Così, voglio ringraziare mio padre per l’immenso rispetto ed amore di cui ha sempre circondato mia madre; voglio ringraziarlo perché non ho mai sentito dalla sua bocca o mai osservato nei suoi gesti atteggiamenti di superiorità, di aggressività, di “machismo”. Da lui ho imparato che gli uomini non sono “nemici” o “rivali” da spodestare: sono i nostri migliori alleati, quando hanno la sensibilità di provare a caUn grandissimo grazie a mia mamma e uno altrettanto grande a mio papà. Da lui ho imparato che gli uomini non pirci, e, quando non ci riescono (ammettiamolo… non sempre è facile capire le donne!) di provare a rispetsono “rivali” da spodestare, ma i nostri migliori alleati. tarci ed amarci ugualmente. , l’8 marzo è un’occaQuesto modello forte e gentile di virilità è passato sione speciale e bella per dire tanti grazie, anche a mio fratello, cui devo un altro grande grazie: che negli altri 364 giorni dell’anno possono essere anche lui, lo so, più di una volta sarà stato un po’ perplesso di fronte a certe manifestazioni di emotività o dati per scontati e passare inosservati. Innanzi tutto, un grandissimo grazie a mia mam- di fronte al talento unico che noi donne abbiamo nel complicare la vita a noi stesse ed al prossimo; cionoma: donna forte e dolce, tenera e generosa, coragnostante, anche lui ha sempre rispettato e circondato giosa e sensibile, infinitamente buona e capace di amare. Da lei ho imparato tantissimo: ho ricevuto da di affetto le donne della sua vita – la mamma prima, poi la sua fidanzata e sposa, me, le amiche e collelei la fede, mi ha insegnato la gioia di vivere, mi ha donato la curiosità di imparare, lo spirito critico e la ghe… – con un garbo squisito e una grande tenerezvoglia di pensare con la mia testa; mi ha insegnato la za. bellezza di essere donna, l’onore e la responsabilità Grazie a tutte le donne che mi hanno insegnato, a che questo implica, la fierezza di non sentirsi inferio- loro volta, la bellezza della femminilità e la forza re agli uomini ma anche il profondo rispetto e l’aldell’alleanza e della solidarietà fra donne. Quando leanza costruttiva e positiva con l’alè vera, l’amicizia fra donne è tra metà del cielo. uno dei rapporti più belli che ci sia, perché quando la noOra che sono adulta, fra noi c’è una stra speciale sensibilità sercomplicità unica; lei incarna, per me, ve a venire incontro all’altro la quintessenza della femminilità, che – anziché, come purtroppo sa amare le cose belle e divertirsi nel talora siamo brave a fare, fare shopping o nel vestirsi bene, che per trovare il modo migliore sa accogliere con cuore grande e per ferire… – diventa fonte spalancato tutti coloro che cercano di una splendida affetto e tenerezza, che sa utilizzare “sorellanza”. appieno le risorse di intelligenza “del cervello” e “del cuore”, senza metteGrazie, per concludere, a re l’una davanti all’altra in facili stetutti gli uomini e le donne reotipi, che sa ridere di se stessa sdrammatizzando di buona volontà, che intuiscono, sostengono e ma sa commuoversi davanti alle cose grandi. incoraggiano la bellezza unica dell’essere donUn grazie altrettanto grande lo voglio rivolgere a na. Grazie a chi ha compreso che lottare per i diritti delle donne non vuol dire disprezzare gli uomini, né mio padre. Perché, come mi ha insegnato l’amore dei miei genitori, il modo migliore per servire davve- – tantomeno – scimmiottarli; vuol dire, invece, comro la causa delle donne – ossia aiutarle ad essere pie- prendere la straordinaria unicità della femminilità, namente se stesse, realizzando le proprie potenzialità che unisce la capacità di realizzazione accademica, – non è contrapporre i loro diritti a quelli degli uomi- professionale e intellettuale ad un mistero profondo ni, né, tantomeno, denigrare l’uomo quasi vendican- che si fa amore, capacità di accogliere la vita, sensidosi di passate umiliazioni. La società che funziona è bilità per la cura dell’altro e per una generosa disponibilità. Grazie a tutti coloro che sanno dire grazie quella in cui uomini e donne sono, rispettivamente, alle donne della loro vita; grazie a chi oggi non darà pienamente uomini e pienamente donne; non nella sterile adesione a stereotipi grotteschi, ma sapendo per scontata la tenerezza e la bontà che tante donne che l’essere uomo o donna impregna la nostra visio- hanno donato, e saprà insegnare ai propri figli ed alne del mondo, è connaturato alla nostra stessa essen- le proprie figlie a fare altrettanto. Buon 8 marzo! za, ci dona uno sguardo particolare sulla realtà ed è un dono preziosissimo della nostra vita.
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ella prima omelia dell'anno 2020, in occasione della solennità di Maria santissima madre di Dio, il Pontefice parla del ruolo della Madonna nella chiesa e aggiunge: “Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio” La solennità è quella di Maria santissima madre di Dio. E nell'omelia, durante la celebrazione della messa in San Pietro, Papa Francesco si è soffermato a lungo sulla figura della Madonna e, in generale, sul ruolo della donna. “In Dio - ha spiegato - ci sarà per sempre la nostra umanità e per sempre Maria sarà la madre di Dio. È donna e madre, questo è l’essenziale. Da lei, donna, è sorta la salvezza e dunque non c’è salvezza senza la donna. Lì Dio si è unito a noi e, se vogliamo unirci a Lui, si passa per la stessa strada: per Maria, donna e madre. Perciò iniziamo l’anno nel segno della Madonna, donna che ha tessuto l’umanità di Dio. Se vogliamo tessere di umanità le trame dei nostri giorni, dobbiamo ripartire dalla donna”. “Nato da donna - ha proseguito -. La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna. Le donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità. Quante volte il corpo della donna viene sacrificato sugli altari profani della pubbli-
cità, del guadagno, della pornografia, sfruttato come superficie da usare. Va liberato dal consumismo, va rispettato e onorato; è la carne più nobile del mondo, ha concepito e dato alla luce l’Amore che ci ha salvati! Oggi pure la maternità viene umiliata, perché l’unica crescita che interessa è quella economica. Ci sono madri, che rischiano viaggi impervi per cercare disperatamente di dare al frutto del grembo un futuro migliore e vengono giudicate numeri in esubero da persone che hanno la pancia piena, ma di cose, e il cuore vuoto di amore”. “È proprio della donna prendere a cuore la vita - ha aggiunto -. La donna mostra che il senso del vivere non è continuare a produrre cose, ma prendere a cuore le cose che ci sono. Solo chi guarda col cuore vede bene, perché sa 'vedere dentro': la persona al di là dei suoi sbagli, il fratello oltre le sue fragilità, la speranza nelle difficoltà; vede Dio in tutto. Mentre cominciamo il nuovo anno chiediamoci: 'So guardare col cuore? So guardare col cuore le persone? Mi sta a cuore la gente con cui vivo, o le distruggo con le chiacchiere? E soprattutto, ho al centro del cuore il Signore? O altri valori, altri interessi, la mia promozione, le ricchezze, il potere?'. Solo se la vita ci sta a cuore sapremo prendercene cura e superare l’indifferenza che ci avvolge. Chiediamo questa grazia: di vivere l’anno col desiderio di prendere a cuore gli altri, di prenderci cura degli altri. E se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra, ci stia a cuore la dignità di ogni donna. Dalla donna è nato il Principe della pace. La donna è donatrice e mediatrice di pace e va pienamente associata ai processi decisionali. Perché quando le donne possono trasmettere i loro doni, il mondo si ritrova più unito e più in pace. Perciò, una conquista per la donna è una conquista per l’umanità intera”. Quindi, per concludere, un passaggio sulla Chiesa che “avvicinandosi a Maria si ritrova, ritrova il suo centro, ritrova la sua unità. Il nemico della natura umana, il diavolo, cerca invece di dividerla, mettendo in primo piano le differenze, le ideologie, i pensieri di parte e i partiti. Ma non capiamo la Chiesa se la guardiamo a partire dalle strutture, a partire dai programmi e dalle tendenze, dalle ideologie, dalle funzionalità: coglieremo qualcosa, ma non il cuore della Chiesa. Perché la Chiesa ha un cuore di madre”.
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Molti ci stanno spiegando che questi anziani erano già stanchi e malati, pieni di acciacchi magari pure gravi, e quindi tutto sommato non contano. Non sono “vere” vittime del virus. Mi fa orrore veder circolare l’idea che il morto vecchio sia un po’ meno importante degli altri. Come se fosse stato un vivo per sbaglio. (di Fulvio Scaglione)
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Il 13 aprile 1920, Don Orione celebrava il suo giubileo sacerdotale. Un sacerdote, suo compagno di seminario e amico d’anima, gli scrisse parole buone di augurio. Don Orione gli rispose il 1° giugno 1920, raccontandogli come celebrò le "nozze d'argento sacerdotali".
teroclismi, non aveva avuto più beneficio di corpo, quando, verso mezzodì, ebbe come un rilassamento di corpo, e non si fece a tempo, perché anche lui non avvertì a tempo o non se ne è neanche accorto, poveretto! E allora il chierico Don Camillo Secco – ora è suddiacono – che fa da infermiere, e che è forte assai, alzò il caro malato diritto sul letto, e abbiamo cambiato tutto, e il letto e il malato, e così mentre gli altri pranzavano, con dell'acqua tiepida io lo lavavo e pulivo, facendo, col nostro caro Viano, quegli uffici umili sì, ma santi, che una madre fa con i suoi bambini.
“Caro Don Casa. Ho ricevuto la tua gradita lettera del 15 aprile e ti ringrazio nel Signore. Tutto quello che serve ad unire e a confortare nella carità, fa sempre bene e fa sempre piacere; non dobbiamo guardare a noi ‘servi inutili’ ma alla gloria di Dio Ho guardato in quel momento il chierico Camillo, e al bene delle anime nostre e altrui. ed ho visto che piangeva. Ci eravamo chiusi in inQui di feste non se ne sono fatte; non ho fermeria, perché nessuno entrasse, e fuori picchiapermesso che se ne facessero per il mio vano con insistenza che andassi giù a pranzo; ma XXV di Sacerdozio. Quel giorno io dovevo io pensavo che meglio assai era compiere, con passarlo a Bra, nel silenzio e in Domino; amore a Dio e umiltà, quell'opera santa, e verama, la vigilia, mi accorsi che il caro chieri- mente di Dio; e dicevo tra me: Oh, molto meglio co Viano andava peggiorando, e allora mi questo che tutte le prediche che ho fatto! Ora vedo che veramente Gesù mi ama, se mi dà modo di fermai a Tortona. La notte, la passai presso purificare la mia vita e di il letto di Viano e la mattina santificare così questo XXV dissi la Messa ai piedi della anniversario del mio sacerMadonna della Divina Provvidozio. E sentivo che mai denza, e i ragazzi e tutti feceavevo più sublimemente né ro la comunione. santamente servito a Dio nel mio prossimo, come in Venuta l'ora del pranzo, ti quel momento, ben più dirò come l'ho passata. Viagrande che tutte le opere no andava peggiorando, ma fatte nei 25 anni di ministeera sempre presente a se ro sacerdotale. E Deo grastesso; da più giorni quel potias! E Deo gratias!” [10]. vero figlio, malgrado gli en-
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Dante condannato all'esilio da Firenze: «Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia». Recita così il testo della sentenza emessa dal tribunale cittadino che segnò per sempre la vita del Sommo Poeta e insieme la storia della letteratura italiana. Verso la fine del XIII secolo, dopo un breve periodo di pace, Firenze era ripiombata nel clima di feroce contrapposizione tra Guelfi, che sostenevano la supremazia del Papa, e Ghibellini, fautori del primato politico dell'imperatore. Questo scenario aveva favorito l'ascesa del ceto mercantile a discapito dell'aristocrazia, attraverso la creazione nel 1282 di un consiglio di rappresentanti delle Arti (corporazioni che facevano gli interessi di una specifica categoria professionale) che affiancava il Podestà nel governo del Comune, in sostituzione del Capitano del Popolo. Guelfo convinto e iscritto all'Arte dei Medici e Speziali, Dante aveva già al suo attivo diversi incarichi politici ed era uno dei protagonisti della scena istituzionale della sua città. L'autonomia della stessa per lui era un valore sacro da difendere contro qualsiasi ingerenza, sia da parte di sovrani stranieri, sia da parte del Papa. Per tali ragioni accolse come un evento infausto l'ascesa al "soglio di Pietro", nel 1294, del cardinale Benedetto Caetani, favorita dalla rinuncia di papa Celestino V (più che plausibile il riferimento a lui nel verso «colui che fece per viltade il gran rifiuto» del III canto dell'Inferno). Il nuovo pontefice, che aveva preso il nome di Bonifacio VIII, trovò nel letterato fiorentino un fiero oppositore alla sua politica espansionistica, che a Firenze finì per dividere il partito guelfo in due fazioni: i Bianchi, capeggiati dalla famiglia dei Cerchi ed espressione dell'aristocrazia più aperta alle forze popolari, erano contrari a qualsiasi ingerenza da Roma; i Neri, guidati dai Donateschi e rappresentati dalle famiglie locali più ricche, erano per interessi economici strettamente legati al Papa. Schierato con i Bianchi, Dante si venne a trovare sempre più isolato dai suoi, oltre che odiato a morte dai suoi avversari, per via della sua partecipazione al Consiglio dei Cento che aveva deciso la messa al bando dalla città degli esponenti più violenti delle due fazioni. A questo punto la strategia di Bonifacio VIII lo attirò in una trappola "letale". Dopo aver mandato Carlo di Valois, fratello di Filippo IV re di Francia, a prendere il controllo del Comune, fece in modo che il Poeta fosse inviato come ambasciatore a Roma per discutere la pace e qui trattenuto oltre il dovuto con l'inganno. In questo frattempo, Carlo di Valois approfittò dei disordini cittadini per rovesciare il governo "bianco" di Firenze, nominando Podestà il fedele condottiero Cante Gabrielli. Il nuovo Podestà, alleato con i Neri, iniziò un'azione persecutoria nei confronti dello scrittore che, oltre a vedersi saccheggiata la casa, finì sul banco degli imputati con accuse infamanti, tra cui l'estorsione e la baratteria. Quest'ultimo reato (affrontato nei canti XXI e XXII dell'Inferno), assimilabile al moderno peculato, era utilizzato spesso come pretesto per far fuori i propri avversari. Fu organizzato un processo farsa al quale Dante preferì sottrarsi, presagendo il destino cui sarebbe andato incontro. Si arrivò così alla sentenza del 10 marzo 1302 che condannava in contumacia l'imputato a due anni di confino, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, alla confisca dei beni e al pagamento dell’ammenda di 5000 fiorini piccoli. Al suo reiterato rifiuto di presentarsi davanti al giudice, la pena, estesa nel 1315 ai figli Jacopo e Pietro, fu commutata nella confisca dei beni e nell'esilio perpetuo, con l'alternativa della condanna al rogo se fosse stato catturato. Ciò per Dante significò dire addio per sempre alla sua amata terra e l'inizio di una lunga fase di sofferenza interiore e di ripensamento della sua poetica, che costituì l'humus ideologico e stilistico del suo capolavoro immortale: la Divina Commedia. La storica sentenza della condanna all'esilio è raccolta nel Libro del Chiodo, attualmente conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze.
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peggiore catastrofe del Novecento? «Se si chiede all’uomo della strada quale sia stata, indicherà la prima o la seconda guerra mondiale. E invece no, l’influenza spagnola fece molti più morti». A parlare è Laura Spinney (nata nel Regno Unito, ma vive a Parigi), autrice del libro 1918, l’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo, pubblicato in Italia da Marsilio (da questo mese anche come tascabile, pp. 348, 11). Il grosso di quella tragedia si consumò in appena un anno, a partire dalla primavera del 1918, con un totale di morti stimato tra i cinquanta e i cento milioni, mentre quelli della Grande guerra, che allora si stava concludendo, furono in tutto diciassette milioni. Il ricordo della Spagnola scatena paure ataviche in questi tempi di Coronavirus. Perché aveva quel nome, ebbe origine in Spagna?
«No, assolutamente. In quel momento i principali Paesi combattevano la guerra e non volevano che l’annuncio di un’epidemia avesse riflessi negativi sul morale delle truppe. A lungo non si disse nulla. La Spagna, invece, era neutrale e già nella primavera del 1918 i giornali cominciarono a scriverne. Poi il re Alfonso XIII si ammalò e questo dette una certa visibilità alla malattia». Ma allora dove s’iniziò la contaminazione? «Sono trascorsi cent’anni e non si è individuato il paziente zero. Alcuni ricercatori vi lavorano ancora oggi. Ci sono tre ipotesi principali: in una base militare del Kansas, in un’altra britannica nel Nord della Francia (a Etaples). Oppure la Spagnola sarebbe arrivata dalla Cina, ma c’è il sospetto che quest ipotesi, affiorata già ai tempi, sia giustificata da una buona dose di razzismo». Colpì proprio tutto il mondo? «Si ammalò un terzo della popolazione del pianeta, come dire 500 milioni di persone. Furono pochissimi i territori che non furono interessati dalla contaminazione. Avveniva soprattutto attraverso le navi, quelle che trasportavano le truppe della Prima guerra mondiale e ancora di più quelle postali». Quali aree furono risparmiate? «Alcuni luoghi sperduti come l’isola di Sant’Elena, una nel delta del Rio delle Amazzoni e l’Antartide. E soprattutto l’Australia». Come fece un Paese così grande a difendersi? «Si resero conto che l’influenza si propagava verso di loro dall’emisfero Nord e applicarono una quarantena marittima rigorosa. Così evitarono la seconda ondata della Spagnola, la più terribile, a partire dall’agosto 1918 fino a novembre. Ma tolsero la quarantena troppo presto e così l’epidemia arrivò in Australia con la terza ondata, nei primi mesi del 1919. E provocò 12 mila morti». È incredibile come la Spagnola, sconvolgente, sia stata dimenticata…
«È vero, ad esempio rispetto ai grandi conflitti. Ma una guerra è più facile da raccontare: ci sono i cattivi e i suoi eroi. Anche se, pure nel caso dell’influenza spagnola, gli eroi ci furono, i medici che s’impegnarono a combatterla». Cosa dice il ricordo della Spagnola ai nostri tempi, quelli del Coronavirus? «L’Oms non ha ancora dichiarato la pandemia, anche se resta possibile. In ogni caso il virus della Spagnola è di una famiglia diversa rispetto a quello del Covid-19, che invece fa parte dello stesso gruppo di quello della Sars. Diciamo che un virus può sempre avere un’evoluzione e mutare: cambiare e adattarsi. L’esempio della Spagnola è interessante. La prima ondata non fu così forte, simile a un’influenza stagionale particolarmente virulenta. Ma poi il virus mutò e la seconda ondata fu molto peggiore, terribile. Nel caso di un virus, bisogna sempre stare attenti all’evoluzione». Oggi, rispetto alla Spagnola, l’informazione circola e questo è un bel vantaggio… «Sì, sicuramente, grazie soprattutto a Internet. Il fatto che per l’influenza spagnola, almeno agli inizi, certi governi fecero finta di nulla e non presero le misure necessarie fu un errore madornale. Oggi, però, oltre all’informazione vera circolano anche le fake news. E la prima spesso è a pagamento, le seconde gratuite.
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E se durante questa Quaresima recitaste una preghiera ortodossa? Scritta da sant’Efrem il Siriano, monaco, teologo e dottore della Chiesa del IV secolo, riassume l’essenziale dello spirito di Quaresima. Siete alla ricerca di una bella preghiera da recitare durante la Quaresima? La preghiera di sant’Efrem il Siriano potrebbe interessarvi: composta nel IV secolo, viene recitata due volte al giorno durante la Quaresima, dal lunedì al venerdì. In essa si riassume l’essenziale dello spirito di Quaresima e quello a cui ogni cristiano deve tendere. Si recita una prima volta facendo il segno della croce insieme ad una “metanía” (prostrazione) dopo ogni richiesta. Poi ci si inchina dodici volte, facendo il segno della croce e dicendo: “O Dio, purifica me peccatore!” Alla fine si ripete tutta la preghiera con un’ultima prostrazione. Signore e Maestro della mia vita, allontana da me lo spirito di pigrizia, di sconforto, di dominio e di vanità. (Prostrarsi) Ma dona al Tuo servo uno spirito di integrità, umiltà, pazienza e amore. (Prostrarsi) Sì, Signore Re, fai che possa vedere i miei peccati e non giudicare mio fratello, perché Tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amen. (Prostrarsi) O Dio, purifica me peccatore (12 volte, con altrettanti inchini). Poi si ricomincia tutta la preghiera, facendo alla fine il segno della croce e una grande prostrazione. Questa preghiera elenca tutte le qualità negative (ozio, scoraggiamento, dominio, parole vane) di cui pentirsi e le positive di cui munirsi (umiltà, pazienza e carità). Il teologo ortodosso Alexander Schemann, nel suo libro La Grande Quaresima, spiega “È una sorta di promemoria del nostro sforzo personale in Quaresima, che mira innanzitutto a liberarci da alcune profonde malattie spirituali che permeano la nostra vita e ci rendono praticamente impossibile anche solo cominciare a rivolgerci a Dio”. In quanto alle metanìe, esse permettono al corpo di partecipare alla preghiera, restituendogli la sua vera funzione di “Tempio dello Spirito”. Dice padre Alexander Schemann “L’uomo intero, nella sua caduta, si è allontanato da Dio, l’uomo intero dovrà essere rigenerato; è l’uomo tutto intero che deve tornare a Dio. (…) Per questo motivo,tutto l’uomo, corpo e anima, si pente. Il corpo partecipa alla preghiera dell’anima, così come l’anima prega per mezzo del corpo. Le prostrazioni, segno di pentimento e di umiltà, di adorazione e di obbedienza, sono dunque il rito quaresimale per eccellenza”.
Quaresima ci sorprende: la subiamo come un tempo penitenziale, mortificante, e invece ci spiazza con questo vangelo vivificante, pieno di sole e di luce. Dal deserto di pietre (prima domenica) al monte della luce (seconda domenica); da polvere e cenere, ai volti vestiti di sole. Per dire a tutti noi: coraggio, il deserto non vincerà, ce la faremo, troveremo il bandolo della matassa. Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte. I monti sono come indici puntati verso il mistero e le profondità del cosmo, raccontano che la vita è ascensione, con dentro una fame di verticalità, come se fosse incalzata o aspirata da una forza di gravità celeste: e là si trasfigurò davanti a loro, il suo volto brillò come il sole e le vesti come la luce. Tutto si illumina: le vesti di Gesù, le mani, il volto sono la trascrizione del cuore di Dio. I tre guardano, si emozionano, sono storditi: davanti a loro si è aperta la rivelazione stupenda di un Dio luminoso, bello, solare. Un Dio da godere, finalmente, un Dio da stupirsene. E che in ogni figlio ha seminato la sua grande bellezza. Che bello qui, non andiamo via… lo stupore di Pietro nasce dalla sorpresa di chi ha potuto sbirciare per un attimo dentro il Regno e non lo dimenticherà più. Vorrei per me la fede di ripetere queste parole: è bello stare qui, su questa terra, su questo pianeta minuscolo e bellissimo; è bello starci in questo nostro tempo, che è unico e pieno di potenzialità. È bello essere creature: non è la tristezza, non è la delusione la nostra verità. San Paolo nella seconda lettura consegna a Timoteo una frase straordinaria: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. È venuto nella vita, la mia e del mondo, e non se n’è più andato. È venuto come luce nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta (Gv 1,5). In lui abitava la vita e la vita era la luce degli uomini (Gv 1,4), la vita era la prima Parola di Dio, bibbia scritta prima della bibbia scritta. Allora perdonate «se non sono del tutto e sempre / innamorata del mondo, della vita / sedotta e vinta dalla rivelazione / d’esserci d’ogni cosa (….)/ Questo più d’ogni altra cosa perdonate / la mia disattenzione» (Mariangela Gualtieri). A tutte le meraviglie quotidiane. La condizione definitiva non è monte, c’è un cammino da percorrere, talvolta un deserto, certamente una pianura alla quale ritornare. Dalla nube viene una voce che traccia la strada: «questi è il figlio mio, l’amato. Ascoltatelo”. I tre sono saliti per vedere e sono rimandati all’ascolto. La voce del Padre si spegne e diventa volto, il volto di Gesù, «che brillò come il sole». Ma una goccia della sua luce è nascosta nel cuore vivo di tutte le cose.e volte che inciamperò. Padre Ermes Ronchi
SINTESI DELL’ATTIVITÀ DEL CENTRO DON ORIONE DI VOLUNTARI Nel 1994 inizia a Bucarest un’attività caritativa della Congregazione di San Luigi Orione. Tra le tante necessità sono stati privilegiati coloro che non hanno mai avuto una vera e propria casa. Dapprima gli sforzi son andati a favore di famiglie povere e all’accoglienza di giovani desiderosi di approfondire il carisma del fondatore. Dal 1994 ad oggi, cura spirituale e assistenza materiale a Italiani etnici e di nuovo arrivo con padre Lazzarin prima e con padre Graziano poi avendo come centri di riferimento la Chiesa Italiana di Via Maghiero e il Centro “Don Orione” di Volontari. Nel settembre del 1999 vengono accolte a Voluntari 30 ragazze orfane ed alcune signore anziane. Da allora le varie attività ebbero un continuo sviluppo. In questo momento, in un nuovo stabile terminato nell’autunno del 2006, sono accolti circa 60 anziani (per la maggior parte casi sociali), un reparto di bambini con handicap grave, giovani con varie disabilità ed inoltre una fisioterapia sia per gli interni che per gli esterni, sempre favorendo persone svantaggiate. Esiste inoltre un attività di oratorio con la collaborazione delle suore, che già collaborano per le altre attività, e con la Parrocchia Ortodossa (Parroco, alcuni seminaristi e volontari).
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Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione , prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».
C Il Signore sia con voi. T E con il tuo spirito. Il Dio della speranza, che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi. A E con il tuo spirito.
ATTO PENITENZIALE
C Fratelli e sorelle, mentre i giorni scorrono nella ricerca del volto di Dio, il peccato intralcia il nostro cammino e non ci permette di vedere la Luce del Signore che brilla in noi. Chiediamo perdono del male che non riusciamo ad estirpare dal nostro cuore per scorgere la presenza di Cristo nei fratelli. (Breve pausa di silenzio) Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa e supplico la Beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro. C Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. A Amen Signore Pietà Signore Pietà Cristo Pietà Cristo Pietà Signore Pietà Signore Pietà C Preghiamo: O Dio, che chiamasti alla fede i nostri padri e hai dato a noi la grazia di camminare alla luce del Vangelo, aprici all'ascolto del tuo Figlio, perché accettando nella nostra vita il mistero della croce, possiamo entrare nella gloria del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo... T .
quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
C Fratelli e sorelle, anche noi, come A bramo, siamo stati chiamati ad abbandonare gli idoli per seguire la via della fede, tracciata dalla provvidenza divina. Chiediamo al Padre di sostenerci e di illuminare la nostra strada. Preghiamo insieme e diciamo: R./Ascoltaci Signore. Perché i cristiani affaticati e stanchi trovino nella preghiera un ristoro per la loro fede, irrobustita dalla contemplazione del mistero di Gesù, morto e risorto per la nostra salvezza, preghiamo Perché i potenti e i capi delle nazioni riconoscano di essere strumenti della Provvidenza e si pongano al servizio, con umiltà, degli uomini e delle donne che sono stati loro affidati, preghiamo Per coloro che si affannano nelle cose del mondo, perché lascino risuonare nel loro cuore la chiamata di Dio, e si sentano amati da lui teneramente e personalmente, preghiamo Per chi è in ricerca di un senso della vita, perché il Signore si faccia riconoscere e renda la loro esistenza un cammino di conversione e di gioia, preghiamo Perché l’incontro con Cristo, in questa Eucaristia, converta e rinnovi il nostro cuore, stimolandoci ad essere nel mondo fermento di vita nuova, preghiamo C Esaudisci, o Padre, le nostre preghiere e trasfigura anche noi, perché possiamo essere sempre più conformi al tuo progetto di salvezza. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. A Amen.
C. È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Egli, dopo aver dato ai discepoli l'annunzio della sua morte sul santo monte manifestò la sua gloria e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione. E noi, uniti agli angeli del cielo, acclamiamo senza fine la tua santità cantando l'inno di lode
C Preghiamo : Il pane del cielo che ci hai dato, o Padre, alimenti in noi la fede, accresca la speranza, rafforzi la carità, e ci insegni ad aver fame di Cristo, pane vivo e vero, e a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca. Per Cristo nostro Signore
C Questa offerta, Signore misericordioso, ci ottenga il perdono dei nostri peccati e ci santifichi nel corpo e nello spirito, perché possiamo celebrare degnamente le feste pasquali. Per Cristo nostro Signore.
( Il tuo Foglietto Domenicale)