Il Polietico 14

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Ottobre 2008, Anno 5 - N.14 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

Appuntamento con il cuore

A

lle malattie cardiovascolari, così diffuse e pericolose, il Gruppo Policlinico di Monza ha sempre dedicato un’attenzione particolare, curando l’approccio sia preventivo, sia terapeutico e chirurgico. E proprio il cuore, che con il suo battito incessante ci tiene in vita, è stato protagonista della settimana di eventi che ha celebrato il decennale del Dipartimento Cardiovascolare della clinica Città di Alessandria. Una festa condivisa con la cittadinanza alessandrina, ma anche un’occasione per diffondere quella cultura della prevenzione che ognuno dovrebbe fare propria per mantenere la qualità della vita. Una qualità della vita che passa anche per la salute dell’apparato masticatorio: a questo tema dedichiamo ampio spazio nelle prossime pagine, illustrando i progressi dell’implantologia e le tecniche ortognatodontiche che permettono importanti correzioni delle anomalie mascellari. Affronteremo poi altri due argomenti che interessano da vicino ampi strati della popolazione: la stipsi, descrivendo le novità nella diagnosi e cura, e la menopausa, con un articolo divulgativo che ci accompagna attraverso le modificazioni e i sintomi di questa particolare fase della vita della donna. Buona lettura a tutti! Il Presidente Gian Paolo Vergani

In questo numero: Cardiochirurgia Radiologia Cardiologoa Odontostomatologia

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Colo-proctologia Ginecologia Scienza dell'alimentazione

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Neurochirurgia Urologia Attività di ricerca

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Il Dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria ha festeggiato lo scorso settembre il compleanno insieme ai cittadini

Dieci anni nel cuore di Alessandria

Il Prof. Mario Fabbrocini, Direttore del Dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria

Professor Fabbrocini, cosa ha caratterizzato questo lungo periodo di attività del Dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria? “Mi vengono in mente due cose. Anzitutto il fatto che abbiamo messo a punto il criterio dipartimentale: al paziente non viene offerta la cura di un singolo medico. Riceve, invece, l’attenzione di una serie di professionalità che insieme si occupano del suo problema. Ciò ha migliorato i risultati nella cura del paziente cardiovascolare. Subito dopo penso al rapporto che nel tempo si è instaurato con la popolazione alessandrina. Attualmente, circa il 50% dei pazienti che afferiscono alla nostra struttura proviene dalla città o dalla provincia di Alessandria. È un legame che col tempo è divenuto sempre più forte e, crediamo, rappresenti una risposta concreta al nostro lavoro e al nostro impegno nel campo cardiovascolare”. Quale rapporto esiste fra il suo Dipartimento e l’economia della città di Alessandria? “Credo si tratti di una relazione piuttosto importante. Il 50% dei nostri pazienti proviene da fuori regione. Se per ogni paziente consideriamo un tempo di degenza medio di 5 giorni, e teniamo conto del fatto che viene accompagnato solitamente da due o tre parenti, si pensi a quale indotto possa derivarne per la città di Alessandria. Si tratta di una ricaduta economica che coinvolge principalmente gli albergatori, i ristoratori, i taxi, e tutte quelle strutture commerciali che forniscono beni e servizi”. Cosa rappresenta per la città il suo Dipartimento Cardiovascolare? “Penso che esso costituisca una buona opportunità per i cittadini. Il paziente alessandrino ha la possibilità di scegliere tra il Sistema Sanitario Pubblico e il Sistema Sanitario Accreditato. La cosa più importante è che gli venga erogata una buona prestazione. Il paziente che viene da Alessandria o proviene da fuori città deve poter parlare bene della sanità alessandrina. Si tratta di un obiettivo nel quale ho sempre creduto e per il quale ho sempre lavorato”.

PROFESSOR MARIO FABBROCINI Il professor Mario Fabbrocini ha dato un contributo concreto alla chirurgia coronarica con condotti arteriosi usando per primo al mondo l'arteria del quadricipite femorale (settembre '96); alla chirurgia a cuore battente; alla chirurgia degli aneurismi del ventricolo sinistro modificando con una nuova procedura la tecnica di Jatene-Dor e al trattamento delle cardiopatie congenite con l'ideazione di una nuova tecnica nella riparazione di DIV e

insufficienza Aortica (Yves Lecompte). Nel dicembre 2005 è stato autore di un eccezionale intervento, ossia la sostituzione in un unico tempo e senza arresto di circolo e senza ipotermia profonda, della valvola aortica, dell’aorta ascendente, dell’arco aortico e dell’aorta discendente. Nel corso della sua attività ha eseguito 11000 interventi cardiochirurgici. Ha partecipato a numerosi congressi come oratore e pubblicato articoli su riviste nazionali ed internazionali.

DIPARTIMENTO CARDIOVASCOLARE Il Dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria è nato nel 1998. In 10 anni il numero dei ricoveri è salito dai 499 del 1998 ai 2000 del 2007 per un totale di 14964. La struttura ha a disposizione 2 sale operatorie, 5 letti di terapia intensiva postoperatoria, 8 letti di terapia postintensiva, 30 letti di degenza, 1 sala di Emodinamica ed elettrofisiologia, 3 ambulatori di Cardiologia. Il Dipartimento Cardiovascolare è accreditato con il Servizio Sanitario Nazionale.


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La collaborazione con il Campus Bio-medico di Roma

Il Prof. Elvio Covino, Ordinario di Cardiochirurgia, è Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-medico di Roma. È inoltre Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiochirurgia e dell’Unità Operativa di Chirurgia Cardiovascolare del Policlinico Universitario Campus Bio-medico

Professor Covino, come nasce il rapporto con il Dipartimento Cardiovascolare diretto dal suo collega Fabbrocini? Nasce dalla stima reciproca, dall’essere conterranei e dall’aver condiviso, almeno in parte, la fase della formazione. È chiaro che a un certo punto le nostre strade si sono divise, ma abbiamo continuato ad incontrarci ai congressi cardiochirurgici, dove, presentando le nostre esperienze operative, abbiamo intravisto una possibilità di collaborazione che si è fatta via via sempre più solida e concreta. In quali ambiti si sta sviluppando maggiormente la collaborazione con Alessandria? La collaborazione col Dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria si concretizza in modo particolare nella formazione degli specializzandi, sulla base di un criterio di estensione dell’esperienza e dell’esposizione a differenti modalità operative. Devo dire che con la clinica si è immediatamente instaurato un rapporto molto stretto, grazie al quale gli specializzandi sono in condizione di reiterare il percorso formativo. Una specie di “ping-pong” della formazione, insomma, che consente di allargare la visione del mondo fino a comprendere prospettive diverse; infatti anche in cardiochirurgia, come in altri campi, sono possibili differenti modalità operative. Un altro ambito importante di collaborazione è quello della ricerca; importante perché consente di sfruttare potenzialità nascoste. Nell’Università ci si interroga sulle ragioni di fondo che costituiscono il presupposto della ricerca, la si ama, anche se a volte è causa di frustrazione per la ben nota e cronica carenza di mezzi. I colleghi che operano in ospedale sentono per contro l’esigenza di un momento di riflessione che consenta loro di valutare e ordinare l’immenso lavoro che fanno. La collaborazione tra ricercatori e ospedalieri può essere realizzata in senso retrospettivo oppure prospettico. Mi spiego: l’osservazione dei risultati di centinaia di pazienti che vengono operati di una determinata patologia e con un determinato protocollo, può indurre a modificare qualcosa in senso migliorativo. Con la metodologia collaborativa da noi adottata si può fare in modo di monitorare costantemente le procedure introducendo, ove necessario, le modifiche che le rendono più efficaci e sicure. Per contro, un esempio di studio prospettico è costituito dal piano di ricerca sulla Mini CEC (Circolazione Extra Corporea): con il tramite dello specializzando in loco nelle due sedi possiamo effettuare controlli e valutazioni dei risultati di questa nuova tecnica di grande importanza per l’attività clinica. Quali sviluppi ci si può aspettare in futuro? La ricerca e la formazione sono per loro natura espansive e quindi non è facile dare una risposta “deterministica” a questa domanda. Sotto il profilo istituzionale abbiamo potuto apprezzare la grande disponibilità della clinica a utilizzare modalità di scambio formativo estendendole anche alla formazione infermieristica d’alto livello. Stiamo lavorando per condividere con la Città di Alessandria, a breve, i benefici di un corso di laurea che, istituito dall’Università Campus Bio-Medico tra i primi in Italia, sta portando evidenti frutti positivi nell’organizzazione dei diversi settori ospedalieri. In ambito scientifico stiamo indagando con grande interesse nel campo della riduzione del rischio cardiochirurgico e in particolare in quello delle metodologie mini-invasive. Siamo inoltre attivamente impegnati in uno studio “pilota” per lo sviluppo di una protesi “intelligente” a partenza da matrice riassorbibile e cellule staminali che avrà lo scopo di ricreare condotti vascolari simili ai vasi sanguigni. Si tratta di un progetto ancora allo stadio embrionale, ma che potrebbe risolvere il grave problema dei pazienti che non dispongono più, per l’età avanzata o per precedenti interventi, di vasi utilizzabili per i bypass. Visto che i vasi artificiali di piccolo calibro tendono a richiudersi dopo poco tempo, la speranza è tutta nella ricostruzione “autogena” dei tessuti e degli organi che si rendono necessari. Anche per questa ricerca, che è svolta in stretta collaborazione con la Facoltà di Ingegneria Biomedica dell’Università Campus Bio-Medico e con il Cardiac and Molecular Biology Laboratory dell’Università di Pittsburgh, ci stiamo avvalendo dell’aiuto - nella forma di frequenti scambi di opinioni, valutazioni o suggerimenti - dei nostri amici del Dipartimento Cardiovascolare della Città di Alessandria.


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Festa di compleanno con tutta la città

Il Prof. Mario Fabbrocini e Cristina Parodi durante lo Show del Cuore svoltosi venerdì 26 settembre ad Alessandria

Il decennale del Dipartimento Cardiovascolare è stato celebrato con una manifestazione intitolata “AL centro del cuore”: fra il 20 e il 27 settembre una serie di iniziative ha coinvolto tutta la città di Alessandria sottolineando il legame sempre più stretto fra il Dipartimento e la cittadinanza. Le iniziative pensate per coinvolgere gli alessandrini nella festa hanno avuto un unico filo conduttore: la prevenzione delle malattie cardiovascolari, un argomento la cui conoscenza purtroppo non è ancora sufficientemente diffusa presso la popolazione. La manifestazione è cominciata nel pomeriggio di sabato 20 settembre con “Col cuore in piazza”. In collaborazione con l’APMC (Associazione Prevenzione Malattie Cardiovascolari) sono stati allestiti vari banchetti nelle vie del centro, dove un gruppo di volontari ha distribuito palloncini a forma di cuore e fornito informazioni ai passanti. La sera stessa ha preso il via l’iniziativa “La salute nel piatto”. In collaborazione con l’Ascom alessandrina e otto tra i più noti ristoranti della città, per tutta la settimana è stato proposto alla clientela un menu capace di dimostrare che si può mangiare avendo cura della propria salute senza rinunciare ai piaceri del palato. Le ricette sono state indicate dal professor Attilio Giacosa, direttore del Dipartimento di Gastroenterologia del Policlinico di Monza. Giovedì 25 settembre ha avuto luogo la “Mini cinemaratona del cuore”. Ispirandosi ad una recente ed originale branca della psicanalisi, introdotta dall’americano Gary Salomon, gli alessandrini sono stati invitati a partecipare a una ‘seduta di cineterapia’, perché ridere fa bene al cuore. Gran finale venerdì 26, con lo “Show del Cuore”, presentato dalla giornalista televisiva Cristina Parodi, alessandrina d’eccezione. Sono intervenuti il sindaco di Alessandria, Piercarlo Fabbio, e il presidente della Provincia, Paolo Filippi, che hanno portato il loro saluto al folto pubblico presente. È poi salito sul palco il presidente della Fondazione Policlinico di Monza, il dottor Michelangelo De Salvo, che ha presentato il futuro della Clinica Città di Alessandria: la nuova struttura che presto vedrà la luce dando maggiore respiro alle potenzialità della casa di cura. La serata ha visto le mirabolanti esibizioni degli artisti del Cirque du Soleil, che hanno incantato gli spettatori con la loro magia, e l’esibizione del chitarrista Lorenzo Micheli, vincitore dell’edizione 2007 del Premio Pittaluga di chitarra classica, una delle manifestazioni alessandrine più rinomate. Infine, un video reportage dalle vie di Alessandria ha messo l’accento, divertendo i presenti, sulla poca conoscenza del nostro apparato cardiocircolatorio. Il festeggiamento del decennale ha coinciso con il 4° Corso per cardiologi organizzato dal Dipartimento Cardiovascolare con argomento “Le Valvulopatie” che ha avuto luogo sabato 27. Il corso, presieduto dal professor Elvio Covino, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Biomedico di Roma, è stato organizzato presso la Camera di Commercio alessandrina, collegata in diretta con la sala operatoria del Dipartimento Cardiovascolare presso la quale il professor Mario Fabbrocini ha eseguito un intervento di Bentall.


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Biella: un accordo migliora l’offerta sanitaria sul territorio

Il Dott. Massimo De Salvo, Presidente della Clinica La Vialarda (al centro) accanto al Dott. Pier Oreste Brusori, Direttore Generale dell’Asl di Biella (a sinistra) e al Rag. Lino Giusti, Direttore Generale de La Vialarda

La Risonanza Magnetica Nucleare (R.M.N.) da 1,5 tesla della ditta G.E.

L’accordo fra la Clinica La Vialarda e l’Asl 12, il primo del suo genere a livello regionale, ha lo scopo di razionalizzare il più possibile le risorse sanitarie disponibili sul territorio, facilitare l’accesso di tutti i cittadini, in particolare delle persone anziane o con mobilità ridotta, alle prestazioni mediche, riducendo quindi la migrazione dell’utenza a causa delle lunghe liste d’attesa. Tecnicamente definito lettera d’intenti, il documento recentemente siglato migliora notevolmente il precedente assetto delle specialità accreditate. Integrazione, appropriatezza e risposta locale sono i concetti chiave e condivisi che hanno orientato le decisioni alla base dell’accordo. Nello specifico, l’integrazione tra servizio sanitario pubblico e privato si prefigge di evitare duplicazioni o sovrapposizioni di servizi, consentendo così di dare risposte più efficaci ai bisogni di salute della popolazione biellese. L’appropriatezza prevede un’offerta di servizi sanitari in grado di dare risposte adeguate ai bisogni della collettività garantendo a tutti ciò che è effettivamente necessario, ed evitando inutili sprechi. Risposta locale significa fare in modo che i bisogni a livello sanitario della popolazione biellese possano, per quanto possibile, essere adeguatamente soddisfatti in ambito locale, senza ricorrere a scomodi spostamenti in altre province o addirittura fuori regione. In particolare, l’accordo prevede il convenzionamento della Radiologia della Clinica “La Vialarda” per alcuni tipi di prestazioni radiologiche. La Struttura di Radiologia dell’ASL di Biella valuterà, in caso di necessità, se inviare in convenzione i pazienti per alcune prestazioni radiologiche. “È un accordo che nasce in uno spirito di grande collaborazione tra pubblico e privato, che contiene alcuni elementi rivelatori di una particolare attenzione nei confronti dei cittadini. Di particolare importanza a livello ambulatoriale la convenzione con il Dipartimento di Diagnostica per Immagini che permetterà ai cittadini di Biella di poter usufruire in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale di tutte le prestazioni di Radiologia Tradizionale, ecografia, nonché delle prestazioni offerte dalla TAC brillance Philips multislice e dalla RMN 1,5 tesla della ditta GE. L’alta tecnologia di cui dispone La Vialarda sarà quindi disponibile per i cittadini del biellese e, a corollario di tutto ciò, per testimoniare ulteriormente la vicinanza con il territorio, La Vialarda istituisce un’apposita navetta di cui potranno beneficiare i pazienti e i loro familiari” ha affermato Lino Giusti, Direttore Generale de La Vialarda. “Insieme ai nostri omologhi della ASL abbiamo cercato di rendere ancora più facile la fruizione dei servizi sanitari da parte del pubblico oltre a ottimizzare l’utilizzo di risorse pubbliche, un argomento di strettissima attualità, quest’ultimo, che ci vede da sempre impegnati in prima linea”.


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Clinica Salus: verso un approccio nuovo e globale al paziente

Il Prof. Elio Guido Rondanelli, Direttore Scientifico del Gruppo Policlinico di Monza (a destra) con il Dott. Massimo Piccinini, Responsabile della Cardiologia presso la Clinica Salus di Alessandria (a sinistra)

Novarello Villaggio Azzurro è il centro di formazione piemontese del Gruppo Policlinico di Monza

Dottor Piccinini, quale attività viene svolta presso la Cardiologia della Clinica Salus? “Nell’Ambulatorio di Cardiologia, di cui sono responsabile, si effettuano in un anno circa 5000 prestazioni, comprendenti ECG e visite cardiologiche, ecocardiogrammi, ECG dinamico secondo Holter e prove da sforzo al cicloergometro. L’Ambulatorio ha una grande importanza sia nello screening della popolazione sia nel follow-up dei pazienti, individuando anche quelle condizioni patologiche che possono beneficiare di un intervento di cardiochirurgia, vuoi valvolare, vuoi vascolare. Seguiamo inoltre tutti i pazienti ricoverati che possono presentare problematiche cardiologiche. Negli ultimi tempi l’attività è notevolmente aumentata in conseguenza di quella che definirei una nuova disciplina medica, ovvero la valutazione e la gestione in regime di prericovero dei pazienti destinati a un intervento chirurgico”. Come viene affrontata questa nuova situazione? “Nella nostra Clinica vengono effettuati prevalentemente interventi di Ortopedia. Sono stati fatti grandi passi per quanto riguarda le tecniche chirurgiche e le procedure anestesiologiche. In conseguenza di questi miglioramenti, e del continuo aumento della vita media della popolazione, sono in numero sempre crescente le persone affette da patologie degenerative che arrivano sul letto operatorio per essere sottoposte a interventi di protesi (anca, ginocchio, spalla) o a interventi sulla colonna vertebrale. Per la maggior parte questi pazienti, ovviamente, sono in età avanzata e frequentemente presentano comorbidità, molto spesso patologie cardiovascolari. La valutazione e il management cardiologico di questi pazienti, destinati a una chirurgia non cardiaca, assume quindi un’importanza fondamentale sia per quanto riguarda il benestare alla procedura, sia per l’assistenza perioperatoria”. Com’è strutturato questo servizio? “Ho partecipato recentemente a un incontro con i rappresentanti delle più importanti strutture private accreditate del Nord Italia. Tutti ci confrontiamo con questo problema, e non esiste un’uniformità di comportamento. Nelle prossime riunioni si cercherà di definire Linee Guida nazionali sull’argomento, che al momento non esistono. Devo sottolineare che la gestione dei prericoveri nel nostro Istituto segue protocolli di assoluto rilievo clinico. Ad esempio alla Salus il compito di valutare il paziente e richiedere eventuali ulteriori accertamenti è affidato agli Internisti, che possiedono una visione più ampia delle varie patologie.” Lei è stato promotore di due riunioni plenarie fra i vari specialisti del Gruppo Policlinico di Monza, tenutesi a Novarello Villaggio Azzurro. “Era un progetto che avevo in mente da tempo e che grazie al sostegno della Presidenza sono riuscito a realizzare. Il primo incontro è stato riservato ai Cardiologi e il secondo in collaborazione con i colleghi Internisti e Gastroenterologi. Questi meeting servono a far conoscere fra loro gli specialisti delle varie strutture e a permettere lo scambio di opinioni. L’esperienza insegna come da incontri preliminari tra specialisti della stessa disciplina possano nascere importanti e inaspettati progetti.” E per quanto riguarda l’attività scientifica e di ricerca? “Queste due attività sono prioritarie. Come ama ripetere spesso il professor Rondanelli, Direttore Scientifico del Gruppo Policlinico di Monza, facendo sua una famosa frase di Camillo Golgi, “una struttura ospedaliera, nella quale non si svolga attività scientifica è


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destinata a diventare un lazzaretto di manzoniana memoria”. La tecnologia avanzata e la professionalità dei sanitari del nostro gruppo permettono di avere un profilo scientifico di prim’ordine. Queste caratteristiche sono ben note alle industrie farmaceutiche, che ci hanno affidato già numerosi trials clinici per la valutazione dei loro prodotti. Se uno studio viene condotto, proprio grazie alle peculiari caratteristiche delle nostre cliniche, in tempi brevi e in maniera corretta, le occasioni di collaborazione con le ditte farmaceutiche saranno sempre più numerose e foriere di interessanti sviluppi”. E il futuro? Come già riferito, l’attività scientifica e culturale saranno preminenti. A questo scopo il Comitato Scientifico sarà riorganizzato e si riunirà più frequentemente, cercando di coinvolgere le persone più motivate. Verrà organizzata nei primi mesi del prossimo anno “La giornata della Scienza”, incontro al quale prenderanno parte numerosi specialisti del Gruppo Policlinico di Monza. C’è poi un progetto, che spero di poter realizzare entro i prossimi due anni che ho idealmente chiamato “Rosa dei venti”. Come punti cardinali, i poli cardiologici privati più importanti del Nord Italia (Humanitas, San Raffaele, San Donato e naturalmente Policlinico di Monza): un convegno di cardiologi e cardiochirurghi delle suddette strutture, tutte all’avanguardia nel campo della sanità. Un evento a cui dare opportuno risalto attraverso i mezzi di comunicazione”.

Denti e bocca, un ambito complesso

Alla cura e alla correzione dell’apparato masticatorio concorrono diverse discipline – odontoiatria, chirurgia odontostomatologica, ortognatodonzia -, specialità alle quali il Gruppo Policlinico di Monza dedica particolare impegno e attenzione. Presso il Policlinico di Monza sono presenti due servizi di odontostomatologia. Il primo, diretto dal Prof. Massimo Pricca ha sede in via Amati 111 a Monza ed il secondo, di recente apertura sotto la Direzione Scientifica del Prof. Marco Baldoni, ha sede in via Petrarca 51 a Verano Brianza presso l’Istituto Clinico Universitario di Verano Brianza. A sinistra il Prof. Marco Baldoni Direttore della Scuola di Specializzazione di Odontostomatologia dell’Università di Milano Bicocca; a destra il Prof. Massimo Pricca Responsabile del Servizio di Odontostomatologia del Policlinico di Monza

A Monza le nuove frontiere dell’Implantologia

L’implantologia odontoiatrica, ovvero la sostituzione della dentatura persa mediante viti in titanio inserite nelle ossa mascellari, ha rappresentato un significativo progresso nella riabilitazione orale della popolazione comportandone un miglioramento della qualità di vita. Le metodiche “tradizionali”, ormai appannaggio di quasi tutti gli ambulatori odontoiatrici, prevedono l’inserimento di viti in titanio mediante un piccolo intervento ambulatoriale, e la successiva applicazione della dentatura protesica a distanza di almeno 4/5 mesi. Nonostante i vantaggi di questa metodologia, per alcuni pazienti i tempi di attesa tra l’inserimento degli impianti e l’applicazione della protesi, e l’eventuale gonfiore postoperatorio legato all’intervento, rappresentano un motivo di disagio. Inoltre, la mancanza di tessuto osseo, legata alla perdita della dentatura naturale, in alcuni casi, non permette di riabilitare il paziente con una protesi fissa. Tutte queste problematiche sono state superate con l’avvento di nuovissime metodologie di cui l’Unità Operativa di odontoiatria e chirurgia maxillo-facciale del Policlinico di Monza, diretta dai dottori Massimo Pricca e Paolo Loreti, è dotata. Nel concreto è possibile, per un paziente con protesi mobile, entrare nell’ambulatorio


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dentistico e uscirne, nella stessa mattina, dopo circa due/tre ore, con una dentatura fissa; senza il disagio del gonfiore post-operatorio che a volte segue il classico intervento di implantologia. Nel dettaglio, l’operatività è la seguente: • il paziente, dopo accurato esame clinico da parte degli specialisti sopraccitati, viene sottoposto ad un esame TAC guidato da una particolare dima diagnostica presso il reparto di radiologia del Policlinico di Monza; • l’esame TAC viene poi rielaborato in modo da ricostruire al computer, tridimensionalmente, i mascellari del paziente in oggetto; • in questo modo la protesi finale viene costruita, virtualmente, con una metodica CAD (Computer Aid Designed) simile a quella utilizzata per la progettazione delle autovetture; • successivamente, mediante apparecchi robotizzati CAM (Computer Aid Manufacturing), viene costruita una particolare dima chirurgica e la protesi fissa. Il Dott. Paolo Loreti e la Dott.ssa Silvana Khlat, Servizio di Odontostomatologia del Policlinico di Monza

Al momento dell’intervento gli impianti vengono inseriti nel mascellare del paziente senza alcuna incisione chirurgica, e immediatamente viene applicata la protesi fissa precedentemente progettata. Il paziente esce dall’ambulatorio con la nuova dentatura perfettamente funzionante. In casi particolari, in cui la carenza di osso precluda la pronta esecuzione di tale metodica si procede, in prima istanza, a un intervento di innesto osseo (da eseguirsi in anestesia generale) e dopo circa quattro/cinque mesi si può procedere con la metodica illustrata.

Caso ultimato con protesi in sito A

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A - Caso alla presentazione B - RX panoramica alla presentazione C - RX panoramica dopo estrazioni e ricostruzione ossea D - Progettazione computer assistita CAD


9 E - RX panoramica ad impianti inseriti

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F - Immagine clinica ad impianti inseriti G - Caso ultimato con protesi in sito

A Verano Brianza la Chirurgia Odontostomatologica è universitaria

Il trattamento ortopedico precoce delle discrepanze trasversali del mascellare superiore Una delle anomalie di interesse ortognatodontico di più frequente osservazione è l’ipoplasia del mascellare superiore. Questa è spesso associata a morso incrociato posteriore mono o bilaterale, ed è talora complicata dalla presenza di altri problemi: affollamento e asimmetrie dentali, asimmetrie posturali e/o basali e presenza di abitudini disfunzionali. La possibile evoluzione negativa di una malocclusione rappresenta una forte motivazione al trattamento precoce, e il crossbite posteriore che si sviluppi precocemente e si mantenga dalla dentatura decidua alla permanente difficilmente andrà incontro ad autocorrezione, manifestando effetti a lungo termine sulla crescita e lo sviluppo. Per tale motivo il trattamento precoce è spesso indicato allo scopo di normalizzare l’occlusione e creare le condizioni per un normale sviluppo occlusale. La presenza di un crossbite monolaterale posteriore determina infatti, con le arcate dentarie in posizione di massima intercuspidazione, una laterodeviazione di tipo funzionale che si accompagna a una posizione asimmetrica dei condili, un’asimmetria nelle dimensioni degli spazi articolari e a un pattern generale di asimmetria scheletrica. La risultante di tale condizione può essere rappresentata da asimmetrie cranio facciali e rischio di disordini temporomandibolari. Inoltre, nonostante non esista l’indicazione a effettuare l’espansione del mascellare superiore al solo fine di migliorare la funzionalità respiratoria del paziente, la correzione tramite espansione di un mascellare contratto si accompagna anche a un miglioramento della pervietà delle vie aeree superiori. Nonostante il vasto consenso sull’opportunità di correggere precocemente i morsi incrociati posteriori, esistono opinioni contrastanti e perplessità riguardanti il momento ideale per intervenire e il tipo di apparecchiatura più adatta per ottenere la correzione. Per quanto concerne il timing, alla luce degli studi effettuati e della casistica raccolta, si può affermare che il momento migliore per iniziare l’espansione del mascellare è quello in cui stanno per erompere gli incisivi laterali superiori e i primi molari superiori sono erotti ma non hanno ancora stabilito rapporti di intercuspidazione con gli inferiori. Si è osservato infatti che la correzione mediante apparecchiature ortodontiche del morso incrociato in dentatura completamente decidua, seppur efficace, può essere considerata non indicata per l’impossibilità di garantire il raggiungimento di corretti rapporti occlusali tra i molari permanenti, che devono ancora erompere.


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La dott.ssa Elisabetta Bassetti, responsabile del Reparto Pedo-Ortodonzia dell'Istituto Clinico Universitario di Verano Brianza e Professore a contratto per Università Milano Bicocca.

Bibliografia: ROSA M. - “Espansione dell’arcata superiore in dentatura mista senza collaborazione e senza toccare i denti permanenti: indicazioni e timing”. Ortognatodonzia italiana 2006 vol 13 (1) 33-43

Tuttavia, dato che la correzione del morso incrociato si impone anche in dentatura completamente decidua per migliorare la postura ed evitare l’instaurarsi di asimmetrie anatomiche, la soluzione ideale è il molaggio selettivo, che toglie le interferenze occlusali e permette alla mandibola di ricentrarsi. Per quanto riguarda invece il tipo di presidio ortodontico da utilizzare per la correzione di questo tipo di malocclusione, è possibile e auspicabile l’utilizzo di apparecchiature fisse ancorate agli elementi decidui. Tra le apparecchiature utilizzabili ricordiamo l’espansore di Haas, costituito da scudi in resina a contatto con la volta palatina, con una vite centrale di espansione i cui bracci sono connessi posteriormente a bande cementate ai secondi molari decidui e anteriormente bondati con resina alla superficie palatale dei canini decidui. Con tale apparecchio si ottiene una disgiunzione rapida della sutura mediana del palato. Le attivazioni della vite centrale saranno 1 o 2 al giorno fino alla correzione del crossbite. La prognosi è buona, la predicibilità è alta, si ottiene la correzione del morso incrociato posteriore, si creano le condizioni per l’eruzione dei laterali superiori, si permette l’autoespansione dell’arcata inferiore, non si creano danni iatrogeni ai molari permanenti, l’accettazione da parte del paziente è ottima e la collaborazione richiesta è minima. L’apparecchio, a espansione avvenuta, deve essere lasciato in situ per almeno 10 mesi per contrastare la recidiva e non deve essere tolto prima che erompano gli incisivi laterali. Conclusioni L’espansione precoce del mascellare superiore può essere eseguita in modo ottimale nelle prime fasi della dentatura mista con un disgiuntore rapido ancorato ai secondi molari decidui e ai canini decidui. Questa procedura permette di ottenere: - correzione di crossbite posteriori a carico dei molari permanenti - prevenzione dell’affollamento degli incisivi permanenti superiori - correzione della asimmetria posturale della mandibola - lieve auto espansione della arcata inferiore. I vantaggi maggiori sono rappresentati da: - prevenzione di danni iatrogeni a carico dei permanenti - assenza di collaborazione - induzione di movimento spontaneo a livello dei sesti - correzione delle deviazioni posturali della mandibola.


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La malattia parodontale, un’infezione focale che parte dalle gengive e arriva fino al cuore

Il dott. Riccardo Monguzzi, Responsabile Clinico del Servizio di Odontostomatologia dell'Istituto Clinico Universitario di Verano Brianza.

Fin dall’antichità si credeva che le malattie e le infezioni che colpiscono la bocca, come la parodontite, avessero effetti su tutto l’organismo. Egizi, ebrei, assiri, greci e romani individuarono nelle patologie infettive orali la causa di svariate patologie sistemiche. Vittima illustre di queste teorie fu Re Sole (Luigi XIV 1638-1715), il quale, cagionevole di salute, venne sottoposto a una serie di estrazioni associate a cauterizzazioni dei siti estrattivi, effettuate con un ferro arroventato, che gli cagionarono comunicazioni orosinusali tali da rendergli sconveniente l’assunzione di cibi liquidi o bevande durante i banchetti. Agli inizi del Novecento, quando la scienza medica si era addentrata troppo poco nell’eziologia di alcune malattie quali ad esempio l’artrite, la polmonite e la pancreatite, gli scritti e le conferenze di alcuni autori, tra i quali W.D. Miller e W. Hunter, diffusero la convinzione secondo cui i batteri e le infezioni orali erano presumibilmente responsabili della maggior parte delle malattie sistemiche. Ebbe così inizio quella che è stata definita come “era della malattia focale” che riscosse consenso nella classe medica fino agli anni Quaranta. In seguito la medicina e l’odontoiatria, grazie anche all’affermarsi di teorie eziologiche specifiche per le varie patologie, iniziarono a comprendere i limiti della teoria dell’infezione focale. A seguito di questa perdita di interesse della medicina, rispetto alle potenzialità patogenetiche dei batteri coinvolti nelle infezioni dentali e gengivali, l’odontoiatria ha conosciuto un periodo di oblio. Al contrario, negli ultimi decenni alcuni studi, epidemiologici e sperimentali, hanno dimostrato un’evidente correlazione tra infezione orale e alcune malattie sistemiche quali le coronaropatie, le complicanze in gravidanza con nati pre-termine a basso peso alla nascita, il diabete e le malattie polmonari. Già da alcuni decenni si ipotizza la teoria che le infezioni, ad esempio da Cytomegalovirus, Herpes Virus, Helicobacter Pylori e Clamidia Pneumoniae, abbiano un ruolo eziologico nell’eterogenesi. Alcuni autori (Herzberg e coll.) hanno riportato che il batterio orale Streptococcus Sanguis, e il patogeno parodontale P. Gengivalis inducono aggregazione e attivazione piastrinica. Le piastrine aggregate possono quindi svolgere un ruolo nella formazione degli ateromi. Un recente studio condotto da Haraszthy e coll. ha identificato la presenza di patogeni parodontali negli ateromi delle carotidi umane. Nel 1996 una pubblicazione di Offenbacher pose l’attenzione sulla relazione tra malattia parodontale e nascita pre-termine di neonati a basso peso. Studi precedenti avevano già dimostrato una correlazione fra infezioni, ad esempio uro-genitali e respiratorie, e questa complicanza gestazionale. Il gruppo di Offenbacher è riuscito a riprodurre tale situazione su popolazioni di criceti in cui è stata indotta una patologia gengivale infettiva. Sono seguiti altri studi epidemiologici su gruppi di donne che hanno confermato la correlazione. Sono anche di notevole interesse recenti studi, Madianos e coll., che hanno evidenziato la presenza di immunoglobuline fetali nel sangue ombelicale fetale, specifiche per alcuni batteri parodontopatogeni, dimostrando la possibilità di interazione tra batteri parodontali e feto. Risulta quindi sicuramente chiaro che la parodontite è fortemente associata a patologie sistemiche, quali l’aterosclerosi e l’infarto del miocardio, anche se rimane molto da indagare per comprendere e chiarire la relazione tra parodonto e rischio complessivo individuale di malattie sistemiche. Conclusioni Alla luce di tutti questi dati risulta evidente che bisogna lavorare seriamente sui vari fronti: odontoiatrico, cardiologico-vascolare e internistico. Risulta inoltre fondamentale aumentare l’interdisciplinarietà fra queste discipline al fine di ottenere i migliori risultati terapeutici.


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La stipsi: diagnosi e cura alla San Gaudenzio

Il Dott. Sergio Agradi, Responsabile del Centro di Chirurgia Proctologica della Clinica San Gaudenzio di Novara

Il centro di Chirurgia Proctologica della clinica San Gaudenzio di Novara, attivo ormai da alcuni anni, si è arricchito di professionalità e mezzi nuovi per rendere completa e accurata la diagnostica, la terapia chirurgica e la cura del paziente operato. Viene cosi garantita l'eccellenza e la completezza diagnostica per tutte le patologie anorettali, e particolare attenzione viene riposta alla diagnosi e cura della stipsi. La principale voce di spesa farmaceutica negli Stati Uniti nel 2005 è stata quella per l'acquisto di lassativi, operando uno storico sorpasso nei confronti degli ansiolitici/antidepressivi. Recenti studi italiani indicano che circa il 30% della popolazione italiana si definisce "stitica" e fa uso più o meno regolare di lassativi; questa grossa fetta di popolazione considera la mancata regolarità delle proprie funzioni corporali come indice negativo per la propria qualità della vita. L'uso cronico di lassativi può portare ad alterazione degli equilibri idroelettrolitici e, soprattutto nell'anziano, a disidratazione cronica con conseguente aumento dell'incidenza degli accidenti cardiovascolari. Non è peraltro da sottovalutare come alcuni lassativi cosiddetti "naturali" favoriscano una particolare colorazione della mucosa intestinale (melanosi colica) che si è dimostrata essere causa di aumento della incidenza di malattie neoplastiche del colon/retto. Risulta evidente pertanto come un accurato studio e conseguente terapia della stipsi possa apportare un miglioramento della qualità della vita e soprattutto diminuire i fattori di rischio di malattie potenzialmente mortali o invalidanti. Tra l'enorme numero di "stitici" distinguiamo due grosse categorie: la stipsi da rallentato transito e la stipsi di tipo espulsivo/rettale (sindrome da ostruita defecazione). Per capire la differenza è necessario considerare il colon/retto come un corridoio con una porta al suo termine. La stipsi da rallentato transito è dovuta a un aumento del tempo di transito del bolo fecale lungo il "corridoio" (colon), la sindrome da ostruita defecazione, invece, risulta da una serie di alterazioni anatomiche e/o funzionali che impediscono alla "porta" (retto/ano) di aprirsi correttamente e permettere l'espulsione del bolo fecale. Sorprendentemente una buona parte dei pazienti stiptici (60/70% del sesso femminile) soffre di disturbi legati alla fase espulsiva più o meno predominanti sulle turbe del transito, pertanto in questi pazienti l'uso di lassativi assunti per bocca risulta per lo meno incongruo. Le moderne tecniche diagnostiche permettono di evidenziare anomalie anatomiche e funzionali del retto e degli organi pelvici nell'atto della defecazione (prolasso rettale interno, rettocele, colpocele, prolasso rettale, enterocele, etc.) che possono, in maniera più o meno importante incidere sulla corretta espulsione del bolo fecale. Prolungato tempo di permanenza in bagno, eccessivo ponzamento, necessità di supposte stimolanti o clisteri, assenza di stimolo, tentativi infruttuosi di defecare, defecazione in più tempi, insoddisfazione dopo la defecazione, senso di incompleta defecazione... sono questi tutti sintomi/segni di una sindrome da ostruita defecazione (molto più comune di quanto non si pensi), che, salvo rari casi, è dovuta a una o più delle patologie pelviche menzionate prima. L'avvento di nuove tecniche diagnostiche e chirurgiche e di nuove tecnologie permette di risolvere brillantemente molte di queste problematiche con interventi a basso impatto sul paziente. Interventi che vengono eseguiti per via rettale, senza cicatrici esterne, in anestesia spinale, con ricovero di una o due notti al massimo e una ripresa delle normali attività e delle funzioni corporali pressoché immediata. Naturalmente, andando a trattare patologie di tipo funzionale, è assolutamente necessario che la diagnostica sia completa e accurata: pertanto alla normale e routinaria, ma indispensabile, diagnostica endoscopica e radiologica, si devono poter associare tutti quegli esami che ci permettono di dare una valutazione completa ed esauriente della statica e della dinamica rettale e degli organi pelvici.


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L’iter diagnostico

Il Dott. Giuseppe Calabrò, Centro di Chirurgia Proctologica della Clinica San Gaudenzio di Novara

La diagnostica della defecazione ostruita si avvale oggi di moderne metodiche strumentali in grado di individuare in maniera sempre più accurata le cause, morfologiche o funzionali, alla base della difficoltosa evacuazione, e soprattutto di distinguere le cause della stitichezza fra quelle intestinali o rettali, spesso concomitanti, ma con diversa indicazione terapeutica. Il corretto inquadramento della stitichezza prevede un primo colloquio con lo specialista al fine di indirizzare adeguatamente l'iter diagnostico. Dopo un'accurata raccolta anamnestica, si procede alla compilazione di un questionario (score) in grado di individuare sommariamente il tipo di stitichezza in questione (intestinale o rettale) attraverso semplici domande riguardanti le caratteristiche dei disturbi sofferti dal paziente. Ciò permetterà al medico di impostare il corretto iter diagnostico al fine di individuare le cause del disturbo, di localizzarle e di quantificarle al fine di porre la corretta indicazione terapeutica. Un primo esame in grado di differenziare cause intestinali o rettali delle alterazioni del transito fecale è un semplice esame radiologico, denominato tempi di transito intestinale, in grado di documentare il tempo che il bolo fecale impiega per transitare attraverso il nostro intestino. L'esame viene svolto a cinque giorni dopo ingestione da parte del paziente di minuscoli granuli radiopachi. Si procede quindi ad una radiografia diretta dell'addome e si osserva l'eventuale persistenza di tali granuli lungo il tragitto del colon. Normalmente dopo cinque giorni non dovremmo ritrovare markers lungo tale tragitto, o trovarne solo tracce. La persistenza di granuli nel colon dopo cinque giorni è indice di un rallentato transito intestinale. Altro esame radiologico, di estrema importanza per l'individuazione di cause funzionali o morfologiche della ostruita defecazione, è la perineografia (colpo-defecografia talvolta con l'aggiunta di cistografia) con l'opacizzazione delle anse del tenue. Questo esame, effettuato dopo preventiva ingestione di pasto baritato al fine di opacizzare le anse del tenue, e dopo introduzione di mezzi di contrasto in vagina (nelle donne) e nella cavità rettale, si effettua con la sistemazione del paziente su water radiotrasparente posto di fianco all'apparecchio radiologico. Tale metodica permette l'osservazione in scopia della morfologia degli organi in esame e della dinamica evacuativa, individuando eventuale disordini funzionali espulsivi (dissinergismo evacuativo con inversione della funzione sfinteriale durante il ponzamento) o eventuali alterazioni morfologiche rettali, quali rettocele, prolasso mucoso, invaginazione rettale, prolasso rettale procidente. L'opacizzazione delle anse ileali permette poi l'individuazione di eventuale erniazione di tali anse nel cavo del Douglas, causa talvolta di ostruzione ab estrinseco sulla parete rettale e quindi di ostruzione evacuativa oltre ai fastidiosi “sensi di peso perineale” spesso riferiti dalle pazienti. La manometria ano-rettale è un esame strumentale funzionale, in grado cioè di registrare i valori pressori rilevati in sede sfinteriale ano-rettale a riposo e durante gli atti funzionali di tale apparato (contrazione e rilasciamento), individuando l'eventuale presenza di alterazioni di tali funzioni talvolta causa di ostruita defecazione (inversione del comando evacuativo caratterizzato da una paradossa contrazione sfinteriale anale durante l'atto del ponzamento). Altro esame importante nell'iter diagnostico della defecazione ostruita è l'ecografia transanale a sonda rotante. Esso è un esame morfologico in grado di visualizzare ecograficamente tutto l'ambito dell'apparato sfinteriale anale attraverso una particolare testina ecografica in grado di visualizzare tale apparato a 360° con immagine tridimensionale. Tale esame permette di evidenziare eventuali patologie a carico dello sfintere anale (tumori, ascessi, fistole, etc.) oltre che a valutare adeguatamente la composizione e l'integrità sfinteriale anale (ipotrofia, traumi da parto, lesioni sfinteriali, etc.) causa spesso di incontinenza anale.

Le tecniche chirurgiche La cura della malattia emorroidaria (sempre associata a prolasso) con l'intervento di Longo - che prevede l'asportazione con apposita suturatrice meccanica del tratto di mucosa rettale sovrabbondante che permette ai cuscinetti emorroidari di prolassare - è la base teorica e pratica dalla quale si è partiti per sviluppare le tecniche chirurgiche e le


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tecnologie necessarie per la cura dei prolassi rettali maggiori e della stipsi di tipo rettale. L'intervento di STARR (acronimo di Stapled Transanal Rectal Resection: resezione del retto per via transanale con suturatrice meccanica), permette di resecare la porzione di retto che prolassando in vario modo (rettocele, intussusceptione, etc.) impedisce il normale e regolare svuotamento dell'ampolla rettale. Si differenzia dall'intervento di Longo classico per l'uso di due suturatrici meccaniche che permettono l'asportazione della parete rettale in toto (a tutto spessore), viene eseguito in anestesia spinale con un ricovero di 2 notti e una ripresa pressoché immediata delle normali attività. La ricerca, gli studi e l'esperienza accumulata con questo intervento hanno permesso di individuare dei limiti intrinseci alle suturatrici meccaniche utilizzate per la STARR: in pratica le pur ottime PPH 01 (suturatrici meccaniche) utilizzate per questi interventi hanno la possibilità di resecare una quantità standard di parete rettale; sono quindi efficaci per molti casi, ma non per tutti. Pertanto alcuni anni fa il professor Longo ha sviluppato una nuova suturatrice meccanica per ovviare a questo limite. Sono stati individuati alcuni centri con la maggiore esperienza nella tecnica STARR (tra i quali il gruppo Policlinico di Monza) ai quali è stato dato il compito (interagendo attivamente tra di loro, con il prof. Longo e i tecnici della ditta produttrice) di sviluppare, standardizzare e apportare le necessarie migliorie alla strumentazione e alla tecnica chirurgica. Questi pochi centri pilota sono ora gli unici autorizzati a utilizzare questa nuova tecnologia (TRANSTAR) per la cura della stipsi di tipo rettale e dei prolassi rettali. La tecnica TRANSTAR permette, tramite l'uso di una particolare suturatrice meccanica, di resecare una quantità di parete rettale modulabile e pressoché illimitata, permettendo di risolvere brillantemente anche i casi non adatti alla STARR. L'intervento, peraltro, non si discosta dalla STARR per quanto riguarda l'impatto sul paziente, i tempi di degenza e il decorso post operatorio. L'ottimale organizzazione delle sedute operatorie e ambulatoriali permette di accorpare la diagnostica completa in una o al massimo due giornate: ciò diminuisce il disagio per il paziente e permette di approntare dei "mini corsi" dove i colleghi medici di base o specialisti possono seguire il percorso diagnostico terapeutico completo interagendo con gli specialisti e, qualora lo desiderassero, partecipando alle sedute operatorie.

Sintomatologia O.S.D. (Sindrome da Ostruita Defecazione) • Senso di incompleta defecazione • Eccessivo ponzamento • Disconfort perineale • Defecazione in più tempi • Fecalomi • Defecazione assistita • Uso cronico lassativi • Uso frequente clismi • > 10 minuti per defecazione • < 2 defecazioni /settimanali In presenza di 3 o più sintomi è indicata valutazione specialistica e/o strumentale (di 2 o più sintomi se associati prolasso ginecologico e/o rettocele/colpocele posteriore e/o isterectomia)


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La menopausa, conoscerla per prevenirne i rischi

Il Prof. Kambiz Tavassoli, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, professore a contratto di diagnostica strumentale e metodologia chirurgica dell’Università di Torino, consulente presso la Clinica San Giuseppe di Asti

Il 30% della popolazione femminile è in menopausa, e se si considera che l’Italia è tra le primissime nazioni del mondo per longevità, si comprende l’importanza dei problemi legati alla menopausa. La menopausa è preceduta da un periodo denominato climaterio. Questo termine indica il periodo in cui si esaurisce l’attività delle ovaie e le mestruazioni diventano prima irregolari per poi cessare completamente (menopausa). Possiamo riconoscere l’esistenza di diversi quadri menopausali. Menopausa naturale: si presenta con cessazione spontanea dei flussi mestruali intorno ai 4850 anni. Menopausa precoce: con tale termine si intende la menopausa che interviene prima dei 35 anni. Menopausa tardiva: si ha questo tipo di menopausa quando la cessazione delle mestruazioni si realizza dopo i 55 anni. Menopausa iatrogena o indotta: si verifica quando la cessazione dei flussi mestruali è determinata da un intervento terapeutico, il più delle volte chirurgico. Che cosa provoca la menopausa? Le ovaie hanno un periodo di funzionalità limitato. Del grande numero di ovocellule presenti nell’ovaio già prima della nascita, solo una piccolissima parte giunge a maturazione col passare degli anni, diventando ovuli fecondabili. Il numero degli ovuli che potenzialmente giunge a maturazione diminuisce con l’aumentare dell’età. La menopausa corrisponde alla cessazione definitiva dell’ovulazione e della produzione ormonale delle ovaie. Gli ormoni prodotti nelle ovaie, estrogeni e progesterone, condizionano in notevole misura la funzionalità dell’utero, della vagina e delle ghiandole mammarie. Inoltre, giocano un ruolo più o meno importante anche su altre funzioni corporee e, direttamente o indirettamente, influenzano anche il tono dell’umore, il metabolismo osseo e quello dei grassi presenti nel sangue (lipoproteine). Disturbi e cambiamenti correlati alla carenza ormonale Le conseguenze della perdita naturale della funzionalità ovarica causata dall’età sono pressoché sovrapponibili a quelle derivanti dall’asportazione chirurgica delle ovaie (ovariectomia). Tale deficit ormonale, in misura e con frequenza diversa, può provocare i seguenti disturbi: 1- vampate di calore: il 70 % circa delle donne avverte fastidiose “vampate di calore” (o caldane) che, partendo dalla base del tronco, si diffondono al collo e al viso collegate a sudorazioni diffuse e, spesso, a palpitazioni e vertigini. 2- disturbi del sonno, risvegli notturni con la sensazione di “bagno di sudore”. 3- ansia, depressione, instabilità emotiva, cefalea, facile affaticabilità, perdita di concentrazione, psicolabilità e conflittualità con l’ambiente sociale e familiare sono i primi segni di una difficoltà ad abituarsi a un nuovo ruolo, specialmente nella cultura occidentale, dove per secoli la sessualità è stata identificata con la fertilità. Durante le nostre ricerche abbiamo osservato che il significato psicologico del sintomo ansia in climaterio può essere letto attraverso varie chiavi interpretative, una delle quali è la preoccupazione per l’aspetto estetico. La nostra società, infatti, richiede in continuazione che la donna sia dinamica e “giovane” nell’aspetto e nella mente. L’essere umano col passare degli anni diventa meno flessibile risultando difficile adeguarsi a situazioni nuove; nasce perciò nella donna il timore di perdere il proprio ruolo nella società e nella famiglia. A questi disturbi, presenti in ogni donna in modo diverso a seconda dello stato d’animo con cui si affronta la menopausa, si possono aggiungere altri disturbi come vampate di calore (dovute alle modificazioni neuroormonali) e variazioni delle condizioni ambientali e comunicative che possono provocare oppure peggiorare una condizione di ansia già preesistente fino a una vera e propria depressione. Per curare questi disturbi è importante utilizzare una terapia che agisca selettivamente sull’ansia generalizzata e sulle sue manifestazioni psichiche (tensione, insonnia, umore depresso) e somatiche (disturbi gastrointestinali, genito-urinari, cardiocircolatori). Tale terapia,


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per essere utilizzata in menopausa, non deve provocare né abitudine né dipendenza, non deve interagire con altri farmaci, non deve danneggiare la memoria soprattutto nelle donne più anziane; deve invece rispettare la vigilanza della paziente e deve essere priva di effetti collaterali. 4- atrofia degli organi genitali con disturbi quali secchezza e prurito vaginale, dolore durante il rapporto sessuale, irritazione locale con possibile rottura di vasellini superficiali con conseguenti piccole perdite ematiche. 5- infiammazione pelvica: per modificazioni dell’ambiente vaginale. 6- atrofia dell’uretra e del collo vescicale, causa a sua volta di disturbi urinari: la minzione diventa urgente e frequente (pollachiuria) anche di notte (nicturia) ed è talvolta dolorosa (disuria). Spesso si ha perdita involontaria di urina (incontinenza) in seguito a sforzi, starnuti e risate oppure incapacità di trattenerla se la vescica è piena. 7- astenia: è presente nel 49% delle donne in menopausa e può essere accompagnata o meno da ipotonia ingravescente. 8- riduzione e perdita di consistenza del tessuto mammario. 9- riduzione dell’elasticità della cute, in particolare del viso e del collo. 10- dolori articolari e muscolari. Intervengono anche cambiamenti non percepibili al momento e quindi asintomatici, ma che possono successivamente provocare importanti o anche gravi conseguenze: a) modificazioni dei lipidi nel sangue (aumento di colesterolo), che possono portare a un quadro di aterosclerosi con rischio di infarto del miocardio; b) il 25% della popolazione femminile dopo 10 anni dalla menopausa va incontro a “un quadro di osteoporosi”. Cos’è l’osteoporosi L’osteoporosi è un disordine caratterizzato da una ridotta quantità di tessuto osseo per unità di volume dell’osso fino al punto che lo scheletro non può più provvedere alle sue funzioni di sostegno e diventa suscettibile di fratture. Il progressivo aumento della vita media della popolazione mondiale ha fatto sì che l’osteoporosi rappresenti uno dei maggiori problemi della salute pubblica nei paesi industrializzati. In Italia si può stimare che il costo ospedaliero dell’osteoporosi è compreso tra i 75 e i 150 milioni di euro all’anno. Questo aspetto economico lascia ben comprendere le drammatiche incidenze sociali di questa malattia. Come si instaura? La diminuita funzione ovarica che caratterizza il periodo menopausale è la principale causa di osteoporosi e ciò accade ancora più frequentemente quando la menopausa è precoce o chirurgica. Subito dopo la menopausa si ha un’accelerata perdita del tessuto osseo e di conseguenza le donne sono esposte al rischio di frattura molto più frequentemente degli uomini. Quali sono i fattori di rischio? Oltre alla menopausa la sedentarietà, le drastiche cure dimagranti che il più delle volte diminuiscono bruscamente l’apporto di calcio, il fumo e l’assunzione di bevande alcooliche costituiscono altri importanti fattori favorenti l’osteoporosi. Come si manifesta? Il sintomo più frequente dell’osteoporosi è il dolore dorsale associato a stanchezza e difficoltà a stare a lungo in piedi; il dolore dorsale solitamente insorge in modo acuto, spesso dopo movimenti di flessione della colonna vertebrale e persiste intenso per alcuni giorni. Dal dorso il dolore può irradiarsi a cintura verso l’addome o, meno frequentemente, in basso lungo gli arti inferiori. Oltre al dolore spesso fastidioso e insistente l’osteoporosi provoca un calo staturale, per cui è quanto mai opportuno che ogni donna in età fertile registri accuratamente la propria statura e impari a tenerla controllata al sopraggiungere dell’età critica. Le fratture sono una complicanza frequente, specie quelle del polso, del femore e dell’omero che si presentano con una certa frequenza dopo i cinquanta anni e le fratture vertebrali che come singolo episodio passano inosservate, ma sono causa frequente di dolori alla colonna vertebrale e richiedono l’intervento del medico.


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Come si diagnostica? La tradizionale tecnica radiologica risulta inefficace per una diagnosi precoce di osteoporosi perché evidenzia un quadro di osteoporosi quando la massa scheletrica si è già ridotta del 30%. La diagnosi di osteoporosi può essere effettuata tramite la densitometria ossea. Questa tecnica, relativamente semplice e assolutamente innocua per la paziente, permette una rapida e precisa valutazione del contenuto minerale osseo. I vantaggi offerti dalla densitometria ossea sono la possibilità di una diagnosi precoce e di ripetere l’esame per poter valutare la progressione della malattia e l’efficacia degli interventi terapeutici intrapresi. Individuazione dei soggetti a rischio per osteoporosi post-menopausale In conseguenza dell’osteoporosi post-menopausale il 50% delle pazienti va incontro a fratture spontanee. È pertanto estremamente utile individuare i soggetti a rischio cioè le donne che, nel periodo immediatamente successivo alla menopausa, mostrano una riduzione del tessuto osseo. Nella prevenzione dell’osteoporosi post-menopausale bisogna tener conto che il rischio della malattia è accentuato nei soggetti che: a- si presentano nella menopausa con una ridotta massa ossea e/o b- che presentano una perdita rapida ed eccessiva di tessuto osseo dopo la menopausa, verosimilmente per un’eccessiva sensibilità al venir meno della funzione ovarica. Recenti studi per identificare le pazienti a rischio hanno suggerito, oltre all’uso della densitometria ossea, la valutazione di un numero di variabili biomediche correlate con il tessuto osseo e con il metabolismo degli estrogeni, come possibili indicatori della rapida perdita ossea, nelle donne in età post-menopausale. Come prevenire l’osteoporosi Il rischio di osteoporosi può essere ridotto adottando accorgimenti dietetici che prevedono l’assunzione di adeguati livelli di calcio e una costante attività fisica. La dieta in menopausa Per le donne in menopausa si considera ideale un apporto alimentare di circa 1500 mg al giorno di calcio, l’equivalente di quanto contenuto in circa un litro di latte magro, quantità che normalmente non viene soddisfatta dalla dieta abituale. Questo fabbisogno può essere raggiunto con una dieta equilibrata e ricca di calcio. L’importanza di tale elemento minerale è derivabile da uno studio clinico condotto da alcuni ricercatori sulla popolazione giapponese. Infatti è stato rilevato che l’assunzione del latte, alimento scarsamente consumato dai giapponesi prima del 1950, ha indotto dopo 35 anni, nei soggetti sottoposti al controllo clinico, un aumento dell’altezza media di circa 12 centimetri rispetto ai coetanei che non ne avevano assunto. Attività fisica in menopausa Un adeguato programma di attività fisica svolto quotidianamente è un efficace rimedio all’osteoporosi. Infatti il movimento stimola la rigenerazione ossea che si oppone al processo osteoporotico. I rapporti tra esercizio fisico ed osteoporosi sono peraltro noti da tempo. È stato dimostrato che le donne meno attive presentano fisicamente un grado di osteoporosi superiore rispetto a donne più attive a parità di altre condizioni. Le donne che da lungo tempo presentano osteoporosi non andrebbero però sottoposte a programmi di esercizio fisico eccessivo per la loro struttura osteo-artro-muscolare indebolita rispetto a quella di persone normali. Il grado e il tipo di attività fisica dovrebbero essere adattati ai fabbisogni e alle caratteristiche della singola paziente. Esempi di attività fisica di semplice esecuzione e indicati anche in donne osteoporotiche sono il camminare (4-5 km al giorno), usare una cyclette, nuotare, oppure un programma di esercizi. L’attività fisica produce risultati positivi solo se viene svolta nel corso di un periodo di tempo sufficientemente lungo. È importante quindi che la paziente si applichi al programma terapeutico con costanza e continuità. Fibromi uterini e menopausa Il ritardo della comparsa della menopausa è una caratteristica frequente delle donne portatrici di fibroma. I fibromi, detti anche nodi di mioma, sono i più comuni tumori


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uterini; la loro frequenza si calcola intorno al 40% nelle donne e richiedono sovente l’asportazione dell’utero (isterectomia). L’isterectomia è una delle operazioni più controverse dei nostri tempi, molto discussa e criticata nonostante abbia una mortalità bassa: 1-2 morti per 1000 interventi. Molte pazienti affette da fibromi uterini non lamentano alcun disturbo e il fibroma viene scoperto in occasione di una visita ginecologica oppure durante un esame ecografico di controllo. Negli altri casi la sintomatologia dipende dal volume e dalla sede dei nodi di mioma. La paziente presenta frequentemente senso di peso a livello del quadrante addominale inferiore; con l’avvicinarsi della menopausa compaiono mestruazioni abbondanti e/o prolungate (menorragia) oppure, talora, perdite ematiche tra i cicli mestruali (metrorragia). I fibromi aumentano di volume in risposta allo stimolo estrogenico e dopo la menopausa tendono a ridursi per carenza di estrogeni; in genere non evolvono verso malignità. I fibromi possono aumentare rapidamente di volume e diminuire di consistenza a causa degli stravasi emorragici. Infatti nel loro interno si possono formare cavità cistiche. Qualche volta il muscolo uterino agisce contraendosi di fronte ai fatti emorragici e determina con queste contrazioni un cambiamento di sede di fibroma. Di solito, in questi casi, la paziente avverte un dolore più o meno accentuato in sede pelvica e l’esplorazione ginecologica e la palpazione dell’addome risvegliano una notevole dolorabilità. In climaterio è possibile impiegare alcuni farmaci in grado di ridurre il volume dei nodi di mioma; tale terapia rappresenta oggi una valida alternativa per poter evitare alla paziente l’intervento chirurgico conservativo o per differire il più possibile l’intervento di isterectomia. Conclusioni La disponibilità di mezzi diagnostici affidabili nel riconoscere e valutare precocemente disturbi della menopausa rende oggi possibile una strategia preventiva. La terapia farmacologica, condotta sotto controllo medico, ha dimostrato infatti risultati soddisfacenti se iniziata il più precocemente possibile, entro un periodo di tempo cosidetto “critico” che per la donna può essere stimato in circa tre anni dall’insorgenza della menopausa.

“La verità sul vino”

La verità sul vino Editore “Gowine”, Alba (CN), €12

È in libreria da pochi giorni un libro dedicato alla correlazione fra vino e salute, scritto dal professor Attilio Giacosa, Direttore del Dipartimento di Gastroenterologia del Policlinico di Monza, in collaborazione con la professoressa Mariangela Rondanelli, docente presso l’Università di Pavia. Che il bere un buon bicchiere di vino sia un piacere, tutti sono d’accordo. Per contro, pochi sanno che bere vino con moderazione non solo non fa male, ma addirittura allunga la vita e riduce il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e neurologiche. Quindi assumere questa bevanda in modo corretto e consapevole rappresenta un vantaggio salutistico rispetto all’essere astemi. Vero è che l’abuso di alcolici, indistintamente dalla loro natura, è sempre nocivo, sia per i danni dell’assunzione acuta (ebbrezza, torpore, incoerenza logica) sia per quelli correlati all’eccesso cronico (etilismo, epatopatie, neoplasie), ma è bene ricordare la differenza tra vino e altre bevande alcoliche. Il messaggio nuovo è legato a molti studi scientifici e osservazioni epidemiologiche sugli effetti benefici del consumo abituale e moderato di vino, e questo è il motivo ispiratore del libro. Fra i vari principi bioattivi identificati nel vino, quello più noto è il resveratrolo. Questa sostanza è un antiossidante presente soprattutto nel vino rosso, che avrebbe la capacità di migliorare l’efficienza cellulare attraverso il potenziamento dell’attività mitocondriale. Varie ricerche sperimentali dimostrano che il resveratrolo favorisce la longevità, migliora il controllo del diabete, ritarda la comparsa del morbo di Alzheimer e produce un effetto protettivo sull’apparato cardiovascolare. A Newcastle, in Gran Bretagna, è in corso uno studio sperimentale volto proprio a verificare l’effetto del resveratrolo in pillola su pazienti affetti da gravi disturbi mitocondriali, ma altri studi sono all’orizzonte per valutare la possibilità di rallentamento dell’invecchiamento umano.


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Sul tema dell’invecchiamento, grande scalpore fece la pubblicazione di un importante studio realizzato nel 1995 a Copenhagen. Questa ricerca, conosciuta come “studio danese”, è stata effettuata su più di 6000 maschi e 7000 femmine in età adulta e ha dimostrato che la durata media della vita è superiore in chi consuma vino con moderazione, rispetto agli astemi e ai forti bevitori. Ma ciò che è altrettanto importante è che questo vantaggio non si verifica fra chi consuma birra o superalcolici. La ricchezza del vino in polifenoli, dotati di spiccata azione antiossidante (ovvero della capacità di bloccare i radicali liberi nocivi che si formano nell’organismo), costituisce un’importante barriera di difesa nei confronti dei danni cardiovascolari. Fra i vari polifenoli, sono le procianidine i primattori presenti nel vino. Il loro effetto è talmente significativo che questi composti sono oggi utilizzati dall’industria farmaceutica per la preparazione di farmaci attivi nelle patologie vascolari, sia venose sia arteriose. Il Prof. Attilio Giacosa, Direttore del Dipartimento di Gastroenterologia del Policlinico di Monza

A questo risultato benefico partecipa anche l’aumento della produzione di ossido nitrico osservata in chi beve abitualmente vino. L’ossido nitrico riduce l’aggregazione delle piastrine, rendendo difficile la formazione di trombi e l’“occlusione” delle arterie. Un’altra area di grande interesse è rappresentata dalle problematiche neurologiche. Il consumo corretto e abituale di vino appare statisticamente correlato a una riduzione del rischio di sviluppare ictus e TIA (episodi di ischemia cerebrale transitoria). Altri interessanti dati in corso di analisi sono legati alla possibilità di ridurre il rischio di gravi degenerazioni cerebrali (morbo di Alzheimer, demenza senile). Numerose ricerche documentano che il regolare consumo di vino ha effetti favorevoli sia sulla frequenza con cui il morbo di Alzheimer si manifesta, sia sull’età di insorgenza, che viene ritardata di almeno tre anni. Resta il problema della giusta dose di vino, volta a garantire gli effetti ora menzionati. A questo riguardo i ricercatori impegnati nel settore hanno identificato in due bicchieri al giorno la quantità ottimale per la popolazione di sesso maschile. Il vino, coniugato al femminile, prevede invece una dose leggermente inferiore (un bicchiere), a causa di specifiche differenze metaboliche fra i due sessi. Proprio in virtù degli effetti positivi del vino nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, il libro è stato utilizzato nell’ambito delle iniziative “AL centro del cuore” per il decennale del Dipartimento Cardiovascolare della clinica Città di Alessandria.


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La chirurgia protesica nell’Unità Funzionale di Neurochirurgia della Clinica Eporediese di Ivrea

L’equipe di Neurochirurgia della Clinica Eporediese guidata dal Responsabile Dott. Corrado Musso (primo a destra), è composta altresì dai dottori Nicola Zullo, Laura Maria Raina, Luigi Valentino Berra, Antonella Ampollini, Giovanna Faraca

L’attività chirurgica dell’UF di Neurochirurgia della Clinica Eporediese di Ivrea, diretta dal Dott. Corrado Musso, comprende patologie sia craniche sia spinali. Con riferimento a queste ultime è stata dedicata un’attenzione particolare al trattamento delle patologie degenerative del rachide, con un forte sviluppo della chirurgia protesica. Tali procedure si sono venute ad affiancare ai tradizionali interventi non strumentati, consentendo di risolvere in maniera brillante situazioni complesse un tempo giudicate non chirurgiche. Meritano particolare menzione le procedure con accesso anteriore a livello cervicale, dorsale e lombare: queste comprendono la rimozione totale con successiva sostituzione protesica del disco intervertebrale, e le somectomie (asportazione di corpi vertebrali). Da qualche anno sono stati sviluppati dispositivi dinamici che mirano a sostituire il disco intervertebrale mimandone le funzioni principali; tali dispositivi possono essere utilizzati sia a livello cervicale che a livello lombare e vengono alloggiati con un accesso anteriore. La UF di Neurochirurgia di Ivrea è stata fra le prime in Piemonte ad utilizzare tali dispositivi, in particolare a livello del tratto lombare del rachide per la cura della lombalgia cronica di origine discogena. In collaborazione con l’équipe di chirurgia vascolare è stata ottimizzata la tecnica chirurgica di impianto del disco artificiale, con un’incisione in prossimità del lato sinistro del muscolo retto addominale ed una via extraperitoneale che consente di raggiungere rapidamente la superficie anteriore del rachide lombare minimizzando i rischi di lesione dei grossi vasi addominali, dell’uretere e del plesso ipogastrico. Ciò ha consentito di coniugare i benefici della sostituzione protesica totale del disco con un decorso post-operatorio rapido e generalmente privo di significative complicanze. Tra i dispositivi dinamici meritano una menzione particolare i distrattori interspinosi: tali dispositivi sono stati studiati per il trattamento mini-invasivo della stenosi lombare, ma nel corso del tempo hanno acquistato sempre di più una funzione di stabilizzazione del rachide permettendo di confinare l’uso delle tradizionali viti transpeduncolari per la fissazione rigida del rachide a casi estremamente selezionati. Ultimamente i dispositivi di distrazione interspinosa sono stati proposti per il trattamento delle curve scoliotiche degenerative dell’adulto in sostituzione degli interventi di artrodesi vertebrale plurisegmentaria, molto più invasivi. Attualmente una buona parte dei classici interventi di laminectomia decompressiva e recalibraggio del canale spinale indicati per le stenosi lombari sono stati sostituiti con una tecnica ibrida, molto meno demolitiva e pertanto più rispettosa della normale anatomia del rachide, che coniuga l’utilizzo del distrattore interspinoso alla decompressione microchirurgica delle radici nervose spinali. Il follow up dei pazienti ha confermato l’ottimo risultato nel controllo sia della sintomatologia da compressione delle radici nervose, sia della componente lombalgica. Di recente, in alcuni casi selezionati di lombalgia con degenerazione discale avanzata sono stati utilizzati sistemi di fissazione dinamica posteriore costituiti da viti peduncolari e barre flessibili, che permettono di neutralizzare una buona parte (circa il 70%) delle forze che agiscono sulla colonna mantenendo una mobilità residua. Studi preliminari riportano la remissione dei sintomi, la possibilità di indurre la rigenerazione del disco intervertebrale e l’assenza di patologia giunzionale, ovvero il fenomeno di degenerazione degli elementi osteo-disco-legamentosi dei livelli adiacenti ad una tradizionale fissazione rigida. Ormai è inequivocabile che lo sviluppo tecnico degli apparati protesici giocherà un ruolo sempre più importante nel trattamento delle patologie del rachide, consentendo di ottenere risultati migliori in maniera più rapida e meno invasiva: pertanto l’attività chirurgica della UF di Neurochirurgia della Clinica Eporediese si sta evolvendo in piena conformità con tale linea di pensiero.


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Il Laser Green Light alla Clinica La Vialarda

L’equipe di Urologia de La Vialarda diretta dal Dott. Piercarlo Chioso (primo a destra)

Gli interventi sulla prostata per Ipertrofia Benigna vengono proposti agli uomini che lamentano difficoltà o disturbi nel modo di urinare. I cambiamenti possono riguardare lo stimolo alla minzione, che diventa troppo frequente di notte e di giorno, a volte improvviso e forte, difficile da controllare, oppure può cambiare proprio il modo in cui si manifesta la minzione, può esserci un'attesa di qualche secondo tra la decisione e l'inizio del flusso, il getto stesso può essere debole, stentato, interrotto e poi ripreso più volte, addirittura gocciolante, con una fastidiosa sensazione di non completo svuotamento vescicale. A volte l'inizio della minzione è accompagnato da dolore. Di solito le difficoltà della minzione si presentano lentamente negli anni, ma a volte tutto sembra “precipitare” nel giro di qualche mese. Raramente, all'improvviso, in pochi giorni, i disturbi arrivano al punto di impedire del tutto la minzione con necessità di rimediare d’urgenza mediante l’inserimento di un catetere in vescica. In altri casi rari l’intervento per IPB può essere necessario perché, anche senza nessun sintomo, la vescica non si svuota che in minima parte, lasciando un residuo post-minzione di mezzo litro e più. Altri casi rari di intervento per IPB sono dovuti a sanguinamento ripetuto nelle urine. Un capitolo a parte sono le asportazioni dell'Ipertrofia Prostatica a scopo diagnostico quando vi è un PSA (test sul sangue per la diagnosi delle malattie prostatiche) sempre aumentato e le biopsie eseguite sul resto della prostata non evidenziano malattie tumorali. L’intervento per Ipertrofia Benigna (detta anche Adenoma) si può fare asportando in blocco l’adenoma con chirurgia “a cielo aperto”, cioè passando attraverso la parte bassa dell’addome, oppure si può resecare, cioè asportare a frammenti, attraverso la via naturale che è l’uretra, cioè per via endoscopica. Il primo metodo è l’Adenomectomia transvescicale, il secondo l’Adenomectomia transuretrale o TURP. Questi interventi sono diffusi universalmente, con tecnica e risultati consolidati da molto tempo. Negli ultimi anni si sono cercate strade alternative alla TURP e all’Adenomectomia prostatica chirurgica, e ha acquistato validità l’utilizzo dell’energia Laser. In particolare sta incontrando favori di medici e pazienti un apparecchio che si chiama Green Light (luce verde) e produce la vaporizzazione del tessuto prostatico. Il metodo Laser Green Light viene utilizzato naturalmente per via endoscopica transuretrale, in sala operatoria con una anestesia parziale-spinale. L’adenoma prostatico viene irradiato con il raggio laser e il tessuto si trasforma immediatamente in vapore. In pratica, invece di asportare il tessuto lo si consuma. Questo sistema provoca anche la coagulazione istantanea di vene e arterie per cui non vi è alcun sanguinamento, e quindi la necessità del catetere vescicale è molto ridotta rispetto agli altri metodi; inoltre non è richiesto impiego di trasfusioni e la durata del ricovero si riduce a 1-2 giorni. Per tali motivi il Laser Green Light è un sistema all’avanguardia nelle tecnologie mediche e può migliorare alcuni aspetti della tecnica endoscopica transuretrale (TURP) riguardo al benessere e alla tranquillità dell’uomo che decide di risolvere il problema dell’Ipertrofia Prostatica Benigna. Questa apparecchiatura Laser Green Light è attualmente a disposizione dell’Equipe Urologica della Clinica La Vialarda, costituita dal responsabile Dottor Piercarlo Chioso, e dagli aiuti dottori Tullio Borella e Enzo Pugno che stanno utilizzando la nuova metodica sotto la guida di un esperto che ha la funzione di “tutor”. Infatti qualunque strumento, per quanto evoluto e tecnologico, quindi anche il Laser, funziona al meglio nelle mani del medico informato ed esperto.


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Il centro ricerche di Vercelli al congresso di Atene

Nei giorni 17-22 ottobre si è tenuto a Kos (Grecia) l’VIII Congresso Internazionale di Anticancer Research. Questa è una rivista di Cancerologia a larga diffusione, diretta da John Delinassios dell’Institute of Anticancer Reasearch di Atene. Il Congresso, organizzato in molte sezioni e simposi, ha toccato tutti i campi della Cancerologia ed erano presenti esperti di tutto il mondo. Si calcola che fossero almeno 1300 i convenuti. I lavori si sono svolti in un ambiente classico della Grecia antica e nella terra di Ippocrate, favoriti dal clima mediterraneo di mare e sole. Il Centro di Neuro-bio-oncologia di Vercelli ha attivamente partecipato. Anzitutto vi è stata la relazione della dr.ssa Marta Mellai in un simposio (Mellai M, Annovazzi L, Caldera V, Andreoli E, Schiffer D) che ha illustrato il punto più caldo oggi esistente nella terapia dei gliomi e cioé quello della resistenza cellulare alle terapie. E’ stato fatto il punto sulle più recenti acquisizioni in tema di resistenza e sono stati illustrati i principali meccanismi molecolari che li sostengono. Questi sono: Base Excision Repair (BER), Nucleotide Excision Repair (NER), Double-Strand Break Repair (DSBR), DNA Mismatch Repair (MMR), PARP-1, ABC genes for Multidrug Resistance (MDR1). Sono poi stati presentati i risultati ottenuti al Centro dallo studio nei gliomi maligni di uno dei più importanti meccanismi di riparo del DNA ad opera dell’enzima MGMT. Questa proteina di riparo del DNA svolge un ruolo centrale nei meccanismi di resistenza delle cellule tumorali alla chemioterapia da agenti alchilanti (derivati delle nitrosuree e Temozolomide) e alla radioterapia. Entrambi questi trattamenti, infatti, sono in grado di causare la più grave lesione alla molecola di DNA sia da un punto di vista mutagenico sia carcinogenico, ovvero una alchilazione all’atomo di ossigeno in posizione 6 dei residui di guanina (O6-metilguanina). L’enzima è codificato dal gene MGMT che mappa sul cromosoma 10, in posizione 10q26. Esso è in grado di rimuovere specificatamente il gruppo alchilico indotto dagli alchilanti dalla O6-metilguanina ad uno specifico residuo di citosina localizzato nel sito attivo di MGMT in una “reazione suicida” che inattiva irreversibilmente MGMT. La chemioresistenza mediata da MGMT è fortemente correlata ai livelli di espressione del gene, e conseguentemente dell’enzima. E’ noto che nei tumori cerebrali nel corso della progressione tumorale, la funzione di MGMT viene persa per effetto del silenziamento epigenetico del gene, conseguente ad una ipermetilazione del suo promotore. Mentre in condizioni normali MGMT è in grado di riparare il danno da alchilanti impedendo una risposta positiva del tumore alla chemioterapia, in assenza dell’enzima, non vi è riparazione del danno con conseguente risposta positiva al trattamento chemioterapico. Ciò corrisponde per i pazienti con glioblastoma ad un miglioramento della loro sopravvivenza. Al Centro Ricerche è stato eseguito uno studio retrospettivo sulla valutazione dello stato di metilazione del gene MGMT in una serie di 104 pazienti affetti da glioblastoma multiforme, operati presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino. Lo studio è stata eseguito mediante analisi genetica con MSP (Methylation Specific PCR), analisi immunoistochimica e Western blotting. I dati dell’analisi molecolare, l’indice di marcatura immunoistochimica e in Western blotting di MGMT sono stati confrontati tra loro mediante metodi statistici. Inoltre, mediante analisi di sopravvivenza con il metodo di Kaplan-Meyer, è stato valutato l’effetto dello stato di metilazione di MGMT in relazione alla sopravvivenza dei pazienti (OS, overall survival) e alla risposta al trattamento di radioterapia e chemioterapia con Temozolomide. Dall’analisi dei nostri dati risulta che lo stato di metilazione di MGMT correla con una migliore sopravvivenza dei pazienti in maniera statisticamente significativa, anche in seguito a radioterapia. Questo giustifica l’uso del Temozolomide nella terapia postchirurgica dei gliomi maligni. Ciò suggerisce, quindi, che nel glioblastoma MGMT abbia un ruolo importante sia come marker molecolare prognostico, sia, come già


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Il Prof. Davide Schiffer, con l’équipe del Centro di Neuro-Bio-Oncologia di Vercelli

precedentemente dimostrato, come marker predittivo di risposta alla chemioterapia con Temozolomide (Hegi et al, 2005; Stupp et al, 2005). Pertanto, la valutazione dello stato di metilazione di MGMT dovrebbe essere utilizzata per l’identificazione della migliore strategia terapeutica post-chirurgica. Il Prof. Schiffer è stato chairman in due simposi ed ha svolto una relazione per simposio. La prima (Schiffer D, Mellai M, Caldera V, Annovazzi L, Andreoli E) riguardava due fattori nella cascata della via molecolare PI3/AKT che stimola la proliferazione cellulare, e cioè STAT3 e mTOR. Sia in vitro e in vivo in animali da esperimento questi due fattori sono apparsi come possibili bersagli terapeutici. L’uso di anticorpi o di anti-senso o di inibitori ha dimostrato che la messa fuori funzione di questi due fattori provoca un arresto della proliferazione tumorale e l’induzione di morte cellulare mediante meccanismi di apoptosi e autofagia. Al Centro questi fattori sono stati studiati nelle loro inter-relazioni nell’ambito della stessa via PI3/AKT e con la proliferazione cellulare, apoptosi e autofagia in una serie di tumori gliali umani. E’ stato visto che i loro rapporti con le altre tappe della via molecolare, specie AKT e S6, e con questi eventi biologici regressivi giustificano, anche nell’uomo e anche nei tumori cerebrali, la loro individuazione come bersagli terapeutici. Un’altra relazione del prof. Schiffer è stata sull’origine e sullo sviluppo dei gliomi cerebrali. Essa è stata basata sugli studi in corso al Centro di Vercelli sulle cellule staminali dei gliomi umani. Questi studi vengono condotti con diversi approcci fra cui importanti sono quello di genetica molecolare (dr.ssa Marta Mellai), di colture in vitro (dr.ssa Valentina Caldera), di Western blotting (dr.ssa Laura Annovazzi) con la coadiuvazione della dr.ssa Elisa Andreoli. Dalle ricerche sta emergendo il concetto che quello delle cellule staminali più che un citotipo è uno stato che può essere posseduto o acquisito da elementi della serie gliale. Nei gliomi maligni si possono trovare tutte le fasi di passaggio dalle neurosfere agli elementi variamente differenziati, come si può rilevare dall’espressione crescente di antigeni di differenziazione. Una ricercatrice tedesca, la dr.ssa Doetsch, ha dimostrato come lo stato di cellule staminali possa essere espresso da tutti gli elementi della serie astrocitaria. Se così venisse confermato l’accanimento scientifico dovrebbe essere rivolto non tanto alla ricerca delle cellule staminali nei tumori, ma alle caratteristiche dello stato di staminalità degli elementi. Dalla dimostrazione che il tumore può attrarre cellule staminali dagli strati subependimali, residuo delle matrici germinative, e dalla possibilità che elementi gliali normali peritumorali, meglio ancora, reattivi possano “convertirsi” in senso tumorale, nasce il concetto che il tessuto nervoso attorno al tumore possa essere una zona di alto traffico cellulare. Di questo bisogna tenere gran conto nello stabilire le modalità di diffusione del tumore e la strategia terapeutica da seguire. Questo vale sia per la chemioterapia che per la terapia radiante, la quale a tutt’oggi utilizza il concetto di includere nell’area irradiata il tessuto compreso nei 2 cm dal bordo del tumore individuato alla MRI. Le relazioni del Centro sono state seguite da ampie discussioni ed è stato dato pubblico riconoscimento alla serietà delle ricerche che vi si svolgono e il Centro, tra l’altro, è visto un po’ come un faro indicatore negli studi neuro-oncologici.


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Anno V numero 14 - Ottobre 2008 Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1724 del 5 marzo 2004 Direttore responsabile: Marco Pirola Stampa: Grafica Santhiatese, Santhià Progetto grafico: Brunazzi&Associati, Torino Immagini: Policlinico di Monza


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