ADESTE nr. 07 Domenica 16 Febbraio 2020

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a gloriosa esistenza di uno dei più bei velieri di sempre cominciò tra le acque su cui si affaccia l'antica colonia romana di Stabia, nel tratto meridionale del golfo di Napoli. Sintesi di tradizione e modernità, è oggi un simbolo dell'eccellenza italiana. Verso la fine degli anni Venti si rese necessario sostituire la nave scuola della Classe Flavio Gioia, prossima alla "pensione" e destinata ad essere riconvertita in asilo infantile per gli orfani dei marinai (nel porto di Venezia). Pertanto, nel 1930 l'ingegnere Francesco Rotundi, tenente colonnello del Genio Navale e Direttore dei cantieri navali di Castellammare di Stabia, venne incaricato di progettare due unità navali da utilizzare per l'addestramento degli allievi. Rotundi si ispirò ai disegni del collega Sabatelli utilizzati per la costruzione del Monarca, celebre veliero della Real Marina del Regno delle Due Sicilie, acquisito alla flotta della Marina piemontese con il nuovo nome di "Re Galantuomo". Dal Regio Cantiere stabiese uscirono due imbarcazioni gemelle, cui furono dati i nomi dei due più illustri navigatori della storia italiana: Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci. Il varo di quest'ultima ebbe luogo in una piovosa domenica di febbraio, alle 10.30 del mattino. Con i suoi 2.800 mq di superficie e 101 metri di lunghezza, rappresentava un gioiello di tecnologia per quei tempi. All'insegna del motto «Per la Patria e per il Re», iniziò il suo primo viaggio alla volta di Genova dove, il 15 ottobre dello stesso anno, fu consegnata la "bandiera di combattimento" al primo comandante Augusto Radicati di Marmorito. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la Vespucci rimase l'unica imbarcazione utilizzata per le crociere addestrative, per via della perdita della Cristoforo Colombo, che l'Italia dovette consegnare all'Unione Sovietica, quale risarcimento dei danni di guerra. Da quel momento fu assunto un nuovo motto «Saldi nella furia dei venti e degli eventi», sostituito nel 1978 con quello definitivo, di leonardiana memoria, «Non chi comincia ma quel che persevera», più adatto a incarnare lo spirito di addestramento dei futuri ufficiali della Marina Militare. Col passare del tempo aumentò il suo prestigio diventando la nave militare più anziana ancora in attività e presenziando a importanti cerimonie nazionali, tra cui le Olimpiadi di Roma del 1960 (in occasione delle quali ebbe l'onore di trasportare la torcia olimpica dal Pireo a Siracusa) e il 150° dell'Unità d'Italia. Gli interventi di ammodernamento delle apparecchiature apportati successivamente, non ne intaccarono lo stretto legame con la tradizione, evidente sia nell'aspetto sia nella gestione (le manovre eseguite rigorosamente a mano) e nei materiali utilizzati. Fornita di un equipaggio che con gli allievi raggiunge le 470 unità, la Vespucci è ancora oggi un'istituzione nella marineria internazionale; a dispetto del codice di navigazione, non c'è "gigante del mare" che non le riconosca la precedenza, omaggiandola con tre colpi di sirena. Per l'Italia svolge un ruolo fondamentale di rappresentanza all'estero della sua arte, cultura e ingegneria.


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sogno di cambiare il proprio destino ha accompagnato i disperati di ogni epoca. Oggi assistiamo a scenari diversi, ma un secolo fa eravamo noi a cercare fortuna in altri paesi, soprattutto in America. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento numerosi italiani emigrarono negli Stati Uniti e sbarcarono a Ellis Island accanto alla Statua della Libertà. Oggi un museo ricorda quegli arrivi e l’elenco di milioni di migranti è messo a disposizione dalla Fondazione Ellis Island. Ellis Island è una piccolissima isola nella baia di New York e tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento è stato il più importante punto di accesso per chi emigrava negli Stati Uniti. All’ombra della Statua della Libertà il Governo americano creò una stazione federale per l’immigrazione, aperta nel 1892 e chiusa definitivamente nel 1954. In questo periodo vi approdarono oltre 12 milioni di stranieri, solo nel 1907 gli arrivi furono oltre un milione. Il flusso si attenuò notevolmente dopo il 1924, quando furono fissate le quote di ingresso e dall’Italia non potevano giungere più di 7.400 persone ogni anno. Dopo lo sbarco gli immigrati dovevano presentare i documenti di viaggio e le informazioni sulla nave che li aveva portati a New York. I medici del Servizio Immigrazione controllavano ogni persona e contrassegnavano sulla schiena con un gesso coloro che dovevano essere sottoposti a un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute: PG indicava una donna incinta, K chi aveva problemi di ernia, X chi mostrava problemi mentali... Se le carte erano in regola e le condizioni di salute buone in poche ore veniva accordato l’ingresso. Se, invece, gli immigrati presentavano problemi di salute, erano anziani, incapaci di sostenersi e non avevano nessuno che potesse occuparsi di loro, venivano rimbarcati sulla stessa nave che li aveva portati in America. Oggi i discendenti di quella folla sconfinata di immigrati costituiscono circa la metà del popolo statunitense. Una delle maggiori attrazioni di Ellis Island è l’Honor wall, un muro che riporta, inciso su pietra, il nome di oltre 700mila emigranti transitati per Ellis Island: un gesto di gratitudine degli Stati Uniti verso chi ha contribuito alla crescita della terra di adozione. (F.d'A.)


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“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali. Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.


«Avanti le donne e i bambini». Era il capodanno del 1892 quando Annie Moore, una ragazzina «sui 15 anni » (in realtà ne aveva 17), entrò nella grande stanza dell’Immigration Bureau, la stazione nuova di zecca per le ispezioni federali costruita ad Ellis Island. Fu lei, appena sbarcata dalla nave a vapore Nevada, la ‘migrante zero’, la prima dei 12 milioni di immigranti che fino al 1954 furono costretti a transitare davanti ai severi ispettori di quell’isolotto accanto alla Statua della Libertà e a poche centinaia di metri dal porto di New York. Dodici milioni, in prevalenza europei (moltissimi gli italiani), che in quella che venne (molto più tardi) definita la ‘Porta d’Oro’ – ma che fu anche luogo di umiliazioni, vessazioni, deportazioni, respingimenti e odiose divisioni familiari – cercavano il proprio ‘sogno americano’. Quel capodanno di 125 anni fa fu un giorno di festa, in una Ellis Island appena inaugurata dove tra funzionari, medici e reporter, 148 persone (i passeggeri della Nevada) si misero in fila per un verdetto che avrebbe cambiato la loro vita. «L’onore è stato riservato a una piccola ragazza irlandese dalle guance rosate. Annie Moore, quindici anni di età, in arrivo dalla contea di Cork dopo 11 giorni di navigazione. Il suo nome è ora insigne per essere stata la prima ad essere registrata nel libro degli arrivi ». Così il New York Times del 2 gennaio 1892 raccontava lo sbarco della ‘migrante zero’, trasportata dalla Nevada ai nuovi uffici da una «barca da trasporto immigranti, decorata con bandierine e accompagnata lungo la banchina dal suono metallico di campane e il baccano di fischi stridenti». Nell’ufficio degli ispettori tutto era pronto per l’arrivo degli immigrati irlandesi (quel giorno, oltre alla Nevada, arrivarono anche altre due navi) e quando Annie scese a terra venne rapidamente scortata nella grande sala all’interno. Al tavolo del ‘registro immigrati’ sedeva per l’occasione Charles M. Hendley, segretario particolare del ministro del Tesoro William Windom (morto

da pochi mesi), che aveva ottenuto dal colonnello Weber – il capo degli ispettori – «il grande onore di accogliere il primo emigrante». E fu proprio Weber a consegnare alla piccola Annie una moneta d’oro da dieci dollari (per la ragazza irlandese di povera famiglia l’equivalente di un vero tesoro) che unite alle parole di «benvenuta » le aprirono le porte del suo personale American dream. Per ricordare la ‘migrante zero’ e i milioni di immigrati che negli Stati Uniti d’America hanno trovato fortuna (non tutti) e hanno contribuito come pochi a costruirne le fortune e la potenza attuale, ad Ellis Island – oggi un bel museo sull’immigrazione visitato ogni anno da 4 milioni di persone (compresi i moltissimi americani in cerca delle proprie radici) – c’è una statua in bronzo che la rappresenta. Su di lei si era inizialmente creata una leggenda, che raccontava come la quindicenne irlandese da New York fosse andata in Texas e poi in New Mexico, si fosse sposata con un famoso patriota irlandese e fosse morta in un tragico incidente, travolta da un camion. La realtà era diversa, la sua vera storia è venuta fuori solo nel 2006 (grazie a lunghe ricerche e studi negli archivi dell’epoca) ed è molto meno avventurosa. Quando sbarcò come ‘migrante zero’ Annie aveva già 17 anni, con lei scesero a Ellis Island anche i due fratelli Anthony e Philip (15 e 11 anni) e tutti insieme raggiunsero i genitori (già emigrati) in una povera casa del Lower East Side su Monroe Street. Tre anni dopo l’arrivo si sposò con un panettiere, ebbe undici figli e una vita di privazioni e di stenti in quella New York del primo Novecento dove vigeva la legge del più forte e lo sfruttamento del lavoro (anche minorile) era pane quotidiano per gli immigrati irlandesi, italiani, polacchi ed ebrei. Per lei il ‘sogno americano’ fu una vita durissima e la morte a 42 anni, dopo aver visto morire di malattie e denutrizione cinque dei suoi figli.


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apine, violenza, furiosi pestaggi. Questa è la storia di un ragazzo che è profondamente cambiato. Da adolescente pareva refrattario non solo a qualunque regola, ma anche a qualunque affetto. Una vita allo sbando a Quarto Oggiaro, nonostante due genitori presenti che ce la mettevano tutta. Il carcere, tra il Beccaria e San Vittore, poi — dal 2015 –—l’affidamento in prova presso la comunità Kayròs di don Claudio Burgio. Daniel Zaccaro adesso ha 27 anni, è diventato grande. Ieri si è laureato brillantemente all’università Cattolica, in Scienze della formazione. Vuole diventare educatore, ha già iniziato a lavorare con un ragazzo difficile, proprio come era lui. Ad applaudirlo alla laurea, tra le persone importanti della sua vita, c’era anche la Pm del Tribunale per i minorenni che l’ha fatto condannare in tutte le udienze in cui era imputato.

Una storia di redenzione

Negli occhi di quella Pm — severissima e dalla grande umanità — si leggevano orgoglio e soddisfazione. L’ha mandato in galera per il suo bene «prima», ora lo accompagna nelle scuole, per parlare con i bulli e raccontare la sua storia personale. «È una grande vittoria di tutti noi, questa», diceva dandogli una carezza sulla corona d’alloro: «Daniel racconta agli adolescenti come è riuscito a trovare dentro di sé la forza del cavaliere Jedi. Ma io glielo dico sempre, a costo di sembrare pedante: attento a non farti sedurre dal lato oscuro della forza». Gli vuole bene, come gliene vuole Fiorella, docente in pensione che a San Vittore gli ha fatto studiare il suo primo libro di scuola, l’Inferno di Dante. Lo applaudiva anche lei, ieri, di fianco a don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria insieme a don Gino Rigoldi ed eccezionale nell’agganciare certi ragazzi. «Dietro questo bellissimo traguardo, oltre alla bravura di Daniel, ci sono tante persone e molte istituzioni civili ed ecclesiali che insieme hanno saputo collaborare in questi anni. È la storia di un lavoro di squadra — si schermisce don Claudio —. Questa è la città che mi piace e che ispira il mio impegno educativo quotidiano. Ora toccherà a Daniel raccogliere questo impegno e trasmetterlo ad altri giovani con tutta l’esperienza e la competenza maturati in questo percorso». Quando Daniel ha commesso il primo reato, era «per fare la vita bella, facile, ed essere stimato dal quartiere». Eppure i suoi genitori gli avevano insegnato il valore del lavoro e del rispetto. In carcere continuava a prendere punizioni per cattiva disciplina. Oggi, maturo e attento, si guarda indietro. Ragiona sulla violenza che a volte, specie in gruppo, prende il sopravvento. «La brutalità è indice di povertà di pensiero — dice —. È l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo. I violenti hanno profondissimi problemi di linguaggio. Quando non sai chiamare il dolore e la rabbia con il loro nome ti scateni così, come un animale. Io l’ho capito, e lo voglio spiegare al maggior numero di ragazzi possibile».


l saggio Barbagrigia viveva in una fattoria insieme alla moglie. Un giorno ella gli disse “Abbiamo una mucca di troppo. Che ne diresti di andarla a vendere al mercato?” Il marito approvò e si avviò verso il paese. Ma la strada era lunga, e il sole scottava. Così quando vide passare un contadino che portava al mercato una capretta, pensò che avrebbe potuto barattarla con la sua mucca. Avrebbe risparmiato la strada fino al mercato. «Vuoi scambiare la tua capra con la mia mucca?» gli chiese. L’altro accettò di buon grado, e Barbagrigia si rimise in cammino. Ma le capre, si sa, sono capricciose e bizzarre. Quella cominciò a saltellare qua e là, lasciando il poveretto senza fiato. Per fortuna, s’imbatté in un contadino che portava al mercato un gallo. “Me lo daresti in cambio di questa capra? ». Detto fatto; il gallo lo si poteva portare senza inconvenienti salvo il suo chicchiricchì che forava i timpani. A Barbagrigia non parve vero di venderlo per pagarsi il pranzo in una locanda. “Ed ora, come oserai presentarti a tua moglie?”, domandò un compare quando ebbe inteso la storia di tutti quei baratti «Oh, sarà contentissima”, rispose Barbagrigia. «Vieni e vedrai». «Che cosa scommetti?». «Venti scudi?» «Vada per venti scudi». Giunti che furono alla fattoria, l’amico si nascose dietro l’uscio e stette a sentire. «Eccoti di ritorno, sia lodato Iddio» disse la donna. «Come hai passato la giornata? Sei stato al mercato?». «No, faceva troppo caldo. Per via ho incontrato un tale che portava una capra al mercato e gli ho dato in cambio la mucca». «Ma che buona idea! Ci darà latte e formaggio. Andiamo a metterla nella stalla». «Ma poi ho dato la capra in cambio di un gallo». «Un gallo! Questa si che è una buona idea. Ci servirà da sveglia per alzarci la mattina!». «Neppure il gallo ho portato. Ti dirò, verso sera mi è venuta una fame da lupo, sono entrato in una osteria, e ho dato il gallo per pagare la cena». «Dio sia lodato! Così staremo a letto e dormiremo tranquilli senza che il gallo ci svegli. A me importa solo, lo sai, di saperti felice». La scommessa era vinta. da Fulton Sheen, Tre per sposarsi (libro distribuito dal Centro Missionario Francescano, per acquistarlo: laperlapreziosa@libero.it )


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Mary aveva un agnellino». Una semplice filastrocca per bambini entrò grazie a Thomas Edison e al suo fonografo nella storia delle invenzioni e dei primi tentativi di registrare e riprodur-

re suoni. L'inventore statunitense lavorava nel 1877 a un ripetitore grafico in grado di incidere su un cilindro (utilizzato come supporto al posto del disco) le linee e i punti del Codice Morse e di ripeterlo automaticamente. A questo punto ebbe una grande intuizione: aumentando la velocità del disco, quest'ultimo a contatto con la puntina emetteva un suono simile alla voce umana. Il passo successivo fu di riuscire a registrare la propria voce e a riprodurla allo stesso modo. C'erano già stati esperimenti nello stesso campo, come quello del francese Edouard-Leon Scott de Martinville, ma erano tutti limitati alla sola archiviazione. Edison stupì tutti con la prima dimostrazione del phonograph, di cui si vide riconoscere il brevetto due mesi dopo. Come per le precedenti invenzioni, cercò di trarne profitto commerciale fondando la "Edison Speaking Phonograph Company" per la gestione e produzione del prodotto. Lo scopo di Edison era di farne uno strumento di lavoro più che di intrattenimento ma inizialmente, per via della scarsa qualità del suono, i fonografi vennero installati nei luna park e nelle fiere dove funzionavano a gettoni. Fu lo stesso inventore americano a indicarne l'utilizzo professionale più indicato, presentandolo inconsapevolmente come una sorta di antesignano della segreteria telefonica: «E’ possibile installare un fonografo su un telefono, in modo che a ogni chiamata venga comunicato all’ufficio centrale che la persona cercata in quel momento non è disponibile e che tornerà a casa a una determinata ora». I guadagni arrivarono e più tardi Edison cedette la sua società al prezzo di 10.000 dollari, conservando un 20% di guadagno sui profitti. Le "quotazioni" del fonografo iniziarono a calare nel 1880 con l'invenzione del grafofono di Chichester Bell e Summer Tainter, fino al definitivo tramonto del 1887 quando apparve il grammofono di Emile Berliner che sostituiva il cilindro con un disco e garantiva una migliore qualità di riproduzione rispetto al fonografo.


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he cos'è la preghiera?" È la domanda centrale che papa Francesco ha rivolto ai fedeli presenti in piazza San Pietro. "Per comprendere la bellezza della celebrazione eucaristica desidero iniziare con un aspetto molto semplice: la Messa è preghiera, anzi, è la preghiera per eccellenza, la più alta, la più sublime, e nello stesso tempo la più 'concreta'. Infatti è l'incontro d'amore con Dio mediante la sua parola e il corpo e sangue di Gesù". Così Francesco ha aperto la sua riflessione nell'udienza generale odierna in piazza San Pietro, continuando il nuovo ciclo di catechesi sulla Messa soffermandosi sul tema "La Messa è preghiera". "Che cosa è veramente la preghiera?" Essa è anzitutto dialogo, relazione personale con Dio" ha continuato papa Francesco, e ha aggiunto "ricordiamoci che non andiamo a uno spettacolo, andiamo all'incontro con il Signore: il silenzio ci prepara e ci accompagna. Rimanere in silenzio con Gesù. Dal misterioso silenzio di Dio scaturisce la sua Parola che risuona nel nostro cuore".

Pregare non è ripetere a pappagallo delle frasi, è aprire il cuore al Padre "Pregare non è ripetere a pappagallo delle frasi, è essere umili, riconoscersi figli, riposare nel Padre, fidarsi di Lui" ha proseguito papa Francesco nella catechesi in piazza San Pietro. "Per entrare nel Regno dei cieli è necessario - ha ricordato - farsi piccoli come bambini. Nel senso che i bambini sanno fidarsi, sanno che qualcuno si preoccuperà di loro, di quello che mangeranno, di quello che indosseranno e così via". "Questo - ha aggiunto - è il primo atteggiamento: fiducia e confidenza, come il bambino verso i genitori; sapere che Dio si ricorda di te e si prende cura di te".

Come i bambini, nella preghiera lasciamoci meravigliare dal Signore La seconda predisposizione indicata da papa Francesco riguarda sempre i bambini che si lasciano meravigliare. "Nella nostra relazione con il Signore, nella preghiera, ci lasciamo meravigliare? O pensiamo che la preghiera è parlare a Dio come fanno i pappagalli?", ha domandato allora papa Francesco alla folla di piazza San Pietro, invitando i fedeli a "fidarsi, aprire il cuore per lasciarsi meravigliare". "Ci lasciamo sorprendere da Dio, il Dio delle sorprese?", ha chiesto ancora papa Francesco. "Perché - ha spiegato - l'incontro con il Signore è un incontro vivo, non è un incontro di museo, e noi andiamo alla Messa, non al museo, andiamo all'incontro vivo con il Signore". (Udienza Generale 15.11.2017)


a io vi dico. Gesù entra nel progetto di Dio non per rifare un codice, ma per rifare il coraggio del cuore, il coraggio del sogno. Agendo su tre leve decisive: la violenza, il desiderio, la sincerità. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è potenzialmente un omicida. Gesù va diritto al movente delle azioni, al laboratorio dove si assemblano i gesti. L’apostolo Giovanni affermerà una cosa enorme: «Chi non ama suo fratello è omicida» (1 Gv 3,15). Chi non ama, uccide. Il disamore non è solo il mio lento morire, ma è un incubatore di violenza e omicidi. Ma io vi dico: chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è sulla linea di Caino… Gesù mostra i primi tre passi verso la morte: l’ira, l’insulto, il disprezzo, tre forme di omicidio. L’uccisione esteriore viene dalla eliminazione interiore dell’altro. Chi gli dice pazzo sarà destinato al fuoco della Geenna. Geenna non è l’inferno, ma quel vallone alla periferia di Gerusalemme, dove si bruciavano le immondizie della città, da cui saliva perennemente un fumo acre e cattivo. Gesù dice: se tu disprezzi e insulti il fratello tu fai spazzatura della tua vita, la butti nell’immondizia; è ben più di un castigo, è la tua umanità che marcisce e va in fumo. Ascolti queste pagine che sono tra le più radicali del Vangelo e capisci per contrasto che diventano le più umane, perché Gesù parla solo della vita, con le parole proprie della vita: «Custodisci le mie parole ed esse ti custodiranno» (Prov 4,4), e non finirai nell’immondezzaio della storia. Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: se guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se tu desideri una donna; ma: se guardi per desiderare, con atteggiamento predatorio, per conquistare e violare, per sedurre e possedere, se la riduci a un oggetto da prendere o collezionare, tu commetti un reato contro la grandezza di quella persona. Adulterio viene dal verbo a(du)lterare che significa: tu alteri, cambi, falsifichi, manipoli la persona. Le rubi il sogno di Dio. Adulterio non è tanto un reato contro la morale, ma un delitto contro la persona, deturpi il volto alto e puro dell’uomo. Terza leva: Ma io vi dico: Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù va fino in fondo, arriva al divieto della menzogna. Di’ sempre la verità e non servirà più giurare. Non abbiamo bisogno di mostraci diversi da ciò che siamo nell’intimo. Dobbiamo solo curare il nostro cuore, per poi prenderci cura della vita attorno a noi; c’è da guarire il cuore per poi guarire la vita. Padre Ermes Ronchi


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TERMINATA LA

M ESSA

PORTAMI CON TE E A CASA E CON COMODO, RILEGGI E MEDITA LA

C Preghiamo: O Dio, che riveli la pienezza della legge nella giustizia nuova fondata sull’amore, fa’ che il popolo cristiano, radunato per offrirti il sacrificio perfetto, sia coerente con le esigenze del Vangelo, e diventi per ogni uomo segno di riconciliazione e di pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. C. La pace, la carità e la fede da T. . parte di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cristo siano con tutti voi. T. E con il tuo spirito.

PAROLA

DI

DIO


C. Dio ci ha lasciati liberi di sce- una sola voce l'inno della tua glogliere, ma non ci lascia mai da soli. ria: Santo, Santo,… … … … Egli ci propone continuamente di camminare insieme a lui e spera sempre in un nostro 'sì'. Preghiamo insieme e diciamo: Signore, aiutaci a scegliere il bene. 1. Perché la nostra creatività sappia trovare delle soluzioni sempre nuove per dimostrare al mondo la nostra fede in te. Preghiamo. 2. Perché sappiamo sempre che il miglior modo per essere giusti è aprirci alla tua Parola. Preghiamo. 3. Perché ricerchiamo sempre la vera sapienza che non è mai presunzione di sapere o smania di possedere. Preghiamo. 4. Perché affidiamo a te il giudizio su di noi e sui nostri fratelli, e non ai nostri criteri o alla nostra durezza di cuore. Preghiamo. C. Padre, tu ci hai rivelato, nella resurrezione del Figlio tuo, che la scelta d’amore sopravvive anche alla morte. Aiutaci a non aver paura di scegliere di seguire il suo esempio. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. T

C. 10È veramente giusto benedirti e ringra-ziarti, Padre santo, sorgente della verità e della vita perché in questo giorno di festa ci hai convocato nella tua casa. Oggi la tua famiglia, riunita nell'ascolto della parola e nella comunione dell'unico pane spezzato fa memoria del Signore ri-sorto nell'attesa della domenica senza tramonto, quando l'umanità intera entrerà nel tuo riposo. Allora noi vedremo il tuo volto e lodere-mo senza fine la tua misericordia. Con questa gioiosa speranza, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo a

C. Preghiamo : Signore, che ci hai nutriti al convito eucaristico, fa’ che ricerchiamo sempre quei beni che ci danno la vera vita. Per Cristo nostro Signore.


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