Il Polietico 13

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Giugno 2008, Anno 5 - N.13 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

Cura, ricerca e prevenzione

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ontinua ad arricchirsi di nuove e importanti tappe, il percorso del Gruppo Policlinico di Monza. Nato per offrire risposte ai bisogni di salute dei cittadini del territorio – ormai buona parte delle province piemontesi e la Brianza – il Gruppo affronta anche il fondamentale aspetto della ricerca. Attraverso collaborazioni con le Università e la partecipazione a prestigiosi studi nazionali e internazionali, ma soprattutto grazie all’impegno di molti dei medici e chirurghi che operano nelle diverse strutture, la ricerca rappresenta ormai un autentico fiore all’occhiello per il Gruppo. Ma prima ancora di curare la malattia, per soddisfare l’aspirazione alla salute c’è la prevenzione, in tutti i diversi suoi aspetti: a Verano Brianza, presso il nuovo Istituto Clinico Universitario del Gruppo Policlinico di Monza, nasce il Centro Studi CuoreInSalute, dove i cittadini potranno imparare come prendersi cura, in prima persona, del bene più prezioso, la loro salute. Le novità non finiscono qui: nelle prossime pagine troverete notizia dell’apertura del servizio Aritmologia ad Alessandria, della nascita dell’unità operativa di Otorinolaringoiatria ad Asti, e una panoramica sulle principali patologie di mano e spalla. Buona lettura a tutti! Il Presidente Gian Paolo Vergani

In questo numero: Cardiologia riabilitativa Pronto Soccorso Ricerca Scoliosi

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Ortopedia Trombofilie eredofamiliari Aritmologia

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Otorinolaringoiatria Chirurgia Generale Oculistica

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L’importanza della prevenzione

La cardiologia riabilitativa all’Istituto Clinico Universitario di Verano Brianza

Il Prof. Flavio Acquistapace, Direttore del Dipartimento di Cardiologia Preventiva e Riabilitativa presso l’Istituto Clinico Universitario di Verano – Policlinico di Monza

Le necessità sanitarie, sociali ed epidemiologiche riconoscono un bisogno oggi inconfutabile ed essenziale per la salute dei cittadini: curare per la salute e non solo per la malattia. Educare, prevenire, curare e riabilitare la persona: questo deve essere il compito della medicina. La sola cura della malattia, intesa come prestazione sanitaria, non basta, risulta anzi essere insufficiente e inappropriata per la preservazione e il recupero della salute della persona, oltre a incidere fortemente sul bilancio socioassistenziale: “più salute quindi e meno malattia”. Diretto dal professor Flavio Acquistapace, il Centro Studi “CuoreInSalute” che apre la sua attività presso l’Istituto Clinico Universitario di Verano Brianza - Policlinico di Monza, costituisce un’applicazione completa di questi principi, un modello di medicina cardiovascolare preventiva e riabilitativa sviluppato in anni di esperienza di servizio e ricerca. La missione del centro studi “CuoreInSalute” - Educare Prevenire, Curare e Riabilitare – è perfettamente coerente con quanto disposto dai piani sanitari territoriali, regionali e nazionali, i quali indicano l’applicazione della Prevenzione, dell’Educazione e della Riabilitazione nei piani di cura per il rispetto del diritto alla salute dei cittadini. È infatti un diritto/dovere del cittadino poter disporre nel suo iter di cura di prestazioni, ma anche di educazione alla prevenzione e riabilitazione di qualità. La Cardiologia Preventiva e Riabilitativa ha il compito riconosciuto di educare, ovvero preparare il cittadino, il paziente e i familiari, in collaborazione con la medicina territoriale e la comunità, al massimo grado di consapevolezza sulla salute. Ciò con l’obiettivo di proporre interventi diagnostico terapeutici e preventivi appropriati al rischio, di mantenere il massimo grado di benessere psico-organico e di autonomia, una soddisfacente e dignitosa qualità di vita nella società e il minimo grado di rischio di evoluzione negativa della malattia: recidive, ricoveri ripetuti e disautonomia. Il centro “CuoreInSalute” potrà rispondere alle indicazioni e alle necessità della comunità e della Medicina generale avendo a disposizione una struttura e servizi di primissimo livello per quanto riguarda la qualità assistenziale, tecnologica, logistica e residenziale. Vero e proprio “centro di benessere sanitario” dedicato alla salute, è specializzato in medicina cardiovascolare preventiva e riabilitativa di Genere (dalla donna al bambino all’anziano), e comprende inoltre il Centro Studi sull’Attività Fisica Educata e Sport Terapia, Valutazione della Funzione Vascolare, Educazione Prevenzione e Cardiologia dello Sport. Presso il Centro è fondamentale e di grande interesse pratico l’applicazione del Progetto Hepic CuoreInSalute (Educazione alla Salute e Prevenzione Cardiovascolare nella Comunità), con una particolare attenzione rivolta agli Osservatori Salute Cardiovascolare di Genere e del Benessere nell’Anziano. Di particolare interesse, in quanto innovativa e integrata nel percorso stesso di cura, è la cooperazione interattiva con i medici di Medicina Generale, con i pazienti e la comunità dei cittadini attraverso l’Alleanza per Salute: una sorta di “club” dedicato alla comunicazione, promozione e sostegno alla salute e alla prevenzione cardiovascolare. Fra le sue attività, ad esempio, l’applicazione dell’educazione e il mantenimento di stili di vita sani (bionutrizione e in particolare l’attività fisica educata sia primaria che secondaria). Il dialogo e la cooperazione con il medico di base vede inoltre un programma di dialogo continuo, basato sulla pratica degli Osservatori Interattivi di Didattica Clinica e sull’applicazione e lo sviluppo della TeleMedicina cardiologica: un esempio di servizio cardiologico a tutti gli effetti oggi a disposizione del medico di Medicina Generale e del cittadino, riconosciuto efficace, sia clinicamente che in termini di costo/efficacia, a beneficio dell’assistenza territoriale e del mantenimento della prevenzione secondaria.


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Il Pronto Soccorso del Policlinico compie un anno

Il Dott. Enrico Alfieri, Responsabile del Pronto Soccorso del Policlinico di Monza

Il 7 maggio 2008 il Pronto Soccorso del Policlinico di Monza ha compiuto un anno di attività. A dirigerlo si alternano il dottor Paolo Grosso, che trascorre lunghi periodi lavorando in missioni umanitarie in Africa o in Asia (attualmente si trova in Cambogia), e il dottor Enrico Alfieri. Ed è proprio al dottor Alfieri che chiediamo di tratteggiare un bilancio di questo primo periodo. “Le considerazioni che si possono trarre dopo 366 giorni di attività sono molteplici e positive, sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista della soddisfazione degli utenti che usufruiscono del servizio. In un anno esatto dal giorno dell’apertura, il numero totale di accessi è stato di 11.364, e l’incremento nell’afflusso di pazienti che si rivolgono al Pronto Soccorso del Policlinico di Monza è progressivamente aumentato, passando dai 703 accessi del primo mese ai 1.315 dell’ultimo mese. Di questi accessi complessivi, solo 1.861 (circa il 16%) sono stati inviati dal 118; i restanti sono accessi diretti, a dimostrazione del continuo consolidamento della conoscenza del nostro Pronto Soccorso presso i cittadini del territorio monzese e delle località adiacenti”. Quali sono le principali urgenze che approdano al Pronto Soccorso del Policlinico? “Come tutte le strutture analoghe, anche la nostra affronta qualsiasi tipologia di urgenza, comprese quelle relative a specialità non presenti nel Policlinico: queste, dopo essere state comunque valutate dal medico di Pronto Soccorso, vengono trasferite per competenza. Uno dei punti di forza del nostro pronto soccorso è certamente il lavoro di équipe che si è instaurato tra medici infermieri e personale ausiliario del Pronto Soccorso. Anche grazie ai servizi di cui il Policlinico dispone (radiologia, laboratorio analisi ed endoscopia) si riesce a giungere a una conclusione clinica in tempi brevi, con un tempo medio di permanenza nella struttura di 90 minuti. Un altro dato che mette in evidenza la mole di lavoro compiuto per poter far fronte alle necessità del Pronto Soccorso è il numero di prestazioni radiologiche e di laboratorio, rispettivamente 6.790 e 37.668 nell’anno appena trascorso”. Cosa accade quando il paziente necessita di ricovero? “La gestione del ricovero in urgenza è un altro nostro punto di forza. L’apertura del Pronto soccorso ha richiesto una nuova organizzazione dell’ufficio ricoveri, che si è dimostrato, di fronte alle urgenze, altrettanto efficiente: in precedenza le procedure dell’ufficio riguardavano infatti il solo ricovero dei pazienti in regime di elezione - ad eccezione di quelli cardiologici, che afferivano già alla nostra struttura tramite 118 o qui venivano trasferiti da altri presidi privi di emodinamica e cardiochirurgia. In tutto questo anno non abbiamo mai dovuto inviare ad altre strutture i pazienti che si rivolgevano al nostro Pronto Soccorso e che necessitavano di un posto letto per il ricovero. Di tutti i pazienti transitati dal Pronto Soccorso, 1120 hanno avuto bisogno di ricoveri in


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urgenza diversificati nelle varie specialità presenti in struttura; di questi 290 in area medica (medicina generale, oncologia ed endocrinologia), 200 in cardiologia, 119 in Unità di Terapia Intensiva Coronarica, 184 in chirurgia generale, 137 in ortopedia e traumatologia, 51 in neurologia, 35 in cardiochirurgia, 30 in urologia, 25 in chirurgia vascolare, 17 in terapia intensiva, 16 in neurochirurgia, 14 in chirurgia toracica”. Come si articola la struttura? “Pur essendo situato all’interno del comprensorio del Policlinico di Monza, l’ingresso del Pronto Soccorso è su via Gallarana, in una collocazione facilmente raggiungibile sia da parte di ambulanze e autovetture sia dei pedoni. Una volta varcata la soglia troviamo una camera calda per lo sbarellamento dei pazienti autotrasportati, una sala attesa pazienti, una sala triage dove l’infermiere assegna il codice colore al paziente in base alla sintomatologia riferita e ai parametri rilevati, una sala emergenza attrezzata anche con le apparecchiature necessarie per eseguire un primo punto laboratoristico ematochimico, due sale visita, un locale osservazione con tre letti. Voglio infine sottolineare il rapporto di intensa collaborazione instaurata con la Cardiologia, che permette, ad esempio nei casi in cui occorre eseguire la curva enzimatica nelle 24 ore per toracalgia, di sottoporre i pazienti a osservazione direttamente in reparto, così da poter far fronte a eventuali necessità cardiologiche urgenti”. Programmi per il futuro? “Come abbiamo visto, e come i dati confermano, il nostro Pronto Soccorso costituisce già una realtà consolidata nell’ambito del territorio, e siamo certi che a fronte della prossima evoluzione in DEA, potremo senza problemi incrementare ulteriormente la nostra attività sempre mantenendo gli elevati standard di efficienza ed efficacia che contraddistinguono il Gruppo Policlinico di Monza”.

Gastroenterologia Il progetto MICRO

Il Prof. Attilio Giacosa, Direttore del Dipartimento di Gastroenterologia del Policlinico di Monza

Nel settembre del 2007 nasceva presso il Policlinico di Monza il progetto di ricerca MICRO, un programma scientifico per la definizione del potenziale coinvolgimento infettivologico nell’eziologia del morbo di Crohn. L’ipotesi di lavoro è rappresentata dal possibile coinvolgimento del Micobatterio Paratubercolare (MAP) nell’insorgenza delle malattie infiammatorie intestinali e in particolare nel morbo di Crohn. La ricerca in questo settore è resa molto complessa dalla grande difficoltà di diagnosi e identificazione del MAP nei soggetti infetti. L’ulteriore elemento di grande significato nella dinamica patogenetica con coinvolgimento del MAP è che questo batterio è responsabile di una patologia bovina e ovina con caratteristiche anatomo-patologiche e cliniche molto simili al morbo di Crohn. Questa malattia animale, chiamata morbo di Jones, è molto diffusa negli allevamenti di tutti i paesi del mondo occidentale e rappresenta un potenziale serbatoio per la diffusione all’uomo della malattia. Il progetto MICRO, disegnato e coordinato dal professor Attilio Giacosa, vede il coinvolgimento di un network multidisciplinare di ricercatori operanti presso il Policlinico di Monza, l’ IRCCS San Matteo di Pavia (Infettivologia), l’Università di Milano (facoltà di Veterinaria) e gli Istituti zooprofilattici lombardi. L’attività di ricerca clinica nell’uomo viene completamente gestita all’interno del Gruppo Sanitario Policlinico di Monza, con particolare riferimento alla sede monzese del Policlinico e alla clinica S. Rita di Vercelli. Il primo risultato significativo dell’ampio programma di ricerca posto in essere è l’identificazione mediante tecnica PCR del MAP nella mucosa enterocolica in tutti i sei pazienti affetti da morbo di Crohn, e consecutivamente studiati in fase iniziale. Questo risultato, legato a uno sforzo di ricerca collaborativa fra i gruppi coordinati dal professor Giacosa, dal professor C. Bandi (Università di Milano) e dal dottor Marone (IRCCS San Matteo Pavia) ha prodotto risultati concreti in tempo molto breve, con messa a punto di una metodologia diagnostica sperimentale, disegnata ad hoc. Questi risultati iniziali ma estremamente promettenti sono stati illustrati in maggio a una platea di pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali e di medici. Il


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meeting, organizzato in collaborazione con l’associazione AMICI, si è tenuto al Policlinico di Monza sabato 17 maggio, con il coinvolgimento di più di cento partecipanti. I prossimi passi del progetto MICRO, dice il professor Giacosa, saranno dedicati a un marcato ampliamento della casistica, con coinvolgimento anche di pazienti affetti da colite ulcerosa. Contestualmente, è stato avviato un programma di ricerca in bovini, per la caratterizzazione del MAP e lo studio di confronto con la tipologia del MAP implicato nell’infezione umana. Il progetto prevede altresì un’area di ricerca sulla possibile predisposizione genetica all’infezione nell’uomo e un’altra area di lavoro, in collaborazione con esperti in scienze farmaceutiche, per l’identificazione di antibiotico-terapie idonee all’eradicazione del MAP e programmi di lavoro nel settore della vaccino-terapia. Il progetto MICRO apre dunque le porte allo sviluppo di un nuovo potenziale diagnostico e terapeutico per i molti pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali.

La scoliosi idiopatica dell’età evolutiva

Con il termine “idiopatica” intendiamo una patologia di cui non si conoscono le cause anche se unanimemente specialisti ortopedici, pediatri, auxologi, etc., farebbero risalire questa deformità rachidea ad alterazioni genetiche. In oltre il 90% dei casi i soggetti affetti risultano imparentati con altre scoliosi fino alla terza generazione genealogica. Inoltre dopo la mappatura del genoma umano si è evidenziata la presenza di alterazioni a carico dei loci genici sui cromosomi 3-6-10-12-18 e X. Se quindi anche in questa patologia ortopedica la genetica diventa il fattore eziologico principale, quando l’input della crescita del rachide è modificato, almeno per il momento poco si può fare per contrastarne l’evoluzione se non cercare di arrestarla e correggerla con tecniche chirurgiche o non chirurgiche. Scoliosi toracica con grave ipocifosi/lordosi toracica

Il Prof. Carlo Formica, Responsabile del Gruppo Chirurgia Vertebrale SONG, opera presso le Cliniche Salus di Alessandria e San Gaudenzio di Novara, ed è professore a contratto presso l’Università degli Studi di Genova


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Esistono vari tipi di Scoliosi (congenita, poliomielitica, etc.) ma la scoliosi idiopatica è la più frequente, e interessa dal 2 al 10% della popolazione giovanile con un rapporto femmine/maschi di 7-8:1. In età scolare sono riferite percentuali più elevate, anche del 30%, comprensive però degli atteggiamenti scoliotici che non sono assolutamente da considerarsi e trattarsi come la vera Scoliosi. A

A Classico aspetto di soggetto in età infantile con cifosi, scapole alate e slivellate che potrebbero far pensare a una deformità B La visita con flessione anteriore del tronco non evidenzia alcuna anomalia o salienza toracica. Atteggiamento scoliotico e non scoliosi vera

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L’atteggiamento (lo stare “storti”…) non si è mai trasformato in una deformità fissa del rachide, quindi va detto a tutte le mamme: lasciate che i bambini assumano le posizioni più strane senza alcun timore. Va anche dimenticato il problema inesistente del peso delle cartelle come fonte di alterazioni rachidee: certamente al di sopra di un carico illogico vi possono essere dei problemi, ma non certo tali da innescare una scoliosi. Perché correggere o arrestare l’evoluzione di una Scoliosi ? Questa deviazione del rachide, a parte rarissimi casi di guarigione spontanea (senza alcun tipo di trattamento) in età infantile (0-3 anni) o giovanile (4-10 anni), è progressiva.

C Scoliosi vera iniziale per salienza della gabbia toracica sul lato destro

Risoluzione spontanea di Scoliosi infantile

Il peggioramento si manifesta proprio durante l’accrescimento, e soprattutto durante lo sviluppo puberale quando la spinta di crescita è massima. L’adolescenza è quindi (verso i 10-15 anni) il momento su cui concentrare le attenzioni da parte di pediatri, medici scolastici e ortopedici. Importanti sono gli screening nelle scuole, così come i periodici controlli dal pediatra di fiducia.

Evoluzione drammatica di Scoliosi toraco-lombare non trattata


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Al minimo sospetto clinico ci si deve rivolgere allo specialista che deciderà se eseguire controlli radiografici. E in tal senso dall’Ortopedico che si occupa di patologia vertebrale. Se questa deformità non viene adeguatamente e prontamente diagnosticata può peggiorare e comportare alterazioni morfologiche della cavità toracica con problematiche cardio-respiratorie importanti. Inoltre le scoliosi toraco-lombari e lombari possono peggiorare anche in età adulta (dai 15/18 anni in avanti) con la sovrapposizione di fenomeni degenerativi-artrosici sovente molto invalidanti.

Peggioramento in età adulta di scoliosi lombare adolescenziale

La Scoliosi adolescenziale è importante, ma altrettanto lo è la Scoliosi dell’adulto, che sta divenendo una patologia molto frequente e difficile da trattare. Quindi a seconda della comparsa possiamo suddividere la Scoliosi in: infantile, giovanile, adolescenziale e dell’adulto. Come trattare la Scoliosi idiopatica adolescenziale? La prevenzione è fondamentale, nel senso di diagnosticare sul nascere la deformità e seguirla attentamente. L’attività fisica gioca un ruolo importante: non solo il nuoto, come tanti consigliano, ma qualsiasi sport. Fondamentale è che il giovane “faccia fatica” incrementando quindi scambi respiratori, cassa toracica e massa muscolare. Inoltre il mantenere la colonna elastica è utile per i successivi trattamenti, incruenti o cruenti. Spesso paragoniamo la correzione della scoliosi a quella di una piantina che cresce storta nel terreno. Se non affianchiamo un’asta dritta alla piantina non possiamo pensare di indirizzarne nel modo giusto la crescita. Quando nei controlli clinici e radiografici successivi la curva scoliotica supera i 15/20° è il momento di iniziare il trattamento con corsetti. Ve ne sono di vari tipi. Tutti hanno la funzione di contenere-correggere la deformità fintanto che la spinta di crescita è in atto. Anche indossando il corsetto il giovane paziente deve svolgere attività fisica.

Corsetto Milwaukee e corsetto basso. Due tutori tra i tanti esistenti oggi in commercio


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Non si può però chiedere più di tanto a questo trattamento, ricordando ancora una volta di fronte a quale spinta accrescitiva anomala ci troviamo. Se nonostante il corsetto la deformità peggiora, allora bisogna ricorrere alla chirurgia. E questa soluzione sarà proporzionalmente meno invasiva se potremo trattare scoliosi ancora elastiche e di pochi gradi (45/50°). Si dovrebbe fare una “chirurgia preventiva”. Cioè operare, generalmente per via posteriore, con interventi poco cruenti che consentono al paziente di essere messo in carico dopo due giorni e senza alcun corsetto. In tal modo il giovane può riprendere subito l’attività in carico e ginnastica respiratoria. Dopo 2-3 mesi le attività possono intensificarsi con quelle sportive. Tutto ciò è possibile quando la deformità viene aggredita in tempo, altrimenti le cose divengono più difficili dovendo correggere curve notevoli (80-100°, se non oltre) e rigide. Ecco allora che i rischi, connessi a qualsiasi tipo di intervento, aumentano. A

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A-B Scoliosi toracolombare (43°) con rachialgie corretta per via posteriore con un montaggio non lungo. In seconda giornata in piedi e dopo 5 giorni dimessa. La paziente ha ripreso le sue normali attività dopo due mesi dall’intervento

C-D Grave peggioramento di Scoliosi toraco-lombare corretta per via anteriore. Ottimo risultato soprattutto a distanza. Intervento lungo con necessità di intensiva post-operatoria e riabilitazione respiratoria. Ospedalizzazione di almeno 30 giorni

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Scoliosi toracica con curva di compenso lombare. Correzione con accesso posteriore e utilizzo di viti peduncolari. Buona correzione spontanea della curva lombare

In conclusione, la Scoliosi idiopatica va attentamente ricercata dal medico e adeguatamente trattata onde prevenirne l’inevitabile peggioramento: di fronte a una Scoliosi è meglio non essere mai ottimisti. Esistono in Italia parecchi Centri che trattano questa patologia e i cultori della materia fanno parte tutti del GIS-Gruppo Italiano Scoliosi e Patologie della Colonna vertebrale, che rimane l’unico Gruppo italiano riconosciuto internazionalmente dedicato allo studio e cura di tutte le deformità e patologie del rachide. Ad Alessandria, presso la Clinica Salus, e a Novara, presso la Clinica San Gaudenzio, ho ripreso quanto già iniziato a fare presso l’Ospedale San Martino di Genova. La Scoliosi è una delle più importanti e interessanti deformità dello scheletro tuttora in fase di studio soprattutto per la parte eziologica. Si deve peraltro affermare che negli ultimi anni le forme idiopatiche sono di molto diminuite. Ciò non toglie la necessità di non abbassare la guardia e di valutare clinicamente (e non con radiografie) i ragazzi durante l’età di accrescimento.


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Patologie della spalla e della mano: quando ci vuole l’intervento chirurgico

Le patologie della spalla e della mano sono oggetto di grande interesse a causa della loro diffusione e del loro carattere invalidante nell’ambito delle attività quotidiane, lavorative e sportive. Si assiste, pertanto, al costante studio di queste malattie e al progressivo affinamento degli strumenti di diagnosi e cura. La strategia terapeutica considera innanzitutto la presenza di eventuali cause predisponenti che vanno, se possibile, eliminate. Ad eventuali forme patologiche di base, quali per esempio malattie di tipo reumatologico, vengono riservate cure farmacologiche. Anche la fisioterapia può essere il trattamento di scelta in patologie della spalla e della mano. Spesso lo stato patologico è sostenuto da alterazioni strutturali o lesioni anatomiche che beneficiano di un trattamento di tipo chirurgico. A tale scopo ci si avvale dei recenti progressi relativi alle tecniche operatorie, in particolare quelle mini-invasive ed artroscopiche.

Rottura della cuffia dei rotatori

Il Dott. Massimo Brignolo, direttore dell’équipe ortopedica Artroteam, operativa presso le cliniche Salus di Alessandria e San Giuseppe di Asti

È la rottura di una struttura tendinea della spalla. La rottura della cuffia dei rotatori spesso è determinata da usura meccanica dei tendini in relazione a fenomeni degenerativi. In alcuni casi è di natura traumatica. È frequente dopo i 40 anni di età e, se trascurata, predispone all’artrosi. Nella maggior parte dei casi le lesioni sono riparabili. Nei casi in cui le rotture non siano completamente riparabili, le suture parziali e l’asportazione di tessuto infiammatorio possono ridurre la sintomatologia dolorosa. I sintomi principali sono il dolore e la limitazione del movimento della spalla. Il dolore, spesso particolarmente intenso durante la notte, è irradiato al braccio e in regione cervicale. Si può giungere a un grave deficit funzionale nel compiere le attività usuali per la difficoltà a sollevare l’arto. L’intervento viene effettuato nella maggior parte dei casi in anestesia locale con la tecnica artroscopica, che prevede 3-5 piccole incisioni. In un’incisione si inserisce l’artroscopio, strumento che permette di vedere l’interno della spalla. Attraverso altre incisioni vengono utilizzati speciali strumenti che permettono l’asportazione di tessuto infiammato o cicatriziale e la rimozione di speroni ossei. Con il termine “acromioplastica” si intende l’ampliamento dello spazio sotto-acromiale che permette il corretto scorrimento dei tendini della cuffia dei rotatori. È possibile, inoltre, reinserire il tendine a livello della sua sede anatomica. Questo avviene utilizzando piccole ancore metalliche o riassorbibili che vengono applicate nel tessuto osseo e non devono poi essere rimosse. Dopo l’intervento è necessario un periodo di riabilitazione. Il metodo terapeutico varia a seconda delle preferenze del fisiatra e del terapista. I tempi relativi all’immobilizzazione, alla fase di mobilizzazione passiva e all’inizio del reclutamento attivo variano a seconda dei casi e devono essere rigorosamente rispettati secondo le indicazioni del chirurgo. Nei casi più frequenti il tutore viene portato per tre settimane cui seguono tre settimane di riabilitazione passiva. I tempi di recupero variano a seconda della gravità della patologia e a seconda del tipo di ricostruzione chirurgica effettuata.

Instabilità di spalla La spalla diventa instabile quando viene danneggiato il complesso comprendente i legamenti e la capsula dell’articolazione. Questo può avvenire per microtraumi ripetuti o uso intenso in attività sportive e lavorative. Esistono spalle costituzionalmente instabili in assenza di eventi traumatici. In alcuni casi, di natura palesemente traumatica, le ossa che formano l’articolazione della spalla subiscono una dislocazione (lussazione) che deve essere corretta con manovre esterne (riduzione della lussazione). A volte le lussazioni sono associate a fratture. Le instabilità costituzionali patologiche manifestano le loro problematiche tra i 20 e i 25 anni. Le lussazioni possono avvenire in qualunque fase della vita ma nei giovani è più alto il rischio di recidiva. La spalla instabile può predisporre all’artrosi e all’usura progressiva di strutture tendinee quali la cuffia dei rotatori. I sintomi principali sono il dolore e la limitazione funzionale spesso in ambito sportivo.


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In alcuni casi si verifica la recidiva di episodi di lussazione. L’intervento consente il ritensionamento capsulo-legamentoso con conseguente stabilizzazione della spalla e, nei casi traumatici, la riparazione dei legamenti mediante il loro ancoraggio alle strutture ossee. L’operazione viene effettuata in molti casi in anestesia locale mediante la tecnica artroscopica, che prevede 3-4 piccole incisioni e l’utilizzo di ancorette metalliche o riassorbibili. Nei casi in cui siano associate lesioni ossee o la qualità dei tessuti da riparare lo richieda, sono indicate tecniche a cielo aperto che vengono praticate in anestesia generale. Dopo l’intervento sono necessari un periodo di tutorizzazione e un ciclo di riabilitazione.

Sindrome del tunnel carpale

Patologie della spalla A: localizzazione del dolore nelle lesioni della cuffia dei rotatori B: “segno del solco”: indice di spalla instabile

La sindrome del tunnel carpale è determinata dalla compressione del nervo mediano a livello del polso. Il nervo mediano trasmette la sensibilità delle prime tre dita e di parte del quarto dito della mano e permette la funzione di alcuni muscoli responsabili delle attività di presa e di forza. La malattia si può manifestare in tutte le fasi dell’età adulta e viene spesso associata a lavori ripetitivi e pesanti. I sintomi principali sono il dolore alla mano e il formicolio riferito alle prime tre dita. I sintomi si estendono al braccio e sono presenti soprattutto di notte. Nelle forme più avanzate il dolore e il formicolio possono anche attenuarsi mentre si riducono la forza e la sensibilità della mano. Per definire il grado di gravità della malattia si utilizza l’esame elettromiografico (E.M.G.) che documenta l’efficienza del nervo mediano. Oltre un certo grado di gravità la soluzione terapeutica è rappresentata dall’intervento di liberazione del nervo mediano al polso. L’intervento consiste nel praticare un’incisione palmare che normalmente non supera la piega del polso e sezionare il legamento trasverso del carpo che è la struttura che determina la compressione del nervo. L’operazione si esegue in day-hospital e in anestesia locale. I punti di sutura vengono mantenuti per 12-14 giorni e viene prescritto un periodo di riposo di circa 4 settimane. Nei casi gravi il recupero post-operatorio può non essere completo: è pertanto consigliabile considerare la soluzione chirurgica nei tempi opportuni.

Pollice a scatto – Dito a scatto Si tratta di una patologia legata alla difficoltà di scorrimento dei tendini flessori delle dita della mano. Per cause di tipo infiammatorio i tendini si ispessiscono e formano noduli che scattano nel passaggio sotto la puleggia del metacarpo. Anche la puleggia, una struttura fibrosa che contiene il tendine, può ispessirsi aumentando l’ostacolo allo scorrimento. La malattia è comune nell’adulto e può essere correlata a lavori ripetitivi. Ne esiste anche una forma infantile. I sintomi principali sono il dolore e l’impaccio funzionale. In alcuni casi il dolore è molto intenso, invalidante e irradiato all’avambraccio. La sintomatologia è particolarmente evidente al risveglio e a volte è presente il blocco in flessione del dito, che il paziente vince provocandone lo scatto. L’intervento, eseguito in day-hospital e in anestesia locale, consiste in una piccola incisione sul palmo della mano alla base delle dita e nella sezione della puleggia di scorrimento del tendine. La medicazione e i punti di sutura vengono rimossi dopo 12-14 giorni e la ripresa delle attività usuali è possibile a 3-4 settimane dall’intervento.

Morbo di De Quervain Questa malattia è legata al restringimento del canale in cui scorrono i tendini estensore breve e abduttore lungo del pollice. Tale canale è situato a livello del polso nella direzione


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del pollice. A causa della costante frizione dei tendini al di sotto di una puleggia fibrosa, si determina una cronica infiammazione che può diventare dolorosa e invalidante. Spesso la malattia è correlata a lavori manuali con coinvolgimento ripetitivo del pollice. I sintomi principali sono il dolore al polso e alla mano, irradiato all’avambraccio, e la perdita della forza nella presa. L’intervento, eseguito in day-hospital e in anestesia locale, consiste nella sezione della puleggia che determina la compressione sui tendini e nell’accurata liberazione dei tendini stessi. La medicazione e i punti di sutura vengono rimossi dopo 12-14 giorni e la ripresa delle attività quotidiane è possibile tra le 3 e le 4 settimane dall’intervento.

Morbo di Dupuytren

Punti di localizzazione delle patologie della mano. A: sindrome del tunnel carpale B: pollice a scatto C: dito a scatto D: morbo di De Quervain E: morbo di Dupuytren F: rizoartrosi

Consiste nella retrazione cronica e progressiva della fascia palmare della mano che può sfociare nella flessione permanente delle dita. Colpisce prevalentemente i maschi nell’età adulta localizzandosi in particolare al quarto e al quinto dito. I sintomi principali conseguono alla comparsa di noduli localizzati al palmo della mano, aderenti alla cute, che successivamente si trasformano in corde fibrose di consistenza dura. Parallelamente compare la retrazione del dito interessato, che assume un atteggiamento in flessione perdendo la possibilità di estendersi. La gravità della malattia si determina in base al grado di flessione del dito. Nelle forme più avanzate l’uso della mano è gravemente compromesso. L’intervento prevede un breve ricovero ed è indicato oltre un certo grado di flessione delle dita. Effettuato il blocco anestetico locale del plesso ascellare, si praticano una o più incisioni palmari curvilinee lungo il decorso delle corde fibrose e se ne effettua l’asportazione verificando il ripristino della corretta estensione delle dita. Non è consigliabile rinviare l’intervento agli stadi più avanzati della malattia perché i risultati sono peggiori ed è maggiore la possibilità di complicanze. I tempi di recupero e i risultati variano in base alla gravità della malattia.

Rizoartrosi La rizoartrosi è l’artrosi della base del pollice. Spesso insorge senza causa apparente, a volte è secondaria ad attività usuranti. È frequente dopo i cinquant’anni di età. Le ossa interessate sono il trapezio e il primo metacarpale, che nell’evoluzione della malattia possono subire deformazioni anche gravi. I sintomi principali sono il dolore, che aumenta con il movimento e nella presa di forza, e il progressivo deficit funzionale. Ciò conduce all’impossibilità di effettuare lavori manuali e compiere gesti usuali come girare una chiave o aprire un rubinetto. Per porre diagnosi è necessario l’esame radiografico della mano. L’intervento prevede un breve ricovero. Sono possibili diverse soluzioni chirurgiche, praticate normalmente in anestesia locale mediante blocco del plesso ascellare. Una delle tecniche più diffuse è la teno-artroplastica che consiste nell’asportazione del trapezio, gravemente degenerato, e nella stabilizzazione del pollice mediante tendini e lembi di capsula. Dopo l’intervento di teno-artroplastica è necessario un periodo di immobilizzazione. La fisioterapia deve iniziare dopo tre settimane e il recupero delle attività usuali è possibile, normalmente, entro sei settimane. Nei lavoratori di forza è indicata l’artrodesi della trapezio-metacarpale, mediante la quale si trasformano il trapezio e il metacarpale in un unico osso dopo aver asportato le faccette articolari degenerate. Durante la fase di consolidazione (mediamente sei settimane) trapezio e metacarpale vengono mantenuti a contatto per mezzo di fili metallici e un tutore di immobilizzazione. In casi selezionati è possibile ricorrere all’uso di protesi sintetiche che sostituiscono il trapezio o l’intera articolazione.


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Le trombofilie eredofamiliari

Il Prof. Alvaro Porta, specialista in Ematologia clinica e di laboratorio e Responsabile del Dipartimento di Medicina del Policlinico di Monza

Nonostante siano stati da tempo individuati i fattori clinici di rischio per la malattia trombotica, prima dello scorso decennio solo raramente i tests di laboratorio identificavano anormalità coagulative di importanza patogenetica e prognostica. I fattori di rischio trombotico includono l’età, la presenza di neoplasie, interventi chirurgici, immobilizzazione prolungata, uso di contraccettivi orali e la sindrome da Abantifosfolipidi. Queste condizioni non sembrano solo influenzare l’insorgenza della patologia trombotica negli individui sani, ma anche e soprattutto in soggetti portatori di anomalie congenite od acquisite della coagulazione (le più note sono ATIII, Prot. C, Prot. S, e il Fatt. V Leiden che condiziona una resistenza alla proteina C attivata). Anche l’iperomocisteinemia si associa ad eventi trombotici e sembra essere la conseguenza di una carenza congenita di MTHFR o di deficienze a carico del metabolismo di alcune vitamine (cobalamina, folati o piridossina), inoltre una mutazione del Fatt. II (protrombina 20210 A) e aumentati valori della concentrazione del Fatt. VIIIc possono essere potenziali cause di trombofilie. Una o più di queste anomalie trombofiliche possono essere presenti in circa il 40-60% dei pazienti con un primo evento trombotico.

TAB. 1 Deficit di ATIII Deficit Proteina C Deficit Proteina S Fatt. V Leiden Iperomocisteinemia Protrombina 20210A Fatt. VIII c

Pazienti con TVP (%) 1-2 2-3 2-3 10-20 10-20 5-6 10-15

Popolazione generale (%) 0.1-0.3 0.2-0.5 3-7 2-6 2-6 1-3 6-8

Precocità della diagnosi di TVP Ridurre la morbilità e la mortalità associate con le sue manifestazioni acute Ridurre l’incidenza di recidive di ulteriori eventi acuti Contrastare l’incidenza di sequele a distanza : s. post-flebitica

Trattamento anticoagulante adeguato sin dall’inizio La qualità del trattamento anticoagulante con eparina durante i primi giorni di terapia dopo la diagnosi di TVP influenza in modo determinante l’incidenza di recidive tromboemboliche nel lungo termine.

Criteri clinici (score di Wells)

Punteggio

Cancro in fase attiva (terapia in atto o praticata nei precedenti 6 mesi o in cura palliativa) Paralisi, paresi o immobilizzazione recente di arto inferiore Recente allettamento di durata superiore a 3 giorni o chir. maggiore nelle quattro settimane precedenti Dolorabilità lungo il sistema venoso profondo Gonfiore dell’intero arto inferiore Edema con formazione di fovea confinato all’arto sintomatico Gonfiore del polpaccio che presenti diametro superiore a 3 cm rispetto al controlaterale (misurato 10 cm al di sotto della tuberosità tibiale) Evidenza di vene collaterali superficiali (non varicose) Diagnosi alternativa – altrettanto probabile o più probabile – a quella di TVP Probabilità

ALTA > 3

MEDIA 1 o 2

BASSA < 0

1 1 1 1 1 1 1 1 -2


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Diagnosi strumentale (Ecocolor doppler)

Diagnosi di laboratorio (D-Dimero) D-Dimero: i livelli di D-Dimero misurabili in circolo sono il risultato dell’equilibrio tra la loro formazione e clearance; nei soggetti normali la loro emivita è di circa 48 ore. Elevati livelli plasmatici di D-Dimeri, oltre che per la presenza di trombi (sia venosi sia arteriosi), possono essere frequentemente causati da molte altre condizioni in cui vi sia formazione di fibrina negli spazi vascolari o riassorbimento di prodotti di degradazione dagli spazi extra-vascolari (ematomi sottocutanei, ferite chirurgiche, necrosi cutanea, ustioni estese, ascite, versamenti pleurici). Un aumento del D-Dimero si osserva quindi con estrema frequenza in una grande varietà di situazioni cliniche (CID, neoplasie, angina instabile, IMA, eclampsia, infezioni, malattie epatiche e renali, chirurgia). Il dosaggio dei D-Dimeri si è pertanto dimostrato estremamente sensibile (ovvero positivo in molte circostanze), ma scarsamente specifico per la presenza di trombi. Quelli sopra elencati sono i mezzi a disposizione per giungere a un inquadramento clinico e terapeutico del paziente con sospetto di TVP. In vari studi questi sistemi sono stati associati in differenti combinazioni e in gruppi di pazienti diversi per grado di rischio tromboembolico, per ottenere dati statistici utili a validare le procedure utilizzate. TAB. 2 Condizioni nelle quali è consigliabile eseguire uno screening per trombofilie Età giovanile di comparsa dell’evento trombotico, arterioso o venoso (< 45 anni) TVP idiomatica ad insorgenza spontanea TVP dopo stimoli di entità trascurabile TVP ricorrenti Trombosi in sedi atipiche Storia familiare positiva per TVP Associazione di trombosi con perdita fetale Necrosi cutanea indotta da TAO Porpora fulminante neonatale TAB. 3 Condizioni che possono alterare il risultato dei tests funzionali per trombofilia Durante la fase acuta di un evento trombotico Durante la terapia anticoagulante Durante trattamento E.P. Durante la gravidanza Per la presenza di epatopatie Si consiglia di eseguire lo screening per trombofilia a distanza di almeno 3 mesi dall’evento tromboembolico venoso acuto e dopo la sospensione (da almeno 15-20 giorni) del trattamento anticoagulante. Non subiscono alterazioni le determinazioni genetiche di biologia molecolare.


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TAB. 4 Casistica del Centro per lo studio delle trombofilie – Policlinico di Monza Pazienti affetti da TVP afferenti al Centro:

2002-2007

totale 425

Suddivisione per carenza n °52 pazienti con carenza di Prot. C n° 68 pazienti con carenza di Prot. S n° 4 pazienti con carenza di ATIII n° 47 pazienti con MTHFR n° 28 pazienti con Fatt. V Leiden n° 9 pazienti G20210A

IPEROMOCISTEINEMIA Varianti genotipiche enzimatiche MTHFR (C677T, A1298C) Variante genotipica C (più favorevole) Variante genotipica T (meno favorevole) Omozigoti CC TT Eterozigoti CT

Il nuovo servizio di Aritmologia

Il Dott. Paolo Diotallevi, Responsabile del servizio di Aritmologia Clinica presso la Clinica Città di Alessandria

Presso la Clinica Città di Alessandria è nato il nuovo Servizio di Aritmologia Clinica. Ne è responsabile il dottor Paolo Diotallevi, che porta la sua esperienza nel campo delle patologie aritmiche: in particolare, nell’ambito della prevenzione della morte aritmica improvvisa mediante l’utilizzo di defibrillatori in pazienti con funzione cardiaca depressa, nella terapia di risincronizzazione cardiaca in pazienti affetti da insufficienza cardiaca refrattaria mediante l’utilizzo di device per la stimolazione biventricolare. Proprio alla terapia elettrica dello scompenso cardiaco e allo sviluppo di metodiche di stimolazione alternativa ha dedicato studi e indagini scientifiche, oggetto di numerose pubblicazioni. Il settore dell’aritmologia ha conosciuto in questi ultimi anni uno straordinario sviluppo tecnologico con l’introduzione di metodiche e trattamenti che hanno profondamente modificato l’aspettativa e la qualità della vita dei pazienti cardiopatici. Patologie cardiache ritenute fino a pochi anni fa sostanzialmente “benigne” hanno trovato un inquadramento fisiopatologico più preciso e conseguentemente una risposta terapeutica più mirata ed efficace: ci riferiamo ad esempio alla fibrillazione atriale, malattia aritmica a elevata prevalenza (circa 500.000 pazienti in Italia) con un alto rischio di morbilità e morbilità per stroke e scompenso cardiaco che, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie di mappaggio non-fluoroscopico con ricostruzione virtuale delle camere


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cardiache, consente un efficace approccio interventistico percutaneo. Tale trattamento rappresenta attualmente una strategia sinergica o alternativa alla terapia farmacologica antiaritmica, sola risorsa fino a qualche tempo fa disponibile (unitamente a trattamenti chirurgici su pazienti selezionati), permettendo percentuali di mantenimento del ritmo sinusale a medio-lungo termine significativamente superiori al passato. Altro settore in cui l’impatto tecnologico è stato maggiormente significativo è quello della prevenzione della morte improvvisa aritmica, responsabile ogni anno di circa 50.000 decessi nel nostro paese. L’utilizzo di analisi di stratificazione prognostica permette attualmente l’identificazione di categorie di pazienti a rischio di eventi particolarmente elevato. In tali pazienti l’impianto di un defibrillatore automatico in prevenzione primaria o secondaria ha modificato radicalmente le curve di sopravvivenza e numerosi Trials internazionali randomizzati e controllati ne hanno definitivamente sancito la superiorità in termini di efficacia nel confronto con la sola terapia farmacologica. Va inoltre considerato che ripetute analisi costo/beneficio hanno certificato la sostenibilità della strategia preventiva in termini di assorbimento di risorse a carico del SNN soprattutto ove confrontate con metodiche di utilizzo corrente quali l’angioplastica coronaria in elezione e il by-pass aorto-coronarico, aspetto di non secondaria importanza in un panorama sanitario sempre più afflitto da difficili equilibri di bilancio. Il ruolo del nascente Servizio di Aritmologia nell’ambito del Gruppo Policlinico di Monza sarà quello di promuovere lo sviluppo delle nuove tecnologie e dei trattamenti mirati alla gestione della patologia aritmica del quadrante piemontese, coordinando l’attività interventistica e ambulatoriale nei Centri di Alessandria, Novara e Biella.

Nasce l’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria

L’équipe ORL della Clinica San Giuseppe di Asti, diretta dal Dott. Maurizio Catalani (il secondo da sinistra)

Lo scorso mese di maggio ha iniziato la sua attività, presso la Casa di cura San Giuseppe di Asti, la nuova Unità Operativa di Otorinolaringoiatria (ORL) diretta dal dottor Maurizio Catalani, coadiuvato dal dottor Bruno Cabodi e da un gruppo di altri cinque specialisti. Con l'arrivo di questa nuova équipe di specialisti, che ha accorpato i due medici già presenti nella struttura, la Dott.ssa Annamaria Vada e il Dott. Federico Bortolotti, viene ad ampliarsi ulteriormente il ventaglio di specialità del gruppo di case di cura che fa capo al Policlinico di Monza, completando così l' offerta di prestazioni specialistiche in un settore di grande richiesta, a tutto vantaggio dei pazienti. Le patologie ORL sono da sempre di comune riscontro nella pratica quotidiana sia del medico che del pediatra di base (basti pensare alla frequenza con cui si manifestano otiti, tonsilliti, riniti, sinusiti, etc.); il continuo affinamento delle tecniche di indagine, che consente diagnosi sempre più precoci, unito allo svilupparsi di tecniche chirurgiche più sofisticate, che riducono sempre più l'impatto per il paziente, possono oggi costituire un valido supporto appunto per medici e pediatri che si ritrovino a fronteggiare patologie ORL che non rispondano alle prime cure effettuate. È fin d’ora attivo, presso la Clinica San Giuseppe, un servizio che prevede l'effettuazione della prima visita ORL e successivamente, qualora fosse necessario, di tutta la diagnostica specialistica del caso (citiamo quali esempi gli esami audiometrico, impedenzometrico, vestibolare, l'endoscopia o fibroscopia rino-faringolaringea, l'otomicroscopia, etc.). Nel caso in cui si rendesse necessario un ricovero per procedere a terapie o accertamenti di particolare impegno oppure a intervento chirurgico, sarà possibile effettuarlo in regime di convenzione con il S.S.N. presso la stessa struttura. Per quanto concerne infine l'attività chirurgica, sarà possibile trovare soluzione alle più disparate patologie che interessano la specialità, contando sul fatto che lo specifico interesse dei singoli componenti del gruppo ha consentito di acquisire pratica nei vari settori in cui sempre più si suddivide la branca ORL. La chirurgia endoscopica naso-sinusale Nell'ambito delle nuove tecniche chirurgiche, una sicuramente merita di essere illustrata poiché ha radicalmente modificato il decorso intra e post operatorio di una delle


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Un intervento con la tecnica FESS

patologie forse oggi più diffuse: si tratta della chirurgia endoscopica naso-sinusale, conosciuta con l'acronimo FESS (Functional Endoscopic Sinus Surgery), tecnica utilizzata per affrontare tutte le patologie flogistiche e neoformative del naso e dei seni paranasali. L' introduzione dell'endoscopia nella chirurgia ORL ha costituito, al pari di quanto successo in altre branche chirurgiche, un enorme passo avanti consentendo un approccio microchirurgico e sotto controllo visivo diretto in patologie sempre più frequenti quali le poliposi nasali, il polipo antro coanale, le sinusiti mascellari, etmoidali, sfenoidali e frontali, il papilloma invertito. Basti pensare che prima dell'introduzione di questa tecnica tutti gli interventi sul naso e sui seni paranasali venivano eseguiti alla sola luce della lampada frontale, con l'utilizzo di ferri chirurgici spesso poco delicati e con vie di accesso quasi sempre demolitive e poco rispettose delle strutture anatomiche interessate. A tutto questo va aggiunto che il campo operatorio era di esclusivo appannaggio del primo operatore, che era l'unico a poter vedere la cavità in cui stava lavorando, rendendo così difficile l'aiuto, nelle fasi più complesse, da parte di chi assisteva, Lo strumentario per la chirurgia endoscopica del naso e dei seni si compone di una colonna, costituita da un monitor collegato a una telecamera, una sorgente luminosa alogena o allo xenon, un videoregistratore, un cavo a fibre ottiche, due telescopi rigidi con visione a 0 e 45°. È poi necessario un set completo di ferri per la microchirurgia nasale, di dimensioni estremamente ridotte in modo da poter raggiungere e lavorare con facilità anche negli spazi più bui e ristretti, come le cellette etmoidali, il recesso sfenoetmoidale, l'infundibolo del seno frontale, etc. I vantaggi della tecnica endoscopica sono apparsi fin da subito importanti e significativi soprattutto per i benefici che questa metodica può apportare ai pazienti. Riassumendoli in breve possiamo citare la maggior radicalità dell'intervento (grazie alla possibilità di esplorare anche le cavità più nascoste), la minore invasività e il rispetto dell'anatomia (per l'uso di microferri e per il miglior controllo dato dalla visione endoscopica), il controllo del sanguinamento (sempre per lo stesso motivo), la possibilità di evitare il tamponamento nasale nel post operatorio (grazie all'utilizzo di gel riassorbibili posizionati a fine intervento). È ovvio che quanto sopra riportato si traduce, per il paziente, in un ricovero molto breve, 1-2 giorni anche per le patologie massive e più complesse, un decorso post operatorio meno impegnativo senza la fastidiosa presenza di edemi, ematomi e soprattutto del dolore che caratterizzava i giorni successivi all'operazione; ma il massimo gradimento i pazienti lo esprimono per il non aver subito il tanto temuto tamponamento nasale e la successiva rimozione dei tamponi. Infine, un innegabile vantaggio per l'operatore e tutta l'équipe è quello di poter seguire tutte le fasi dell'intervento sul monitor, quindi con immagini ingrandite, nitide e ben definite, visibili a tutti consentendo così al chirurgo di avere sempre sotto controllo le delicatissime strutture circostanti (bulbo oculare, nervo ottico, carotide, etc.) e all' aiuto di collaborare attivamente potendo agire sul campo operatorio con aspiratore o altri ferri sotto controllo diretto. Non va poi dimenticata la possibilità di documentare gli interventi con registrazioni su DVD o altri supporti, la qual cosa consente indubbi vantaggi dal punto di vista scientifico, didattico e anche medico legale. Ci sembra quindi importante segnalare questa nuova tecnica chirurgica che la nostra équipe esegue perché, sebbene essa stia prendendo piede in questi ultimi tempi, ha ormai alle spalle alcuni anni di esperienza e di affinamento dello strumentario e delle metodiche. Soprattutto, importante è che il paziente venga messo al corrente del fatto che, nell'eventualità di doversi sottoporre a un intervento di chirurgia naso-sinusale, oggi potrà farlo rivolgendosi a centri specializzati dove l' intervento viene eseguito con la tecnica endoscopica-microchirurgica.


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Il Dipartimento di Chirurgia Generale

Il Prof. Roberto Rollino, Direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale della Clinica Salus di Alessandria, insieme alle Dottoresse Annalisa Mancin e Maria Rosa Maimone

Il Dott. Gianfranco Giffoni, Responsabile del trattamento medico e chirurgico di Flebologia

Il Dipartimento di Chirurgia Generale della Clinica Salus di Alessandria ha oltre 50 anni di vita e vanta illustri tradizioni: nel 1962 fu eseguito il primo intervento di Cardiochirurgia della città per stenosi della valvola mitralica. L’équipe, diretta dal grande maestro professor Achille Mario Dogliotti, era composta dal professor Angelo Rollino, fondatore e per anni Direttore del Dipartimento Chirurgico della struttura, e dal dottor Pier Luigi Vistarini. Altri grandi maestri della Chirurgia Italiana si sono avvicendati in queste sale operatorie: basti ricordare il professor Biancalana, il professor A.E. Paletto e il professor F. Morino. Attualmente il Dipartimento di Chirurgia Generale della Clinica Salus è diretto dal professor Roberto Rollino, professore a contratto di chirurgia laparoscopica presso l’Università degli Studi di Pavia, che si avvale dell’équipe composta dal dottor Gianfranco Giffoni, dalla dottoressa Annalisa Mancin e dalla dottoressa Maria Rosa Maimone. L’attività chirurgica è particolarmente dedicata alla Chirurgia Laparoscopica Mini-Invasiva, alla Chirurgia della parete addominale (ernie e laparoceli), alla Chirurgia gastrointestinale, alla Chirurgia proctologica, flebologica e della mammella. Fiore all’occhiello dell’Unità Operativa è la Chirurgia Laparoscopica e in particolare il trattamento della calcolosi della Colecisti: nel 1991 il professor Roberto Rollino ha eseguito una delle prime colecistectomie laparoscopiche della nostra regione e a oggi, sono circa 1800 gli interventi di chirurgia Mini-Invasiva effettuati presso la Clinica Salus di Alessandria. Altro settore chirurgico per il quale il Dipartimento di Chirurgia è diventato punto di riferimento, riguarda il trattamento protesico delle ernie e dei laparoceli. Gli studi e le ricerche riferite alle tecniche chirurgiche e ai materiali protesici con le loro complicanze, hanno permesso di presentare le casistiche e le metodiche eseguite presso la Clinica Salus nel corso dei più importanti congressi nazionali e internazionali, durante i quali il professor Roberto Rollino ha eseguito anche interventi operatori in diretta. Numerosi i lavori scientifici pubblicati e gli studi multicentrici ai quali il Dipartimento di Chirurgia ha partecipato. Gli oltre 3000 interventi chirurgici effettuati per la riparazione di ernie e laparoceli con l’impiego di protesi, rappresentano il frutto di questa esperienza suffragata dai corsi e dai workshop che periodicamente vengono organizzati all’interno della struttura. Fra le attività dell’Unità Operativa va menzionato il servizio di Flebologia che vede da anni il dottor Gianfranco Giffoni responsabile del trattamento medico e chirurgico. Intensa è anche l’attività degli ambulatori specialistici di chirurgia generale che sono effettuati giornalmente e permettono di visitare oltre 1000 pazienti all’anno. Di grande importanza infine è il legame tra il Dipartimento Chirurgico e l’Università: attualmente l’unità funzionale di Chirurgia Generale della Clinica Salus è convenzionata a scopo didattico e scientifico con la Scuola di Specialità di Urologia dell’Università degli Studi di Pavia, ed è quindi frequentata dagli specializzandi per approfondire la loro preparazione chirurgica.


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Oculistica: ecco le novità

Il dottor Alessandro Russo, responsabile del servizio di Oculistica presso la Clinica San Giuseppe di Asti, dove operano anche i dottori Giovanni Amerio, Franco Baldi, Claudio Banchero, Giovannni Bo, Guido Maria Brunetti, Claudio Casale, Dario Cipullo, Giuseppe Di Meglio, Roberto Dossi, Giacomo Gallo, Mario Goisis, Sven Groenhoff, Giovanni Lavia, Rosanna Leonardis, Paolo Marucchi, Manuela Massaioli, Lauro Pissarello, Salvatore Romeo, Luca Rubiolini, Elisabetta Suppo

Il servizio di Oculistica della Clinica San Giuseppe di Asti è attivo fin dal 1995, quando i gruppi del dottor Roberto Dossi e poi del professor Lauro Pissarello introdussero alcune novità diagnostiche e terapeutiche, in particolare in ambito della chirurgia della cataratta, che restano a tutt’oggi tecniche di riferimento. Con l’ingresso della Clinica nel Gruppo Policlinico di Monza, si sono già viste numerose innovazioni, tra cui il blocco operatorio e il rinnovamento tecnologico degli ambulatori, e le nuove collaborazioni con i dottori Guido Maria Brunetti e Alessandro Russo: il servizio di Oculistica, di cui è responsabile il dottor Russo, appare all’avanguardia per la diagnosi e il trattamento terapeutico della maggior parte delle patologie dell’occhio e dei suoi annessi. L’attività Ambulatoriale si svolge presso la sede distaccata di via Morelli, dove sono eseguite le visite specialistiche e gli accertamenti diagnostici relativi a: - Cataratta - Patologie della retina - Patologie della superficie oculare (cornea e congiuntiva) - Glaucoma - Patologie funzionali ed estetiche degli annessi oculari (palpebre e vie lacrimali) - Patologie orbitarie - Patologie neuroftalmologiche - Patologie oftalmopediatriche (depistaggio dell’ambliopia, strabismi, cataratte congenite, ecc.). L’intervento chirurgico per la cataratta viene eseguito mediante la facoemulsificazione del cristallino (con l’utilizzo di ultrasuoni, attraverso incisioni di pochi millimetri, viene frantumata e aspirata la lente opacizzata) e la successiva introduzione di lenti intraoculari pieghevoli della più recente generazione che permettono il rispetto dell’anatomia dell’occhio e un rapido ed efficace recupero visivo. A tutt’oggi le patologie della retina, e in particolare le maculopatie, sono tra le più invalidanti e portano, talora rapidamente e definitivamente, a un grave deficit visivo. Controlli periodici del fondo dell’occhio e apparecchiature sempre più precise e meno invasive (in particolare la Tomografia a Coerenza Ottica, OCT, della macula), permettono di giungere a una diagnosi repentina e alle indicazioni terapeutiche più adeguate. Le tecniche chirurgiche tradizionali sono affiancate dalle recentissime terapie intravitreali che consistono nell’iniezione all’interno del vitreo, mediante aghi sottilissimi e in massima sterilità (sala operatoria), di farmaci anti-VEGF che contrastano l’evoluzione e, in una grande percentuale di casi, risolvono la degenerazione maculare senile. Il cheratocono è una malattia distrofica della cornea, la quale subisce, nella sua parte centrale, progressivi cambiamenti morfologici (aumento della curvatura e assottigliamento), evidenziati dalla topografia corneale e dalla pachimetria, con gravi astigmatismi irregolari e importanti deficit visivi. Nei casi estremi e a rischio di perforazione l’unico rimedio è ancora oggi il trapianto di cornea. Il Crosslinking è un nuovo trattamento non invasivo, in cui una proteina, la riboflavina, viene applicata sulla cornea sotto forma di collirio e quindi attivata da una breve esposizione a raggi ultravioletti A (UVA). Tale trattamento ha la capacità di rinforzare la struttura della cornea in pazienti affetti da cheratocono iniziale, in modo da bloccarne l’evoluzione. Nei pazienti affetti da glaucoma, in cui la sola terapia medica non sia sufficiente e i test diagnostici (Tonometria e curva tonometrica, Campo Visivo Computerizzato, OCT della papilla ottica) confermino l’indicazione, vengono eseguiti interventi chirurgici di trabeculectomia o di sclerectomia non perforante oppure trattamenti di ciclodialisi transclerale con laser a diodi. Punto d’incontro tra la chirurgia oftalmologica, la chirurgia plastica e quella ricostruttiva, la chirurgia palpebrale e delle vie lacrimali richiede un’accurata formazione presso strutture universitarie specializzate. Entropion, ectropion, trichiasi, ptosi, blefarocalasi, dermatocalasi, tumori palpebrali, ostruzione delle vie lacrimali… sono tra le principali malattie che beneficiano di tecniche chirurgiche oftalmoplastiche.


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Anno V numero 13 - Giugno 2008 Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1724 del 5 marzo 2004 Direttore responsabile: Marco Pirola Stampa: Grafica Santhiatese, Santhià Progetto grafico: Brunazzi&Associati, Torino Immagini: Policlinico di Monza


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