Anno 8° Domenica 03 Marzo 2019
La storia è sentita e risentita, ma è proprio così, lo sappiamo tutti: le donne dovrebbero essere festeggiate ogni giorno, non solo l’8 Marzo. l’8 Marzo deve rimanere una data simbolo per celebrare la femminilità e l’ottenimento di molti diritti (non ancora abbastanza). Ma sono sensazionali e fondamentali ogni giorno. Le donne sono fortissime, cadono e si rialzano più belle di prima. Piangono, e anche tanto, si fermano, ma poi ripartono con il sorriso stampato in faccia, un sorriso, a volte, conquistato con fatica e quindi più luminoso che mai. Le donne si reinventano in mille varianti di se stesse: sanno essere figlie, madri amorevoli, donne di casa, manager di azienda, si inventano un lavoro, ne fanno due o tre contemporaneamente. Sanno fare sport estremi, trasportare borse zaini e bambini, ma sanno anche camminare sui tacchi e mettersi l’eyeliner perfettamente dritto. Sono una forza della natura! Le donne si capiscono e ti capiscono, e hanno la sensibilità di notare particolari che gli uomini, da soli, non immaginerebbero nemmeno. Le donne hanno capacità di gestione sopra la media: organizzate o incasinate, portano avanti una casa e le esigenze di tutta la famiglia, senza perdere le loro femminilità che richiede cura, giorno dopo giorno. Le donne sopportano, sopportano davvero tanto. Il dolore, la stanchezza: al contrario di quanto potrebbe sembrare, le donne non si lamentano. Sono emozione ed energia allo stato puro, vivono ogni cosa al 100%. Le donne si stancano, ma continuano a sorridere, perchè in ogni caso,
settembre 1944 a Roma si creò l’UDI (Unione Donne in Italia) per iniziativa di donne appartenenti a PCI, PSI, Partito d’Azione, Sinistra Cristiana, Democrazia del Lavoro. Fu l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare l’8 marzo 1945 la prima Giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all’ONU una Carta della donna, contenente richieste di parità di diritti e lavoro. Con la fine della guerra, l’8 marzo 1946 fu celebrato in tutta Italia e vide la comparsa del suo simbolo: la mimosa. Parliamo di una tradizione tipica italiana. Tra le attiviste, Rita Montagna e Teresa Noce, che hanno eletto questo fiore come simbolo della Festa della donna, c’era Teresa Mattei, ex partigiana e convinta sostenitrice dei dirtti delle donne. La mimosa non fu l’unica portata in assemblea. Oltre ad essa, vennero messi a voti anemoni, garofani e violette… ma la mimosa vinse. I perché sono tanti. La Matttei, in un’intervista, disse: “La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette” e che le ricordava le lotte sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente. La ex partigiana, morta a 92 anni nel 2013, dichiarò: “Quando nel giorno della Festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il nostro impegno non è stato vano”. L’8 marzo 1946 non poteva che incarnare l’Italia libera, della pace, il punto di inizio di una nuova fase della storia femminile, un forte, gioioso e combattivo momento aggregativo e identificativo e la mimosa venne scelta perché nei dintorni di Roma fioriva abbondante e poteva essere raccolta senza costi sulle piante che crescono selvatiche. Una pianta, dunque, da inizio primavera, popolare, semplice, vitale, in grado, nonostante la sua apparente fragilità, di crescere su terreni particolari, aridi e difficili. Delicatezza apparente-forza interiore… non sono forse queste le caratteristiche vicine alla figura storica della donna, perfette per interpretarla? Il basso costo della mimosa ne decretò la sua vittoria ufficiale, specie nel dopoguerra, in modo che tutti potessero accedervi per farne dono gradito.
rancesco ricorda come le donne siano “quello che manca a tutti gli uomini per essere immagine e somiglianza di Dio”: Gesù pronuncia parole forti, radicali, che “cambiano la storia” perché fino a quel momento la donna “era di seconda classe”, per dirla con un eufemismo, “era schiava”, “non godeva neppure della piena libertà”, osserva il Papa. E la dottrina di Gesù sulla donna cambia la storia. E una cosa è la donna prima di Gesù, un’altra cosa è la donna dopo Gesù. Gesù dignifica la donna e la mette allo stesso livello dell’uomo perché prende quella prima parola del Creatore, tutti e due sono “immagine e somiglianza di Dio”, tutti e due; non prima l’uomo e poi un pochino più in basso la donna, no, tutti e due. E l’uomo senza la donna accanto - sia come mamma, come sorella, come sposa, come compagna di lavoro, come amica - quell’uomo solo non è immagine di Dio. Donne oggetto del desiderio Francesco si sofferma in particolare sul “desiderare” una donna evocato nel brano evangelico. “Nei programmi televisivi, nelle riviste, nei giornali - dice - si fanno vedere le donne come un oggetto del desiderio, di uso”, come in un “supermarket”. La donna, magari per vendere una certa qualità “di pomodori”, diventa appunto un oggetto, “umiliata, senza vestiti”, facendo sì che cada l’insegnamento di Gesù che la “dignificò”. E, aggiunge, non bisogna poi andare “tanto lontano”: succede anche “qui, dove noi abitiamo”, negli “uffici”, nelle “ditte", le donne “oggetto di quella filosofia usa e getta”, come “materiale di scarto”, in cui non sembra nemmeno siano “persone”. Questo è un peccato contro Dio Creatore, rigettare la donna perché senza di lei noi maschi non possiamo essere immagine e somiglianza di Dio. C’è un accanimento contro la donna, un accanimento brutto. Anche senza dirlo… Ma quante volte delle ragazze per avere un posto di lavoro devono vendersi come oggetto di usa e getta? Quante volte? “Sì, padre ho sentito in quel Paese…”. Qui a Roma. Non andare lontano. Guardarci attorno per vedere lo sfruttamento Il Papa si domanda cosa vedremmo se facessimo un “pellegrinaggio notturno” in certi posti della città, dove “tante donne, tante migranti, tanti non migranti” vengono sfruttati “come in un mercato”: a queste donne, prosegue, gli uomini “si avvicinano non per dire :‘Buonasera’”, ma “Quanto costi?”, ricorda Francesco. E a chi si lava “la coscienza” chiamandole “prostitute”, il Pontefice dice: Farà dunque bene guardare queste donne e pensare che, di fronte la nostra libertà, loro sono “schiave di questo pensiero dello scarto”. Tutto questo succede qui, a Roma, succede in ogni città, le donne anonime, le donne - possiamo dire - “ senza sguardo” perché la vergogna copre lo sguardo, le donne che non sanno ridere e tante di loro non sanno, non conoscono la gioia di allattare e di sentirsi dire mamma. Ma, anche nella vita quotidiana, senza andare a quei posti, questo pensiero brutto di rigettare la donna, è un oggetto di “seconda classe”. Dovremmo riflettere meglio. E facendo questo o dicendo questo, entrando in questo pensiero disprezziamo l’immagine di Dio, che ha fatto l’uomo e la donna insieme alla sua immagine e somiglianza. Questo passo del Vangelo ci aiuti a pensare nel mercato delle donne, nel mercato, sì, la tratta, lo sfruttamento, che si vede; anche nel mercato che non si vede, quello che si fa e non si vede. La donna la si calpesta perché è donna. Con tenerezza, Cristo restituisce dignità Gesù, ricorda il Papa, “ha avuto una mamma”, ha avuto “tante amiche che lo seguivano per aiutarlo nel suo ministero” e per sostenerlo. E ha trovato “tante donne disprezzate, emarginate, scartate”, che ha sollevato con tanta “tenerezza”, ridando loro dignità.
LA BATTAGLIA DELLE ARANCE l Carnevale di Ivrea è una manifestazione folkloristica annuale, annoverata tra le istituzioni culturali della città. Si tratta di una rievocazione storica che ha fatto del Carnevale di Ivrea uno dei più famosi e curiosi al mondo. Lo storico carnevale è in parte ispirato alla vicenda di una leggiadra mugnaia giustiziera di un tirannico feudatario, e in parte risale all'avvento delle truppe napoleoniche. Il via al carnevale viene dato da suoni di pifferi e tamburi che onorano la nomina del nuovo generale, in attesa della presentazione della Mugnaia. L'eroina risorgimentale, la Mugnaia, viene eletta nella buona società eporediese la sera del Sabato Grasso. Una coppia che, con un variopinto seguito di podestà, consoli, vivandiere e credentari, onora vari appuntamenti ufficiali fino alla grande veglia, con danze e fuochi di artificio del Giovedì Grasso in piazza Ottinetti. Il carnevale raggiunge il momento di più alta spettacolarità nella "Battaglia delle arance", tra i rappresentanti dei diversi rioni, per la conquista del palio.
LA STORIA DI TIRANNI E TASSE
Il Barbarossa aveva insediato nella città di Ivrea, in Piemonte, un certo Ranieri di Biandrate, sovrapponendolo al vescovo e al Comune della città. Ranieri, sottratti al Vescovo i suoi tradizionali poteri, iniziò a perseguitare i suoi avversari politici e a infierire sul popolo con pesanti tasse, quindi fu da subito odiato. Nel 1194 il popolo, esasperato dalle violenze e i soprusi di Ranieri, insorse e distrusse la dimora dove si era insediato e cioè il castello di San Maurizio. Poi fu la volta di un altro dominatore, anche lui poco amato, Guglielmo VII di Monferrato, che entrò a tradimento ad Ivrea nel 1266 e ricostruì il castello di San Maurizio, dove prese dimora. Il dominio di Guglielmo però fu di breve durata perché, per la seconda volta, il popolo prese le armi e nuovamente rase al suolo il castello. Questi sono i fatti storici, ma nella tradizione popolare gli usurpatori, Ranieri e Guglielmo, sfumano in un'unica figura del Tiranno, che venne ucciso da una popolana, una mugnaia. La leggenda narra che la figlia di un mugnaio, Violetta, era promessa sposa del suo amato Toniotto, ma le fanciulle eporediesi a quel tempo erano soggette alla pretesa dello "Ius Primae Noctis", ovvero il diritto della prima notte. Anche se questo diritto nella realtà non è mai esistito, e deriva probabilmente dalla tassa che si doveva pagare in occasione del matrimonio, la leggenda vuole che Violetta decise di ribellarsi alla sorte che l'attendeva. Violetta quindi finse di accettare l'infame pretesa del feudatario, cioè di esercitare il diritto sulla prima notte di nozze, e si recò al famoso castello di San Maurizio, nascondendo però tra i capelli un pugnale in accordo con i popolani. Appena uccise il tiranno diede il segnale di sollevazione ai vigilanti cittadini, che iniziarono la rivolta popolare, in quanto tutti esasperati dalle tasse, in modo particolare da quella sulla farina che rendeva il pane più costoso. Violetta, la mugnaia del carnevale, è quindi il simbolo della ribellione popolare, per le tasse sul matrimonio e sul grano macinato. Il ricordo di quelle gesta e della vittoria popolare si tramandò di anno in anno, fino all'occupazione napoleonica, quando il carnevale assunse l'aspetto odierno.
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«cammino di conversione» per abbandonare l’«egoismo» e la «cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto» e che porta allo «sfruttamento» delle persone e dell’ambiente. È quello che il Papa domanda per la prossima Quaresima, nel suo messaggio diffuso oggi dedicato al tema “L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”. Il documento reca la data del 4 ottobre, festa di San Francesco di Assisi. E, proprio riflettendo sull’amore per il creato e le sue creature del poverello di Assisi di cui ha preso il nome, il Papa argentino osserva come nel mondo di oggi «l’armonia generata dalla redenzione è ancora e sempre minacciata dalla forza negativa del peccato e della morte». Ovvero «quel peccato che porta l’uomo a ritenersi dio del creato, a sentirsene il padrone assoluto e a usarlo non per il fine voluto dal Creatore, ma per il proprio interesse, a scapito delle creature e degli altri», sottolinea il Pontefice. «Quando viene abbandonata la legge di Dio, la legge dell’amore, finisce per affermarsi la legge del più forte sul più debole». «Quando non viviamo da figli di Dio - evidenzia il Papa -, mettiamo spesso in atto comportamenti distruttivi verso il prossimo e le altre creature – ma anche verso noi stessi – ritenendo, più o meno consapevolmente, di poterne fare uso a nostro piacimento. L’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare». Gli effetti sono evidenti e hanno la forma della «avidità», della «brama per uno smodato benessere», del «disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio». Si seguono «desideri incontrollati» e finisce per imporsi «la logica del tutto e subito, dell’avere sempre di più», ammonisce Bergoglio. Domanda allora a tutti i cristiani ad entrare in questo tempo di preparazione alla Pasqua nel «“travaglio” che è la conversione». «La Quaresima è segno sacramentale di questa conversione», afferma. «Essa chiama i cristiani a incarnare più intensamente e concretamente il mistero pasquale nella loro vita personale, familiare e sociale». E «tutta la creazione è chiamata, insieme a noi, a uscire dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio». In particolare il Papa indica tre strade: il digiuno, la preghiera e l’elemosina. «Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di “divorare” tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore. Pregare per saper rinunciare all’idolatria e all’autosufficienza del nostro io, e dichiararci bisognosi del Signore e della sua misericordia. Fare elemosina per uscire dalla stoltezza di vivere e accumulare tutto per noi stessi, nell’illusione di assicurarci un futuro che non ci appartiene». È così che è possibile ritrovare «la gioia del progetto che Dio ha messo nella creazione e nel nostro cuore, quello di amare Lui, i nostri fratelli e il mondo intero, e trovare in questo amore la vera felicità». «Non lasciamo trascorrere invano questo tempo favorevole!», è l’auspicio del Vescovo di Roma. «Chiediamo a Dio di aiutarci a mettere in atto un cammino di vera conversione. Abbandoniamo l’egoismo, lo sguardo fisso su noi stessi, e rivolgiamoci alla Pasqua di Gesù; facciamoci prossimi dei fratelli e delle sorelle in difficoltà, condividendo con loro i nostri beni spirituali e materiali».
Il patrimonio artistico-culturale in Lucania è legato al nome di Dinu Adameşteanu. Il grande potenziale archeologico della Basilicata, risalente al VII secolo a. C., se adesso è rivalutato e valorizzato lo si deve alla figura di Dinu Adameşteanu, archeologo che giunto da Toporu, in Romania, e arrivato in Italia per motivi di studio e lavoro, ha iniziato a comprendere il grande valore del nostro patrimonio archeologico, riuscendo a far partire quel processo di rivalutazione e valorizzazione che ancora oggi la Basilicata può vantare di avere. Infatti, malgrado il potenziale archeologico esistente, la Basilicata fino a cinquant’anni fa non ha avuto una propria Sovraintendenza dei Beni archeologici. Solo nel 1964 fu istituita la Sovraintendenza dell’Antichità con sede a Potenza, e la fortuna fu che a guidare l’Ufficio fu proprio il professor Adameşteanu. Dopo aver dato il via agli scavi, il professore diede l’impulso per la creazione di quella rete museale e di parchi aperti, oggi usufruibili dal pubblico, come l’Antiquarium di Metaponto, il Museo Nazionale Ridola di Matera, il Museo Nazionale Siritide di Policoro, il grande Museo Statale di Metaponto, il Museo provinciale, per l’area melfese, nel castello Normanno. Senza la sua generosità e il suo dinamismo, gli studi sulla storia antica della Basilicata non avrebbero potuto realizzarsi. A Dinu Adameşteanu va il più grande riconoscimento dei Lucani, perché grazie alle sue ricerche e ai suoi studi è riuscito a far conoscere la Basilicata che da terra incognita, come l’aveva definita l’archeologo T.J. Dunbadin negli anni quaranta del secolo scorso, è diventata terra cognita. Sono stati scoperti 37 siti nell’area di Matera, Eraclea, Venosa, Grumentum, grazie all’opera encomiabile dell’archeologo romeno. Nel 2003, un anno prima della sua morte, ha ricevuto dal governo romeno l’onorificenza della Stella della Romania, per la promozione dei rapporti tradizionali di amicizia tra Italia e Romania.
ritornare in auge dopo una lunga stagione orfana di capolavori, Walt Disney scelse uno dei personaggi più presenti nelle tradizioni fiabesche di mezzo mondo, offrendone una rinnovata versione destinata a restare la più popolare nell'epoca contemporanea. Gli enormi costi sostenuti con Fantasia, nel 1940, avevano costretto la casa di produzione americana a realizzare lungometraggi a buon mercato ma con incassi importanti. Ciò aveva funzionato inizialmente con Dumbo e Bambi, cui però erano seguiti, in otto anni, altri sei film accolti freddamente da spettatori e critica. A quel punto si andò alla ricerca di un personaggio che facesse rivivere i fasti della cosiddetta "età dell'oro" dei classici Disney, fatta coincidere con il decennio 1930 -40. Proprio in quel periodo nella danza (con l'opera omonima musicata da Prokofiev nel 1948) e nelle arti in generale era tornata di moda la favola di Cenerentola. La storia di questa fanciulla di buona famiglia - che, per la perfidia della matrigna e delle sorellastre, si ritrova sguattera e vittima di soprusi e sberleffi quotidiani, riscattandosi alla fine nello sposare l'amato principe - aveva origini ben più antiche. Alcuni la facevano risalire alla Rodopi della XXVI dinastia dell'Egitto (tra il 1620 ed il 1540 a.C.); altri alla Yeh-Shen raccontata nella Cina del IX secolo a.C. Il nome Cenerentola era apparso per la prima volta nel 1634, nella fiaba "La gatta Cenerentola" del napoletano Giambattista Basile. Presente in centinaia di tradizioni distanti tra loro geograficamente e nel tempo, il soggetto aveva trovato una sua definitiva caratterizzazione con Charles Perrault e successivamente con i fratelli Grimm. A quest'ultima tradizione s'ispirò Walt Disney che affidò la regia del nuovo lungometraggio a un team di tre registi: Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske. L'imperativo fu di realizzare un prodotto di qualità ma conservando la linea spartana nelle risorse da investire. Aspetto che spinse i registi a girare la pellicola dapprima con attori in carne ed ossa, per poi ricalcare su questo la versione animata. Alla prima uscita nella sale statunitensi, il 4 marzo 1950, conquistò immediatamente pubblico e critica. Nei giorni seguenti tutti iniziarono a canticchiare le accattivanti melodie della colonna sonora curata da Mack David, Jerry Livingston e Al Hoffman: dall'allegra Bibbidi Bobbidi Bu alla romanticissima I Sogni son Desideri. Premiato con un Orso d'Oro al Festival di Berlino del 1950, l'anno dopo concorse agli Oscar con tre nomination (colonna sonora, canzone e sonoro) senza però portare a casa alcuna statuetta.
Marco Ranieri di 'Farina 080' Tra i 33 Eroi c’è Marco Ranieri, 38
anni di Bari è da oggi Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: “Per l’appassionato impegno nel recupero e redistribuzione degli alimenti e nella promozione dell’educazione contro lo spreco”. Ranieri è il rappresentante legale dell’associazione Farina 080, fondata con tre amici (Antonio Scotti, Marco Costantino e Antonio Spera) e volta a contribuire a ridurre lo spreco alimentare attraverso una serie di strumenti tra i quali il food sharing ossia lo scambio di cibo tra gli utenti di una comunità registrata sulla piattaforma Avanzi popolo 2.0. Da questa idea di scambio tra privati si è passati al concetto di recuperare e ridistribuire quantità di alimenti provenienti da imprese o eventi che ne hanno in eccedenza. In particolare, su Bari è stata avviata una collaborazione con tre pizzerie: volontari dell’associazione consegnano i prodotti in eccedenza alle suore di madre Teresa di Calcutta per la mensa o alle Caritas parrocchiali. Volontari dell’associazione sono operativi nell’intera provincia. Nel 2017 sono state recuperate le eccedenze di banchetti matrimoniali e convegni, sono entrate nella rete 43 imprese di produzione, 13 distribuzione e ristorazione che hanno donato i prodotti avanzati. Sono stati recuperati quasi 7mila kg di cibo. L’obiettivo del progetto include anche l’educazione contro lo spreco. Sulla loro pagina Facebook Avanzi Popolo ha presentato così la felice notizia: Ieri mattina abbiamo ricevuto una telefonata particolare. Dall'altra parte c'era la Presidenza della Repubblica che ci comunicava che il nostro Marco avrebbe ricevuto direttamente dalle mani del Capo dello Stato l'Onorificenza al Merito della Repubblica Italiana "per l’appassionato impegno nel recupero e redistribuzione degli alimenti e nella promozione dell’educazione contro lo spreco”. Certe telefonate ti allungano la vita come diceva qualcuno, altre te la stravolgono, di altre invece pensi dapprima siano uno scherzo ma poi alla fine ti accorgi che non è così e alla fine stai lì ad ascoltare. Ogni singola parola. In attesa di chiudere e condividere tutto con i tuoi compagni di viaggio. Siamo una comunità, un collettivo, fondato da 4 persone (2 Marco e 2 Antonio) ma molto più numeroso di quel che si pensi. E questo quindi non è un titolo individuale ma un premio collettivo. Del resto come fa una piccola associazione che non ha grandi capitali né mezzi a raccogliere e redistribuire oltre 15.500 kg di cibo dal 2015? Attraverso la comunità, che è mezzo e fine allo stesso tempo. Questo premio abbiamo il dovere di condividerlo con tutti coloro che per un po’, un pezzo, un giorno, o da sempre ci sostengono, come ad esempio don Angelo e la lotta di prossimità che con lui facciamo alle povertà, Giada la nostra prima associata, Nicla in sella a una bici e tutti i nostri fantastici volontari, Giulio, Giuseppe, e Nicola che ci seguono amministrativamente e legalmente, Vito e Annalisa che trasformano l’episodico in un processo organizzato e umano, con Maria Pia che ci porta nelle scuole, con gli amici Pattinatori di Bari e tutti i commercianti e imprenditori che hanno raccolto la sfida della lotta allo spreco alimentare, con gli amici delle comunità Iononsprecoperche e di Storie di Economia Circolare, con Gu che c'era prima e ci sarà sempre. Condividiamo con tutti e tutte loro e tantissimi altri un modello di società che non sia fondata sul concetto di vittoria e sconfitta e quindi di vincitori e vinti. Costruiamo con loro un modello di welfare che sia generativo e redistribuito, contribuire meno ma contribuire tutti. Questo premio ci ricorda ancora una volta una frase di Margaret Mead cui siamo molto affezionati: “Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta.”
Il matrimonio ● E’ vero che l’amore è molto di più di un consenso esterno o di una forma di contratto matrimoniale, ma è altrettanto certo che la decisione di dare al matrimonio una configurazione visibile nella società con determinati impegni, manifesta la sua rilevanza: mostra la serietà dell’identificazione con l’altro, indica un superamento dell’individualismo adolescenziale, ed esprime la ferma decisione di appartenersi l’un l’altro. ● Sposarsi è un modo di esprimere che realmente si è abbandonato il nido materno per tessere altri legami forti e assumere una nuova responsabilità di fronte ad un’altra persona. Questo vale molto di più di una mera associazione spontanea per la mutua gratificazione, che sarebbe una privatizzazione del matrimonio. ● Il matrimonio come istituzione sociale è protezione e strumento per l’impegno reciproco, per la maturazione dell’amore, perché la decisione per l’altro cresca in solidità, concretezza e profondità, e al tempo stesso perché possa compiere la sua missione nella società. Perciò il matrimonio va oltre ogni moda passeggera e persiste. La sua essenza è radicata nella natura stessa della persona umana e del suo carattere sociale. ● L’amore matrimoniale non si custodisce prima di tutto parlando dell’indissolubilità come di un obbligo, o ripetendo una dottrina, ma fortificandolo grazie ad una crescita costante sotto l’impulso della grazia. L’amore che non cresce inizia a correre rischi, e possiamo crescere soltanto corrispondendo alla grazia divina mediante più atti di amore, con atti di affetto più frequenti, più intensi, più generosi, più teneri, più allegri. ● Il dialogo è una modalità privilegiata e indispensabile per vivere, esprimere e maturare l’amore nella vita coniugale e familiare. Ma richiede un lungo e impegnativo tirocinio. ● L’unità alla quale occorre aspirare non è uniformità, ma una “unità nella diversità” o una “diversità riconciliata”. In questo stile arricchente di comunione fraterna, i diversi si incontrano, si rispettano e si apprezzano, mantenendo tuttavia differenti sfumature e accenti che arricchiscono il bene comune. ● È importante la capacità di esprimere ciò che si sente senza ferire; utilizzare un linguaggio e un modo di parlare che possano essere più facilmente accettati o tollerati dall’altro, benché il contenuto sia esigente; esporre le proprie critiche senza però scaricare l’ira come forma di vendetta, ed evitare un linguaggio moralizzante che cerchi soltanto di aggredire, ironizzare, incolpare, ferire. Molte discussioni nella coppia non sono per questioni molto gravi. A volte si tratta di cose piccole, poco rilevanti, ma quello che altera gli animi è il modo di pronunciarle o l’atteggiamento che si assume nel dialogo. ● Affinché il dialogo sia proficuo bisogna avere qualcosa da dire, e ciò richiede una ricchezza interiore che si alimenta nella lettura, nella riflessione personale, nella preghiera e nell’apertura alla società. Diversamente, le conversazioni diventano noiose e inconsistenti. Quando ognuno dei coniugi non cura il proprio spirito e non esiste una varietà di relazioni con altre persone, la vita familiare diventa endogamica e il dialogo si impoverisce. ● L’amore matrimoniale porta a fare in modo che tutta la vita emotiva diventi un bene per la famiglia e sia al servizio della vita in comune.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene. Il buon tesoro del cuore: una definizione così bella, così piena di speranza, di ciò che siamo nel nostro intimo mistero. Abbiamo tutti un tesoro buono custodito in vasi d’argilla, oro fino da distribuire. Anzi il primo tesoro è il nostro cuore stesso: «un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). nostra vita è viva se abbiamo coltivato tesori di speranza, la passione per il bene possibile, per il sorriso possibile, la buona politica possibile, una “casa comune” dove sia possibile vivere meglio per tutti. La nostra vita è viva quando ha cuore. Gesù porta a compimento la religione antica su due direttrici: la linea della persona, che viene prima della legge, e poi la linea del cuore, delle motivazioni profonde, delle radici buone. Accade come per gli alberi: l’albero buono non produce frutti guasti. Gesù ci porta alla scuola della sapienza degli alberi. La prima legge di un albero è la fecondità, il frutto. Ed è la stessa regola di fondo che ispira la morale evangelica: un’etica del frutto buono, della fecondità creativa, del gesto che fa bene davvero, della parola che consola davvero e guarisce, del sorriso autentico. Nel giudizio finale (Matteo 25), non tribunale ma rivelazione della verità ultima del vivere, il dramma non saranno le nostre mani forse sporche, ma le mani desolatamente vuote, senza frutti buoni offerti alla fame d’altri. Invece gli alberi, la natura intera, mostrano come non si viva in funzione di se stessi ma al servizio delle creature: infatti ad ogni autunno ci incanta lo spettacolo dei rami gonfi di frutti, un eccesso, uno scialo, uno spreco di semi, che sono per gli uccelli del cielo, per gli animali della terra, per gli insetti come per i figli dell’uomo. Le leggi profonde che reggono la realtà sono le stesse che reggono la vita spirituale. Il cuore del cosmo non dice sopravvivenza, la legge profonda della vita è dare. Cioè crescere e fiorire, creare e donare. Come alberi buoni. Ma abbiamo anche una radice di male in noi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello? Perché ti perdi a cercare fuscelli, a guardare l’ombra anziché la luce di quell’occhio? Non è così lo sguardo di Dio. L’occhio del Creatore vide che l’uomo era cosa molto buona! Dio vede l’uomo molto buono perché ha un cuore di luce. L’occhio cattivo emana oscurità, diffonde amore per l’ombra. L’occhio buono è come lucerna, diffonde luce. Non cerca travi o pagliuzze o occhi feriti, i nostri cattivi tesori, ma si posa su di un Eden di cui nessuno è privo: «con ogni cura veglia sul tuo cuore perché è la sorgente della vita» (Proverbi 4,23).
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nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen.
SALUTO
+Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo. A. Amen. C. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. A. E con il tuo spirito. INTRODUZIONE DEL CELEBRANTE ATTO PENITENZIALE C. Gesù, con parabole, descrive come il vero cristiano è fatto dentro e partendo dall’immagine dell’albero, che se è buono produce frutti buoni, ci invita alla coerenza. Intanto domandiamo perdono del male compiuto. Breve pausa di riflessione personale Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro. C. Dio Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. A. Amen. Signore, pietà. Signore, pietà. Cristo, pietà. Cristo, pietà. Signore, pietà. Signore, pietà.
GLORIA
Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del Cielo, Dio Padre Onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la
la Scrittura: "La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?" Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro COLLETTA Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei C. La parola che risuona nella tua Chiesa, o Padre, come fonte di carissimi, rimanete saldi e irremosaggezza e norma di vita, ci aiuti a vibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo comprendere e ad amare i nostri che la vostra fatica non è vana nel fratelli, perché non diventiamo Signore. Parola di Dio. giudici presuntuosi e cattivi, ma operatori instancabili di bontà e di A. Rendiamo grazie a Dio (in piedi) pace. Per il nostro Signore Gesù Canto al Vangelo Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spi- ALLELUIA. ALLELUIA Risplenderito Santo, per tutti i secoli dei se- te come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. ALLELUIA coli A. Amen C. Il Signore sia con voi (seduti) LITURGIA DELLA PAROLA A. E con il tuo spirito. C. Dal Vangelo secondo LUCA Prima Lettura A. Gloria a te o Signore Dal libro del Siracide VA N G E L O Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti. I vasi quel tempo, Gesù disse ai del ceramista li mette alla prova la suoi discepoli una parabola: fornace, così il modo di ragionare “Può forse un cieco guidare un alè il banco di prova per un uomo. Il tro cieco? Non cadranno tutti e due frutto dimostra come è coltivato in un fosso? Un discepolo non è più l'albero, così la parola rivela i pen- del maestro; ma sieri del cuore. Non lodare nessu- ognuno, che sia no prima che abbia parlato, poiché ben preparato, questa è la prova degli uomini. sarà come il suo Parola di Dio. maestro. Perché A. Rendiamo grazie a Dio. guardi la pagliuzza che è SALMO RESPONSORIALE nell'occhio del R. È bello rendere grazie al Situo fratello e gnore. È bello rendere grazie al Si- non ti accorgi gnore e cantare al tuo nome, o Al- della trave che è tissimo, annunciare al mattino il tuo nel tuo occhio? amore, la tua fedeltà lungo la notte. Come puoi dire al tuo fratello: fratello, lascia che tolga la pagliuzza R./. Il giusto fiorirà come palma, che è nel tuo occhio, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fio- tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci veriranno negli atri del nostro Dio. drai bene per togliere la pagliuzza R./. Nella vecchiaia daranno an- dall'occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutcora frutti, saranno verdi e rigogliosi, per annunciare quanto è ret- to cattivo, né vi è d'altronde albero to il Signore, mia roccia: in lui non cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce c'è malvagità. R/. dal suo frutto: non si raccolgono Seconda Lettura fichi dagli spini, né si vendemmia Dalla prima lettera di san Paolo uva da un rovo. L'uomo buono dal apostolo ai Corinzi Fratelli, quando questo corpo cor- buon tesoro del suo cuore trae fuoruttibile si sarà vestito d'incorrutti- ri il bene; l'uomo cattivo dal suo bilità e questo corpo mortale d'im- cattivo tesoro trae fuori il male: la mortalità, si compirà la parola del- sua bocca infatti esprime ciò che
dal cuore sovrabbonda". Parola del Signore. A. Lode a te, o Cristo. OMELIA ( Seduti) CREDO in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
PREGHIERA DEI FEDELI
C. Ci affidiamo al Signore Gesù, Maestro, guida e sostegno della nostra vita. A Lui presentiamo la nostra preghiera. Preghiamo insieme e diciamo: GESU’, SIGNORE E MAESTRO, ASCOLTACI 1. Signore Gesù, donaci la grazia di ascoltare e seguire la tua parola che trasforma il cuore e la mente, per diventare tuoi discepoli e testimoni davanti agli uomini, Noi ti preghiamo. 2. Signore Gesù, secondo l’intenzione del Papa, sostieni le comunità cristiane, in particolare quelle perseguitate, perché non si sentano abbandonate e i loro diritti siano riconosciuti, Noi ti preghiamo. 3. Signore Gesù, nei drammi della violenza e della mancanza di amore, donaci saggi maestri di vita, che aiutino a distinguere il bene dal male, indicando la via che conduce a te, Noi ti preghiamo. 4. Signore Gesù, rialza chi è caduto, per debolezza o malizia; converti il nostro cuore e rendici solidali nel tuo nome. Donaci il coraggio di vivere e di amare,
Noi ti preghiamo. C. Signore, accogli la preghiera che ti presentiamo in questa Eucaristia, con la fiducia dei figli. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. C. Amen
secoli. A. Amen C. Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire:
PADRE NOSTRO
Padre nostro che sei nei cieli, sia LITURGIA EUCARISTICA santificato il tuo nome, venga il C. Pregate, fratelli e sorelle, tuo regno, sia fatta la tua volontà perché portando all’altare la gioia come in cielo così in terra. Dacci e la fatica di ogni giorno, ci dispo- oggi il nostro pane quotidiano e niamo a offrire il sacrificio gradito rimetti a noi i nostri debiti come a Dio Padre onnipotente. noi li rimettiamo ai nostri debiA. Il Signore riceva dalle tue tori e non ci indurre in tentaziomani questo sacrificio a lode e ne ma liberaci dal male. gloria del suo nome, per il bene C. Liberaci, o Signore, da tutti i nostro e di tutta la sua santa mali, concedi la pace ai nostri giorChiesa. (in piedi) ni, e con l'aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal pecSULLE OFFERTE C. O Dio, da te provengono questi cato e sicuri da ogni turbamento, doni e tu li accetti in segno del no- nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatostro servizio sacerdotale: fa' che l'offerta che ascrivi a nostro merito re Gesù Cristo. A. Tuo è il regno, tua la potenci ottenga il premio della gioia eterna. Per Cristo nostro Signore. za e la gloria nei secoli R ITO DELLA PACE A. Amen. PREGHIERA EUCARISTICA C. Signore Gesu’ che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi C. Il Signore sia con voi. do la mia pace” non guardare ai A. E con il tuo spirito. nostri peccati ma alla fede della C. In alto i nostri cuori. tua Chiesa, e donale unità e pace A. Sono rivolti al Signore. secondo la tua volontà. Tu che vivi C. Rendiamo grazie al Signore e regni nei secoli dei secoli. nostro Dio A. Amen .A. E’ cosa buona e giusta C. La pace del Signore sia sempre C. 1 È veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a con voi. A. E con il tuo spirito. te l'inno di benedizione e di lode C. Come figli del Dio della paDio onnipotente ed eterno, Per ce, scambiatevi un gesto di coCristo Signore nostro. Mirabile è l'opera da lui compiuta nel mistero munione fraterna. A. Agnello di Dio, che togli i pecpasquale: egli ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della cati del mondo, abbi pietà di noi.(2 VOLTE) morte alla gloria di proclamarci Agnello di Dio, che togli i pecstirpe eletta, regale sacerdozio, cati del mondo, dona a noi la pace. gente santa, popolo di sua conqui- C. Beati gli invitati alla cena del sta, per annunziare al mondo la tua Signore Ecco l’Agnello di Dio che potenza, o Padre, che dalle tenetoglie i peccati del mondo. bre ci hai chiamati allo splendore A. O Signore, non sono degno della tua luce. Per questo mistero di partecipare alla tua mensa: ma di salvezza, uniti ai cori degli ange- di’ soltanto una parola e io sarò li, proclamiamo esultanti la tua lo- salvato. de: Santo, Santo, Santo il SignoDOPO LA COMUNIONE re Dio dell'universo. I cieli e la C. Preghiamo terra sono pieni della tua gloria. Padre misericordioso, il pane euOsanna nell'alto dei cieli. Benecaristico che ci fa tuoi commensali detto colui che viene nel nome in questo mondo, ci ottenga la perdel Signore. Osanna nell'alto dei fetta comunione con te nella vita cieli. (In ginocchio) eterna. Per Cristo nostro Signore. C. Mistero della fede A. Amen A. Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua ri- C. Il Signore sia con voi. A. E con il tuo spirito. surrezione nell’attesa della tua C. Vi benedica Dio onnipotente venuta. Padre e Figlio e Spirito Santo DOPOLA PREGHIERA EUCARISTICA A. Amen. C. Per Cristo, con Cristo e in CriC. Nel nome del Signore: andate sto, a te Dio, Padre onnipotente, in pace. nell’unità dello Spirito Santo, ogni A. Rendiamo grazie a Dio onore e gloria, per tutti i secoli dei