Juliet 199

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Juliet online: www.juliet-artmagazine.com

Anno XL, n. 199 ott - nov 2020 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 Illustrazione di Antonio Sofianopulo

del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico Direttore responsabile: Alessio Curto Editore incaricato: Rolan Marino Direttore editoriale: Roberto Vidali Servizi speciali: Luciano Marucci Direzione artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli Direttrice editoriale web: Emanuela Zanon

Contatti info@juliet-artmagazine.com Juliet - via Battisti 19/a - 34015 Muggia (TS) f b: associazione juliet

Corrispondenti Berlino - Annibel Cunoldi Attems annibel.ca@gmail.com

Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it

Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Chiara Baldini, Angelo Bianco, Mara Borzone, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Micaela Curto, Serenella Dorigo, Sara Fosco, Dionisio Gavagnin, Roberto Grisancich, Andrea Grotteschi, Emilie Gualtieri, Silvia Ionna, Ernesto Jannini, Alessia Locatelli, Isabella Maggioni, Chiara Massini, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Paolo Posarelli, Rosetta Savelli, Giovanni Viceconte

Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu

Milano - Emanuele Magri emanuelemagri49@gmail.com

Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com

Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com

Parigi - Anna Battiston 90103annabattiston@gmail.com

Tokyo - Angelo Andriuolo Illustrazioni Antonio Sofianopulo Web designer Andrea Pauletich Fotografi Luca Carrà Fabio Rinaldi Stefano Visintin

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arsimagodei@gmail.com

Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com

Collaborazioni JULIET art magazine collabora con scambio di notizie con la web-rivista www.olimpiainscena.it di Francesco Bettin

Consulente tecnico David Stupar Promoter Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Paolo Tutta Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane Stampa Sinegraf Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 50,00 €, Europa 65,00 € others 90,00 €, arretrati 20,00 € copia estero 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT75C0200802242000005111867 Banca Unicredit, Trieste. con paypal tramite il sito juliet-artmagazine.com


Sommario

Anno XL, n. 199, ottobre - novembre 2020 36 | Produzione creativa e identità - Rif lessioni sulla genesi e

PICS

l’evoluzione (III)

77 | Ghazaleh Avarzamani - “Strange Temporalities”

Luciano Marucci

79 | Conrad Shawcross - “Optic Labyrinth (Arrangement I)”

48| Germano Celant - Inedita progressione

81 | Anna Maria Maiolino - “Untitled”

Luciano Marucci

83 | Song Dong - “Usefulness of Uselessness”

52 | The Hawt Show II - outdoor project

85 | Wong Ping - “Golden Shower”

Caterina Della Longa

56 | Olafur Eliasson - Talvolta il fiume è il ponte Angelo Andriuolo

58 | Richard Long - A walking line through life Valeria Ceregini

60 | Willy Verginer - e la magia operata

RITRATTI 86 | Fil rouge - Wlodek Goldkorn Fabio Rinaldi

93 | Andrea Lacarpia - Fotoritratto Luca Carrà

Giacomo De Colle

62 | Youssef Nabil - Once upon a time… Sara Cirillo

64 | Cangiante e spirituale - Giugi Bassani Liviano Papa

66 | Manifesta 13 - a Marsiglia Emanuele Magri

68 | Silvia Pasquetto - “Sottopelle” Francesco Bettin

69 | Sabrina Meissner - Gli idoli urbani Andrea Guerrer

70 | CHART - Art Fair Chiara Baldini

71 | Robotics - Arte e Robotica

RUBRICHE 87 | Sign.media - L’epigonismo dei designer Gabriele Perretta

88 | Appuntamento lagunare - Antonello De Medici Micaela Curto

89 | P. P. dedica il suo spazio a Mattia Ferretti Angelo Bianco

90 | (H) o - del catalogo Angelo Bianco

91 | Julie Carmean - Onsite to Online, Part I Leda Cempellin

92 | Arte… e Chirurgia Estetica - Fabio Steffè Serenella Dorigo

Maria Campitelli

72 | Antonio Dalle Nogare - Collezionare con fantasia Emanuele Magri

73 | Edoardo Manzoni - e il progetto “Pando” Fabio Fabris

74 | Tête-à-tête - con Clima Emilie Gualtieri

75 | “Vita d’artista” - Roberto Kunstler Lucia Anelli

76 | Raphael Chikukwa - National Gallery of Zimbabwe Paola Forgione

78 | Antonio Guiotto - L’arte del paradosso Dionisio Gavagnin

80 | David Altmejd - “Rabbits” Roberto Grisancich

COPERTINA

82 | C’è un futuro? - Una prospettiva italiana

Mimmo Paladino “Selvatico selvaggio” 1980. Olio su tela e scultura in ferro, 154 x 250 cm, part. Collezione

84 | Pinksummer - goes to… Senarega

privata, Ravenna, ph courtesy Galleria Enrico Astuni, Bologna

Amina Gaia Abdelouahab

(qui sopra diamo anche l’immagine completa dell’opera)

SA Se GG pr (D I O i v o N . . P. R G R d e l 6 6 . AT t r 3 26 UI ian ar / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d

Boris Brollo

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Germano Celant Inedita progressione di Luciano Marucci

In tempo di pandemia, di presenze virtuali e di riflessioni, di rivisitazioni di memorie e avvenimenti del passato, ho sentito l’esigenza e il dovere di raccontare episodi ormai lontani, riguardanti Germano Celant, come nota a margine ai servizi che gli sono stati dedicati dai media dopo la sua scomparsa, avvenuta il 29 aprile 2020 a causa del coronavirus, a ottanta anni, ma ancora vigoroso e iperattivo. La mia conoscenza di Celant, come autore di alcuni testi sull’arte, risale alla prima metà degli anni Sessanta, quando scriveva su “Marcatré” e su “Flash Art”; quella personale avvenne nel 1969, allorché, 29enne, partecipò al vernissage dell’VIII Biennale d’Arte Contemporanea di San Benedetto del Tronto “Al di là della pittura” (tra le prime esposizioni interdisciplinari), da me curata con Gillo Dorfles e Filiberto Menna. In quell’ambito, il giorno dell’inaugurazione, intervenne alla tavola rotonda sull’ “Arte situazionista”, insieme a Dorfles (moderatore), Menna, Alberto Boatto, Achille Bonito Oliva, Vittorio Gelmetti, Lamberto Pignotti, Bruno Munari e Tommaso Trini. La mattina dopo ci ritrovammo in riva al mare per assistere alla coinvolgente “azione” sul paesaggio di Mario Nanni dove egli con atteggiamento notarile registrava le risultanze delle interazioni dei bagnanti ai “Giochi del malessere” dell’artista bolognese. Poi, dalla sua Genova mi chiese la documentazione visiva della mostra per il suo archivio: in particolare, di Merz, Kounellis, Bagnasciuga di San Benedetto del Tronto, 6 luglio 1969, “azione sul paesaggio” dell’artista Mario Nanni “I giochi del malessere”. A destra: Germano Celant (con accanto Achille Bonito Oliva e Maurizio Nannucci) registra i “processi di auto misurazione esplorazione” dei bagnati. A sinistra: Ugo Nespolo, Tommaso Trini e (di spalle) Nanni e Bruno D’Amore che preparano il lancio dei dischi legati alle funi (ph Emidio Angelini)

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Calzolari, Mondino e Mattiacci. Negli anni successivi lo rivedevo di sfuggita solo alle mostre europee. Quando a Firenze nel 1996 fu realizzata la prima edizione della Biennale sul tema “Il tempo e la moda” – a cura di Celant, Luigi Settembrini e Ingrid Sischy – partecipai all’anteprima perché, da sostenitore della transdisciplinarità, mi interessava vedere come venivano concretizzate le ibridazioni/contaminazioni linguistiche e disciplinari. Una mostra-evento complessa e articolata, diffusa in vari luoghi istituzionali di Firenze (Forte Belvedere, Sala Bianca di Palazzi Pitti, nuovo Museo Ferragamo a Palazzo Spini Feroni), ma anche nella recuperata Stazione Leopolda, trasformata in elegante “tendopoli” per ospitare degnamente le mostre tematiche e monografiche nate, appunto, dal connubio dei linguaggi di allora. Mostra che si estendeva anche al Museo Pecci di Prato diretto da Bruno Corà. Obiettivo principale: esplorare le influenze reciproche e i legami fra la cultura di massa che è la moda e le arti visive, il design, l’architettura, il cinema e la fotografia, il costume e la storia. Sull’insolito formato c’erano aspre critiche dei difensori delle specificità dell’arte figurativa che ne rivendicavano l’assoluta autonomia, tanto più che la moda era considerata volubile vetrina del lusso. Terminata la rumorosa cerimonia dell’inaugurazione, Celant si def i lò per condurre un gruppetto di giornal isti (per lo più stranieri, accreditati soprattutto per la moda, di cui facevamo parte io e mia moglie) in un si lenzioso e disadorno pianerottolo. Ci sedemmo sulle pedate della scalinata, accanto a lui, per parlare in modo confidenziale della Biennale. Poiché io avevo registrato e trascritto le conversazioni, il documento (rimasto inedito) merita di essere pubblicato, almeno in parte, perché,


Biennale di Firenze “Il tempo e la moda”, Palazzo Pitti, Sala Bianca, mostra “Emilio Pucci” allestita da Pier Luigi Pizzi (courtesy Biennale di Firenze; ph Gianfranco Gorgoni)

oltre alle dichiarazioni complementari sull’evento, viene esplicitato il percorso seguito per l’attuazione del progetto, basato sulla dialettica tra le peculiarità architettoniche e museali di Firenze, sulle originalità del settore moda e le ricerche artistiche del contemporaneo. Nello stesso tempo, le narrazioni, spontanee e razionali di Celant (insistenti per meglio illustrare l’assunto), evidenziavano il suo metodo operativo, il rapporto con la storia, l’arte d’avanguardia e le altre attività creative con visioni prospettiche. Non a caso, forse quell’esperienza, per molti aspetti pionieristica, subito dopo gli valse la nomina di direttore della 47esima Biennale d’Arte Internazionale di Venezia e il consolidamento dell’incarico di art director della Fondazione Prada avuto l’anno prima della Biennale di Firenze. Ecco gli stralci, a iniziare dalle mie domande-stimolo: Luciano Marucci: Celant, puoi spiegare, possibilmente con dettagli, quali sono stati i motivi fondanti di questa prima Biennale? […] Innanzitutto c’è stata la disponibilità di Firenze che ha diciotto musei, per cui siamo entrati nel buco nero con una nave spaziale abbastanza strana e abbiamo potuto compiere un’operazione a tanti livelli. Primo, bisognava rompere un certo tipo di mentalità tradizionale, di paure, di angosce sul contemporaneo in una città che di queste angosce ne ha coltivate tante, quindi livellare un po’ i musei con tanta storia e tanti visitatori. Anche noi abbiamo utilizzato la storia per farla dialogare con il contemporaneo e questo rapporto ha funzionato molto bene. Ci sono stati i tentativi di lettura diversi dell’abbinamento arte-moda, che è un soggetto caldo e polemico, perciò le domande sono infinite su cosa

vuol dire mettere insieme i due linguaggi. Faccio un esempio: alla fine del secolo la fotografia finalmente è stata riconosciuta come linguaggio da considerare e da analizzare con le mostre e le sue apparecchiature di studi scientifici. C’è il fotografo dei matrimoni, ma anche il grande fotografo, come nella moda ci sarà chi continua a fare i matrimoni e il grande designer. Noi, come direttori, ci siamo posti con la stessa attitudine per dire: “Il linguaggio della moda è oggi un linguaggio che va riconosciuto, non tanto per la cronaca o perché fa i ritratti dei ricchi e dei poveri, ma come un linguaggio che va messo al centro di un’attenzione seria. Non ci sono istituzioni che trattano questo linguaggio, allora creiamole!”. Ecco, questo è stato un po’ il discorso di fondo. E, al fine di compiere una operazione abbastanza “strappante” e interessante, abbiamo pensato di abbinare la storia della moda all’arte contemporanea. Con questi presupposti abbiamo voluto fare una mostra sul contemporaneo, una mostra di oggi. Non sono state comunicate informazioni in merito, perché neanche noi sapevamo cosa avremmo avuto davanti. Oggi è sorprendente constatare che si capisce, o si tenta di capire, la filosofia alla base della moda, non come oggettino ma come prodotto della comunicazione, di un modo di pensare e di promuovere. Questo lo fa l’Arte, il Design e l’Architettura, senza inficiare la qualità del linguaggio. A questo punto sorge il problema di analizzare la comunicazione, il linguaggio della moda. È un po’ come il “San Sebastiano” che viene ‘attraversato’ [“trafitto”] tante volte come accade nella Storia dell’Arte con i diversi linguaggi. Questa è la partenza, la realizzazione, poi c’è la polemica, il rapporto cronaca-informazione, eccetera. Secondo me, inizia da qui un tipo di lettura diversa della Moda; non perché abbiamo promosso noi la mostra, ma per un tentativo di dire: “Questo è un linguaggio che non è solo da storicizzare, pure se rimane promozione, produzione come nei musei, ma da

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Youssef Nabil Once upon a time… di Sara Cirillo

“I Saved my Belly Dancer # XXIV” 2015, hand colored gelatin silver print. Courtesy of the Artist and Nathalie Obadia Gallery, Paris/Brussels

“Say Goodbye, Self Portrait, Alexandria” 2009, hand colored gelatin silver print. Courtesy of the Artist and Pinault Collection

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Cos’hanno in comune La Primavera di Botticelli e i poster dei film anni Cinquanta al Cairo? Certo, una linea funzionale e una atmosfera stilisticamente casta: i contorni dei corpi non sfumano, non si perdono nelle mollezze della carne, la percezione è asciutta. Ma in questo caso il filo rosso che li unisce è la storia di un artista egiziano, Youssef Nabil, cui Palazzo Grassi dedica la mostra monografica Once Upon a Dream (a cura di Matthieu Humery e JeanJacques Aillagon, e che sarà visitabile fino al 10/01/2021). Nabil presenta un corpo di opere, soprattutto fotografie poi dipinte a mano, a cui imprime una simile perentorietà surreale, frutto di un lavoro onirico che ha gli stessi caratteri decisi della realtà. La storia personale di Nabil s’intreccia con una forza iconica velata da questioni sociali e politiche e un’eco melanconica ci avvolge. Ecco alcuni stralci da una conversazione con l’artista. Your career begins as a photographer, and the photography, then hand-painted, is the medium that you use. It seems like there’s an interesting contrast between you disappearing behind the camera and then the need to paint the photos in a physical relation with them... do you agree with my interpretation? I’ve always loved the idea of mixing painting and photography, not being able to understand at first glance if it’s a painting or a photo. Eventually the artwork is a photo but sometimes

the painting is more present than the picture itself so there’s this kind of combination. I grew up in Egypt and we always had in our house a hand-painted photograph of fami ly members, but whether this idea was coming from poster seen everywhere in Cairo or from home just having these portraits, I wanted to keep it in my work. For me, at first, I wanted to only work in black and white because of my fascination with cinema, but then, later on, I felt the need to see my work in colors not by using color films: and so I decided to learn how to paint a photo. Your photographs have a particular focus on women. Can you explain how you choose the film stars to portray beyond the fascination for cinema? Do they reflect your ideal of women? Whether there are men or women in my art, not only actor or actresses but also friends, they reflect a sort of an invitation to be part of my own world, my fantasies, they become sort of a family. I love women that are not afraid of showing their strength. In the video I Saved my Belly Dancer, your intimate and dreamlike vision is particularly clear... on the other hand, how much political vision is there? If my work is political, it’s always from a social point of view. The idea of I Saved my Belly Dancer came to me after the revolution, the Arab spring: I was in NYC at that time, and I read that some 12 night clubs were shut because they had no permit and others belly dancers went to jail because of what they were wearing. So, I remembered my Iranian friends in America telling me about what happened with women in Iran after the Islamic revolution. At the beginning women were not allowed to show their hair if they work as a government employees, then on TV, and then in streets, and eventually it was normal


to ask them to be covered everywhere. So, the idea came to me when I thought “who is going to save these belly dancers”? I wanted to talk about that, and it took me three years to do this project, to prepare the funds, to produce it and post produce it. I tried to shoot in Egypt, but they didn’t give me permission and then in Morocco, but I couldn’t find the cast or the costume makers, so then I shot it in London. The idea is more about what you could save in your memory, to keep alive within you, even if it’s no longer part of your reality. Why did you choose Salma Hayek for this work? I’ve always wanted to work with Salma Hayek, and although I knew her as a Mexican actress and a Hollywood star, I always saw her Arabic DNA (her father is Lebanese); she portrays an oriental beauty that very few women can portray. It was in Paris, during an art event, she was there, so I approached her and she knew me because her father in law, monsieur François Pinault collects my work, I knew she had my work in her collection too. So she immediately liked the idea of interpreting a belly dancer. You’re the author of some self-portraits, but you do not look at the camera. How come this choice? Is it about you feeling without a home? I left Egypt in 2003, and while living there I was mainly doing photos of my friends, my family, actors... and then I found myself living in Paris when I was invited by the Minister of Culture for an artist residency. I liked Paris, I decided to stay and live there. I knew that I wasn’t going back to live in Egypt, I started then doing self-portraits in different cities, and in each of them I felt like I was a visitor, knowing that they were not the places to where I belonged. I wanted to talk about the fact that I

felt like a visitor everywhere I go; and my relationship with my whole life is about that feeling of being here for some time visiting and then we will be going to die one day. So it is about my life, but also about existence in general, so sometimes it is not important to see my face. Could be anyone. Yo u o f t e n e m p h a s i z e y o u r Mediterranean roots. What is your relationship with Italy and with Italian art? There is a funny story from my childhood with Italian art. I grew up in Egypt in the Seventies and we, in our house, once went to an international book fair and my parents bought a huge poster of La Primavera di Botticelli. They decided to frame it and put in my room, on top of my bed, so it was the last image I saw before sleeping and the first one to see when I open my eyes every morning... I didn’t know who Botticelli was and I was looking at it as a seven years old kid. I also tried to have my own interpretation of it, for example the blue figure at the right side of the painting, I was uncertain if he was an evil figure or an angel and if all that scene was happening in the afterlife, like in paradise. When I became an adult, I wrote to the Uffizi and I said: “I would like to come to Florence and make a portrait of myself sleeping in front of the Botticelli painting, because I spent years and years of my life sleeping next to that image in Cairo”. The Uffizi accepted my proposal, even if I asked also to spend the night inside of the museum to film a video of myself and they told me it was not possible. Indeed, that day I was surrounded by 15 guards and I was wearing the traditional Egyptian “djellaba” dress, and yes, I slept near the real Primavera.

“Ahmed in Djellabah, New York” 2004, hand colored gelatin silver print. Courtesy of the Artist and Nathalie Obadia Gallery, Paris/Brussels

“Self Portrait with Botticelli, Florence” 2009, hand colored gelatin silver print. Courtesy of the Artist and Pinault Collection

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Spray Eventi d’arte contemporanea

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Jana Euler “ Rad ieuse” 2016 (installazione realizzata per Manifesta 13 , Marsiglia 2020). Photo © JeanChristophe Lett / Manifesta

BOLOGNA Fino al 7 febbraio 2021, in occasione della celebrazione del quarantesimo anniversario della Strage di Ustica, all’Ex Chiesa di San Mattia, si potrà visitare (a ingresso libero) “Stragedia” di Nino Migliori. Prom os s o da C o m un e di B o l o g na , Is titu zione Bologna Musei | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Museo per la Memoria di Ustica, Associazione Parenti delle V it time della Stra ge di Ustic a, in c o lla b o r a zi o n e c o n F o n d a zi o n e Nin o Migliori, MiBACT – Direzione Regionale Musei Emilia Romagna, Cronopios e con il sostegno di Fondazione MAST, il progetto è stato ideato da Nino Migliori con Aurelio Zarrelli, Elide Blind, Simone Tacco nelli, audiovisual design di Paolo Barbieri, ed è stato curato da Lorenzo Balbi. Si tratta di un’installazione immersiva che nasce da una rielaborazione delle immagini scattate dal fotografo nel 2007, durante l’allestimento dei resti del velivolo negli spazi del Museo per la Memoria di Ustic a. Gli 81 scatti, corrispondenti al numero di vittime della strage, sono eseguiti a “lume di candela” tecnica utilizzata da Migliori dal 2006 per la serie Lumen. “Stragedia” interpreta l’evento tramite immagini che sconfinano nell’astratto, in cui dettagli e frammenti

Marie Cool Fabio Balducci “Untitled” 2006, 4 sheets of paper, table (cm 180 x 100). Video 2 min e 11, ed 3 + 1, ph courtesy Marcele Alix

permettono una perdita di scala, la stessa che inevitabilmente entra in gioco quando si tratta di dare voce a una tragedia storica. In occasione della mostra, Edizioni MAMbo pubblic a un c atalogo a cura di Lorenzo Balbi, che contiene la riproduzione della serie completa delle 81 immagini. La galleria P420 (via Azzo Gardino n. 9, info@p420.it), fondata nel 2010 da Alessandro Pasotti e Fabrizio Padovani, propone fino al 7 novembre la mostra Merlin James / Marie Cool Fabio Balducci.

CONEGLIANO Venerdì 2 5 settembre, alle ore 18.00, a Conegliano, nell ’Atelier Ferdy Poloni, a pochi passi dal Palazzo Sarcinelli, via Beato Ongaro 1, si è inaugurata la mostra “Dialoghi” con opere di Elisabetta Bacci e Mirko Rajnar. L a mostra (terza tappa di un progetto av viato al Museo Carà di Muggia nel 2016) è stata costruita come confronto tra due autori che, diversi per formazione e per provenienza geografica, e che di primo acchito sembrano rispondere a istanze emotive distanti fra loro, in seconda battuta denotano, tuttavia, nel loro linguaggio espressivo delle note comuni. Ecco allora una mostra costruita

sulla falsariga di un dialogo continuo tra opera e opera, come in un re citativo a due voci. La prima possibile nota di congiunzione evidente in questo dialogo è la sottrazione che viene posta in essere nel processo costruttivo di ogni singola opera di questi due autori (una sottrazione che non nega la complessità, ma che vi si adagia nella somma di segni minimali); la seconda è la luce come punto di riferimento primario (e non solo riferita a una fonte luministica esterna, ma anche a una luce intrinsecamente generata dal pigmento); la terza è la dominante cromatica che si manifesta in contrasti forti e decisi. L a re alizza zione di questo evento è stata sostenuta da Vigneti Le Monde. -Fabio Fabris

FIRENZE Tra le novità di questo lento autunno contemporaneo segnaliamo l’installazione d e lla C ro c if is sion e di L o re nzo P uglisi all’interno della Basilica di Santo Spirito di F irenze. C ollo c at a propr io a f ian c o del Crocifisso del Buonarroti, l’opera di Puglisi è un dipinto a olio su tavola sagomata a forma di croce da cui emergono, su fondo nero, le luminescenze risultato Juliet 199 | 95


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