ADESTE NR. 13 Domenica 31 Marzo 2019

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prile, secondo alcune interpretazioni, deriva il suo nome dall’etrusco “Apro”, a sua volta dal greco “Afrodite”, dea dell’amore, cui questo mese era dedicato. Secondo altre teorie, invece, il nome deriva dal latino “aperire” (aprire) per indicare il mese in cui le piante e i fiori si schiudono. Nell’antico calendario romano, prima della riforma di Numa Pompilio, aprile era il secondo di dieci mesi e raccoglieva tre importanti festività: i Veneralia, legati al culto della dea dell’amore e della fertilità femminile; i Cerealia, in onore di Cerere, dea della fertilità della terra e della coltivazione dei campi; i Floralia, dedicati a Flora, divinità italica delle piante utili all’alimentazione, identificata, in seguito, come “dea della primavera“. Fin dall’antichità, dunque, aprile era visto come il mese della rinascita della natura dopo il lungo letargo invernale, durante il quale la terra presenta le prime preziose fioriture, mettendosi nelle condizioni migliori per essere arata e seminata. Non è un caso, dunque, che secondo la leggenda proprio in questo periodo Romolo tracciasse con l’aratro i confini della “città eterna”, Roma, la quale prenderà da lui il nome. Il clima di aprile si presenta, di solito più mite, con giornate più lunghe ed esposte alla luce solare, ma con un’elevata pioviosità, tanto che un antico proverbio recita: “Quando tuona d’aprile buon segno per il barile”. Nella civiltà contadina un aprile abbastanza piovoso significava ottenere un abbondante raccolto. I proverbi, frutto della saggezza popolare, soprattutto contadina, sono davvero numerosi e ruotano spesso sulle condizioni meteorologiche che tanto influenzano il lavoro nei campi e la vita in essi. Eccone alcuni: “la prim’acqua d’aprile vale un carro d’oro con tutto l’assile”, “la neve di gennaio diventa sale, e quella d’aprile farina”, “la nebbia di marzo non fa male, ma quella d’aprile toglie il pane e il vino”, “D’aprile piove per gli uomini e di maggio per le bestie”,”Aprile temperato non è mai ingrato”, “Marzo alido, aprile umido”, “April, apriletto, un dì freddo un dì caldetto”, “Aprile freddo gentile”. Riguardo al famoso “pesce d’aprile” un simpatico proverbio recita:”Al primo aprile, una burla si può dire”, mentre altri due detti

affermano: “D’aprile non ti scoprire” e “Aprile, non t’alleggerire”. Un proverbio molto famoso dice ”Aprile, dolce dormire” ed un altro, relativo al lavoro nei campi, consiglia: “Se vuoi cocomeri grossi come un barile,piantali il primo giovedì d’Aprile”. Proseguendo: “Aprile carciofaio, maggio ciliegiaio”, “San Marco (25 aprile) bagnato porta il fieno sul selciato” e “Per Santa Caterina (29 aprile) le vacche alla cascina”. Un detto molto diffuso che ha numerose rivisitazioni regionali, in italiano è: “Aprile ogni goccia un barile”, segnalando la forza vivificatrice della pioggia, abbondante nel corso del mese. Un proverbio brianzolo dice: “April piöva piöva ch’el vê gross la cöva”(aprile piova, piova, che si ingrossa il covone), un proverbio veneto “la piova di april, impianta el fenil” (la pioggia di aprile riempie il fienile), mentre,nella zona di Bordighera si recita: “Se nu ceuve in ru mese d’arvì, loche, è nasciuu u turna a meuiri” (Se non piove ad aprile, quello che è nato torna a morire”. Per sottolineare che il mese d’aprile è rigoglioso al punto che potrebbe fiorire qualsiasi cosa, anche il manico del barile, si sostiene che “ I fiori vanno piantati ad aprile, perché fiorisce anche il manico del badile”. Di questa fioritura testimone è il proverbio veneto “Aprìl, aprileto, ogni dì un raméto”. Legato, in parte, anche alla Pasqua, festa tipica di aprile, il proverbio che dice: “Se piove il giorno di Pasqua, più uva che fronde”ed un altro detto meteorologico recita: “Sole sugli ulivi (la Domenica delle palme), acqua sulle uova sode (Pasqua)”; confermato anche dall’adagio diffuso nell’Italia centrale “Il sole sulle palme tagliate chiama l’acqua sulle uova lessate Sulla Pasqua bagnata”, troviamo nel Salentino “Cu bbete na bbona annata, Natale ssuttu e Pasca muggiata”, che significa: “Per essere una buona annata Natale


Pesce d’aprile” è l’espressione con cui definiamo lo scherzo tradizionalmente compiuto il primo giorno di aprile, il “giorno degli scherzi” che viene riconosciuto soprattutto in Europa ma è diffuso in tutto il mondo. Nella maggior parte delle culture antiche si tenevano in questo periodo riti o feste di “rinascita” per festeggiare la fine della stagione invernale e l’inizio della stagione primaverile, feste a cui il “giorno degli scherzi” sembra collegato. L’Encyclopædia Britannica individua alcune possibili origini di questa tradizione in quella romana e in quella indiana. Nell’antica Roma la fine di marzo era il periodo delle feste di Hilaria – in onore della dea Cibele, la “grande madre”, dea della terra – che avevano il loro culmine il 25 marzo, giorno dedicato ai festeggiamenti per la resurrezione del dio Attis, mentre la tradizione indiana alla fine del mese di marzo celebrava la festa di Holi, conosciuta anche come festa dei colori. Entrambe le feste sancivano il passaggio dall’inverno alla primavera, festeggiandolo come una rinascita. Il rito contemporaneo dello scherzo del primo aprile potrebbe avere origine, secondo l’Encyclopædia Britannica, in Francia nella seconda metà del Cinquecento, quando l’editto di Roussillion (1564) prima e poi l’applicazione del calendario gregoriano (1582), spostarono le celebrazioni per l’inizio dell’anno dal 25 marzo del calendario giuliano al 1 gennaio. Dopo l’introduzione del nuovo calendario, chi continuò a festeggiare la fine dell’anno durante l’ultima settimana di marzo veniva considerato uno stupido e fatto oggetto di scherzi. Ma il primo aprile come “giorno degli scherzi” sembra avere un collegamento con il primo giorno dell’anno anche da molto prima del XVI secolo: in Iran, il primo giorno del nuovo anno cade sempre l’1 o il 2 aprile, e farsi scherzi durante questa festa è una tradizione che sembra attestata già diversi secoli prima di Cristo. Gli antichi romani festeggiavano poi, negli ultimi giorni dell’anno, i Saturnalia, una festa di diversi giorni collegata al culto del Sole in cui, temporaneamente, gli schiavi si sedevano a tavola per essere serviti dai padroni, in un’atmosfera di festa in cui anche il gioco d’azzardo era eccezionalmente permesso. Nella tradizione anglosassone si fa riferimento a questa data come al “giorno delle prese in giro” o “degli sciocchi” (April Fools’ day). In Scozia il primo aprile si chiama il Gowkie Day, alludendo alla stupidità, ma anche alla licenziosità sessuale. In Italia e in Francia, invece, il primo aprile è chiamato “pesce d’aprile” – “poisson d’avril” in francese. Questo riferimento ai pesci per indicare gli scherzi che vengono fatti oggi ha origini incerte. L’Encyclopædia Britannica ipotizza un legame tra la stupidità di chi viene preso di mira e la facilità con cui si fanno prendere alcuni pesci e cita la tradizione francese, ma anche italiana, che vuole che tra bambini e compagni di scuola si attacchino piccoli pesci ritagliati sulla schiena delle vittime. Per altri invece questo accostamento tra gli scherzi del primo aprile e i pesci deriverebbe dall’uscita del Sole dalla costellazione dei Pesci, che avviene alla fine di marzo. In Spagna e in diversi paesi dell’America Latina, il giorno tradizionalmente destinato agli scherzi è il 28 dicembre, festività cristiana dei Santi Innocenti.


una beffa colossale di risonanza mondiale: nella calda estate del 1984 tre sculture sono ritrovate in un canale a Livorno, e gli esperti e i critici d’arte, da Giulio Carlo Argan a Cesare Brandi, sono tutti unanimi nel attribuire le sculture opere dello scultore Amedeo Modigliani. Livorno, città natale dell’artista, in quel periodo, commemora l’attività di scultore di Modigliani in occasione del centenario della nascita. Al museo d’arte moderna di Villa Maria sono in mostra 4 delle 26 teste di Modigliani e la direttrice del museo e curatrice della mostra, Vera Durbé con la collaborazione del fratello Dario, sovrintendente alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, decide di accreditare una vecchia leggenda: Modigliani avrebbe gettato nei fossi livornesi quattro sculture perché da lui stesso ritenute insoddisfacenti. Inizia quindi la dragatura dei canali, un’operazione con grande risonanza nei media. Tre studenti universitari livornesi Michele Ghelarducci, Pietro Luridiana e Pierfrancesco Ferrucci sono in vena di scherzi; Decidono di scolpire una testa con tratti duri e lunghi tipici di Modigliani, e gettarla nei fossi. Più tardi dicono: “Visto che non trovavano niente, abbiamo deciso noi di fargli trovare qualcosa!”. La scavatrice, finanziata dal comune di Livorno, da 7 giorni ha perlustrato i fossi senza risultati. Poi l’ottavo giorno accade “il miracolo”; sotto i riflettori delle troupe televisive le ruspe agguantano la testa. Per quaranta giorni l’altezzoso mondo dell’arte grida al capolavoro. Poi i falsari decidono di confessare tutto in un’intervista a Panorama e il settimanale pubblica alcune foto scattate dei tre studenti in un giardino nel momento stesso in cui compiono l’opera. I falsari vengono invitati in televisione, durante la prima serata, per eseguire un’altra scultura. Per dovere di cronaca: Alcuni giorni dopo il primo ritrovamento, altre due teste sono ritrovate nei fossi. Si scopre in seguito che sono opere di un altro livornese, Angelo Froglia, scultore e pittore. Spiega che il suo intento fu di …”evidenziare come attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente. Inoltre io sono un artista, mi muovo nei canali dell’arte, volevo suscitare un dibattito sui modi dell’arte e questo mi è riuscito in pieno. La mia è stata un’operazione concettuale, se volete in un certo senso è stata anche un’opera d’arte, come quella di Christo che impacchetta i monumenti, ma non avevo alcun intento polemico contro l’amministrazione, né contro la città, né contro i critici d’arte come singoli. Volevo semplicemente far sapere come nel mondo dell’arte l’effetto dei mass media e dei cosiddetti esperti possa portare a prendere grossissimi granchi”.


previsto anche un incontro con la comunità rom negli intensi tre giorni della visita di papa Francesco in Romania, in calendario dal 31 maggio al 2 giugno prossimi. Secondo il programma diffuso dalla Sala stampa vaticana, saranno nove i discorsi pronunciati dal Papa nel corso di questo nuovo viaggio alle periferie d'Europa, che seguirà quello in Bulgaria e nella Macedonia del Nord previsto dal 5 al 7 maggio. VENERDÌ 31 MAGGIO Venerdì 31 maggio, Francesco partirà alle 8.10 da Roma-Fiumicino per Bucarest, nel cui aeroporto internazionale atterrerà alle 11.30. Dopo l'accoglienza ufficiale allo scalo aereo, la cerimonia di benvenuto vera e propria si svolgerà all'ingresso del complesso del Palazzo presidenziale Cotroceni, cui seguiranno la visita di cortesia al presidente della Repubblica Klaus Iohannis e l'incontro col primo ministro Viorica Dancila. Alle 13 è previsto quindi l'incontro con le autorità, la società civile e il Corpo diplomatico, sempre nel Palazzo Cotroceni. A partire dalle 15.45, quindi, l'incontro con il patriarca ortodosso Daniele nel Palazzo del Patriarcato, l'incontro con il Sinodo permanente della Chiesa ortodossa rumena, la preghiera del Padre Nostro nella nuova Cattedrale ortodossa e ma messa nella Cattedrale cattolica di San Giuseppe. SABATO 1 GIUGNO Sabato 1 giugno, il Papa partirà alle 9.30 in aereo per Bacau, atterrandovi alle 10.10 e trasferendosi poi in elicottero allo stadio di MiercureaCiuc. Francesco celebrerà la Messa nel Santuario cattolico di Sumuleu-Ciuc, molto caro anche agli ungheresi, trasferendosi subito dopo in elicottero a Iasi, per la visita alla Cattedrale di Santa Maria regina e l'incontro mariano con la gioventù e le famiglie nel piazzale antistante il Palazzo della Cultura. Alle 19 il volo di rientro a Bucarest. DOMENICA 2 GIUGNO Domenica 2 giugno, Francesco partirà alle 9.00 in aereo per Sibiu, dove atterrerà alle 9.40 per trasferirsi poi in elicottero a Blaj. Qui, nel Campo della Libertà, è in programmala divina liturgia con la beatificazione dei sette vescovi greco-cattolici martiri. Dopo il pranzo col seguito papale, sempre a Blaj, il resto del programma prevede l'incontro con la comunità rom, il trasferimento in auto chiusa allo Stadio Municipale per il ritorno in elicottero a Sibiu dal cui aeroporto, dopo la cerimonia di congedo dallaRomania, il Papa alle 17.30 partirà in aereo per Roma-Ciampino.


Romania dopo il 1945 fu teatro di una delle più spietate e sanguinose persecuzioni anticattoliche di tutto il XX secolo ad opera del governo comunista. Una pagina di storia che disonora chi la scrisse e che esalta invece l’eroismo dei molti – vescovi e sacerdoti, soprattutto greco-cattolici – che la subirono senza piegarsi. La selvaggia violenza che contraddistinse le prigioni comuniste della Romania fu senz’altro maggiore rispetto agli altri Paesi dell’Est sovietizzato. Gli antefatti, accaduti nel ventennio fra le due guerre, non sono privi di rilievo rispetto a ciò che accadde dopo. Il primo fu l’ampliamento territoriale della Romania dopo la prima guerra mondiale, in particolare l’acquisizione della Transilvania, abitata prevalentemente da ungheresi e da cattolici di rito orientale, che caricò un paese già fragile, fino ad allora quasi interamente ortodosso, della necessità di gestire due minoranze, etnica e religiosa. Il secondo è rappresentato dal concordato con la Santa Sede, stipulato nel 1927 e andato a effetto due anni dopo, che creò una situazione di privilegio sicuramente anomala per la componente cattolica. Dopo la seconda guerra mondiale la Romania finì nel blocco sovietico, con la conseguenza che su un incerto tessuto sociale si abbatté il ciclone dello stalinismo, ossessionato dall’idea di abbattere ad ogni costo due nemici: i valori spirituali, che si opponevano alla costruzione della società comunista, ed i poteri “esterni” all’orbita del sistema sovietico, che secondo loro minacciavano la compattezza oppressiva del potere. Il cattolicesimo, ancorato ad una trascendenza non spiritualistica ma fortemente incarnata nella storia, nonché obbediente ad una cabina di regia “reazionaria” ed “anticomunista” quale la Santa Sede del Venerabile Pio XII, li rappresentava entrambi. Di qui la lotta spietata contro il cattolicesimo, scatenata in tutte le nazioni situate oltre la cortina di ferro. Nel giro di pochi anni, il regime comunista romeno, guidato dall’URSS, annientò con il metodo del terrore entrambe le componenti del cattolicesimo locale: quella latina e quella di rito orientale, una delle Chiese greco-cattoliche tanto vituperate a partire dall’incontro cubano tra Francesco e Kirill, che nel 1948 contava 6 diocesi e oltre un milione e mezzo di fedeli. Quest’ultima fu sciolta, privata dei beni e delle chiese e riportata a forza nell’alveo dell’ortodossia con un atto di imperio politico (ottobre 1948) analogo a quello già attuato in Ucraina, mentre i suoi vescovi, incarcerati per il loro rifiuto di staccarsi da Roma, subirono un martirio che rimane scolpito con i colori del sangue nella storia del Novecento. Durante la sua Visita Apostolica in Romania, Giovanni Paolo II non esitò a rammentare ai cattolici di tale nazione la necessità di ricordare i martiri del XX secolo, che si sarebbero sicuramente poi rivelati “seme di nuovi cristiani”. Sabato 8 maggio 1999, nell’omelia della Divina Liturgia in rito grecocattolico celebrata presso la cattedrale di San Giuseppe in Bucarest, il pontefice ricordava: “Vengo ora dal cimitero cattolico di questa città: sulle tombe dei pochi martiri noti e dei molti, le cui spoglie mortali non hanno neppure l’onore di una cristiana sepoltura, ho pregato per tutti voi, ed ho invocato i vostri martiri e i confessori della fede, perché intercedano per voi presso il


Padre che sta nei cieli. Ho invocato in particolare i Vescovi, perché continuino ad essere vostri Pastori dal cielo: Vasile Aftenie e Ioan Balan, Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu, Alexandru Rusu. Il vostro martirologio si apre con l’ideale concelebrazione di questi vescovi che hanno mescolato il loro sangue con quello del sacrificio eucaristico che quotidianamente avevano celebrato. Ho invocato anche il Cardinale Iuliu Hossu, che preferì restare con i suoi fino alla morte, rinunciando a trasferirsi a Roma per ricevere dal Papa la berretta cardinalizia, perché questo avrebbe significato lasciare la sua amata terra”. Per questi sette vescovi della Chiesa Greco-Cattolica Romena unita con Roma, che non esitarono a versare il loro sangue per Cristo e per il suo gregge al tempo del regime comunista, sin dal 28 gennaio 1997 si era ottenuto dalla Congregazione per le Cause dei Santi il nulla osta per l’avvio della loro comune causa di canonizzazione. Papa Francesco, il 2 Giugno 2019, nel corso della sua visita in Romania, beatificherà a Blaj i 7 Vescovi martiri

Iuliu Hossu nacque il 30 gennaio

1885 a Milas dai genitori Ioan, sacerdote, e Victoria. Nel 1904 intraprese gli studi teologici presso il Collegio De Propaganda Fide di Roma. Nel 1906 e nel 1908 conseguì rispettivamente i dottorati in filosofia e teologia. Il 27 marzo 1910 ricevette l’ordinazione presbiterale dal vescovo Vasile Hossu. A Lugoj rivestì gli incarichi di protocollista, archiviario, bibliotecario ed infine vicario e segretario episcopale. Il 3 marzo 1917 fu nominato vescovo dell’eparchia greco-cattolica di Gerla in Transilvania, rimasta vacante, mentre lui svolgeva il ministero di cappellano militare. Il 1° dicembre 1918 gli toccò proclamare la Dichiarazione di Unità della Romania nella pianura di Blajului, con la quale si sanciva la separazione della Transilvania dall’impero austro-ungarico e l’unificazione con la Moldavia e la Valacchia nel nascente stato rumeno. Nel 1930 l’eparchia di Gherla mutò la sua denominazione in Cluj-Gherla, spostando il suo centro nella città di Cluj Napoca. Qui si verificò un periodo di occupazione tra il 1940 ed il 1944. Il 28 ottobre 1948 il vescovo Hossu fu arrestato dal governo comunista e portato a Dragoslavele. Più tardi fu trasferito al Monastero ortodosso Caldarusani e nel 1950 nel penitenziario di Sighetul Marmatiei. Nel 1955 poi arrivò a Curtea de Arges, nel 1956 al monastero di Ciorogarla ed infine nuovamente a Caldarusani. Così scriveva nell’agosto 1961, mentre vi si trovava forzatamente rinchiuso, nelle prime pagine delle sue memorie: “Il tuo amore, Signore, non sono riusciti a togliermelo via; esso mi basta: ti chiedo perdono per tutti i miei peccati e umile ti ringrazio con tutto il mio essere per tutto quello che hai dato a me, il tuo indegno servo”. Iulia Hossu fu ormai privato di ogni libertà sino alla sua morte, avvenuta il 28 maggio 1970 presso l’Ospedale Colentina di Bucarest, ove le sue ultime parole furono: “La mia battaglia è finita, la vostra continua”. Papa Paolo VI lo aveva creato Cardinale “in pectore” nel 1969, primo di nazionalità romena, per poi renderle pubblica la nomina nel 1973, tre anni dopo la morte del pastore.


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ITALIANI NEL MONDO


Sono due le ipotesi principali sull’origine della carbonara: quella appenninica e quella alleata. Secondo la prima tesi, il piatto sarebbe stato inventato dai carbonai (carbonari in romanesco), che lo preparavano usando ingredienti di facile reperibilità e conservazione. La carbonara sarebbe quindi l’evoluzione del piatto detto cacio e ova, di origini laziali e abruzzesi, che i carbonari erano soliti preparare il giorno prima portandolo nelle loro saccocce e che consumavano con le mani. Il pepe era già usato in buona quantità per la conservazione del guanciale, grasso o lardo usato in sostituzione dell’olio, ingrediente troppo caro per i carbonai. L’origine abruzzese-appenninica di questo piatto trova un’altra conferma nel nome stesso di questa pietanza: il termine Carbonada in Abruzzo si riferisce alla pancetta, ovvero carne di suino salata e cotta sui carboni. La seconda ipotesi è quella alleata e prende le mosse dal fatto che il piatto viene ricordato per la prima volta nel periodo immediatamente successivo alla liberazione di Roma nel 1944, quando nei mercati romani apparve il bacon portato dalle truppe alleate. Questo spiegherebbe perché nella carbonara, a differenza di altri sughi come l’amatriciana, la pancetta e il guanciale vengono riportati spesso come ingredienti equivalenti. Secondo questa tesi, sembrerebbe che durante la seconda guerra mondiale i soldati americani giunti in Italia combinando gli ingredienti a loro più familiari che riuscivano a reperire, e cioè uova, pancetta e spaghetti, preparandosi da mangiare, abbiano dato l’idea ai cuochi italiani per la ricetta vera e propria che si svilupperà compiutamente solo più tardi. La carbonara è un piatto caratteristico del Lazio, di Roma in particolare. La qualità di pasta più adoperata è lo spaghetto, ma vi si prestano bene anche le linguine oppure i rigatoni. Quali sono gli ingredienti? Prima di tutto ci sono le uova: solo tuorlo o anche albume? Meglio il tuorlo assoluto. Poi servirebbe il guanciale fatto a striscioline, il vero elemento di sapore, e non la pancetta affumicata. A seguire il formaggio: essendo una ricetta laziale, no al grana o al parmigiano, sì al pecorino; pepe nero macinato e sale. Assolutamente vietati, invece, la panna: un errore molto comune e un sacrilegio per i puristi del gusto, come pure cipolla e aglio. L’uovo non andrebbe infine stracotto, dunque è utile prestare attenzione a non farne una stracciatella. I puristi, infine, evitano anche di usare l’olio affidandosi unicamente al grasso del guanciale sciolto in padella per condire la pasta.



● Una famiglia e una casa sono due cose che si richiamano a vicenda. Questo esempio mostra che dobbiamo insistere sui diritti della famiglia, e non solo sui diritti individuali. La famiglia è un bene da cui la società non può prescindere, ma ha bisogno di essere protetta ● Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società. Accade il contrario: pregiudica la maturazione delle persone, la cura dei valori comunitari e lo sviluppo etico delle città e dei villaggi. ● Molti uomini sono consapevoli dell’importanza del proprio ruolo nella famiglia e lo vivono con le qualità peculiari dell’indole maschile. L’assenza del padre segna gravemente la vita familiare, l’educazione dei figli e il loro inserimento nella società. La sua assenza può essere fisica, affettiva, cognitiva e spirituale. Questa carenza priva i figli di un modello adeguato del comportamento paterno. ● Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività. Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira, e alla fine diventeremo persone che non sanno convivere, antisociali incapaci di dominare gli impulsi, e la famiglia si trasformerà in un campo di battaglia. ● Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio degli uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente, perché tale logica fa venir meno l’amore. ● Quando siamo stati offesi o delusi, il perdono è possibile e auspicabile, ma nessuno dice che sia facile. La verità è che “la comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione”. ● Per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali.


parabola più bella, in quattro sequenze narrative. Prima scena. Un padre aveva due figli. Nella bibbia, questo incipit causa subito tensione: le storie di fratelli non sono mai facili, spesso raccontano drammi di violenza e menzogne, riportano alla mente Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, e il do-

lore dei genitori. Un giorno il figlio minore se ne va, in cerca di se stesso, con la sua parte di eredità, di ? vita?. E il padre non si oppone, lo lascia andare anche se teme che si farà male: lui ama la libertà dei figli, la provoca, la festeggia, la patisce. Un uomo giusto. Secondo quadro. Quello che il giovane inizia è il viaggio della libertà, ma le sue scelte si rivelano come scelte senza salvezza («sperperò le sue sostanze vivendo in modo dissoluto»). Una illusione di felicità da cui si risveglierà in mezzo ai porci, ladro di ghiande per sopravvivere: il principe ribelle è diventato servo. Allora rientra in sé, lo fanno ragionare la fame, la dignità umana perduta, il ricordo del padre: «quanti salariati in casa di mio padre, quanto pane!». Con occhi da adulto, ora conosce il padre innanzitutto come un signore che ha rispetto della propria servitù (R. Virgili). E decide di ritornare, non come figlio, da come uno dei servi: non cerca un padre, cerca un buon padrone; non torna per senso di colpa, ma per fame; non torna per amore, ma perché muore. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in cammino, a lui basta il primo passo Terza sequenza. Ora l'azione diventa incalzante. Il padre, che è attesa eternamente aperta, «lo vede che era ancora lontano», e mentre il figlio cammina, lui corre. E mentre il ragazzo prova una scusa, il padre non rinfaccia ma abbraccia: ha fretta di capovolgere la lontananza in carezze. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Non ha figli da buttare, Dio. E lo mostra con gesti che sono materni e paterni insieme, e infine regali: «presto, il vestito più bello, l'anello, i sandali, il banchetto della gioia e della festa». Ultima scena. Lo sguardo ora lascia la casa in festa e si posa su di un terzo personaggio che si avvicina, di ritorno dal lavoro. L'uomo sente la musica, ma non sorride: lui non ha la festa nel cuore (R. Virgili). Buon lavoratore, ubbidiente e infelice. Alle prese con l'infelicità che deriva da un cuore che non ama le cose che fa, e non fa le cose che ama: io ti ho sempre ubbidito e a me neanche un capretto... il cuore assente, il cuore altrove. E il padre, che cerca figli e non servi, fratelli e non rivali, lo prega con dolcezza di entrare: è in tavola la vita. Il finale è aperto: capirà? Aperto sull'offerta mai revocata di Dio. Padre Ermes Ronchi


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SALUTO

+Nel nome del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo. A. Amen. C. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. A. E con il tuo spirito. INTRODUZIONE DEL CELEBRANTE

BENEDIZIONE DELL'ACQUA

C. Fratelli e sorelle, preghiamo umilmente il Signore Dio nostro, perché benedica quest'acqua con la quale saremo aspersi noi e le nostre famiglie in ricordo del nostro Battesimo. Il Signore ci rinnovi interiormente, perché siamo sempre fedeli allo Spirito che ci è stato dato in dono. +Dio eterno e onnipotente, tu hai voluto che per mezzo dell'acqua, elemento di purificazione e sorgente di vita, anche l'anima venisse lavata e ricevesse il dono della vita eterna: benedici X quest'acqua, perché diventi segno della tua protezione in questo giorno a te consacrato. Rinnova in noi, Signore, la fonte viva della tua grazia e difendici da ogni male dell'anima e del corpo, perché veniamo a te con cuore puro. Per Cristo nostro Signore.

della terra, la manna cessò. Parola di Dio. A. Rendiamo grazie a Dio.

SALMO RESPONSORIALE

RIT: Gustate e vedete com'è buono il Signore. Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino. R. Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato. R. Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce. R.

Seconda Lettura

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi. Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: ASPERSIONE DEI FEDELI lasciatevi riconciliare con Dio. C. Dio onnipotente ci purifichi dai peccati, e per questa celebra- Colui che non aveva conosciuto zione dell'Eucaristia ci renda degni peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potesdi partecipare alla mensa del suo simo diventare giustizia di Dio. regno. A. Amen Parola di Dio. COLLETTA A. Rendiamo grazie a Dio C. O Padre, che per mezzo del (in piedi) tuo Figlio operi mirabilmente la Canto al Vangelo nostra redenzione, concedi al poLode a te, o Cristo,re di eterna polo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso gloria Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato la Pasqua ormai vicina. Per il noverso il Cielo e davanti a te. stro Signore...A. Amen Lode a te, o Cristo, …... (seduti) Il Signore sia con voi LITURGIA DELLA PAROLA C. A. E con il tuo spirito. Prima Lettura C. Dal Vangelo secondo LUCA Dal libro di Giosuè. A. Gloria a te o Signore In quei giorni, il Signore disse a VA N G E L O Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l'infamia dell'Egitto». Gli Israe- In quel tempo, si avvicinavano a liti rimasero accampati a Gàlgala e Gesù tutti i pubblicani e i peccatori celebrarono la Pasqua al quattordi- per ascoltarlo. I farisei e gli scribi ci del mese, alla sera, nelle steppe mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con di Gerico. Il giorno dopo la Paloro». squa mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustoli- Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più to in quello stesso giorno. giovane dei due disse al padre: E a partire dal giorno seguente, "Padre, dammi la parte di patrimocome ebbero mangiato i prodotti

nio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisogna-


va far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"». Parola del Signore. A. Lode a te, o Cristo. OMELIA ( Seduti) CREDO in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

PREGHIERA DEI FEDELI

C. Uniamo le nostre anime e le nostri voci, perché la comune preghiera sia capace di attraversare le nubi e di giungere, come il grido del povero, fino al trono di Dio. Preghiamo insieme dicendo: R. Ascolta, o Padre, la voce del tuo popolo. Perché tutti ritorniamo al nostro fonte battesimale, per rinnovare la rinun ia al maligno e l'adesione di fede a Cristo, che valgono come statuto della nostra vita, preghiamo. R. Perché accogliendo l'invito del Signore ci rivolgiamo al ministro del perdono, per celebrare insieme il sacramento della riconciliazione, battesimo delle lacrime e segno della nostra conversione, preghiamo. R. Perché i figli prodighi e dispersi sentano la nostalgia della casa del Padre e si uniscano al banchetto della fraternità, preghiamo. R. Perché la Chiesa qui presente intorno all'altare si purifichi da tutto ciò che oscura la fede, indebolisce

la speranza ed estingue la carità, per celebrare in una vera comunione di anime la festa pasquale, preghiamo. R. C. O Padre, che hai cura dei deboli, rivolgi il tuo sguardo misericordioso su quanti attendono il tuo soccorso e il tuo perdono, perché, restituiti alla speranza dalla morte redentrice del tuo Figlio, innalziamo a te il canto della riconoscenza e della lode. Per Cristo nostro Signore. A. Amen

LITURGIA EUCARISTICA

C. Pregate, fratelli e sorelle, perché portando all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo a offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente. A. Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa. (in piedi)

Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire:

PADRE NOSTRO

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male. C. Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l'aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo. A. Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli

R ITO DELLA PACE

C. Signore Gesu’ che hai detto ai SULLE OFFERTE tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi C. Ti offriamo con gioia, Signore, do la mia pace” non guardare ai questi doni per il sacrificio: aiutaci nostri peccati ma alla fede della a celebrarlo con fede sincera e a tua Chiesa, e donale unità e pace offrirlo degnamente per la salvezza secondo la tua volontà. Tu che vivi del mondo. Per Cristo nostro Sie regni nei secoli dei secoli. gnore. A. Amen. A. Amen PREGHIERA EUCARISTICA C. La pace del Signore sia sempre C. Il Signore sia con voi. con voi. A. E con il tuo spirito. A. E con il tuo spirito. C. In alto i nostri cuori. C. Come figli del Dio della paA. Sono rivolti al Signore. ce, scambiatevi un gesto di coC. Rendiamo grazie al Signore munione fraterna. nostro Dio A. Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.(2 .A. E’ cosa buona e giusta VOLTE) C. E' veramente cosa buona e Agnello di Dio, che togli i pecgiusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in cati del mondo, dona a noi la pace. C. Beati gli invitati alla cena del ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, Signore Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. per Cristo nostro Signore. O Signore, non sono degno Nel mistero della sua incarnazione A. di partecipare alla tua mensa: ma egli si è fatto guida dell'uomo che camminava nelle tenebre per con- di’ soltanto una parola e io sarò durlo alla grande luce della fede. salvato. DOPO LA COMUNIONE Con il sacramento della rinascita C. Preghiamo ha liberato gli schiavi dell'antico O Dio, che illumini ogni uomo che peccato per elevarli alla dignità di viene in questo mondo, fà risplenfigli. Per questo mistero il cielo e la ter- dere su di noi la luce del tuo volto, ra intonano un canto nuovo, e noi, perché i nostri pensieri siano semuniti agli angeli, proclamiamo con pre conformi alla tua sapienza e voce incessante la tua lode:Santo, possiamo amarti con cuore sincero. Per Cristo nostro Signore. (In ginocchio) A. Amen C. Mistero della fede C. Il Signore sia con voi. A. Annunciamo la tua morte, SiA. E con il tuo spirito. gnore, proclamiamo la tua risurreC. Vi benedica Dio onnipotente zione nell’attesa della tua venuta. Padre e Figlio e Spirito Santo DOPO LA PREGHIERA EUCARISTICA A. Amen. C. Per Cristo, con Cristo e in CriC. Nel nome del Signore: andate sto, a te Dio, Padre onnipotente, in pace. nell’unità dello Spirito Santo, ogni A. Rendiamo grazie a Dio onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. A. Amen C. Obbedienti alla parola del


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