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opening 2.11.2019
Juliet 195 - dic 2019/gen 2020
Courtesy Navjot Altaf and DIIA
curated by Marco Scotini
3.11.2019 – 16.2.2020
NAVJOT ALTAF SAMAKAALIK: EARTH DEMOCRACY AND WOMEN LIBERATION parcoartevivente.it
DIC 2019 – ISSN 11222050
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con il sostegno di 9
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122051
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Juliet online: www.juliet-artmagazine.com
Anno XXXVIII, n. 195, dic 2019 - feb 2020 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 Illustrazione di Antonio Sofianopulo
del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico Direttore responsabile: Alessio Curto Editore incaricato: Rolan Marino Direttore editoriale: Roberto Vidali Servizi speciali: Luciano Marucci Direzione artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli Direttrice editoriale web: Emanuela Zanon
Contatti
Corrispondenti
info@juliet-artmagazine.com Juliet - via Battisti 19/a - 34015 Muggia (TS) f b: associazione juliet
Berlino - Annibel Cunoldi Attems
Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Chiara Baldini, Angelo Bianco, Mara Borzone, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Serenella Dorigo, Sara Fosco, Roberto Grisancich, Andrea Grotteschi, Silvia Ionna, Ernesto Jannini, Alessia Locatelli, Isabella Maggioni, Chiara Massini, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Paolo Posarelli, Rosetta Savelli, Alexander Stefani, Giovanni Viceconte
annibel.ca@gmail.com
Bergamo - Pina Inferrera pina.inferrera@gmail.com
Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it
Brookings (USA) - Leda Cempellin
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Promoter Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Paolo Tutta Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane
leda.cempellin@sdstate.edu
Milano - Emanuele Magri emanuelemagri49@gmail.com
Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com
Distribuzione Joo Distribution Stampa Sinegraf
Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com
Illustrazioni Antonio Sofianopulo
Consulente tecnico David Stupar
Parigi - Anna Battiston 90103annabattiston@gmail.com
Web designer Andrea Pauletich
Tokyo - Angelo Andriuolo
Fotografi Luca Carrà Fabio Rinaldi Stefano Visintin
Torino - Valeria Ceregini
arsimagodei@gmail.com
valeria.ceregini@gmail.com
Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 50,00 € Europa 65,00 € others 90,00 € arretrati 20,00 € copia estero 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT75C0200802242000005111867 Banca Unicredit, Trieste.
Sommario
Anno XXXVIII, n. 195, dicembre 2019 - febbraio 2020
36 | L’interazione disciplinare - Dall’arte visuale alla società
82 | Quentin Lefranc - Récits d’espace
globale (III)
Anna Battiston
Luciano Marucci
84| Dieneke Tiekstra - Sculpture as a three-dimensional
44 | Estetica ed Etica degli Archivi Privati - Il ruolo della
puzzle
documentazione fisica in era digitale (VI)
Andrea Guerrer
Luciano Marucci
48| Art Week London - Frieze ed eventi esterni Luciano Marucci
52 | Gianni Pellegrini - Il colore inquieto Daniela Ferrari
56 | Robin Rhode - insolito e inaspettato Roberto Grisancich
58 | Mask: In Present-Day Art - Aarau: Aargauer Kunsthaus Emanuele Magri
60 | Richard Gorman - The importance of Being Painter Valeria Ceregini
62 | Project for Juliet Rita Vitali Rosati
64 | Joan Brossa - Teatro irregular Enzo Minarelli
66 | Mogli di Artisti - La parola a tre individualità Luciano Marucci
68 | Shiota Chiharu - The Soul Trembles Angelo Andriuolo
70 | Stockholm School of Economics - SSE Art Initiative Chiara Baldini
71 | Astrid Nippoldt - Vita e desiderio Stefano Rossi
72 | Matteo Rossini - Collezionare come emozione Emanuele Magri
73 | Alessandro Contilli - Spiritualità cromatica
PICS 77 | Marcello Diotallevi - Proverbi rivisitati 81 | Gabriel Ortega - “Eroica” 83 | Kris Lemsalu - “Biker” 85 | Dora Budor - “I am Gong” RITRATTI 86 | Fil rouge - Silene Brandi Fabio Rinaldi
93 | Monica Bottani - Fotoritratto Luca Carrà
RUBRICHE 87 | Sign.media - Là dove cresce il pericolo… Gabriele Perretta
88 | Appuntamento eclettico - Alessandro Vecchiato Alessio Curto
89 | P.P. dedica il suo spazio a… - Achille Perilli Angelo Bianco
90 | (H) o - dell’invisibile Angelo Bianco
91 | Jayme McLellan - The arts ecosystem Leda Cempellin
92 | Arte… e Scienza - Franco Kokelj Serenella Dorigo
Liviano Papa
AGENDA
74 | Luminosità e cromatismo - Gianpiero Bonfantini
94 | Spray - Eventi d’arte contemporanea
Liviano Papa
AAVV
75 | La maschera abitata - Gualtiero Dall’Osto Danilo Reato
COPERTINA
76 | Gianluigi Antonelli - Iconografie nel deserto del reale
UMAR RASHID (Frohawk Two Feathers) “Comely Gigi, the Face
Eleonora Fiorani
78 | Maria Vassileva - Autoritratti 9 Giuliana Carbi Jesurun
79 | Materia manipolabile - Armanda Verdirame
that Launched a Thousand Bullets” 2019, tecnica mista su carta riportata su tavola, 30 x 20 cm, © l’artista, ph courtesy Studio d’Arte Raffaelli e Cellar Contemporary, Trento
Liviano Papa
80 | Galina Raspopina - The pantheistic painting SA Se GG pr (D I O i v o N . . P. R G R d e l 6 6 . AT t r 3 26 UI ian ar / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d
Camilla Pappagallo
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Estetica ed Etica degli Archivi Privati Il ruolo della documentazione fisica in era digitale (VI) a cura di Luciano Marucci
U ltimo appuntamento del l’indagine sugl i archiv i privati dei creat iv i e deg l i i ntel let t ua l i nel l’era d ig ita le, non concepit i come tradizionali depositi inerti, ma come fonti di documenti, pressoché i ned iti, per attivare laboratori che permettono d i scoprire considerevoli aspetti personali e processi operativi. Quindi, esibire tali materiali attraverso mostre monografiche o collettive, spesso in format alternativi, significa metterne in rilievo il particolare valore estetico, nonché la valenza etica, in quanto viene riproposta la conservazione di un patrimonio culturale nascosto, dimenticato o trascurato, perfino di importanza storica. La pratica dell’archiviazione documentale, infatti, può svelare il legame intimo tra vissuto e atto creativo, la genesi e l’autenticità delle opere, l’identità più profonda degli autori. È una piattaforma che si configura come osservatorio, prevalentemente cartaceo, di memorie stratificate e performative. Ma, anche se proviene dal passato, non esclude l’interazione con le moderne istituzioni museali capaci di preservare e di finalizzare, né è incompatibile con gli archivi elettronici e i siti web della realtà virtuale, i quali, sia pure con intenzioni differenti, contribuiscono alla raccolta e alla diffusione delle informazioni nello spazio-tempo aumentato della Rete. In questa puntata vengono riportate le testimonianze di Lamberto Pignotti e di Giorgio Verzotti; nelle cinque precedenti sono intervenuti, nell’ordine: Andrea Bellini, Nanni Balestrini, Achille Bonito Oliva, Fabio Cavallucci, William Kentridge, Gian Ruggero Manzoni, Angela Vettese, Renato Barilli, Emilio Isgrò, Giancarlo Politi, Marco Scotini, Marco Senaldi, Alfredo Jaar, Luca Maria Patella, Fabio Sargentini, Gino Roncaglia, Giorgio Busetto, Renato Novelli, Michelangelo Pistoletto e Fausta Squatriti. Lamberto Pignotti, scrittore e poeta visivo Luciano Marucci: La personale alla Galleria Conctat di Roma, intitolata “Controverso. Arte per fraintenditori”, oltre a esibire il valore estetico delle opere, su quali problematiche voleva far rif lettere? Lamber to Pignotti: Voleva far rif lettere sul l’uso distor to nel modo di concepire ancora la critica. L’ar te non va intesa, ma fraintesa. Mi sono sempre rapportato con un’opera più per avere sollecitazioni che per capirla. Questa mia istintiva attitudine è teoricamente condivisa in vario modo anche da autori come Roland Barthes, Susan Sontag, Umberto Eco, Roberto Longhi…, ma non voglio andare sul pesante. La personale alla Galleria Contact non prospetta opere ma progetti di opere in corso – non opere, che invece sono presenti in successione antologica dagli ann i ‘40 a ogg i al l’altra personale romana del la Fondazione Menna – ed essa stessa tende ad essere una manifestazione progettuale in un articolato contesto intermediale. È stato un evento che ha anche reso omaggio alla tua intensa e consequenziale attività creativa svolta con impegno civile. Forse non è un caso se questa “Arte per fraintenditori”, espressione che mi si è più lucidamente delineata durante una mia performance al Museo Novecento a Firenze, ha interessato un nuovo gruppo nazionale definito “Filosofia in movimento”. Ripensando
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Hegel, Diderot, Benjamin, Marcuse, Wittgenstein; rivisitando le utopie e le progettualità degli anni ‘60 -‘70; prendendo atto che la morte dell’arte è stata rimandata sine die, alcuni di quei fi losofi “movimentati” hanno simpatizzato con uno come me che non da ora certifica – creativamente? civilmente? – che il corso dell’arte è tuttora in corso. In tal senso sono stati av viati seminari universitari, filmati, pubblicazioni. La libertà di fare arte senza limiti linguistici e ideologici da quale formazione culturale e osservazione reale deriva principalmente? Mio padre era pittore, un ottimo paesaggista fiorentino senza riconoscibili maestri, estrosamente proiettato a individuare nuovi soggetti. Da lui ho ereditato la curiosità, la disponibilità di uscire allo scoperto, a mettersi in gioco. Ho avuto la fortuna che a Firenze c’erano la Biblioteca Nazionale e la Marucelliana: vi sono entrato nel 1943 a 17 anni con un permesso che mi ero fatto fare da un mio professore: allora non vi si poteva accedere prima dei 18… Da quelle due biblioteche ho sconfinato – non con quel mancato salto a Chiasso a suo tempo rimproverato da Arbasino agli allora attardati italiani – in tutte le direzioni: antropologia, psicanalisi, pubblicità, neo-positivismo, linguistica, moda, filosofia analitica, e a rotta di collo Profilen Kunstgeschichte e Christian “BOAMM” 2018, dalla mostra alla Galleria Contact, Roma (courtesy l’Artista e Galleria Contact, Roma)
“Lamberto Pignotti scrive versi immortali” 2014, performance (courtesy l’Artista)
Zervos, colazioni sull’erba e parole in libertà, Picasso e Magritte, Dada e Dalì, Spitzer e Max Bense… Montare a cavallo e via … Per altro di quei tempi per le strade di Firenze c’erano i nazi-fascisti, e in cielo le fortezze volanti sganciavano bombe. La tua metodolog ia operativa è inf lessibile…? Flessi bi le. Sempre tenendo stretto il filo di Arianna. Nella costruzione delle opere i nuovi media tecnologici ti soddisfano al pari dell’esecuzione manuale? Non do molta importanza all’esecuzione materiale. Do importanza all’idea che c’è nell’opera. Linguaggio e ideologia si fondono nell’opera visuale e letteraria? Fin dai titoli ho dedicato libri, articoli e lezioni universitarie a questo rapporto assai discusso e complesso. In sintesi: nell’opera la trasmissione ideologica av viene attraverso il linguaggio, non per quello che esso dice, ma di come lo dice. Non per nulla ci sono artisti di destra che si esprimono o prospettano modalità avanzate, e viceversa. L’oggetto artistico tende ad assumere la forma di soggetto interattivo? Ci sono forme d’arte che tendono a essere transitive, a comunicare e coinvolgere il fruitore; altre che invece si pongono come intransitive, ripiegate su sé stesse, indecifrabili. Io mi sento più attratto dal le prime: Lector in fabula, intitola così un suo libro Umberto Eco; preferisco che l’opera mi faccia entrare dentro, che mi faccia par tecipare, che da spettatore mi faccia d iventare attore, che mi faccia sent i re che sono io che guardo un quadro che mi guarda. Già: ne Las Meninas di Velasquez è l’infanta Margarita che guarda te o sei tu che guardi lei? La poesia ti guarda, è uno dei miei quadri esposti in “Arte per fraintenditori”. Ma tutti i quadri, da sempre, ti guardano: basta saperli vedere… Gli insegnamenti del dadaismo che traspaiono dalla struttura dei tuoi artefatti, hanno in qualche misura inf luito pure sulla lettura degli accadimenti quotidiani? Forse sono gli accadimenti quotidiani a essere inconsapevolmente dadaisti, come quel certo personaggio di Molière che non sapeva di parlare in prosa. D’altronde non occorre neppure una lettura spocchiosamente trasversale per constatare che gli avvenimenti sopravanzano di giorno in giorno l’immaginazione, surrealista o dadaista che sia. L’atteggiamento critico-analitico, seppure addolcito dall’ironia, è rivolto in particolare alla nostra civiltà dei consumi e massmediale? Da tempo sto dicendo che la nostra civiltà è
i mpropr iamente i ntesa come q uel la del le comu n icazion i d i massa. In realtà siamo sommersi e oppressi dalla massa delle comunicazioni. È un sistema mediatico che ci sta stordendo e giocando. Per reazione, con l’ironia, col sarcasmo, con lo sberleffo, con l’irrisione, si può cercare di giocare il sistema che ci sta giocando. L’aggiornamento al riguardo deve essere rapido e continuo. E poi: visto chi abbiamo di fronte è lecito barare al gioco. Nel campo della comunicazione pubblica cosa andrebbe censurato? In linea di massima sono contro ogni forma di censura. Però se per “comunicazioni pubbliche” si intendono fra l’altro gli editti promulgati dalle gigantesche imprese produttive, dalle holdings finanziarie, dal la “Power 100” che garantisce l’ar te come forma di investimento, ecco quelle nocive comunicazioni l ì, tendo a censurarmele, a by passarle, a i nter pretarle come paradossali esibizioni del grande circo dell’arte. La tua opera, che nasce da un immaginario razionale, non è mai socialmente evasiva? L’immaginario razionale che rilevi nella mia opera è palese ma si configura in una serie di spunti eterogenei, casuali o perseguiti, e classificabili come i fantasmagorici animali appartenenti all’imperatore del famoso elenco di Borges, e che quindi possono essere socialmente evasivi, oppure no. Il più delle volte prevalgono la semplice constatazione, la resistenza o la protesta? All’inizio la constatazione seguita, per reazione, dalla protesta. Più che di resistenza nel mio caso preferisco parlare di “renitenza”. Prima dell’arrivo degli anglo-americani a Firenze, nel 1944, sono stato renitente alla leva repubblichina in un ex convento in cui si era rifugiata con la famiglia anche la giovane Oriana Fallaci che agiva da staffetta partigiana. “Renitente” mi sento ancora nei confronti del regime della globalità. In che consiste esattamente la tua poesia tecnologica e visiva sperimentale? La poesia tecnologica nasce ufficialmente nel 1962 con un mio lungo saggio apparso su “Questo e altro”, una rivista mi lanese di area mondadoriana, al lora aperta fin dal titolo allo sconfinamento della letteratura dal proprio orticello. Scopo di quel saggio è stato quello di identificare e di esemplificare un genere sperimentale di poesia, e successivamente di arte, che tenesse conto dei mutamenti av venuti all’inizio degli anni ‘60 in una società i cui linguaggi non erano più quelli tradizional i ma quel l i messi in atto dal le tecnologie emergenti: pubblicità, moda, fumetti, radio, televisione… L’idea affacciata in quel periodo era quella simbolicamente rappresentata di un “In forma di libro”, libro di plastica riciclata, Biblioteca Luigi Poletti, Modena, 2007 (courtesy l’Artista)
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Mask: In Present-Day Art Aarau: Aargauer Kunsthaus di Emanuele Magri
Aneta Grzeszykowska “Selfie #19” 2014. Pigment print on cobon paper, 27 x 36 cm, Fotomuseum Winterthur Collection, © Aneta Grzeszykowska, ph courtesy of Raster Gallery, Warsaw
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Senza scomodare l’Heidegger di Che cos’è la Metafisica tutti conosciamo i l problema del Nu l la e del l’A ngoscia che ci assale q uando ci spogl iamo del la nostra maschera sociale e ci troviamo di fronte alla domanda “chi sono?” Il tema della Maschera, un tema vecchio come i l mondo, viene affrontato da trentasei artisti d i levat u ra i nter naziona le nel la most ra “ Mask: I n Present-Day A r t” (v isitabi le f i no al 5 gennaio 2020) a cura di Madeleine Schuppli, in collaborazione con Yasm i n A fschar, l’u na d i ret tr ice e l’altra curatr ice del l’A argauer Ku nst haus, i l Museo d i Bel le A r t i d i A rgovia, ad Aarau, “affascinante centro storico che può vantarsi di possedere i tetti a capanna dipinti (i cosiddetti «Dachhi mmel») più bel l i del la Sv izzera”. Gl i a r t i st i proven ient i da dod ic i paesi , esplora no, con 160 opere il problema in profondità affrontando le implicazioni sociali, culturali, politiche e simboliche dietro le maschere. Dallo sciamanesimo ai rituali più svariati, ai carneval i, ai r uol i social i, al teatro, al cinema, ai passamontagna, al la moda, al gioco di r uolo, f i no ag l i Emoji. Nel cata logo si citano t ut t i i precedent i nel la stor ia del l’ar te da Gh i rlandaio ad A r tem i sia Gent i lesc h i , a Caravag g io a Cou rbet, da Picasso a Nolde a Ensor a Sophie Tauberg-Arp, a Man Ray a Magritte. Mai come in questo periodo la nostra società è caratterizzata da una complessità che comporta mille sfaccettature. E a queste tante facce del problema corrisponde il comporre una maschera formata da tanti ritagli di maschere prese da varie cu lture come fa Christoph Hefti con “Maschera mondiale”. Parallelamente alla sua carriera nel la moda, l’artista crea instal lazioni video anche in collaborazione con altri artisti, e combina musica, costumi, video e arte. In Nepal, grazie all’interazione tra designer e artigiano, progetta e sviluppa una serie di tappeti annodati a mano, ottenendo
opere come quelle in mostra. D’altronde si possono ottenere maschere in qualsiasi modo. O prendendo un oggetto q ualsiasi e lavorandolo un po’ come fanno Si lv ia Bach l i e Eric Hattan, coprendosi i l volto di sassi come Melodie Mousset o rei nventando i l senso d i u n casco da moto come fa Mike Nelson. Si può rivestire con maschere la natura, al ber i, rami, rad ici, dando loro nuova v ita come fa Nathalie Bissing. O basta associarne due, un sopra e un sotto, cioè la parte del naso e occhi e quella della bocca per c rea re u n cont rasto spiazza nte come fa A net a Gr zesz ykow s k a, con “ Sel f ie #19 ”, 2014 , c he con una sequenza di foto documenta il suo rapporto con pezzi di maschere da comporre variamente. Fa la stessa cosa ma con un col lage di copertine di dischi C h r i s t i a n Ma r c l ay, c he, con “ Utopi a” (d a l l a s er ie “Maschere”), 1992, ot t iene u n volto, u na maschera composta come una scacchiera, con solo due occhi e una bocca, mentre le altre copertine sono bianche e nere o con “Music”, 1992, in cui sono presenti anche catene, sigarette, orologi e così via, suggerendo che sono aperte a possibili aggiunte. A volte si t rat ta d i negare la propr ia ident ità come fanno i suonatori della performance “Again and Again” (2000 -2019) d i Sislej X hafa che ha aper to la mostra o a s s u mer ne u n’a lt r a come l’a r t i s t a h a f at to a l l a 58ma Biennale di Venezia del 1997 con il Padiglione Clandestino quando vestito da calciatore girava per i Giardini. Nella sterminata produzione dell’eccentrico, ironico, trasgressivo, per Olaf Breuning disegnare occhi, naso, bocca, su qualunque parte del corpo vuol dire trasformare in maschere mani, ginocchia, sederi. Nell’opera “Emojis”, 2014, sovrappone alle facce di un gruppo di persone su una fotografia una serie di emoji facendo convivere nella stessa opera l’elemento carnevalesco classico veicolato però dai più trendy emoji. L’opera di Sabian Baumann, non scherza in fatto di trasgressività e messa in discussione della normalità. Vari suoi progetti hanno a che fare col femminismo Queer: (vedi Sexismus Productions, Casual, Working On It e An Unhappy Archive) e mettono in discussione ruoli di genere. Qui presenta una maschera in argilla cruda in cui solo il naso è dorato con un effetto sconcertante. Il vecchio gioco di vedere qualcosa in qualcos’altro è utilizzato nella sua serie “Nomadi” da Laura Lima che trasforma paesaggi dipinti in maschere. Così come John Stezaker che già dagli anni ‘70 manomette fotografie in termini surrealisti e post pop art con sforbiciate, collage, inter venti minimi che ne trasformano i l significato. “Il mio ideale è fare molto poco con le immagini, forse con un solo taglio: il più piccolo cambiamento o la minima mutilazione”. Ha inf luenzato artisti come Tracey Emin e Damien Hirst e ha esposto
in vari musei e gallerie del mondo e recentemente a Milano da Kaufmann Repetto. Molto usati in tutta la storia dell’arte i musi di animali. E qui abbiamo Rondinone che espone una sfi lata di musi di bestie in poliuretano mentre Gauri Gill, artista indiano, dal 2014, si è ispirato al festival Bahoda, in cui la comunità esegue scene tratte dall’epica indù indossando maschere che rappresentavano divinità indigene. Gill ha voluto rif lettere sulla situazione contemporanea, u sa ndo masc here d i a n i ma l i e uccelli, prodotte da i due fratelli, Subash e Bhagwan Dharma Kadu, f ig l i d i u n leg gendar io produttore d i masc here. Per esempio fotografa una scena, in “Un#tled, from Acts of Appearance”, 2015, in cui tre personaggi giocano a dadi coi volti ricoperti da maschere di musi d’asino. Il lavoro dell’artista concettuale inglese, Gillian Wearing, una degli Young British Artists, e vincitrice del premio Turner del 1997, è stato definito da John Slyce come “inquadrare sé stessa mentre inquadra l’altra”. Il desiderio di identificarsi coi genitori rientra nei meccanismi esplorati dalla psicologia, e l’artista ne fa un suo segno, in “Autoritratto come mia madre Jean Gregory” indossa una maschera di silicone per trasformarsi in sua mamma. L’origine angolana di Edson Chagas (vive a Luanda) ci spiega i l suo uso d i maschere af r icane i ndossate da model li. Nel la serie “Oi konomos”, si fotografa in posa con vari sacchetti di plastica in testa parlando così sia dei rifiuti che si trovano in tutto il mondo sia dell’aff lusso di prodotti di seconda mano che vengono portati in Africa con quei sacchetti. E v i s to c he per ma sc hera s i i ntende a nc he q ue l l a
cosmetica o le mascherine che si usano sugli aerei per coprirsi gli occhi ecco che Amanda Ross-Ho, espone tre di queste mascherine ma sovradimensionate (2 metri per 70 cm) e di tre colori (rosso, verde e blu). Mentre nei s uoi f i l m sel f ie Su sa n ne Wei r ic h , con “Globa l Charcoal Challenge”, ci mostra persone di tutte le età mentre si fanno la maschera di bellezza. Cecilia Edefalk in “At the Moment Untitled” (1997/1998) nel rappresentare Stan Laurel e Oliver Hardy nel film parodia western “Way out West”, è interessata a sottolineare, con la pittura, i loro volti come maschere. Quindi non la maschera oggetto ma l’interiorizzazione della maschera che è propria dell’attore. Le fotografie dei volti di legionari della prima guerra mondiale orrendamente massacrati e chirurgicamente rattoppati messi in dialogo con maschere africane che sembrano altrettanto sofferenti sono montate da Kader At t ia, con fare dadaista, r ipensando i l valore del le medesime e mettendo in discussione la fascinazione dei primi del novecento per le maschere stesse. Douglas Gordon mette in scena la vecchia questione di Dottor Je k yl l e M i s ter Hyde fotog ra fa ndo sé s tes so come bel giovane normale e poi col volto sconvolto con la semplice applicazione di scotch che tira la pelle con effetto convincente. Nel suo video Elodie Pong esegue u na lap dance vest ita da panda. Quando si togl ie i l cappuccio ripete al l’infinito “I am a bomb”. A nche i pazzi fotografati da Markus Schinwald, (tra Gericault e Lombroso) hanno sui volti segni che accentuano i tratti inquietanti. Di Simon Starling l’installazione “Project for a Masquerade (Hi rosh i ma)” consiste i n u n v ideo che r i f let te ot to maschere di legno da lui stesso intagliate e montate su supporti metallici mettendo in relazione la tradizione del teatro giapponese Nō con la guerra fredda rappresentando lo storico Anthony Blunt, James Bond, il fisico nucleare Enrico Fermi, Joseph Hirschhorn e il colonnello Sanders. E alla fine non poteva mancare Cindy Sherman...
A sinistra: Ugo Rondinone “Moonrise. south, july” 2003. Casting, polyurethane black, 40 x 22 x 14 cm, Burger Collection, Hong Kong, © Ugo Rondinone. Foto Stefan Altenburger Photography, Zürich. Courtesy the artist, Galerie Eva Presenhuber, Zurich / New York
Sotto: Sislej Xhafa “Again and Again” 2000–2012. C-print, 128 x 300 cm (in collaboration with Donna Musica Orchestra, Courbevoie). © Sislej Xhafa, courtesy Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana
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Spray Eventi d’arte contemporanea
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Douglas Kirkland “Audrey Hepburn”, Paris, 1965, stampa giclée / archival pigment print, cm 101,6 x 101,6, courtesy Paci contemporary gallery, Brescia - Porto Cervo
Tom Sachs “My Melody” 2008, bronze, catalyzed acrylic, white primer, white base coat, Xtreme flat finish KlearKote, “Frieze Sculpture” 2019 (courtesy Galerie Thaddaeus Ropac, ph Luciano Marucci) (Sachs recontextualizes the iconic Japanese cartoon character “My Melody” from the famous mass-produced toy. This enlarged bronze cast, painted white to resemble foamcore, retains slight imperfections to illustrate the creative and manual process)
BRESCIA Fino al 31 gennaio, da Paci contemporary (Borgo P. Wuhrer 53) sarà visitabile “The Icons” di Douglas Kirkland. Punta di diamante della moda, del fotogiornalismo e della ritrattistica, Kirkland ha lavorato per le riviste più rinomate del mondo, catturando le più celebri star di Hollywood: più di cinquant’anni di carriera o hanno consacrato tra i più importanti fotografi dell’era contemporanea. La mostra, suddivisa in diverse sezioni, vuole ricostruire attraverso un’imperdibile sequenza di scatti l’intera produzione dell’artista, accostando ai suoi lavori più noti alcuni inediti progetti qui presentati in anteprima. Fulcro dell’esposizione sono i ritratti ineguagliabili delle più famose star del cinema, artisti del calibro di Audrey Hepburn, Brigitte Bardot, Paul Newman, Jack Nicholson, Sophia Loren, Angelina Jolie… Indimenticabili risultano essere gli scatti dedicati a Marilyn Monroe, immortalata in uno studio nel cuore di una notte passata alla storia, ancora oggi tra le più belle immagini di sempre dell’attrice. Non mancano le rappresentazioni dedicate al mondo fashion, tra cui le fotografie della grande Coco Chanel. Infine, in anteprima assoluta, viene presentato l’ultimo lavoro di Douglas Kirkland, legato a una reinterpretazione in chiave fotografica e decorativa dell’alfabeto, progetto realizzato insieme
alla moglie Francoise, proposto nella sua interezza in una straordinaria e imperdibile installazione. La mostra è accompagnata da un volume, realizzato a cura della galleria Paci contemporary, con introduzione di Walter Guadagnini e di Douglas Kirkland, pubblicato da Silvana Editoriale, incentrato sull’intera produzione dell’artista.
CATANZARO Il MARCA, diretto da Rocco Guglielmo, ha ospitato fino a tutto novembre la mostra di Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni, in arte Bertozzi & Casoni. La personale, dal titolo Terra!, a cura di Michele Bonuomo, affronta alcuni temi cari ai due artisti, primo fra tutti, quello del cibo in tutte le sue declinazioni (avanzi di banchetti, rifiuti, lattine, rimasugli, pattumiere), oltre a fiori, animali ed elementi della vita quotidiana che, sapientemente smembrati e riassemblati, ricreano nelle sale del MARCA, non solo uno spettacolo visivo ma anche i simboli negativi della contemporaneità in cui viviamo. Sono trenta le opere in mostra, che a più livelli rappresentano uno spaccato della produzione artistica degli ultimi anni di Bertozzi & Casoni, dai Mini avanzi degli anni Ottanta ai Vassoi del Duemila, per poi passare dai pannelli del pronto soccorso “Composizione14” del 2009 ai Brillo box con
pappagalli del 2016 e finire con la grande installazione dal titolo Terra! Quest’ultimo lavoro, pensato per il MARCA, è composto di barili di petrolio con i loghi di noti marchi di distributori di carburante, bombole del gas utilizzate per alimentare le cucine delle nostre case, secchi di vernici, cassette industriali e animali, tutti realizzati in maiolica colorata, in grado di mettere in luce le qualità estetiche degli oggetti e allo stesso tempo di raccontare e mostrare al pubblico il risultato negativo provocato da una società dove tutto è considerato obsoleto e sostituibile. Sempre a Catanzaro presso la Casa della Memoria, fondata dall’artista catanzarese del décollage, propone la mostra dal titolo “Mimmo Rotella e la storia dell’arte”, un progetto che riunisce, fino al 30 agosto 2020, diciannove opere che rilevano la capacità di Rotella (Catanzaro, 1918 - Milano, 2006), di cogliere spunti iconografici e concettuali dall’arte classica a quella contemporanea. Contactless è il titolo della terza residenza d’artista “SENSE”, inserita nell’ambito delle attività autunnali del MABOS - Museo d’Arte del Bosco della Sila (Borgo San Basile, CZ). Un luogo questo della Sila che rappresenta, da qualche anno, uno spazio concreto e adatto per creativi e giovani artisti, invitati di volta in volta dagli organizzatori, a sostare in un contesto naturale lontano dal caos della contemporaneità e Juliet 195 | 95