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Ottobre 2010, Anno 7 - N 20 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

LOTTA AL CANCRO: SFIDA CONTINUA l Gruppo Policlinico di Monza in prima linea nella lotta contro il cancro. Dal primo settembre è infatti attivo presso la nostra struttura brianzola il nuovo Istituto di Oncologia (IdO), per dirigere il quale l’azienda ha scelto un nome prestigioso. Il nome è quello del Professor Emilio Bajetta, un’autorità in campo nazionale e internazionale nel particolare settore dell’oncologia medica, al quale diamo il nostro benvenuto all’interno di questa grande famiglia che è il Gruppo Policlinico di Monza. E proprio all’Istituto di Oncologia è dedicato questo numero del Polietico, con importanti contributi da parte di tutti i professionisti delle Unità operative che parteciperanno a questo grande progetto. La struttura dell’IdO è infatti caratterizzata da un approccio multidisciplinare, che vedrà convergere attorno al paziente diverse specialità già contemplate all’interno dell’offerta del Gruppo. Questo per formare un percorso che permetterà ad un paziente delicato quale quello oncologico di poter affrontare il complesso iter diagnostico e clinico interamente all’interno della medesima struttura. Di oncologia parlerà anche il professor Davide Schiffer che in questo numero ci illustra gli ultimi studi effettuati insieme alla sua equipe in campo farmacologico. Ma importanti novità arrivano anche dalle altre cliniche piemontesi, che ci illustrano le principali novità in campi differenti come la riabilitazione, l’ortopedia e la prevenzione delle infezioni ospedaliere. Il Presidente Gian Paolo Vergani

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In questo numero: SPECIALE IDO: Al Policlinico di Monza è stato inaugurato l’Istituto di Oncologia

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Lo staff di Ortopedia della Clinica Santa Rita di Vercelli 24 Riabilitazione: l’Unità di Biella compie 1 anno 26

Le infezioni ospedaliere: un nemico da sconfiggere. Alla Clinica Eporediese un centro d’eccellenza nella prevenzione 28


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SPECIALE IDO POLICLINICO DI MONZA

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CHIAMATO ALLA DIREZIONE IL PROFESSOR EMILIO BAJETTA

AL POLICLINICO DI MONZA NASCE L’ISTITUTO DI ONCOLOGIA

IL PROF. EMILIO BAJETTA DIRETTORE CLINICO E SCIENTIFICO DELL’ISTITUTO DI ONCOLOGIA DEL POLICLINICO DI MONZA

al mese di settembre è attivo al Policlinico di Monza il nuovissimo Istituto di Oncologia (IdO). A dirigerlo, sia come Direttore Scientifico che Clinico, il Policlinico ha chiamato il Professor Emilio Bajetta, già Responsabile della Struttura Complessa di Oncologia Medica presso l’IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e past president dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica di cui è stato fondatore.

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LE STRUTTURE ED I SERVIZI L’IdO si caratterizza per essere un Centro di assoluta eccellenza in grado di fornire al paziente tutte le prestazioni necessarie per af-

L’IDO SI CARATTERIZZA PER ESSERE UN CENTRO DI ASSOLUTA ECCELLENZA IN GRADO DI FORNIRE AL PAZIENTE TUTTE LE PRESTAZIONI NECESSARIE PER AFFRONTARE UN ITER DI DIAGNOSI E CURA DELICATO QUALE QUELLO ONCOLOGICO. ALL’ISTITUTO AFFERISCONO INFATTI BEN SEI UNITÀ OPERATIVE E ALTRETTANTI SERVIZI DI DIAGNOSI E CURA DELLA CLINICA

frontare un iter di diagnosi e cura delicato quale quello oncologico. All’Istituto di Oncologia afferiscono infatti le Unità Operative di Medicina Interna, Chirurgia Generale, Urologia, Neurochirurgia, Chirurgia Toracica, Chirurgia Plastica nonché i Servizi di Diagnostica per Immagini, Anatomia Patologica, Neurologia, Endoscopia Digestiva, Radioterapia, Psicologia nonché la Breast Unit (Unità del seno) e il Centro di ricerca in Neurobioncologia della Clinica Santa Rita di Vercelli, diretto dal Prof.Davide Schiffer. Emerge quindi un Istituto in grado di offrire al paziente prestazioni sanitarie di eccellenza in ambito diagnostico, di cura e di supporto psicologico al paziente. Per quanto concerne la diagnosi tramite un Servizio di Diagnostica per Immagini che dispone, tra l’altro, di 3 Risonanze Magnetiche (R.M.) e di 3 TAC volumetriche (VCT), tutte di ultima generazione di cui una dedicata esclusivamente al Servizio di Radioterapia, 3 mammografi digitali oltre a 9 ecografi multidisciplinari. “Il moderno approccio al paziente oncologico – commenta al riguardo il professor Emilio Bajetta – vede due tempi nell’operato degli specialisti: parlo del momento diagnostico e del momento terapeutico. Il radiodiagnosta è la figura dominante di quello che abbiamo definito ‘il primo momento’, ovvero quello dedicato alla diagnosi. Il suo preziosissimo contributo permette infatti di realizzare diagnosi in ben oltre la metà dei pazienti oncologici”. Sempre in ambito diagnostico l’IdO dispone del Servizio di Istologia ed Anatomia Patologica che svolge analisi di Istocitopatologia nonché di Immunoistochimica oltre al Servizio di Endoscopia digestiva che dispone di 3 videocolonscopi e 3 gastroscopi di ultima generazione. L’Unità Operativa di Medicina Interna rappresenta il punto di “trait d’union” tra l’ambito diagnostico e il percorso chirurgico del paziente. Tramite gli accertamenti clinici di pre-ricovero il medico internista in collaborazione con il radiologo da un lato ed il chirurgo dall’altro stabilisce l’idoneità del paziente all’intervento chirurgico.


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OLTRE ALL’ATTIVITÀ CLINICA L’IDO SI OCCUPERÀ ANCHE DELLO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ DI RICERCA, CHE IL PROFESSOR BAJETTA SUPPORTERÀ ATTRAVERSO IL GRUPPO ITMO (ITALIAN TRIALS IN MEDICAL ONCOLOGY ). IN QUESTO MODO LA RICERCA OCCUPERÀ UN RUOLO DI PRIMISSIMO PIANO ALL’INTERNO DELL’IDO STESSO Relativamente alla cura l’IdO si caratterizza per la coesistenza al proprio interno di tutte le Unità Operative di Alta Chirurgia e segnatamente: • • • • •

Chirurgia Generale 17 posti letto Chirurgia Toracica 10 posti letto Neurochirurgia 10 posti letto Urologia 10 posti letto Chirurgia Plastica 10 posti letto

Per quanto concerne in particolare l’Oncologia Medica, essa dispone di 14 posti letto nonché di 10 postazioni tecniche per somministrazione di cure chemioterapiche. “L’oncologia medica – spiega il professor Bajetta a proposito dell’interazione con altre Unità Operative – è una branca della medicina interna e gli oncologi si ispirano alla cultura internistica che sta alla base della loro preparazione”. Il Servizio di Radioterapia dell’Istituto di Oncologia del Policlinico di Monza dispone di apparecchiatura all’avanguardia ed in particolare di 2 acceleratori lineari in grado di eseguire controlli con Optical Tracking e Radioterapia Stereotassica, nonché di 2 apparecchiature per ipertermia oncologica e Micromultileaf 3D dedicato a conformazionali. “Gli specialisti che si ‘alternano’ al letto del paziente oncologico – continua il professor Bajetta – appartengono a varie branche: in particolare la figura del radioterapista è spesso dominante nella pianificazione terapeutica in quanto in grado di guarire il paziente o di apportare notevoli benefici”. In ambito riabilitativo si segnala altresì la possibilità di accedere a servizi di rieducazione funzionale presso il Servizio di Fisiokinesiterapia per prestazioni di linfodrenaggio. Data la natura della patologia tumorale

l’IdO dispone altresì di un Servizio di Psicologia in grado di accompagnare il paziente lungo tutto l’iter di diagnosi e cura della patologia.

I MEDICI L’IdO è diretta dal Prof. Emilio Bajetta che ne assume la Direzione Clinica e Scientifica. Il Prof Bajetta si avvale della collaborazione delle Dott.sse Monica Valente e Laura Catena del Servizio di Oncologia Medica. I medici che dirigono i Servizi e le Unità Operative che afferiscono all’IdO sono: • Medicina Interna: Prof. Alvaro Porta • Chirurgia Generale: Dott. Pietro Pizzi • Chirurgia Senologica: Dott. Giuliano Lucani, Dott. Alessandro Rasponi, Dott. Francesco D’Errico, Dott. Gianantonio Turatti • Chirurgia Toracica: Dott. Ignazio Cataldo • Urologia: Dott. MassimoTura • Neurochirurgia: Dott. Alberto Messina • Chirurgia Plastica: Dott. Alberto Fumagalli • Diagnostica per Immagini: Prof. Toufic Khouri • Servizio di Ecografia: Dott. Alì Sati • Servizio di Mammografia: Dott. Massimo Marks • Istologia ed Anatomia Patologica: Prof. Maurizio Spinelli, Dott.ssa Maria Laura Fibbi • Endoscopia Digestiva: Dott. Davide Lochis • Servizio di Radioterapia: Dott. Alberto Gramaglia • Psicologia: Dott.ssa Carmen Rusca • Fisiokinesiterapia: Prof. Cesare Cerri

LA RICERCA Oltre all’attività clinica l’Istituto di Oncologia del Policlinico di Monza si caratterizza altresì per lo svolgimento di attività di ricerca. In particolare il Prof. Emilio Bajetta supporterà tale attività tramite il Gruppo ITMO (Italian Trials in Medical Oncology) che si occupa di svolgere Trial clinici multicentro atti a saggiare l’efficacia terapeutica di farmaci sperimentali. “Non è più pensabile – sottolinea Bajetta – che le ricerche durino anni. È infatti fondamentale che i risultati siano portati rapidamente all’attenzione di tutti al fine di consentire ai nuovi farmaci di entrare nei protocolli di cura con tempi più ragionevoli”. La


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PER SOSTENERE LE PROPRIE ATTIVITÀ NEL CAMPO DELLA RICERCA ONCOLOGICA L’IDO ANNOVERA AL PROPRIO INTERNO LA FONDAZIONE GIACINTO FACCHETTI, CHE, COME SPIEGA IL PROFESSOR BAJETTA «NON SI OCCUPA SOLO DI RACCOLTA FONDI, MA ANCHE DI INCANALARE I FONDI STESSI IN MODO CHE ARRIVINO A DESTINAZIONE A BREVE TERMINE» sede del Gruppo ITMO è all’interno del Poliambulatorio del Policlinico sito in Via Modigliani 10 a Monza. Per sostenere l’attività di ricerca l’IdO annovera al proprio interno la Fondazione Giacinto Facchetti, di cui il professore è Presidente. “Una fondazione – spiega – che non si occupa solamente di raccolta fondi, ma anche di incanalare poi quegli stessi fondi in modo che arrivino a destinazione nel minor tempo possibile, dando così un impulso diretto alla ricerca”.

PERCHÉ L’IDO? L’istituto di Oncologia del Policlinico di Monza nasce per porre il paziente oncologico nelle condizioni ideali per affrontare la malattia. Il Policlinico di Monza ha ritenuto che per affrontare la patologia tumorale il

paziente necessiti di un approccio multidisciplinare che è reso possibile dalla creazione non di un semplice Servizio o di una Unità Operativa, bensì tramite la creazione di un Istituto che si muova in un’ottica dipartimentale. Questo significa creare un “luogo” di diagnosi e cura in cui la tecnologia ed i professionisti messi a disposizione da Policlinico di Monza ruotino attorno al paziente potendo offrire al medesimo tutti i servizi necessari per la diagnosi e cura della malattia. È quindi l’ospedale che modella la propria organizzazione attorno al paziente e non il paziente che deve adeguarsi all’organizzazione ospedaliera o, come in molti casi avviene, all’organizzazione territoriale o nazionale, che costringe il paziente a rivolgersi a strutture diverse per poter ottenere un’offerta completa di servizi sanitari atti ad affrontare efficacemente la patologia di cui soffre. Per una patologia come quella tumorale, patologia che per la complessità clinica che trascina con sé richiama ancor più alla necessità di coordinamento da parte di diversi professionisti afferenti a diverse discipline mediche, l’eccellenza non può non transitare dalla creazione di un Istituto di Oncologia che si svilupperà nel tempo offrendo così ulteriori servizi e ulteriori cure aggiornate grazie all’attività di ricerca ivi svolta.

Alvaro Porta: la Medicina Interna al servizio dell’IdO La Medicina Interna deve essere considerata la madre di tutte le specialità. Fra queste l’oncologia ha in questi ultimi decenni assunto un ruolo sempre più importante e occupato uno spazio sempre maggiore, sospinta da un forte impulso scientifico speculativo e sociale. Il cancro continua a mietere vittime, le terapie ancora non guariscono definitivamente e la paliazione del dolore stenta a raggiungere un obiettivo accettabile. Ma la sfida che coinvolge tutte le forze in campo sia sanitario sia umanitario negli ultimi anni ha reso possibile la scoperta di nuove biotecnologie e farmaci in grado di cambiare il corso ineluttabile della malattia intensificando la cooperazione della ricerca scientifica internazionale. Quindi è inscindibile il legame fra oncologia e medicina interna e da questa collaborazione e dallo scambio culturale che ne consegue si pongono le basi razionali per una conoscenza più approfondita di tutti i meccanismi che sono alla base della malattia tumorale. Innumerevoli gli ambiti di discussione: tossicità farmacologica, coagulazione, angiogenesi, nutrizione, genetica, neuroimmuno-endocrinologia, analgesia. Così nella gestione pratica la valutazione del quadro globale

internistico-metabolico del paziente è il primo elemento su cui fondare il programma di diagnosi e cura. Il nuovo centro dovrà sviluppare una forte capacità di collaborazione e sinergia con lo sviluppo dell’assistenza sul territorio I L P ROF. ALVARO P ORTA guidato da motivazioni sempre più RESPONSABILE DELL’U.O. DI MEDICINA INTERNA forti. Per questo l’Unità Operativa AL P OLICLINICO di Medicina Interna diretta dal dottor Alvaro Porta offrirà servizi di alta qualità accreditata e certificata per la definizione e applicazione di Linee Guida con percorsi diagnostico-terapeutici per patologia e coinvolgenti le diverse Unità Operative che interagiscono con l’IdO stesso, per rispondere alle richieste di consulenza, di intervento e di assistenza in tempi reali. Infine, una stretta collaborazione con il dipartimento di Istopatologia. Questo è l’obiettivo strategico che deve guidare la politica di sviluppo dell’IdO nei prossimi anni.


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LA MIGLIORE ASSISTENZA PER LE NEOPLASIE ALLA MAMMELLA

LA SQUADRA DELLA BREAST UNIT IN LOTTA CONTRO IL CANCRO AL SENO a Breast Unit del Policlinco di Monza è stata creata da ormai oltre un anno e vede giornalmente incrementare la sua produttività in termini di numero di pazienti visitate e trattate per tumore della mammella. La Breast Unit è una struttura di tipo essenzialmente organizzativo e multidisciplinare, che vede la collaborazione di numerose figure professionali che integrano le loro conoscenze e il loro lavoro per fornire alla paziente affetta da neoplasia della mammella la migliore assistenza possibile e le terapie più efficaci oggi a disposizione. La possibilità di avere a disposizione, all’interno di questa struttura multidisciplinare, un Istituto di Oncologia formato da persone riconosciute in campo Nazionale e Internazionale, all’avanguardia nella ricerca e nei trattamenti in campo oncologico, e in particolare in campo oncologico senologico, non può che incrementare le possibilità di crescita della Breast Unit con un risvolto positivo per la qualità delle cure per le pazienti. Quello che l’Oncologo Medico può fornire, nell’ambito della terapia dei tumori mammari, è, ad esempio, la possibilità di trattamento delle pazienti già nelle fase preoperatoria, nel caso di tumori scoperti in uno stadio già localmente avanzato, per ridurre la massa tumorale e consentire al chirurgo di poter conservare la

L

I L DOTT. G IULIANO LUCANI C HIRURGO SENOLOGO R ESPONSABILE SCIENTIFICO DELLA B REAST U NIT DEL P OLICLINICO DI MONZA

INDIVIDUAZIONE DI UN CANCRO DEL SENO

mammella evitandone la demolizione con risvolti psicologici che possiamo ben immaginare. Nella fase post operatoria l’Oncologo imposta le cosiddette terapie adiuvanti, costituite dalla chemioterapia, dall’ormonoterapia e, nei casi in cui è indicata, la terapia genica, che devono tendere a ridurre al massimo la possibilità di una ripresa della malattia tumorale sia nel seno stesso sia in altri organi. Tutte le decisioni terapeutiche, sia preoperatorie sia post operatorie, vanno prese nell’ambito di riunioni collegiali in cui tutti gli attori della Breast Unit coinvolti nella diagnosi, nella definizione delle caratteristiche morfologiche e biologiche del tumore e nella terapia medica, chirurgica e radioterapica, si confrontano discutendo i casi e indicando le terapie più adatte a quella determinata paziente, quasi si trattasse di un vestito confezionato su misura. All’Istituto di Oncologia è anche demandato il compito di seguire, in collaborazione con i Chirurghi Senologi, la paziente nel corso dei controlli post- trattamento che effettuerà per anni (cosiddetto follow-up) suggerendo gli esami che, di volta in volta, si renderanno necessari per monitorare eventuali recidive della malattia. Ma i compiti di un Istituto di Oncologia non si fermano qui. Il suo prestigio può richiamare finanziamenti per lo sviluppo autonomo di filoni di ricerca in campo oncologico o fare sì che gli vengano affidati nuovi farmaci da sperimentare. Anche la formazione in campo senologico, per i Medici, Studenti o il personale infermieristico ed ausiliario, coinvolge l’Istituto di Oncologia così come tutti gli attori della Breast Unit. A tale proposito è in fase di organizzazione un corso per Medici di Medicina Generale sulla patologia mammaria che si terrà nel prossimo Novembre. I Chirurghi Senologi della Breast Unit, chiederanno quotidianamente all’Istituto di Oncologia, certi di trovarla, la disponibilità a collaborare con la massima disponibilità e serenità mettendosi, a loro volta, a disposizione per ottenere, coinvolgendo il paziente, quell’alleanza terapeutica che risulta vincente nella lotta al tumore della mammella.


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IL RUOLO DEL DIPARTIMENTO DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

LA CENTRALITÀ DELLA DIAGNOSI PER IL PAZIENTE ONCOLOGICO uando si tratta di tumore sapere dove si trova, quanto è grande e che organi coinvolge è uno dei momenti topici per pianificare e programmare la cura. Pertanto in ambito oncologico il reparto di Radiologia gioca un momento fondamentale con la diagnostica per immagini. I dardi nel feretro del radiologo sono moltissimi: si passa da una diagnostica “preventiva”, cioè volta alla esclusione della presenza di nuove malattie, al riconoscimento di malattie oncologiche e alla localizzazione per poter eseguire un corretto piano di trattamento chirurgico/farmacologico o radioterapico. È noto a tutti come una semplice radiografia del torace possa offrire enormi informazioni relativamente alla eventuale presenza di lesioni fino al quel momento non note. Tuttavia strumenti più sofisticati sono in grado di offrire oggi ulteriori preziose informazioni: strumenti come l’Ecografia, la TAC multislices e la Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 Tesla) incrementano l’accuratezza diagnostica e sono in grado non solo di riscontrare una lesione spesso non identificabile in nessun altro modo fornendo informazioni dimensionali, di estensione e di aggressività, ma anche, in casi sempre meno selezionati, di caratterizzarla. Per tali motivi l’equipe oncologica lavora a stretto contatto con la Radiologia al fine di offrire un servizio terapeutico mirato in quanto adattato alle reali necessità del pazien-

Q I L DOTT. TOUFIC KHOURI R ESPONSABILE DEL DIPARTIMENTO DI DIAGNOSTICA PER I MMAGINI DEL P OLICLINICO DI MONZA

RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE 1,5 TESLA GE EXCITE TWIN SPEED

te. Oggi si riconoscono metodiche di primo e secondo livello per un primo approccio che consenta un basso coinvolgimento del paziente per ciò che si tratta di somministrazione di radiazioni ionizzanti. Per tale motivo il primo approccio è sicuramente legato alle metodiche tradizionali oggi digitalizzate che consentono di poter offrire indagini di elevatissima qualità con bassissime dosi di radiazioni, nonché l’ecografia (assenza di radiazioni). Entriamo nel dettaglio delle metodiche radiologiche a disposizione dell’oncologia di primo livello. La radiologia tradizionale è dalla fine dell’800 che viene utilizzata in ambito diagnostico ed oncologico. Oggi si utilizza prevalentemente come primo approccio diagnostico nelle lesioni ossee, infatti permette di riconoscore una alterazione o lesione di pertinenza scheletrica. L’Rx del torace rappresenta spesso il primo passo nello studio del torace, in particolar modo nel polmone quando si tratta di patologia oncologica. Come abbiamo spiegato in precedenza grazie a questo esame si può porre un sospetto oncologico polmonare sulla base di evidenze radiologiche, dato da correlare sempre con informazioni cliniche del paziente. Ma la radiologia tradizionale da sola non basta per porre diagnosi, nella maggior parte dei casi bisogna avvalersi di altre metodiche per un completamento diagnostico che porti ad un corretto inquadramento clinico della patologia in questione. L’ Ecografia o Ultrasonografia rappresenta un esame veloce da realizzare che non espone il paziente a radiazioni ionizzanti, molto utile per lo studio morfologico e non solo di molti organi come tiroide, fegato, pancreas, surreni, prostata, milza, reni, aorta, vena cava e nella patologia mammaria dove, consentendo di distinguere una lesione solida da una a contenuto liquido, offre preziose informazioni sia per il radiologo sia per l’oncologo e risulta essere complementare all’esame mammografico. La mammografia è un esame effettuato tramite una bassa dose di radiazioni (mammografo digitale). Viene utilizzato come strumento diagnostico per identificare tumori e microcalcificazioni raggruppate sospette. È stato pro-


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IL DIPARTIMENTO DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI HA A DISPOSIZIONE UNA TAC 64 SLICE GE LIGHT SPEED

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vato che la mortalità per tumore del seno è ridotta per chi si sottopone all’esame: per questo viene consigliato un esame del seno periodico (ogni anno per le donne che hanno fattori di rischio, per esempio un pregresso tumore al seno o familiarità per esso, o al massimo ogni 2 anni in tutte le restanti donne al di sopra dei 40 anni che non hanno alcun fattore di rischio) tramite mammografia. Come esame di screening è consigliato a tutte le donne sopra i 40 anni ogni due anni se non sono nella classe a rischio alternandolo o integrandolo, come già accennato, all’ecografia mammaria. L’esame ecografico però, pur essendo molto utile ai fini diagnostici è operatore dipendente, quindi necessita di molta esperienza da parte di chi esegue l’ indagine, al fine di non ridurne l’utilità. Tra le metodiche annoverate come di secondo livello rientrano la Tomografia Computerizzata (TAC) e la Risonanza Magnetica (1,5 Tesla), sebbene in casi selezionati entrambe le metodiche possono essere direttamente considerate di primo livello. La tomografia computerizzata, indicata con l’acronimo TAC è una metodica che sfrutta radiazioni ionizzanti e consente di riprodurre sezioni corporee del paziente ed elaborazioni tridimensionali e volumetriche. Lo studio TAC nella maggior parte dei casi è migliorato dall’infusione di mezzo di contrasto endovenoso organo-iodato, che consente una migliore differenziazione di strutture con densità simile, o della stessa struttura in tempi di circolo arterioso e venoso, programmabili attraverso un iniettore a flusso variabile. Le apparecchiature TAC di ultima generazione ci consentono de eseguire scansioni sottili (0,625 mm) in pochi istanti migliorando il comfort del paziente. Il pensiero di chi opera, radiologo e tecnico di radiologia, su questi strumenti è rivolto sempre

alla radioprotezione del paziente, per questo motivo aggiornare le apparacchiature è fondamentale, infatti la tecnologica consente di migliorare la qualità e di abbassare a basse dosi di radiazioni somministrate. L’ottima risoluzione spaziale della tomografia computerizzata e la sua accuratezza diagnostica elevata, soprattutto dopo infusione di mezzo di contrasto, permettono così di analizzare gli aspetti peculiari di innumerevoli tumori e di studiarne anche l’estensione locale o a distanza. La Risonanza magnetica ad alto campo (1,5 Tesla) sfrutta le possibilità di imaging offerte da un grosso, sofisticato e potente magnete che consente di ottenere immagini di sezione nei diversi piani dello spazio senza esporre il paziente a raggi-X. Le informazioni fornite dalle immagini di risonanza magnetica sono essenzialmente di natura diversa rispetto a quelle degli altri metodi di imaging (caratterizzazione dei tessuti). Infatti sono normalmente visibili i tessuti molli ed è inoltre possibile la discriminazione tra tipologie di tessuti non apprezzabile con altre tecniche, fornendo spesso informazione tipo la composizione del tessuto. Infine è possibile eseguire prelievi bioptici del tessuto sospetto sotto stereotassi (mammografo digitale) oppure sotto guida TAC ed Ecografica. Il Policlinico di Monza mette a disposizione del paziente oncologico il tipo di tecnologia: • TAC VCT XT 64 slices. Tecnica ASIR per riduzione radiologica. • RM ad alto campo (1,5 Tesla HDxt) • Ecografia al top di gamma (Esaote, GE, Philips). • Mammografo Digitale • CR (Radiologia Computerizzata) In conclusione, la diagnosi di patologie neoplastiche da parte dello specialista oncologo non può prescindere da una stretta collaborazione con il radiologo. Ormai la Diagnostica per Immagini può vantare un ampio ventaglio di metodiche che, se eseguite in modo appropriato, possono portare ad una diagnosi accurata. Diagnosi che diviene anatomo-patologica guidando le procedure bioptiche, contribuendo così anche alla tipizzazione istologica della malattia. Pertanto, la Radiologia risulta fondamentale per la diagnosi, la stadiazione, il follow-up e lo screening della maggior parte delle neoplasie.


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UNA METODICA SPECIFICA PER LO STUDIO DELLE ALTERAZIONI

L’ENDOSCOPIA DIGESTIVA: UN RADAR PER LE NEOPLASIE a prevenzione e la continua informazione rappresentano le due armi migliori per combattere e contrastare la crescita dei tumori. Oggi, grazie ai progressi della ricerca oncologica nel campo della diagnosi e della terapia, si registra un costante aumento del numero delle persone in grado di guarire da una malattia neoplastica, ma l’obiettivo dei medici e ricercatori deve essere quello di incrementare ulteriormente queste percentuali attraverso opportuni strumenti di diagnosi di patologie tumorali in fase iniziale. L’Endoscopia Digestiva si pone al primo posto quale mezzo fondamentale per la ricerca di patologie tumorali dell’apparato digerente, rivestendo inoltre un ruolo determinante nell’iter diagnostico-terapeutico dei pazienti affetti da tali neoplasie. Volendo sintetizzare, si possono identificare tre importanti aree applicative per le quali alla Endoscopia Digestiva va riconosciuto un ruolo insostituibile: la diagnosi, la terapia e il monitoraggio della evoluzione della patologia tumorale.

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I L DOTT. DAVIDE LOCHIS R ESPONSABILE DEL SERVIZIO DI E NDOSCOPIA DIGESTIVA DEL P OLICLINICO DI MONZA

DIAGNOSI In questo campo la tecnologia ha fatto passi da gigante: si può spaziare dalla Cromoendoscopia (tecnica che, utilizzando coloranti vitali non tossici spruzzati sulle mucose, permette di far risaltare la lesione tumorale in fase iniziale rispetto al tessuto normale) alle nuove tecnologie endoscopiche che, grazie alla presenza di filtri a banda stretta (narrowband imaging), possono analizzare nel minimo dettaglio il tessuto di rivestimento del tubo digerente, evidenziando e riconoscendo anche le lesioni pre-cancerose. Altre opportunità diagnostiche sono fornite dalla Ecoendoscopia, che, utilizzando le onde emesse da un ecografo posto sulla punta di un endoscopio, rivela l’estensione del tumore e la sua eventuale disseminazione nei linfonodi vicini. Non ultima, va annoverata la tecnologia wireless: la capsula endoscopica che racchiude in sé una videocamera miniaturizzata, capace di indagare quel tratto di intesti-

no, altrimenti non raggiungibile con gli strumenti convenzionali.

TERAPIA È il passo successivo, che permette di intervenire in modo mirato e radicale su tumori in fase iniziale, evitando di ricorrere alla chirurgia tradizionale e rispettando l’integrità d’organo. A tale proposito si parla di terapia curativa quando è possibile asportare endoscopicamente delle neoformazioni quali polipi e adenomi giudicati passibili di un’iniziale degenerazione neoplastica; nei casi di presenza di voluminosi polipi dell’apparato digerente ci si affida invece alla tecnica di mucosectomia endoscopica (EMR) che consiste nell’asportazione di vaste aree di mucosa, fino a ricorrere alla tecnica di dissezione sottomucosa endoscopica (ESD) quando l’infiltrazione della parete dell’intestino interessa gli strati più profondi. Si parla invece di terapia palliativa nei casi in cui la patologia tumorale ha compromesso il normale transito del canale alimentare senza possibilità di trattamento chirurgico. A questo riguardo il posizionamento di endoprotesi può garantire la ripresa delle fisiologiche funzioni (per esempio nei casi di stenosi esofagee, coliche e delle vie biliari principali).

MONITORAGGIO In questa fase l’Endoscopia assume i caratteri di controllore della evoluzione e/o recidiva della patologia tumorale precedentemente trattata, permettendo così di mettere in luce sia i risultati della terapia sia l’eventuale insorgenza di nuove problematiche. In un’ottica di prevenzione assumono valore preponderante tutte le campagne di screening rivolte alla popolazione del territorio e ai familiari a rischio promosse dalle Istituzioni Sanitarie a livello regionale e nazionale, a sostegno delle quali va condotta una costante azione di informazione e sensibilizzazione. Sorprendiamo il tumore prima che lui sorprenda noi: questa frase costituisce lo spirito cui si deve ispirare un Servizio di Endoscopia Digestiva efficiente e capace di produrre risultati concreti.


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LE SUE DIAGNOSI IN AUSILIO ALL’ONCOLOGO E AL CHIRURGO

IL PRIMO STEP ALLA BASE DI TUTTO L’ANATOMIA PATOLOGICA er poter meglio capire ed individuare l’apporto dell’Anatomia Patologica ad un Istituto d’Oncologia è necessario, precipuamente, individuare il “target” di questa particolare specializzazione medica e quindi prendere coscienza del fatto che senza l’Anatomia Patologica non potrebbe esistere un Istituto d’Oncologia e non solo questo, poiché come un albero vive grazie alle sue radici nascoste, così un Ospedale non potrebbe esistere senza la figura dell’anatomopatologo, spesso invisibile ai pazienti. La definizione di cos’è l’Anatomia Patologica la si trova facilmente per mezzo di internet: “L’anatomia patologica è quella branca specialistica della medicina che studia le malattie umane (esiste anche l’anatomia patologica veterinaria), mediante esame macroscopico degli organi ed esame microscopico, ultrastrutturale e immunobiologico, nonché genetico e genico, di tessuti e cellule, in sintesi studia la morfologia delle malattie”.

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IL PROF. MAURIZIO SPINELLI RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI ANATOMIA PATOLOGICA DEL POLICLINICO DI MONZA

DOTT.SSA LAURA FIBBI, SERVIZIO DI ANATOMIA PATOLOGICA DEL P OLICLINICO DI MONZA

INTERVENTI IN CAMPO ONCOLOGICO Dopo questo preambolo vediamo di entrare più nello specifico di questa specializzazione, con esempi pratici, per vederne i col-

SENZA L’ANATOMIA PATOLOGICA NON POTREBBE ESISTERE UN ISTITUTO D’ONCOLOGIA, POICHÉ COME UN ALBERO VIVE GRAZIE ALLE SUE RADICI NASCOSTE, COSÌ UN OSPEDALE NON POTREBBE ESISTERE SENZA LA FIGURA DELL’ANATOMOPATOLOGO. LO SPECIALISTA LAVORA A STRETTO CONTATTO CON TUTTI I CHIRURGHI, CHE SONO I SUOI PRIMI INTERLOCUTORI, FORNENDO NEI CASI DI PATOLOGIA NEOPLASTICA TUTTI I DATI PER UNA TERAPIA CORRETTA E MIRATA DA PARTE DELL’ONCOLOGO

legamenti con l’oncologia. Classico esempio è quello della patologia mammaria, applicabile anche ad altri settori della patologia umana. Una paziente si accorge della comparsa di un nodulo alla mammella e si reca dal medico di famiglia, il quale consiglia una serie d’accertamenti diagnostici specifici, tra i quali, in prima o seconda battuta, compare “l’agoaspirato”, mediante il quale l’anatomopatologo o altro specialista prelevano dal nodulo in questione cellule che vengono “lavorate” e studiate al microscopio dall’Anatomopatologo, che con la sua diagnosi fornirà un grande ausilio diagnostico all’oncologo e al chirurgo, i quali potranno pianificare la migliore e più adeguata terapia per quella paziente. Nel caso di un nodulo mammario maligno (carcinoma), definita la tipologia dell’intervento chirurgico, effettuata, dall’anatomopatologo, a volte, anche una diagnosi intraoperatoria al criostato, la prognosi e la successiva terapia sono strettamente correlate a tutti quei parametri istologici e immunobiologici che l’anatomopatologo fornirà all’oncologo, quali: stadiazione della malattia, stato del linfonodo sentinella o dei linfonodi ascellari nella loro totalità, invasione vascolare carcinomatosa, stato dei recettori ormonali, indice di proliferazione cellulare, stato dell’HER. E così, nel suo laboratorio, l’anatomopatologo si adopera per tipizzare lesioni. Il discorso fatto per il nodulo della mammella vale per tutte le lesioni e per quasi tutti i campi della medicina; l’anatomopatologo opera a stretto contatto con tutti i chirurghi (toracici, addominali, oncologici, plastici, urologi, ginecologi, neurochirurghi, ecc.), che sono i suoi primi interlocutori, fornendo nei casi di patologia neoplastica tutti i dati per una terapia corretta e mirata da parte dell’oncologo. Ma qual è il significato dell’analisi cito/istologica di una lesione, quale la necessità e quale l’utilità? Il significato è molto semplice: studiare le caratteristiche prognostiche e predittive di un certo tumore; però i tumori esistenti ad


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sa velocità d’evoluzione nel tempo e a diverso grado d’aggressività biologica. Innanzitutto definire la benignità o la malignità di una neoplasia è utile per prevedere l’andamento clinico della malattia e prendere di conseguenza delle decisioni per stabilire la terapia più idonea. Nella classificazione dei tumori, dando un nome alla neoplasia e descrivendone altre caratteristiche, come il grado di differenziazione (cioè quanto le cellule neoplastiche somigliano alle cellule del tessuto dal quale origina il tumore) e lo stadio (cioè quanto è grande ed esteso il tumore), si cerca di prevedere l’andamento clinico della malattia stessa.

COSA S’INTENDE PER ISTOTIPO

UN TUMORE DELLA MAMMELLA. L’ANATOMOPATOLOGO DEVE FORNIRE ALL’ONCOLOGO TUTTI I DATI PER UNA TERAPIA CORRETTA E MIRATA

oggi, riconosciuti e classificati dalla WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità World Health Organization), sono ripartiti in alcune migliaia di differenti istotipi: alcune neoplasie si rivelano rapidamente fatali, altre presentano un andamento clinico più indolente e a lenta evoluzione, altre ancora sono assolutamente benigne. Quindi i tumori sono tanti, il termine cancro è un termine generico che indica un ampio gruppo di neoplasie maligne a diver-

L’ANATOMIA PATOLOGICA SI METTE A DISPOSIZIONE DELL’ONCOLOGIA AL FINE DI, SINERGICAMENTE, CURARE CORRETTAMENTE E FATTIVAMENTE I PAZIENTI AFFETTI DA NEOPLASIE MALIGNE. L’OTTIMIZZAZIONE DELLE RISORSE DISPONIBILI CONSENTIREBBE A TUTTI I PAZIENTI DI ACCEDERE ALLE MIGLIORI TERAPIE ONCOLOGICHE INNOVATIVE E PERSONALIZZATE

L’istotipo indica il tessuto d’origine di una neoplasia, infatti i tumori possono insorgere praticamente da tutti i tessuti dell’organismo: quindi i tumori maligni che originano dall’osso si chiameranno osteosarcomi, i tumori che originano dal muscolo rabdomiosarcomi e leiomiosarcomi e così via per ogni tessuto. Tuttavia esistono lesioni facili da “catalogare” e lesioni molto difficili, per le quali più anatomopatologi devono confrontarsi tra loro e discutere per giungere ad una conclusione. L’anatomopatologo deve quindi fornire un esame morfologico che sia prima di tutto corretto e attendibile, cioè riproducibile. Quindi il punto è: come raggiungere il consenso su una data lesione; cioè come sarà chiamata quella lesione a Milano a Roma o a New York? È indispensabile capire che prudenza e onestà, oltre allo studio continuo, siano doti indispensabili per l’anatomopatologo per giungere ad una diagnosi correttamente riproducibile, anche rivolgendosi a colleghi più esperti ed anziani e, se necessario, ad esperti di fama nazionale e internazionale presso altri centri.

IL FUTURO DELL’ANATOMIA PATOLOGICA IN CAMPO ONCOLOGICO Il futuro è già presente ed è la patologia molecolare che vede e vedrà sempre di più gli anatomopatologi, coinvolti nella caratterizzazione biologica delle lesioni tumorali. Sono parole difficili per indicare che una


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IL FUTURO È GIÀ PRESENTE E SI CHIAMA PATOLOGIA MOLECOLARE. UNA DELLE STRADE FUTURE PER SCONFIGGERE IL CANCRO SARÀ NON PIÙ SOLO QUELLA DI SOMMINISTRARE FARMACI ANTITUMORALI TRADIZIONALI, MA QUELLA DELL’UTILIZZO DI FARMACI SPECIFICI PER TUMORI CHE ESPRIMONI UNA PARTICOLARE MOLECOLA BERSAGLIO (TARGET) DI QUEL FARMACO STESSO

UNA MACROFOTOGRAFIA DI CARCINOMA RENALE

delle strade future per sconfiggere il cancro sarà non più solo quella di somministrare farmaci antitumorali tradizionali, ma quella dell’utilizzo di farmaci specifici per tumori che esprimono una particolare mole-

cola bersaglio (target) di quel farmaco stesso. All’anatomopatologo spetterà il compito di identificare, per ciascun tumore, l’espressione dei target, come richiesto dagli oncologi. Esempi concreti già entrati nella pratica clinica, sono ad esempio, lo studio per la quantificazione dei recettori per Estrogeno e Progesterone, o del C-ERB-B2, nei carcinomi della mammella o dell’EGFR nei carcinomi del colon-retto; e ultimamente si è diffuso lo studio per la determinazione dello stato mutazionale del K-RAS, sempre per i carcinomi del colon-retto. Come si può quindi osservare, l’Anatomia Patologica, specializzazione antica, forse la più antica della medicina (nasce con Morgagni nel 1600), si mette a disposizione dell’Oncologia (specializzazione tra le più nuove in assoluto), al fine di, sinergicamente, curare correttamente e fattivamente i pazienti affetti da neoplasie maligne. Infatti l’ottimizzazione delle risorse disponibili consentirebbe a tutti i pazienti di accedere alle migliori terapie oncologiche innovative e personalizzate. Ma per cogliere appieno le possibilità offerte dai nuovi farmaci è necessario selezionare i pazienti, potenzialmente più responsivi a ciascun farmaco, in modo da garantire un risultato efficace per il malato e un’ottimizzazione della spesa. Questo richiede un continuo impegno per la ricerca, un’ottima collaborazione fra gli oncologi e gli anatomopatologi, la creazione di un maggior numero di reti e laboratori oncologici e un miglior dialogo fra primari oncologi, anatomopatologi, direttori generali ed istituzioni. Tutto ciò, ponendo il paziente e i suoi bisogni al centro di ogni scelta.

LA STRUTTURA L’Anatomia patologica del Policlinico di Monza, presso cui operano due Anatomopatologi (il Professor Maurizio Spinelli e la Dottoressa Maria Laura Fibbi), è una struttura di livello intermedio, che utilizzando le capacità professionali e l’enorme esperienza clinica dei due medici, sia in campo istologico, sia in campo citologico, offre notevoli garanzie alla crescita dell’Istituto d’Oncologia del Policlinico, che vedrà quindi un notevole potenziamento in campo oncologico.


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NE PARLIAMO CON IL PROFESSOR PIER PAOLO ZANETTI

LA CHIRURGIA E L’ONCOLOGIA: DUE PERFETTI VASI COMUNICANTI netti, si compone di tre differenti Unità Operative. Rispettivamente facciamo riferimento alle Unità di Chirurgia Generale, di Chirurgia Toracica e Chirurgia Vascolare. Nel complesso si parla di una struttura composta da 37 posti letto, di cui 5 in modalità di Day Hospital così ripartiti: • 17 posti letto (di cui 3 in Day Hospital) per l’Unità Operativa di Chirurgia Generale • 10 posti letto per l’Unità Operativa di Chirurgia Toracica • 10 posti letto (di cui 2 in Day Hospital) per l’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare

IL PROF. PIERO PAOLO ZANETTI DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DI CHIRURGIA DEL P OLICLINICO DI MONZA

l Dipartimento di Chirurgia del Policlinico di Monza è, dalla sua concezione, legato a doppio filo al tema dell’interdisciplinarietà. Una caratteristica che si adatta perfettamente al concept dell’Istituto di Oncologia diretto dal Professor Emilio Bajetta, che basa proprio sulla collaborazione tra le varie specialità della disciplina medico-chirurgica il proprio punto di forza, in grado di consentire al paziente un percorso di assoluta validità dal punto di vista funzionale.

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PIÙ DISCIPLINE, UNA SOLA REGIA: QUANDO L’UNIONE FA LA FORZA Il Dipartimento di Chirurgia del Policlinico di Monza, diretto dal Prof. Piero Paolo Za-

L’ONCOLOGIA E LA CHIRURGIA NON AGISCONO PER VIE SEPARATE. SONO INVECE DA CONSIDERARE COME DUE FONDAMENTALI VASI COMUNICANTI. SE VOGLIAMO, LA CHIRURGIA PUÒ ESSERE INTESA COME LO SVILUPPO OPERATIVO DELL’ONCOLOGIA, LA QUALE A SUA VOLTA RAPPRESENTA LA FASE PROGETTUALE. L’ONCOLOGIA È INFATTI UNA BRANCA DELLA MEDICINA CHE PREPARA UN PAZIENTE ALL’INTERVENTO CHIRURGICO

Ogni Unità Operativa prevede un Responsabile di comprovata esperienza. All’interno dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale il collaborano quattro responsabili di settore. L’Unità Operativa di Chirurgia Toracica è invece diretta dal Dott. Ignazio Cataldo, mentre l’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare annovera tre specialisti, lo stesso Prof. Piero Paolo Zanetti, il Dott. Claudio Pecis e il Prof. Emilio Calabrese.

LA CHIRURGIA QUALE SVILUPPO OPERATIVO DELL’ONCOLOGIA Un Dipartimento di Chirurgia rappresenta senza ombra di dubbio l’elemento fondamentale di sostegno per qualsiasi unità oncologica. Un sostegno che non è solamente della prima nei confronti della seconda, ma assolutamente bilaterale. “L’oncologia e la chirurgia – spiega il Prof. Pier Paolo Zanetti – non agiscono per vie separate. Sono invece da considerare come due fondamentali vasi comunicanti. Se vogliamo, la chirurgia può essere intesa come lo sviluppo operativo dell’oncologia, la quale a sua volta rappresenta la fase progettuale. L’oncologia è infatti una branca della medicina che prepara un paziente all’intervento chirurgico e frequentemente lo rende possibile e con ancor maggior frequenza attua un’azione di sterilizzazione post operatoria”. Quindi tra l’oncologia e la chirurgia esiste una fortissima correlazione. “La stretta


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LA STRETTA CONNESSIONE CON LA CHIRURGIA ONCOLOGICA DERIVA PREVALENTEMENTE DA DUE CONDIZIONI, CHE SONO DA IMPUTARE ALLA FREQUENTE CASISTICA DI OPERAZIONI DI TIPO ONCOLOGICO IN CHIRURGIA ADDOMINALE DA UN LATO, COME AVVIENE PER I TUMORI DEL PANCREAS O DEL FEGATO, E IN CHIRURGIA TORACICA DALL’ALTRO. IMPORTANTISSIMO POI IN CAMPO ONCOLOGICO RISULTA ESSERE LA CHIRURGIA DELLA MAMMELLA connessione con la chirurgia oncologica – prosegue il Prof. Zanetti – deriva prevalentemente da due condizioni, che sono da imputare alla frequente casistica di operazioni di tipo oncologico in chirurgia addominale da un lato, come avviene per i tumori del pancreas o del fegato, e in chirurgia toracica dall’altro. Cito gli interventi per i tumori del polmone o dell’esofago, senza escludere la chirurgia vascolare, che può intervenire in rarissimi casi di patologie tumorali dei vasi arteriosi o venosi. Importantissima poi, in campo oncologico, la chirurgia della mammella, per la quale nel nostro Dipartimento possiamo contare su tre specialisti dedicati. L’arrivo al Policlinico di Monza dell’Istituto di Oncologia diretto tra l’altro da un luminare quale il Prof. Emilio Bajetta ci permette un notevole sal-

to di qualità per quanto riguarda il settore delle terapie preoperatorie. Era insomma un’armonizzazione necessaria per donare assoluta completezza al Dipartimento”. Il plauso del Prof. Zanetti va inoltre alla struttura stessa dell’IdO, che rispecchia in maniera assoluta la sua concezione della chirurgia. “Una valutazione multidisciplinare – sottolinea il professore – è molto importante per l’analisi della situazione clinica in sede preoperatoria. Anzi oserei dire che è alla base della preparazione all’intervento chirurgico in campo oncologico”.

L’IMPORTANZA DELLA VALUTAZIONE DEI RISULTATI La valutazione dei risultati in campo operatorio assume un ruolo di primo piano all’interno di un moderno dipartimento di Chirurgia. Il confronto con le best practices a livello internazionale offre infatti una metodologia precisa nell’analisi dei risultati, ma non solo. “Un altro fattore fondamentale per compiere valutazioni – puntualizza il prof. Zanetti – è anche la stima della futura durata e qualità della vita del paziente operato. Nel tempo bisogna tendere a migliorare questo concetto e per farlo bisogna basarsi sulle collaborazioni interdisciplinari. E questo è valido anche in campo oncologico: negli anni si sono infatti raggiunti risultati di tutto rispetto per differenti tipi di patologie: dal tumore del pancreas a quello della tiroide”.

Il professionista DAL NORD ITALIA FINO ALLA SARDEGNA, MA CON UNO SGUARDO AL DI LÀ DELL’OCEANO Parlare di multidisciplinarietà è una cosa all’ordine del giorno per il Professor Piero Paolo Zanetti. Laureatosi in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Genova nel 1971, ha poi seguito un percorso di specializzazione nell’ambito della Chirurgia vascolare che lo ha portato a ricoprire per la prima volta un primariato nel 1986, a soli 15 anni dalla laurea, nel dipartimento di Chirurgia Vascolare dell’Università di Torino. Dopo

una breve esperienza in Emilia Romagna, il suo ritorno in Piemonte, in particolare alla scuola di specializzazione di Asti, prima di affrontare un triennio da primario a Cagliari, esperienza che ha fatto da preambolo all’arrivo a Monza. Ma il metodo del Prof. Zanetti si rifà alla cultura chirurgica statunitense. “Negli Stati Uniti – spiega lo stesso Professor Zanetti – il medico di Chirurgia toracica non è uno specialista monodisciplinare, ma opera trasversalmente all’interno di un dipartimento di Chirurgia. Questo in Italia invece è infrequente. Ma è questione di tempo perché le cose

cambino. È parte del mio modo di pensare vedere a questa specialità come a una realtà intrinsecamente multidisciplinare”. Una vision che applica nel suo operato quotidiano. “All’interno del nostro Dipartimento, su gran parte dei malati che devono essere operati per patologie oncologiche – dice il Professore – viene svolto un briefing multidisciplinare che ha come focus l’iter diagnostico e operatorio da seguire. Se il paziente viene valutato operabile chirurgicamente, questo avviene in seguito ad un dibattito, per l’appunto, interdisciplinare”.


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L’APPORTO DELL’ UNITÀ OPERATIVA DI CHIRURGIA TORACICA

LE APPLICAZIONI CHIRURGICHE PER IL CANCRO DEL POLMONE arlando di attualità in tema di cancro del polmone si corre l’ovvio rischio di usare toni pessimistici almeno per quanto riguarda le dimensioni del problema che in questi ultimi anni hanno acquisito un vero e proprio carattere sociale. I risultati della lotta contro il cancro polmonare di questi ultimi 10 anni non sono certamente tali da poterci considerare “gratificati” dagli sforzi effettuati. Ciò rappresenta un indice abbastanza eloquente della gravità del problema, non solo dal punto di vista epidemiologico, ma anche sotto il profilo terapeutico, se si tiene conto che solo 1/3 del numero globale dei pazienti affetti da cancro polmonare sono attualmente suscettibili di trattamento con finalità curative. Se da una parte si cerca il consolidamento del trattamento convenzionale inteso come trattamento loco-regionale, dall’altra molti sforzi si stanno facendo per aumentare le possibilità di controllo della malattia in senso sistemico. È noto che le possibilità terapeutiche nel campo dei tumori sono strettamente legate allo stadio della malattia. Laddove é possibile effettuarla, la resezione chirurgica è attualmente l’unica arma terapeutica capace di assicurare probabilità di guarigione nel cancro polmonare. In presenza di tumore allo stadio I le probabilità di guarigione nelle varie casistiche oscillano dal 60 all’80%. Per il secondo ed il terzo stadio le percentuali di probabilità di guarigione scendono rispettivamente al 30 e al 10%.

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I L DOTT. IGNAZIO CATALDO R ESPONSABILE DELL’U NITÀ OPERATIVA DI C HIRURGIA TORACICA DEL P OLICLINICO DI MONZA

LADDOVE È POSSIBILE EFFETTUARLA, LA RESEZIONE CHIRURGICA È ATTUALMENTE L’UNICA ARMA TERAPEUTICA CAPACE DI ASSICURARE PROBABILITÀ DI GUARIGIONE NEL CANCRO POLMONARE: DAL 60% ALL’80% PER I CASI NEL PRIMO STADIO, AL 30% PER QUELLI CHE SI TROVANO AL SECONDO E DEL 10% PER I PAZIENTI COLPITI DA CARCINOMA IN STADIO AVANZATO

Allo scopo di migliorare i risultati proposti dal solo trattamento chirurgico da molti anni si è cercato di integrare i vari tipi di trattamento con alterne e poco soddisfacenti fortune sul piano della sopravvivenza. I pazienti con tumore al III stadio che prima venivano considerati a prognosi infausta se trattati con la sola chirurgia, possono beneficiare di una chemioterapia neoadiuvante con l’obbiettivo di migliorare il controllo locale della malattia, di eradicare le micrometastasi e valutare la responsività alla chemioterapia. Sono state riportate riduzioni intorno al 70 % con una resecabilità intorno al 50%. Sono stati effettuati studi anche sulla chemioterapia adiuvante con risultati ancora in attesa di conferme. Attualmente la tendenza terapeutica per i carcinomi polmonari non operabili o non resecabili è a favore dell’associazione radio-chemioterapica sia essa sequenziale, alternata o concomitante. Se tuttavia i risultati ottenuti sono sicuramente incoraggianti, una non indifferente limitazione deriva dalla tossicità del trattamento stesso, le cui caratteristiche ottimali dovrebbero consistere nell’ottenimento del massimo risultato con il minimo di tossicità. Possiamo dire che il merito del miglioramento dei risultati nel trattamento dei tumori registrato negli ultimi anni, anche se modesto nel campo dei tumori polmonari, non può prescindere dall’applicazione di una più moderna strategia terapeutica. Più precisamente il miglioramento dei risultati immediati e a distanza può cominciare a diventare evidente se si abbandonano i criteri di esclusività terapeutica per fare posto a modalità di trattamento coordinato guidato dai progressi conoscitivi della ricerca di base. Ciò ha portato allo sviluppo di uno spirito nuovo che pervade oggi il mondo oncologico, e cioè quella di fare del paziente il centro del mondo oncologico per un modello gestionale ed organizzativo sempre più vicino alle esigenze del singolo paziente. Questo è lo spirito che caratterizzerà il ruolo della chirurgia toracica all’interno dell’IdO del Policlinico di Monza.


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LA TRATTAZIONE DI NEOPLASIE SUPERFICIALI E INFILTRANTI

DIAGNOSI, TERAPIA E CONTROLLO IL RUOLO DELL’UNITÀ DI UROLOGIA Unità Operativa di Urologia in servizio presso il Policlinico di Monza e diretta dal dott. Massimo Tura si occupa di tutta l’oncologia urologica naturalmente di pertinenza chirurgica. Si tratta quindi delle neoplasie vescicali, sia le superficiali sia le infiltranti, con i provvedimenti terapeutici che variano dalla semplice resezione vescicale transuretrale (Turv) per le neoplasie superficiali, alla cistectomia radicale per i tumori infiltranti. L’intervento endoscopico di resezione vescicale transuretrale (Turv) ha uno scopo diagnostico e anche terapeutico soprattutto per le malattie superficiali. La cistectomia radicale (asportazione completa di vescica e prostata), riservata alle neoplasie infiltranti ed aggressive, può prevedere il confezionamento di una neovescica ortotopica utilizzando anse ileali per quelle neoplasie che non invadono il collo vescicale e l’uretra prostatica, oppure prevedere una urostomia cutanea nei casi in cui la malattia coinvolga il collo vescicale e/o l’uretra prostatica o nei pazienti particolarmente anziani e in condizioni cliniche generali non ottimali. Si eseguono anche instillazioni endovescicali di farmaci in regime ambulatoriale, in supporto alla resezione vescicale tranuretrale (Turv) per le neoplasie vescicali superficiali, plurirecidivanti e multicentrici. La Divisione si occupa anche della terapia chirurgica delle neoplasie uroteliali delle alte vie escretrici. Si esegue il classico intervento chirurgico di nefroureterectomia (asportazione completa di rene ed uretere) nel caso dei tumori infiltranti e/o volumetricamente importanti, mentre si riservano eventuali resezioni endoscopiche per le neoplasie delle vie escretrici superficiali e/o volumetri-

L’

IL DOTT. MASSIMO TURA RESPONSABILE DELL’UNITÀ OPERATIVA DI UROLOGIA DEL POLICLINICO DI MONZA

L’UNITÀ OPERATIVA DI UROLOGIA, GRAZIE ALLA SUA ATTIVITÀ AMBULATORIALE, È IN GRADO DI DIAGNOSTICARE TUTTE LE NEOPLASIE E DI PROVVEDERE A CONTROLLI MONITORIZZATI NEL TEMPO DOPO L’INTERVENTO TERAPEUTICO

camente piccole o nei pazienti monoreni chirurgici o funzionali. Le resezioni endoscopiche possono essere eseguite tramite la via percutanea nel caso delle malattie localizzate nei calici e nella pelvi renale, oppure tramite l’utilizzo di un ureterorenoscopio operativo in quelle vegetazioni localizzate nell’uretere. Per le neoplasie prostatiche si eseguono biopsie per la diagnosi. Una volta ottenuta la diagnosi si procede con l’intervento chirurgico terapeutico di prostatectomia radicale nei pazienti relativamente giovani e con malattia presumibilmente localizzata all’interno della ghiandola. La prostatectomia radicale con eventuale linfadenectomia iliaco otturatoria bilaterale prevede l’asportazione completa della prostata ed eventualmente dei linfonodi iliaco otturatori bilaterali a scopo terapeutico/stadiativo. Successivamente, per le neoplasie localmente avanzate si può prevedere un ciclo radioterapico di supporto all’intervento di prostatectomia radicale, mentre per quelle ormai sistemiche o nei pazienti particolarmente anziani si prevede una terapia farmacologica di blocco androgenico. Nei tumori del rene il provvedimento terapeutico principale è l’intervento di nefrectomia radicale. Questo intervento prevede l’asportazione completa di rene, grasso peri e para renale e linfonodi locoregionali. Il tumore del rene è particolarmente poco sensibile ai farmaci chemioterapici e, quindi, quella chirurgica è l’arma terapeutica principale in questi casi. Si eseguono anche eminefrectomie (asportazione parziale di rene) o enucleazione di tumori nei casi di monoreni funzionali o chirurgici e nei tumori fino ai 3 cm di diametro. L’Unità Operativa di Urologia del Policlinico di Monza esegue anche interventi di orchifunicolectomia (asportazione completa di testicolo e funicolo) nei tumori testicolari, nonché l’intervento di linfadenectomia nei casi indicati di tumori testicolari. Non bisogna dimenticare che la divisione di Urologia, con la sua attività ambulatoriale, è in grado di diagnosticare tutte queste neoplasie e di provvedere a controlli monitorizzati nel tempo dopo l’intervento terapeutico.


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MINIMIZZANO I RISCHI DI DANNI AL TESSUTO CIRCOSTANTE

LE TECNICHE NEUROCHIRURGICHE IN AIUTO AI PAZIENTI ONCOLOGICI oncologia e la neurochirurgia sono discipline che trovano numerosi punti di contatto. La migliorata aspettativa di vita dei pazienti oncologici prodotta dall’evoluzione dei trattamenti farmacologici e radioterapici ha di fatto aumentato il numero di pazienti che nel corso della loro malattia sviluppano una lesione in distretti di interesse della neurochirurgia. Sono molti infatti i tumori polmonari, mammari o dell’apparato uro-genitale che nel corso della loro evoluzione si localizzano a livello cerebrale o spinale determinando così un drastico peggioramento della durata e della qualità della vita dei pazienti. A questo tipo di lesioni vanno aggiunte le lesioni neoplastiche primitive del sistema nervoso centrale, che per loro peculiari caratteristiche sono state da sempre trattate direttamente anche sotto l’aspetto chemioterapico proprio dai neurochirurghi o dai neuro-oncologi. L’istituzione dell’IdO presso il Policlinico di Monza rappresenta un’opportunità di incrementare l’approccio interdisciplinare anche a questa specifica serie di lesioni. Attualmente la neurochirurgia è in grado di effettuare interventi per la rimozione delle lesioni encefaliche o spinali con tecniche microchirurgiche assistite dalla neuronavigazione che consente di ottenere una precisa identificazione della lesione, minimizzando in questo modo i rischi di danni chirurgici al tessuto circostante. Per le lesioni spinali che

L’ IL DOTT. ALBERTO MESSINA RESPONSABILE DELL’UNITÀ OPERATIVA DI NEUROCHIRURGIA DEL POLICLINICO DI MONZA

producono una compressione del midollo spinale diretta o indiretta per crollo delle vertebre a esso circostanti è possibile effettuare la contestuale rimozione della lesione e la stabilizzazione della colonna vertebrale, evitando così il rischio di para o tetraplegia. È possibile effettuare impianti intracranici o midollari di cateteri per la somministrazione di chemioterapici o analgesici connessi a pompe di infusione sottocutanea. Queste possibilità che la neurochirurgia mette a disposizione dell’IdO spero potranno tradursi in un significativo miglioramento della qualità della vita dei pazienti oncologici a esse candidati. Va infine ricordato che in casi selezionati sono tuttora attuali le metodiche neurolesive classiche quali a esempio le tractotomie bulbari o le rizotomie selettive. Questa ampia gamma di opzioni terapeutiche si inquadra ottimamente nel più ampio progetto dell’Ospedale senza dolore di recente adozione presso il Policlinico di Monza.

IN

CERTI CASI SONO ANCORA ATTUALI LE METODICHE NEUROLESIVE CLASSICHE

L’ISTITUZIONE DELL’IDO PRESSO IL POLICLINICO DI MONZA RAPPRESENTA UN’OPPORTUNITÀ DI INCREMENTARE L’APPROCCIO INTERDISCIPLINARE ANCHE ALLE LESIONI NEOPLASTICHE PRIMITIVE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE, CHE PER LORO PECULIARI CARATTERISTICHE SONO STATE DA SEMPRE TRATTATE DIRETTAMENTE ANCHE SOTTO L’ASPETTO CHEMIOTERAPICO PROPRIO DAI NEURO-CHIRURGHI O DAI NEURO-ONCOLOGI


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LA CHIRURGIA PLASTICA IN SUPPORTO A QUELLA ONCOLOGICA

RICOSTRUIRE DOPO L’INTERVENTO: TEORIE E TECNICHE DI OPERAZIONE oiché la chirurgia oncologica, nella sua necessità, rappresenta purtroppo una chirurgia mutilante, le procedure ricostruttive associate sono diventate priorità sia per il medico sia per il paziente. Sempre più Istituti nei propri reparti di cure oncologiche integrano ormai regolarmente chirurghi plastici nelle proprie equipes. Meglio conosciuta dal grande pubblico per la sua branca estetica, la chirurgia plastica è una specialità curativo-funzionale abbastanza diversificata e dove le applicazioni si estendono anche all’insieme delle attività oncologiche. Di tutti i tessuti che coinvolgono il chirurgo plastico, la pelle (e i suoi annessi), rappresenta uno dei suoi interessi principali. Ciò lo porta ad essere considerato come l’esperto del processo di cicatrizzazione e deve saper applicare tutte le sue conoscenze soprattutto in situazioni di cicatrizzazione difficile. Naturalmente i tumori della pelle e dei tessuti molli costituiscono uno dei principali motivi di visita dal chirurgo plastico. In funzione del tipo e della localizzazione, il trattamento può variare dalla semplice exeresi-sutura all’impiego di complessi lembi microchirurgici. Importanti passi avanti sono stati fatti in questo senso dopo gli anni ‘80 grazie alla descrizione di nuovi lembi assiali e della microchirurgia. All’inizio ridotti alla descrizione di singoli casi clinici o di serie limitate, sempre più spesso varie equipes si sono riunite per mostrare i vantaggi di una tecnica o di un’altra. Parallelamente, le ricerche hanno portato a ridurre gli esiti dell’exeresi oncologica (soprattutto in alcuni tipi di neoformazioni come i carcinomi basocellulari) o comunque a permettere risultati rico-

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IL DOTT. ALBERTO FUMAGALLI R ESPONSABILE DELL’U NITÀ OPERATIVA DI C HIRURGIA P LASTICA DEL P OLICLINICO DI MONZA

DI TUTTI I TESSUTI CHE COINVOLGONO IL CHIRURGO PLASTICO, LA PELLE (E I SUOI ANNESSI), RAPPRESENTA UNO DEI SUOI INTERESSI PRINCIPALI. CIÒ LO PORTA AD ESSERE CONSIDERATO COME L’ESPERTO DEL PROCESSO DI CICATRIZZAZIONE, SOPRATTUTTO NEI CASI PIÙ DIFFICILI

struttivi egregi nel salvaguardare le unità estetiche e morfologiche delle aree trattate, soprattutto se riguardanti il volto. I melanomi rimangono un caso particolare: gli studi ci orientano sempre più verso una diminuzione dei margini di exeresi per indirizzarsi piuttosto ad uno studio linfoghiandolare più specifico. È per questo motivo che si è sempre più sviluppata la tecnica del linfonodo sentinella, precedentemente appannaggio nello studio del tumore mammario. Peraltro la caratteristica della chirurgia plastica è di non essere una specialità d’organo. Ciò ha per conseguenza che le proprie specificità siano spesso condivise con altre specialità ed in particolare con la chirurgia senologica. Dopo le prime ricostruzioni mammarie, circa trent’anni fa, dove il chirurgo plastico interveniva secondariamente rispetto alla fase oncologica, attualmente lo si vede sempre più spesso coinvolto sin dall’inizio del percorso nella moderna e cosiddetta chirurgia oncoplastica. Tanto che, sia sul piano cosmetologico che oncologico, tale chirurgia permette di migliorare, oltreché aumentare, le indicazioni dei trattamenti conservativi. Questi ultimi, isolatamente, implicavano spesso sequele dove fattori multipli potevano comportare sgradevoli risultati quali asimmetrie volumetriche, dislocazioni areolari o deformità mammarie. Nell’applicazione dell’oncoplastica tutti i fattori sono invece previsti e gestiti sia per quanto riguarda il rapporto tumore-volume mammario da una parte sia per la localizzazione del tumore dall’altra. Le cicatrici devono essere rigorosamente nascoste per preservare integro il decolté. Per questo l’incisione è in funzione della sede del tumore: di preferenza radiale se lo stesso è presente nei quadranti inferiori o arciforme se nei quadranti superiori. È peraltro molto importante stoffare la perdita di sostanza ghiandolare sia per semplice avvicinamento dei tessuti sia mediante l’impiego di lembi ghiandolari soprattutto perché eventuali difetti di riempimento verrebbero peggiorati enormemente dall’eventuale radioterapia. L’importanza del rimodellamen-


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LA CHIRURGIA PLASTICA CONDIVIDE SPESSO LA PROPRIA SPECIFICITÀ CON QUELLA SENOLOGICA. DOPO LE PRIME RICOSTRUZIONI MAMMARIE, DOVE IL CHIRURGO PLASTICO INTERVENIVA SECONDARIAMENTE RISPETTO ALLA FASE ONCOLOGICA, ATTUALMENTE LO SI VEDE SEMPRE PIÙ SPESSO COINVOLTO SIN DALL’INIZIO DEL PERCORSO to dipende comunque dalla taglia del tumore rapportato al volume del seno. Nelle pazienti che presentano seni ipertrofici e/o ptosici si può proporre una riduzione mammaria o una mastopessi bilaterale contestualmente alla tumorectomia, ricordando però che il sovrappeso, il tabagismo e il diabete comportano un rischio maggiore di cattiva cicatrizzazione. Anche la radioterapia postoperatoria ha comunque degli effetti collaterali che vanno ad aumentare le comorbilità. Per quanto riguarda la ricostruzione mammaria postmastectomia la chirurgia plastica si adegua alla indicazione oncologica: ricostruzione immediata (cioè ricostruzione effettuata allo stesso tempo della demolizione mediante protesi o espansori mammari) da attuarsi in donne con carcinomi mammari in stadio I e II, che dovranno essere sottoposte a mastectomia radicale semplice o modificata, con o senza linfoadenectomia ascellare, piuttosto che ricostruzione differita in genere di alcuni mesi, che invece va effettuata in donne con malattia in stadio avanzato. È la ricostruzione immediata, con il suo alto valore terapeutico psico-estetico nel ripristinare immediatamente l’immagine corporea sovvertita dalla mastectomia, che richiede da parte del chirurgo plastico una capacità tecnica frutto di diverse componenti da correlare sapientemente. È così che la ricostruzione mammaria può essere eseguita con o senza l’impiego preliminare di un espansore tissutale a seconda delle disponibilità di tessuto molle per la ricostruzione, delle dimensioni, della forma, del grado di ptosi della mammella conrolaterale nonché delle richieste della paziente. Questo tipo di ricostruzione rappresenta sicuramente la tecnica chirurgica più veloce e semplice. La protesi viene impiantata sotto piano muscolo-fasciale, mentre nei casi in cui la cute sovrastante non sia sufficiente, si effettua precedentemente un’espansione della stessa. L’espansore venendo riempito in

maniera graduale, consente una distensione progressiva dei tessuti sovrastanti senza comprometterne la vitalità: in un tempo successivo, una volta raggiunta l’espansione cutanea desiderata, l’espansore viene sostituito con una protesi definitiva. Si utilizzano altrimenti tessuti autologhi per la ricostruzione mammaria in quelle pazienti con carenza cutanea e/o muscolare e nelle quali non è possibile impiantare una protesi. I lembi muscolocutanei più utilizzati in tal senso sono: il lembo miocutaneo di gran dorsale (lembo latissimus dorsi), il lembo miocutaneo addominale traverso (lembo TRAM). Il lembo di latissimus dorsi viene utilizzato per la ricostruzione immediata o ritardata della mammella dopo mastectomia radicale sec. Halsted, poiché rappresenta un’eccellente fonte di muscolo e di cute. Il lembo miocutaneo trasversale del retto dell’addome (TRAM) è costituito da un’isola cutanea prelevata dalla parete addominale e dal sottostante muscolo retto dell’addome, in genere controlaterale alla sede di mastectomia. Un altro lembo utile è il lembo toracodorsale, che è composto da cute, tessuto sottocutaneo e senza muscolo e che viene allestito in senso trasversale sulla parete laterale del torace. Viste le sue caratteristiche è utile per ripristinare il volume mammario nella porzione laterale e inferiore della mammella da ricostruire, dopo mastectomia radicale modificata. Più recentemente, con lo sviluppo delle tecniche microchirurgiche si può ricorrere all’utilizzo di tessuti autologhi di sedi corporee lontane, che vengono trasferiti in sede mammaria: tra questi ricordiamo il lembo miocutaneo di grande gluteo, il lembo di retto dell’addome e i lembi perforanti (DIEP-flap, sGAP flap, LDP flap e ALT flap). Parte integrante della ricostruzione mammaria post-mastectomia è anche l’eventuale mastoplastica di simmetrizzazione della mammella controlaterale, che può a seconda dei casi essere una mastopessi, una mastoplastica riduttiva o una mastoplastica additiva e che serve per rendere il più possibile le due mammelle simmetriche uguali. Infine, dopo circa 3 mesi dalla ricostruzione mammaria si procede alla ricostruzione del complesso areolacapezzolo, che può essere eseguita mediante tatuaggi o innesti per l’areola (con prelievo dell’areola controlaterale o dal solco superointerno della coscia) e i lembi locali per il capezzolo.


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STRUMENTI E PERSONALE DEL SERVIZIO DEL POLICLINICO

RADIOTERAPIA, ALTA TECNOLOGIA PER LA CURA DELLE NEOPLASIE l reparto di Radioterapia è dotato di tecnologie avanzate per i trattamenti di precisione che sono da sempre il fiore all’occhiello di questa realtà. Il nucleo storico di medici che compongono l’equipe (5 medici, 2 fisici, 8 tecnici, 2 infermiere e 2 segretarie), proviene da una precedente esperienza in questo settore presso l’Istituto Tumori di Milano dove furono messe a punto le prime macchine in grado di effettuare trattamenti conformazionali e di iMRT. Attualmente il reparto dispone di due acceleratori lineari dotati di tre collimatori multi lamellari con sistemi di controllo del posizionamento on line di tipo Tomografico-digitalizzato (che effettuano una TAC direttamente al letto di trattamento con controllo e correzione automatizzata a fuzzy sets), Ecografico e di tipo convenzionale (pannelli rivelatori a silicio in matrice amorfa), oltre che di sistemi di rilevazione a tracking ottico in grado di evidenziare piccoli movimenti di oscillazione (respiratori, accidentali etc) e di correggerli durante la irradiazione. Una TAC multistrato dedicata alla simulazione radioterapica e un sistema di Endoscopia Virtuale consentono una capacità di ricognizione preliminare estremamente accurata. Il sistema di treatment planning inoltre è dotato di sistemi di sovrapposizione multimodale con RMN ed altre tecniche di imaging. In pratica un paziente viene sottoposto ad una TAC preliminare (in cui si effettua anche lo studio dei movimenti respira-

I

IL DOTT. ALBERTO GRAMAGLIA RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI RADIOTERAPIA DEL POLICLINICO DI MONZA

P RESSO IL SERVIZIO DI RADIOTERAPIA DEL P OLICLINICO DI MONZA VI SONO DUE ACCELERATORI LINEARI: • ACCELERATORE LINEARE: 6 M EV VARIAN CLC C LINAC 600 C • ACCELERATORE LINEARE: 6-15 M EV: VARIAN CLC C LINAC 2100 C

tori delle lesioni da trattare) o ad una Risonanza magnetica (frequentemente entrambe), l’esame viene processato e ricostruito virtualmente ed inserito in un programma terapeutico. Durante le sedute di irradiazione la macchina esegue una nuova TAC limitata alla sede da trattare, confronta digitalmente le immagini e corregge eventuali errori balistici automaticamente. Inoltre, per situazioni estreme, in casi di movimento eccessivo durante i movimenti respiratori, un sistema di controllo a tracciatura ottica attivo durante tutta la fase di irradiazione può correggere trattamenti altrimenti balisticamente non corretti in quanto la lesione si muove durante la irradiazione. Inserito in un contesto di nuove prospettive oncologiche con il nuovo istituto di oncologia, il reparto è in grado di fornire trattamenti particolarmente sofisticati nella terapia dei tumori cerebrali primitivi e metastatici, nella terapia preoperatoria del retto, nella terapia radicale della prostata, del fegato, del pancreas etc. Sono possibili trattamenti di tipo IGRT-4D IMRT dinamici specialmente dedicati al distretto Otorinolaringoiatrico (trattamenti IMRT dinamici con salvataggio di funzione salivare) e terapie con controllo a gating respiratorio (tramite tracking ottico) che consentono di seguire le lesioni nel loro movimento durante la respirazione o durante eventuali modificazioni prevedibili o non degli organi sottoposti a irradiazione, ad esempio nella terapia di tumori o lesioni epatiche, renali surrenaliche, polmonari etc. Il sistema è integrato con una serie di controlli di qualità che consentono di minimizzare l’errore umano; tutte le procedure di riconoscimento dalla determinazione del soggetto alla evidenza della congruità anatomica tramite la TAC on line viene sempre confrontata automaticamente dal sistema con i dati preliminari, i profili tecnico-anatomici del paziente stesso. Il reparto ha inoltre in dotazione due apparecchiature di Ipertermia a radiofrequenza per trattamenti di ipertermia profonda e/o superficiale utilizzati in patologie particolari come melanomi, sarcomi, patologie recidivanti a precedenti terapie radianti e in molte altre situazioni complesse.


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L’IMPORTANTE LAVORO DI STUDIO DEL PROFESSOR SCHIFFER

GLI ULTIMI PASSI DELLA RICERCA NELLA CURA DEI TUMORI CEREBRALI er la terapia dei tumori cerebrali è fondamentale la distinzione fra le forme benigne e quelle maligne. Per le prime la terapia è fondamentalmente chirurgica e si giova del notevole progresso compiuto dalla Neurochirurgia che usa mezzi tecnologici sempre più efficaci. In questa impresa è grandemente aiutata dall’enorme sviluppo della neuro-imagings con il perfezionamento delle tecniche di Risonanza Magnetica, di spettroscopia e di altre che consentono il riconoscimento sempre più precoce dei tumori e l’individuazione più precisa delle aree cerebrali funzionalmente importanti da salvaguardare. Molti tumori possono essere asportati completamente con guarigione della malattia neoplastica. Sono soprattutto meningiomi, neurinomi, tumori vascolari, ma anche astrocitomi che possono a essere curati radicalmente. Per le forme maligne – si tratta soprattutto del glioblastoma, il tumore gliale maligno per eccellenza, la cui prognosi non è di molto cambiata negli ultimi cinquant’anni – la chirurgia ha più che altro il compito del “debulking” e cioè di ridurre la massa tumorale e quello di consentire una diagnosi istologica precisa, indispensabile per stabilire la prognosi dell’affezione e per l’individuazione delle possibilità terapeutiche post-chirurgiche. Nei tumori maligni alla chirurgia segue di solito la radioterapia, oggi perfezionata nella strategia, nella modalità di irradiazione – si ricorda la radioterapia conformazionale – e anche nella fonte

P

I L P ROF. DAVIDE SCHIFFER R ESPONSABILE DEL C ENTRO DI R ICERCA N EUROBIONCOLOGIA

NEI TUMORI MALIGNI SI FA SEGUIRE ALLA RADIOTERAPIA, O SI ASSOCIA AD ESSA, LA CHEMIOTERAPIA CHE PERÒ PUÒ ESSERE IMPIEGATA ANCHE COME UNICA ARMA, QUANDO LA RADIOTERAPIA NON È O NON È PIÙ ADOTTABILE. NATA NEGLI ANNI ‘70, HA SPERIMENTATO IN VITRO IN MODELLI ANIMANI E ANCHE IN TRIAL NELL’UOMO UNA GRANDE SERIE DI COMPOSTI E DI MOLECOLE CHE HANNO PRODOTTO MOLTI DATI

dell’energia radiante. L’introduzione recente della terapia protonica o con joni pesanti consentirà una maggior efficacia nella distruzione del tumore. La radioterapia ha nettamente migliorato la prognosi del glioblastoma, raddoppiando la sopravvivenza rispetto alla sola chirurgia. Nelle sue varianti, gamma knife, stereotattica, etc, è stata estesa anche a neoplasie benigne difficilmente raggiungibili chirurgicamente. Nei tumori maligni abitualmente si fa seguire alla radioterapia, o si associa ad essa, la chemioterapia che però può essere impiegata anche come unica arma, quando la radioterapia non è o non è più adottabile. Nata negli anni ‘70, ha sperimentato in vitro in modelli animali e anche in trial nell’uomo una grande serie di composti e molecole – la letteratura è ricca di revisioni dell’argomento (1) – che hanno prodotto una grande massa di dati. Per quanto riguarda i tumori umani, si possono ormai ricordare BCNU, CCNU, ACNU, vincristina, etoposide, procarbazina, metotrexate e altri i quali, tuttavia, non hanno prodotto un sensibile miglioramento della sopravvivenza. Recentemente la Neuro-oncologia si è concentrata su un farmaco, agente alchilante, maneggevole, poco tossico e ben tollerato: il Temozolomide. Esso ha condotto ad un sensibile, ma modesto, miglioramento della sopravvivenza nel glioblastoma, specie se somministrato in pazienti in cui si rileva uno stato di ipermetilazione della Metil-guanina-DNA.metil-transferasi, che blocca la riparazione del danno del DNA prodotta dall’agente alchilante (2,3). L’MGMT infatti agisce riparando i danni al DNA prodotti dalla radioterapia o chemioterapia con agenti alchilanti, asportandone l’alchile. L’ipermetilazione del suo promoter lo rende inefficace e non solo consente alla chemioterapia con Temozolomide di produrre sopravvivenze più lunghe, ma ha un significato prognostico di per sé. A titolo esplicativo va detto che il Temozolomide può essere efficace anche in tumori con MGMT non metilato, purché somministrato in dosi maggiori e in modo continuo in modo da esaurire


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L’MGMT, PER QUANTO ABBIA RIVELATO UNA CERTA EFFICACIA NELLA TERAPIA DEL GLIOBLASTOMA, NON HA RISOLTO IL PROBLEMA. ALTRE MOLECOLE SONO ALLO STUDIO ATTUALMENTE NEL MONDO SCIENTIFICO. BASANDOSI SULL’OSSERVAZIONE CHE LA NEOANGIOGENESI È UN SUPPORTO CHE IL TUMORE SI COSTRUISCE PER L’ESPANSIONE, SONO STATE IMPIEGATE SOSTANZE ANTI-ANGIOGENETICHE

LE RICERCATRICI DEL CENTRO DI NEURO-BIO- ONCOLOGIA NELLA SALA DI MICROSCOPIA

l’MGMT non metilato. Quest’ultima procedura è tollerata meno bene di quella a dosaggio inferiore. Su questo problema contributi sono stati portati da studi svolti e in corso presso il nostro Centro. È stato dimostrato che la determinazione della ipermetilazione di MGMT nei prelievi operatori è più attendibile se condotta con specifiche procedure di genetica molecolare, per esempio con la tecnica MSP, che con tecniche immunoistochimiche e che il confronto fra le due procedure si giova di più dell’uso dell’analisi dei frammenti mediante elettroforesi capillare che non del gel agarosio (4). Infatti l’ottenere i due picchi, mutilato e non mutilato, contemporaneamente consente di valutare i casi in cui la proteina risulta presente in immunoistochimica, mentre la genetica molecolare dà l’MGMT come metilato (5). L’ipermetilazione di MGMT ha un significato prognostico favorevole nei tumori mali-

gni, anche se appartiene alla serie degli eventi epigenetici che accompagnano la trasformazione maligna. Essa soggiace all’espansione clonale, ma la sua interpretazione nella biologia del tumore deve tenere conto che ha la stessa frequenza nei tumori benigni e in quelli maligni, con l’eccezione dell’astrocitoma pilocitico. Questo ci dice che l’ipermetilazione potrebbe svilupparsi nella tumorigenesi, ma prima della trasformazione maligna. Un esempio può essere rappresentato dalla frequenza con cui essa si trova nei meningiomi, tipici tumori benigni (6). L’MGMT, per quanto abbia rivelato una certa efficacia nella terapia del glioblastoma, non ha ovviamente risolto il problema. Altre molecole sono allo studio attualmente nel mondo scientifico. Basandosi sull’osservazione che la neo-angiogenesi è un supporto che il tumore si costruisce per l’espansione, sono state impiegate sostanze anti-angiogenetiche. Una è il Bevacizumab (Avastin), già impiegato in certi tumori maligni sistemici. Esso impedisce la neo-angiogenesi, ma ha una limitazione consistente nel fatto che i gliomi maligni non sono completamente angiogenesi-dipendenti. Un’altra sostanza in sperimentazione ancora è l’inibitore della Topoisomerasi 1 (Irinotecan) che interviene nella proliferazione cellulare tumorale. Si tratta di sperimentazioni che dall’animale sono passate all’uomo in trial di fase I o II e rientrano in quella serie di tentativi terapeutici basati sull’inattivazione di target molecolari che sono stati via via individuati. Se ne conosce un gran numero e possiamo ricordarli: Survivina, STAT3, mTOR, AKT e soprattutto EGFR e PTEN o tutto il gruppo di recettori facenti capo a TKRP (Tyrosin kinase receptor proteins) che attivano la via di Ras per la proliferazione cellulare nei gliomi maligni. Dalla letteratura si ricava come numerosissimi contributi scientifici siano stati portati sull’individuazione di punti importanti nelle numerose vie molecolari che consentono la sussistenza e la progressione tumorale. Parecchi sono anche i contributi scientifici portati finora dalla neuro-oncologia al reperimento di mezzi o molecole capaci di annullarli, inibendoli o rendendoli inattivi, o impedendo di essere vicariati, in caso di blocco, da altre vie molecolari. Molto spesso un’efficacia riscontrata in vitro o in modelli animali, non ha trovato riscontro nell’uomo. “Alcuni di questi geni/proteine sono stati oggetto di studio presso il nostro Centro - spiega


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«PROSEGUENDO SULLA STRADA DELL’IDENTIFICAZIONE DI TARGET TERAPEUTICI IL CENTRO SI È RECENTEMENTE CONCENTRATO SU UN PARTICOLARE FATTORE DI TRASCRIZIONE, SOX2, VENUTO IN AUGE IN CAMPO NEUROSCIENTIFICO CON IL DIFFONDERSI DEGLI STUDI SULLE CELLULE ANIMALI. SI TRATTA DI UN GENE CON UN SOLO ESONE E SENZA INTRONI LOCALIZZATO SUL CROMOSOMA 3Q26.3 - 27 E CON 137 AMINOACIDI»

GLIOMI MALIGNI: IL PROBLEMA MAGGIORE È LA LORO RESISTENZA ALLA CHEMIOTERAPIA E ALLA RADIOTERAPIA

il direttore professor Davide Schiffer, responsabile dell’Unità Operativa di Neurobioncologia della Clinica Santa Rita di Vercelli - e precisamente mi riferisco a Survivin (7), STAT3 (8) e mTOR (9). Tutte e tre le accoppiate si

sono rivelate essere target importanti, legati ai meccanismi di proliferazione o di resistenza all’apoptosi nei gliomi maligni”. Survivina interverrebbe nella regolazione della mitosi e nella resistenza all’apoptosi; STAT3 avrebbe una funzione analoga sulla via di AKT. Di entrambe si conoscono inibitori che sono stati usati sperimentalmente, ma è mTOR quella che attualmente sembra riscuotere maggior successo, poiché tentativi di inattivarla nell’uomo sono arrivati a trial di fase II. “Proseguendo sulla strada dell’identificazione di target terapeutici - spiega ancora il professor Schiffer - il Centro si è recentemente concentrato su un particolare fattore di trascrizione, SOX2, venuto in auge in campo neuroscientifico con il diffondersi degli studi sulle cellule staminali. Si tratta di un gene con un solo esone e senza introni localizzato sul cromosoma 3q26.3 – 27 e con 317 aminoacidi. Esso è altamente espresso nel sistema nervoso centrale durante lo sviluppo, ma si regola in basso quando, durante lo sviluppo embrionale, le cellule neurali escono dal ciclo cellulare e si differenziano in senso neuronale. Esso in pratica non è espresso nel sistema nervoso centrale dell’adulto, con qualche eccezione, e si riattiva nella glia reattiva e nei tumori. Noi abbiamo dimostrato che nei gliomi è debolmente espresso in quelli di basso grado, mentre si attiva in quelli alto grado arrivando ad essere fortemente espresso e anche amplificato nei centri fenotipicamente molto attivi del glioblastoma”. Questo succede anche nell’oligodendroglioma. Questi centri sono quelli che, una volta messi in coltura, consentono la formazione di neurosfere in vitro e cioè lo sviluppo di cellule staminali che sappiamo essere re-

Bibliografia (1) Newton H, Fan ND. Handbook of brain tumor chemotherapy. Elsevier, Amsterdam, 2006. (2) Stupp R, Mason WP, van den Bent MJ, Weller M, Fisher B, Taphoorn MJ, Belanger K, Brandes AA, Marosi C, Bogdahn U, Curschmann J, Janzer RC, Ludwin SK, Gorlia T, Allgeier A, Lacombe D, Cairncross JG, Eisenhauer E and Mirimanoff RO. European Organisation for Research and Treatment of Cancer Brain Tumors and Radiotherapy Groups; National Cancer

Institute of Canada Clinical Trials Group: Radiotherapy plus concomitant and adjuvant temozolomide for glioblastoma. N Engl J Med 352: 987-996, 2005. (3) Hegi ME, Diserens AC, Godard S, Dietrich PY, Regli L, Ostermann S, Otten P, Van Melle G, de Tribolet N and Stupp R: Clinical trial substantiates the predictive value of O6-methylguanine-DNA methyltransferase promoter methylation in glioblastoma patients treated with temozolomide. Clin Cancer Res 10: 1871-1874, 2004

(4) Mellai M, Caldera V, Annovazzi L, Chiò A, Cassoni P, Finocchiaro G, Schiffer D MGMT promoter hypermethylation in a sereies of 104 glioblastomas, Cancer Genomics and Proteomics 6, 219-228, 2000. (5) Mellai M, Caldera V, Annovazzi L, Comino A, Mocellini C, Valente G, Schiffer D. MGMT hypermethylation in low-grade gliomas. Submitted 2010. (6) Mellai M, Annovazzi L, Caldera V, Zullo N, Musso C, Schiffer D. MGMT


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LA TERAPIA POST-CHIRURGICA E POST-RADIANTE DEI TUMORI CEREBRALI, VISTI I MODESTI RISULTATI CONSEGUITI FINORA, È ALLA CONTINUA RICERCA DI NUOVE STRADE. DUE, ENTRAMBE IMPORTANTI, OGGI SI POSSONO IDENTIFICARE NEI TENTATIVI DI VACCINOTERAPIA E NELL’UTILIZZO DEI SIRNA, CHE DAI MODELLI ANIMALI STA PASSANDO ALLA SPERIMENTAZIONE UMANA

L’USO DEI SIRNA: SARÀ QUESTO IL FUTURO NEL TRATTAMENTO DEL PAZIENTE NEUROBIONCOLOGICO?

sponsabili delle recidive dei tumori e della loro resistenza alla chemioterapia (10, 11). Molto importante è che SOX2 risulta fortemente espresso e anche amplificato proprio nelle neurosfere. È noto come negli oligodendrociti

hypermethylation in meningiomas. Submitted 2010 (7) Mellai M, Caldera V, Patrucco A, Annovazzi L, Schiffer D. Survivin expression in glioblastomas correlates with proliferation, but not with apoptosis. Anticancer Res 28: 109-118, 2008. (8) Caldera V, Mellai M, Annovazzi L, Valente G, Tessitore L, Schiffer D. STAT3 expression and its correlation with proliferation and apoptosis/autophagy in gliomas. J Oncol 2008, 2008, 219241 Epub April 2009.

SOX2 sia coinvolto nella loro regressione verso le cellule staminali neurali attraverso il PDGF. Esso è pertanto un fattore di pluripotenza e di attività oncogenetica e quindi un buon target terapeutico. Si sa che contemporaneamente SOX2 è un antigene di staminalità, insieme ad altri quali Musashi.1, CD133 e Nestina. “Il suo studio - prosegue il professor Davide Schiffer - ci introduce nell’anello di congiunzione fra staminalità, proliferazione cellulare e resistenza alla chemioterapia, caratteristica quest’ultima delle cellule staminali tumorali. Su questo argomento l’attività del Centro è stata particolarmente attiva in questi ultimi tempi (12, 13)”. La terapia post-chirurgica e post-radiante dei tumori cerebrali, visti i modesti risultati finora conseguiti, è alla continua ricerca di nuove strade. Due, importanti, oggi si possono identificare nei tentativi di vaccinoterapia e nell’uso dei siRNA, che dai modelli animali sta passando alla sperimentazione umana. I motivi degli scarsi successi vanno ricercati in una serie di condizioni: il difficile passaggio della barriera emato-encefalica, l’eterogeneità genotipica e fenotipica dei gliomi, la funzione vicariante di molte vie molecolari. “Fra questi motivi - conclude il professor Schiffer - è da includere anche la resistenza delle cellule tumorali alle terapie, che abbiamo visto essere una prerogativa proprio delle cellule staminali o di quelle che posseggono uno stem-like status. Quest’ultimo argomento è entrato a far parte degli interessi principali del Centro che ha programmato e iniziato un’impresa scientifica proprio sul problema della resistenza cellulare alla radio e chemioterapia, connaturata con la staminalità e malignità dei tumori”.

(9) Annovazzi L, Mellai M, Caldera V, Valente G, Tessitore L, Schiffer D. mTOR, S6 and AKT expression in relation to proliferation and apoptosis/autophagy in gliomas. Anticancer Res 29:3087-94, 2009. (10) Annovazzi L, Caldera V, Mellai M, Schiffer D. SOX2 in glioma differentiation and dedifferentiation. Its amplification in relation with malignancy and stemness. J Oncol 2010 submitted (11) Caldera V, Mellai M, AnnovazziL, Andreoli E, Lanotte M, Cassoni P, Schiffer

D. Antigenic and Genotypic Similarity between Primary Glioblastomas and Their Derived Neurospheres. PLOSone, submitted, 2010 (12) Schiffer D, Mellai M, Caldera V, Annovazzi L. Le cellule staminali tumorali e il fenotipo nei gliomi maligni. Accademia di Medicina di Torino, 2010. (13) Schiffer D, Annovazzi L, Caldera V, Mellai M. On the origin and growth of gliomas. Anticancer Res 30, 1977-1993, 2010.


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LO STAFF DELL’ORTOPEDIA DELLA CLINICA S. RITA DI VERCELLI

UN’EQUIPE ALL’AVANGUARDIA PER LA CURA DI GINOCCHIO E SPALLA

DA SINISTRA I DOTTORI MAURO LAGORIO E G IOVANNI VILLANI DELL’U NITÀ OPERATIVA DI ORTOPEDIA DELLA C LINICA SANTA R ITA DI VERCELLI

A

DESTRA, ALCUNE RADIOGRAFIE DI IMPIANTI PROTESICI ESEGUITI DALL’EQUIPE DEL SERVIZIO DI ORTOPEDIA DELLA C LINICA SANTA R ITA DI VERCELLI

N ELLE CLINICHE DEL G RUPPO P OLICLINICO DI MONZA ALL’ANNO VENGONO ESEGUITI 2.000 IMPIANTI DI PROTESI DI SPALLA E GINOCCHIO

ono trascorsi molti anni dall’impianto delle prime protesi di anca e successivamente di ginocchio, e molta strada è stata percorsa da allora , sia nelle tecniche chirurgiche, nello sviluppo dei materiali e nel design delle protesi con conseguente notevole miglioramento dei risultati, sia riguardo al recupero della funzione articolare e alla scompar-

S

sa del dolore che nella durata nel tempo dell’impianto. Il considerevole aumento del numero di impianti , la diffusione di questo tipo di interventi anche presso centri non specializzati in questa chirurgia la presenza di protesi impiantate ormai da molti anni ha fatto purtroppo incrementare in maniera esponenziale negli ultimi tempi la necessità di interventi di revisione protesica. Per contro l’aumento delle conoscenze, la standardizzazione delle tecniche chirurgiche e i progressi tecnici nella produzione degli impianti e degli strumentari chirurgici ha reso possibile la diffusione della chirurgia protesica di primo impianto anche presso centri non specializzati, pur avendo questa mancanza di esperienza un prezzo, come già accennato, nella direzione della qualità degli interventi. La vera partita per il chirurgo che opera in centri ad alta specializzazione, si gioca quindi oggi sul campo delle revisioni chirurgiche. Gli interventi di revisione sono quelli che più mettono alla prova le capacità del chirurgo protesico che si trova talvolta costretto ad affrontare situazioni di danno anatomo biolo-


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LA CHIRURGIA PROTESICA DEL GINOCCHIO E DELL’ANCA SVOLTA PRESSO LA CLINICA SANTA RITA DI VERCELLI PUÒ CONTARE SU PROFESSIONISTI CHE VANTANO UNA CASISTICA DI CIRCA 500 IMPIANTI L’ANNO. OLTRE ALLA CHIRURGIA PROTESICA VENGONO SVOLTI INTERVENTI DI RICOSTRUZIONE/SOSTITUZIONE ARTICOLARE CON TECNICHE MINI-INVASIVE gico al limite e per venire a capo delle quali deve far ricorso a tutto il suo bagaglio di conoscenze sulle possibili soluzioni a sua disposizione e sulla sua dimestichezza in questo tipo di chirurgia. L’aver dovuto affrontare casi di particolare complessità in presenza di importanti alterazioni delle strutture anatomiche e la diffusione di questa chirurgia a pazienti sempre più giovani ha indotto a sviluppare tecniche chirurgiche e modelli protesici a sempre maggior conservazione dei tessuti. Anche lo sviluppo e le applicazioni delle innovazioni deve essere deputato a centri con elevata casistica e specializzazione al fine di ridurre la curva di apprendimento. Presso la Clinica Santa Rita di Vercelli l’attività di chirurgia ortopedica è guidata dai dottori Mauro Lagorio e Giovanni Villani, che dal

2002 hanno messo a disposizione la loro esperienza sia nel campo della chirurgia protesica sia in quella artroscopica. Per ciò che riguarda la chirurgia protesica del ginocchio e dell’anca possono contare su un bagaglio tecnico e culturale che si avvale di una casistica di circa 500 impianti all’anno di cui circa 25-30 in media di revisioni tra protesi d’anca e di ginocchio con un aumento progressivo negli anni. Questo ha permesso loro di sviluppare un’esperienza sui casi complessi e sulle applicazioni delle novità tecnico scientifiche che ha reso la Clinica Santa Rita un centro di riferimento per il territorio. L’attività di ortopedia non è però rivolta solo alla chirurgia di sostituzione, ma è indirizzata, con altrettanto interesse, anche verso gli interventi di ricostruzione/riparazione articolare, con particolare attenzione per la chirurgia artroscopica, soprattutto di spalla e di ginocchio, che rappresenta la massima espressione della miniinvasività e del rispetto dei tessuti e delle strutture anatomiche. Anche in questo campo l’equipe può vantare un’esperienza di molti anni e di un considerevole numero di casi trattati che le ha permesso di rappresentare un punto di riferimento per il trattamento sia della patologia traumatica dello sportivo (lesioni legamentose/meniscali e condrali del ginocchio o instabilità della spalla) sia di quella degenerativa (lesioni della cuffia dei rotatori).


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A DISPOSIZIONE DEI PAZIENTI ORTOPEDICI NEO OPERATI

BIELLA: L’UNITÀ DI RIABILITAZIONE FESTEGGIA IL PRIMO COMPLEANNO a un anno alla Clinica La Vialarda di Biella è stata attivata l’Unità Operativa di Riabilitazione con 20 posti letto dedicati a pazienti che hanno subito un recente intervento di chirurgia ortopedica maggiore, quale protesi di anca o di ginocchio, e si avvale di una equipe di Medici Fisiatri e di Fisioterapisti. La necessità di affiancare all’Unità Operativa di Chirurgia Ortopedica, esistente da alcuni anni, quella di Riabilitazione nasce dal fatto che l’intervento chirurgico rappresenta solo il punto di partenza del percorso terapeutico del paziente, che per poter riprendere nel modo corretto le normali attività della vita quotidiana e anche, in taluni casi, un’eventuale attività sportiva, necessita di un trattamento riabilitativo con programmi personalizzati e adattati al tipo di intervento effettuato.Tra le due equipe, quella chirurgica e quella riabilitativa, risulta indispensabile una perfetta sintonia, uno scambio continuo di informazioni e attività di aggiornamento comuni per perseguire un obiettivo condiviso: ridare ad un malato la possibilità di raggiungere la miglior qualità di vita possibile sul piano fisico, psicologico e sociale. Per chiarire al meglio il ruolo della Riabilitazione è necessario partire dalla definizione e dagli obiettivi di questa specialità medica, di recente sviluppo in Italia, ma ormai diventata parte indispensabile di ogni intervento sanitario, medico o chirurgico. “La Riabilitazione

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LA DOTT.SSA SARA MARIA RONDINI, R ESPONSABILE DELL’U NITÀ OPERATIVA DI R IABILITAZIONE DELLA C LINICA LA VIALARDA DI B IELLA

LA NECESSITÀ DI AFFIANCARE ALL’UNITÀ OPERATIVA DI CHIRURGIA ORTOPEDICA QUELLA DI RIABILITAZIONE NASCE DAL FATTO CHE L’INTERVENTO CHIRURGICO RAPPRESENTA SOLO IL PUNTO DI PARTENZA DEL PERCORSO TERAPEUTICO DEL PAZIENTE, CHE PER POTER RIPRENDERE NEL MODO CORRETTO LE NORMALI ATTIVITÀ DELLA VITA QUOTIDIANA NECESSITA DI UN TRATTAMENTO RIABILITATIVO CON PROGRAMMI PERSONALIZZATI

è un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona disabile a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico funzionale sociale ed emozionale”. È per raggiungere questi obiettivi e garantire al paziente operato presso la Casa di Cura Vialarda di Biella un percorso completo di cura che è stata, quindi, attivata anche l’Unità Operativa di Riabilitazione, che permette al paziente subito dopo l’intervento chirurgico ortopedico, di essere trasferito in questo reparto nella stessa sede, senza alcuna soluzione di continuità e, soprattutto, all’interno di un percorso clinico programmato e costantemente sottoposto a controlli di qualità. La presenza nella stessa clinica sia del team Ortopedico sia di quello Fisiatrico è garanzia di continuità di assistenza e di elevato livello qualitativo. L’attenzione alla continuità è particolarmente sottolineata sia dalle più recenti Linee Guida Internazionali, come garanzia di risultati funzionali migliori, sia dalla stessa Normativa della Regione Piemonte che, a tal fine, ha reso obbligatoria per ogni paziente operato la stesura di un Progetto riabilitativo personalizzato. Come detto, è indubbio che l’intervento chirurgico rappresenti il “punto di partenza”, la cui corretta esecuzione è presupposto indispensabile per un buon risultato, ma una volta che il chirurgo ha eseguito il suo lavoro, sostituendo con una protesi l’articolazione alterata, è altrettanto vero che è lo specialista Fisiatra che si occupa del paziente, attraverso un adeguato protocollo riabilitativo che comprende anche il monitoraggio clinico generale (condizioni cardio-circolatorie-respiratorie) e locale della buona evoluzione della ferita chirurgica.

UN APPROCCIO PRECOCE E BASATO SUL RECUPERO DELLA FUNZIONE Quando è possibile, è bene che il medico fisiatra visiti il paziente prima dell’intervento di protesi, in quanto una buona preparazione


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PRESSO LA CASA DI CURA VIALARDA DI BIELLA IL PAZIENTE, SUBITO DOPO L’INTERVENTO CHIRURGICO, PUÒ ESSERE TRASFERITO NEL REPARTO DI RIABILITAZIONE DELLA STESSA SEDE, DOVE HA A DISPOSIZIONE UN PERCORSO CLINICO PROGRAMMATO E COSTANTEMENTE SOTTOPOSTO A CONTROLLI DI QUALITÀ. LA PRESENZA NELLA STESSA CLINICA SIA DEL TEAM ORTOPEDICO SIA DI QUELLO FISIATRICO È GARANZIA DI QUALITÀ

LA PALESTRA DI FISIOKINESITERAPIA DELLA CLINICA LA VIALARDA DI BIELLA

dal punto di vista muscolare e articolare e una buona informazione sui metodi e sui tempi di recupero dell’autonomia costituiscono una sicura base di partenza per ottenere i migliori risultati e garantirsi la piena collaborazione del paziente e della sua famiglia. In ogni caso, il paziente viene valutato il giorno successivo all’intervento di protesi e gli vengono spiegati gli esercizi che dovrà effettuare nelle prime giornate post-operatorie. La terapia riabilitativa inizia subito, per evitare le complicanze legate all’immobilità, ad esempio le trombosi venose profonde, l’embolia polmonare e le infezioni polmonari. Si deve inoltre istruire immediatamente il paziente su come evitare i rischi meccanici all’impianto protesico. Ad esempio, in prima giornata il paziente si siede sul letto, in secon-

da si sposta dal letto alla sedia con l’aiuto del deambulatore, in terza giornata cammina in camera. Il paziente inizia così a eseguire blandi esercizi di mobilizzazione, di contrazione isometrica dei muscoli degli arti inferiori ed esercizi per gli arti superiori. Di norma dopo 3-5 giorni il paziente viene trasferito nel reparto di riabilitazione dove, in funzione del miglioramento delle condizioni generali e della ferita, il trattamento sarà più intensivo e finalizzato alla verticalizzazione, al cammino autonomo e a riprendere le attività della vita quotidiana. I tempi totali di ricovero, di norma non sono superiori ai venti giorni totali. Oltre alle singole professionalità degli operatori che vi concorrono, i punti di forza di questo percorso sono: - il sinergismo tra la componente chirurgica, quella medico-internistica e quella riabilitativa. Presso la Casa di Cura Vialarda, infatti, il paziente operato di protesi è al centro di una organizzazione finalizzata non solo all’atto chirurgico in sé, ma al contenimento di ogni possibile effetto collaterale per la sua salute e per permettergli di sfruttare al massimo i vantaggi offerti dall’intervento chirurgico in termini funzionali. Il tutto nell’ambito della stessa struttura. - Il lavoro in team della riabilitazione. È un dato ormai accettato, e supportato da solide basi anche nella letteratura internazionale, che il lavoro riabilitativo in team multiprofessionale (con il Medico Fisiatra responsabile del progetto e Fisioterapisti e personale di assistenza come indispensabili “attori”) riproduce la modalità operativa non solo più efficace ai fini del risultato, ma anche quella più rappresentativa delle capacità dei singoli professionisti. La chirurgia ortopedica è in grado di curare efficacemente la patologia degenerativa delle articolazioni, essenzialmente l’artrosi, con la sostituzione protesica. L’evoluzione dei materiali e il miglioramento delle tecniche chirurgiche e anestesiologiche consentono di ottenere un risultato duraturo nel tempo, di togliere il dolore e di restituire una buona mobilità e funzionalità articolare e, in casi particolari, di fornire la possibilità di praticare addirittura alcune attività sportive. Questi risultati hanno permesso una notevole diffusione di questi interventi e negli ultimi dieci anni in Italia vi è stato un aumento del loro numero di oltre il 150%.


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L’IMPORTANZA DI UNA STRUTTURA DI QUALITÀ ECCELLENTE

LE INFEZIONI OSPEDALIERE: UN AVVERSARIO DA CONTRASTARE ertamente l’ospedale si configura come l’ecosistema maggiormente interessato dal rischio infettivo, in rapporto a molteplici fattori: elevati livelli di prescrizione antibiotica con conseguente selezione di stipiti microbici multiresistenti, aumento della popolazione di immunodepressi, ricorso sempre più frequente a biomateriali, elevata aggressività diagnostica e terapeutica. Le infezioni ospedaliere (IO) o, con definizione più recente, correlate all’assistenza (ICA) costituiscono quindi una realtà che ciascun operatore affronta nella sua pratica quotidiana all’interno dell’istituzione ospedaliera ed hanno rappresentato un grave problema sin da quando i malati hanno cominciato ad essere gestiti in ospedale. La comparsa degli antibiotici a partire dagli anni ‘40 ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda la terapia delle infezioni ed ha fatto nascere la speranza della loro eliminazione. Verso la metà degli anni ‘50 nelle strutture ospedaliere dei Paesi più sviluppati è comparsa una pandemia causata da stafilococchi produttori di penicillinasi assai più virulenti di quelli precedenti. Quale risposta a questo evento sono nati i primi programmi di controllo delle infezioni in ambito ospedaliero. Nel 1959 a Exeter, in Inghilterra, fu istituita per la prima volta la figura dell’infermiera addetta al controllo delle infezioni ospedaliere

C

I L DOTT. DARIO ANDREA VERANI DIRETTORE SANITARIO DELLA C LINICA E POREDIESE DI IVREA

LE INFEZIONI OSPEDALIERE COSTITUISCONO UNA REALTÀ CHE OGNI MEDICO AFFRONTA NELLA SUA PRATICA QUOTIDIANA ALL’INTERNO DELL’ISTITUZIONE OSPEDALIERA ED HANNO RAPPRESENTATO UN GRAVE PROBLEMA SIN DA QUANDO I MALATI HANNO COMINCIATO AD ESSERE GESTITI IN OSPEDALE. OGGI LE INFEZIONI OSPEDALIERE SONO INDICATORI DELLA QUALITÀ DEL SERVIZIO OFFERTO AI PAZIENTI RICOVERATI

“Infection Control Nurse”, con il preciso compito di accrescere gli sforzi per combattere e controllare il problema emergente delle ICA, della quale si identificano le funzioni secondo uno schema tuttora valido. Negli anni ‘60 e ‘70 nei Paesi anglosassoni si svilupparono i primi programmi per il controllo delle infezioni. I dati raccolti in quel periodo evidenziavano che un terzo di tutte le ICA poteva essere prevenuto in un contesto dove erano presenti: • un sistema organizzato di sorveglianza di tutto l’ospedale; • almeno una infermiera a tempo pieno addetta al controllo delle infezioni ogni 250 letti; • un servizio di registrazione delle infezioni da riportare ai chirurghi e a tutti coloro che sono coinvolti con gli eventi infettivi; • un medico specificatamente dedicato al controllo delle infezioni. A partire dal 1970 negli Stati Uniti, i Centers for Diseases Control and Prevention (CDC) avviavano un sistema di sorveglianza delle infezioni ospedaliere (National Nosocomial Infection Surveillance, NIIS) che coinvolgeva molti ospedali e consentirà di raccogliere una grande quantità di informazioni sul fenomeno delle ICA. Negli anni ‘80 i sistemi sanitari dei Paesi più industrializzati hanno sempre più recepito l’importanza culturale e pratica di migliorare l’efficacia degli sforzi per la sorveglianza ed il controllo delle infezioni negli ospedali. In questi anni virtualmente ogni ospedale statunitense prevedeva già nel proprio organico, con impegno almeno part-time, le figure dell’Hospital Epidemiologist e dell’Infection Control Practitioner (infermiere). Oggi le ICA costituiscono una grande sfida di salute pubblica, perché rappresentano un insieme piuttosto eterogeneo di condizioni diverse sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed epidemiologico che hanno un elevato impatto sui costi sanitari e sono indicatori della qualità del servizio offerto ai pazienti ricoverati. Una ICA è definita come una infezione che


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LE INFEZIONI OSPEDALIERE RAPPRESENTANO UNA DELLE PRINCIPALI CAUSE DI MORTE E SONO RESPONSABILI DI UN CONSIDEREVOLE AUMENTO DEI COSTI PER IL SERVIZIO SANITARIO, PERCHÉ DETERMINANO UN INCREMENTO DELLA DURATA DELLA DEGENZA IN OSPEDALE. OGNI ANNO IN EUROPA SONO PIÙ DI 4 MILIONI I PAZIENTI VITTIME DI INFEZIONI OSPEDALIERE, CHE CAUSANO COMPLESSIVAMENTE 147.000 DECESSI

LA FACCIATA DELLA CLINICA EPOREDIESE DI IVREA

insorge durante il ricovero in ospedale o, in altri casi, dopo che il paziente è stato dimesso, e che non era manifesta clinicamente, né in incubazione al momento dell’ammissione. La classificazione delle ICA più usata è quella pubblicata dai Center for Diseases Control and Prevention (CDC) di Atlanta. Trattasi di una classificazione topografica formulata in base a criteri clinici e di laboratorio che comprende circa 49 sedi specifiche d’infezione. Nella maggior parte dei casi la diagnosi è formulata in base alla sintomatologia clinica evocata, mentre i reperti colturali di laboratorio rappresentano un’ulteriore conferma all’identificazione del processo flogistico e consentono l’isolamento dell’agente causale. L’incidenza delle ICA varia da sede a sede ed è influenzata dalla diagnosi principale del paziente, dalle patologie associate e dall’esposizione a procedure chirurgiche e/o diagnostico-terapeutiche. Dal punto di vista epidemiologico, le ICA che solitamente prevalgono sono quelle a carico del tratto urinario (in media il 27% nelle indagini nazionali di pre-

valenza), seguite dalle infezioni delle vie respiratorie (24%), dalle infezioni del sito chirurgico (17%), dalle batteriemie (10%) e da altre infezioni (incluse le infezioni intestinali, sempre più frequentemente sostenute da Clostridium difficile ribotipo 027, infezioni della cute e del sottocutaneo, infezioni del sistema nervoso centrale). Esse rappresentano una delle principali cause di morte e sono responsabili di un considerevole aumento dei costi per il servizio sanitario, poiché determinano un incremento della durata della degenza in ospedale. Secondo il rapporto annuale 2008 dell’European Center for Diseases Control and Prevention (ECDC), in ciascun giorno la prevalenza in ospedale di pazienti che hanno contratto una infezione è pari a 7,1%, con un range che va da 3,5% a 10,5% nei diversi studi. L’ECDC stima che ogni anno più di 4 milioni di pazienti nella Comunità Europea a 27 Paesi acquisiscano una infezione in ospedale, per un totale di 4,5 milioni di infezioni e che ogni anno, come conseguenza di queste infezioni, si verifichino approssimativamente 37.000 decessi causati direttamente dall’infezione e 110.000 decessi per i quali l’esistenza dell’infezione ha giocato un ruolo favorente. Sempre secondo l’ECDC le infezioni determinano approssimativamente 16 milioni di giornate di degenza ospedaliera aggiuntive all’anno (una media di 4 giorni per infezione) e costi significativi per i servizi sanitari dei Paesi membri. Assumendo un costo medio di 435 euro al giorno, il costo totale annuale delle infezioni acquisite in ospedale per l’Europa può essere stimato in 7 miliardi di euro all’anno, senza considerare i costi indiretti dovuti alla perdita di guadagno per le assenze dal lavoro, l’eventuale decesso, né i costi intangibili per le sofferenze fisiche ed emotive associate. I mezzi diagnostici a disposizione oggi consentono di ottenere diagnosi mediamente nel 90% dei casi. Tale percentuale è ulteriormente incrementata dal monitoraggio e dalla sorveglianza microbiologica. L’aspetto più scottante di questo problema è però che, nonostante gli indiscussi progressi della medicina, l’incidenza e la mortalità delle infezioni ospedaliere (4° causa di morte nel mondo occidentale) non tende a ridursi, sebbene si calcoli che ben il 30% di esse sarebbero prevenibili (135.000-210.000 infezioni prevenibili in Italia). Tra i fattori che influenzano lo sviluppo di infezioni cor-


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LOUIS PASTEUR: IL SUO FU UN CONTRIBUTO IMPORTANTE ALLA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI IN AMBITO OSPEDALIERO

relate all’assistenza bisogna annoverare: il patogeno e le sue caratteristiche di virulenza; le condizioni cliniche del paziente ricoverato e il suo grado di immunocompetenza; i fattori ambientali che possono favorire la trasmissione dell’infezione tra un paziente e un altro. Ma tra tutte le cause che hanno portato al persistere e all’aggravarsi delle infezioni nosocomiali, senza dubbio la selezione dei ceppi batterici antibiotico-resistenti è tra quelle più rilevanti. Infatti, l’uso prolungato e non sempre mirato degli antibiotici ha portato alla formazione di mutanti spesso dotati di multiresistenza nei confronti dei farmaci antibatterici: un esempio è rappresentato dallo Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA), spesso responsabile di ICA, che nel tempo ha sviluppato una resistenza verso diversi antibiotici in uso. Così, mentre le percentuali di resistenza crescono, cresce anche il

IN TUTTE LE STRUTTURE CLINICHE DEL GRUPPO POLICLINCO DI MONZA LA PREVENZIONE VIENE MESSA AL PRIMO POSTO, TRAMITE UN’ATTENTA SORVEGLIANZA DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE, CON PARTICOLARE ATTENZIONE ALL’ASPETTO MICROBIOLOGICO. VIENE UTILIZZATO INFATTI UN SOFTWARE DI EPIDEMIOLOGIA SPECIFICO, CHE CONSENTE DI SORVEGLIARE GLI ISOLAMENTI BATTERICI

rischio di una terapia inefficace, che porta ad una maggiore probabilità di esiti negativi nei pazienti. L’Italia rappresenta uno dei Paesi europei a più alta incidenza di MRSA (34%), come evidenziato da un recente monitoraggio del Sistema europeo di sorveglianza sulle resistenze batteriche (Earss), insieme a Portogallo e Malta che, con oltre il 50%, affermano un trend di incidenza particolarmente elevato nelle regioni mediterranee a fronte di una media europea del 25%. Altri patogeni frequentemente causa delle ICA sono Staphilococcus aureus sensibile alla meticillina (MSSA), Pseudomonas aeruginosa, Enterobacteriaceae (E.Coli, Enterobacter sp, Klebsiella sp), Enterococci, miceti (Candida sp, Aspergillus sp), Stafilococchi coagulasi-negativi, Acinetobacter sp e Clostridium difficile. Se la prevenzione del rischio infettivo vede nel corretto comportamento il punto chiave, il contenimento del fenomeno della resistenza batterica passa indiscutibilmente attraverso un uso più corretto dell’antibiotico. Con specifico riferimento a tale problema, va precisato come sia necessario che ogni ospedale costruisca la propria rete di sorveglianza delle resistenze, in quanto l’epidemiologia del fenomeno è fortemente variabile da centro a centro, e solo la conoscenza dell’ecosistema locale permette prescrizioni in grado di centrare il duplice obiettivo di garantire al paziente la migliore terapia possibile e rispettare al contempo il proprio ecosistema ospedaliero. Spesso infatti l’eccessiva prescrizione o l’errore nella scelta dell’ antibiotico sono conseguenza della mancata conoscenza della tipologia di microrganismi e dell’entità delle resistenze del proprio ambito lavorativo. In effetti l’antibiotico “ideale”, caratterizzato da ampio spettro antibatterico, attività battericida, biodisponibilità EV e per OS sovrapponibili, minime interazioni con altri composti, effetti collaterali contenuti, stabilità alle resistenze e bassi costi, non esiste e verosimilmente non esisterà mai. L’applicazione generale in ogni struttura ospedaliera pubblica o privata, di misure di sorveglianza e controllo delle ICA è fondamentale per attuare una prevenzione. La prevenzione da sempre fa parte della cultura e della pratica medica e ne è stata componente dominante fino al tempo, assai recente, in cui la componente diagnostico-terapeutica ha preso il sopravvento, in seguito alla evoluzione delle conoscenze mediche nel campo dell’eziologia e


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LA PARTICOLARE SENSIBILITÀ NEI CONFRONTI DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE DA PARTE DEL GRUPPO POLICLINICO DI MONZA SI È CONCRETIZZATA NELLA STESURA DI DUE VOLUMI FRUTTO DELLA COLLABORAZIONE DEI PIÙ PRESTIGIOSI SPECIALISTI NEL SETTORE. L’INTENTO È QUELLO DI METTERE A DISPOSIZIONE DI TUTTE LE STRUTTURE DEL GRUPPO UN DOCUMENTO SCIENTIFICO CUI FARE RIFERIMENTO

IL PROF. ELIO GUIDO RONDANELLI, DIRETTORE SCIENTIFICO DEL GRUPPO POLICLINICO DI MONZA, INFETTIVOLOGO DI FAMA MONDIALE COORDINA L’EQUIPE DI ESPERTI DI INFETTIVOLOGIA

del trattamento delle malattie e per il relativo sviluppo di strumenti efficaci. Ciò è particolarmente vero per le malattie infettive, per le quali la possibilità di un trattamento eziologico si è realizzato solo con la scoperta degli antibiotici nel corso del novecento. Prima, gli unici interventi disponibili efficaci nei confronti delle malattie infettive sono consistite in misure di prevenzione: le procedure di isolamento, la disinfezione, le vaccinazioni. Se la prevenzione delle infezioni è quindi, da sempre, parte integrante dell’esercizio dell’arte medica, essa diventa scienza nel corso dell’Ottocento in seguito all’applicazione del metodo sperimentale e dell’approccio epidemiologico allo studio delle infezioni: Semmelweis, Pasteur, Nightingale vi hanno apportato contributi essenziali attraverso la dimostrazione della contagiosità della febbre puerperale e della suppurazione delle ferite chirurgiche, la dimostrazione del ruolo ezio-

logico dei microrganismi, la dimostrazione dell’efficacia dell’asepsi. In tutte le strutture cliniche piemontesi del Gruppo Policlinico di Monza, con il coordinamento sanitario del Dott. Clemente Ponzetti, attraverso i CIO (Comitati per il controllo delle infezioni ospedaliere), la prevenzione viene messa al primo posto, tramite una attenta sorveglianza delle ICA, con particolare attenzione all’aspetto microbiologico. È utilizzato un software di epidemiologia specifico, che consente di sorvegliare gli isolamenti batterici. L’identificazione di eventuali cluster epidemici, grazie ai dati batteriologici forniti dai vari laboratori, consente all’infettivologo di predisporre una sorveglianza epidemiologica per la gestione dell’evento. È stato predisposto un attento monitoraggio dei microrganismi multiresistenti e degli alert organism (ceppi batterici epidemiologicamente significativi per diffusibilità e multiresistenza) per i quali vengono eseguiti appropriati approfondimenti microbiologici e vengono attuate procedure di isolamento del paziente. Il monitoraggio microbiologico consente anche di poter attuare una precisa sorveglianza dell’antibiotico-resistenza che permette di indirizzare meglio le scelte degli antibiotici specie nelle terapie empiriche. Questa particolare sensibilità nei confronti delle ICA da parte del Gruppo Policlinico di Monza si è concretizzata nella stesura dei due volumi dal titolo : “lnfezioni correlate all’assistenza in ospedale e sul territorio” frutto della collaborazione dei più prestigiosi specialisti nel settore, coordinati dal Prof. Elio Guido Rondanelli, già Direttore dell’Istituto di Clinica delle Malattie Infettive dell’Università di Pavia - Policlinico S.Matteo - ed attuale Direttore Scientifico del Gruppo Policlinico di Monza. L’intento è stato quello di diffondere conoscenze puntuali sulle caratteristiche epidemiologiche e cliniche delle ICA e sulle misure efficaci a prevenirle e mettere a disposizione dei CIO delle strutture del Gruppo un documento scientifico cui fare riferimento per costruire una competenza continuamente viva e aggiornata su questo importante problema. Sebbene sia utopistico mirare all’azzeramento del rischio infettivo nosocomiale, l’auspicio per l’infettivologo è quello che il futuro riservi nuove conoscenze e progettualità mirate ad attuare una prevenzione in questo campo sempre più attenta ed efficace.


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LO/0200/2008

Direttore Scientifico: Prof. Elio Guido Rondanelli

Monza Via Amati 111 - Monza Tel. 039 28101 www.policlinicodimonza.it Dir. Sanitario: Prof. Giulio Cesare Papandrea

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Novara Via Bottini 3 - Novara Tel. 0321 3831 www.clinicasangaudenzio.com Dir. Sanitario: Dott. Alfredo Lamastra

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Alessandria Via Bruno Buozzi 20 Alessandria - Tel. 0131 314500 www.nccalessandria.it Dir. Sanitario: Dott. Roberto Prigione

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Vercelli Via dell’Aeronautica 14/16 - Vercelli Tel. 0161 2221 www.clinicasrita.it Dir. Sanitario: Dott. Manlio Accornero

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Ivrea Via Castiglia 27 - Ivrea Tel. 0125 645611 www.clinicaeporediese.it Dir. Sanitario: Dott. Dario Andrea Verani

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Biella Via Ramella Germanin 26 - Biella Tel. 015 35931 www.lavialarda.it Dir. Sanitario: Dott. Roberto Terzi

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Policlinico di Monza - Via Amati, 111 - 20052 Monza www.policlinicodimonza.it Ufficio Stampa e coordinamento redazionale: Tel. 039/2810618 www.policlinicodimonza.it

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Anno VII numero 20 - Ottobre 2010 Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1724 del 5 marzo 2004 Direttore responsabile: Marco Pirola Stampa: Novarello Servizi, Vercelli Progetto grafico: Marco Micci Immagini: Policlinico di Monza


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