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Juliet 191 - feb/mar 2019 FEB 2019 – ISSN 11222050

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Juliet online: www.juliet-artmagazine.com

Anno XXXVIII, n. 191, feb - mar 2019 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico Direttore responsabile: Alessio Curto Editore incaricato: Rolan Marino

Illustrazione di Antonio Sofianopulo

Editore associato: Eleonora Garavello Direttore editoriale: Roberto Vidali Servizi speciali: Luciano Marucci Direzione artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli Direttrice editoriale web: Emanuela Zanon

Contatti

Corrispondenti

info@juliet-artmagazine.com Juliet - via Battisti 19/a - 34015 Muggia (TS) f b: associazione juliet

Berlino - Annibel Cunoldi Attems

Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Chiara Baldini, Margherita Barnabà, Angelo Bianco, Giulia Bortoluzzi, Boris Brollo, Elena Carlini, Antonio Cattaruzza, Simone Costantini, Serenella Dorigo, Roberto Grisancich, Andrea Grotteschi, Silvia Ionna, Ernesto Jannini, Alessia Locatelli, Emanuele Magri, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Camilla Nacci, Anna Maria Novelli, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Valentina Anna Piuma, Paolo Posarelli Laura Rositani, Domenico Russo, Alexander Stefani, Giovanni Viceconte

annibel.ca@gmail.com

Bergamo - Pina Inferrera pina.inferrera@gmail.com

Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it

Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu

Londra - Laura Boggia lauraboggia@gmail.com

Milano - Sara Tassan Solet

Fotografi Luca Carrà Fabio Rinaldi Stefano Visintin 32 | Juliet 191

Promoter Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane Distribuzione Joo Distribution Stampa Sinegraf

saratassansolet@gmail.com

Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com

Illustrazioni Antonio Sofianopulo

Consulente tecnico David Stupar

Parigi - Anna Battiston 90103annabattiston@gmail.com

Roma - Carmelita Brunetti carmelita.arte@tiscali.it

Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com

Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 50,00 € Europa 65,00 € others 90,00 € arretrati 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT33V0200802203000005111867 Banca Unicredit, Trieste.


Sommario

Anno XXXVIII, n. 191, febbraio - marzo 2019 34 | Estetica ed Etica degli Archivi Privati (III)

80 | Stefano Graziani - senza preconcetti

Luciano Marucci

Ch Schloss

40 | Urban Art & Non Art - Panel discussion (IV)

82 | “Duel_Gianni Caravaggio” - al Museo del Novecento

Luciano Marucci

Valentina Piuma

44 | “l’intelligenza facilita | l’imbecillità complica” -

84 | Tunisia - Tahar Aouida

L’EstEtica di Getulio Alviani

Amina Gaia Abdelouahab

Luciano Marucci

85 | GrandArt - Angelo Crespi

48 | Mark Kostabi - Kostabi World

Fabio Fabris

Roberto Vidali

52 | Dream + Conversation - a Roma

PICS

Lorenzo Taiuti

70 | Jaume Plensa - “Carlota”

54 | Peter Triantos - Splash of joy Valeria Ceregini

56 | Fotografia - a Parigi Emanuele Magri

58 | Zheng Bo - Weed Party III Emanuela Zanon

60 | Julian Rosefeldt - o del non-monumento Roberto Grisancich

62 | Giovanni Motta - “Jonny Boy” Roberto Grisancich

77 | Georg Herold - “Beverly” 79 | Kimsooja - “A Needle Woman...” 81 | Simon Periton - “Outdoor Miner” 83 | Jens Fänge - “Cirkel” RITRATTI 86 | Fil rouge - Juan Octavio Prenz Fabio Rinaldi

93 | Attilio e Vittorio - Fotoritratto Luca Carrà

63 | “Fluttuante come il tempo” - Enzo Bersezio 64 | Simone Menegoi - Arte Fiera 2019 Emanuela Zanon

65 | Audrey Matt Aubert - Partiels Anna Battiston

66 | Melina Papageorgiou - Burkinis and Other Details Matthias Harder

67| Natura d’artista - Piero Dorazio Luciano Marucci

68 | Italiart - Festival Italien de Dijon Giovanni Pettener

69 | Federico Tosi - Goodbye Ch Schloss

71 | Giovanni Pulze - a New York Ch Schloss

72 | Nicoletta Rusconi - a Cascina Maria

RUBRICHE 87 | Sign.media - Tutti artisti Gabriele Perretta

88 | Appuntamento con il museo virtuale - A.A. Lombardi Alessio Curto

89 | P. P. dedica il suo spazio a... - Dino Ferruzzi Angelo Bianco

90 | (H) o - del restauro Angelo Bianco

91 | Rachel Hayes - Beauty’s Many Lives Leda Cempellin

92 | Arte e... psicanalisi - Maria Claudia Dominguez Serenella Dorigo

AGENDA

Emanuele Magri

94 | Spray - Eventi d’arte contemporanea

73 | Musica e pittura - Paride Di Stefano

AAVV

Elisabetta Bacci

COPERTINA

74 | Gani Llalloshi - Sleepwalking Arta Agani

75 | Claire Froës - Untitled (Solo Show) Dea Slavica

76 | Alberto Garutti - arte pubblica Fabio Fabris

78 | Branko Franceschi - Autoritratti 5 Giuliana Carbi Jesurun

Alfredo Jaar, “A Logo for America”, 2018 è la rievocazione di un lavoro del 1987, un’animazione grafica di 39 secondi presentata in loop su una barca nelle acque di Miami Beach (courtesy Faena Art Festival Miami, Lelong Gallery New York, Galleria Lia Rumma Milano/Napoli e l’Artista) L’installazione è stata realizzata dall’artista e architetto cileno, attivo a New York, nell’ambito della prima edizione del Faena Festival, una serie di eventi collaterali presentati

SA Se GG pr (D I O i v o N . . P. R G R d e l 6 6 . AT t r 3 26 UI ian ar / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d

Marcello Corazzini

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Dream + Conversation a Roma

di Lorenzo Taiuti

soluzione dei conflitti creatasi dalla sospensione del respiro e dalla momentanea malattia del corpo e dello spirito. Malattia anche della società americana che in questo momento sta scaricando i propri residui avvelenati nella ripresa di istanze razziste e altri incubi, contro cui è nato il movimento “Black Lives Matter”. L’i ncu bo si rompe con l’ar r ivo d i Jau me Plensa che crede invece nel magico e nel fantastico. I grandi visi da regina degli elfi sottoposti a effetti speciali e suggestive distorsioni sono pensati per gigantesche riproduzioni in centri cittadini, come ha fatto tante volte anche con proiezioni video in grandi città. Il sogno si trasferisce a livello più concettuale in Giovanni Anselmo con una bussola persa in un mare di sabbia, ipotizzando perdite di direzioni come perdite di coscienza. L’anglo-indiano Anish Kapoor fa oggetti tridimensionali dove lo spessore e la profondità sono ingannevoli. R icerche alla base del suo lavoro, come la presenza del colore e della luce che danno forma, il mistero nascosto nella materia e la difficoltà di rappresentarlo. Christian Boltanski è

in alto: Anish Kapoor “Untitled” 2015, alabastro 131 x 74 x 35 cm. Foto Ela Bialkowska OKNO Studio. Courtesy: l’artista e GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana a destra: Tsuyoshi Tane “LIGHT is TIME” 2014, piattine in metallo e LED, dimensioni variabili. Opera site-specific realizzata in collaborazione con Citizen ©Takuji Shimmura /image courtesy of DGT. Courtesy: Tsuyoshi Tane, Atelier Tsuyoshi Tane Architects

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“Dream, L’arte incontra i sogni”. Danilo Eccher, direttore per diversi anni del neonato Macro, da alcuni anni cura delle mostre tematiche al Chiostro del Bramante di Roma. “Dream. L’arte incontra i sogni” (chiusura prevista per il 5 maggio 2019) è forse la più attraente delle mostre curate da Danilo Eccher al Chiostro del Bramante fino ad oggi. Rivela una forte tendenza alla didattica, facendo pensare che l’i ntero proget to i ncluso nel le d iverse mostre sia un progetto sostanzialmente pedagogico, sorretto da una struttura informativa, dove ogni mostra è un percorso per av vicinare l’arte contemporanea al vasto pubblico. Il tema scelto quest’anno è “Dream”, il Sogno, declinato in tutte le forme e in tutti i linguaggi possibili del contemporaneo. La rete di letture estetiche in cui si sviluppa la mostra è circondata da classiche “letture dei sogni” come negli antichi almanacchi. A tutti questi segnali si sovrappone ancora l’audizione di poesie incise da attrici e attori e udibili da un mini-registratore portatile. Così circondati e protetti da numerosi “fornitori di contenuti”, si procede in una mostra molto difesi e forniti di filtri di lettura. Su questa struttura si procede nel percorso che alterna installazioni e video, oggetti e, più raramente, dipinti. Bill Viola presenta un video su digital screen della serie dei “Dreamers”, una ragazza afroamericana in piedi ma immersa, più che nel sonno e nel sogno, in una trance rivelatrice, un incubo forse, da cui non sembra poter uscire. E rende il difficile equilibrio fra veglia e sonno, l’angoscia che man mano ci invade quando gl i stati di sospensione non riescono a risolversi lasciandoci con sogni non finiti, e tutto il corpo che aspira a una


certamente uno degli artisti più coinvolti nel tema del sogno. Il suo lavoro si muove da sempre sui temi della memoria, del ricordo, della morte e degli spazi collocati e comunicanti fra queste tematiche. Uno dei suoi “teatri di luce e d’ombra” ripete il racconto delle sue paure con il semplice linguaggio delle marionette e delle loro ombre proiettate nella luce incerta, più ombra e più sogno di quanto abbia fatto nel passato con il suo uso di fotografie di morti. Saltando al di là dei generi, delle correnti e anche dei materiali espressivi, la mostra si muove verso una “riconcettualizzazione” dell’immaginario onirico. Il lavoro di Ryoji Ikeda presenta le modalità consuete del software di autogenerazione digitale: l’ambiente digitale si manifesta nei suoi codici astratti, come un fantasma che prenda corpo. Più evidente la dimensione onirica di Tsuyoshi Tane, una labirintica installazione di luci led che suggerisce il topos del bosco magico, della visione infantile e fantastica della natura, come anche i numeri persi in una notte bluastra di Tsuioshi Tane, altro omaggio alla capacità d’immagine del digitale e alla sua presenza ancora straniante. Veterano della media art, Peter Kogler sviluppa in modo bidimensionale i suoi temi visivi che si rifanno allo spazio del formicaio, quello reale e come metafora del moderno formicaio digitale. Un tempo lo realizzava in uno spazio tridimensionale e virtuale, oggi sviluppa i suoi corridoi sotterranei su intere stanze. In questo modo la mostra passa attraverso tutti i linguaggi del contemporaneo, dalla figurazione neo espressionista di Kiefer all’installazione, dal digitale all’oggetto. È un modo di ricucire i linguaggi che nell’abbandono della pittura si sono diffusi nel reale come nelle materie e oggi nella tecnologia? C’è un’intenzione conciliante e una volontà d’illustrazione pedagogica. E l’effetto è efficace, il tema del sogno con le sue varianti, trasformazioni e metamorfosi è adatto al ventaglio delle diverse soluzioni linguistiche. “Conversation Piece Part V”. Alla Fondazione Memmo di Roma, curata da Marcello Smarrelli, una mostra (chiusura prevista per il 24 marzo 2019) all’insegna del motto futurista di Filippo Tommaso Marinetti “Non v’è più bellezza se non nella lotta”. Sottotitolo di “Conversation Piece” è bene augurante per un periodo dove la società italiana

sembra aver dimenticato il concetto stesso di lotta in qualsiasi forma. Quattro artisti di diversa matrice e con diversi linguaggi affrontano il tema. Marinella Senatore è la più esplicita nell’affrontare il tema e le pareti del suo spazio sono ricoperte di bandiere, foto, slogan e poster di memoria politica recente o passata. La Senatore dopo una partenza nel video con tematiche originali come il cinema musicale, si è collocata con la stessa passione in azioni di animazione culturale nel territori circostanti diversi musei. I progetti di coinvolgimento urbani e di quartiere (che sono stati uno degli elementi portanti nelle atmosfere politicizzate degli anni ‘60-70) rivivono all’insegna di un clima energetico e di una rinnovata attenzione alle dimensioni del sociale e del politico e al gioco festoso. Invenzioni militanti-giocose come una bicicletta armata di altoparlanti con cui partecipare alle manifestazioni, gruppi di danza che insieme a altre realtà come scuole e centri culturali parteciperanno alla sfilata-manifestazione. Video, foto, disegni e oggetti assemblati sono la testimonianza del processo. E scritte che si rifanno ai fermenti politici storici, da “Revolution” a frasi attiviste in dialetto. Un misto di manifestazione politica e delle sfilate del musical organizzate da Busby Berkeley nel cinema degli anni ‘30, infatti al periodo di laboratorio segue una marcia trionfale nella città, come una passerella dei contenuti messi a fuoco. Julian Rosefeldt che si era fatto notare con un film molto originale composto dalla lettura dei vari manifesti politico-culturali del ventesimo secolo, benissimo letti da Kate Blanchett, nella mostra presenta dei veri cavalli coperti da gualdrappe riprese dagli affreschi senesi di Simone Martini, una fascinazione inattesa verso la pittura classica ma le gualdrappe sono coperte di scritte politiche molto contemporanee. Mentre Rebecca Dig ne i n un v ideo intreccia corde e confini diversi per collegare dei punti della memoria, il duo piacentino Invernomuto racconta in una “Graphic novel” la storia della nascita della cultura Rastafari. In questo modo la “conversation piece” si colora dei toni forti della politica.

a sinistra: Ryoji Ikeda “data.tron [WUXGA version]” 2011, installazione audiovisiva, proiettori DLP, computer, speakers dimensioni variabili. Concept e composizione: Ryoji Ikeda Grafica computer, programmazione: Shohei Matsukawa, Tomonaga Tukuyama. Veduta dell’installazione Museo de Arte, Universidad Nacional de Colombia Bogota, 19 ott-17 dic 2011. Foto Leon Dario Pelaez, © Ryoji Ikeda in basso: Peter Kogler, opera site specific, 2014, stampa vinilica. Veduta dell’installazione alla Galerie im Taxispalais, Innsbruck. Foto Atelier Kogler, courtesy Studio Kogler

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Zheng Bo Weed Party III di Emanuela Zanon

a destra: “After Science Garden” 2018. Courtesy the artist and PAV, Torino sotto: Zheng Bo in una foto di E.Zanon, courtesy PAV, Torino

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Zheng Bo (Pechino, 1974) è tra i più interessanti artisti cinesi dell’ultima generazione. Il suo lavoro indaga il rapporto tra piante, società e politica attraverso pratiche multimediali – installazione, disegno, video e performance – inquadrabili nel filone dell’art ecology, pratica artistica nata dalla consapevolezza che senza una decisa inversione di rotta delle politiche globali il processo di estinzione del mondo e delle specie viventi già in atto sarà sempre più rapido e inarrestabile. La mostra Weed Party III al PAV Parco Arte vivente apre una nuova stagione espositiva dedicata al rapporto tra ecologia e arte nel continente asiatico ed è la terza tappa di un progetto itinerante iniziato a Shangai nel 2015 in cui Zheng Bo immagina l’utopica creazione di un partito delle piante selvatiche in grado di riunire su un fronte comune esseri umani ed extra-umani. La valorizzazione delle cosiddette piante parassitarie, cioè prive di usi alimentari e industriali, da sempre scartate dalla civiltà occidentale in nome di un malsano antropocentrismo, assume per l’artista una valenza politica ed etica. La capacità di adattamento della flora marginale incarna in modo emblematico la facoltà del mondo vegetale di rigenerarsi ciclicamente e diventa metafora virtuosa di un nuovo equilibrio empatico tra gli esseri viventi che nella convivenza possono ritrovare un nuovo piacere anche nel clima apocalittico della crisi ecologica. L’allusione politica, che mette in relazione il carattere incontrollabile dei movimenti sociali dissidenti con il potere infestante delle piante parassitarie che minacciano i campi coltivati, sottolinea come sia urgente fronteggiare l’emergenza ambientale con azioni collettive in grado di incidere sul sistema globale. La mostra si apre con l’installazione site-specific After Science Garden (2018), una serra sensoriale in cui piante infestanti e spontanee piemontesi si offrono alle cure e alle interazioni dei visitatori. Il progetto riprende l’idea di un analogo giardino installato da Zheng Bo negli spazi della Katherine E. Nash Gallery in cui artisti e studenti hanno accudito le piante impiegate in esperimenti scientifici all’Università del Minnesota, una volta scartate dai ricercatori. Al termine della mostra i vegetali saranno ripiantati nel parco

del PAV incrementando con la loro presenza la già variegata ricchezza di piante selvagge e non consuete del suo ecosistema etico. Più concettuali, Survival Manual I e II (2015) sono copie redatte a mano di due pubblicazioni a stampa, uscite rispettivamente a Shangai nel 1961 per iniziativa governativa e a Taiwan nel 1945 ad opera di un’associazione umanitaria, per diffondere tra la popolazione immagini di piante selvatiche commestibili come estremo rimedio contro due gravi carestie che si erano scatenate a causa di drammatiche congiunture politiche e belliche. Dialoga con questi lavori la sequenza Grass Roots (2015), una serie di disegni che ritraggono le radici di alcune specie vegetali. L’opera gioca con il fatto che sia in inglese che in cinese l’espressione “grass root” viene utilizzata per riferirsi alle persone comuni e con la consapevolezza che per disegnare le radici l’artista ha dovuto estrarre le piante dal terreno e, di conseguenza, ucciderle. Conclude idealmente la rassegna la proiezione dei video Pteridophilia 1 (2016) e 2 (2018), opere tra le più discusse di Manifesta 12 dove erano visibili su uno schermo installato tra i bambù nell’Orto Botanico di Palermo. I filmati, ambientati in una foresta taiwanese, mostrano sette giovani uomini intenti a intrattenere rapporti intimi con una colonia di felci pteridofite, piante molto apprezzate dalle tribù indigene locali ma ritenute poco pregiate dai colonizzatori giapponesi e dagli immigrati provenienti dal continente. In una sofisticata atmosfera soft-porno Zhengo Bo propone la metafora di un’orgia in cui si fa sesso e si mangia assieme a delle felci come immagine di una gioia anarchica scaturita dal piacere di ritrovare desiderio e reciprocità in tutte le forme di vita del pianeta e come prefigurazione artistica della decrescita felice di


cui parla l’economista Serge Latouche. Di seguito una breve intervista in cui l’artista ci racconta il suo approccio all’ecologia e alla cultura queer tra marginalità ed eccentricità. In your work nature seems a tool to understand social human behaviours and also a model for a more ethic way of living. Do you agree? I am working mainly with weeds, they have helped me to better understand nature, society and also myself. Even before doing these projects I was interested in people on the margins like migrant workers in China and Hong Kong. So when I started to work with plants, I realized there’s a lot of similarities between weeds and people on the margins. Now I have learnt to see beyond just humans so it is still important that I pay attention to communities on the margins but it is also important for me to pay attention to plants on the margins. (There are also animals on the margins but I haven’t started to work on them yet). There are things we are afraid of, like insects, maybe we had some reasons years ago but now we shouldn’t be afraid of them and we are still afraid of weeds even though they don’t really harm us. Maybe they slow us down because they create trouble for agricultural business. I think now it is very important for us to slow down and it is difficult to do it on our own but plants and other species can help us. I’ve also learnt to see through history that whenever humans create crisis and they can’t solveit, they turn on other species but in normal time we completely forget about them, we only think about humans. For example Survival Manual I and II (two indices of wild edible plants in Shangai and Taiwan printed in 1961 and 1945) were published during two serious political crises to help people to survive the famine. I think now incrisingly we are in a crisis, we are in this huge ecological emergency: a lot of people are inventing new technologies to address it we should work with other species, we can’t adress it alone.

So the video Pteridophilia is the dream of a joyful coexistence between human and nature, isn’t it? You know I just think: if we spend more time in a forest having sex with plants instead of doing shopping, going online and things like that, we would have a better planet. Of course I am joking but I am also serious, maybe we won’t go to the forest to have sex, but it’s really important that we go to the forest. In the forest I fell completely natural to be naked, while in the city is weird. A lot of people say that they are gardeners, they watch the film and even if they don’t have sex with their plants, they understand how the relationship with plants could be very close, they become relatives, you become lovers. How does the video relate to the eco-queer movement to which it is associated by critics? I didnt’t think about it while I was making the film but after I realized there are other artists working with eco-sexuality. For example Annie Sprinkle and Beth Stephens in last Documenta presented Water Makes Us Wet—An Ecosexual Adventure, a film that chronicles the pleasures and politics of H2O in California from an ecosexual perspective. The reason why Pteridophilia is called eco-queer is that when I showed it to other people they said “it’s a gay film” which made me wander why they immediately say it: when we see naked men we tend to think it’s gay but when we see naked women we think it’s heterosexual. But there’s another aspect: the film is not just about queer humans, it’s also about queer plants because the ferns don’t produce a flower that is the sexual organ for angiosperm plants but they produce spores without a sexual organ so you can say they are also queer plants. The sexual idea for ferns is different from angiosperms so within plants you can find a kind of homosexuality; most of people don’t know ferns but if you know them you understand why they are considered queer.

Zheng Bo “Pteridophilia 1” 2016. Video (4K, color, sound), 17 min. Courtesy the artist and PAV, Torino

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Spray Eventi d’arte contemporanea

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Franco Guerzoni “Archeologia” fotolito, cm 70 x 100 ph courtesy Studio G7

Nathalie Djurberg & Hans Berg “Untitled (Acid)” 2010, stop motion animation, video, music, 6:05 min, © Nathalie Djurberg & Hans Berg / Bildupphovsrätt 2018 ph courtesy Mart

ANCONA

BOLOGNA

L a Fondazione C assa di Risparmio di Jesi (AN), nella sede del rinascimentale Pa la z zo B is ac c i o ni, ha o r ga niz z ato la mostra La Scuola di San Lorenzo. Una Factory romana a cura di Giancarlo Bassotti con il contributo critico di Marco Tonelli. Un quartiere proletario di Roma e un edificio esempio dell’odierna archeologia industriale, l’ex Pastificio Cerere, diventano agli inizi degli anni Ottanta il contesto entro cui un gruppo di ar tisti fonda uno dei poli più vitali dell’arte contemporanea. Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio (Di Stefano), Piero Pizzi Cannella, Marc o T irelli c ostituis c on o la “ S c uola di San Lorenzo”. L a loro attività, rimas t a s e mp re b e n d ef init a n e ll e di ve r s e specificità dei vari componeneti, nasce distacc andosi dalla Transavanguardia, mostrando un’attenzione particolare per il processo creativo dell’opera e rivendicando la ricerca di soluzioni nuove sia da un punto di vista formale, che nell’uso dei più disparati materiali. L’esposizione ha riunito una selezione di circ a quaranta lavori accomunati dalla ricerca sullo spazio, trattato come materiale da modellare, c ome elemento c ostante nella pratic a di ogni singolo autore la cui poetica è in grado di riallacciare l’arte con la quotidianità fat ta di imma gini simb oliche e connessa all’esperienza intima nel proprio studio, luogo di vita e attività costante. -Loretta Morelli

Studio G7 ha chiuso il 2018 con la mostra “Senza Cornice. Opere scelte”, nata dal desiderio di Ginevra Grigolo di voler vedere una parete della galleria “piena di multipli”. E così su una grande parete di fronte all’ingresso si sono date appuntamento, come in una lunga sfilata di ospiti d ’onore, le op ere su c ar ta di de cine di ar tisti, ambasciatori di molteplici gusti e tendenze, che nel corso di qua si cin quant ’anni sono stati protagonisti delle attività espositive di Studio G7. Nessuno schema e nessuna convenzione, epoche e te c nic h e dif fe re nti e l ’unic o v in c o lo di un a p r e s e nt a zi o n e e s s e n zia l e , c h e esclude di proposito l ’abituale display della cornice. L a scelta è stata guidata da Renato Barilli, che sin dagli anni ‘70 segue l’av ventura della galleria, inizialmente specializzata proprio nel settore dei multipli. A questa sezione fa da contrappunto una selezione di opere uniche, curata da Leonardo Regano, che dialo gano con le ripro duzioni a livello con cettuale, estetico e stilistico invitando lo spettatore a cercare i propri percorsi d ’af fe zione e r if le s sione in una vera e propria festa dello sguardo. N e l l a m o s t r a T h o m as St r ut h . N at u r a e Politica la Fonda zione MA ST pre senta una selezione di grandi immagini a colori del fotografo tedesco realizzate a par tire dal 2007 nei siti industriali e di ricerc a scientific a di tutto il mondo c h e r a p p r e s e n t a n o l ’av a n g u a r d i a , l a

sp erimenta zione e l ’innova zione nelle at tività umane. C on appro ccio chir urgico e apparentemente impersonale Struth mostra luoghi solitamente inaccessibili, come laboratori di ricerc a sp a zia l e , imp ia nti nu c l e a r i, s a l e o p e ratorie o piattaforme di per fora zione. In queste avanguardistiche posta zioni viene e sibita una te cnologia talmente complessa da risultare incomprensibile, oscuramente minacciosa come il potere che le strutture na scoste di controllo, p o te n z a e i nf l u e n z a e s e r c i t a n o s u l l a nostra esistenza per mezzo delle tecnologie più avanzate. Il grandioso affresco fotografico del mondo della ricerca contemporanea e dell’alta tecnologia composto da Struth vuole far intuire come dietro agli straordinari risultati raggiunti dal progresso negli ultimi anni si celino precise politiche della conoscenza e del commercio manovrate dall’alto. In que sto modo la peculiare estetica di questi ambienti algidi e ipercontemporanei, a p r ima v ist a in dif fe re nti alla p re s e nz a umana, rivela la sua matrice profondamente politic a e ideologic a. Débora Delmar (1986, Mexico City) utilizza l ’iconografia e gli stereotipi com merciali del food health per af frontare il tema della mobilità di cla s s e e della sua autorappresentazione. Nella mostra Stressed, Blessed and Coffee Obsessed da Galll e r iap iù l ’ar tist a analiz z a l ’in fluenza della cultura europea dei c af fè nello sviluppo delle città, nelle relazioni sociali, nelle intera zioni e nello stile di Juliet 191 | 95


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