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Nicola Vitale Milano, entrata e uscita
from LETTER TO MILAN
by Jaca Book
A Milano
DIANA BRACCO
Presidente di Fondazione Bracco, presidente e amministratore delegato del Gruppo Bracco
La terribile pandemia che ha sfregiato l’intero pianeta, causando lutti e danni economici inimmaginabili, ha inferto un colpo durissimo alla nostra amata Milano. Un colpo che abbiamo particolarmente sentito perché la città veniva da anni di grande crescita economica, culturale, sociale e d’immagine. Ed è noto che, se si cade dall’alto, fa più male.
Negli ultimi anni, grazie in particolare all’eccezionale successo di Expo 2015, di cui ho avuto l’onore e l’onere di essere tra i protagonisti, Milano è stata davvero uno dei place to be mondiali. Ospitando 21 milioni di visitatori, a iniziare dai potenti della Terra che ricordo incantati sulla terrazza del nostro avveniristico Palazzo Italia di fronte allo spettacolo dell’Albero della Vita, l’immagine di Milano è salita alle stelle in tutto il mondo.
L’Expo è stato, inoltre, uno straordinario catalizzatore di energie, contribuendo in ogni campo al rilancio della città, rendendola più aperta, moderna ed efficiente e lasciando un’eredità materiale molto concreta. Per l’occasione dell’Esposizione universale, importanti progetti di cui si parlava da anni diventarono realtà. Il 2015 divenne l’anno cruciale per ogni cosa. Pensiamo allo sviluppo delle infrastrutture: la Brebemi, la tem, e soprattutto la quarta linea della metro e l’avvio della quinta. Ma non solo: grazie all’Expo, Milano è diventata una città leader nel car sharing e soprattutto nell’uso delle biciclette, alla pari con le capitali europee più avanzate come Londra, Berlino o Parigi. Sono tutti fattori che hanno reso la città più vivibile, più amica. Anche dal punto di vista delle reti internet la città ha saputo infrastrutturarsi bene: penso all’anello di duemila chilometri di fibra che corre intorno alla città.
Imprese e grandi investitori privati hanno fatto la loro parte portando a compimento progetti importanti, a iniziare da quello di Porta Nuova, del Portello e di CityLife, che hanno cambiato il volto della metropoli. Il meglio dell’architettura mondiale è stato coinvolto, per cui a Milano hanno progettato e lavorato archistar come Rem Koohlaas, Zaha Hadid, Daniel Libeskind (che ha addirittura aperto in città un suo studio), David Chipperfield, Arata Isozaki, César Pelli, Ming Pei, Herzog & de Meuron, e naturalmente Renzo Piano e Stefano Boeri, che con il suo bosco verticale ha avuto il riconoscimento di miglior grattacielo costruito al mondo nel 2014.
Accanto a questa straordinaria eredità materiale, ce n’è stata un’altra “immateriale”, che ha favorito il rilancio culturale e sociale della città e ha migliorato il suo stesso umore. Con l’Expo, infatti Milano ha acquisito una nuova sicurezza e un’attrattività internazionale riuscendo a dimostrare che era capace di fare una cosa grande e di farla per bene. Questo provocò una meravigliosa impennata di orgoglio che investì tutti i cittadini, che diventarono i primi paladini della loro città. Ricordo ancora la splendida risposta dei milanesi alle devastazioni dei No Global: una risposta civica, fattiva, concreta, positiva, molto milanese. Non bisogna mai dimenticare, tra l’altro, che Milano è la capitale italiana del volontariato, e che ha sempre saputo coniugare crescita e solidarietà. A differenza di quanto avvenuto in altre metropoli che hanno ospitato l’Esposizione universale, il nostro Paese è stato anche capace di portare avanti un progetto vincente per il dopo-Expo. Il sito espositivo si sta trasformando nel distretto dell’innovazione di mind, con la realizzazione dello Human Technopole, che renderà Milano un vero hub della conoscenza, leader mondiale nelle Scienze della Vita.
Questo, per me, è un sogno che si avvera. Nel Palazzo Italia e in tanti altri padiglioni espositivi sta nascendo un’infrastruttura di ricerca di livello mondiale, multidisciplinare e integrata, in tema di scienze della vita, genomica, radiomica e data science. Accanto ai ricercatori dello Human Technopole guidati da Iain Mattaj, lavoreranno fianco a fianco centri di ricerca privati, grandi multinazionali e start-up, ricercatori e studenti delle facoltà scientifiche dell’Università e strutture ospedaliere di eccellenza come il Galeazzi. Mind sarà una vera culla di futuro e di sviluppo economico, un luogo dove creare e condividere conoscenze.
Le cose che ho fin qui ricordato devono renderci ottimisti sul futuro di Milano. La pandemia non può e non deve cancellare ciò che i milanesi hanno saputo costruire negli ultimi anni. La città deve superare lo smarrimento che l’ha quasi stordita. Ora, senza abbassare la guardia, dobbiamo riprendere da dove siamo stati interrotti; avviando una nuova fase che ci faccia tornare anche più forti di prima. Milano ha tutte le leve per riuscirci, puntando sui giovani, le università, la creatività, la cultura, l’industria, il commercio e la solidarietà, che sono le sue tante eccellenze. La nostra città non può perdere la sua vocazione di essere per l’Italia un traino e un vero motore civile, sociale e culturale, oltre che economico.
Le parole pronunciate da Ursula von der Leyen in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Bocconi, sono state uno sprone inaspettato: «Milano», ha detto la presidente della Commissione europea, «è la città che non si arrende, che trova la forza di risalire per dare opportunità. Siete una capitale europea del successo, ora siete una capitale europea della solidarietà».
Il dramma che abbiamo vissuto, certo, lascerà tracce indelebili in ognuno di noi, ma tutti insieme possiamo reagire. Anche Fondazione Bracco, che ha da poco celebrato i suoi primi 10 anni di attività a favore della cultura, della scienza e del sociale, ha voluto fare la sua parte. Già a settembre è stata a fianco della Scala, istituzione simbolo della cultura milanese, sostenendo il Concerto Straordinario dedicato al personale sanitario e diretto dal Maestro Chailly, con coro e orchestra del Teatro alla Scala nella Sinfonia n° 9 di Ludwig van Beethoven. Un impegno che veniva ad aggiungersi al sostegno che la Fondazione assicura da anni ai giovani talenti scaligeri come Membro Fondatore dell’Accademia.
Inoltre, per rendere meno buio il Natale dei milanesi e dare un segnale di fiducia, Fondazione Bracco ha donato a Milano “Il Natale degli Alberi”: un progetto di bellezza e di rinascita, con una forte valenza sociale, nato da un’idea di Marco Balich e attorno al quale si sono aggregati tanti protagonisti della città.
Mi piace ricordare, infine, che la stessa Fondazione Bracco in occasione della pandemia ha ripensato il suo modello di attività, proponendo contenuti culturali in streaming. Chiuse le esposizioni permanenti e temporanee, chiusi i teatri e i musei, e con il diktat di rimanere il più possibile a casa per bloccare il contagio, abbiamo offerto proposte fruibili sul nostro ecosistema digitale, dal sito web ai canali social. È nato così Fondazione Bracco a casa tua, un palinsesto multidisciplinare pensato per portare, attraverso la ricca mediateca della Fondazione, cultura, musica, arte e scienza nelle case di tutti. Un successo davvero straordinario hanno avuto, ad esempio, le conferenze sul mondo dell’opera e del balletto del Maestro Fabio Sartorelli del Conservatorio di Milano e dell’Accademia Teatro alla Scala. Insomma, la bellezza, ci può salvare anche in un’emergenza come quella attuale. La rinascita di Milano non può non tenere conto di questo paradigma. O mia città, mi accorgo – passando gli anni – quanto tu sia sottesa a tutto ciò che ho scritto, come se immagini, pensieri, emozioni che ho vissuto non potessero venire che da te, e a te fossero di nuovo, inesorabilmente, ricondotti, anche quando sto parlando d’altro, pensando ad altri luoghi, altri cieli. Dicendo te, e dovrei dire qui, voglio intendere proprio la vita fisica, materiale che da te si dipana, quel tuo scorrere severo e appassionato, in equilibrio tra fare pratico e dimensione utopica, rispetto delle regole civili e spirito di libertà che è da sempre, o almeno dall’epoca di Maria Teresa e di Giuseppe ii, la cifra profonda di quel che sei. Da questo tuo spirito nasce quella sensazione di vitalità che si percepisce semplicemente camminando, salendo su un tram, o scendendo nel ventre così sobrio, ed elegante, delle tue metropolitane. Vagando per queste tue vie, sento che le idee prendono forma, che qualcosa che appena aleggiava nella mente – un progetto, un sogno, un moto ancora indistinto dell’intelligenza – si volge a poco a poco alla sua realizzazione: come se fossi tu stessa – o mia città che non oso, per pudore, neanche nominare –, con la tua energia collettiva, a realizzarlo. Se c’è una cosa che ho patito in questi mesi, e che immagino patirò ancora a lungo, è proprio il contatto fisico con te: non con delle persone precise, ma proprio con te, con i tuoi tram, le tue beole, il tuo cotto, le tue case di ringhiera, i ballatoi, le darsene, i cortili dove un nespolo o un caco – tue piante predilette – si stagliano indolenti sopra le pietre di fiume di una rizzada. Come poteva una città così vocata alla vita in ogni suo aspetto, dove anche l’indolenza è una forma quieta di energia, non essere una città poetica, se per poesia si vuole intendere un esercizio della sensibilità e dell’intelligenza che vanno raccogliendosi, come per una sorta di lunga sedimentazione, nella densità della parola? Se penso al potere evocatore di una pioggia, penso a dei luoghi precisi: alla grande magnolia che apre le sue fronde verdissime nel cortile del Conservatorio, e che sembra tradurre istantaneamente in musica l’acqua che cade dal tuo cielo; o ai rivoli onirici che scendono giù da uno di quei tram del 1928, quando il cielo si fa scuro, e i legni dei sedili all’improvviso si accendono di una sostanza come marina, amniotica; o al quadriportico di sant’Ambrogio, quando i capitelli si caricano di una luce strana, e i suoi animali – bestiario bizzarro, fantastico, ora tenero ora mostruoso – palpitano di una vita arcaica, affondata chissà in quale zolla di tempo. E dentro questo tempo, dentro l’immenso lastricato dei tuoi secoli, ci siamo noi, voci provvisorie che ti devono qualcosa anche se non sanno bene cosa, che se ne stiano accucciati, a sognare, nelle stanze delle tue case, o se ne vadano in giro di porta in porta. Spariscono, com’è destino delle cose del mondo, i luoghi che incarnavano la tua vita celata, operosa, sostituiti da caffè, bar, cremerie che si perdono nell’ignavia delle nuove insegne: neanche ho fatto in tempo a scrivere, qualche tempo fa, di Guenzati, «Bottega al principio della Corsia del Broletto, e Fondaco al n° 1704, nella Contrada delle Galline», nata al tempo in cui il Parini insegnava alle Scuole Palatine, e il Balestrieri intonava le sue Rime milanesi, che già Guenzati non è più – non più, almeno, nella sua sede di una volta. Eppure, c’è stata un’epoca in cui anche i negozi odoravano di una lingua vera, meravigliosamente inventiva, come il catalogo che la «vedova di Giovanni Bertani, e Guenzati» sfoggiava in un riquadro della sua vetrina: «Panni fini, mezzi fini, ed ordinarj, Peluzzi, Roversi, Felpe, Spagnolette, Perpetuelli, Casimiri, Saglie, Molettoni, Camelotti, Cottoni
O mia città
GIANCARLO PONTIGGIA
Poeta, critico letterario e traduttore