ADESTE NR, 04 Domenica 26 Gennaio 2020

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Era il suo tredicesimo compleanno, il 12 giugno 1942, quando Anne ricevette in regalo un quaderno a quadretti dalla copertina rossa. Aveva la stessa età, 13 anni, Liliana quando venne arrestata a Varese dopo un fallito tentativo di fuga in Svizzera a seguito della pubblicazione delle leggi razziali fasciste. L’inizio di un viaggio, con destinazione il campo di concentramento di Auschwitz-Biekenau redici anni e la vita cambia, per sempre. La stessa età adolescenziale, quella dei giochi e della spensieratezza, segna una svolta in due esistenze così diverse e pure parallele, accomunate in due paesi differenti durante il dominio nazi-fascista – l’Olanda e l’Italia – da un solo elemento, essere ebrei in un mondo scatenato barbaramente in un disegno di eliminazione del “diverso da sé”. Le vite e le storie di Anne e Liliana. Con un destino che accompagna la prima allo sterminio nazista e la seconda ad una condanna per tanti versi non meno crudele perché duratura, la condizione dolente di essere sopravvissuta alla barbarie e di portare nella propria carne le stigmate di quel dolore senza fine. Un diario è il lascito morale della bambina nascosta in un luogo segreto nel tentativo inutile di sfuggire alla barbarie. Una voce sommessa e tuttavia forte, costante, mai esitante, è il retaggio della donna che per pura fortuna è riuscita a sopravvivere. Tracce indelebili, entrambe, di una testimonianza che rende la memoria così preziosa per tutti. Era il suo compleanno, il 12 giugno 1942, quando Anne ricevette in regalo un quaderno a quadretti dalla copertina rossa. Avrebbe scritto in breve su di esso la più struggente testimonianza lasciata da una giovanissima prima di essere travolta dalla repressione nazista contro gli ebrei. Aveva appunto 13 anni Anne Frank quando, con quel quaderno appena regalatole, dovette rifugiarsi in un alloggio segreto, lei e la sua famiglia, per tentare di sfuggire ai rastrellamenti. Riempì in breve tempo tutto il suo diario dalla copertina rossa, e poi continuò a riempiere altri quaderni. Raccontò i sentimenti così contrastanti che provava in quella prigione, la paura di essere scoperta e la speranza di uscirne nonostante tutto quello che stava accadendo. La penna su quei fogli, una grafia minuta, raccolta e regolare nei quadretti delle pagine, resoconto delle vicissitudini quotidiane vissute in una condizione di segregazione innaturale per un’adolescente, mentre tutto il mondo era sconquassato dalla follia. E poi anche racconti brevi di fantasia, e frasi celebri che andava scoprendo ogni giorno, sorprendendola e incuriosendola nella sua sensibilità di bimba. Nella sofferenza, guizzi dell’immaginazione e della fantasia più forti persino del timore della morte. Scritti, quelli di Anne Frank, tempo dopo nel 2009 inseriti dall’Unesco nella raccolta documentale delle “memorie dell’umanità”, il Memory of the world Register.

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Aveva la stessa età, 13 anni, Liliana quando venne arrestata a Varese dopo un fallito tentativo di fuga in Svizzera a seguito della pubblicazione delle leggi razziali fasciste. L’inizio di un viaggio da parte di Liliana Segre, con destinazione il campo di concentramento di Auschwitz-Biekenau, insieme al padre e ai nonni, che non rivide più. Un tatuaggio sul braccio ricorda ancora che fu l’ebreo numero 75190 ad essere deportato in quel campo. Un altro numero, il 25, rimane a raccontare che Liliana, oggi senatore a vita della Repubblica per decisione del presidente Mattarella, fu tra costoro, uno dei pochissimi, su 776 bambini italiani di età inferiore a 14 anni, a sopravvivere allo sterminio. Diventando, come lei stessa racconta, “un animale ferito” che era uscito dall’inferno, e che si sentiva così a disagio in un mondo che sembrava tanto desideroso di dimenticare gli eventi dolorosi del passato, avido solo di spensieratezza, lei così chiusa nei suoi ricordi indelebili e nella sua tristezza. Un silenzio mantenuto per alcuni anni, poi interrotto dal continuo peregrinare nelle scuole per raccontare ai più giovani, a cominciare dai 13enni di oggi, la sua storia, il marchio indelebile dell’obbrobrio razzista. Fino al tributo reso ai suoi “altissimi meriti sociali” dal presidente della Repubblica con la nomina a senatore a vita. A testimonianza di un pellegrinaggio di vita e di speranza nel presente, nel ricordo di quell’eccidio da cui riuscì miracolosamente a salvarsi lei, ma non Anne. Un monito contro le recrudescenze attuali del fascismo sotto ogni forma, nella vita politica, nella dimensione sociale, persino nello sport, che offendono non solo i sopravvissuti, ma la memoria civile dell’umanità. A distanza di tanto tempo e in situazioni politiche così modificate, quando ci si riferisce a quegli anni la tentazione è quella di utilizzare strumenti archeologici per confrontarsi con le vicende del passato, lo constatiamo ogni giorno con sofferenza. Una tendenza che porta rapidamente a archiviare ciò che è accaduto come se non ci riguardasse e non avesse nulla da dirci oggi, e a smarrirne il senso per il presente. Si giunge persino a stravolgere il lascito storico di quel periodo con le affermazioni sulle “cose buone fatte dal fascismo”, come da ultimo a Radio Capital ha detto il leghista Matteo Salvini, con la scarsa percezione della pericolosità di certe forme di esaltazione simbolica di quel regime (saluti e cori fascisti, adesivi con il viso di Anne Frank) utilizzate nel tifo calcistico (è accaduto con i tifosi della Lazio), con la credulità verso movimenti impegnati solo strumentalmente (è il caso di “Casa Pound”) nelle periferie disagiate delle nostre città. La memoria non può essere legata soltanto alle vite dei sopravvissuti, ormai pochi, perché il rischio è che il tempo travolga nella dimenticanza, insieme alle vicissitudini personali, anche le radici profonde della civiltà umana, che è uscita, con tanta fatica, da uno dei “buchi neri” più profondi della sua storia. Eppure, proprio la parola, affidata ai fogli lasciati da Anne e alla voce peregrinante di Liliana, continua a darci forza nel presente spesso così desolante e a indicarci che il futuro può ancora avere un senso, nonostante tutto quello che è accaduto. Se quella memoria viene conservata e valorizzata, come testimonianza imprescindibile della dignità dell’uomo e della sua libertà.


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uando ci chiamavano sapevamo che era per decidere se eravamo ancora utili e potevamo andare avanti, o se eravamo vecchi pezzi irrecuperabili. Da buttare. Era un momento terribile. Bastava un cenno ed eri salvo, un altro ti condannava. Dovevamo metterci in fila, nude, passare davanti a due SS e a un medico nazista. Ci aprivano la bocca, ci esaminavano in ogni angolo del corpo per vedere se potevamo ancora lavorare. Chi era troppo stanca o troppo magra, o ferita, veniva eliminata. Bastavano pochi secondi agli aguzzini per capire se era meglio farci morire o farci vivere. Io vedevo le altre, orrendi scheletri impauriti, e sapevo di essere come loro. Gli ufficiali e i medici erano sempre eleganti, impeccabili e tirati a lucido, in pace con la loro coscienza. Era sufficiente un cenno del capo degli aguzzini, che voleva dire “avanti”, ed eri salva. Io pensavo solo a questo quando ero lì, a quel cenno. Ero felice quando arrivava, perché avevo tredici anni, poi quattordici. Volevo vivere. Ricordo la prima selezione. Dopo avermi analizzata il medico notò una cicatrice. «Forse mi manderà a morte per questa…» pensai e mi venne il panico. Lui mi chiese di dove fossi e io con un filo di voce ma, cercando di restare calma, risposi che ero italiana. Trattenevo il respiro. Dopo aver riso, insieme agli altri, del medico italiano che mi aveva fatto quella orrenda cicatrice, il dottore nazista mi fece cenno di andare avanti. Significava che avevo passato la selezione! Ero viva, viva, viva! Ero così felice di poter tornare nel campo che tutto mi sembrava più facile. Poi vidi Janine. Era una ragazza francese, erano mesi che lavoravamo una accanto all’altra nella fabbrica di munizioni. Janine era addetta alla macchina che tagliava l’acciaio. Qualche giorno prima quella maledetta macchina le aveva tranciato le prime falangi di due dita. Lei andò davanti agli aguzzini, nuda, cercando di nascondere la sua mutilazione. Ma quelli le videro subito le dita ferite e presero il suo numero tatuato sul corpo nudo. Voleva dire che la mandavano a morire. Janine non sarebbe tornata nel campo. Janine non era un’estranea per me, la vedevo tutti i giorni, avevamo scambiato qualche frase, ci sorridevamo per salutarci. Eppure non le dissi niente. Non mi voltai quando la portarono via. Non le dissi addio. Avevo paura di uscire dall’invisibilità nella quale mi nascondevo, feci finta di niente e ricominciai a mettere una gamba dietro l’altra e camminare, pur di vivere. Racconto sempre la storia di Janine. È un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a morire, che la sua vita era importante per me. Che noi non eravamo come gli aguzzini ma ci sentivamo, ancora e nonostante tutto, capaci di amare. Invece non lo feci. Il rimorso non mi diede pace per tanto, tanto tempo. Sapevo che nel momento in cui non avevo avuto il coraggio di dire addio a Janine, avevano vinto loro, i nostri aguzzini, perché ci avevano privati della nostra umanità e della pietà verso un altro essere umano. Era questa la loro vittoria, era questo il loro obiettivo: annientare la nostra umanità».


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tornato dall'uomo che, ormai 10 anni fa, lo aiutò, prestandogli dei soldi per rifarsi una vita nel nostro Paese, per ringraziarlo e restituirgli la somma: è una storia bellissima quella che arriva dal Napoletano.

I protagonisti sono Mustafà, migrante originario del Marocco che 10 anni fa era arrivato in Italia senza niente e Don Giovanni, anziano partenopeo, suo benefattore. È la nipote dell'uomo, scomparso purtroppo da qualche anno, a raccontare su Facebook questa bellissima storia: "Hanno bussato al mio citofono: ‘C'è don Giovanni? Sono Mustafà'. Un nodo alla gola: ‘Nonno non c'è più. Se vuoi però sali, c'è nonna'. È salito. Ha abbracciato nonna come si fa con una madre. Ha pianto e le ha dato questa busta tra le mani" scrive la donna nel suo lungo post, pubblicando anche la foto della busta in questione.

La nipote di Don Giovanni prosegue nel racconto: "‘Signora Peppa, qui ci sono i soldi che Don Giovanni mi ha prestato dieci anni fa, per andare a lavorare dove abitava mio padre. Ora guadagno bene, ho studiato, ho due bimbi e sono caporeparto in una fabbrica ed è solo grazie ai lui che si è fidato di me. Mi dispiace che non potrà vedere quanto bene può fare una buona azione' ha detto Mustafà alla vedova dell'uomo". "Mustafà è originario del Marocco e la sua vita é stata un alternarsi di tragedie e difficoltà. Oggi, ha dimostrato che le vicissitudini non ti cambiano, non ti incattiviscono, che una buona azione può cambiarti la vita, per sempre. Che aiutarli a casa nostra si può. Non costa nulla, e ci salva l'anima. Il bene e l'umanità che ritornano. Così chiamerei questo paragrafo della vita. Ci sono giorni che ti ricordano di super normali eroi come tuo nonno, e ti fanno capire che esserci, esserci per davvero per qualcuno è la cosa più semplice, e la più difficile del mondo. Ciao nonno, oggi hai vinto tu e anche questa dimenticata umanità" conclude la donna.


"Nel blu dipinto di blu" trionfa a Sanremo: L'ottava edizione del Festival di Sanremo, la prima in diretta TV, premiò l'inedita coppia Domenico Modugno e Jonny Dorelli. Iniziò da qui la storia di una melodia destinata a rappresentare un intero popolo in tutto il mondo. orte dei primi successi musicali ottenuti con Vecchio frac e Lazzarella (presentata nel 1957 al Festival di Napoli in coppia con Aurelio Fierro), accompagnati dalla già cospicua carriera cinematografica (una ventina di film all'attivo), Modugno tentò il debutto sul massimo palcoscenico della musica italiana. Due anni prima una sua canzone, "Musetto", aveva partecipato a Sanremo ma lui era comparso solo come autore. In mano sapeva di avere un pezzo forte, scritto a quattro mani con il giovane paroliere Franco Migliacci. Così dopo aver superato la preselezione, Nel blu dipinto di blu venne ammessa alla competizione che vedeva concorrere 20 canzoni e 15 cantanti. L'ottava edizione, ospitata nel Salone delle Feste del Casinò sanremese e condotta da Gianni Agus e Fulvia Colombo, presentava una novità rispetto alle passate: la diretta televisiva in Eurovisione a partire dalle 22 del 30 gennaio. Una giuria di 200 elementi (100 sorteggiati tra il pubblico del casinò, il resto attraverso un complicato sorteggio) decideva ogni sera le dieci finaliste. La coppia Dorelli-Modugno passò senza problemi, anche perché erano in tantissimi a canticchiare il simpatico ritornello. In particolare l'interpretazione del secondo riusciva a rendere appieno lo spirito leggero e insieme brioso del testo, accompagnandolo con una mimica efficace. Il gesto di apertura liberatoria delle braccia restò un tratto distintivo nelle interpretazioni seguenti. In generale pubblico e critica erano concordi nel vedere in essa la canzone più originale ed estrosa della competizione. Per questo il primo posto ottenuto nella finale del 1° febbraio apparve più che meritato; dietro era rimasta la vecchia tradizione musicale incarnata dalla star Nilla Pizzi, giunta seconda e terza, in coppia rispettivamente con Tonina Torrielli e Gino Latilla. Pubblicata dopo il Festival in quattro versioni dalla Fonit, "Nel blu dipinto di blu" varcò i confini nazionali e raccolse riconoscimenti di prestigio, tra cui tre Grammy (primato che restò incontrastato per molto tempo) come "miglior disco", "canzone" e "interprete dell'anno". L'arrivo in America fu un trionfo colossale: dall'esibizione al mitico Ed Sullivan Show, il programma televisivo più popolare degli Stati Uniti, ai palcoscenici di Boston, Buffalo, Los Angeles e New York, tutti furono conquistati dalla voce dell'artista di Polignano e dalla coinvolgente melodia di Volare, nome con cui il brano divenne popolare nelle radio statunitensi, conservandolo nel tempo come titolo alternativo. Tant'è che lo stesso Modugno fu ribattezzato "Mr Volare". Nel frattempo si rincorrevano le versioni sulla paternità dell'idea del ritornello. Migliacci sosteneva di esser stato ispirato da un quadro di Marc Chagall, Modugno dal cielo osservato dalla sua abitazione romana. Resta il fatto che "Volare" divenne in poco tempo un inno spensierato alla proverbiale creatività e immaginazione del popolo italiano. Nel 2008, a cinquant'anni dal trionfo di Sanremo, all'indimenticabile brano è stato dedicato un francobollo celebrativo. Tutt'oggi, secondo i dati della SIAE, risulta la canzone italiana più eseguita al mondo. Non si contano le cover eseguite da star internazionali del calibro di David Bowie, Paul McCartney, Barry White e Ray Charles.

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gli inizi degli anni '40, Chiara Lubich, poco più che ventenne, insegnava tra i banchi delle elementari a Trento, sua città natale e si era iscritta alla facoltà di filosofia dell'università di Venezia, spinta dalla ricerca della verità, quando, proprio nel clima di odio e violenza della seconda guerra mondiale, sul crollo di ogni cosa, scopre Dio come l'unico Ideale che rimane. Dio scoperto come Amore, illuminerà e trasformerà la sua esistenza e quella di tanti, mostrandole lo scopo della sua vita: concorrere ad attuare le parole del testamento di Gesù "Che tutti siano uno". Col tempo si capirà che in quelle parole è racchiuso il progetto originario di Dio: comporre in unità la famiglia umana. In questi anni ha inizio una storia in cui sono contenuti i prodromi dello sviluppo futuro. In poco più di 50 anni, dall'esperienza del Vangelo vissuto nel quotidiano, prende il via una corrente di spiritualità, la spiritualità dell'unità che suscita un movimento di rinnovamento spirituale e sociale a dimensione mondiale: il Movimento dei Focolari. E’ nel tempo di odio e violenza del secondo conflitto mondiale che ha il via questo movimento di unità e fratellanza universale. Nel 1943 Chiara Lubich con le sue prime compagne a Trento riscopre il Vangelo. Insieme lo attuano nel quotidiano, a cominciare dai quartieri più poveri della città. La loro vita personale e collettiva fa un salto di qualità. Quel primo gruppo diventa ben presto Movimento che si diffonde dapprima in Italia, poi in Europa e nel mondo. Ha il via una nuova corrente di spiritualità incentrata sull’amore evangelico che suscita un movimento di rinnovamento spirituale e sociale: la spiritualità dell’unità , spiccatamente comunitaria Genera uno stile di vita che, ispirandosi a principi cristiani - senza trascurare anzi evidenziando valori paralleli in altre fedi e culture – risponde alla diffusa domanda di senso della vita e di autenticità, e contribuisce a portare nel mondo pace e unità: crollano pregiudizi, i semi di verità e di amore insiti nelle diverse culture diventano ricchezza reciproca; si aprono nuovi orizzonti nei diversi ambiti della società: cultura, politica, economia, arte. Per questa spiritualità vissuta nei più diversi ambienti e culture, si sono aperti fecondi dialoghi: nel mondo cattolico, fra singoli, gruppi, Movimenti e associazioni, per contribuire a rafforzare l'unità; tra cristiani di diverse Chiese per concorrere alla piena comunione; tra credenti di varie religioni e persone di convinzioni diverse. Insieme ci si avvia a quella pienezza di verità e a quella fratellanza universale a cui tutti tendiamo. Il Movimento, per la varietà delle persone che lo compongono - giovani e adulti, bambini e ragazzi, famiglie e sacerdoti, religiosi e religiose di varie congregazioni e anche vescovi - pur essendo un'unica realtà si snoda in 18 diramazioni. Via via si sono sviluppate varie concretizzazioni tra cui nel campo della cultura, la scuola Abbà per l'elaborazione di una cultura rinnovata; in quello dell'economia, il progetto per una Economia di comunione in cui sono impegnate oltre 700 aziende; cittadelle di testimonianza, opere sociali, case editrici e riviste. Il Movimento dei Focolari si situa in quel fenomeno di fioritura dei Movimenti ecclesiali che il Papa ha definito: "risposta suscitata dallo Spirito Santo a questa drammatica sfida di fine millennio". E’ stato approvato dalla Santa Sede sin dal 1962 e, con i successivi sviluppi, nel 1990. Vari i riconoscimenti dalle Chiese ortodossa, anglicana e luterana; dalle diverse religioni e da organismi culturali e internazionali. E’ in corso la causa di beatificazione. http://www.focolare.org


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iovanni Bosco nasce a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815 da una famiglia di contadini. Il padre, Francesco Bosco, lo lascia orfano a soli due anni, e Margherita Occhiena si trova da sola ad allevare Antonio, Giuseppe e Giovannino. Con dolce fermezza, unita a una fede senza confini, Margherita, saggia educatrice, fa della sua famiglia una chiesa domestica. Giovanni comincia a sentire sin da piccolo il desiderio di diventare sacerdote. Raccontò di aver fatto un sogno a nove anni, che gli rivelò la sua missione: ”Renditi umile, forte e robusto”, gli disse una donna splendente come il sole, ”e quello che vedi succedere di questi lupi che si trasformano in agnelli, tu lo farai per i miei figli. Io ti farò da maestra. A suo tempo tutto comprenderai”. Fin da ragazzo Giovanni cominciò a intrattenere i suoi compagni con giochi di prestigio, imparati con duro allenamento, alternati a lavoro e preghiera. L’anziano don Calosso lo iniziò agli studi sacerdotali, che dovette affrontare con fatica, fino a lasciare la sua casa per l’opposizione del fratello Antonio. Egli voleva che Giovanni lavorasse i campi. Seminarista a Chieri, ideò la Società dell’Allegria, che raccoglieva i giovani della cittadina. Nel giugno del 1841 venne ordinato sacerdote. Il suo direttore spirituale, don Cafasso, gli consiglia di perfezionare gli studi nel convitto ecclesiastico. Intanto don Bosco raccoglie intorno a sé i primi ragazzi, e organizza un oratorio festivo, inizialmente itinerante e poi stabile a Valdocco. Margherita, ormai anziana, accetta di venire a Torino ad aiutarlo, e diventa per i ragazzi ”mamma Margherita”. Don Bosco comincia a dare ricovero agli orfani senza tetto. Insegna loro un lavoro e ad amare il Signore, canta, gioca e prega con loro. Dai primi ragazzi arrivano anche i primi collaboratori. Si sviluppa così quel famoso metodo educativo, chiamato Sistema Preventivo: “State con i ragazzi, prevenite il peccato con ragione, religione e amorevolezza. Diventate santi, educatori di santi. I nostri ragazzi si accorgano di essere amati.” I primi collaboratori diventano col tempo, grazie anche all’aiuto del Papa Pio IX, una Congregazione che mira alla salvezza della gioventù, combattendo tutte le povertà e facendo proprio il motto: Dammi le anime, e tieniti tutto il resto. Il giovane Domenico Savio è il primo frutto del sistema preventivo. Maria Ausiliatrice, che sempre sostenne don Bosco nella sua opera, gli ottenne numerosissime grazie, anche straordinarie, e il denaro necessario per tutte le sue imprese. Lo aiutò anche nella costruzione dell’omonima Basilica. Con l’aiuto di santa Maria Domenica Mazzarello fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Insieme ai benefattori e ai laici impegnati diede vita ai Cooperatori Salesiani. Don Bosco morì logorato dal lavoro a 72 anni, il 31 gennaio 1888. Oggi la famiglia salesiana è presente in tutto il mondo. Il Papa Giovanni Paolo II nel centenario della morte l’ha dichiarato Padre e Maestro della gioventù. BEATIFICATO IL 2 GIUGNO 1929 DA PIO XI CANONIZZATO IL 1° APRILE 1934 DA PIO XI


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stituita da Papa Francesco, il 26 gennaio si celebra in tutte le comunità cristiane la Domenica della Parola di Dio. L’iniziativa risponde alle “tante richieste – scrive il Papa – che mi sono giunte da parte del popolo di Dio, perché in tutta la Chiesa (la) si possa celebrare in unità di intenti” (Aperuit Illis, 2). In tante Chiese locali sono ormai da tempo numerose le iniziative per far conoscere e diffondere la Bibbia. Sulla spinta del Concilio Vaticano II, ragguardevole impegno è stato profuso nella liturgia e nella catechesi per aiutare il popolo di Dio ad acquisire una più profonda familiarità con la Parola di Dio, affinché essa occupi un posto centrale nella vita cristiana. Eppure, l’istituzione di questa specifica Domenica apporta un’ulteriore determinazione. È stata scelta la III Domenica del Tempo Ordinario in cui all’inizio del suo ministero Gesù esorta alla conversione: il Regno dei cieli si è fatto vicino e, secondo la profezia di Isaia, “una luce è sorta”. La chiamata dei primi quattro discepoli, evidenzia l’autorevolezza di Gesù che invita a una sequela senza condizioni e senza reticenze. La sua è una parola potente che annuncia la salvezza e la manifesta sanando ogni sorta di infermità, plasma l’identità del credente e lo spinge alla missione di “pescatore di uomini”, genera un nuovo tipo di fraternità entro una comunità di fede. La pronta risposta di Simone e Andrea, insieme a Giacomo e Giovanni, è per tutti un paradigma sempre attuale. Inoltre la III Domenica cade nei giorni dedicati alla preghiera per il cammino dell’unità dei cristiani e al dialogo con gli ebrei. Essa ricorda a tutti che per vivere l’unità con Cristo nel suo stesso corpo, è necessario anzitutto fare spazio a Dio, prima che ad ogni strategia. Un richiamo essenziale perché il primato sia sempre dato a Dio e non agli uomini: “La Bibbia non può essere solo patrimonio di alcuni e tanto meno una raccolta di libri per pochi privilegiati. Essa appartiene anzitutto, al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella Parola… La Bibbia è il libro del popolo del Signore e nel suo ascolto passa dalla dispersione e dalla divisione all’unità. La Parola di Dio unisce i credenti e li rende un solo popolo” (Aperuit Illis, 4). Infine va ricordato che “la Domenica della Parola di Dio” non si limita alla sola celebrazione liturgica. Indubbiamente l’istituzione di una Domenica sottolinea il contesto più efficace in cui si colloca la Parola del Signore, ma l’intento è quello di spronare a vivere quotidianamente la Parola che si celebra. Non si tratta perciò di introdurre strabilianti novità, ma coinvolgere e rendere più efficace l’impegno di ciascuno per conoscere ed entrare in intimità con la Parola di Dio. Con la sua tipica concretezza, Papa Francesco ha voluto semplicemente porre un incentivo pastorale, perché nella celebrazione domenicale si presti tutta l’attenzione possibile al grande mistero di grazia che la proclamazione della Parola di Dio sa suscitare tra i credenti.


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iovanni è stato arrestato, tace la grande voce del Giordano, ma si alza una voce libera sul lago di Galilea. Esce allo scoperto, senza paura, un imprudente giovane rabbi, solo, e va ad affrontare confini, nella meticcia Galilea, crogiolo delle genti, quasi Siria, quasi Libano, regione quasi perduta per la fede. Cominciò a predicare e a dire: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. Siamo davanti al messaggio generativo del Vangelo. La bella notizia non è «convertitevi», la parola nuova e potente sta in quel piccolo termine «è vicino»: il regno è vicino, e non lontano; il cielo è vicino e non perduto; Dio è vicino, è qui, e non al di là delle stelle. C’è polline divino nel mondo. Ci sei immerso. Dio è venuto, forza di vicinanza dei cuori, «forza di coesione degli atomi, forza di attrazione delle costellazioni» (Turoldo). Cos’è questa passione di vicinanza nuova e antica che corre nel mondo? Altro non è che l’amore, che si esprime in tutta la potenza e varietà del suo fuoco. «L’amore è passione di unirsi all’amato» (Tommaso d’Aquino) passione di vicinanza, passione di comunione immensa: di Dio con l’umanità, di Adamo con Eva, della madre verso il figlio, dell’amico verso l’amico, delle stelle con le altre stelle. Convertitevi allora significa: accorgetevi! Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. La notizia bellissima è questa: Dio è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao e di Betsaida, per guarire la tristezza e il disamore del mondo. E ogni strada del mondo è Galilea. Noi invece camminiamo distratti e calpestiamo tesori, passiamo accanto a gioielli e non ce ne accorgiamo. Il Vangelo di Matteo parla di «regno dei cieli», che è come dire «regno di Dio»: ed è la terra come Dio lo sogna; il progetto di una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani; una storia finalmente libera da inganno e da violenza; una luce dentro, una forza che penetra la trama segreta della storia, che circola nelle cose, che non sta ferma, che sospinge verso l’alto, come il lievito, come il seme. La vita che riparte. E Dio dentro. Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli che gettavano le reti in mare. Gesù cammina, ma non vuole farlo da solo, ha bisogno di uomini e anche di donne che gli siano vicini (Luca 8,1-3), che mostrino il volto bello, fiero e luminoso del regno e della sua forza di comunione. E li chiama ad osare, ad essere un po’ folli, come lui. Passa per tutta la Galilea uno che è il guaritore dell’uomo. Passa uno che sa reincantare la vita. E dietro gli vanno uomini e donne senza doti particolari, e dietro gli andiamo anche noi, annunciatori piccoli affinché grande sia solo l’annuncio. Terra nuova, lungo il mare di Galilea. E qui sopra di noi, un cielo nuovo. Quel rabbi mi mette a disposizione un tesoro, di vita e di amore, un tesoro che non inganna, che non delude. Lo ascolto e sento che la felicità non è una chimera, è possibile, anzi è vicina.

Padre Ermes Ronchi


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C. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. T. E con il tuo spirito.

ATTO PENITENZIALE

C. Chiediamo al Signore Gesù di colmare i nostri cuori con la sua luce. La sua verità sveli in noi ciò di cui dobbiamo convertirci e ciò che dobbiamo affidare alla sua misericordia. Breve pausa di riflessione personale Signore, luce vera, fa’ che la tua luce brilli nella nostra terra di morte e abbi pietà di noi. Signore, pietà. Cristo, luce radiosa, che sei venuto a illuminare le nostre tenebre, abbi pietà di noi. Cristo, pietà. Signore, luce fulgida del mattino, trasforma il buio delle menti e dei cuori in chiarore, abbi pietà di noi. Signore, pietà. C. Dio Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. T. Amen.

Preghiamo: O Dio, che hai fondato la tua Chiesa sulla fede degli Apostoli, fa' che le nostre co-

munità, illuminate dalla tua parola e unite nel vincolo del tuo amore, diventino segno di salvezza e di speranza per tutti coloro che dalle tenebre anelano alla luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. T. .


la loro vita. Preghiamo. 4. Perché tutti coloro che cercano la felicità lontano dal Signore lascino spazio alla luce dello Spirito, squarciando le tenebre e l’ombra della morte e donando loro la grande luce della speranza e della salvezza, Preghiamo. 5. Per coloro che soffrono, per quelli che sono tormentati dalla malattia, affinché il Signore doni loro consolazione e persone amorevoli, disposte a chinarsi con dolcezza sul loro dolore. Preghiamo. C. Ci hai donato, Padre, una luce intensa che rischiara il cammino verso di te. Dacci anche la forza per percorrere la via verso la santità, nella comunione fraterna, rassicurati dal tuo sostegno amorevole. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. T

C. Alla gente di Galilea Gesù apparve come una grande luce, perché offriva loro una speranza, un senso nuovo alla vita. Chiediamo al Signore che anche noi possiamo fare esperienza di Gesù, che anche a noi la sua Parola allarghi il cuore alla speranza e alla gioia. Preghiamo dicendo: Ascoltaci Signore. 1 Per la Chiesa, perché i pastori e i fedeli si lascino trasformare dalla Parola che proclamano e diventino segno luminoso della misericordia di Dio che guarisce e perdona. Preghiamo. 2. Per le famiglie, perché ogni giorno traggano forza e grazia della condivisione della Parola di Dio che è alimento del cammino di fede, fonte della speranza, sorgente di carità. Preghiamo. 3. Per i giovani, perché nell’ascolto assiduo della Parola sappiano discernere la volontà di Dio sul-

C. veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Padre santo, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio. Egli é la tua Parola vivente per mezzo di lui hai creato tutte le cose, e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria. Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione. Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi, proclamiamo a una sola voce la tua gloria: Santo, Santo, Santo …….

C. Preghiamo : O Dio, che in questi santi misteri ci hai nutriti col corpo e sangue del tuo Figlio, fa' che ci rallegriamo sempre del tuo dono, sorgente inesauribile di vita nuova. Per Cristo nostro Signore.


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