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Verso un nuovo spazio
from MATISSE. VENCE
by Jaca Book
«I pannelli in ceramica sono formati da grandi piastrelle di terracotta smaltata di bianco, e recano disegni fi liformi neri, che li decorano pur lasciandoli chiarissimi. Ne risulta un insieme nero su bianco nel quale domina il bianco, di una densità in equilibrio con la superfi cie della parete opposta, costituita dalle vetrate […]»69 .
La realizzazione dei disegni sulle piastrelle di ceramica comporterà molte diffi coltà e necessiterà di diversi tentativi. Matisse le desiderava rettangolari e non quadrate. Nel 1949 la loro realizzazione è affi data alla ditta Ramier di Vallauris. Matisse, che negli anni del periodo fauve ha già praticato la decorazione della ceramica con il ceramista André Metthey, si esercita su piatti, ma si tratta di prove non conclusive. Oltre ai problemi posti dalla cottura e dall’ottenimento del fondo in smalto bianco, occorreva assicurarsi che da una piastrella all’altra il nero del disegno fosse perfettamente uniforme. «In un primo momento si era deciso di tracciare i disegni in nero su biscuit ricoperto sul lato decorato da uno strato di ossido di stagno in polvere – ma questo strato assorbiva troppo rapidamente il nero per tracciarvi un tratto, e l’esecuzione era molto diffi cile. Inoltre la fragilità delle piastrelle così preparate complicava grandemente il loro trasporto. Si decise perciò […] che il fondo bianco sarebbe stato cotto prima di essere decorato. L’esecuzione dei disegni era garantita, e si sarebbero eseguiti come su un piatto»70. La cottura si presentò complessa, e la maggior parte delle piastrelle si ruppe, come scrive il 19 agosto 1949 suor Jacques-Marie: «Le piastrelle hanno mal sopportato la nuova cottura. La maggior parte si è rotta. Ne restano 50 su 200, e male smaltate»71. Il problema troverà soluzione solo qualche mese più tardi, in novembre. Il tratto spicca sul bianco delle piastrelle, poste l’una accanto all’altra, conservando perfettamente la continuità. I disegni fi liformi tracciati in nero sono frutto di una lunga pratica, nutrita di rifl essione e sforzi, e sono caratteristici dell’arte di Matisse. Il 30 ottobre 1941 Matisse indirizzava ad André Rouveyre le seguenti parole: «La mia ispirazione disegnativa sta per fi nire, e sono sul punto di tornare alla pittura»72. Sei mesi più tardi, il 3 aprile 1942, scrive al fi glio Pierre: «Da un anno ho fatto un enorme sforzo nel disegno. Dico sforzo, ma è un errore, perché ciò che è accaduto è una fi oritura dopo cinquant’anni di sforzi. La stessa cosa ho fatto in pittura»73 . In questo periodo Matisse realizza la serie di disegni a penna e carboncino poi raccolti in Thèmes et Variations, opera pubblicata nel 1943, con un’introduzione di Louis Aragon intitolata Matisse-en-France. L’insieme presenta uno dei princìpi essenziali della produzione grafi ca dell’artista. Matisse parte dalla rappresentazione di un tema: un volto, un oggetto. Per comprendere le forme e appropriarsene moltiplica le linee, cancellando quelle che non vuole conservare. Si costituisce così una sorta di sfumato grigio dal quale è generato il disegno defi nitivo. Nel giugno 1942 l’artista spiega al fi glio la necessità che avverte di impregnarsi del tema, tanto in pittura quanto nel disegno: «[…] fare in pittura quel che ho fatto nel disegno… tornare alla pittura senza contraddizione come nelle dalie […]»74 . Nella realizzazione dei tre pannelli della cappella di Vence, San Domenico, la Vergine col Bambino e la Via Crucis, Matisse percorre la stessa via. Il disegno di ciascuna raffi gurazione è in relazione col carattere specifi co del soggetto: la fl essuosità e la statura imponente del San Domenico, l’allegoria al centro della rappresentazione
Vergine col Bambino su sfondo di stelle Studio per il pannello della cappella di Vence, 1949, pennello e inchiostro di china su carta. Musée Matisse, Nizza. Studio per la Vergine col Bambino Cappella di Vence, 1949, carboncino su carta. Musée Matisse, Nizza.
della Vergine col Bambino, la “scrittura” scandita dalla successione delle stazioni della Via Crucis. Il pittore si appoggia alle informazioni fornitegli dai frati domenicani e ai riferimenti pittorici, accademici o classici, che copia, senza peraltro rinunciare all’interpretazione personale dei soggetti. Come in Thèmes et Variations, attraverso la ripetitività del lavoro grafi co, entra nel ritmo vivo del disegno. La perfetta conoscenza del soggetto, nel quale s’immerge, lo libera, consentendogli di tracciare a suo piacimento la linea giusta, in diretta corrispondenza con l’emozione. Punto di arrivo della sua esperienza, e della maestria da questa generata, è il mistero di un tratto autonomo e vivo. «Quello che più mi preme? Lavorare sul modello sino ad averlo in me quanto basta per poter improvvisare, lasciar correre la mano riuscendo a rispettare la grandezza e il carattere sacro di ogni cosa vivente»75 . La possibilità, sempre presente, di modifi care la direzione del tratto e di cancellarne la traccia fa sì che questo si blocchi al momento opportuno, non essendo altro che la rappresentazione possibile di un momento particolare. Ciò conferisce ai disegni di Matisse una qualità particolare, che segnerà la grafi ca del XX secolo. Dagli inizi dell’Ottocento il disegno non costituisce più uno stadio preparatorio della pittura. «Dar vita a un tratto, a una linea, fare esistere una forma, ciò non si risolve nelle convenzioni accademiche, ma al di fuori, nella natura, con l’osservazione penetrante delle cose che ci circondano»76. Con la realizzazione della cappella di Vence, Matisse dà vita al disegno. Disegna con precisione e libertà sui pannelli di piastrelle di ceramica come se si trattasse di un supporto uniforme. Dipinge direttamente col pennello sulle piastrelle poste sul pavimento. Come un calligrafo, modula il tratto per attribuirgli vivacità, sfruttando la fl essibilità dello strumento utilizzato. Questi disegni, che divengono una sorta di scrittura, s’integrano nello spazio della cappella e interagiscono con le composizioni e i colori luminosi delle vetrate.
La Vergine col Bambino
I fedeli che entrano dalla porta loro destinata trovano, sulla parete di destra, il pannello di piastrelle di ceramica bianca con la Vergine col Bambino. Il volto privo di tratti e le mani disgiunte, la Vergine accompagna col suo gesto quello del fi glio, che lascia librarsi con le braccia già a forma di croce. Il disegno, a smalto nero steso a pennello, preserva il biancore madreperlaceo e luminoso del supporto. Matisse disegna direttamente sulle piastrelle come farebbe con un disegno su carta: «Appena il mio tratto commosso ha modellato la luce del foglio bianco, senza toglierle la qualità del suo toccante candore, non posso più aggiungere né riprendere nulla»77 . La raffi gurazione della Vergine col Bambino attraversa, con modalità molto differenti, il mondo cristiano, dalla Vergine Theotokos sino alla semplice rappresentazione simbolica della maternità. Matisse compie diversi studi alla ricerca di una propria interpretazione. Nel 1947 disegna una giovane donna che allatta un bambino, modello di cui non si avvarrà nella cappella78, ma che utilizza per illustrare il Tableau de sainteté, poema di Charles Cros. Nel corso delle ricerche l’artista attribuisce un carattere materno alla Vergine, che regge un bambino paffuto. Nel disegno fi nale mantiene la frontalità della Vergine, che richiama quella delle Maestà bizantine. Preferisce tuttavia esprimere una personale interpretazione sia nella raffi gurazione sia nella simbolica attribuita al tema, come testimoniano le rifl essioni riferite da frate Rayssiguier: «Ha schizzato una nuova Vergine; “ho avvicinato le teste come in certe icone russe”, “era troppo inumano”, “bisogna che vi sia più amore”»79. Matisse si concentra sulla rappresentazione di una madre il cui destino è dominato dall’offerta sacrifi cale del fi glio. Inscrive entrambi in uno spazio aereo nel quale il gesto di offerta della Vergine è simboleggiato da semplici tratti a rappresentare le dita delle mani, che non si congiungono né per reggere il bambino né per trattenerlo. Matisse riassume questo destino nell’iscrizione in alto a sinistra del pannello, con le parole dell’annunciazione dell’arcangelo Gabriele, «Ave…», e con quelle dell’accettazione della Vergine, «Fiat voluntas tua»80. Capita spesso all’artista, sia in pittura sia nel disegno, di rappresentare frontalmente i modelli femminili, creando una relazione diretta con lo spettatore, frontalità che d’altra parte caratterizza anche l’icona, nella quale l’incrocio degli sguardi tra immagine e spettatore evoca la relazione tra uomo e divinità. Un altro aspetto che si ritrova nell’opera di Matisse è la questione, in un dipinto o in un disegno, della scelta di raffi gurare o meno i tratti del volto. Nel corso di tutta la sua attività Matisse sviluppa una concezione particolare del ritratto, che mette in relazione l’identità di una fi gura e la spiritualità della vita che questa rappresenta. Ricerca una nuova espressione artistica, che tenta di andare al di là della materialità iconografi ca, guidando lo sguardo impigrito dello spettatore. «Bisogna mettere sotto i loro occhi un’immagine che lasci dei ricordi e li conduca un po’ più in là… Ma è un’arte di cui oggi non abbiamo più bisogno. È un’arte superata»81. Dipinti come Donna con la gandoura blu82 , Katia con l’abito giallo83 , Donna con perle84 passano così dalla rappresentazione dei tratti del volto alla loro assenza. Il viso assume l’intensità del vuoto. L’artista ha sempre cercato di rendere, più che la rassomiglianza col
Interno della cappella, pannello in ceramica della Vergine col Bambino.
modello, l’intensità espressiva del viso. Può così evocare lo sguardo col semplice tratto di una forma nera oblunga. D’altra parte l’assenza dei tratti tradizionalmente utilizzati per delineare un volto cattura l’attenzione dello spettatore, che è portato fuori dalle convenzioni abituali. I motivi che circondano la Vergine sono essi stessi aerei. Intorno non vi sono più i fi ori di giglio come nei precedenti studi, ma forme poco identifi cabili che ricordano elementi vegetali o nuvole. La rappresentazione del Bambino è notevole per la sensibilità intuitiva manifestata dall’artista. «Ieri, mi è venuto di invecchiare Gesù Bambino – di un infante ho fatto un ragazzo – sono uscito dalla tradizione»85. Il Bambino, con le braccia a forma di croce, evoca la sua futura crocifi ssione. Nonostante ciò, il gesto può essere anche interpretato come un segno di accoglienza e protezione. Posto all’altezza delle spalle della Vergine, richiama la fi gurazione medievale della «Madonna del Soccorso». Un tratto lega il corpo del Bambino a quello della Vergine, come a dimostrare l’unicità del loro destino. Un’altra raffi gurazione della Vergine col Bambino è all’esterno, sulla facciata ovest, al di sopra della vetrata dell’Albero della Vita. Chiusa all’interno di un tondo, con i tratti intrecciati, la forma della Vergine appare più avvolgente, se non altro per la forma circolare delle braccia. Sul tabernacolo dell’altare, in rame cesellato, Matisse offre un ulteriore aspetto della sua interpretazione della Vergine col Bambino, oltre che di San Domenico. Come in ogni sua altra opera, l’artista adatta il progetto al luogo al quale è destinato, l’architrave della porta, l’altare maggiore, un pannello murale. Ciò gli consente di declinare in tutta la loro ricchezza i sentimenti e le caratteristiche che un tema possiede. Così, al di sopra della porta d’ingresso dei visitatori, l’appropriata inclinazione dei volti della madre e del fi glio esprime con un tratto essenziale la tenerezza materna. Presente in vari luoghi della cappella, con un’espressione ogni volta particolare, la Vergine offre a Matisse l’occasione per variazioni attorno a ciò che simboleggia, essendo ritenuta dai domenicani il simbolo della fi nalità della vita umana, nell’unione di nascita e resurrezione. Tali variazioni, così come il disegno fi nale, sono per Matisse «come una preghiera che si ripete sempre meglio. Non ho mai potuto fare cose che non sentissi in me»86. Parlando dei fi ori che circondano la Vergine, Matisse aggiunge: «Questi fi ori li avevo in me da anni, li avevo osservati a Vence nelle aiuole del giardino»87 .
Pannello della Vergine col Bambino. Pagine seguenti: Esterno della cappella, ingresso per i fedeli e i visitatori con il pannello in ceramica di San Domenico e la Vergine col Bambino.
Lato nord-ovest della cappella, tondo in ceramica della Vergine col Bambino.
Studio per il San Domenico 1950-1951, litografi a. Collezione privata.
Pagine seguenti: Pannello in ceramica di San Domenico nel contesto della parte absidale.
San Domenico
«Basta un segno per evocare un volto, non c’è nessun bisogno d’imporre alla gente degli occhi, una bocca… bisogna lasciare il campo libero all’immaginazione dello spettatore»88 .
Matisse ha scelto di porre la raffi gurazione di san Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine dei predicatori, sulla parete a destra della vetrata dell’Albero della Vita, nello spazio liturgico dedicato alla celebrazione della messa, alle spalle dell’altare maggiore, di fronte agli stalli riservati alle suore domenicane. L’abito tradizionale domenicano si compone di una tunica bianca, stretta in vita da una cintura in cuoio, di uno scapolare privo di maniche con cappuccio, posto sulle spalle a coprire la parte alta del busto e le braccia sino ai gomiti. All’esterno del convento il frate domenicano indossa una cappa nera, composta da un mantello con cappuccio. A partire dal XV secolo i domenicani mettono alla cintura un rosario formato da cinque decine di grani. Matisse scelse di raffi gurare il santo col mantello mentre regge nella mano destra il Vangelo, fondamento della meditazione e della predicazione. Partendo da questi elementi – il mantello, il cappuccio, lo scapolare e il Vangelo, a cui si aggiunge il volto –, lavora alla raffi gurazione del santo. Prende inizialmente come modello padre Couturier, di corporatura imponente, e varia poi gli studi, modifi cando scala e proporzioni. Imprime in sé la forma del costume e dei suoi componenti, cercando di cogliere il messaggio spirituale di cui il santo è depositario. Sceglie di enfatizzare le linee dell’unica mano raffi gurata, quella che regge il testo sacro. A tale scopo conduce diversi studi89 sul polittico di Isenheim di Grünewald, e sulle raffi gurazioni del Cristo Pantokrator90 per la «mano mistica» del 1948-1949. Poco a poco s’impone la semplifi cazione delle forme, che si sostituisce al manierismo iniziale del modello. L’unica mano visibile del santo, che regge il Vangelo, colpisce lo spettatore per la sua sproporzione e il modo con cui sembra fuoriuscire dal mantello. Matisse rompe anche con la tradizione che consente d’identifi care il santo dal suo attributo, il giglio mariano. Ogni elemento dell’opera acquisisce così una propria identità, amplifi cata dalla rigorosa semplifi cazione dei tratti. Il Vangelo è identifi cabile per la presenza di una semplice croce posta su una superfi cie delimitata su tre lati. Nella versione fi nale il pittore moltiplica le linee dell’abito per attribuire al personaggio una statura imponente. Sottolinea la sinuosità del cappuccio della cocolla per accompagnare il capo e il volto del santo, sfruttando l’originale elaborazione estetica della veste. La materialità del santo e la sua presenza nel mondo sono
sottolineate dall’assenza dell’aureola. L’insieme identifi ca il santo come permanentemente presente tra i confratelli e di fronte ai fedeli. Così come per la Vergine, mancano i tratti del volto.
La Via Crucis: la tragedia silenziosa della linea
«Bisogna che sia così penetrato, così impregnato del mio soggetto da poterlo disegnare a occhi chiusi… […]. Ciò scaturisce naturalmente da me, e allora il segno stesso è nobile»91 .
Matisse realizza la Via Crucis permeato da un sentimento di intima vicinanza alla «pateticità di questo dramma così profondo»92. Le quattordici stazioni della Via Crucis, riunite in un unico pannello, simboleggiano in uno sguardo d’insieme la salita al Calvario. Presentate come un unico evento, si differenziano dalle fi gurazioni presenti tradizionalmente nelle chiese, dove ogni stazione è separata dall’altra. Matisse vi aggiunge la propria visione della relazione tra la Via Crucis e la luce della redenzione. Solo quando il visitatore si volta, la Via Crucis si consegna al suo sguardo. Può allora vedere il pannello in ceramica che riunisce le quattordici stazioni93. La fi gurazione è diversa rispetto agli altri pannelli. Si tratta di un racconto visivo nel quale la cadenza e l’accentuazione delle linee corrispondono a ciò che Matisse defi nisce un «dramma […] che fa straripare sulla cappella lo spirito appassionato dell’artista»94 . Nella semplicità dell’intenso candore della cappella, animata dai colori delle vetrate, la Via Crucis assume una dimensione particolarmente commovente. Le stazioni sono distribuite su un pannello di 4 metri di lunghezza per 2 di altezza. L’opera si distingue dalle Viae Crucis tradizionali, il cui uso si è generalizzato nelle chiese dal XII secolo in poi, nelle quali le stazioni sono disposte tutt’intorno alla navata maggiore o alle laterali, come punti di sosta processionali destinati a far rivivere simbolicamente, per mezzo di un trasferimento fi sico del fedele o dello spettatore, le tappe della sofferenza di Cristo. Qui lo sguardo abbraccia l’insieme delle stazioni, riunite su un’unica superfi cie, cosa che favorisce la concentrazione e la contemplazione: «Le ceramiche sono l’essenza spirituale e spiegano il monumento. Così, nonostante l’apparente modestia, divengono il punto cruciale cui tocca precisare il raccoglimento che dobbiamo provare»95 . Si tratta di un percorso rappresentato nell’unità di tempo e luogo, che concentra l’interesse sul dramma della crocifi ssione, descritto da Matisse come il più grande
dramma dell’umanità. Invece di riunire semplicemente le scene su un unico pannello, l’artista, con linee ritmicamente incisive, incastra le stazioni le une nelle altre, a formare un tutt’uno. Questa interdipendenza concentra l’interesse dello spettatore sull’atteggiamento di Gesù e sullo svolgersi degli eventi, piuttosto che sull’aspetto decorativo delle scene, qui assente. Nessuno dei vincoli di ideazione ed esecuzione che potrebbero gravare su un artista abituato alle convenzioni e ai canoni della pratica religiosa ostacola Matisse. Egli è pienamente cosciente del contesto religioso nel quale opera, ma ciò non lo induce a operare particolari trasformazioni nel modo di credere. Si considera un rivelatore di emozioni e di sentimenti. Ciò che ricerca, ciò che desidera condividere e provocare è altrove: un’emozione spirituale percepibile dai credenti e dai non credenti. Il vettore utilizzato a tal fi ne è il tracciato della linea e la sua specifi ca modulazione nelle diverse tappe di ascesa al Golgota. Sin dalla prima stazione, Gesù davanti a Pilato, si determina un andamento ritmico. Nei primi studi Gesù è una fi gura di piccole dimensioni, schiacciata dalla monumentalità del trono di Pilato. La versione fi nale presenta Gesù con tratto fermo, con la testa alla medesima altezza di quella di Pilato. Le stazioni si succedono nella concatenazione delle linee e delle forme. La croce che porta Gesù96 s’integra nella curva della sua schiena, nell’unione di sofferenza e sforzo. Quando Gesù cade per la prima volta97, faccia a terra, la linea spezzata accentua l’immagine della caduta. Negli studi l’intensità emotiva dell’incontro di Maria col fi glio98 si legge nello sguardo, prima di scomparire nella versione fi nale. Gesù è ritto in piedi di fronte alla madre, che s’inclina all’indietro come per lasciar passare il fi glio nell’accettazione del suo destino. I tratti della croce sono in primo piano, sbarrando la silhouette di Gesù che crolla a terra e di Simone che gli viene in aiuto99. Per la sesta stazione Matisse sceglie di rappresentare il velo della Veronica come un quadrato sospeso in aria con dei nodi, il cui aspetto decorativo contrasta con la morbidezza dei tratti del volto di Cristo. È l’unico volto della cappella. Con la seconda caduta di Gesù100 Matisse accentua il ritmo della linea e dello spazio. Il corpo di Gesù è così imponente da contrapporsi alla scena della crocifi ssione. Per l’ottava stazione Matisse evoca le Pie donne in modo minimalista, con tre tratti verticali. Nella scena della terza caduta101 Gesù rivolge il viso al cielo. Attraverso una serie di curve, conduce lo sguardo verso il terzo livello, la parte alta della composizione, il luogo del supplizio dove tutto si conclude con la morte di Cristo. Gesù è spogliato delle vesti102: Matisse rappresenta la scena con tratti fortemente marcati, quelli della scarifi cazione, per esprimerne tutta la violenza. Il momento in cui Cristo viene crocifi sso103 scandisce simmetricamente l’insieme della composizione. La croce104 costituisce l’asse verticale, l’axis mundi che collega il cielo alla terra, ancorato alla settima stazione. Maria e Giovanni ai piedi della croce hanno proporzioni che amplifi cano l’aspetto visivo della scena e il suo carattere tragico. L’asse centrale della crocifi ssione si prolunga nell’architettura stessa della cappella, di fronte alla vetrata con L’Albero della Vita. L’intreccio delle linee della discesa dalla croce105 ne restituisce la dinamicità e lo sforzo. Per contrasto, la deposizione nel sepolcro106, punto conclusivo del dramma della Passione, è costituito da linee infi ne placate, nel momento di transizione che precede e annuncia la resurrezione. Nonostante le sue caratteristiche inusitate rispetto al tema, la Via Crucis s’inscrive nel cuore del percorso di Matisse, per il quale egli offre alla cappella un’opera in cui la semplifi cazione del tratto si congiunge con quella della sua ricerca del segno, nella creazione di un linguaggio fi gurativo segnaletico107, che possa essere compreso e fatto proprio da chiunque. Con le sue specifi che caratteristiche, la Via Crucis partecipa della visione d’insieme della cappella e della sua luce: «Voglio che i visitatori della cappella provino un sollievo spirituale. Che, anche senza essere credenti, si trovino in un ambiente in cui lo spirito si eleva, il pensiero s’illumina, il sentimento stesso si fa più leggero»108 . Sulla superfi cie, ritmata dalla quadrettatura formata dalle piastrelle in ceramica, l’opera è costruita nell’insieme come una partitura musicale e una coreografi a. Le stazioni non sono tutte alla medesima scala. Come in un pezzo musicale, il disegno accentua un elemento del dramma piuttosto che un altro. Lo stesso metodo si ritrova frequentemente nelle opere di Matisse, dove ad esempio si enfatizzano particolari elementi del volto o del corpo. Nel ritratto del 1936 Donna sulla sedia rossa, del Baltimore Museum of Art, le mani sono sovradimensionate e conducono lo sguardo verso il volto, composto da semplici tratti, della giovane, i cui occhi sono raffi gurati come mandorle nere109 . La concezione della Via Crucis supera l’aspetto puramente cronologico e narrativo della Passione di Cristo. Diviene rappresentazione globale di una tragedia, la cui forza richiama al raccoglimento, e un sentiero che guida lo sguardo di stazione in stazione, ciascuna delle quali chiaramente identifi cata e numerata lungo un percorso che si snoda dal basso verso l’alto, dalla terra al cielo, su tre livelli, da sinistra a destra e poi da destra a sinistra, un movimento inverso che scandisce le tappe fondamentali della Passione, come riferito da France-Illustration nel numero del Natale 1951, a proposito del modo in cui Matisse immagina l’opera: «All’inizio, avendola concepita nel medesimo spirito dei due primi pannelli, ne aveva fatto una processione dove le scene si succedevano le une alle altre. Ma, preso dal pathos di questo dramma così profondo, ha rivoluzionato l’ordine della composizione»110 .
Tale rivolgimento è il punto di arrivo di lunghe ricerche. Matisse moltiplica gli studi a carboncino, a matita e a penna, lavorando secondo il suo consueto metodo d’impregnarsi del soggetto, in vari formati, esplorando diverse ispirazioni e sfumature. Dall’osservazione degli studi e dal confronto con la versione fi nale tracciata sulle piastrelle, si evince come abbia progressivamente ridotto gli elementi che compongono le scene. Numerose fotografi e scattate al Régina documentano i diversi stadi di maturazione della composizione. Matisse giustappose i disegni e fi nì per incastrarli gli uni negli altri, creando una grande scena, un unico racconto, una pagina monumentale scritta di getto. Alcune linee interferiscono con quelle di altre stazioni e talvolta si confondono tra loro. Così nel Cristo portacroce le linee della croce si confondono con quelle della schiena di Cristo. L’elaborazione della Via Crucis costituisce per l’artista un impegno complesso. L’insieme della composizione subisce numerose trasformazioni man mano che s’impossessa del tema. «L’artista ne è divenuto del tutto naturalmente il principale attore: invece di rifl ettere il dramma, l’ha vissuto e così l’ha espresso. Ha piena coscienza del movimento spirituale che comunica all’osservatore questo passaggio dalla serenità al dramma»111 . «La Via Crucis è fi nita […]. Non si tratta più del percorso processionale del cartone preparatorio, ma di una specie di grande dramma nel quale le scene, anche se sempre accompagnate da un numero, si mescolano, partendo da Cristo in croce, che ha assunto una dimensione onirica – come tutto il resto del pannello […]. Avverte il dramma. La Crocifi ssione è composta come i Calvari bretoni. Per me è un grande risultato. L’esecuzione è grossolana, anche molto grossolana, per la disperazione della maggior parte di coloro che la vedranno. Dio mi ha retto la mano. Che cosa ci posso fare? Inchinarmi – ma gli altri non ne sanno nulla»112 . L’espressività del tratto è animata dalla particolare sensibilità che Matisse ha per il tema: «Bisogna che io sia così penetrato, così impregnato del mio soggetto, da poterlo disegnare a occhi chiusi… […] Bisogna che io arrivi a disegnare con gli occhi bendati […]. Ciò scaturisce naturalmente da me»113. A tal fi ne utilizza il suo metodo consueto. Come punto di partenza studia le principali raffi gurazioni dei grandi maestri della Via Crucis e vi si ispira. Per la prima stazione, Gesù davanti a Pilato, riprende, tra gli altri, il Giudizio di san Giacomo di Mantegna114, e la predella con la Crocifi ssione dalla pala di San Zeno115, di cui studia l’espressione dolente della Vergine sorretta dalle Pie donne, episodio che verrà raffi gurato, nell’ottava stazione, solo con tre tratti. La discesa dalla croce è ispirata a un’opera di Rubens copiata in gioventù116. Il Cristo morto di Philippe de Champaigne117 si collega agli studi per la quattordicesima stazione, la deposizione di Cristo nel sepolcro. Nonostante tutte le ricerche, Matisse resta incerto sul giudizio che verrà dato sull’opera: «Temo che questo pannello verrà diffi cilmente accettato, poiché non corrisponde troppo alla concezione dei fedeli di Vence»118. Il modo in cui affronta il tema, utilizzando un’originale scrittura fi gurata, resta personalissimo. L’insieme, da cui innegabilmente promana un senso di dolore e di tragedia, può apparire di lettura complessa, e costituisce ancora oggi un punto interrogativo per quanto riguarda la sua interpretazione. Il pannello è posto di fronte al sacerdote e rivolto verso l’altare. Tale collocazione rende il dramma invisibile ai fedeli in preghiera. La sua presenza è peraltro costantemente avvertita come un invito a rivolgersi alla luce spirituale, simboleggiata dall’irradiamento della vetrata dell’Albero della Vita, concepita come via al Paradiso.
Pagine seguenti: Veduta dal luogo dell’offi ciante: il Crocifi sso dell’altare è in asse con il Crocifi sso della Via Crucis.
Veduta d’insieme della cappella dall’altare: sul fondo il pannello della Via Crucis.
Pannello della Via Crucis, insieme.