Il Polietico 9

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Febbraio 2007, Anno 4 - N.9 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

Un anno ricco di impegni

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ono passati dodici anni da quando il Gruppo Policlinico di Monza muoveva i primi passi nel mondo della sanità. I principi fondamentali a cui fin dall’inizio si è ispirato mettevano al centro di tutto il paziente: comprendere e soddisfare i suoi bisogni di salute, portare le alte specialità vicino al cittadino, garantire una qualità totale sotto ogni aspetto, dal personale alle tecnologie, dall’organizzazione all’assistenza. Oggi questi valori rimangono più forti che mai, e la determinazione ad offrire al paziente un servizio sempre migliore si conferma attraverso le importanti novità di quest’anno. L’istituzione del Pronto Soccorso e i programmi di ricerca in ambito cardiovascolare a Monza, l’inaugurazione delle sale operatorie e della terapia intensiva ad Asti sono solo alcuni dei nuovi impegni che il Gruppo si assume, a fianco di tante altre attività che continuano a progredire giorno dopo giorno in ognuna delle cliniche, in ogni settore: dalla radioterapia all’urologia, nelle prossime pagine potrete scoprirne alcune. Buona lettura a tutti. Il P residente Gian Paolo Vergani

In questo numero: Pronto soccorso Attività di Ricerca Radioterapia Vertebroplastica

pag.2 Clinica San Giuseppe pag.4 Urologia pag.8 Corsi ECM pag.10

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Monza, ecco il Pronto Soccorso

aolo Grosso è il responsabile del Pronto Soccorso di cui si è appena dotato il Policlinico di Monza. 54 anni appena compiuti, milanese, il dottor Grosso si è laureato in medicina all’Università di Milano, specializzandosi nel 1982 in Anestesia e Rianimazione. Ha quindi lavorato per 4 anni al Policlinico di Milano in qualità di Assistente Ospedaliero, poi presso la USL di Piacenza dove, nel 1998, è divenuto Primario di Anestesia e Rianimazione. Sempre nell’ambito della stessa USL – e conservando il primariato - è stato responsabile del Pronto soccorso di Castel San Giovanni. Al Policlinico di Monza dal 2001, attualmente è professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione dell’Università di Pisa. Dottor Grosso, perché il Policlinico ha deciso di dotarsi di un Pronto Soccorso? “Alla base c’è un’esigenza che nasce da una semplice constatazione: la pressoché totale saturazione delle risorse presenti su di un territorio ad altissima densità di popolazione, nel quale vivono 800.000 persone, che si estende da Monza fino al milanese, da una parte, e il lecchese dall’altra. Per comprendere le dimensioni del problema basti pensare che solo in quest’area si registrano oltre 100.000 interventi l’anno, quasi trecento al giorno, mesi estivi compresi. È stato proprio l’emergere di un bisogno di tale rilevanza sociale a spingere la Regione a deliberare l’istituzione di una nuova struttura e il Policlinico farsi carico di realizzarla”. Quali problemi comporta, dal punto di vista operativo e organizzativo, l’apertura di un Pronto Soccorso?

Il Dott. Paolo Grosso Responsabile del Servizio di Pronto Soccorso del Policlinico di Monza

“Non ci sono particolari problemi di ‘convivenza’ o di adattamento che possano in qualche misura interferire con le normali attività della clinica. Anzi, la disponibilità, al nostro interno, di un vasto arco di specialità potrà renderlo un polo assolutamente qualificato. La chiave di volta, quella intorno alla quale si gioca la partita della funzionalità, è la messa in rete con il 118 e gli altri pronto soccorso, cosa che ci consente di partecipare efficacemente a una corretta distribuzione delle emergenze”. Visto che lei ha introdotto questo argomento, ci può spiegare come funzionerà concretamente il collegamento con il 118? “Non disponendo di esperienze pregresse, abbiamo chiesto al 118 della Brianza di consentirci di effettuare un ‘rodaggio’ intelligente. Cosa significa? Darci la possibilità di verificare e adattare, attraverso un reassessment a breve, la migliore modulazione dei servizi. Il coordinamento attuato dal 118 nasce sul territorio per poi diffondersi attraverso la comunicazione continua e in tempo reale. Questo discorso non riguarda ovviamente gli accessi diretti, ovvero coloro che si recano al pronto soccorso senza chiamare prima il 118 o la guardia medica, e che rappresentano circa il 30%-40% del totale”. Ciò significa che è prevista una gradualità nell’erogazione delle prestazioni? “In un certo senso sì. Dobbiamo cominciare evitando, per quanto possibile, di imbatterci in strettoie organizzative o aree di criticità rispetto all’assistenza che intendiamo dare. Come fare? Funziona così: sulla base degli accordi presi col centro di coordinamento ci verrà chiesto, in anticipo, se siamo in grado di accogliere o meno determinate emergenze, a partire dal triage (ossia la procedura che serve a determinare le priorità di intervento) per finire all’altra estremità della filiera dell’assistenza”. Com’è strutturato e come funzionerà l’ambulatorio di Pronto Soccorso? “L’ambulatorio comprende una o due aree di emergenza per il trattamento dei codici rossi, sia medici sia chirurgici. Il numero esatto lo decideremo in seguito, sulla base delle esigenze. Ci sono poi due ambulatori destinati ai codici bianco, verde e giallo e tre letti definiti di ‘breve osservazione’, dove il medico di guardia potrà trattenere i pazienti che


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riterrà opportuno fino a 12 ore, fino al momento cioè in cui potrà decidere consapevolmente di dimetterli o, viceversa, di ricoverarli. A supporto di questa sua decisione avrà a sua disposizione gli specialisti e gli strumenti diagnostici più avanzati di cui dispone il Policlinico”. Come evitare che accadano episodi come quelli recenti di pazienti dimessi dal Pronto Soccorso e successivamente aggravatisi? “Per scongiurare queste eventualità occorre molta professionalità da parte dei medici ma anche la vicinanza ‘fisica’ di specialisti nelle più diverse discipline e di strumenti diagnostici molto avanzati. Molto spesso i problemi nascono dalla difficoltà di valutare il rapporto rischi/benefici del trasferimento di un paziente debilitato in altra struttura per sottoporlo ad indagini diagnostiche che richiedono apparecchiature di cui non si dispone. Il dilemma in questi casi è: meglio trasferirlo per avere un quadro più preciso della sua situazione, con tutte le conseguenze negative che ciò potrà avere sulle sue condizioni, oppure evitargli questo trauma ma a costo di una diagnosi meno precisa?”. Sono previste particolari procedure per la gestione dei malati infettivi? “Tutti i pronto soccorso hanno la possibilità di trattare malattie infettive attraverso norme codificate a tutela del personale e degli altri pazienti. Quando si verificheranno queste evenienze, il nostro compito sarà quello di salvaguardare le funzioni vitali e, subito dopo, di trasferire i pazienti potenzialmente contagiosi ad altre strutture attrezzate per il trattamento degli infettivi. A tali casi ovviamente viene data priorità nel triage e qui sta alla professionalità del personale infermieristico addetto all’accettazione, cui è affidata la corretta scelta dei codicicolore”. Quale impegno e quale novità rappresenterà il pronto soccorso per il Policlinico di Monza? Quali le opportunità? “Ci sarà un team ‘misto’ di personale medico, in parte nuovo, in parte preesistente. Per assolvere le esigenze di pronto soccorso avremo una turnazione di medici e di infermieri che garantisca la corretta funzionalità del servizio sia di giorno che durante la notte. Oltre al medico di guardia, è prevista poi, 24 ore su 24 ore, la presenza di un anestesista rianimatore, di un cardiochirurgo, di un cardiologo e di un internista. Sarà assicurata, inoltre, la pronta disponibilità di tutti gli altri specialisti che operano al Policlinico, nel ‘più breve tempo possibile’. Come si può capire, la decisione di istituire un Pronto Soccorso è senz’altro una scelta impegnativa, sia sul versante medico sia su quello amministrativo. Per contro è una decisione capace di qualificare molto positivamente una struttura sanitaria perché la costringe a confrontarsi con patologie nuove (le urgenze) ma, soprattutto, perché la fa percepire in modo diverso al cittadino. Con la realizzazione del Pronto Soccorso, infatti, tutti potranno cogliere, nella sua concretezza, l’azione di una politica sanitaria realmente attenta ai bisogni delle persone. Sarà una nuova porta aperta sulla città e, ne sono certo, un modo per abbattere quell’ultimo diaframma che ancora sopravvive nell’immaginario collettivo tra Policlinico e territorio, tra figura privata e pubblica, tra funzione aziendale e dimensione istituzionale”.


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S Monza, la ricerca è qui

empre più attiva, grazie alle convenzioni con importanti istituti universitari quali Milano Bicocca e Pavia, la ricerca sta rivestendo un’importanza crescente presso il Policlinico di Monza. Viene presentata qui di seguito l’attività del Centro Ipertensione, diretto dal professor Cesare Cuspidi, mentre il professor Emilio Vanoli illustra gli aspetti della ricerca

Il Centro Ipertensione

Il Prof. Cesare Cuspidi Direttore del Centro di Ricerca sull’Ipertensione del Policlinico di Monza

La lotta all’ipertensione arteriosa costituisce uno dei cardini della medicina preventiva: il moderno trattamento antiipertensivo nelle due ultime decadi ha infatti profondamente modificato il quadro clinico dell’ipertensione e delle sue più dirette complicanze, determinando nei paesi a più elevato sviluppo economico una drastica riduzione degli eventi cerebrovascolari, dell’insufficienza renale avanzata e dello scompenso cardiaco relato a disfunzione sistolica. Altri rilevanti risultati ottenuti mediante il trattamento antiipertensivo sistematico sono stati la virtuale scomparsa della cosiddetta ipertensione maligna, la riduzione degli eventi coronarici e delle complicanze vascolari in altri distretti rappresentate dalla retinopatia grave, dall’arteriopatia periferica e dall’aneurisma aortico a livello toracico e addominale. Nonostante questi indubbi successi, all’inizio del terzo millennio l’ipertensione costituisce ancora uno tra i più importanti e diffusi fattori di rischio cardiovascolare, e molti ostacoli rimangono da superare per l’individuazione capillare dell’ipertensione nelle sue fasi iniziali e per ottenere un efficace e stabile controllo dei valori pressori nella popolazione generale degli ipertesi. Studi epidemiologici recenti condotti in Europa e negli Stati Uniti dimostrano che il 60-70% degli ipertesi sottoposti a trattamento antiipertensivo non raggiunge l’obiettivo terapeutico della normalizzazione pressoria (< 140/90 mmHg) e una percentuale ancora maggiore di essi non consegue il livello ottimale raccomandato dalle linee guida (< 130/80 mmHg) in grado di minimizzare il rischio di morbilità e mortalità. Appare chiaro da queste premesse che sono necessari ulteriori sforzi per migliorare la prognosi cardiovascolare dei soggetti ipertesi, che rappresentano oltre un terzo della popolazione adulta e la grande maggioranza degli anziani. Il miglioramento degli standard di prevenzione non può che fondarsi sulla stretta collaborazione dei medici di medicina generale (principali attori della gestione degli ipertesi) e degli specialisti di varie discipline, tra cui spicca la figura dell’ipertensiologo. In questa prospettiva, dal 1° novembre scorso il Policlinico di Monza, grazie ad una convenzione con l’Università di Milano-Bicocca, offre all’utenza un nuovo servizio specialistico per la diagnosi e cura dell’ipertensione arteriosa. Il Centro Ipertensione e Prevenzione Cardiovascolare, diretto dal professor Cesare Cuspidi, integra e potenzia sotto questo profilo attività già esistenti nel contesto della struttura, allo scopo di venire incontro alle crescenti esigenze di un’efficace prevenzione delle complicanze cardiache e vascolari legate all’ipertensione e fattori di rischio correlati. L’attività clinica del Centro è infatti specificamente indirizzata agli aspetti diagnostici e terapeutici dell’ipertensione arteriosa. Al fine di un corretto inquadramento di ogni paziente con elevazione della pressione arteriosa le finalità dell’approccio specialistico sono orientate a: 1. definire il grado di ipertensione attraverso l’integrazione, se necessaria, di differenti modalità della misurazione della pressione arteriosa (monitoraggio ambulatoriale e misurazione domiciliare) 2. individuare il danno d’organo subclinico a livello cardiaco, vascolare e renale,


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utilizzando le correnti metodiche non invasive raccomandate dalle maggiori linee guida 3. diagnosticare le forme secondarie di ipertensione in relazione alla caratteristiche anamnestiche, obiettive e laboratoristiche di ciascun paziente 4. selezionare un’adeguata e razionale terapia farmacologica e non, al fine di ottenere un ottimale controllo dei valori pressori Da un punto di vista pratico la realizzazione degli obiettivi sopra menzionati si fonda su un’attività ambulatoriale articolata su due livelli: 1. visita specialistica presso il Centro Ipertensione, come da richiesta specifica dei medici di medicina generale o di altre figure professionali 2. pacchetto ambulatoriale complesso, in cui il paziente che necessita di una più approfondita e completa valutazione potrà essere sottoposto in relazione alle specifiche esigenze cliniche: esami ematosierologici di routine ed analisi delle urine; dosaggio della microalbuminuria; elettrocardiogramma; ecocardiogramma Doppler; eco-TSA; eco-Doppler delle arterie renali; monitoraggio pressorio delle 24 ore; fundus oculi (in collaborazione con il professor Stefano Miglior); dosaggi ormonali o altre indagini dedicate all’individuazione di cause specifiche di ipertensione. Tutti i pazienti ipertesi caratterizzati da un elevato rischio di cardiopatia ischemica o sintomatici per angina pectoris, cardiomiopatia ipertensiva, scompenso e aritmie saranno gestiti in stretta collaborazione con la Divisione di Cardiologia diretta dal professor Giuseppe Specchia. L’attività del Centro è inoltre istituzionalmente orientata alla ricerca scientifica, perché solo un forte impegno in tal senso può assicurare un sostanziale e progressivo miglioramento dei livelli di prevenzione e cura. La connotazione scientifica del Centro del Policlinico di Monza-Università di Milano-Bicocca ha una chiara matrice nell’ambito della prestigiosa scuola milanese che fa capo al professor Alberto Zanchetti e al professor Giuseppe Mancia, considerati unanimemente i due più importanti opinion leader a livello mondiale nel settore dell’ipertensione. In particolare, l’attività di ricerca clinica del Centro, svolta in stretta collaborazione con il professor Mancia, riguarda un’ampia gamma di problematiche che comprendono la farmacologia clinica dell’ipertensione, gli aspetti metodologici della misurazione della pressione arteriosa, gli aspetti fisiopatologici dell’ipertensione arteriosa, l’ipertensione e danno d’organo cardiaco ed extracardiaco, la stratificazione del rischio cardiovascolare globale e gli aspetti educazionali nella prevenzione cardiovascolare. Un breve cenno infine sulla squadra che è attualmente composta dalla dottoressa Francesca Negri, dal dottor Arturo Esposito e dal professor Cesare Cuspidi. Il professor Cuspidi è Professore Associato di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Clinica, Prevenzione dell’Università di MilanoBicocca, e ha svolto sino all’anno scorso la sua attività assistenziale e di ricerca presso il Centro Ipertensione del Policlinico di Milano. I risultati delle sue ricerche sono stati oggetto di oltre 200 pubblicazioni, di cui più di 100 su riviste internazionali indicizzate con elevato impact factor, 3 capitoli su trattati internazionali, 4 capitoli su trattati nazionali e 50 lavori pubblicati come atti di congressi internazionali o nazionali, simposi, giornali nazionali, etc. È stato per il biennio 2000-2002 Presidente della Sezione regionale lombarda della Società Italiana dell’Ipertensione. Nel 2002 è stato nominato dall’European Society of Hypertension ‘Clinical Hypertension Specialist’. Dal gennaio 2005 è membro dell’Editorial Board del Journal of Hypertension.


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Il cuore al centro di tutto Presso il Dipartimento di Cardiologia del Policlinico di Monza, il professor Emilio Vanoli conduce dall’ottobre 2006 un’attività di ricerca sulle malattie cardiovascolari, in collaborazione con le varie realtà presenti nella struttura che si occupano dei differenti aspetti relativi alle patologie cardiache, dalle indagini diagnostiche alla cardiochirurgia. Professor Vanoli, il suo arrivo nel Gruppo Policlinico di Monza è recente. Quali le sue prime impressioni? “Sono felice di esserci. La crescita quasi esponenziale delle attività del Gruppo rappresenta uno stimolo forte che può e deve trovare risposte anche nel campo della ricerca scientifica e sono qui per mettere nella squadra le mie energie e la mia esperienza”. Quale bagaglio di esperienze porta al Gruppo?

Il Prof. Emilio Vanoli Responsabile della Ricerca del Dipartimento di Cardiologia del Policlinico di Monza

“Per una serie fortunata di coincidenze sono diverse. Ho cominciato la mia attività di ricerca sotto la direzione del professor Alberto Zanchetti nei laboratori di cui è responsabile il professor Peter Schwartz. Quest’ultimo mi ha guidato, nell’arco degli anni, attraverso linee di ricerca assolutamente originali che mi hanno permesso di entrare in aree eccellenti della ricerca cardiologica. Nel centro di Fisiologia Clinica e Ipertensione dell’Università di Milano mi sono laureato, specializzato in cardiologia e ho cominciato la mia vita di ricerca nel 1978. Vita di ricerca che da un lato mi ha aperto le porte a collaborazioni internazionali ancor oggi sono determinanti nella mia vita ma che, dall’altro, mi ha ‘costretto’ a conoscere molti aspetti della pratica clinica. Per 13 anni, nell’attesa che il mondo accademico italiano mi accogliesse (quello USA, come spesso succede, mi aveva già accolto nel 1984), ho avuto la reale fortuna di lavorare come medico di famiglia nel sistema sanitario nazionale. Devo alla comprensione dell’ASL e dei miei pazienti la possibilità che ho avuto di applicarmi, allo stesso tempo, alla medicina di base e alla ricerca scientifica sia in Italia sia presso l’Università dell’Oklahoma dove sono attualmente riconosciuto come Professore Associato di fisiologia e di cardiologia. Nel 1994 sono entrato all’Università di Pavia dove ora ricopro la carica di Professore Associato per le Malattie dell'Apparato Cardiovascolare. In questo contesto ho fatto parte, fino al mio trasferimento presso il Policlinico di Monza, dello staff dell’Unità Coronarica dell'IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. Oggi ritorno a lavorare con uno dei miei maestri, il professor Giuseppe Specchia, persona da cui non smetto di imparare”. In quale ambito si svolge la sua attività medica e di ricercatore? “L’area di ricerca dove sono cresciuto e dove continuo a lavorare riguarda il sistema nervoso autonomo, in altre parole quella parte del nostro sistema nervoso che controlla tutte le attività viscerali al di là della nostra volontà. Il sistema nervoso autonomo è un mondo in sé fantastico ma ancora in buona parte sconosciuto e gioca un ruolo determinante, se stimolato in maniera anormale, nella genesi e progressione di numerose patologie, quelle cardiovascolari in modo particolare. In tal senso sono possibili oggi a Monza analisi specifiche del sistema nervoso autonomo che permettono di riconoscere soggetti a maggior rischio di soffrire di una evoluzione sfavorevole della malattia coronarica”. Qual è l’incidenza di questo genere di patologie e cosa si può fare per contrastarle? “Decine di migliaia di pazienti ogni anno vengono colpiti da un infarto miocardico. Molti di questi pazienti recuperano dall’infarto e hanno un’eccellente aspettativa di vita ma altri sono destinati, se non trattati adeguatamente all’esordio della malattia, a un percorso grave. In questo senso lo studio del ritmo cardiaco, come indice del controllo dell’attività del sistema nervoso autonomo diretto al cuore, permette di riconoscere i soggetti a rischio e di trattarli in modo adeguato. Il dottor Andrea Mortara è un esperto nel campo e la possibilità di lavorare al suo fianco rappresenta una specifica opportunità di sviluppo della ricerca che seguo da anni”.


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Quali strumenti mette a disposizione il Policlinico di Monza per le sue ricerche? “In questi primi mesi di lavoro ho potuto toccare con mano il fatto che la ricerca nel Gruppo Policlinico di Monza è una realtà in grado di guardare al futuro grazie alla direzione del professor Rondanelli e all’eccellenza delle risorse umane e tecnologiche che partecipano all’attività di tutti giorni. La possibilità di studiare e trattare malati cardiovascolari ad alto rischio con procedure di eccellenza è di fatto ricerca. Infatti il semplice raccogliere in modo sistematico tutte le informazioni ottenibili da pazienti cardiopatici in un contesto come quello del Policlinico di Monza, costituisce una fonte inestimabile di ricerca che apre le porte a nuove vie”. Ci faccia un esempio? “Presso il dipartimento di Cardiologia del Policlinico di Monza i pazienti con malattia al cuore avanzata e scompenso cardiaco vengono sistematicamente gestiti con una serie di indagini di alto livello. Queste vanno dall’ecocardiografia bidimensionale analizzata con sistemi che permettono una eccellente visualizzazione della cinetica del cuore, al monitoraggio cardio-respiratorio notturno, alla TAC multislice, alla coronarografia e alla risonanza magnetica. Il percorso gestionale rimane condiviso anche quando il paziente diventa di competenza chirurgica e questo permette un’integrazione di informazioni che nascono dalla diagnostica non invasiva e invasiva fino all’atto chirurgico. L’esperienza e le tecniche d’avanguardia del gruppo della cardiochirurgia diretto dal professor Spagnolo sono l’altra parte dell’eccellente gestione del paziente cardiopatico. La raccolta finale di queste informazioni rappresenta quindi quella fonte inestimabile di materiale per la ricerca a cui mi riferivo prima. È su questa linea e sulla disponibilità delle risorse umane e tecnologiche di cui parliamo che il Policlinico di Monza è diventato parte integrante di diversi studi internazionali”. Il Gruppo Policlinico di Monza mette a disposizione particolari risorse per la ricerca? “Certamente. Esiste a Vercelli un centro di ricerche molecolari e genetiche, diretto dal professor Schiffer, che è già molto attivo nel campo della neuro-oncologia ma che potrebbe estendere la sua attività in senso multispecialistico. In campo cardiologico e in tutti gli altri campi questo vuol dire, prima di tutto, la possibilità di completare la diagnosi di diverse malattie con lo studio di eventuali mutazioni genetiche. Mutazioni che sono responsabili di malattie che causano gravi disturbi del ritmo cardiaco. La cardiomiopatia dilatativa è poi uno degli esempi più importanti per il numero dei pazienti affetti e per la potenziale gravità dei quadri clinici: è potenzialmente letale ma trattabile se riconosciuta molto presto. In tal senso sono note diverse alterazioni genetiche (non quante ne vorremmo) responsabili di tale malattia e l’analisi genetica rappresenta la conferma ultima della sua presenza. Un discorso analogo vale per la cardiomiopatia ipertrofica, una malattia molto frequente ma anche relativamente benigna salvo che in casi particolari. Anche qui, come nelle forme dilatative, sono note alcune delle mutazioni genetiche responsabili della malattia e l’indagine genetica è fondamentale per la cura dei pazienti affetti e il riconoscimento di familiari, magari ancora asintomatici, ma portatori della malattia. Un discorso analogo è vero per tantissime malattie in tutti i campi della medicina”. La ricerca clinica può fornire elementi per la ricerca di base? “Chiaramente. Su questo fronte il Policlinico di Monza è già impegnato in campo cardiologico, con il finanziamento di una struttura di ricerca diretta dal professor Schwartz, nella quale ho l’opportunità di collaborare e dove sono in corso ricerche su modelli sperimentali di malattie cardiache usando preparati transgenici. La regia del gruppo Policlinico di Monza ha sviluppato e continua a sviluppare tutto quanto serve per quella ricerca translazionale che tutte le maggiori autorità scientifiche richiedono e sotto questa regia esiste quindi la garanzia di fare del Policlinico di Monza un centro di riferimento internazionale per la ricerca scientifica”.


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Radioterapia, trattamenti all’avanguardia

L’équipe del Servizio di Radioterapia del Policlinico di Monza diretta dal Dott. Alberto Gramaglia (il quarto da destra)

l reparto di radioterapia del Policlinico di Monza è entrato in funzione nel luglio 2002 su progetto e sotto la direzione del dottor Alberto Gramaglia, proveniente da una precedente esperienza di oltre 18 anni presso l’istituto Tumori di Milano. Il centro dispone attualmente di due acceleratori lineari Varian Clinac 600 (6 MV) e Clinac 2100 (6 e 15 MV di fotoni e 6 energie di elettroni). Entrambi gli acceleratori sono dotati di due collimatori multilamellari dinamico cinetici che sono in grado di effettuare trattamenti estremamente complessi come IMRT CFRT Radiochirurgia encefalica ed extra-encefalica (radiochirurgia total Body); tre sistemi di calcolo avanzati 3D dotati anche di Inverse-treatment-planning per pianificare trattamenti stereotassici di IMRT, IGRT, etc. I sistemi di calcolo sono dotati di un sistema avanzato di ricostruzione 3D (VITREA) che consente di effettuare endoscopia virtuale e trattamenti anche di piccole lesioni a carico di diversi organi (trachea, bronchi, stomaco, retto, vescica, etc.). La ricostruzione viene ottenuta effettuando la simulazione virtuale con apparecchiature TAC multislice (32-64 slices) che consentono la rilevazione di lesioni anche di pochi millimetri a partire dallo spessore minimo di 0,25 mm! La procedura era finora applicata e applicabile tramite endoscopia reale in ambito stereotassico con manovre assai complesse e fastidiose, oltre che molto lunghe e costose. Queste tipologie di trattamento, ad alto contenuto tecnologico, consentono di effettuare terapie molto efficaci in pochissime sedute (da 1 a 5 sedute in media) laddove con le tecnologie convenzionali sarebbero necessarie terapie della durata di 3-5 settimane; questi trattamenti sono in genere tollerati senza alcun disturbo per la loro precisione. Sono infatti in grado di concentrare una elevata dose di radiazioni solo sul tumore con dosi trascurabili ai tessuti sani circostanti. Con queste tecniche si possono trattare tumori del polmone metastatici e primitivi, tumori del fegato del pancreas e del distretto otorinolaringoiatrico, tumori della prostata e lesioni secondarie ossee; in alcuni casi sono state utilizzate nel trattamento di lesioni mammarie già sottoposte a radioterapia e non più sottoponibili a nessuna terapia. Per fare questo è stata fondamentale l’esperienza maturata dal gruppo presso l’istituto tumori di Milano nel ritrattamento di lesioni ORL e polmonari. Questo tipo di terapia mirata (radioterapia conformazionale) viene utilizzato in reparto per il trattamento di precisione della mammella nella fase dedicata al letto operatorio dopo interventi conservativi. L’ipertermia Da un anno, facendo seguito ad una esperienza maturata negli ultimi 15 anni, il reparto di Radioterapia dispone inoltre di un’apparecchiatura per Ipertermia Capacitiva a Radiofrequenza (a cui si affiancherà a breve una seconda unità) per trattamenti di ipertermia superficiale e profonda (con uno studio in corso per l’utilizzo sulle metastasi e sui tumori primitivi del fegato e sui tumori cerebrali ad alto grado di malignità cioè i glioblastomi). Questa tecnica, che si associa alla chemioterapia a basse dosi e alla radioterapia, è generalmente ben tollerata; il Policlinico di Monza è il primo centro italiano a disporre nel medesimo ospedale delle tre opzioni (due membri del gruppo del reparto di Radioterapia, il dottor Gramaglia e il dottor Baronzio fanno parte del direttivo dell’International Clinical Hyperthermia Society l’associazione che raccoglie i maggiori ricercatori italiani e stranieri in questo settore). L’ipertermia viene applicata ogni giorno principalmente nel trattamento dei tumori cerebrali, tumori della mammella e del settore epatopancreatico; è una terapia che richiede una notevole attenzione per l’operatore (dura


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oltre 60 minuti, durante i quali tutti i parametri del paziente devono essere tenuti sotto controllo) ma assolutamente priva di disturbi o fastidi per il paziente. Il gruppo ha collaborato alla stesura di un libro sulla clinica dell’ipertermia edito recentemente negli stati uniti (Hyperthermia in Cancer Treatment A Primer) in collaborazione con i più grandi ricercatori del settore, (D. Hager, I. Freitas, GH. Baronzio, A. Szasz, U. Cerchiari, DK. Kelleher, etc.). Dal 2002, anno dell’apertura, sono stati effettuati più di 5700 trattamenti radianti; ben oltre la metà di questi sono terapie sterotassiche (RTCF, RTST, IMRT, IGRT etc.). Sono stati trattati principalmente tumori cerebrali, tumori polmonari e tumori della prostata (su questi l’utilizzo di tecniche di precisione rende più efficace e più tollerabile la terapia) ma anche tumori della mammella del retto, metastasi ossee e tumori del distretto ORL. In quest’ultimo settore sono stati eseguiti interventi di reirradiazione non effettuabili altrimenti che con queste tecnologie ottenendo eccellenti risultati Degenze e terapie integrate Il reparto di radioterapia può contare su degenze integrate per trattamenti complessi nei tumori cerebrali ed epatici, radioterapia associata a chemioterapia e ipertermia, che si effettuano ad oggi solo in questo centro. Degenze sono previste anche per situazioni cliniche difficili in pazienti non altrimenti gestibili; questi pazienti vengono gestiti in collaborazione multicollegiale con i colleghi della neurologia, (tumori cerebrali e terapie del dolore), con la medicina interna e l’oncologia, (Chemio+Ipertermia+Radioterapia sui tumori del fegato), con la chirurgia toracica e addominale (trattamenti neoadjuvanti chemio-radioterapici, preoperatori, nei tumori del polmone e del retto). Il reparto dispone inoltre di un sistema integrato per il controllo dei trattamenti di precisione (Patient Tracking System) che consente di adattare lo standard di precisione agli spostamenti involontari del paziente e ai movimenti respiratori dei tumori polmonari ed epatici; il sistema è costituito da un complesso assetto di telecamere e di detettori che consentono la ricostruzione 3D costante del paziente durante la fase di posizionamento balistico, così come durante tutto il trattamento, e viene avvertito dei suoi più impercettibili movimenti (respiratori o altri volontari e involontari). Questo medesimo sistema permette di verificare la precisione dei trattamenti giornalieri anche dei pazienti meno critici. È previsto infatti il suo utilizzo a breve nel trattamento del tumore della mammella e della prostata (IMRTIGRT) per evitare quei fastidiosi sovradosaggi che si verificano nel trattamento convenzionale con sgradevoli reazioni cutanee specie nelle aree più delicate come il capezzolo e la parte mammaria dell’ascella o per diminuire la dose accidentale al retto e alla vescica nella terapia dei tumori prostatici. Ogni giorno vengono effettuati oltre 100 controlli di puntualità e affidabilità tecnica e sulla precisione del trattamento tramite sistemi a rilevamento radiologico (Portal imaging digitali a rilevamento con silicio in matrice amorfa), ottico (Patient Tracking System), e tomografico (TAC, RMN e ECO). Il reparto - in cui lavorano otto Tecnici di radioterapia, due segretarie, due infermiere, cinque medici e due fisici - si avvale della consulenza e della collaborazione esterna per la ricerca in ipertermia dei dottori Baronzio e Cerchiari (INT Milano) e delle università di Parma e Milano Bicocca. I due fisici medici sono parte integrante del reparto costituendo il “cervello centrale”, in quanto dai loro computer e dai sistemi di controllo dei trattamenti passa tutto il lavoro del reparto. I trattamenti infatti vengono effettuati ogni giorno dopo programmazione dei due robot di trattamento in cui sono inseriti tutti i dati relativi al trattamento programmato; in questo modo i tecnici ogni giorno effettuano terapie sotto il controllo costante del computer centrale a cui affluiscono i dati delle terapie effettuate. Ciò rende più sereno il compito, già difficile, dei tecnici in quanto ogni loro atto viene filtrato e valutato prima dell’evento terapeutico in maniera tale da consentire il trattamento solo in condizioni puntuali di affidabilità. Il reparto dispone anche di un’officina interna dove vengono preparate


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apparecchiature di schermatura personalizzate in leghe basso fondenti e dove, a seconda della necessità, vengono risolte alcune problematiche soggettive dei pazienti. Il reparto è connesso in rete con il resto delle apparecchiature della diagnostica, due TAC multislice e due Risonanze magnetiche da 1,5 Tesla per effettuare simulazioni virtuali di elevato dettaglio. La Radioterapia del Policlinico di Monza, così costituita e inserita nella realtà della struttura di via Amati, consente di realizzare trattamenti a contenuto tecnologico elevato che nulla hanno da invidiare alle più dotate cliniche del Nord America; sono stati infatti effettuati e sono in corso trattamenti di pazienti provenienti dal nord e sud America e da tutta l’Europa, a dimostrazione della qualità delle dotazioni e della esperienza internazionale acquisita Prestazione Iniezione di mezzo di contrasto per simulazione radioterapica TC Iniezione di mezzo di contrasto per simulazione radioterapica RM Anamnesi e valutazione, definite brevi Terapia con acceleratore lineare Terapia con elettroni a uno o più campi fissi Individuazione del volume bersaglio e simulazione Studio fisico-dosimetrico con elaboratore su scansioni TC Dosimetria in vivo Schermatura personalizzata Sistema di immobilizzazione personalizzato Ipertermia per il trattamento di tumore Totale

Vertebroplastica

Il Dott. Toufic Khouri (a sinistra) responsabile del Dipartimento di Diagnostica per Immagini del Policlinico di Monza e il Dott Pietro Spagnolo accanto alla VCT Lightspeed 64 slice G.E.

Numero casi per anno 2002

2003

2004

2005

2006

92

453

298

236

234

1.100 2.682

3.537 11.021 62

4.525 14.892 385

4.282 14.493 359

24 4.412 16.769 524

198

822

784

754

885

169 1.430 1.998 49

739 7.192 7.620 136

1.018 13.311 6.862 132

1.049 12.536 6.431 206

1.118 14.964 6.486 234 645

7.718

31.582

44.211

40.346

46.295

La vertebroplastica percutanea è una procedura terapeutica mini-invasiva di Radiologia Interventistica utilizzata per il trattamento delle fratture vertebrali dolorose da insufficienza (osteoporotiche) e di quelle patologiche (da tumori primitivi o secondari). Ogni anno nei paesi della Comunità Europea sono diagnosticate clinicamente circa 630.000 fratture vertebrali (di cui 70-80.000 in Italia), una ogni 45 secondi. L'impatto socio-economico dell'osteoporosi nel mondo è uno dei più alti tra tutte le patologie conosciute. Uno studio su grandi numeri ha infatti dimostrato che la mortalità nei pazienti sopra i 65 anni affetti da fratture vertebrali osteoporotiche aumenta del 23% rispetto a una popolazione di controllo. La lesione fratturativa rachidea si viene a generare quando la combinazione del carico assiale e rotazionale sulla colonna eccede la resistenza offerta dal corpo vertebrale, indebolito nella sua struttura dalla malattia di base (osteoporosi o tumore). Attualmente la terapia medica nella malattia


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Fig 1. Ricostruzione coronale con frattura e cedimento della limitante superiore (frecce bianche) del soma vertebrale di D11.

Fig 2. A sinistra: passaggio dell’ago attraverso l’articolazione costovertebrale. A destra: posizione finale dell’ago prima dell’iniezione del cemento osseo.

Fig 3. Risultato finale della procedura che dimostra buona distribuzione del cemento all’interno del corpo vertebrale.

osteoporotica è solo parzialmente efficace poiché agisce in fase preclinica riducendo il rischio di frattura, ma non controlla, nella maggior parte dei casi, in maniera adeguata il dolore da microfrattura, che limita fortemente la vita quotidiana del paziente. I lunghi periodi di allettamento e immobilità costituiscono ulteriori fattori di aggravamento della malattia osteoporotica, innescando un pericoloso circolo vizioso. La valutazione preparatoria si basa essenzialmente sulla sintomatologia ed alcuni esami di imaging: rx standard; TC (valutazione integrità del muro posteriore)ed RM (valutazione del grado di edema). La vertebroplastica percutanea, descritta per la prima volta da Hervè Deramond ad Amiens, nel 1984, consiste nell'iniezione attraverso un ago metallico di cemento osseo nel corpo vertebrale mediante guida combinata di TC e fluoroscopia. La procedura e' eseguita in anestesia locale con paziente in decubito prono e con monitoraggio continuo di pressione e saturazione arteriosa. Un ago, simile a quello utilizzato per la biopsia ossea, viene introdotto nel corpo della vertebra con accesso transpeduncolare (di solito monolaterale) per le vertebre lombari e dorsali basse, mentre viene preferito l’accesso transcostovertebrale per le vertebre dorsali alte. La guida TC consente di ottenere una traiettoria precisa di avanzamento dell’ago attraverso i peduncoli riducendo drasticamente la possibilità di insorgenza di complicanze maggiori. Verificato il posizionamento finale dell’ago si procede all’iniezione di cemento (PMMA: polimetimetacrilato), sotto guida fluoroscopica per monitorare in tempo reale la distribuzione dello stesso all’interno del corpo vertebrale e per identificare un eventuale stravaso in sede extravertebrale. La quantità di cemento necessario al fine di ottenere un efficace consolidamento della frattura varia tra i 2 e i 6 ml. La durata della procedura è di circa 45 minuti per ogni livello vertebrale trattato (massimo 3 per singola seduta operatoria). I risultati della metodica sono estremamente incoraggianti con la scomparsa del dolore o una significativa riduzione dello stesso entro 72 ore dalla fine dell’intervento in una percentuale variabile dal 85% al 95% dei pazienti trattati per osteoporosi e del 70%-90% per metastasi, con una bassissima percentuale di complicanze maggiori (<1%: stravaso nel canale rachideo; embolia polmonare). Il rilievo di complicanze minori (estensione intradiscale, paravertebrale, intravenosa perivertebrale) del cemento vengono considerate praticamente prive di significato clinico. In conclusione, la vertebroplastica è oggi considerata come uno dei trattamenti più efficaci e raffinati, in grado di ottenere una pressoché completa regressione della sintomatologia dolorosa con una rapida ripresa della regolari attività quotidiane.


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I Clinica San Giuseppe di Asti: nuovo impulso per la Chirurgia

Il Dott. Giandomenico Bocchiotti Direttore del Raggruppamento di Chirurgia della Clinica San Giuseppe di Asti

l Raggruppamento di Chirurgia della clinica San Giuseppe comprende le Specialità di Chirurgia Generale, Oculistica, Urologia, Otorinolaringoiatria e Chirurgia Dermatologica. La Chirurgia Generale, che vanta una decennale tradizione presso la Clinica, si avvale di tre medici specialisti: il dottor Giandomenico Bocchiotti, Responsabile, il dottor Mauro Valpreda e la dottoressa Valeria Costamagna, entrata recentemente nell’équipe. L’utilizzazione di tecniche chirurgiche e anestesiologiche poco traumatizzanti favorisce l’accesso precoce agli interventi, per cui fra gli interventi maggiormente richiesti sono in aumento quelli per ernie e laparoceli, appendiciti, varici, emorroidi, fistole e ragadi anali, cisti pilonidali e altre patologie semplici, ma sono pure in aumento quelli di colecistectomia per calcoli e gli interventi all’apparato digerente e al seno. Il percorso del paziente che si rivolge alla clinica per accedere alle cure inizia con la visita presso gli ambulatori, dove avviene l’incontro con i medici dell’équipe. Una volta visitato e formulata la diagnosi, il paziente viene inserito nella lista di attesa e gli viene comunicata la data in cui saranno eseguiti gli esami e l’intervento. In una mattinata il paziente farà gli accertamenti e le visite pre-operatorie, mentre il ricovero avverrà il giorno stesso dell’intervento. La degenza è in genere molto breve, e il paziente viene poi seguito ambulatorialmente. Fra le patologie in cui l’équipe offre una particolare specializzazione, vi sono certamente la riparazione protesica delle ernie, la chirurgia flebologica e proctologica, ma anche la chirurgia laparoscopica per la calcolosi della colecisti e quella per la cura dei tumori dell’apparato digerente (colon-retto) e della mammella, con l’asportazione del linfonodo sentinella e tutti gli interventi conservativi, demolitivi e di ricostruzione completa che sono attualmente consigliati. L’inserimento della clinica San Giuseppe nel Gruppo Policlinico di Monza un’organizzazione che mira all’efficienza e al servizio ottimale, ispirandosi a principi etici che privilegiano il paziente - ha apportato interessanti novità: con l’entrata in funzione del nuovo reparto operatorio e di quello di terapia intensiva, dotati delle più moderne attrezzature, si creano i presupposti per un’attività chirurgica più rilevante in termini di tipologia e importanza degli interventi.

Chirurgia urologica

Il Dott. Giovanni Buffa (a destra) ed il Dott. Bruno Guadagnin Unità Operativa di Urologia della Clinica San Giuseppe di Asti

L’Urologia della Clinica San Giuseppe – che vede come responsabili i dottori Giovanni Buffa, Bruno Guadagnin ed Enzo Moramarco - è pronta ad aprire un capitolo nuovo della sua storia, e questo grazie a tre importanti novità che possono meglio soddisfare le esigenze del paziente urologico. La ristrutturazione della camera operatoria e la messa in funzione dei quattro letti di terapia intensiva consente di proporre con tranquillità interventi di chirurgia maggiore quali gli interventi demolitivi per cancro della prostata, della vescica e del rene. Per questo tipo di interventi oltre a una sala operatoria efficiente, occorre (ed è decisivo per i risultati) un luogo in cui il paziente possa all’occorrenza essere seguito costantemente da personale qualificato, in una struttura provvista di tutte le apparecchiature idonee per intervenire tempestivamente in caso di complicanze. Questa nuova situazione permette inoltre di praticare interventi chirurgici in pazienti che hanno situazioni cardiache e respiratorie a rischio, consentendo all’anestesista e ai vari specialisti di seguirli con presenza costante finché ritenuto opportuno. Altra novità è l’acquisizione di tutte le più moderne tecnologie mini invasive atte a risolvere i problemi del paziente urologico con il minimo trauma e quindi con meno sofferenza, con minor tempo di degenza e con risultati migliori. In parte si è trattato di integrare quanto già esistente per la chirurgia endoscopica della


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La terapia intensiva della Clinica San Giuseppe di Asti è stata inaugurata nel gennaio 2007 (4 posti letto)

prostata e della vescica; in questo campo l’esperienza dell’operatore deve essere accompagnata dalla perfetta efficienza della struttura e dal continuo aggiornamento dello strumentario. Oggi l’intervento endoscopico per l’adenoma della prostata (TURP) ha sostituito il tradizionale intervento in almeno il 60% dei casi, un adenoma prostatico di 50 grammi può essere asportato in meno di un’ora con uno strumento che viene introdotto attraverso l’uretra e che consente di conseguire, nei casi in cui sia posta correttamente l’indicazione, lo stesso risultato dell’intervento a cielo aperto. Ulteriore impegno è dimostrato dall’acquisizione tutte le tecnologie idonee ad affrontare con metodi non invasivi le patologie del rene e dell’uretere: con questi strumenti (ureteroscopio rigido e flessibile) si può accedere a tali organi con il minimo trauma e con la sicurezza dovuta al costante controllo visivo e radiologico da parte dell’operatore. La calcolosi del rene e dell’uretere costituiscono l’indicazione più frequente al ricorso di queste tecnologie, che sono integrate dall’apparecchiatura per ESWL reperibile nell’ambito della struttura del Policlinico e costantemente disponibile per i pazienti della clinica. È inoltre fondamentale l’apporto che questi strumenti danno alla diagnosi precoce e al trattamento dei tumori della via escretrice superiore, che in mancanza di essi è affidata alle imprecisioni (inevitabili in questo campo) della diagnostica per immagini. Un terzo elemento di rinnovamento è il fatto stesso che la Clinica San Giuseppe fa ora parte della rete di presidi sanitari del Policlinico di Monza, il quale annovera altri reparti urologici con i quali è già in atto un rapporto di collaborazione. Questo comporta il vantaggio di avere la possibilità di collaborare con colleghi che hanno accumulato in campi specifici dell’urologia un’esperienza riconosciuta a livello nazionale e internazionale. L’Urologia della Clinica San Giuseppe è ora un elemento di una rete più complessa che rende possibile erogare servizi qualificati nella realtà locale, garantendo l’accessibilità alle prestazioni e avendo allo stesso tempo a disposizione una rete sovraterritoriale che garantisce risorse umane e tecnologiche aggiuntive tipiche delle grandi strutture. La tecnologia e l’esperienza degli operatori non sono tutto nel determinare il successo terapeutico: il paziente che ha subito un intervento chirurgico urologico rimane un paziente in qualche modo “critico” anche dopo le dimissioni, molto di più di quanto accade in altri tipi di chirurgia. Una serie di eventi può turbare il post-operatorio: una perdita ematica, una colica renale, un rialzo febbrile o una stenosi dell’uretra. Si tratta quasi sempre di inconvenienti di entità non rilevante che possono essere facilmente risolti ma che spesso spaventano il paziente e i suoi famigliari: per questo gli Urologi della San Giuseppe si impegnano a seguire personalmente i pazienti nelle prime settimane dopo la dimissione, affidandoli alle cure del chirurgo che li ha operati ed evitando loro l’anonimato delle liste di attesa e il continuo avvicendarsi degli operatori.


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Adenoma della prostata: domande e risposte Cos’è l’adenoma della prostata?

L’adenoma della prostata è una malattia benigna, estremamente frequente nell’uomo al di sopra dei 50 anni, e il suo riscontro occasionale (ad esempio durante un’ecografia) non deve preoccupare il paziente: non è un precursore del cancro della prostata, né la sua presenza significa necessariamente un intervento chirurgico. Nella maggioranza dei casi è sufficiente una visita del medico per escludere patologie più importanti. L’adenoma della prostata diventa un problema allorché iniziano i classici disturbi: difficoltà a iniziare la minzione, getto debole, minzione in più tempi e aumento della frequenza delle minzioni soprattutto durante la notte. Ma a volte, oltre al disturbo soggettivo, la prostata causa problemi importanti alla vescica, che si “sfianca” a forza di svuotarsi con difficoltà, e ai reni, sui quali si ripercuote il difficoltoso svuotamento della vescica.

È sempre necessario trattare l’adenoma della prostata?

Il riscontro occasionale di un adenoma prostatico non rappresenta in sé un’indicazione al trattamento, che in genere inizia quando la sintomatologia diventa fastidiosa e la qualità della vita in qualche modo ne risente. Non esiste un chiaro confine che stabilisca quando iniziare le cure farmacologiche; si sono suggerite in ambito specialistico misurazioni anche complesse e limiti rigorosi per l’inizio. Si può tuttavia facilmente riassumere che quando la prostata non mette a rischio la vescica e quando i disturbi sono minimi non conviene iniziare alcuna terapia.

Esiste una terapia medica per l’adenoma della prostata?

Ad eccezione di esordi clamorosi della malattia, per altro infrequenti, generalmente in caso di disturbi si inizia con una terapia medica. Esistono due tipi di trattamento medico oggi in uso: i farmaci alfa-litici, che sono essenzialmente deputati a rilasciare la muscolatura del collo vescicale e quindi ad attenuare i disturbi, e i farmaci che hanno il proposito di curare e ridurre le dimensioni dell’adenoma, attenuare i fastidi e limitare il numero degli interventi necessari (i più noti e studiati sono la finasteride e la dutasteride). I farmaci alfa-litici sono ben tollerati e possono essere assunti anche per lunghi periodi di tempo non essendo stati dimostrati inconvenienti importanti; l’assunzione può essere interrotta senza problemi Diverso è il caso di finasteride e dutasteride: si tratta di farmaci con azione biologica importante (interferiscono sull’ambiente ormonale), ma di media efficacia clinica. Tali farmaci possono ridurre il volume della ghiandola prostatica, migliorare la sintomatologia e verosimilmente evitare in un certo numero di casi l’intervento chirurgico. Tuttavia essi agiscono negativamente sulla sessualità in un numero limitato ma significativo di casi, e generalmente proprio in un’età in cui cominciano a comparire le prime difficoltà in tal senso. La loro somministrazione dovrebbe sempre essere preceduta da una visita medica con esplorazione rettale e da un colloquio con il paziente al fine di evidenziare i vantaggi e gli svantaggi della terapia.

Quando è necessario l’intervento chirurgico?

L’indicazione chirurgica diventa assoluta in caso di complicanze quali la ritenzione urinaria, le infezioni ricorrenti, il danno renale, la calcolosi della vescica, la sofferenza importante della vescica. Negli altri casi, quando vi è soltanto una sintomatologia soggettiva, viene generalmente proposto prima dell’intervento un periodo di terapia medica con i limiti che sono stati prima evidenziati. Se la terapia medica fallisce il suo obiettivo, si può valutare l’opportunità di una opzione chirurgica. L’intervento non deve essere inteso come una prevenzione del cancro (può manifestarsi


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ugualmente ), né come una prevenzione di possibili successivi disturbi (non è detto che si presentino). Pertanto, anche in questo caso, l’indicazione deve scaturire da un colloquio e da un consenso informato non soltanto formale con il paziente.

Quali tipi di intervento sono oggi proponibili?

Oggi esistono due modi di operare l’adenoma prostatico: l’intervento classico riservato alle prostate di grosse dimensioni e l’intervento endoscopico che consiste nella eliminazione dell’adenoma eseguita senza tagliare ma asportando il tessuto ammalato attraverso le vie naturali (TURP). La seconda opzione sta diventando sempre più frequente in quanto i tempi di degenza sono minori, la tecnica meno invasiva e i risultati sovrapponibili all’intervento più invasivo. È considerata tuttora il “golden standard” per il trattamento chirurgico della malattia. In questo campo la medicina ha fatto grandi passi, se si pensa che fino a 30 anni fa l’intervento alla prostata presupponeva una lunga degenza e comportava frequentemente complicanze importanti. Oggi la degenza per questo intervento è limitata a pochi giorni (da tre a sette a seconda della tecnica proposta ), le complicanze o i risultati insoddisfacenti sono molto poco frequenti. Sono oggi descritte varie tecniche alternative: tra quelle più utilizzate citiamo la TUIP ovvero l’incisione trans-uretrale della prostata (che non prevede l’asportazione di tessuto prostatico ma semplicemente un’incisione longitudinale, indicata per ghiandole inferiori ai 30 grammi), il trattamento con il LASER, microonde o radiofrequenze. Tali tecniche trovano sovente una rilevante eco mediatica ma non hanno sostituito la TURP nella pratica corrente, a livello sia nazionale sia internazionale, ma i progressi della tecnologia potrebbero nei prossimi anni riservarci importanti novità.

L’Unità Operativa di Oculistica

Il Dott. Roberto Dossi e la Dott.ssa Elisabetta Suppo Unità Operativa di oculistica della Clinica San Giuseppe di Asti

Dal 1995 è attivo presso la Clinica San Giuseppe un servizio di Oculistica per la diagnosi e la terapia delle patologie oculari. A fianco del dottor Roberto Dossi, che aveva dato inizio all’attività, si sono presto aggiunti come corresponsabili il dottor Claudio Banchero e il professor Lauro Pissarello. Nel corso degli anni gli interventi chirurgici eseguiti hanno riguardato tutto l’ambito oculistico. L’interesse maggiore è stato rivolto alla chirurgia del segmento anteriore, in particolare alla chirurgia della cataratta, che vedeva proprio in quegli anni il passaggio dalle tecniche di estrazione extracapsulare del cristallino catarattoso alla tecnica della facoemulsificazione. Questa tecnica prevede la rimozione della cataratta con l’uso di ultrasuoni emessi da una sonda che viene inserita all’interno dell’occhio attraverso un’incisione di pochi millimetri. Il cristallino viene poi sostituito da una lente intraoculare di adeguato potere. La facoemulsificazione, applicata fin dall’inizio presso questo centro, permette di ottenere risultati di eccellenza, grazie anche all’utilizzo di attrezzature e materiali sempre costantemente aggiornati. Presso il servizio di Oculistica della San Giuseppe vengono tuttora applicate le altre tecniche chirurgiche del segmento anteriore come l’asportazione di pterigi e la chirurgia


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Il Dott. Lauro Pissarello (a destra) ed il Dott. Claudio Banchero dell’Unità Operativa di Oculistica della Clinica San Giuseppe di Asti

del glaucoma; per quest’ultimo, in particolare, sono utilizzate sia la tecnica tradizionale, la trabeculectomia, sia tecniche meno invasive come la sclerectomia profonda, che permette di ottenere ottimi risultati con minori complicazioni o l’impianto di microvalvole. Nei casi di glaucomi particolarmente complessi si utilizza la tecnica della ciclodialisi transclerale con laser a diodi. Particolare attenzione è stata posta alla chirurgia dello strabismo che viene eseguita sia sugli adulti sia sui bambini. Sono stati eseguiti interventi di chirurgia refrattiva per la correzione dei difetti visivi miopici, ipermetropici e astigmatici, e a tale scopo sono state utilizzate tecniche diverse. I difetti visivi sono stati trattati con il laser ad eccimeri, disponendo del primo strumento di tale genere nella città di Asti. Sono stati affrontati anche casi complessi di chirurgia refrattiva. La chirurgia incisionale con controllo topografico intraoperatorio è stata deputata alla correzione degli astigmatismi elevati sia congeniti che postchirurgici. Sono stati poi impiantati anelli intrastromali corneali per la correzione degli astigmatismi elevati nel cheratocono. Negli anni sono anche state impiantate lenti intraoculari nell’occhio fachico per la correzioni di difetti sferici miopici e ipermetropici particolarmente elevati. È stato anche istituito un servizio di chirurgia oftalmoplastica: sono quindi state trattate con adeguate tecniche chirurgiche anche le patologie palpebrali quali ptosi, blefarocalasi, dermatocalasi, entropion, ectropion. Negli ultimi anni sono stati effettuati trattamenti per la terapia degli edemi maculari e delle maculopatie con l’uso di iniezioni intravitreali di nuovi farmaci, secondo le più recenti indicazioni della letteratura nazionale e internazionale. Queste tecniche hanno aperto nuove concrete speranze per la lotta alle maculopatie, che rappresentano la prima causa di cecità nel mondo occidentale. Queste esperienze, ormai consolidate, permettono di guardare con ottimismo alla possibilità di ampliare il servizio con l’introduzione della chirurgia vitreoretinica e quindi inserire nell’attività chirurgica della clinica anche le patologie del segmento posteriore dell’occhio. Sono inoltre presenti da tempo un servizio di fluoroangiografia retinica e di perimetria computerizzata per offrire una migliore possibilità diagnostica, oltre ai due ambulatori oculistici presso i quali vengono eseguite le visite specialistiche.

P

resso la clinica La Vialarda, l’Unità Funzionale di Urologia diretta dal dottor Piercarlo Chioso è ormai da due anni in attività in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale.

Urologia alla Clinica La Vialarda, Biella

Nel corso dell’anno 2006 sono stati ricoverati 658 pazienti, 650 dei quali sono stati sottoposti a trattamenti chirurgici. L’attività di tipo chirurgico ha dato risposta a tutte le patologie di più frequente riscontro in specialità urologica, spaziando fino ad alcuni tipi di interventi considerati prettamente andrologici, quali la terapia della malattia di La-Peyronie. Per quanto riguarda le patologie neoplastiche, gli interventi di maggior impegno, nel corso dell’anno, sono stati: 14 nefrectomie radicali (asportazione di rene con capsula adiposa, linfonodi distrettuali e in alcuni casi dell’uretere) eseguite con varie tecniche chirurgiche; 9 cistectomie radicali con derivazioni urinarie di vario tipo, dalle più complesse, con ricostruzioni ortotopiche dell’organo utilizzando un segmento


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intestinale, alle derivazioni più semplici di tipo esterno; 51 prostatectomie radicali di cui 3 con tecnica laparoscopica; 3 ureterectomie segmentarie con reimpianto dell’uretere per pazienti con monorene.

Il Dott. Piercarlo Chioso Unità Operativa di Urologia della Clinica La Vialarda di Biella

Tra gli interventi minori si sono eseguite: 83 resezioni endoscopiche di neoformazioni vescicali; 3 orchiofunilectomie per tumore del testicolo ed 1 intervento per leiomiosarcoma del pene. Gran parte dell’attività ha riguardato il trattamento di patologie benigne, quali l’ipertrofia prostatica benigna, la calcolosi urinaria e l’uro-ginecologia per le problematiche di incontinenza della donna e del prolasso degli organi pelvici. L’ipertrofia prostatica, oggi trattata nelle fasi iniziali con la terapia medica, richiede un trattamento chirurgico nei casi in cui i disturbi della minzione siano in grado di alterare lo stato di benessere individuale e sociale del paziente. I trattamenti chirurgici possono essere condotti per via endoscopica, utilizzando un resettore attraverso il quale viene asportato il tessuto adenomatoso, o a cielo aperto. La scelta tra i due tipi di intervento è determinata dal volume dell’adenoma, da eventuali patologie associate (diverticoli vescicali, calcoli) e dall’età del paziente. Ogni volta che si propone un intervento chirurgico per la patologia prostatica benigna, vengono attentamente valutati i suddetti parametri con il paziente e la scelta viene condivisa già molti giorni prima dell’intervento. In totale nel 2006 sono stati eseguiti 183 interventi per patologia prostatica benigna con un tempo di ricovero medio di 3 giorni; i pazienti sono stati tutti dimessi senza catetere vescicale. La calcolosi urinaria è stata affrontata con 13 interventi chirurgici a cielo aperto per calcolosi a stampo renale o per patologie associate quali le stenosi del giunto pielo ureterale o l’infezione. Ma la maggior parte delle calcolosi è stata trattata con metodiche mininvasive quali la ureteroscopia operativa, la minipercutanea o la ESWL (frantumazione dei calcoli per via extracorporea con onde d’urto). Nel corso dell’anno ci si è avvalsi dell’utilizzo di strumenti endoscopici flessibili che hanno permesso la risoluzione delle calcolosi con minimo danno e con un tempo di ricovero ridottissimo. In un solo caso, su 44 eseguiti, è stato necessario un intervento chirurgico a cielo aperto per complicanza. Inoltre 18 donne sono state sottoposte a interventi di uroginecologia, sia per la semplice incontinenza urinaria da sforzo, sia per prolassi parziali o totali degli organi pelvici. La rimanenza dei casi è un mix di patologia minore riguardante gli organi genitali maschili (varicocele, idrocele, cisti spermatiche, tumori benigni, fimosi). Da ricordare, tra le patologie rare diagnosticate e trattate, un linfoma vescicale e due tumori adenomatoidi dell’epididimo. Per tutti gli interventi maggiori, particolare attenzione è stata posta al controllo del dolore post operatorio, in collaborazione con l’équipe di anestesiologia; è stato sperimentato l’utilizzo di cateterini percutanei nella sede della ferita chirurgica, collegati ad una pompa da infusione endovenosa attraverso i quali viene iniettato in continuo un anestetico locale per le prime 48-72 ore. Ciò ha permesso una più rapida mobilizzazione del paziente, una notevole riduzione di farmaci antidolorifici, assenza di complicanze da utilizzo di FANS e una completa soddisfazione da parte del paziente. È in corso uno studio di valutazione, attraverso questionari che vengono sottoposti al paziente, riguardo all’entità del dolore post operatorio e al suo controllo. Lo scopo è quello di rendere l’utilizzo degli anestetici locali nel post operatorio una metodica standardizzata ed esportabile a tutti i tipi di interventi. Il risultato di tali interventi, in particolare quelli eseguiti per patologie neoplastiche, può risultare invalidante per alcune funzioni fisiologiche che, spesso, sono negativamente accettate dal paziente. Una corretta informazione sul tipo di patologia, l’indicazione chirurgica e la discussione su esiti e su possibili complicanze, affrontata in collaborazione con più specialisti, può individuare i punti più critici assieme al paziente: con tale tipo di collaborazione, il paziente si sentirà maggiormente partecipe delle scelte terapeutiche ed affronterà con maggior sicurezza la terapia proposta.


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ECM: i corsi in programma

5 MAGGIO 2007-02-09 • Lesioni ghiandolari neoplastiche e preneoplastiche del corpo e del collo dell’utero Corso rivolto a medici, biologi e citologi Crediti ECM richiesti

12 MAGGIO 2007 • La fitoterapia in gastroenterologia (Resp. Prof. Giacosa) Corso rivolto a medici e farmacisti Crediti ECM richiesti

18-21 MAGGIO 2007 • Diagnosi e trattamento delle disfunzioni di movimento “Lower Quarter” e “Workshop” (Resp. Prof. Cerri) Corso rivolto a fisioterapisti Crediti ECM richiesti

SECONDA GIORNATA NOVARESE DI STUDIO

“Le lesioni ghiandolari neoplastiche e preneoplastiche del corpo e nel collo dell’utero” Sabato 5 maggio 2007, Sala Congressi Clinica S. Gaudenzio di Novara Anche quest’anno, presso la Sala Congressi della Clinica S. Gaudenzio di Novara, si svolgerà un Corso di Aggiornamento (la “Seconda Giornata Novarese di Studio”) per Medici e Citologi. Il Corso, per cui sono stati richiesti Crediti ECM, tenterà di ripetere il successo del precedente, effettuato il 18 marzo 2006, dal titolo “Il carcinoma della mammella: opinioni a confronto”, che aveva visto la partecipazione di oltre cento discenti regolarmente iscritti, e di una ventina di docenti, provenienti da tutta Italia ed anche dall’estero. Questo seconda Giornata, anche se apparentemente più specialistica, affronta

due tematiche oggi particolarmente importanti per la prevenzione e la salute pubblica: i tumori dell’endometrio, da qualche anno in forte incremento soprattutto per l’aumento della vita media, tanto da superarare largamente i carcinomi cervicali uterini; e le lesioni ghiandolari della cervice, il cui trend ascendente è meno chiaramente dimostrato, ma la cui importanza è fuori discussione anche per l’estrema difficoltà della diagnosi precoce mediante Pap test. A questo proposito, è sufficiente ricordare come nel decennio 1990-1999, nell’ambito del Programma “Prevenzione Serena” per il cervico-carcinoma del Comune di Torino, gli


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epidemiologi si attendevano oltre 50 cancriintervallo: questi in realtà furono solo 13, ma ben 11 di questi erano adenocarcinomi e solo 2 carcinomi squamosi. Riteniamo che, come lo scorso anno, anche quest’anno la Città ed i Medici di Novara, la sua Università e la Clinica S. Gaudenzio, struttura privata ad alta specializzazione, che offre un buon esempio di collaborazione tra

pubblico e privato, nell’ottica di una pari dignità, non potranno che essere fieri di questo evento, che si presenta così scientificamente e socialmente significativo. Il successo dell’iniziativa favorirà anche iniziative future, di questo, o di altro tipo, utili per lo sviluppo del territorio e la collaborazione con altre strutture. Il Comitato Scientifico

IL PROGRAMMA DELLA “SECONDA GIORNATA NOVARESE DI STUDIO” (patrocini: SIAPEC-IAP, Divisione Italiana, SIGIP, Università Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” e Ordine dei Medici della Provincia di Novara) Presidente: O. Nappi (Napoli), Vicepresidente e coordinatore: G. Angeli (Vercelli)

Ore 9.00 - SALUTO AUTORITÀ Prof. P. Garbarino, Prof. G. Vacca, Dr. S. Maffei, Prof. E.G. Rondanelli. Ore 9.20 - PRIMA SESSIONE Moderatori G. Bussolati (Torino), G. Montanari (Torino) • Etica della ricerca in oncologia. G. Apolone, Istituto M. Negri (Milano) • Dati epidemiologici sulle neoplasie ghiandolari del collo e del corpo dell’utero. C. Magnani (Novara) • La diagnosi citologica delle neoplasie ghiandolari del corpo e del collo dell’utero. A.M. Buccoliero (Firenze) • La diagnosi istologica delle neoplasie ghiandolari del collo dell’utero. G.L. Taddei (Firenze) • La diagnosi istologica delle neoplasie ghiandolari del corpo dell’utero. L. Resta (Bari) • Discussione.

ORE 11.40 - SECONDA SESSIONE Moderatori O. Nappi (Napoli) e M.R. Giovagnoli (Roma) • Confronto tra citologia tradizionale e citologia in strato sottile con particolare riferimento alle lesioni ghiandolari. R. Dina (London) • Ruolo della ricerca del DNA dell’HPV nell’individuazione delle lesioni ghiandolari cervicali. G.F. Voglino (Torino) • Correlazioni cito-istologiche. B. Ghiringhello (Torino) • Discussione.

ORE 14.00-16.00 - TERZA SESSIONE Moderatori N. Surico (Novara) e G. Angeli (Vercelli) • Lettura Magistrale: “Istotipo e modulazione del trattamento chirurgico”. N. Surico (Novara) • L’isteroscopia nelle neoplasie ghiandolari dell’utero: fattori di rischio e lesioni preneoplastiche. A. Vigone (Novara) • AIS: esiste la diagnosi colposcopica? Quale trattamento? R. Ribaldone (Novara) • Ruolo dell’anatomo-patologo nella stadiazione dei tumori ghiandolari uterini. E. Fulcheri (Genova) • Discussione

ORE 16.00-18.00 - QUARTA SESSIONE Moderatori M. Barbero (Asti) e N. Ragni (Genova) Tavola rotonda: • Controversie sulla diagnosi e sulla terapia delle lesioni ghiandolari neoplastiche e preneoplastiche dell’endocervice e dell’endometrio. G. Angeli (Vercelli), M. Sideri (Milano), M. Truini (Genova), N. Ragni (Genova), R. Piccoli (Napoli), A. Marsico (Torino), • Discussione.

ORE 18.00 - Conclusioni e chiusura dei lavori Comitato Scientifico: G. Angeli, F. Coggiola, R. Navone, E.G. Rondanelli, N. Surico Comitato Organizzativo locale: C. Magnani; Crediti ECM richiesti Segreteria Organizzativa: Adria Congrex Per informazioni e iscrizioni tel. 0541-305841-23


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Direttore Scientifico: Prof. Elio Guido Rondanelli Monza Via Amati 111 - Monza Tel. 039 28101 www.policlinicodimonza.it Dir. Sanitario: Dott. Giulio Cesare Papandrea

Cardiochirurgia, Cardiochirurgia pediatrica, Neurochirurgia, Chirurgia generale, Chirurgia toracica, Chirurgia vascolare, Chirurgia plastica e maxillo facciale, Terapia intensiva, Unità coronarica, Ortopedia e traumatologia, Medicina generale, Cardiologia, Urologia, Neurologia, Riabilitazione cardiologica, Riabilitazione neuromotoria, Emodinamica, Pronto Soccorso

Novara Via Bottini 3 - Novara Tel. 0321 3831 www.clinicasangaudenzio.com Dir. Sanitario: Prof. Ugo Filippo Tesler

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Alessandria Via Bruno Buozzi 20 Alessandria - Tel. 0131 314500 www.nccalessandria.it Dir. Sanitario: Dott. Alfred Qalqili

Cardiochirurgia, Chirurgia generale, Cardiologia, Medicina generale, Ortopedia, Urologia, Oculistica, Emodinamica, Terapia intensiva.

Vercelli Via dell’Aeronautica 14/16 - Vercelli Tel. 0161 2221 www.clinicasrita.it Dir. Sanitario: Dott. Salvatore Pignato

Chirurgia generale, Ginecologia, Ortopedia, Urologia, Oculistica, Medicina generale, Terapia intensiva, Riabilitazione neuromotoria e bronco-pneumo-cardio respiratoria.

Ivrea Via Castiglia 27 - Ivrea Tel. 0125 645611 www.clinicaeporediese.it Dir. Sanitario: Dott. Biagio Spaziante

Neurochirurgia, Chirurgia toracica, Chirurgia vascolare, Ortopedia, Medicina riabilitativa (1° livello), Terapia intensiva, Emodinamica.

Medicina generale,

Biella Via Ramella Germanin 26 - Biella Tel. 015 35931 www.lavialarda.it Dir. Sanitario: Prof. Gianni Bottura

Clinica Salus Alessandria Via Trotti 21 - Alessandria Tel. 0131 29461 www.clinicasalus.it Dir. Sanitario: Prof. Renzo Penna

Chirurgia generale, Chirurgia vascolare, Cardiologia, Medicina generale, Ortopedia e Traumatologia, Urologia, Nucleo per pazienti in stato vegetativo permanente, Terapia intensiva, Emodinamica.

Alessandria Ortopedia, Neurologia, Day Surgery, Chirurgia generale, Medicina, Neuro Riabilitazione III Livello, Riabilitazione neuromotoria II Livello

Asti Via De Gasperi 9 - Asti Tel. 0141 34385 Dir. Sanitario: Dott.Giuseppe Veglio

Policlinico di Monza - Via Amati, 111 - 20052 Monza www.policlinicodimonza.it Ufficio Stampa e coordinamento redazionale: Planet Comunicazione - tel. 011 5083802 www.planetcomunicazione.it

Chirurgia generale, Chirurgia plastica, Chirurgia della mano, Chirurgia dermatologica, Chirurgia proctologica, Chirurgia vascolare, Oculistica, Otorinolaringoiatria,Urologia, Medicina, Lungodegenza, Neuropsichiatria. Anno IV numero 9 - febbraio 2007 Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1724 del 5 marzo 2004 Direttore responsabile: Fabio De Marchi Stampa: Grafica Santhiatese, Santhià Progetto grafico: Brunazzi&Associati, Torino Immagini: Policlinico di Monza


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