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Introduzione LA CAPPELLA DEL ROSARIO DI VENCE

Cappella del Rosario, veduta esterna.

«Bisogna essere sinceri, l’opera d’arte esiste pienamente solo se è carica di emozione umana e se è resa in tutta la sua sincerità, e non per l’applicazione di un programma convenzionale. È per questo che possiamo guardare le opere pagane degli artisti che precedono i Primitivi cristiani senza essere turbati. Ma quando ci troviamo davanti a certe opere del Rinascimento la cui materia è troppo ricca, sontuosa, provocante, allora siamo imbarazzati nel vedere come un sentimento possa partecipare del cristianesimo con tanto fasto e artifi cio»8 .

CAPITOLO PRIMO GENESI DELLA CAPPELLA DEL ROSARIO

Il destino di un incontro

È forse il destino che, con il concorso di circostanze imprevedibili, ha offerto a Matisse l’occasione di progettare una cappella. Nel 1943, a settantatré anni, abita in un grande edifi cio sulla collina di Cimiez, il Régina, un ex albergo che domina Nizza e la baia degli Angeli. Dopo la seria operazione cui è stato sottoposto a Lione, l’artista è sofferente e il suo stato di salute necessita della presenza costante di un’infermiera. Quando la persona incaricata deve assentarsi per un periodo di vacanza, Monique Bourgeois, un’allieva infermiera, si presenta per sostituirla: «Era il 26 settembre 1942. Suonai. Una ragazza, grande, bionda, pallida in volto, venne ad aprire e mi diede brevemente tutte le informazioni del caso»9 . Inizia così il miracolo di una creazione, quella della cappella del Rosario delle domenicane di Vence. Monique Bourgeois, allora ventenne, aveva da poco perso il padre, il 31 gennaio 1942, ed ella stessa, nel 1940, si era ammalata ai polmoni. Nonostante la salute fragile, era andata all’uffi cio di collocamento delle infermiere di Nizza e aveva preso l’autobus per salire a Cimiez. Trovò il pittore costretto a letto: «Sembrava mezzo addormentato, ma mi osservava attraverso gli occhiali cerchiati d’oro…»10 . Nonostante lo sguardo scrutatore del maestro, e il sentimento di timore che ispira alla ragazza, tra i due nasce una corrispondenza di mente e di cuore. Monique darà a Matisse energie nuove, che gli consentiranno non solo di sopportare la sofferenza fi sica, ma anche di affrontare l’ampiezza dell’impegno necessario per la realizzazione della cappella. «Matisse era a volte molto allegro, scherzoso e beffardo; il mio carattere giocoso si adattò benissimo e divenimmo presto complici»11 . Matisse aiuta la ragazza a ottenere una borsa per proseguire gli studi. Li separano più di cinquant’anni. Egli ritrova nel suo viso la gaiezza che ama disegnare, e da infermiera Monique si trasforma in modella. Le sedute di posa si svolgono talvolta in modo imprevedibile. «Un giorno, nervosa, assunsi le posizioni più inverosimili. Matisse si arrabbiò e mi congedò. Senza rendermene conto avevo interrotto l’ispirazione del pittore. L’indomani dovetti fargli le mie scuse. Mi rimproverò dolcemente; gli promisi che sarei rimasta tranquilla»12 . Matisse la raffi gura in quattro dipinti, Monique (4 dicembre 1942), L’Idolo (L’Idole, dicembre 1942), Il Vestito verde e le arance (La Robe verte et les oranges, gennaio 1943), Tabac royal (marzo 1943). Monique lo osserva lavorare alle incisioni su linoleum per Pasiphaé di Montherlant13. Queste esperienze infl uiranno profondamente sulla giovane infermiera, che in seguito disegnerà e dipingerà.

Nel febbraio 1944 Monique Bourgeois entra nella comunità delle domenicane di Monteils. A settembre veste l’abito da novizia e assume il nome di suor Jacques-Marie. Matisse le scrive diverse lettere, interrogandosi talvolta sul senso della sua vocazione. Nel 1945 la salute della religiosa peggiora e deve essere ricoverata in clinica, la casa di riposo Lacordaire di Vence. Sapendo che Matisse abita vicino, gli fa per la prima volta visita come religiosa. L’anno dopo, l’8 settembre 1946, suor Jacques-Marie, dopo aver preso i voti, torna a Vence come suora per l’assistenza domiciliare. Matisse ne parla così: «È domenicana ed è sempre una magnifi ca persona. Chiacchieriamo di una cosa e dell’altra con un tono dolcemente scherzoso. Una volta andata via, Lydia14 mi ha confessato il suo stupore per la nostra conversazione. So che cosa la colpisce: vi avverte una certa tenerezza, anche inconscia. Ho riassunto quel che passa nell’animo di Lydia dicendo che è una specie di fl irt, che vorrei scrivere fl eurt15, perché è un po’ come se ci fossimo lanciati idealmente dei fi ori, dei petali di rosa. E perché no! Nulla ci vieta questa tenerezza, che passa attraverso le parole e va oltre le parole»16 . L’incontro con Monique Bourgeois, come infermiera prima e poi come religiosa, offre a Matisse l’occasione per accedere a una nuova dimensione di rifl essione e creazione. Nel 1947 suor Jacques-Marie gli comunica il desiderio della sua comunità di dotare di una cappella la casa di riposo Lacordaire, e gli sottopone anche uno schizzo per una vetrata raffi gurante l’Assunzione della Vergine, che ha dipinto all’acquarello la sera del 7 agosto 1947, mentre, sola, pregando, vegliava suor Jeanne del Santo Sacramento, sagrestana, in punto di morte: «Perché ho estratto un foglio di carta e mi sono messa a scarabocchiare? Non ne ho idea»17 . L’ingenua freschezza dello schizzo interessa Matisse. «Avevo dipinto un’immagine che raffi gurava una vetrata, e Matisse mi consigliò di realizzarla. Un progetto per la cappella era stato abbandonato, e voleva che la realizzassi in previsione della futura cappella. Ho sempre rimandato, non sentendomi in grado di realizzare una vetrata. Matisse insisteva, promettendomi il suo aiuto. Si andò avanti così per un anno, ma sapevo che quello che decideva Matisse era praticamente fatto»18 . È in questo momento che nasce il progetto della cappella del Rosario di Vence, che prende forma e si sviluppa poco a poco nel corso degli anni seguenti19. Le prime ricerche sull’architettura e la decorazione sono svolte dall’artista a Vence, e proseguono poi al Régina, dove torna nel 1949. L’appartamento si trasforma in un vasto laboratorio sui cui muri si dispongono gli studi, molti dei quali alle dimensioni del vero. Le sofferenze causate dalla malattia e le inquietudini che assalgono l’artista infl uenzano l’ideazione dell’opera. La coesistenza di elementi antagonisti – da una parte i tormenti, dall’altra la pace e la serenità – trova un’eco nella resa stessa del disegno sulle ceramiche parietali ideate da Matisse per la decorazione della cappella: «Il pannello di San Domenico e quello della Vergine col Bambino hanno la medesima intensità decorativa, e la loro serenità ha un carattere di tranquillo raccoglimento che è loro proprio, mentre quello della Via Crucis è animato da uno spirito differente. È tempestoso»20 . Nel giugno 1951 Matisse, malato, non può prendere parte all’inaugurazione della cappella, e scrive una lettera a monsignor Paul Rémond, vescovo di Nizza: «Quest’opera mi ha richiesto quattro anni di lavoro esclusivo e assiduo, ed è il risultato di tutta la mia vita attiva. Nonostante tutte le sue imperfezioni, la considero il mio capolavoro»21 . Suor Jacques-Marie ha costantemente rappresentato il legame tra Matisse e la cappella. La religiosa ha raccolto un prezioso archivio sulla genesi dell’opera, e fi no alla sua scomparsa, nel 2005, ha testimoniato la generosità di questa creazione22 . Nel 1952, inviando un messaggio alla sua città natale, Le Cateau-Cambrésis, che gli rendeva omaggio dedicando una sala del palazzo comunale alla presentazione delle sue opere, Matisse evocava il suo percorso di vita e di lavoro. L’artista metteva in evidenza la determinazione con cui aveva trovato la propria strada di pittore sino a rivelarla a se stesso: «È nella creazione della cappella di Vence che mi sono alla fi ne risvegliato a me stesso […]»23 . È un dato di fatto che l’insieme della decorazione della cappella sia in stretta e concreta relazione con le diverse tappe della sua creatività. La sua terra d’origine, il Nord, dove nacque nel 1869, e l’infanzia in Piccardia, trascorsa a Bohain-enVermandois, lasceranno tracce, in particolare della tradizione di vita laboriosa e della fabbricazione locale di tessuti variamente decorati. Nel 1891, dopo un lungo periodo di convalescenza, Matisse volge le spalle alla formazione giuridica, destinata ad assicurargli un posto di praticante in uno studio legale a Saint-Quentin. Una scatola di colori per dipingere e le cromolitografi e proposte per lo studio costituiscono per il giovane la chiave di un nuovo destino. A Parigi, dopo varie esperienze, diviene allievo di Gustave Moreau, che gli predice il ruolo che avrà nel futuro della pittura24. Nel 1895 il pittore scopre la Bretagna in compagnia di Émile Wery25. Questo primo contatto costituirà l’elemento rivelatore della sua relazione con la natura e la luce. A trent’anni, dopo il matrimonio e in occasione del viaggio di nozze, visita l’Inghilterra, scoprendo le opere di Turner, di cui apprezza soprattutto l’intensa luminosità. Va poi in Corsica dove, per la prima volta, sperimenta l’incandescenza del paesaggio meridionale. Da questo momento Matisse si abbandona alla luce. Nell’estate 1904 raggiunge Paul Signac, maestro del divisionismo, a Saint-Tropez. L’anno successivo, insieme ad André Derain, si isola a Collioure. Dalla sua tavolozza scaturisce un nuovo modo di dipingere con l’utilizzo di colori spremuti direttamente dal tubetto: il “fauvismo”. Nel 1912 prende avvio una tappa ulteriore. In Marocco scopre lo spazio vivacemente colorato e l’ombra diffusa delle vie della Casbah. Le culture diverse e le loro arti lo attraggono. L’artista si circonda di numerosi oggetti e di mobili che, combinandosi, modulano lo spazio quotidiano, diversifi cando le decorazioni e allargando l’orizzonte delle possibilità di rappresentazione grafi ca e pittorica. Questa sensibilità, affi natasi nel corso di tutta la vita, si ritrova nel modo in cui Matisse avvia e porta a termine il progetto della cappella, la cui ideazione in qualche modo riprende, concentrandole, tutte le tappe di scoperta e ricerca da lui percorse, arricchite dalla prova della malattia e dalla sofferenza a causa della grave operazione del 1941, dalla quale si risolleva con nuova forza creativa. «Ho molto sofferto, ma ora sono più solido di prima»26. Da questa rinnovata energia ha origine un periodo ricco di colore e luce, che si rivela nelle illustrazioni per il Florilège des Amours de Ronsard27, con tavole d’impianto architettonico nelle quali testo e disegni sono in reciproco equilibrio. È il periodo in cui Aragon incontra Matisse. Lo scrittore desidera scrivere un libro sul maestro. «Signore, ho pensato di fare di lei un romanzo…»28. L’artista acconsente al progetto, che considera una testimonianza resa alla sua opera, soprattutto perché lo scrittore ha appena terminato la prefazione Matisse-en-France alla raccolta di disegni Thèmes et Variations29. Egli disegna diversi “temi”, visi, giovani donne languide, nature morte, che traccia innanzitutto a carboncino e di cui realizza diverse versioni a penna e china. La rapidità della linea, la semplifi cazione delle forme, l’energia del tratto legato all’emozione manifestano lo spirito di modernità

che caratterizzerà la cappella. Nonostante la salute fragile, prosegue le ricerche. Per l’illustrazione dei Poèmes di Charles d’Orléans30 vuole immaginare la verità di un volto senza ispirarsi a raffi gurazioni precedenti. S’interroga a tale proposito sulla nozione di rassomiglianza, e questioni analoghe si porrà quando dovrà tracciare i volti di san Domenico, della Vergine col Bambino e infi ne di Cristo. Il trasferimento nel 1943 a Vence segna il punto di avvio di una serie di dipinti d’interni caratterizzati dalla densità del colore, dalla creatività della linea e dalla composizione in uno spazio chiaro e defi nito, nonostante l’inquietudine causata dall’arresto della fi glia Marguerite e della moglie Amélie per collaborazione con la Resistenza. Il 23 luglio 1944 scrive a Charles Camoin: «Sai già probabilmente che la povera signora Matisse è stata condannata a sei mesi […]. Da parte mia, credevo di aver provato tutto, sofferenze fi siche e morali. Ma no! C’era bisogno di quest’ultima prova. Non oso pensare a Marguerite, di cui non si sa nulla. […] Da tre mesi, per far fronte a questi problemi, lavoro il più possibile»31. Questo periodo riunisce dipinti concepiti senza limiti precisi, che appaiono, nella luminosità delle tonalità, come una sorta d’immaginario trompe-l’œil. L’artista raccorda il ristretto spazio dell’interno della casa con quello infi nito dell’esterno, aperto sul cielo. Un approccio analogo verrà ripreso nella cappella del Rosario. Nel 1946 un fi lm di François Campaux presenta Matisse come il pittore francese giunto all’apice della gloria e all’apogeo del dominio della sua arte e del suo stile. Nel 1947 il Musée National d’Art Moderne di Parigi, da poco costituito, accoglie nelle sue collezioni importanti opere del maestro32. L’animo di Matisse si apre ancora una volta alla novità con la realizzazione, su richiesta dell’editore Tériade, del volume Jazz33. È in questo contesto di generale riconoscimento della sua opera, e del posto che questa occupa nella storia dell’arte, che Matisse realizza nella più grande semplicità la cappella di Vence.

Un appuntamento col mondo religioso

Monique Bourgeois illumina con la sua giovinezza le ore del pittore segnate dalla malattia e lo spinge a proseguire le sue ideazioni. Suor Jacques-Marie pone l’artista in relazione col mondo religioso, esperienza che per lui d’altra parte costituisce più un approfondimento che una vera e propria rivoluzione spirituale. «Non ho avuto bisogno di convertirmi per realizzare la cappella di Vence. La mia attitudine interiore non si è modifi cata; è rimasta quella che ho sempre avuto, quella che ho davanti a un volto, una sedia o un frutto»34. La materialità dell’opera si confronta con la spiritualità del messaggio che deve trasmettere. Lo spirito dell’uomo si accosta al divino. «Ho iniziato dal profano, ed ecco che al crepuscolo della mia vita in modo del tutto naturale fi nisco col divino»35. L’artista lavora liberamente, come ha sempre fatto nel corso della vita, con umiltà e determinazione. Il suo approccio nasce dall’osservazione e dall’emozione. Egli vive la propria opera, seguendo con fl essibilità le intuizioni e l’ispirazione. Il lavoro sostiene il corpo segnato dalla malattia, mentre l’animo si apre a una grande impresa. L’esperienza della remissione gli consente di attribuire un senso nuovo alla libertà, all’importanza dell’istante e alla stessa esistenza. «Nel corso della mia carriera, ho battagliato […]. Un giorno mi sono trovato davanti al traguardo tanto desiderato. Non sono io che l’ho scoperto, che ho realizzato il mio stato d’animo, mi sembra che un’idea, un ideale si siano imposti a me»36. Lo spirito della cappella, nell’oscillazione tra intuizione e sensazione, diviene movimento. L’opera diviene così la speranza di un adempimento. «La mia unica religione è quella dell’amore per l’opera da creare, l’amore per la creazione e per la massima sincerità»37 . Matisse accosta il fenomeno religioso in modo intimo, dal punto di vista della creazione, in quanto egli stesso creatore. La progressione che s’impone nella realizzazione dell’opera, lo sforzo sostenuto, l’osservazione assidua della natura, tutto culmina in uno stato prossimo alla fede. «Credo in Dio? Sì, quando lavoro. Quando sono sottomesso e modesto, mi sento completamente aiutato da qualcuno che mi fa fare cose che vanno al di là di me»38. L’entusiasmo per la creazione introduce nell’opera una sorta di mistica fatta di fi ducia ed esaltazione. «Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità, e insieme la generosità e la profonda sobrietà che implica la genesi di ogni opera d’arte. Non è forse l’amore all’origine di ogni creazione?»39 . Segnato da questo sentimento e da questo slancio, Matisse è alla ricerca di una forma di rappresentazione che, grazie al suo carattere universale, tocchi spontaneamente la sensibilità di ogni spettatore, chiunque esso sia. Nella cappella si sforza di creare un legame diretto tra espressione e sentimento. La vivacità del gesto ingenera la modulazione e la vita della linea. L’incontro obbligato con il mondo religioso e i suoi codici di rappresentazione è alla fi ne conveniente per l’artista. Si sente a proprio agio, e vi ritrova modi di rifl essione e di espressione vicini a quelli cui è abituato. «Ogni arte degna di questo nome è religiosa. Anche una creazione formata da linee e colori: se questa creazione non è religiosa, non esiste»40. Tutto ciò conforta il pittore nello sviluppo della sua creatività, a differenza dell’esperienza vissuta in gioventù, nel mondo chiuso dell’arte accademica, «quando, lasciando il cavalletto, si riportava un senso di felicità o di scontento a seconda che “fosse

Pagine seguenti: Interno della cappella verso l’altare, con la vetrata de L’Albero della Vita e i pannelli in ceramica di San Domenico e della Vergine col Bambino.

Interno della cappella verso l’ingresso dei fedeli, con il pannello in ceramica della Via Crucis.

andata più o meno bene”, ma si perdeva ogni contatto col quadro che si stava facendo»41. Attraverso la “verità” della cappella Matisse cerca, al tramonto della vita, di raggiungere un nuovo paradigma.

Una «contemplazione attiva»42 per la creazione di uno spazio spirituale

Per Matisse l’ideazione della cappella di Vence presenta le caratteristiche di una contemplazione attiva. In primo luogo l’artista s’interroga sui diversi modi di raffi gurare i soggetti che affronta: la Vergine col Bambinio, San Domenico, la Via Crucis. In seguito, grazie al carattere del tutto personale che attribuisce alle fi gurazioni tradizionali, accede, al di là del visibile, alla contemplazione e rappresentazione di uno spazio soggettivo, il cui senso sia accessibile a tutti. La composizione dei tre pannelli in ceramica, nella semplicità del disegno, rifl ette un universo nel quale, secondo la concezione di Matisse, «l’immaginazione provvede a dare la profondità e lo spazio»43. L’attitudine dell’artista, come quella dello spettatore che in qualche modo lo emula, è descritta da Matisse stesso nei pensieri sul disegno de L’Albero. Il pittore scrive a Rouveyre a proposito della bellezza e del mistero di un tronco, del fogliame, propri del disegno che vi si ispira: «[…] la natura mi accompagna e mi esalta. Azione contemplativa, contemplazione attiva… come dire?»44. A ciò si aggiunge l’importanza del vuoto. «Avevo già osservato come nei lavori degli Orientali il disegno del vuoto lasciato intorno alle foglie contasse quanto quello stesso delle foglie»45. L’impianto grafi co delle vetrate, la loro luminosità, i colori proiettati sulle pareti e sul pavimento della cappella esaltano lo spazio, modifi cando e ampliando i limiti visibili dell’architettura dell’edifi cio, al quale attribuiscono una dimensione spirituale che facilita al visitatore l’accesso a uno stato di meditazione e di contemplazione.

I domenicani del tempo di Matisse

Nell’età contemporanea i domenicani hanno inteso rinnovare il prestigio del loro ordine e il modo in cui è stato percepito il loro messaggio religioso. In nome della libertà di pensiero, la Rivoluzione francese ha scosso l’insieme del mondo religioso, rimettendo in discussione l’identità stessa di alcuni ordini. I domenicani godono tradizionalmente di grande autonomia. Le suore formano un’entità religiosa posta sotto l’autorità di un superiore direttamente soggetto al papa. All’inizio del XIX secolo Henri Lacordaire rilanciò l’ordine dei predicatori, stabilendo il ritorno alla stretta osservanza della regola e adoperandosi per il rinnovamento delle chiese e delle cappelle domenicane, luoghi di meditazione e di predicazione di un pensiero religioso forte e strutturato, da condividere e trasmettere. Architettura e decorazione svolgono in tal senso un ruolo essenziale. La creatività degli architetti e degli artisti si esprime nel rispetto delle convenzioni pratiche e liturgiche dell’ordine, che è peraltro favorevole all’arte, che corrisponde alle sue aspirazioni. L’artista è riconosciuto come il depositario di tecniche che gli consentono di creare opere che esaltano la fede in Dio in modo più diretto di quanto non possa fare la parola. Attraverso la ricerca della bellezza, l’arte accede a uno statuto consonante con l’elevatezza dello spirito religioso. L’opera d’arte deve trasmettere, in modo universale, un messaggio religioso, rendendo percepibile l’astrazione che questo comporta. È in tale contesto che i domenicani si rivolgono ad artisti di culture e sensibilità diverse, ritenendo che non sia necessario essere credenti per creare un’opera religiosa. Dal 1920 l’impegno di alcuni domenicani, come il canonico Jean Devémy, rende possibile realizzare nuove cappelle, come quella di Notre-Dame-de-Toute-Grâce, destinata ai degenti del sanatorio dell’altopiano di Assy in Alta Savoia46. Alcuni anni dopo, nel 1937, padre Marie-Alain Couturier si dedica al rinnovamento dell’arte sacra. Anima della rivista L’Art Sacré con padre Pie-Raymond Régamey, rifl ette sul ruolo dell’arte nella Chiesa in relazione al carattere spirituale che può rivestire la creazione artistica47. Apre così, nel modo più vasto, il mondo religioso agli artisti contemporanei di credenze e confessioni diverse. Anche il mondo della cultura inizia a interessarsi al problema, come testimonia la mostra al Petit Palais di Parigi, Vitraux et tapisseries (4-30 giugno 1939), nella quale «opere religiose erano fraternamente accanto a opere profane fi rmate da Braque, Picasso, Léger e Lurçat»48 . Per la cappella di Assy, ad esempio, Rouault è invitato e realizzare le vetrate, Fernand Léger la facciata in mosaico e Bonnard la decorazione di un altare. Germaine Richier realizza il Crocifi sso per l’altare maggiore, mentre Braque contribuisce con una decorazione, come pure Chagall. Nel 1948 viene coinvolto anche Matisse. L’artista, che già da un anno lavora alla cappella del Rosario di Vence, riprende la fi gura di San Domenico, che rappresenta a mezzo busto, affi nché possa essere collocata in una nicchia al di sopra di un altare laterale. Il tratto, come nel caso della cappella di Vence, è a pennello. La linea nera spicca sulle piastrelle di ceramica gialla, mentre tralci di vite formano un pergolato che accompagna la curva dell’arcata. In questo periodo di effervescenza artistica la cappella del Rosario di Vence assume una dimensione singolare. Nelle ricerche e negli studi che conduce, Matisse è attento al punto di vista dei religiosi e della tradizione liturgica, pur cercando di superarli. Grazie alla semplifi cazione dell’espressione, riesce così a trascendere la materialità della raffi gurazione e andare al di là del visibile. Sul pannello della Vergine col Bambino la lettura dell’iscrizione «Ave» può proseguire nella mente dello spettatore come una preghiera silenziosa. La natura divina, immateriale, entra in contatto con gli uomini grazie all’elevazione dello spirito che l’arte consente. L’interpretazione domenicana trova un’eco nella composizione intuitiva di Matisse. «Ave» corrisponde così a «Amor Verbum Æternitas», le tre lettere che formano una trinità, «Amore Parola Eternità», asse della predicazione domenicana. L’artista è consapevole della grande responsabilità di cui è stato investito avendo accettato di decorare un edifi cio che pone in relazione l’uomo col divino. Sa di dover inscrivere il suo lavoro nella lunga storia dell’arte sacra e dei suoi capolavori. Ciononostante non ne è dissuaso. Si tratta per lui di allargare i limiti della rappresentazione tradizionale dei temi religiosi.

CAPITOLO SECONDO LA CAPPELLA: ARCHITETTURA E DECORAZIONE

«In uno spazio assai limitato, poiché la larghezza è di cinque metri, ho voluto inscrivere, come sino ad ora avevo fatto in dipinti di cinquanta centimetri o di un metro, uno spazio spirituale, uno spazio cioè delle dimensioni che la stessa esistenza degli oggetti rappresentati non limita»49 .

Sin dall’inizio, nella realizzazione della cappella del Rosario, si impone la visione di Matisse. L’artista ritiene di essere stato «scelto»50, e ogni tappa della realizzazione è il frutto del confronto tra le informazioni che riceve dall’ambiente domenicano, le ricerche iconografi che e gli studi grafi ci che moltiplica. Come è stato già ricordato, la sua esperienza d’artista, le prove cui è stato sottoposto dalla malattia, l’incontro con suor Jacques-Marie costituiscono altrettanti elementi fondamentali della genesi dell’opera. Da molti anni Matisse era attratto inoltre dall’ideazione di opere di grandi dimensioni, che unissero decorazione e architettura, come La Danza (La Danse), realizzata nel 1931 per la Fondazione Barnes. L’incontro, nel 1947, col frate domenicano Louis-Bertrand Rayssiguier, allora novizio, in soggiorno temporaneo di riposo presso i domenicani di Passe-Brest a SaintPaul-de-Vence, ha svolto un ruolo molto importante nello sviluppo progettuale della cappella. Il domenicano ha nozioni di architettura, ed è considerato l’architetto della Provincia domenicana di Francia a Parigi. S’interessa all’arte contemporanea e desidera partecipare al movimento di rinnovamento dell’arte religiosa avviato da padre Couturier. Avendo saputo da suor Jacques-Marie che Matisse abita a Vence, desidera incontrarlo. Si reca così a Villa Le Rêve il 4 dicembre 194751 , portando con sé una pianta già predisposta per la cappella da sottoporgli. Conosce l’interesse di Matisse per il progetto destinato alle suore domenicane di Vence. Tra il domenicano e l’artista si avvia così un dialogo e si stabilisce un’intesa sulle linee fondamentali del progetto. «Per defi nire la planimetria della cappella il giovane domenicano si era ispirato a piante e fotografi e di chiese della Svizzera tedesca apparse qualche mese prime ne L’Art Sacré52, un semplice e sobrio parallelepipedo con una sporgenza laterale per il coro riservato alle religiose»53. Nonostante ciò, le loro concezioni si riveleranno rapidamente divergenti. In aprile Matisse decide che i pannelli decorativi debbano essere collocati in alto, in contrasto con l’intenzione di frate Rayssiguier di creare un equilibrio tra le vetrate e le composizioni fi gurate,

Lato sud della cappella, con il giardino e sul fondo la casa di riposo Lacordaire.

sul quale informa l’artista in maggio, annunciandogli che le vetrate sarebbero state poste alla stessa altezza delle fi gurazioni. Il 24 maggio, in occasione di un nuovo incontro, Matisse propone al contrario di accrescere l’importanza delle vetrate. Poiché la concezione dell’artista si discosta troppo da quella di frate Rayssiguier, quest’ultimo decide di farsi da parte. In accordo con padre Couturier prosegue comunque gli studi, e propone l’intervento di Le Corbusier54. Matisse respinge però i suggerimenti. In realtà non desidera l’intervento di un architetto, ma si conforma alle scelte di Auguste Perret, riconosciuto specialista nell’uso del cemento. Ai progetti esistenti vengono apportate alcune modifi che, con l’innalzamento in particolare del soffi tto, proposta avversata da Matisse. Il pittore desidera che si faccia piuttosto appello, se necessario, a Milon de Peillon, un architetto di Nizza di sua conoscenza. «Ma aveva poco da dire in proposito, se non che aveva avuto l’ingenuità di promettere a Matisse di costruirgli “un piccolo gioiello” […]. Resterà comunque sempre l’“ombrello” professionale, giuridico e uffi ciale del cantiere di Vence»55 . Colloqui e scambi di lettere sulle vetrate proseguono con padre Couturier e con Paul Bony, maestro vetraio, realizzatore di vetrate d’artista come quella di Rouault per la cappella di Assy. La corrispondenza con quest’ultimo56 consente di chiarire il ruolo svolto da Matisse nella realizzazione delle vetrate di Vence. Dopo essersi anzitutto preoccupato del luogo preciso da attribuire a queste nell’edifi cio, Matisse s’informa sulla tecnica della vetrata, al fi ne di raggiungere la massima luminosità possibile. Discussioni e modifi che si succedono nel corso dei quattro anni impiegati per edifi care la cappella. Indipendentemente dai suoi interlocutori, Matisse desidera che la cappella venga considerata un’opera d’arte nel suo insieme, alla stregua di un dipinto o di una scultura. Vuole conservare piena libertà di espressione, e si preoccupa di tutti gli elementi del progetto, studiati nei minimi dettagli, tra i quali s’impegna a stabilire elementi di collegamento. L’architettura e le vetrate sono subordinate al ruolo essenziale che Matisse attribuisce alla luce. A loro volta il colore, le fi gurazioni e l’arredo liturgico costituiscono l’universo interiore della cappella, dischiuso sulla natura e il paesaggio di Vence. La cappella s’inscrive in tal modo nella storia dell’arte come un’opera unica. Matisse restituisce a un luogo tradizionale una modernità che apre la strada a nuove forme di espressione artistica, fondate su una radicale semplifi cazione delle fi gurazioni e sulla predominanza del ruolo della luce in collegamento con la luminosità del colore. Verso un nuovo spazio

Alcune opere precedenti di Matisse, grazie all’esperienza acquisita per loro tramite, hanno contribuito indirettamente all’ideazione della cappella di Vence. Nel 1931 la commissione, da parte del dottor Alfred C. Barnes, di tre pannelli decorativi per la sua fondazione a Merion negli Stati Uniti gli offre l’occasione di proiettare il suo lavoro in una nuova dimensione, legata all’architettura e allo spazio. Matisse doveva creare una decorazione che occupasse tre arcate al di sopra di tre alte fi nestre. Invece di prevedere per ciascuna delle tre superfi ci disponibili singoli soggetti, riprende per l’insieme il tema della danza, già affrontato nel 1905-1906 ne La Felicità di vivere57, e in seguito nel 1909-1910 in un’opera di grandi dimensioni58 destinata allo scalone monumentale della residenza privata del collezionista russo Sergej Šcukin a Mosca. A ventisei anni di distanza trasforma la composizione per integrarla nelle tre arcate della parte alta della parete. Dopo numerosi studi, ottiene l’effetto desiderato: il movimento dei danzatori trasforma la percezione dello spazio creando un’illusione di continuità tra le arcate. L’ostacolo determinato dai pilastri è superato con la loro trasformazione in un elemento scenografi co della decorazione59. Il contrasto cromatico e il gioco luminoso delle fi nestre, in controluce, amplifi cano la composizione. «La mia decorazione collega tra loro le differenti parti del soffi tto e dell’intera parete facendone un vasto insieme luminoso. L’ho paragonata al grande portale di una cattedrale, sormontato dalla sua lunetta»60 . Sin dall’inizio Matisse domina lo spazio pittorico in un modo nuovo, che segnerà l’arte del XX secolo. In particolare nel periodo fauve l’artista utilizza in modo originale il cromatismo, rendendo il modellato di un volto con la giustapposizione di colori accesi e differenziando i piani del dipinto con l’impiego di vari colori, tra cui i complementari. Altrettanto inedita e inattesa è la percezione dello spazio e la relazione che stringe con ciò che osserva: «Il mio scopo è rendere la mia emozione. Questo stato d’animo è creato dagli oggetti che mi circondano e dalle loro reazioni su di me: dall’orizzonte sino a me stesso, compreso me stesso. Poiché molto spesso mi metto nel dipinto e ho coscienza di ciò che esiste dietro di me. Esprimo lo spazio e gli oggetti che vi si trovano con la stessa naturalezza, come se avessi davanti solo il mare e il cielo, cioè quanto vi è di più semplice al mondo»61 . L’artista ama confondere cielo e mare, come gli capitò di sperimentare nel corso dei bagni nelle lagune degli atolli della Polinesia, in occasione del soggiorno a Tahiti nel 1930, e a tale confusione s’ispira nelle opere successive. A ciò si aggiunge, verso la metà degli anni Quaranta, il fondamentale passaggio alle composizioni

INGRESSO DALLA SAGRESTIA

PANNELLO DI SAN DOMENICO

VETRATA DELL’ALBERO DELLA VITA

ALTARE

INGRESSO PER IL CLERO STALLI PER LE RELIGIOSE DOMENICANE CONFESSIONALE

PANNELLO DELLA VERGINE COL BAMBINO INGRESSO

VETRATE PANNELLO DELLA VIA CRUCIS

ENTRATA PER I FEDELI E I VISITATORI

INGRESSO DAL GIARDINO

VETRATE Pagine seguenti: Lato sud della cappella, con particolari architettonici.

monumentali realizzate in papier gouaché découpé, nelle quali s’immerge in nuove combinazioni di forme e colori. L’ambiente chiuso della cappella diviene uno spazio immaginato e pensato da Matisse. Verso il novembre 1948 il progetto è defi nito. Nel 1949 l’artista lascia Vence per tornare al Régina, dove lo spazio e le pareti corrispondono alle dimensioni della cappella. Lavora così in scala reale, trovando grande libertà di movimento e di modifi cazione delle composizioni. Le pareti dell’appartamento vengono ricoperte dai disegni frutto degli studi, dai bozzetti per le vetrate in papier gouaché découpé, e dal modellino della cappella realizzato con suor Jacques-Marie, che gli consente di chiarirsi le idee62. La semplicità della sua pianta e della decorazione danno concretezza a questa volontà. Frate Rayssiguier raccoglie, il 22 luglio 1948, i pensieri di Matisse, che citano i suggerimenti dell’architetto Perret63: «Mi ripete ciò che ha già detto ieri: quello che gli interessa è mettere lo spazio e la luce in un volume che, in sé, non ha particolare interesse»64 . La struttura della cappella suggerisce sorprendentemente un effetto di ampiezza. Una porta di modeste dimensioni, senza particolari caratteristiche, dà accesso all’interno, articolato in tre spazi differenziati dalla loro semplice disposizione. Sin dal momento dell’ingresso, il fedele si trova nello spazio destinatogli, da cui l’insieme dell’ambiente gli si rivela. Sul fondo, a sinistra, gli stalli in legno sono riservati alle monache. La collocazione in diagonale dell’altare maggiore, sopraelevato di due gradini su una pedana di marmo, pone il sacerdote di fronte alle religiose e ai fedeli. Dietro l’altare, uno spazio lasciato libero consente gli spostamenti nel corso delle celebrazioni. Questa calcolata disposizione, legata alle differenti funzioni di religiosi e fedeli, partecipa della limpidezza dello spazio e favorisce il contatto diretto degli uni con gli altri. Attraverso la ristrettezza degli assi visivi e la semplifi cazione delle linee Matisse riesce a creare una sensazione di vuoto e di infi nito.

Henri Matisse e suor Jacques-Marie, Modello dell’interno della cappella di Vence, 1948, tecnica mista. Musée Matisse, Nizza.

Planimetria generale.

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