196
opening 2.11.2019
Juliet 196 - feb/mar 2020
Courtesy Navjot Altaf and DIIA
curated by Marco Scotini
3.11.2019 – 16.2.2020
NAVJOT ALTAF SAMAKAALIK: EARTH DEMOCRACY AND WOMEN LIBERATION parcoartevivente.it
FEB 2020 – ISSN 11222050
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con il sostegno di 9
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122051
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Juliet online: www.juliet-artmagazine.com
Anno XL, n. 196 feb - apr 2020 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 Illustrazione di Antonio Sofianopulo
del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico Direttore responsabile: Alessio Curto Editore incaricato: Rolan Marino Direttore editoriale: Roberto Vidali Servizi speciali: Luciano Marucci Direzione artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli Direttrice editoriale web: Emanuela Zanon
Contatti
Corrispondenti
info@juliet-artmagazine.com Juliet - via Battisti 19/a - 34015 Muggia (TS) f b: associazione juliet
Commerciale e pubblicità Fabio Fieramosca
Berlino - Annibel Cunoldi Attems
fieramosca65@gmail.com | +39 348 8044685
Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Elisabetta Bacci, Chiara Baldini, Angelo Bianco, Mara Borzone, Boris Brollo, Antonio Cattaruzza, Serenella Dorigo, Sara Fosco, Roberto Grisancich, Andrea Grotteschi, Emilie Gualtieri, Silvia Ionna, Ernesto Jannini, Alessia Locatelli, Isabella Maggioni, Chiara Massini, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Paolo Posarelli, Rosetta Savelli, Alexander Stefani, Giovanni Viceconte Illustrazioni Antonio Sofianopulo Web designer Andrea Pauletich Fotografi Luca Carrà Fabio Rinaldi Stefano Visintin 34 | Juliet 196
annibel.ca@gmail.com
Bergamo - Pina Inferrera pina.inferrera@gmail.com
Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it
Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu
Milano - Emanuele Magri emanuelemagri49@gmail.com
Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com
Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com
Parigi - Anna Battiston 90103annabattiston@gmail.com
Tokyo - Angelo Andriuolo arsimagodei@gmail.com
Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com
Consulente tecnico David Stupar Promoter Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Paolo Tutta Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane Distribuzione Joo Distribution Stampa Sinegraf Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 50,00 €, Europa 65,00 € others 90,00 €, arretrati 20,00 € copia estero 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT75C0200802242000005111867 Banca Unicredit, Trieste.
Sommario
Anno XL, n. 196, febbraio – aprile 2020 36 | L’interazione disciplinare - Dall’arte visuale alla società
77 | Steven Cohen - Corpo e performance
globale (IV)
Anna Battiston
Luciano Marucci
78 | Ania Jagiello - Autoritratti 10
44 | Andrea Lissoni - Nuovo direttore del Museo di Monaco
Giuliana Carbi Jesurun
Luciano Marucci
80 | Fantastico e metafisico - Franco Sabatelli
48 | Dialogare con Concetto Pozzati - A distanza ravvicinata
Liviano Papa
Luciano Marucci
82 | Eduard Belsky - Mondi stratificati
52 | La Piramide - A Tokyo
Roberto Grisancich
Angelo Andriuolo
84 | Cesare Viel - Il giardino di mio padre
54 | Sensazioni diverse - a Roma
Amina Gaia Abdelouahab
Lorenzo Taiuti
56 | Berlinde De Bruyckere - L’assordante silenzio della
PICS
scultura
79 | Al Loving - “Wythe Avenue # 26”
Emanuela Zanon
81 | LR Vandy - “Superhero Cog Woman # 01”
58 | 6th LAM 360° - Artisti dalla Mongolia
83 | Lars Fisk - “Tudor Ball”
Emanuele Magri
85| Seung-taek Lee - Untitled
60 | Franko B. - “Unloved” Valeria Ceregini
62 | Giovanni Gastel - Selected works Rita Alessandra Fusco
64 | Thomas Köhler - Berlinische Galerie Annibel Cunoldi Attems
RITRATTI 86 | Fil rouge - Giordano Raffaelli Maria Mulas
93 | Marco Scotini - Fotoritratto Luca Carrà
65 | The Fate of Empires - Tra passato e presente Camilla Nacci
66 | Alice Serafino - Le ombre blu Samantha Benedetti
67 | La questione del Pubblico - Koons a Parigi, parte 2 Jacques Heinrich Toussaint
68 | Gabriel Ortega - e le icone Fabio Fabris
69 | Mike Renard - I due lati di una scultura Fabio Fabris
70 | TUTTO.Leonardo - Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma Chiara Baldini
71 | Paris Photo 2019 - al Grand Palais Pina Inferrera 72 | Aldo Spinelli - Il gioco prima di tutto Emanuele Magri
73 | Teresa Fagotto - Differente ripetizione Boris Brollo
74 | Spectrosynthesis - in Tailandia
RUBRICHE 87 | Sign.media - Art of envy Gabriele Perretta
88 | Appuntamento con “La grande bellezza” - Elisabetta Fabri Micaela Curto
89 | P.P. dedica il suo spazio a… - Sergio Racanati Angelo Bianco
90 | (H) o - della cornice Angelo Bianco
91| From New York to Venice - (part II) Leda Cempellin
92 | Arte... e Teatro - Sabrina Morena Serenella Dorigo
AGENDA 94 | Spray - Eventi d’arte contemporanea AAVV
Fabio Fabris
COPERTINA
75 | SELFIE/sh/ ME - Autoritratti
Alberto Di Fabio “Cosmo rosa” 2017, acrilico su tela, 310 x 200 cm, ph courtesy Luca Tommasi Arte Contemporanea
76 | Segni sognati - Luigi Negro Barquez
(dal 6 febbraio alla fine di aprile Alberto Di Fabio avrà una
Lorella Giudici
personale da Luca Tommasi, a Milano)
SA Se GG pr (D I O i v o N . . P. R G R d e l 6 6 . AT t r 3 26 UI ian ar / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d
Majda Božeglav Japelj
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Andrea Lissoni
Nuovo direttore del Museo di Monaco a cura di Luciano Marucci
La lunga intervista con Andrea Lissoni (Milano, 1970) ha sottratto gran parte dello spazio a una circostanziata introduzione, per cui non mi soffermo sul suo curriculum denso di esperienze qualificanti. Sottolineo solo che egli, oltre ad aver studiato storia dell’arte moderna, ha frequentato sedi di formazione e diffusione di culture alternative; ha svolto attività critica e curato eventi di arte contemporanea per lo più a carattere interdisciplinare. Aggiungo che nel panorama artistico attuale si distingue per la capacità di captare e rappresentare, con competenza specifica, libertà e dinamismo, i linguaggi plurisensoriali e performativi di punta, senza però ignorare le pratiche pionieristiche del passato. Alla scoperta di ricerche creative sui generis e all’azione inventiva sviluppata anche all’interno di prestigiose istituzioni espositive, affianca, con equilibrio, quella educativa. Non a caso, grazie all’attivismo, di recente, mentre operava alla Tate Modern di Londra come Senior Curator International Art (film), è stato nominato direttore artistico dell’Haus der Kunst/Museo di Monaco. Altre informazioni sul suo percorso e sugli interessi particolari che lo animano emergono dal dialogo che segue. Luciano Marucci: Procediamo con ordine. Inizialmente quali studi o passioni ti hanno portato a rivolgere maggiore attenzione alla produzione cinematografica inedita o più propositiva, alle nuove esperienze sonore e, in genere, all’arte performativa? Andrea Lissoni: Quando ero studente all’Università di Pavia, Storia Andrea Lissoni nella “Tanks Lobby” della Tate Modern di Londra (ph Alexiou Telemachos)
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dell’Arte Contemporanea come insegnamento non esisteva ancora. Tuttavia, per mia curiosità, passione e frequentazioni, constatavo che qualcosa di incredibile stava succedendo: la musica stava cambiando in modo travolgente e l’elettronica prendeva sempre più piede, i proiettori video si stavano diffondendo pervasivamente (così come i sistemi di montaggio non-lineare avevano rivoluzionato il modo di montare e, inevitabilmente, di pensare degli autori). Le fonti erano poco a poco sempre più accessibili; la realtà virtuale era ben più che un mito nelle scene meno istituzionali che frequentavo; scene caratterizzate da forti interconnessioni globali – per quanto occidentali – attraverso le BBS e la prima rete internet. Per tutto quello, anche se non in Italia, l’arte contemporanea era il campo più poroso e accogliente. È stato così naturale provare a studiare a condividere connessioni e genealogie storiche con neoavanguardie e figure più eterodosse e meno canonizzate. Quando e dove è avvenuto l’iniziale applicazione di questi moventi? Al Link, laboratorio multimediale di Bologna, dove con Daniele Gasparinetti e Luca Vitone facevo parte della redazione arti visive, ma anche a Mi lano dove organizzavamo rassegne d i ci nema sperimentale e serate di Live Media ed expanded cinema in club come il Tunnel. Le attività svolte negli spazi voluminosi dell’HangarBicocca di Milano e della Turbine Hall della Tate Modern di Londra cosa ti hanno insegnato? Dal punto vista dell’uso dello spazio, a non essere mai spaventato dalla dimensione e dall’ansia di riempire e, per altri versi, a contribuire a generare condizioni di percezione delle opere non convenzionali ma confortevoli per il pubblico. Nello spazio della Pirelli quale è stata l’occasione per te più entusiasmante? Non ho una risposta, ho adorato tutte le mostre a cui abbiamo dato forma. Credo siano state molto importanti per HangarBicocca, ma anche fondamentali punti di svolta per gli artisti invitati. Puoi fare degli esempi? Dopo le mostre in Hangar la pertinenza della ricerca di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi nel campo dell’arte contemporanea (e non più solo nella regione del cinema d’artista) é diventata evidente con l’invito a Documenta 14 a Kassel e ad Atene, e con l’importante retrospettiva al Centre George Pompidou; Joan Jonas è stata invitata a rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia, una sua antologica è stata ospitata a Tate Modern di Londra e a Serralves a Porto, il suo lavoro è stato finalmente collezionato da importanti istituzioni con Dia e MoMA, dove ora una sua stanza è parte permanente del riallestimento della collezione; Tomas Saraceno ha presentato opere e avuto mostre personali importanti in istituzioni europee e nordamericane fra cui Palais de Tokyo a Parigi, K21 a Düsseldorf e MET a New York, oltre che avere preso parte a collettive come la Biennale di Venezia; ugualmente Ragnar Kjartansson, con Palais de Tokyo, Barbican a Londra, Biennale di Venezia e, fra poco, al nuovo museo della V-A-C Fondation che sarà aperto a Mosca; Philippe Parreno ha esposto in grandi istituzioni di Cina, Australia e Messico, ha avuto una personale al Martin-Gropius-Bau a Berlino, la celebrazione
presso la prestigiosa Turbine Hall della Tate Modern e la straordinaria committenza per l’opera dell’ingresso al nuovo MoMA di New York appena inaugurato. Potrei continuare per la gran parte delle mostre a cui ho avuto la fortuna di lavorare. È assolutamente rimarchevole che la tradizione di HangarBicocca continui. Dopo aver lasciato l’Hangar per lavorare alla Tate come sono proseguiti i rapporti con Vicente Todolí? Ci siamo visti e sentiti molto spesso, anche al la Todolí Citrus Foundation il giorno prima dell’assegnazione dell’incarico presso Haus der Kunst. E la collaborazione continuerà. In quella insolita Fondazione vengono coltivati interessi reali? Penso vengano coltivati gli interessi più straordinari e importanti per la civiltà presente e futura. I valori sono gli stessi di un museo: la collezione, la conoscenza, la preservazione e la condivisione della vegetazione di piante essenziali per la vita del pianeta. In effetti, la Fondazione Citrus è solo un altro tipo di museo: è all’aperto ed è vivente. È una tendenza estraniante…, extrartistica? Le preoccupazioni per la catastrofe ambientale in corso e l’impatto che le istituzioni stesse producono, possono contribuire a ridurre in vari modi, siano divenute rilevanti anche per i musei e i centri d’arte. La composita e articolata operazione interattiva di Philippe Parreno attuata nel 2016 alla Turbine Hall, di cui ti sei occupato, indubbiamente resta una manifestazione esemplare per la crescita e la legittimazione dell’immaginario artistico-scientifico, per la connessione dei saperi e delle tecnologie più avanzate. Ricordo che in uno dei giorni dell’opening, quando ebbi modo di conoscerti personalmente, i tecnici specializzati dovettero risolvere problemi insospettati per assicurare la totale fruibilità del lavoro di Parreno e dei suoi collaboratori. Un’esperienza unica anche per gli spettatori che partecipavano volentieri alle coinvolgenti metamorfosi visive, concettuali e tecnologiche dell’evento. Sì, è stato interessante constatare come la logica delle protezioni, delle distanze e delle tutele dell’opera siano state applicate dal museo anche su un’opera in fondo così volatile e cangiante. Di fatto non c’era un problema reale, se non l’effettiva ‘dimensione’ dell’opera: dove finisce, dove si spinge, quanto dura ciò che accade e quanto è effettivamente sotto controllo; tutte condizioni queste che a Philippe interessava interrogare e, quando possibile, delegare. Ciò, inevitabilmente, poteva generare dei problemi. Per le grandi realizzazioni della Turbine Hall si trovano facilmente le risorse finanziarie? In realtà sono prestabilite e assegnate prima di iniziare il dialogo con l’artista che, poi, viene incaricato dalla partnership con l’azienda che sostiene il progetto. È certamente determinante la costante e attendibile offerta culturale, anche in senso didattico, della Tate Modern. Esatto. Infatti il programma espositivo, display della collezione, eventi performativi, la partecipazione e il contributo dei dipartimenti di Learning e Public Programme è costante, così pure lo spazio di incontro con il pubblico, unico nel campo delle istituzioni museali come Tate Exchange. Andiamo oltre. Dall’intelligenza artificiale c’è da aspettarsi anche un’incentivazione dell’invenzione artistica? Sì, non ho nessun dubbio in merito, come stanno già ampiamente mostrando Philippe stesso, Hito Steyerl, Ian Cheng, Pierre Huyghe e molti altri artisti più giovani. Ho notato che, a volte, riporti in superficie le esperienze pionieristiche del passato legate all’attualità. È un orientamento che deriva da un metodo di lettura semiologica o dalla tua professione di storico dell’arte?
Tomás Saraceno “On Space Time Foam” 2012, veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2012, mostra a cura di Andrea Lissoni (courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano; ph Alessandro Coco)
Grazie per l’osser vazione, che mi rende fel ice. È cer tamente un’attitudine derivante dalla mia formazione storico-artistica. Il processo della creazione artistica abita sempre in una nuvola condivisa in cui alcuni autori spingono in specifiche direzioni che poi, consciamente o meno, vengono reinterpretate e spinte oltre. Per chi conosce le tue inclinazioni culturali e creative, era prevedibile che avresti cercato altri luoghi per attuare, in autonomia, progetti ancor più soggettivi e incisivi. Le cose possono anche capitare, ma nel caso di Haus der Kunst forse è vero il contrario: a me, come ad altri, è stato chiesto di proporre una visione per un’istituzione dalla storia straordinaria; non ho partecipato ad un bando. In modo per me inaspettato, tutto è iniziato a mettersi in movimento con naturalezza. Ora si tratta di provare a immaginare il percorso a venire, in modo che sia incisivo, possibilmente accogliente ma anche non convenzionale. Il tuo nome è stato fatto sulla base del curriculum e di un progetto specifico? Il Comitato di esperti che guida Haus der Kunst – composto da Bice Curiger, Ingvild Goetz e Achim Hochsdorfer – ha nominato un finding commitee che, a sua volta, ha proposto nomi fino al momento dell’incontro dei candidati con i due comitati e le successive interviste. Il mio nome è risultato dall’esito di quel processo, basato certamente su una visione per Haus der Kunst negli anni a venire. Così, dalle precedenti esperienze ad ampio raggio, quando si è presentata l’occasione, hai scelto la terza via approdando al Museo di Monaco. Dopo le interviste e la proposta del Comitato di selezione mi sono completamente fidato del la sua opinione confermando che i l mio profilo era pertinente con gli obiettivi e le caratteristiche di Haus der Kunst. Confesso che è una sfida, molto probabilmente non semplice. Quindi, la tua nomina alla direzione di quella Istituzione da parte del qualificato Comitato indica che c’è la volontà di completare il suo ammodernamento attraverso un piano espositivo non convenzionale. Sembrerebbe, e me lo auguro. Pensi che l’eredità nazista dell’Haus der Kunst sia stata archiviata e che la struttura possa accogliere eventi liberi culturalmente e ideologicamente, capaci di rappresentare le ricerche artistiche più vive del contemporaneo?
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Berlinde De Bruyckere L’assordante silenzio della scultura di Emanuela Zanon
“Palindroom” 2019. Cera, tessuto, acciaio, poliestere, ferro 180 x 200 x 220 cm, © Mirjam Devriendt, ph courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino
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Berl i nde De Br uyckere (Ghent, 1964) ha sv i luppato negli anni una cifra stilistica inconfondibile, fondata sull’ossessione per il corpo squartato e in decomposizione, che si traduce in un’estetica del lacerto in cui convivono intimità e drammaturgia, monumentalità e maniacale attenzione ai dettagli, riferimenti ai maestri fiamminghi del passato e cruda attualità. Cresciuta nell’isolamento di un collegio di suore, non ha mai abbandonato il distretto di Muide, una zona povera e densamente abitata della sua città natale, dove suo padre gestiva una macelleria e dove da più di trenta anni, nella stessa strada, l’artista condivide lo studio, ubicato in un ex edificio scolastico, con il marito Peter Buggenhout. Il suo lavoro interpreta l’anelito umano alla trasformazione, i l bisogno di trascendenza e l’impossi bi le tentativo di riconciliarsi con la morte: sovrapponendo storie esistenti a nuove narrazioni suggerite da eventi mondiali contemporanei, Berlinde De Bruyckere plasma una conturbante mitologia del nostro tempo su una scala senza precedenti. L’artista scava nelle paure ancestrali dell’essere umano, attinge alle scaturigini del rimosso e stravolge la realtà oggettiva in metamorfosi spiazzanti. Il suo universo è popolato da figure solitarie, seducenti e disturbanti nella loro nuda fisicità sospesa tra la vita e la morte, che diventano potenti somatizzazioni della vulnerabilità e del disagio psicologico che affliggono la nostra epoca. Le sculture, esito di una raffinata ricerca di combinazioni tra materiali duttili e sensuali come cera, pelle di cavallo, coperte e velluti, sono strutture complesse che partono sempre da referenti reali portatori di marcate
implicazioni archetipiche e iconiche – il cavallo, l’albero o il corpo umano – che vengono inizialmente riprodotti nelle loro esatte sembianze attraverso la pratica del calco. Queste forme, successivamente smembrate in singoli componenti poi riassemblati e rinforzati dall’interno con ferro e resina epossidica, sono al l’origine dell’inquietante sensazione di familiarità che si prova di fronte alle composizioni definitive che ne distorcono la riconoscibilità. Nel corso degli anni De Bruyckere ha spesso ribadito l’importanza di quest’istintiva agnizione preliminare da parte dello spettatore: la fisicità sinistra delle sue creature, universali nel loro porsi con naturalezza all’incrocio tra molteplici referenti culturali ed estetici, catalizza irresistibilmente lo sguardo e l’emozione, suscitando una necessità quasi viscerale di andare in profondità per capire. Se nei primi anni Novanta si concentrava sull’anatomia umana, realizzando sculture antropomorfe parzialmente celate da coperte di lana ma iperrealistiche nelle parti esposte alla vista, oggi il suo vocabolario plastico si è arricchito di una ricercatissima palette d i color i ot tenuta sov rapponendo moltepl ici l ivel l i di cera pigmentata dipinti singolarmente che poi si fondono in trasparenza e vengono drappeggiati nelle forme desiderate sulle strutture portanti quando sono ancora caldi e malleabili. Queste miscele, diverse per ogni lavoro, caricano l’immagine mentale/embrionale di storie e significati, facendola crescere organicamente assieme al dubbio che negli strati sottostanti potrebbe risiedere il mistero irrisolto del nostro tragico essere al mondo. La superficie – sempre intesa in Berlinde De Bruyckere come pelle – è il contenitore dell’anima e gli affioramenti mimetici, che a tratti restituiscono il guizzo di un muscolo, il blu di una vena o l’ombra scura di un ematoma, si possono considerare sintomi di una necessità biologica di trascendenza più forte di qualsiasi costrizione. Le stranianti deformazioni di ogni soggetto, sempre isolato in una dimensione spaziale e temporale indeterminata, ne mettono a nudo l’essenza più intima e veritiera, il bisogno di consolazione per una perdita intollerabile e imminente sin dal momento della nascita. La verità, Aletheia, termine greco che Martin Heidegger relazionava al la nozione di “rivelazione” in quanto maniera in cui le cose appaiono come entità nel mondo, è il leitmotiv su cui è incentrata la nuova estrema personale dell’artista belga alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. La mostra interpreta gli spazi minimalisti della fondazione torinese come laboratorio di chirurgia esistenziale per la lavorazione delle pelli, ricostruendo i n modo ra refat to u n a na logo i mpia nto sit uato ad Anderlecht, dove le pelli degli animali, appena strappate, vengono impilate su larghi bancali e ricoperte di sale per conservarle intatte in funzione della successiva conciatura. Il percorso espositivo si dipana come una
densa drammaturgia che esalta il modus operandi di Berlinde De Bruyckere: il suo amorevole accanimento su un materiale morto ma inspiegabilmente intriso di vita e spiritualità, l’ambiguo confine tra la tortura e la cura e la fascinazione per l’intrinseca sensualità dei materiali e delle forme. Nella prima sala giganteggia come un idolo Palindroom (2019), abnorme fantoccio acefalo di cavalla utilizzato per la per la riproduzione artificiale degli stalloni che, ammorbidito dalla cera e da bendaggi di stoffa consumata, richiama una primitiva forma fallica, in ideale contrappunto con i capestri-vulva, anch’essi rivestiti di una seconda pelle in cera, che l’artista ha conservato per anni nel suo studio in attesa di trasformarli in opera. Questo corpo artificiale inerte è funestamente funzionale a generare la vita, è una massa priva di attributi sessuali ma si presenta come potente motore di pulsioni erotiche, e diviene la quintessenza del contrasto e dell’ossimoro, entrambi pilastri fondanti della poetica dell’artista. Da un amplesso sterile non può che nascere morte, e così il corridoio che raccorda le sale espositive viene scandito da cinque blocchi squadrati che riproducono, attraverso la tecnica del calco, gli ammassi di lacerti di pelle smistati e accatastati che commossero profondamente Berlinde De Bruyckere durante la visita ai laboratori in Belgio. Anche qui il conturbante fascino di tali accumuli funerei si basa sulla contraddizione tra la desolante sensazione di abbandono trasmessa dai bancali e l’inspiegabile tepore che queste pelli residuali, strette l’una all’altra come per evitare la dispersione definitiva, riescono ancora a emanare. Le sculture segnano anche un radicale allontanamento dall’anatomia (implicita ma non più allusa dalle stratificazioni di involucri vuoti) a favore di un’astrazione formale immediatamente controbilanciata da un incremento di realismo nel dettaglio, come si evince dall’accurata riproduzione di brandelli di pelo, resti di carne e granelli di sale la cui consistenza tattile e visiva impedisce di capire se ci troviamo di fronte a un macabro prelievo o a una virtuosistica imitazione. Oltrepassate queste tappe, su ciascuna delle quali non si può fare a meno di soffermarsi con morbosa attenzione per auscultare le pieghe, i pori e le irregolarità delle pelli sovrapposte (che ad ogni blocco successivo del corridoio-tunnel appaiono meno compresse e più liberamente movimentate), si accede al cuore della mostra, con l’installazione ambientale Aletheia, on-vergeten (2019), concepita dall’artista come doppio del laboratorio di Anderlecht. La visione è mozzafiato: le cataste di pelli appena scuoiate, in cui è ancora intuibile la sagoma dell’animale a cui sono state sottratte, giacciono su ampie basi in legno e la loro sovrapposizione sembra generare nuovi mastodont ici ani mal i dormient i. Tutto appare pietosamente imbiancato: il sale grosso, sparso ovunque per rallentare il naturale disfacimento organico, evoca la purezza
di un paesaggio innevato e la consolazione del letargo, immagini di quiete subito contraddette dalle impronte di pneumatici impresse sul suolo, eloquente prova della recente mattanza. L’artista chiede al pubblico di assumersi la responsabilità di un dolore indicibile, che trapassa dall’animale all’uomo facendo aleggiare lo spettro di immani tragedie passate e attuali. Nelle sue parole: “In questo momento storico, in cui proliferano estremismo e razzismo, in cui compassione e solidarietà sono inariditi, in cui vediamo troppe somiglianze con l’inquietudine degli anni Trenta che ha preceduto le mostruosità innominabili dell’Olocausto e quella particolare diffamazione della civiltà è persino negata da persone con troppo potere politico, sento l’esigenza di proporre immagini audaci, forti. Voglio portare quella stanza al pubblico. Come una esperienza fisica, immersiva”. (La mostra Aletheia, di Berlinde De Bruyckere, a cura di Irene Calderoni, sarà visitabile alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino fino all’1 marzo 2020.)
Sopra: Sullo sfondo: “Nijvel I” 2019. Cera, bronzo, pelle di cavallo, resina 118 x 106 x 116 cm; in primo piano: “Nijvel II” 2019 cera, bronzo, resina epossidica, ferro, 120 x 108 x 123 cm Sotto: “Aletheia, on-vergeten” 2019. Cera, legno, resina epossidica, sale. Dimensioni ambientali, © Mirjam Devriendt, ph courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino
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Spray Eventi d’arte contemporanea
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Francesco Jodice “Il Corsaro nero e la vendetta del Gavi #006” 2019, bassorilievo fotografico, 155 x 195 cm, ph courtesy Galleria Michela Rizzo, Venezia
Cai Guo-Qiang “Stage” 2006, progetto site specific, vista notturna. Ph courtesy Galleria Continua, San Gimignano / Pechino / Les Moulins, Habana
BARI A Molfetta, presso l’ex molino e pastificio Caradonna, troviamo Gaetano Grillo con “Cultura torna natura”, un’imponente personale allestita sui tre piani dello storico edificio. Maestro di una poetica verbo-visuale che ammalia e stuzzica l’intelletto, i suoi lavori manifestano un bisogno energetico di comunicazione che supera il segno e valica quel sottile limes tra gioco e interpretazione. Guizzi formali e indagine linguistica sopraffina affollano lo spazio con un’interessante installazione a pavimento, emblema del suo alfabeto, corredata da un video esplicativo. Musicalità e tonalismo regolano l’alternarsi di forme ataviche e contemporanee, tra contaminazioni vegetali, animali e minerali che fluttuano tra presenze antropomorfe e monadi sospese in un tempo indefinito. Ezia Mitolo presenta da Nuova Era il suo progetto artistico “Frange. Disegni parlanti”, parola e impronta, distintivo del suo linguaggio iperattivo. Nei lavori della Mitolo si av ver te un turbinio di silenzi e urla sommesse, protagonisti e grandi esclusi, un percorso in cui si mette a nudo tra immagine e verso, esplorando i più remoti anfratti dell’essere. Ogni poesia fluttua, allude, manifesta e cela, gemella di quel segno/sogno che prende forma, inesorabile. Attraverso una soave e severa
poetica del frammento – boato, stasi, attesa – l’artista imbastisce un racconto sofferto e remoto di una complessa metamorfosi emotiva, che sfugge, penetra, si annida e timidamente germoglia. -Lucia Anelli
BOLOGNA Dal 24 al 26 gennaio 2020 si s volge la 44ma edizione di Arte Fiera, diretta per il secondo anno da Simone Menegoi. L’opening è fissato per giovedì 23 gennaio, su invito. Alla Main Section si affiancano tre sezioni che seguono un impianto curatoriale, per offrire un ulteriore percorso di informazioni e confronti, e con la volontà di distinguersi – grazie a queste proposte e al nitore degli stand allestiti – da una mera esposizione di natura commerciale. Torna Fotografia e immagini in movimento, affidata alla curatela della piattaforma FANTOM (Selva Barni, Ilaria Speri, Massimo Torrigiani, Francesco Zanot). Debutta una sezione dedicata all’arte della prima metà del XX secolo e ai post-war masters: Focus, una selezione di proposte affidata a Laura Cherubini, storica dell’arte, critica e curatrice. Infine, con Pittura XXI, una sezione affidata a Davide Ferri, critico e curatore indipendente, si toccano gli aspetti del dipingere contemporaneo. Si segnalano i
nomi di alcune delle gallerie partecipanti: Emilio Mazzoli (Modena); A arte Invernizzi (Milano); Renata Fabbri (Milano); Federica Schiavo Gallery (Milano); Gallleriapiù (Bologna); Guidi&Schoen (Genova); Michela Rizzo (Venezia); MLZ art dep (Trieste); P420 (Bologna); Giorgio Persano (Torino); Pinksummer (Genova); Studio Raffaelli (Trento); Repetto (London); Santo Ficara (Firenze); The Gallery Apart (Roma); z2o Sara Zanin (Roma). Come annunciato in occasione della XV edizione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI, Eva Marisaldi è l’artista protagonista di Arte Fiera 2020 con un’opera creata ad hoc per l’occasione. Il progetto, in cantiere dalla scorsa primavera, s’intitola Welcome, e si compone di due parti: una grande installazione situata all’ingresso della Fiera, e un intervento diffuso in vari punti dei padiglioni fieristici e della città di Bologna. L’artista interverrà inoltre al Teatro Comunale di Bologna, a suggellare la collaborazione fra la Fiera e l’importante istituzione cittadina. Rodrigo Blanco (Latina 1975) porta alla Millenium Gallery quindici dipinti per una mostra intitolata “Foresta erotica”, a cura di Gabriele Perretta. In questo progetto, la sala underground di via Riva di Reno 7 7, diventa il luogo per sviluppare, con una logica spaziale, una abitazione di pitture caratterizzate da segni archeologici Juliet 196 | 95