30 Novembre, con la ricorrenza di Sant’Andrea Apostolo, si ricorda il legame tra le terra romena e la cristianità, ribadendo come un popolo ed una nazione non può fare “nulla senza Dio” e celebrando la ricorrenza dei cittadini romeni all’estero. Un elemento, quello della comunità romena, sempre più caratteristico delle nostre realtà urbane e non. Una presenza non solo economica e produttiva ma anche culturale e religiosa, come dimostrano le oltre 100 parrocchie della Chiesa Ortodossa, la significativa testimonianza delle comunità greco cattoliche e ancor di più, i numerosi servizi di numerosi sacerdoti cattolici (rito latino) nelle diverse diocesi d’Italia, alcuni dei quali a capo di parrocchie che, senza questa presenza, sarebbero senza sacerdote.
Il 1 dicembre, poi, con l’anniversario della proclamazione della Grande Romania si vuole sottolineare il ricordo dell’inizio del periodo più glorioso della Patria Rumena, finalmente unita dopo secoli di lotte. E qui il mio pensiero va i giovani romeni che quasi cent’anni fa, inquadrati nella Legione Romena d’Italia e facenti parte della VIII,V IV armata italiana presero parte alla “ terza battaglia del Grappa” del 24 ottobre del 1918 e nella offensiva di Vittorio Veneto che portò al collasso dell’esercito austro – ungarico e alla fine del conflitto. Giovani che permisero di portare l’Italia vittoriosa alla fine della IV guerra d’indipendenza e a completare il disegno risorgimentale, permettendo anche alla Romania di trovare dopo pochi giorni, dalla fine del primo conflitto mondiale, la sua unità nelle gioiose giornate di Alba Iulia. L’omaggio a questi sconosciuti si tramuta in gesto di riconoscenza per il presente. La presenza romena nelle fila dell’esercito italiano durante la Grande Guerra voglio leggerla come un anticipo di quella cooperazione italo romena che , nel campo della difesa, oggi è rappresentata dalle tante missioni di Pace nelle quali i soldati italiani e quelli romeni sono chiamati a svolgere nelle diverse parti del mondo , nel quadro ben più ampio degli impegni come componenti delle Nazioni Unite e della Nato . Organizzazioni nelle quali i nostri Paesi lavorano e cooperano in perfetta armonia con lo scopo di portare Pace nei diversi teatri del mondo.
Quest’anno poi , la storia della Romania si è arricchita della scomparsa di S.M Michele I , testimone diretto dei fatti del “secolo breve”. Ma , che una volta liberata la Patria dalle dittature del secondo dopo guerra seppe lavorare per il bene della sua Nazione e per l’inclusione nella NATO e nella UE. Infine, nei giorni del Natale, l’anniversario della Rivoluzione che riportò la Romania ad essere una Nazione democratica e fedele alleato della Nato in Europa orientale. Quest’anno, tali anniversari, rivestono particolare importanza, essendo, il 2018 , l’anno centenario della fine della Grande Guerra e della proclamazione della grande unione del 1918. Ma altrettanto, mi sia permesso ricordare un altro anniversario. Quello legato alla triste pagina del periodo della dittatura, infatti, credo che sia doveroso mentre festeggiamo il centenario della Romania unita, non dimenticare anche il 70° anniversario della persecuzione della chiesa greco cattolica romena, una realtà ecclesiale che ha contribuito prima del primo conflitto mondiale a mantenere viva , in Transilvania, la cultura romena e che fu protagonista , nella persona del Vescovo Hussu, della grande assemblea di Alba Iulia del 1 Dicembre 1918. La Romania del 2018 guarda al suo passato con uno sguardo al futuro. Innanzitutto, alla Presidenza di turno della UE nel 2019 , anno importante in quanto sarà la Nazione che dovrebbe gestire in modo diretto la riforma dell’Europa e allo stesso tempo i primi mesi della Brexit. Sul piano multinazionale , inoltre, la Romania ha presentato la sua candidatura per un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il periodo 2020/2021. Se sarà raggiunto anche questo obbiettivo la Romania sarà alla guida della mediazione internazionale, tipica della diplomazia romena. Una tipicità ben incarnata nella figura del grande diplomatico Nicolae Titutelscu, che per ben due volte fu Segretario Generale della Società delle Nazioni. In entrambi i mandati seppe mediare tra gli interessi delle grandi potenze di allora con le legittime aspirazioni delle piccole comunità nazionali. L’esempio di questo diplomatico sarà da guida per la Romania di oggi Viva l’Italia, Viva la Romania, Viva l’amicizia italo romena ***Articolo a cura di Marco Baratto responsabile per il Nord Italia dell’Asociatia Nationala Cultul Eroilor e Presidente d’onore dell’Associazione italo romena di Cremona “Orizzonti Latini”.
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n un mondo come quello odierno ferito da conflitti, da nuove forme di schiavitù, da un mancato rispetto verso la dignità umana e la cura del creato, «l’unità dei cristiani è un segno di speranza che deve risplendere sempre più visibilmente». È un invito che manifesta una speranza quello espresso da Papa Francesco nella sua lettera al patriarca Bartolomeo, inviata in occasione del tradizionale scambio di Delegazioni per le feste dei rispettivi Patroni: il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei santi Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per sant’Andrea. In un momento storico in cui si consolida il dialogo tra Chiesa cattolica e ortodossa dopo «secoli di incomprensioni reciproche» ma, al contempo, si rischiano le lacerazioni interne per la questione della concessione dell’autocefalia alla Chiesa ucraina, Bergoglio invoca la piena unità quale finalità ultima di ogni credente. «Uniti - scrive infatti nel suo messaggio - diamo una risposta più efficace ai bisogni di tanti uomini e donne del nostro tempo, specialmente di coloro che soffrono la povertà, la fame, la malattia e la guerra». Non venga mai meno, dunque, il dialogo tra «le nostre Chiese». «Mentre secoli di incomprensioni reciproche, differenze e silenzi possono sembrare aver compromesso questo rapporto, lo Spirito Santo, Spirito di unità, ci ha permesso di riprendere un dialogo fraterno», afferma Francesco, ricordando come il ricongiungimento sia merito del patriarca Atenagora e di San Paolo VI, i quali con la storica visita in Terra Santa del 1964 hanno permesso di «riscoprire quei legami di comunione che sono sempre esistiti» tra le due comunità. «Le nostre Chiese - afferma Papa Francesco - hanno custodito con grande cura la Tradizione apostolica e l’insegnamento dei primi Concili ecumenici e dei Padri della Chiesa, nonostante le differenze che si sono sviluppate nelle tradizioni locali e nelle formulazioni teologiche, che devono essere meglio comprese e chiarite». Al contempo «entrambe le Chiese, con senso di responsabilità verso il mondo, hanno avvertito quell’urgente chiamata, che coinvolge ciascuno di noi battezzati, ad annunciare il Vangelo a tutti gli uomini e a tutte le donne». È per questo motivo, ribadisce il Vescovo di Roma, che «oggi possiamo lavorare insieme nella ricerca della pace tra i popoli, per l’abolizione di ogni forma di schiavitù, per il rispetto e la dignità di ogni essere umano e per la cura del creato». E attraverso «l’incontro e il dialogo nel nostro camminare insieme negli ultimi cinquant’anni» che già «sperimentiamo l’essere in comunione», seppur essa «non sia ancora piena e completa», sottolinea il Pontefice in riferimento alla unità sacramentale. Da qui alcune note personali, a conclusione della missiva: anzitutto Francesco esprime la «profonda gratitudine» a Bartolomeo per la sua presenza alla Giornata di preghiera e di riflessione per la pace in Medio Oriente, svoltasi lo scorso 7 luglio a Bari, alla quale erano presenti i rappresentanti delle Chiese di quella «zona profondamente travagliata». «È fonte di grande conforto condividere con Vostra Santità le stesse preoccupazioni per la tragica situazione dei nostri fratelli e sorelle della regione», scrive. Poi assicura al “fratello” patriarca la sua preghiera perché Dio, «fonte di riconciliazione e di pace», possa concedere ai cristiani di essere «tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno». (Vaticaninsider)
In molti paesi europei di tradizione cristiana si festeggia la notte di Santa Claus, nome del personaggio di fantasia ispirato a San Nicola, vescovo di Myra (nell'odierna Turchia) tra il III e il IV secolo d.C. Come quest'ultimo è ricordato per la sua generosità verso i bisognosi, si narra che regalasse cibo e denari calandoli dal camino o lasciandoli sul davanzale della finestra, così il suo erede immaginario è prodigo di doni verso tutti bambini. Da qui la leggenda diffusa in alcune nazioni: la sera del 5 dicembre (o la mattina del 6), un personaggio con le sue sembianze, accompagnato da un Angelo (che rappresenta il Bene) e da un Diavolo (il Male), fa il giro delle case per accertarsi che i bambini si siano comportati bene durante l'anno. A quelli buoni lascia dolcetti e altri piccoli doni
nella calza lasciata sul davanzale o appesa sul camino.
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aese che vai usanza che trovi” dice un vecchio proverbio e le diverse tradizioni si riscontrano anche nel periodo natalizio. Se ci spostiamo nel Nord Italia o in alcuni paesi del Nord Europa come l’Austria, la Germania, l’Olanda, la Danimarca scopriremo che i bambini ricevono i regali all’inizio di Dicembre e a portarli è un vecchio con il manto rosso che spesso viaggia in groppa ad un asinello o ad un cavallo bianco. Chi è questo vecchio? Ma è San Nicola!. San Nicola, santo patrono dei bambini, era vescovo della Mira nell’Asia Minore nel 300 DC. Numerose sono le leggende legate al Santo, e tutte legate alla facolta’ di Nicola di Myra di produrre abbondanza. Una di queste racconterebbe di tre giovinette poverissime che erano destinate a prostituirsi, il Santo le salvo’ dal loro destino infausto portando loro, dalla finestra , tre sacchi di monete d’oro.Si narra , poi, che il vescovo di Myra regalasse cibo e vestiti alle famiglie piu’ povere portando tali doni attraverso i camini.. La sua festa viene celebrata il 6 dicembre. San Nicola ha un grande libro in cui annota il comportamento dei bambini. In Olanda San Nicola porta i regali la notte del 5 Dicembre, in Germania i bambini ricevono i doni la mattina del 6 Dicembre e in Austria i regali vengono consegnati la sera del 6 . E questo perchè al Santo occorre un giorno e una notte per percorrere tutta la distanza. Se non arriva di persona, lascia i regali nelle scarpe o negli stivali che i bambini hanno lasciato fuori dalla porta o dalla finestra. Non va dimenticato, per concludere in allegria la giornata tutta particolare del 6 dicembre, l’assortito spiegamento, nelle vetrine di tutti i paesi del Nord, di un esercito di dolci in forma di san Nicola: statuine di cioccolato al latte, fondente o con variegate sfumature di colori, caramelle, lecca-lecca, pan speziato, biscotti al miele, fiorini d’oro e persino mongolfiere (particolarità pasticciera di Sint-Niklaas-Fiandre), oltre alla miriade di gadgets del buon Vescovo: un vero assalto di cacao alla gola dei bambini…e non solo.
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otrà dare fastidio a qualcuno ma ieri ( 18,11.2018), Papa Francesco, citando la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone, pone implicitamente ai cristiani, come esempio di amore gratuito, quello dei cagnolini. Avviene durante l'omelia per la Giornata mondiale del povero quando scandisce: "Il grido dei poveri è il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi. È il grido di anziani scartati e lasciati soli. È il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. È il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. È il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. È il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà." La parabola evocata dal Vescovo di Roma è quella in cui Gesù racconta la vicenda del ricco Epulone e di Lazzaro le cui piaghe vengono leccate da un cane (cfr Lc 16, 19-31). Anzi, per l'esattezza, in quelle parole riportate solo dal vangelo di Luca, nostro Signore contrappone la durezza del cuore degli uomini alla bontà di quello dei cani: "Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe", dice letteralmente Cristo al versetto 21. Questi cagnolini, ci parlano della crudeltà del nostro consumismo: come avviene oggi per moltissime persone abbandonate anche allora solo i cani si avvicinavano agli abbandonati per consolarli. Nella nostra società quante volte sono soprattutto gli anziani - menzionati esplicitamente dal Pontefice nell'omelia - i nuovi Lazzaro, che pagano duramente lo scotto di uno sviluppo diseguale e disarmonico. È frequente che siano proprio gatti, cani ed altri animali a dare un po' di affetto a queste persone lasciate indietro e lasciate sole da noi che andiamo sempre troppo veloce. Non dimentichiamoci che i cani nel vangelo hanno solo ruoli positivi (Cfr. Lc 16,21; Mc 7, 28), santi come Francesco d'Assisi e Antonio Abate avevano negli animali interlocutori graditi e, in fin dei conti, gli animali sono stati cacciati dal paradiso terrestre per colpa nostra, non loro. Ogni estate ci troviamo ad affrontare la piaga dell'abbandono degli animali: qualcosa di terribile che qualifica in modo molto negativo la nostra società. Un animale abbandonato non è solo un essere destinato a soffrire e a morire ma, se dovesse so-
pravvivere, causerebbe enormi problemi enormi: il randagismo, la diffusione di malattie, l'aumento di incidenti causati da bestiole terrorizzare che vagano senza meta per le carreggiate di strade ed autostrade. Per un cristiano un animale non è una persona ma neppure è un peluche: una volta arrivato a casa, il nuovo gatto o cane diventa un membro della famiglia. Tutti conosciamo persone a cui la presenza di un cane ha davvero salvato la vita, e non sto parlando solo di non vedenti o di salvataggi sotto le slavine o in mare. Sto parlando di vita quotidiana. Perché la natura cui pensa la Laudato Si di Papa Francesco non è solo quella dell'Amazzonia ma anche quella di chi si porta in casa animali esotici per il vezzo di un momento: una più attenta cura della natura è un elemento essenziale per la fede. L'immagine del povero Lazzaro consolato dai cani dovrebbe essere anche un monito: il cambiamento non passa solo per gesti e iniziative politiche di ampio respiro ma inizia dai piccoli gesti quotidiani alla portata di tutti. Cosa c'è di più piccolo di un cagnolino che lecca una piaga? Ebbene il Vangelo ci dice che se non disprezzassimo un bene minimo come quello, il piccolo bene che tutti noi possiamo fare, certamente arriveremmo poi anche alle indispensabili scelte politiche, educative e sociali che è necessario compiere.
devastante, un’organizzazione senza scrupoli che arruola potenziali migranti per spedirli allo sbaraglio oltremare, un gruppo di 263 persone che in pochi mesi viene falcidiato da ITALIANI NEL un’ottantina di morti: sembra una storia di questi giorni. E MONDO invece no, è una vicenda di fine Ottocento, quando i disperati che partivano erano italiani – veneti e friulani, in questo caso – e cadevano vittime di criminali – francesi, in questo caso – che si arricchivano alle loro spalle. Siamo all’indomani della sconfitta francese del 1870 a opera dei prussiani, e un bretone un po’ immaginifico, Charles Marie Bonaventure du Breil, marchese de Rays, sogna di ricreare la Francia dall’altra parte del globo. Per farlo individua un’isola, l’attuale Nuova Irlanda, al largo della Papua-Nuova Guinea, e la chiama Nuova Francia, la capitale sarà PortBreton. Ora però bisogna trovare qualcuno disposto ad andarci. Il marchese de Rays sguinzaglia in mezza Europa i propri agenti che promettono la terra del latte e del miele. Il gruppo più consistente di aspiranti coloni è quello dei veneti e friulani messi assieme da un lombardo, probabilmente di Como, tal Edvige Schenini. I migranti vengono da Francenigo, Codognè, Orsago, Sacile, località tra le province di Treviso e di Pordenone. La autorità italiane cercano di fermarli perché si rendono conto che de Rays è un truffatore, ma i contadini preferiscono credere al canto delle sirene anziché alla verità ufficiale; e poi ormai hanno venduto tutto per pagarsi il passaggio marittimo e non possono più tornare indietro. Si imbarcano a Barcellona il 19 luglio 1880 a bordo di una carretta, l’India, e intanto de Rays incassa. Il viaggio dura tre mesi, in condizioni atroci: muoiono 27 persone, una ventina sono bambini. Il 14 ottobre i veneti e friulani sbarcano a Port-Breton. Erano state loro promesse case e campi fertili, si ritrovano in una baia scura, con una fittissima foresta tropicale e circondati da nativi ostili. C’è solo un capannone che sarebbe dovuto essere la
chiesa e invece viene trasformato in dormitorio, attorno sparsi i materiali portati da precedenti aspirati coloni che avevano ben pensato di tagliare la corda: mattoni, macchine per raffinare lo zucchero, macine da mulino (una pietra da macina si trova ancor oggi sulla spiaggia). Una foto scattata un mese dopo, il 13 novembre, ci mostra i veneti e friulani davanti ad alcune tende e a una rigogliosissima vegetazione. Nonostante tutto, ci provano: cominciano a dissodare il terreno e a seminare qualcosa. Le scorte alimentari, che già erano avariate durante il viaggio, ora sono semplicemente immangiabili. In poco più di quattro mesi muoiono in 48, ovvero un decesso ogni tre giorni. Intanto in sei se la filano da Port-Breton, probabilmente rubando una scialuppa della nave. Raggiungono le isole Salomone dove cinque vengono immediatamente mangiati dai cannibali e il sesto – che di cognome fa Boero, o Buoro – si salva perché diverte i nativi scoppiando in lacrime a comando. Viene venduto a un’altra tribù e dopo un anno viene catturato da una specie di nave schiavista, ma quando l’equipaggio lo lava e si rende conto che si tratta di un italiano che non può essere venduto, lo abbandona a New Britain: non ha alcun valore commerciale. Il 20 febbraio 1881 i superstiti salgono a bordo dell’India e obbligano il comandante a salpare le ancore. Però si guastano le macchine e la nave fa scalo a Noumea, nella Nuova Caledonia, dove le autorità francesi la confiscano e la vendono, ridotta quasi a un relitto, a causa dei debiti che de Rays aveva nel frattempo accumulato in Francia. Da lì i veneti proseguono per l’Australia a bordo di un piroscafo di linea e arrivano a Sydney il 7 aprile. Questa la cronaca del Sydney Morning Herald: «Più si osserva la situazione a bordo, più si viene colpiti dall’orrore della pazzesca iniziativa che ha causato tutto questo squallore. Alcune povere donne, due di loro ragazze meno che ventenni, giacciono debolissime, in preda alle febbri. Una madre solleva il figlio che le sta accanto per mostrare che è vivo, ma appare più che altro uno scheletrino morente». Le autorità consolari italiane si rifiutano di aiutarli perché era stato loro ingiunto di non partire ed erano partiti lo stesso. Alla fine gli sfortunati veneti e friulani vengono accolti dalle autorità australiane e trovano lavoro, seppur sottopagati perché non sanno una parola di inglese. Con i risparmi riusciranno comunque a comprare case e terreni e a fondare una colonia, Piccola Venezia, che poi diventerà New Italy. L’ultimo colono, Giacomo Piccoli, morirà nel 1955 a 89 anni
Modena, 29 novembre 2018 - «Alla visita mi han detto che vado bene, non mi manca niente e mi hanno dato appuntamento al 2020». La visita è quella del controllo della vista per il rinnovo della patente e a illustrarne l’esito è Giuseppe Predieri, pensionato di Monteombraro che lo scorso 6 agosto ha raggiunto la soglia dei 102 anni. Il superamento della visita lo ha di fatto reso uno dei guidatori ‘senior’ più anziani d’Italia e di lui si sono occupati anche testate nazionali e programmi tv. Un’improvvisa fama che non scompone minimamente nonno Giuseppe, che racconta le sue abitudini da guidatore. «Uso la macchina quasi tutti i giorni. Vado a Zocca a fare delle commissioni, vado a messa, a volte scendo fino a Vignola a trovare i miei nipoti. Quando sono al volante guido in sicurezza, pensi che non ho mai fatto spendere un euro all’assicurazione. E i miei nipoti, trentenni, vogliono sempre che guidi io». Le piace molto guidare, è una passione? «Non so se sia una passione, di sicuro guidare non mi mette alcuna soggezione, lo faccio sempre come una cosa normale. Ho da 20 anni la stessa utilitaria: è come nuova, non mi ha mai lasciato a piedi, quindi non la cambio». Evidentemente l’ha sempre tratta bene... «È quello che penso anche io (ride ndr)» Che lavoro faceva? «Dopo la guerra ho fatto il carabiniere a Padova. Poi sono rientrato a Montombraro, richiamato dai miei genitori. E ho lavorato tutta la vita qui, facendo l’agricoltore, lavoravo soprattutto con le mucche. E ho fatto anche il macellaio». Ha una grande passione per la musica... «Sì, ho fatto il campanaro e suono ancora la gran cassa nella banda di Montombraro. Ho anche un’altra passione, per il Bologna calcio. La società mi ha regalato una maglia per festeggiarmi sia in occasione dei 100 anni che per i 102. Anche se purtroppo in questo periodo la squadra non va molto bene...». Dieta e attività fisica? «Molto semplice: alla mattina caffelatte, a pranzo e a cena minestra. Ma quando vengono i miei nipoti a pranzo non rinuncio alle tigelle. E a Zocca a una festa di paese ho mangiato tortellini, lasagne, arrosto, zampone e patate, facendo preoccupare mia moglie (Anna, di 16 anni più giovane e con cui l’anno prossimo festeggerà i 70 anni di matrimonio ndr). Ma ho dormito come un ghiro. Per quanto riguarda l’attività fisica quando c’è bel tempo passeggio un po’, se no faccio cyclette. Faccio anche il nonno: ho due nipoti e due bisnipoti. E poi vado in giro in macchina...». Aspettando il prossimo rinnovo, fissato per l’agosto 2020. –
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» era il contenuto del messaggio inviato, il 3 dicembre del 1992, dal computer dell'ingegnere inglese della Vodafone, Neil Papworth, al telefono cellulare di un collega. Un semplice augurio natalizio, fatto con largo anticipo, ricordato come il primo SMS inviato nella storia dei dispositivi elettronici. A quei tempi i cellulari erano esteticamente molto simili agli attuali cordless e la tecnologia a disposizione non permetteva granché, all'infuori della normale telefonata. Il sistema GSM, il più diffuso attual- mente, era ancora in fase sperimentale. Ciò spiega il fatto che Papworth si trovasse costretto ad utilizzare il proprio personal computer per inviare un messaggio di appena 15 caratteri. Il primo SMS scambiato tra due telefoni mobili è stato inviato l'anno successivo da uno stagista della Nokia, il finlandese Riku Pihkonen. Il primato resta, tuttavia, all'ingegnere inglese che ha avuto il merito di aprire la strada a un fenomeno di massa, che in pochi anni ha sconvolto il modo di comunicare delle persone e l'utilizzo stesso del telefonino.
Il boom si è avuto alla fine degli anni Novanta, quando il cellulare ha cominciato a diventare un oggetto inseparabile per milioni di adolescenti, che trovavano più congeniale comunicare tra di loro attraverso i 160 caratteri del messaggino piuttosto che telefonarsi. Negli stessi anni, si è diffusa la consuetudine di utilizzare per il singolo messaggio il termine SMS (dall'acronimo Short Message Service), quando invece quest'ultimo indica il servizio che ne consente l'invio. Il linguaggio utilizzato, estremamente sintetico e con abbreviazioni originali, ha finito nel tempo con l'influenzare il modo di scrivere in generale dei giovani e i linguaggi utilizzati dai media e nella comunicazione commerciale.
Tra gli utilizzi positivi, va menzionato il nuovo modo di esprimere la propria solidarietà verso temi e contesti sensibili, diffusosi a partire dal 2005, con una donazione effettuata verso organismi senza fini di lucro, semplicemente inviando un SMS. Quanto i "messaggi" siano, oggi, presenti nella vita delle persone lo testimoniano recenti statistiche che parlano di 6.100 miliardi di SMS inviati in un anno, circa 193.000 al secondo (stime 2010). Numeri che sembravano destinati a ridimensionarsi con la crescente diffusione delle applicazioni di messaggeria istantanea (WhatsApp è il più noto), legati a smartphone e tablet di ultima generazione. Invece, secondo uno studio dell'Economist, nel 2015 è stata raggiunta una media giornaliera di 20 miliardi di SMS e 30 miliardi di messaggi su WhatsApp.
e ore passavano così, nei lunghi inverni di quegli anni, quando in casa non c’erano i termosifoni e della Tv si fantasticava l’esistenza perché qualcuno l’aveva vista nei negozi delle grandi città o in qualche film americano. Tutta la famiglia era raccolta vicino a questo simbolo, principale fonte di calore della casa e nessuno, salvo assoluta urgenza, si azzardava ad andare nelle altre camere senza essersi prima ben coperto. Si rammentava, si leggeva il giornale, si parlava, si facevano solitari o lunghi pisolini con la testa poggiata su quel ripiano intiepidito. Io partecipavo al rito solo la sera perché, dopo aver giocato, me ne stavo in camera a studiare, una copertina sulle ginocchia e una piccola stufetta elettrica sotto al tavolino. Era a due spirali ma quando le accendevo tutte e due puntualmente saltava la luce. Non esistevano i salvavita e mio padre ogni volta, a lume di candela, doveva scendere fino al portone dove, borbottando, sostituiva i fusibili nelle valvole di ceramica bianca poste sotto al contatore. Si chiamavano valvole a tabacchiera e per me era magico che il ripristino di un filino facesse tornare la luce. Il suono del campanello per l’improvviso arrivo di parenti o amici “a lunga permanenza” rimetteva in gioco le posizioni acquisite intorno al braciere e l’inserimento di altre sedie rompeva tutti gli equilibri. La coperta, suddivisa anche tra gambe a lei non familiari, sembrava sempre più corta e ogni tanto gli si dava una tiratina per coprire una coscia rimasta scoperta e più infreddolita. Il massimo della felicità era cenare intorno al braciere. La tavola per fare la pasta in casa era circolare e così la si poggiava sull’asciugapanni che diventava la base su cui mettere la tovaglia, i piatti e i bicchieri mentre, data l’instabilità del telaio, le bottiglie ed altre pietanze si poggiavano sul tavolo da pranzo rimasto inutilizzato. Cenette semplici ed indimenticabili, con amici o con parenti, che finivano quasi sempre a scopa o scopone, al sapore di Strega o di Anice. Il braciere al termine della serata non finiva la sua missione. Poco prima di andare a letto si spostava la brace rimasta nello scaldino, simile a un tegame bombato, e partiva l’operazione “prete”. Il “prete” era uno strano oggetto di legno che ricordava un po’ lo slittino e serviva per riscaldare il letto e stemperare le lenzuola. Era formato da quattro assicelle di legno, due superiori e due inferiori, inarcate e convergenti. Nella base, rivestita di lamierino, si poggiava lo scaldino con la carbonella ancora calda. Si sollevavano le lenzuola e le coperte, si infilava nel letto il “prete” con dentro lo scaldino, e si riappoggiavano il tutto su questo fantasioso telaio. Dopo un pò si risollevavano le coperte piano piano per non disperdere il calore, si sfilava il prete e il beneficiato si rannicchiava fra le lenzuola intiepidite, gustando il tepore di quel calore ben diverso dal gelo della stanza. Sul cuscino restavano fuori solo i capelli. Il “prete”. Pare che si chiamasse così perché, con maligna allusione, era quella cosa che riscaldava il letto per il “tempo necessario” ma senza restarci a “dormire”. Serate d’inverno di un passato lontano, fatte di un sano e naturale tepore, di odore di carbone acceso, di geloni, di castagne sotto la cenere, di persone raccolte davanti a un braciere o a un camino, unite dal calore del fuoco nel segno della famiglia.
L’ALBERO DI NATALE NATURALE
piccolo abete aveva impiegato tutta l'estate a crescere. Si era proprio messo d'impegno e ora giocava felice con i venti invernali. Si sentiva abbastanza robusto per resistere anche ai più forti. Le radici, che si erano ramificate in profondità, conferivano al giovane abete una baldanzosa sicurezza. Ma una gelida mattina di dicembre, mentre i fiocchi di neve sfarfallavano pigri, l'abete avvertì uno strumento acuminato che gli tagliava e strappava le radici. Poco dopo due mani d'uomo, rudi e sgarbate, lo estirparono dalla terra e lo caricarono nel baule puzzolente di un'automobile che ripartì subito verso la città. Il viaggio fu terribile per il povero abete, che pianse tutte le sue lacrime di profumata resina. Dopo mille dolorosi sballottamenti, si ritrovò finalmente alla luce. Lo misero in un grosso vaso, in bella mostra. La terra del vaso era fresca e l'abete ebbe un po' di sollievo e ricominciò a sperare. Divenne perfino euforico, quando mani di donna e piccole mani di bambini cominciarono a infilare tra i suoi rami fili dorati, luci colorate e lustrini scintillanti. «Mi credono il re degli alberi», pensava. «Sono stato veramente fortunato. Altro che starmene là al freddo e alla neve...». Per un po' di giorni tutto andò bene. L'abete faceva un figurone, nel suo abbigliamento luccicante. Era contento anche del presepio che avevano collocato ai suoi piedi: guardava con commozione Maria e Giuseppe, il Bambino nella mangiatoia e anche l'asino e il bue. Di sera, quando tutte le piccole luci colorate erano accese, gli abitanti della casa lo guardavano e facevano: «Ooooh, che bello!». Poi gli venne sete. Sul principio era sopportabile. «Qualcuno si ricorderà di sicuro di darmi un po' d'acqua», pensava l'abete. Ma nessuno si ricordava e la sofferenza dell'abete divenne terribile. I suoi aghi, i suoi bellissimi aghi verde scuro, cominciarono a ingiallire e cadere. Si rese conto che aveva lentamente cominciato a morire. Una sera, ai suoi piedi vennero ammucchiati molti pacchetti confezionati con carta luccicante e nastri colorati. C'era molta eccitazione nell'aria. Il mattino dopo scoppiò il finimondo: bambini e adulti aprivano i pacchetti, gridavano, si abbracciavano. L'abete riuscì appena a pensare: «Tutti qui parlano d'amore, ma fanno morire me...». Improvvisamente una piccola mano lo sfiorò. La sorpresa dell'abete fu infinita: davanti a lui c'era il Bambino del presepio. «Piccolo abete», disse il Bambino Gesù, «vuoi tornare a vivere nel tuo bosco, in mezzo ai tuoi fratelli?». «Oh sì, per piacere!». «Ora, che hanno avuto i regali, non gliene importa più niente dite... E nemmeno di me». Il Bambino Gesù prese l'abete, che d'incanto ridivenne verde e vigoroso. Poi insieme volarono via dalla finestra.
i saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle. Il vangelo di Luca oggi non vuole raccontare la fine del mondo, ma il mistero del mondo; ci prende per mano, ci porta fuori dalla porta di casa, a guardare in alto, a percepire il cosmo pulsare attorno a noi, immensa vita che patisce, soffre, si contorce come una partoriente (Is13,8), ma per produrre vita. Ad ogni descrizione drammatica, segue un punto di rottura, un tornante che apre l’orizzonte, lo sfondamento della speranza e tutto cambia: ma voi risollevatevi e alzate il capo, la liberazione è vicina. Anche nel caos della storia e nelle tempeste dell’esistenza, il vento di Dio è sopra il mio veliero. State attenti a voi stessi, che il cuore non diventi pesante! Verrà un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante. Ho provato anch’io il morso dello sconforto, per me e per il mondo, ma non gli permetterò più di sedersi alla mia tavola e di mangiare nel mio piatto. Perché fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa: che non può esserci disperazione finché custodisco la testarda fedeltà all’idea che la storia è, nonostante tutte le smentite, un processo di salvezza. Il dono dell’Avvento è un cuore leggero come la fiducia, quanto la speranza; non la leggerezza della piuma sbattuta dal vento, ma quella dell’uccello che fende l’aria e si serve del vento per andare più lontano. E poi un cuore attento, che legga la storia come un grembo di nascite: questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un sogno da trasformare in vita, perché non si ammali. Vivete con attenzione, state attenti alle piccole enormi cose della vita. Scrive Etty Hillesum dal campo di sterminio: «Esisterà pur sempre anche qui un pezzetto di cielo che si potrà guardare, e abbastanza spazio dentro di me per poter congiungere le mani nella preghiera». I Vangeli d’Avvento usano questo doppio registro: fanno levare il capo verso le cose ultime, verso Colui-che-si-fa-vicino, e poi abbassare gli occhi verso le cose di qui, dentro e attorno a noi. Lo fanno per aiutarci a vivere attenti, ad abitare la terra con passo leggero, custodi dei giorni e pellegrini dell’eterno, guardando negli occhi le creature e fissando gli abissi del cosmo, attenti al venire di Dio e al cuore che si fa stanco. Pronti ad un abbraccio che lo alleggerisca di nuovo, e lo renda potente e leggero come un germoglio. Avvento: la vita è non è una costruzione solida, precisa, finita, ma è una realtà germinante (R. Guardini), fatta anche e soprattutto di germogli, a cui non ti puoi aggrappare, che non ti possono dare sicurezze, ma che regalano un sapore di nascite e di primavera, il profumo della bambina speranza (Péguy).
p. Ermes Ronchi
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SALUTO
C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. A. Amen. Il Dio della speranza, che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi. A. E con il tuo spirito. INTRODUZIONE DEL CELEBRANTE ATTO PENITENZIALE Le preoccupazioni della vita, le ansie del futuro, i desideri inappagati appesantiscono il nostro cuore e non ci aiutano ad essere attenti e vigilanti. Chiediamo al Signore di perdonare le nostre mancanze e di rinnovarci interiormente per essere desti ad accoglierlo nella sua venuta. Breve pausa di riflessione personale C. Signore, che vieni a liberarci dal peccato e dalla morte, abbi pietà di noi. Signore, pietà. C. Cristo, che vieni a salvare chi è perduto, abbi pietà di noi. Cristo, pietà. C. Signore, che ci vuoi vigilanti nell’attesa della tua venuta, abbi pietà di noi Signore, pietà C. Dio Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen. ( Non Si dice il Gloria)
lemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia. Parola di Dio. A. Rendiamo grazie a Dio. R.
SALMO RESPONSORIALE
A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido. Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza. R/. Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta; guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via. R/. Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti. Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza. R/.
Seconda Lettura
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di COLLETTA piacere a Dio – e così già vi comPadre santo, che mantieni nei seportate –, possiate progredire ancoli le tue promesse, rialza il capo cora di più. Voi conoscete quali dell’umanità oppressa da tanti mali regole di vita vi abbiamo dato da e apri i nostri cuori alla speranza, parte del Signore Gesù. perché sappiamo attendere senza Parola di Dio. turbamento il ritorno glorioso del A. Rendiamo grazie a Dio Cristo, giudice e salvatore. Egli è Canto al Vangelo Dio, e vive e regna con te, nell’uni- ALLELUIA. ALLELUIA tà dello Spirito Santo, per tutti i se- Benedetto colui che viene nel nocoli dei secoli. me del Signore! Benedetto il Regno A. Amen (seduti) che viene, del nostro padre Davide LITURGIA DELLA PAROLA ALLELUIA. C. Il Signore sia con voi Prima Lettura A. E con il tuo spirito. Dal libro del profeta Geremia Ecco, verranno giorni - oràcolo del C. Dal Vangelo secondo LUCA Gloria a te o Signore Signore - nei quali io realizzerò le A. promesse di bene che ho fatto alla VA N G E L O casa d’Israele e alla casa di Giuda. Dal vangelo secondo Luca In quei giorni e in quel tempo farò In quel tempo, Gesù disse ai suoi germogliare per Davide un germo- discepoli: glio giusto, che eserciterà il giudi- «Vi saranno segni nel sole, nella zio e la giustizia sulla terra. In quei luna e nelle stelle, e sulla terra angiorni Giuda sarà salvato e Gerusa-
goscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». Parola del Signore. A. Lode a te, o Cristo. OMELIA ( Seduti) CREDO Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen. Rivolgiamo al Padre le nostre preghiere perché ci aiuti a tenere
sempre desto in noi il desiderio della completa liberazione, secondo la sua promessa. Preghiamo insieme e diciamo: Dio della speranza, ascoltaci. Perché gli uomini aprano le porte a Cristo, lo riconoscano presente nella loro vita e accolgano il messaggio della sua parola e dell'insegnamento della Chiesa. Preghiamo: Perché la Chiesa viva in costante atteggiamento di conversione ed esprima, soprattutto nella vigilanza e nella preghiera, l'attesa del suo Signore. Preghiamo: Perché chi ha conosciuto l'amarezza del vizio, ma lotta per uscire dal suo potere, incontri il volto sereno del Cristo e gusti la gioia profonda del bene. Preghiamo: Perché chi si sente vinto dall'alcol, trovi nell'abbraccio del Signore e nella comprensione dei vicini, la strada del recupero e della redenzione. Preghiamo: Perché ci prepariamo ad accettare e vivere la nostra morte come il sereno tramonto che prepara un'alba nuova che non avrà mai fine. Preghiamo: Perché crediamo nella forza rigeneratrice della preghiera. Perché viviamo con fede le difficoltà della vita di ogni giorno. Preghiamo: C. O Cristo che sei l'alfa e l'omega, il principio e la fine, insegnaci a sperare in te e non saremo confusi in eterno. Tu che vivi e regni con Dio Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. A. Amen
LITURGIA EUCARISTICA
C. Pregate, fratelli e sorelle, perché portando all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo a offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente. A. Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa. (in piedi)
SULLE OFFERTE
C. Accogli, Signore, il pane e il vino, dono della tua benevolenza, e fa' che l'umile espressione della nostra fede sia per noi pegno di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore. A. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA
C. A.
Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito.
C. In alto i nostri cuori. A. Sono rivolti al Signore. C. RendiamograziealSignorenostroDio. A. E’ cosa buona e giusta È veramente giusto renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose. Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora in cui Cristo, tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e di splendore. In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova. Ora viene incontro a noi, in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno. Nell’attesa del suo ultimo avvento, insieme agli angeli e ai santi cantiamo unanimi l’inno della tua gloria: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell'universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell'alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli. (In ginocchio) C. Mistero della fede A. Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta. DOPOLA PREGHIERA EUCARISTICA C. Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio, Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. A.
Amen
C. Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire:
PADRE NOSTRO
Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il Tuo nome venga il Tuo Regno sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male C. Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l'aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo. A. Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli
R ITO DELLA PACE
C. Signore Gesu’ che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. A. Amen C. La pace del Signore sia sempre con voi. A. E con il tuo spirito. C. Come figli del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna.
A. Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.(2 VOLTE) Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace. C. Beati gli invitati alla cena del Signore Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.
A. O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato.
DOPO LA COMUNIONE
C. La partecipazione a questo sacramento, che a noi pellegrini sulla terra rivela il senso cristiano della vita, ci sostenga, Signore, nel nostro cammino e ci guidi ai beni eterni. Per Cristo nostro Signore. A. Amen C. Il Signore sia con voi. A. E con il tuo spirito. C. Inchinate il capo per la BENE DIZIONE SOLENNE
C. Dio, che vi dà la grazia di celebrare la prima venuta del suo Figlio e di attendere il suo avvento glorioso vi santifichi con la luce della sua visita. Amen. C. Nel cammino di questa vita, Dio vi renda saldi nella fede, gioiosi nella speranza, operosi nella carità. Amen. C. Voi che vi rallegrate per la venuta del nostro Redentore, possiate godere della gioia eterna, quando egli verrà nella gloria. Amen. C. E la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi, e con voi rimanga sempre. A. Amen. C. Nel nome del Signore: andate in pace. A. Rendiamo grazie a Dio