carattere ascetico di quell’esperienza. L’autore sa bene cogliere tanto i caratteri e i gesti di questa ascesi quanto le motivazioni che inducono i cristiani a combattere per la terra di Cristo, nei loro slanci di fede certamente volta all’azione, e forse più all’azione che alla tensione escatologica, ma sa altresì nella loro umanità che deve guadagnarsi la salvezza eterna e la ricchezza terrena. Così, terminato l’assedio e occupata Durazzo l’esercito va a Gerusalemme ad adorare per la grazia ricevuta. Le ultime battute sulla morte del fratello del conte Boemondo no tolgono per nulla l’aura di sacralità, al contrario: Dio, infatti, interviene anche a punire, se necessario con la morte, perché la sua giustizia trionfi.
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APPENDICE
NARRATIO FLORIACENSIS DE CAPTIS ANTIOCHIA ET HIEROSOLYMA ET OBSESSO DYRRACHIO
I.
I. Anno ab Incarnatione Domini M.XCV131 visae sunt stellae quasi
pluere de coelo densatim, velut pluviarum guttae per quaedam intervalla plurimarum noctium. Eodem anno, papa Urbanus in Gallias venit, conciliumque maximum episcoporum et abbatum apud Clarummontem in mense novembri celebravit. Insequenti quoque anno, apud Nemausum aliud congregavit in mense julio concilium. Adventus autem ipsius et conciliorum haec maxima causa fuit: Turci, gens infidelis et a Christi cognitione aliena, ad bellum vero prae omnibus Orientalibus populis vividam gerens dextram, examen sui generis de terra sui incolatus emittens, Hierusalem et circumpositas longe occupaverant regiones, ita ut ejus barbara ferinitas usque ad mare, quod Brachium Sancti Georgii vocatur, dominaretur. Minabatur etiam regiam civitatem se invasuram, et christianum imperium suae subdituram ferocitati. Haec gens, ecclesias totius diruens Orientis, vel ad cultum suae religionis conformans, episcopis illudens, et omnes sacros ordines ludibrio habens, omnem cultum divinum illis in partibus
131
M.XCVI cod. 100
evacuaverat. Qua saeviente procella, viri religiosi, per totum ferme Orientem turbati, nuntios ad jam nominatum papam dirigunt, orantes lachrymosis questionibus, ut eis subveniretur. II.
Quibus acceptis nuntiis, pius papa, quia noverat gentem Gallorum
bellicosissimam, et ad talia adorienda satis promptam, in duobus supra memoratis colciliis verbum de huiusmodi negotiis ad populum facit. Exhortatur ut fidelibus viris, malignorum violentia oppressis, succurrant, et ne nomen Christi Orientis in regionibus occidatur, quibus valent viribus adjuvent. Jubet etiam omnibus episcopis, ut unusquisque in sua dioecesi praedicet, praeconetur, exoret haec. Episcopi quae jussa fuerant complent, exhortatur sibi commissos grages, et contestantur ne spernant quae praecipiunt. Christianus autem populus injuriis oppressorum, papae etiam et suorum suasionib pastorum permotus, praeparat se ad resistendum infidelibus; et ex universis orbis partibus, in quibus fides Christi vigebat, ad peragenda sui bella Christi, tribus et linguae armantur. Igitur Hierosolymam tendunt, cruce Christi insignitis desuper vestibus. Sic enim praeceperat domnus apostolicus, ut quicumque ad hoc bellum, faciente Christi gratia, animaretur, crucem ejusdem in una suarum ferret vestium. III.
Erant in eodem exercitu nobiliores isti: episcopus Ani[ci]ensis,
Ademarus, Buamundus, frater Rogerii, ducis Apuliae, Raimundus quoque, Sancti Aegidii comes, Hugo, comes Virdensis, frater Philippi regis, Stephanus, Carnotensium comes, Robertus, comes Normannorum, item
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Robertus, comes Flandrensium, Godefridus, dux Boloniae, et frater illius Balduinus. Fuerunt et alii quamplures viri potentes et famosi, diversarum nationum proceres, quos hic inserere longum videtur. Quos praecessit comitatus, seu subsecutus est catholicae plebis exercitus, innumerabilis quasi arena maris, paratus animam ponere pro fratribus. Tandem post multos labores, post terrae et maris pericula, post multas Constantinopolitani imperatoris insidias, post maximam alimentorum inopiam, post horrida cum Turcis commissa praelia, aliquibus jam captis civitatibus, Antiochiam adveniunt, quae caput est totius Syriae. Eodem tempore apparuit cometes ad austrum ferme per quindecim dies, emittens radium in modum hastae. IV.
Obsiden
t itaque Antiochiam. Defecerat autem jam pars maxima eorum superius memoratis molestiis. Obsidentibus ergo illis, pluribus ta suorum quam adversariorum quotidianis congressibus ante interfectis, et protracta obsidione jam per octo menses, tandem, Dei favente gratia, recipiunt eamdem urbem per quemdam Turcum, qui nostram suscepit postmodum fidem; sed postea apostatasse dicitur. Hic cum duce Buamundo hanc laudabilem compegit proditionem; qui, cum esset custos aliquarum turrium ejusdem civitatis, per unius quam servabat turris portam, eumdem Buamundum universumque exercitum submisit. Qui, urbe potiti, omnes, quos habent obvios, in ore gladii perimunt, sexsum vel aetatem minime discernentes. Quidam autem partis adversae ad
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munitissima civitatis ipsius confugerunt loca; sed, extructo muro, oppilata sunt loca opportuna, per quae nostros impugnarent poterant. Manserunt tamen in ipsis firmitatibus usque ab subsecutum bellum et erant semper illi in Sathan, quas valebant insidias machinantes. V.
Ecce autem adest improvisa hostium innumerabilis multitudo, quae totam
ambiens cinxit urbem. Defecerant autem alimenta in ipsa civitate. Corripit itaque extemplo obsessos incredibilis fames, ita ut unum ovum sedicim denariis venderetur; caseus unus quatuor denariorum libris; panis non inveniebatur. Calceamenta vetera et quaeque particulae coriorum, vetustate attritae, in cibum sumebantur. Immundorum animalium carnes pro deliciis habebantur. Passi etiam duram exterius fuerant famem, dum ipsi eamdem obsiderent urbem; sed illa ad comparationem hujus nulla fuit. Fatigati igitur per trium hebdomandarum spatium hac obsidione, cum periculo famis clamaverunt ad Dominum. Qui, miseratus eorum, misit, uti refertur ab eis, beatum apostolum Andream, qui, in visione nocturna, manifestavit cuidam clerico, nomine Petro, Lanceam de qua transfixus fuerat in Cruce idem Dominus, infossam in majori ecclesia, quae in honore apostoli Petri dedicata erat; hic clericus de contubernalibus Raimundi, Sancti Aegidi comitis, erat. Effossa igitur humo, invenerunt eam. Plura vero et alia prodigia ostendit Salvator per hoc totum tempus ad suorum consolationem, et ad terrorem hostium: quae nos quoniam aliorum scriptis tenentur, omisimus, succinctim seriem percurrentes temporum.
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VI.
Assumentes ergo multam fiduciam pro inventione Lanceae, statuerunt,
praecedere ea, cum suis hostibus decertare, satius ducentes pro Christo animas in bello ponere quam mori turpiter fame in civitate. Statuta igitur die, portis apertis, Lancea praeunte, hostes aggrediuntur; qui, Dei perterriti virtute, nequaquam eis congredi praesumentes, terga vertunt, reliquentes sua tentoria, tam ciborum abundantia quam variae supellectilis multiplicitate referta; quae omnia nostri, quasi spernentes, pertranseunt, hostes insequentes. Facta est autem tanta caedes eorum, non solum a nostris, verum ab incolis ejusdem regionis, per quos fuga ipsorum erat, ut vix pauci equitum e tanto superessent numero; peditum vero vix unus superfuit; oderant namque incolae illarum regionum eosdem Turcos, quoniam jugo gravis servitutis eos oppresserant. Reversis deinde nostris a caede, tanta copia farinae, pecorum, et omnium rerum ad cibum habilium, reperta est in hostium tentoriis, ut omnia infortunia, quae illis antea acciderant, oblivioni traderent. Quis enim multitudinem camelorum, equorum, pecorumque diversi generis, copiam vasorum auri et argenti, vestium praetiosarum et thesaurorum inibi inventorum, dinumeret? Mos est enim Orientalium nationum, ut omnem suam gazam ad bellum secum deferant.Regradiuntur itaque onusti in civitatem jam suam, in hymnis et laudibus gratias Christo toto referentes corde, qui sic miseretur suis servis. Comperto, qui in arcem civitatis confugerant, suorum excidio, sese dediderunt, concessa eis vita et abeundi licentia. Obiit autem in eadem
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urbe venerabilis Ademarus, Ani[ci]ensis episcopus, in qua cum multis christianae plebis lachrymis sepultus est. Vergente, una dierum, sole ad occasum, dum adhuc in eadem essent urbe, per noctem illam usque ad auroram, texit maximus rubor velut sanguinis coelum, ab Oriente per septentrionem pertingens usque in Occidentem; qui rubor in omnibus orbis partibus visus est. VII.
Commorati ergo in Antiochia per aliquantum temporis, tradunt eam
possidendam Buamundo et suis. Reliqui vero, dux videlicet Boloniae, Godefridus, qui admirandus tam armorum virtute quam prudentia consilii omnibus habebatur, Raimundus, comes Sancti Aegidii, Robertus, comes Normannorum, Robertus, comes Flandrensium, Tancredus, nepos Buamundi, et reliquus exercitus decernunt Hierosolymam proficisci. Porro Balduino, fratri praedicti ducis Godefridi, concesserant jam Rohes, urbem famosissimam, et universa oppida ad eam pertinentia, quae plurima erant. Caeteri igitur duces, cum suis turmis egressi ab Antiochia, per maritima proficiscuntur; in quo itinere tres ceperunt urbes, et multa millia profanae gentis in eis interemerunt. VIII.
Pervenientes demum Hierosolymam, eam obsident. Partiuntur duces
portas, turres, et omnia extrinsecus; eligit sibi quisue stationem, in qua cum suis resideat. Dirigunt deinde partem exercitus investigare sylvam, ut ea reperta, ligna caedant et asportent, quam cum difficultate inveniunt, utpote locorum ignari. Allata itaque copiosa lignorum congerie
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camelorum dorsis, exstruunt arietes et diversas machinas, ad quatiendos muros et ascendant; componunt diversi generis tormenta ad jaciendos lapides; erigunt etiam duas ligneas turres multae altitudinis; has statuunt in locis opportunis, de quibus milites pugnantes dejicerent eos, qui de muris propugnabant. Paratis itaque omnibus, obsessos fatigant assiduis concertationibus; applicant muris turres, jaciunt immania diversis tormentis saxa. Illi e contra fortiter resistentes, balistis, sudibus, et variis missilibus ipsos a muris arcebant. Protelata igitur obsidione per sex hebdomadarum intervalla, obsidentibus acriter instantibus, obsessis vero viriliter repugnantibus. IX.
Tandem nostri pertaesi obsidionis, quadam die, acrius solito animati,
inclusos hostes adoriuntur, Christum corde invocant, Christum ore clamant, Christum totus personat aer.
‌.
Ergo tormentis saxa jaciunt, omni genere missilium decertant.
Porro qui in turribus ligneis stabant sudes peracutas et lapides mittebant in eos, qui de muris pugnabant; sagittarii quoque a superiore loco, de isdem videlicet turribus, sagittis eos infestabant; qui, sustinere non valentes, murum linquunt. At isti, conjunctione clypeorum testudine facta, alii accedunt ad murum, admotumque alii arietem, quem desuper cratibus et crudis texerant pellibus, tam pro sui quam ejusdem machinae defensione, frequenti impetu propellentes, ipsum pulsant murum; murus deinde crebra arietatione fatiscere coepit. Obsidebant autem ex ea parte Robertus
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Normannus, Robertus Flandrus, Tancredus, et quidam alii ducum. Praeminebat ibi turris muro adhaerens, quae cacumen in altum extulerat; haec, continuis imbribus pulsata saxorum, tandem sua pandit interiora. Cujus tamen rimas et vulnera qui eam servabant texerant, opponentes vimineas crates, tapetia, culcitras, mattas, et quaeque ad deludendos jactus tormentorum apta; eisdem etiam operimentis extrinsecus velaverant murum, quacumque infestabatur ictibus lapidum. Porro nostri, turri illi imposito igne, eos qui in ipsa erant, dum ignem extinguere non valent, fugaverunt; quos fugere, et turrim accensam flammas in excelsum attollere, eosque, qui de muro obsistebant, ab his, qui de ligneis turribus omni genere jaculorum instabant, proturbatos cernens exercitus, illuc advolat, exhortans se mutuis vocibus. Exteriorique muro ariete demolito (duplici enim muro eandem urbs ingebatur), scalis interiori muro applicatis, ascendunt, et de muro civitati illibantur, nemine resistente. Denique quos in ligneis turribus stetisse diximus, pontibus factis de trabibus, quibus crates superposuerant, civitati insiliunt; alii securibus et quibuscumque ferreis instrumentis portas dejiciunt. X.
Hostes perterriti, videntes nostros secum esse in civitate, non jam resistunt,
sed passim diffugiunt, ignorantes quid agere, non jam sagittis et missilibus, sed districtis gladiis se impeti conspicientes. Tunc demum omnem spem suam fugae committunt; quos palantes per plateas civitatis more pecudum mactat exercitus. Qui evadere potuerant in Templum,quod
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Salomonis dicitur, sese recipiunt. Mox omnes turmae illuc accurrunt, universosque, qui se illic incluserant, gladiis trucidant, resistere quidem volentes, sed non valentes; et totam perscrutantes urbem, ejus habitatores perimunt, sine discretione sexus et aetatis, multo tamen agmine ad varia officia peragenda reservato; quorum plures postmodum cognati et amici a captivitate redemerunt. Properant deinde ad Templum, quod Domini dicitur, quod impia gens profanaverat, suae religioni mancipando; in quo tantam auri et argenti lapidumque praetiosorum reperiunt gazam, ut auditu incredibile videatur. Eodem modo in universis fere urbis domibus tanta inventa est pecunia, tanta copia omnium quae cibis congruunt rerum, quanta vix inibi congregari potuisse credatur. Emundato ergo Templo et urbe a sordibus infidelium, coeperunt cum quiete habitare. Post haec facto conventu, statuunt letanias celebrare, agere jejunia, quatenus Salvator eis manifestaret, quem eorum regali sceptro dignum judicaret; peractisque crebris letaniis et jejuniis, unanimi consilio eligunt ducem Godefridum sibi praeesse, qui promptior caeteris ducibus et manu et consilio probatus fuerat; cauti in hoc, quod nequaquam ei licere judicant regium diadema infra urbem eandem portare. Solus enim Christus ejus urbis rex digne judicatur, qui pro peccatis nostris in eadem suscepit Spineam Coronam. Patriarcham vero quemdam clericum, nomine Arnulfum. Ordinare voluerunt, qui eos plurimum verbo consolationis in cunctis eorum laboribus sustentaverat; sed renisus est ille, dicens se minime absque
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papae praecepto, tantum onus suscepturum. Curam tamen ecclesiasticarum rerum assumpsit, donec papa Urbanus dirigeret illis in patriarcham virum omni probitate decoratum, domnum videlicet Dagbertum, episcopum Pisanum; quem cum gaudio suscipientes, patriarcham costituerunt. Igitur Turci, qui per residuas urbes et castella Orientis dispersi erant, et cum eis duces Persarum, comperto maximum suorum praesidium esse captum, congregant infinitam multitudinem exercituum, tam de suae gentis hominibus, quam de Syris, Agarenis, Arabibus, et caeterarum Orientalium nationum infidelibus populis; congragatis itaque illis in unum, decernunt communi consilio Hierosolymam obsidere. Dux autem Godefridus, et caeteri optimates, rati nequaquam sibi profuturum, si eis obsidere civitatem liceret, paucis suorum ad custodiam relictis, obviam properant, cum quanta possunt manu. Et occurrentes illis in campis urbis Ascalonis, quae sita est secus mare, XX et dcc stadiis ab Hierosolymis distans, dividunt exercitum belli more, exstructaque acie et animis oratione ducis roboratis, confisi de adjutorio Salvatoris, insiliunt in hostes, qui more solito fugae subsidio, Dei potentia exterriti, se committentes, terga praebent. Tanta vero strage in eos debacchati sunt, ut vix aliquis de numero pedestri remanserit, qui eventum belli renuntiare residuis valeret; de equestri vero ordine multi; quoniam christianus exercitus, propter panis inopiam, praeter paucos, suos comederant equos; idcirco equites persequi nonvalebant. Peracta igitur
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caede, revertuntur in urbem, grates innumeras suo acclamantes Salvatori, qui in cunctis suis operibus est mirabilis. Post expletum vero Hierosolymitanae captionis annum, defunctus est gloriosus dux Godefridus. XI.
Qui vero Hierosolymis habitabant, glorioso rege Godefrido defuncto,
unxerunt loco ipsius fratrem ejus Balduinum, strenuum sane virum, et bellis superioribus jam probatum. Porro Pictavensium comes Willelmus, quoniam Gallicanarum primores provinciarum caeteri, vel obsidioni Hierosolymitanae cum suis affuerant copiis, vel postremo ad exhibenda suffragia eis, qui ibidem remanserant, devote subsecuti fuerant, volens et ipse suas ostentare vires et extendere famam, collecta moltitudine earum qiubus dominatur gentium, associatis etiam sibi multis, quorum plures erant comites, aut populosarum urbium seu castrorum primores, Hierosolymam tendit.Qui dum Constantinopolim appropiaret audito tanti ducis adventu, imperator pernimuit. Asserto igitur eo caeterisque optimatibus, qui cum eo erant, ad colloquium, plura donaria eis distribuit, plurima promittens si ei fidem servarent datis etiam itineris comitibus, qui eos docerent, per quae loca exsercitum ductarent. Duces ergo dati, nescitur an viae ignorantia, an fraude imperatoris, per vasta solitudinis loca eos minarunt in quibus fame et siti pene consumptum est exercitus. Hostes quoque, comperientes eos adventare in locis quae opportuna erant insidiis, imparantum et penuria ciborum destitutum in
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vadunt popolum, plures interimunt, alios captivant, residuos in fugam vertunt. Qui vero tantae calamitati superfuere, dispersi per avia montium, per confraga vallium, ad sacra vix attingentes loca, adorantes inglorii reversi sunt. XII.
Eo tempore stella in Occidente apparuit plures per dies, radium
emittens versus meridiem intrabis modum. Igitur Boamundus, qui Antiochenis dominabatur, transito mare (sic), in Gallias venit; innumerabilem tam equitum quam peditum multitudinem ab eis eduxit et non solum de Galliis, verum et de toto Occidente; Graecorum imperium perturbare conatus, ea videlicet occasione, quoniam imperator semper adversabatur omnibus Hierosolymam tendentibus, commissis editibus viarum et maritimis portibus (sic) praedonibus et piratis. Boamundus ergo filiam regis Philippi in conjugem duxit: et commeatu tanto exercitui necessario apparato, in Barri portu angustum pelagus verno tempore permeans, in adversum littus illaesam navium traduxit classem. Hinc Graecorum pervadens imperium, urbes, municipia, villas et agros devastans, venit Dirrachium, quam obsidione cingens oppugnabat tempore multo. XIII.
Obsessi itaque, pertaesi obsidionis, suo mandat imperatori non posse
diutius pati Boamundum, et, nisi subveniat, celerius traditorus urbem. Qui colligens diversarum gentium, quae sub ejus degunt imperio, sexaginta et eo amplius armatorum millia, praefectis illis magistratibus,
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mandat et obsessos solvere, et Francos a finibus suis expellere. Dux ergo audiens imperiales adversum se venire legiones, dirigit et ipse ex suis manum validam obviam illis itinere dierum sex. Sabbato igitur sancto, pervenere ad radicem montis in quo situm est castrum Corbianum. Comperientes autem hostes, castrametatos in altera parte ejusdem montis, velle occupare cacumen ejus, praevenerunt eos. Mane vero facto quoniam sanctum Pascha erat, communicarunt omnes. Adversarii denique, praelio disposito, opperiebant illos; itaque Franci, cum alacritate sese exhortantes, adoriuntur eos. Principabant vero eis Hugo de Puteolo, Rainerius Brunus, Philippus de Monte Aureo, Robertus de Veteri Ponte, cum aliis. Inito ergo praelio, ab hora tertia usque in vesperam, tanta caede debacchati sunt in eos, ut vix superessent qui eventum belli renuntiaret. Sed, cum jam placide dirrachium regredi cogitarent,audiunt non minoris numeri exercitum appropinquare in auxilium prioris; consilio igitur accepto, festinant et illis obviam, quos tandem in loco, qui Scala Sancti vocatur Georgij, attingunt. Commisso itaque bello, hos quoque pene omnes delevere, reportantes duci suo quindecies capita centum de strage istorum, uno tantum de suis in utrisque extinto praeliis. XIV.
Imperator, considerans insuperabiles esse Francos, mandat Boamundo
et reliquis ducibus nefarie se agere, quia, cum essent Christiani, Christianos persequerentur, et absque ullo misericordiae respectu interimerent; se prompto animo suscepturum pacis conditiones,
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quas statuerent, aut quas ipse proponebat, quaes hujusmodi erant: ÂŤ Neminem qui ad Sepulchrum Salvatoris properarent, de caetero iniuriam in toto suo passurum regno. Quod si qius eorum aliqua violentia quicquam amisissem, quantum probere posset, de suo restiturum. Omnibus, qui in exercitu illo militabant damna quae contigerant emendaturum. Duci, quas pater armis vindicaverant, terras redditurum. Praebiturum quoque ex suis supplementum copiis ad conquirendum in Romania, quam Turci obtinuerant, quantum itineris, diebus XV, confici possit longitudinis et latitudinis: eo scilicet pacto, quatenus dux, se ipsi subdens, fidem devote servaret.Âť Auditis duces exercitus his propositionibus dixerunt nequaquam esse spernendas. Statuta ergo die, qua haec juramento corroborarentur, imperator, urbe regia egressus, venit obvius Boamundo et ducibus via dierum fere XV. Impositis itaque manibus ipse et xji primi suae civitatis sacris pignoribus, Cruci videlicet Dominicae cum aliis quae secum attulerant, astante Joanne, filio ejus,juravitomnia, quae proposita sunt, absque fraude conservaturum omni quo superstes tempore foret, Boamundo illi se subdente, et fidem promittente, quamdiu jurata servaret. XV.
Quibus peractis, imperatore ad sua reverente, pars exercitus Hierosolymam
adorandi profiscitur gratia, pars cum Boamundo in Apuliam repedat. Guido autem, frater ducis, post tempus breve in languorem incidit, ita ut, destitus omnibus membris, ad extrema duceretur.
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Ascito denique fratre, orat ut parcat quae in ipsum peccasset. Quo interrogante quae essent commissa, confessus est imperatorem sibi filiam suam spopondisse cum Dirrachio et aliis donis; saepium urbem vi aut deditione subactam, nisi cives retardasset suo animatos consilio. Audito tam immani scelere, detestatus illum, maledictaque maledictis accumulans, abscessit. At ille brevi defungitur.
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Elenco delle Abbreviazioni CCSL: DHGE: DSp: FISI: MGH, SS: MLJ: PL: P.V. ep. : RHC, HO RHE: RSB:
Corpus Christianorum Series Latina Dictionnaire d’Histoire et geographie ecclésiastique Dictionnaire de Spiritualitè Fonti per la Storia d’Italia Monumenta Germaniae Historica: Scriptores Mittellateinisches Jahrbuch Patrologia Latina Petri Venerabilis epistole Recueil des Historiens des Croisedes: Historiens Occidentaux Revue d’Histroire ecclésiastique Rivista Studi Bizantini e Ellenici
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Sommario Monaci e crociate: la prima crociata attraverso lo sguardo di un monaco di Fleury
LA CROCIATA Un fenomeno che interessa tre secoli e mezzo
CAPITOLO I
«GESTA DEI» NELLA CRISTIANITA’ Uno sguardo attraverso la storiografia crociata. Le fonti
CAPITOLO II
pag. 23 pag. 33 pag. 34 pag. 37
LA I CROCIATA VISTA DA UN MONACO DI FLEURY Il monastero di Fleury Storiografia a Fleury tra XI e XII secolo
APPENDICE
pag. 11 pag. 19
MONACI E CROCIATE San Bernardo e l’idea di Crociata La partecipazione dei monaci Il ruolo di Bernardo La Crociata per Pietro il Venerabile
CAPITOLO III
pag. 5
pag. 42 pag. 51
Narratio Floriacensis de captis Antiochia et Hierosolyma et obsesso Dyrrachio.
pag. 68
Frammento del ms. Paris lat. 6190 Prefazione alla Narratio floriacensis La narrazione dell’anonimo di Fleury
“ “ pag. 71 pag. 76
Narratio Floriacensis.
pag. 100
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI
pag. 115
BIBLIOGRAFIA
pag. 116
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