Juliet 205

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Anno XLI, n. 205, Dic 2021 - Gen 2022 Juliet è pubblicata a cura dell’Associazione Juliet. Autorizzazione del Tribunale di Trieste, n. 581 del 5/12/1980, n. 212/2016 V.G. registro informatico

Illustrazione di Antonio Sofianopulo

Direttore responsabile: Alessio Curto Editore incaricato: Rolan Marino Direttore editoriale: Roberto Vidali Servizi speciali: Luciano Marucci Direzione artistica: Stefano Cangiano, Nóra Dzsida Contributi editoriali: Piero Gilardi, Enzo Minarelli Direttrice editoriale web: Emanuela Zanon

Contatti info@juliet-artmagazine.com Juliet - via Battisti 19/a - 34015 Muggia (TS) f b: associazione juliet

Corrispondenti Berlino - Annibel Cunoldi Attems annibel.ca@gmail.com

Bologna - Emanuela Zanon emanuelazanon@yahoo.it

Collaboratori Amina G. Abdelouahab, Lucia Anelli, Nicola Bacchetti, Elisabetta Bacci, Angelo Bianco, Mara Borzone, Boris Brollo, Stefano Cavaliero, Lucrezia Costa, Micaela Curto, Serenella Dorigo, Sara Fosco, Dionisio Gavagnin, Roberto Grisancich, Andrea Grotteschi, Ernesto Jannini, Alessia Locatelli, Isabella Maggioni, Chiara Massini, Loretta Morelli, Ivana Mulatero, Liviano Papa, Gabriele Perretta, Paolo Posarelli, Michela Poli, Eleonora Reffo, Rosetta Savelli, Luca Sposato, Arianna Tremolanti, Giovanni Viceconte Illustrazioni Antonio Sofianopulo Web designer Andrea Pauletich Fotografi Luca Carrà Stefano Visintin

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Brookings (USA) - Leda Cempellin leda.cempellin@sdstate.edu

Milano - Emanuele Magri emanuelemagri49@gmail.com

Melbourne - Stefano Cangiano ste.cangiano@gmail.com

Napoli - Rita Alessandra Fusco ritaalessandra.fusco@gmail.com

Parigi - Anna Battiston 90103annabattiston@gmail.com

Tokyo - Angelo Andriuolo arsimagodei@gmail.com

Torino - Valeria Ceregini valeria.ceregini@gmail.com

Collaborazioni JULIET art magazine collabora con scambio di notizie con la web-rivista www.olimpiainscena.it di Francesco Bettin

Promozione e advertising Fabio Fieramosca Consulente tecnico David Stupar Pubbliche relazioni Gary Lee Dove Giovanni Pettener Maria Rosa Pividori Paolo Tutta Juliet Cloud Magazine Cristiano Zane Stampa Sinegraf Abbonamenti 5 fascicoli + extra issue: Italia 50,00 €, Europa 65,00 € others 90,00 €, arretrati 20,00 € copia estero 20,00 € c/c postale n. 12103347 o Iban IT75C0200802242000005111867 Banca Unicredit, Trieste. con paypal tramite il sito juliet-artmagazine.com


Sommario

Anno XLI, n. 205, Dicembre 2021 - Gennaio 2022

36 | Produzione creativa e identità - Rif lessioni sulla genesi e

82 | “Andature” - al Museo Marino Marini

l’evoluzione (IX)

Luca Sposato

Luciano Marucci

48 | Riparte Art Basel - In presenza e online

PICS

Luciano Marucci

73 | Magali Reus - “Sentinel (Dew)”

52 | Gianni Caravaggio - Nel punto focale

75 | Mike Kelley – Extracurricular

Linda Carrara

77 | Ericka Beckman - “Reach Capacity”

56 | Elogio della sospensione - tra Colonia, New York e Kassel

79 | Kou Tanahashi - “Tawamure”

Emanuele Magri

58 | Fabio Viale - In Between Valeria Ceregini

60 | Albertini - la vivacità della materia Liviano Papa

62 | Piccolo Festival dell’Animazione - Cortometraggi d’autore Paola Bristot

63 | Richard Bell - “You Can Go Now”

81 | Nobue Ito - “Sul pianeta radiante ♡ ”

83 | Lilly McElroy - al Nelson-Atkins Museum of Art RITRATTI 84 | Scatti di luce- Gianni Pistrini Stefano Visintin

91 | Matthew Noble - Fotoritratto Luca Carrà

Fabio Fabris

64 | “TECHNO” - al Museion di Bolzano Jacques Heinrich Toussaint

65 | Studio Trisorio - Laura Trisorio

RUBRICHE 85 | Sign.media - A Kind of Sharing Gabriele Perretta

Rita Alessandra Fusco

86 | Appuntamento con gli spiriti autoctoni - Francesca

66 | Silvano Agarla - Astrazione surreale

Bardelli Nonino

Andrea Guerrer

Micaela Curto

67 | Fulvio Morella - Oltre l’astrazione

87 | P. P.* - Francesco Sollazzo

Sabino Maria Frassà

Angelo Bianco

68 | L’ora di Mosca - Un corpo, molti volti

88 | (H) o - della ripetitività

Chiara Tavella

Angelo Bianco

69 | Marta Crisolini Malatesta - Scenografia ad arte

89 | Anthony Howe - Possibilities

Fabio Fieramosca

Leda Cempellin

70 | Tête-à-tête - con Simon J. V. David

90 | Arte e Design - Ottavio Silva

Eleonora Reffo

71 | Stupendo - Space for art storytellers

Serenella Dorigo

Amina Gaia Abdelouahab

AGENDA

72 | Diego Bergamaschi - tra opere ed eventi

94 | Spray - Eventi d’arte contemporanea

Emanuele Magri

AAVV

74 | Terza radice - Laura Grisi Lucrezia Costa

COPERTINA

Michela Poli

Nikhil Chopra “Remembering Being There (Wahan ki Yaad)”

78 | Doug Aitken - “New Era”

2021, still da video. Costume design: Sohaya Misra, film

Fabio Fabris

director: Fahd Shah

80 | Humboldt Forum - a Berlin Mitte

Courtesy of the Artist and Galleria Continua

Annibel Cunoldi Attems

SA Se GG pr (D I O i v o N . . P. R G R d e l 6 6 . AT t r 3 26 UI ian ar / 1 TO g ol t . 2 0/ , l 19 e s. o et 7 2 IV t. ) A d

76 | Sant’Andrea de Scaphis - a Roma

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Produzione creativa e identità Riflessioni sulla genesi e l’evoluzione (IX) a cura di Luciano Marucci

In questa puntata ho indagato l’attività del collettivo artistico Studio Azzurro e del l’architetto e designer Marco Ferreri con l’intento di approfondire le loro realizzazioni in apparenza distanti nelle forme, ma non dal lato concettuale. Sintetizzo le principali caratteristiche che, secondo me, li accomunano: potenzialità espressive e progettualità; ricerca e sperimentazione a oltranza; (ri)proposizione di valori estetici e umani della tradizione e del presente sulla base di presupposti filosofici e insolite modalità operative; sinergia tra talento individuale e crescita sociale; messaggio dell’artefatto e percezione dei destinatari; valenza didattica per favorire conoscenze e nuovi processi creativi, soprattutto nelle giovani generazioni; impegno culturale con assunzione di un ruolo alternativo a quello delle istituzioni scolastiche e museali. Entrambi, inoltre, stimolano più attenzione, nel panorama artistico globale, verso l’identità creativa italiana del nostro tempo. Di Studio Azzurro, già negli anni Ottanta, sorprendeva, in particolare, il pionieristico uso delle tecnologie avanzate e la reale interazione dell’opera con i fruitori; di Ferreri, fin dagli esordi, è stato apprezzato l’originale sviluppo professionale degli insegnamenti di geniali maestri, in primis quelli di Bruno Munari: dal metodo teorico-pratico all’interdisciplinarità e al pensiero libero; dalle altruistiche finalità educative alla spontanea, accattivante ironia. Studio Azzurro, team di arte contemporanea Luciano Marucci: In questa conversazione a distanza vorrei inquadrare le esperienze di Studio Azzurro nell’uso delle nuove tecnologie applicate alle arti visive, per quanti sono interessati alle ricerche più rappresentative della scena artistica del contemporaneo. Innanzitutto, ciascun componente del vostro team ha un compito prestabilito? Studio Azzurro: Il Gruppo è vissuto come un habitat fluido, in cui esistono alcune competenze molto tecniche, ma a

Il gruppo di Studio Azzurro negli ultimi anni (ph Studio Azzurro)

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prevalere è la possibilità di “scambiarsi le posizioni”. Questo accade soprattutto in fase progettuale, quando la relazione tra le diverse competenze fa emergere idee da una sorta di mente collettiva in presenza. Nelle fasi più operative, inevitabilmente, alcuni di noi sono impegnati più di altri. C’è chi fa il montaggio, la postproduzione, chi scrive testi e chi scrive software…, chi cerca di tenere insieme una visione organica del progetto. C’è anche un addetto alla comunicazione? Ci sono stati periodi in cui ci ha accompagnati una figura dedicata alla comunicazione, ma per la maggior parte della storia dello Studio la comunicazione non è stata un obiettivo. Pensavamo che le opere potessero (e dovessero) raccontarsi da sé e generare un passaparola che innescasse una forma autonoma di comunicazione. All’inizio avete avuto dei maestri? Aldo Ballo per Fabio Cirifino, per la fotografia; per Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi invece più in generale l’ambiente dell’Accademia di Brera alla fine degli anni Sessanta. Negli anni ‘80 abbiamo realizzato molti videodocumenti in cui raccontavamo artisti, architetti, designer. Ognuna di queste occasioni è stata uno straordinario nutrimento per il nostro percorso. Negli anni 1990 abbiamo incontrato gli artisti del movimento Fluxus che hanno segnato profondamente il nostro percorso, il modo di intendere il “lavoro dell’arte” come inscindibile dalla vita e dalla quotidianità. Nella vostra produzione sono individuabili delle costanti? Vengono rispettati dei principî? Essere fedeli a noi stessi e al desiderio di raccontare con le immagini…, ma senza “usurare” le immagini stesse. Con la diffusione delle installazioni multimediali i collezionisti guardano con maggiore interesse le vostre realizzazioni, anche se in questo periodo sono distratti da problemi esistenziali? Non abbiamo mai avuto un grande rapporto con il mercato dell’arte e da un certo momento in poi la nostra assenza da quel mondo è diventata anche una posizione di contestazione delle dinamiche che lo caratterizzano e che assoggettano l’arte a motivazioni lontanissime dalle sue origini. Inoltre, i nostri progetti pensano al pubblico più che al collezionismo e preferibilmente a un pubblico che possa fruire in modo corale le nostre opere. Insomma, una posizione che non mette a proprio agio nessun collezionista! Senza contare le dimensioni dei nostri lavori che sono ambienti praticabili e sensibili alla presenza e ai gesti dei visitatori, le opere richiedono grandi spazi e un grande controllo della luce per essere messe in scena. Al momento una certa attenzione all’arte video c’è, ma è rivolta più ai lavori monocanale e il nostro percorso di ricerca ci ha portati a utilizzare quasi mai questo formato. È raro avere committenze per concretizzare arte pubblica? In realtà, proprio per i motivi a cui abbiamo accennato sopra, a noi capita abbastanza di frequente ricevere committenze da istituzioni pubbliche (e non) per musei e percorsi


Esposizione multipla per lo spettacolo “Camera Astratta”, Documenta 8, Salzmannfabrik, Kassel, 1997 (ph Studio Azzurro)

espositivi, che forse non possiamo definire “opere di arte pubblica” nel senso comune della locuzione, ma che a tutti gli effetti spesso lo sono, dal momento che la nostra concezione di museo è legata alla possibilità di salvare e condividere le storie personali che messe in scena in un percorso sensibile lasciano che si manifesti la storia collettiva in cui una comunità possa riconoscersi. Le laboriose sperimentazioni sono in qualche misura agevolate da istituzioni o aziende del settore tecnologico? Fino agli anni Novanta era possibile trovare aziende che sponsorizzavano la ricerca prestando le tecnologie, per esempio. Era una questione di visibilità. Ora è molto più difficile. Può avvenire solo in rarissimi casi in cui vengano testati i prodotti di punta, che però in genere a noi non interessano. Studio Azzurro ha sempre portato avanti la sua ricerca, seppure faticosamente, anche attraverso i progetti commissionati (da istituzioni e da privati). È più difficoltoso e il lavoro risulta essere molto più frammentato, ma spesso è stata l’unica possibilità per fare qualche passo avanti. Tuttora, ogni volta che il tempo e le economie lo rendono possibile, la sperimentazione prosegue in parallelo ai lavori commissionati. Le opere sono apprezzate e acquisite principalmente dai musei? Alcune opere sono state acquisite sia in Italia sia all’estero ma, come accennato, le opere di Studio Azzurro hanno caratteristiche che ne rendono particolarmente difficile l’acquisizione dalle istituzioni museali o dai privati. Il tema della progettazione di “ambienti” porta con sé la necessità di uno spazio adeguato al la riproposizione, quel lo tecnologico

porta alla necessità di manutenzione e cura, ma anche di aggiornamento. Quindi prevalgono i limiti dimensionali? Sì, quello delle dimensioni per “video ambienti” e “ambienti sensibili” è un tema complesso e abbastanza vincolante. Proprio in questo periodo stiamo progettando una mostra che sarà costituita principalmente da modelli in scala di opere che hanno segnato il nostro percorso in relazione alle collaborazioni. Sarà un omaggio alla definizione di “bottega rinascimentale” con cui spesso viene percepito lo Studio. Per questo abbiamo coinvolto la Scuola del Design del Politecnico di Milano in modo da poter realizzare le maquette insieme agli studenti in un percorso formativo e di scambio, in cui sono loro a proporci anche i progetti per la grafica e l’identità visiva della mostra..., elementi che altrimenti avremmo sviluppato internamente. Poiché le vostre opere sono ormai leg ittimate, sono divenute più competitive anche rispetto a quelle di aree espressive meno ‘moderne’? Il tema della competizione non ci trova molto pronti… La nostra ricerca prova a inserirsi in un momento storico in cui è avvenuto, ed è tuttora in corso, un cambiamento di paradigma che comporta anche delle mutazioni antropologiche. In questo quadro, inevitabilmente i linguaggi con cui si costruiscono le relazioni e i racconti pretendono uno sforzo per non perdere il contatto con il mondo. L’auspicio è che le nostre opere possano essere semplicemente affiancate a quelle realizzate con altre forme e tecniche espressive che spesso hanno segnato secoli gloriosi e fecondissimi della storia dell’arte. Il pubblico, gli spettatori, i fruitori scelgono e sceglieranno di orientarsi verso ciò in cui si riconoscono in quel momento, oppure verso quello che li sollecita a una riflessione sensibile sul proprio tempo e sul proprio vissuto. …Sottendono sempre la valenza etica? Questo è un tema molto più sottile di quanto possa sembrare. Molti dei nostri lavori, toccando gli archetipi a cui attinge l’immaginario dell’uomo, possono sollecitare temi più o meno sensibili, secondo il periodo storico. L’impegno civile è dichiarato? Alcune opere sono nate dichiaratamente da eventi del nostro tempo o da tendenze emergenti nei comportamenti sociali e da pressioni o urgenze percepite intorno a noi. Tutto questo “Tavoli (perché queste mani mi toccano)”, ambiente sensibile, “Oltre il villaggio globale”, La Triennale, Milano, 1995 (ph Studio Azzurro)

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Gianni Caravaggio Nel punto focale di Linda Carrara

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Come Friedrich di fronte all’orizzonte maestoso, reso ancor più evidente e intenso dalla nebbia che lo avvolge, noi rimaniamo con il medesimo stupore di fronte a una pietra che, scevra dalla sua pesantezza e dalla scontata durezza, ci lascia incerti e disorientati in attesa di un evento tanto impossibile quanto incombente come il suo dissolversi. Quasi percepiamo i primi segni del suo s va n i re, i pr i m i i mpercet t i bi l i mov i ment i . Lo aspettiamo, come un evento ov vio, capace di mettere in discussione ogni certezza della realtà, ed è proprio per questo che lo aneliamo, per metterci in discussione, perché il senso percepito è ora più vitale della logica stessa del reale. Ci scontriamo con la certezza dell’avvenimento e l’impossibi lità del suo av venire, ed è questa la finzione del l’ar te, è q uesta la sua mater ia e la sua r iusc ita, quando supera la mimesi per offrirci l’essenza stessa di un’esperienza. In q uesto senso l’opera d i Gian n i Caravagg io t iene in sé la possibi lità di un altrove, dandoci indizi fievoli che riescono a condurci su quella soglia in bilico tra la vita e la morte, facendoci restare in equilibrio tra razionalità e incertezza. Le sue opere diventano l’ov v io av veni mento, non lo i mitano e nemmeno lo prendono in esame, semplicemente lo sono. Sono un espediente visivo che mira direttamente a dialogare con i nostri sensi. Non si hanno dubbi di fronte al la pioggia, al la nebbia e al sole. Essi esistono e noi l i osser v iamo come tali, eterni, semplici e puri eventi naturali che ci permeano. Come le azion i autonome del cor po u mano, così le opere d i Caravagg io sem brano sgorgare f luidamente dal la natura al pensiero, dal le man i al la materia, come un’azione ov v ia e naturale, senza la volontà del l’atto che le produce. Senza nessuna retorica e senza una messa in scena. Sono semplicemente la creazione umana, non divina, ma la sostanza e le intenzioni, sono le stesse. L’artista pare impossessarsi della natura delle cose, q uel la nat u ra i ndagata, elog iata e nar rata nel “ De rer u m nat u ra” d i Lucrezio c he così ce la descr ive: “Dobbiamo quindi pensare a inf initi elementi / che errano ovunque nel vuoto, eterni e senza legami, / e poi si uniscono a schiera, in f lussi continui, / come per correre insieme verso un traguardo comune”. Ed è proprio di questo vuoto d’errore che Caravaggio sembra impossessarsi, conducendo o meglio creando le condizioni grazie alle quali la materia convoglia nel punto in cui deve essere, nel punto in cui la materia si trasforma in pensiero, nel punto focale, come se non potesse essere altrimenti. Le sue forme, in parte come natura le vuole e in parte abilmente lavorate, modellate e giostrate ma senza mai superare la sogl ia del necessario, sembrano essere un sunto estremo di tutte le diverse possibilità ed eventualità scartate. Queste forme abitano quel lasso temporale che sta tra la luce percepita e la stella emanante, lasciandoci il dubbio della scomparsa o della odierna esistenza dell’astro. Una visione di forme ipotetiche, suggerite, allusive e i l lusorie, q uasi sf uocate, che trovano i l loro compimento nella contemplazione e nel divagare dei nostri pensieri nei ricordi. Suggestioni antropomorfe, reperti di memorie storiche,

soluzioni che non mirano a piegare la materia al volere del l’ar t ista, ma che cercano i nvece propr io l’opposto, tentano di incorporare l’ideale nell’essenza della materia stessa. Scrive ancora Lucrezio: “è il tatto, di certo il tatto, per tutti i corpi divini, / il primo senso del corpo, sia che un oggetto vi penetri / o se dall’interno possa recargli molestia / o procurargli piacere, sgorgando nell’atto di Venere”. Ed è proprio nella presa in esame dei sensi e nel loro totale coi nvolg i mento, come lo era nei ritual i sacri più ant ich i, che vedo la forza del l’opera d i Gian n i. Nel le sue opere i sensi sono chiamati a col laborare, anzi diventano cosa unica e linguaggio. Osserviamo le forme, odiamo il rumore e il profumo dei germogli, ne penetriamo la durezza e la sensualità, a volte vedendo le impronte dell’artista che l’hanno modellata, e pur non toccandole, riusciamo a percepirne l’emozione del la superf icie, scavando nei nostri ricord i sensoriali ed emotivi. Lo stupore è nuovo ogni giorno è un’opera a mio giudizio centrale del lavoro di Gianni Caravaggio, perché

Per entrambe le foto: Gianni Caravaggio “Il sole è nuovo ogni giorno” 2021, veduta della mostra alla Galerie Rolando Anselmi, Roma

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Spray

Eventi d’arte contemporanea

SUPERFLEX “Dive-In” 2019. “Dive–In” was originally commissioned by Desert X in collaboration TBA21–Academy with music composed by Dark Morph (Jónsi and Carl Michael von Hausswolff). Photo: Lance Gerber, courtesy of Desert X (Una mostra del collettivo SUPERFLEX, “Sometimes As A Fog, Sometimes As A Tsunami”, è in corso dal 26.11.2021 al 13.03.2022 al Kunsthaus Graz, Space 01)

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Gregorio Botta “Breathe Out” 2021, exhibition view. Foto Alessandro Fiamingo, courtesy l’Artista e Galleria Studio G7, Bologna

BOLOGNA Gregorio Botta (Napoli, 1953) torna a Bologna alla galleria Studio G7 con la personale Breathe Out, in cui presenta due importanti installazioni inedite, realizzate appositamente per lo spazio, e una preziosa serie di opere di piccolo e medio formato, anch’esse esito dei più recenti sviluppi della sua ricerca artistica, da sempre incentrata sull’esplorazione del sottile confine che separa pieno e vuoto e sulla dialettica tra presenza e assenza generata dall’intersezione e contrapposizione di queste suggestioni antitetiche e complementari. Come spiega il testo di Marinella Paderni che accompagna la mostra, Breathe Out è il secondo capitolo di un importante progetto, partito con la mostra parallela Breathe in inaugurata quasi in contemporanea allo Studio Trisorio di Napoli, che tratta del senso dell’esistenza umana dal punto di vista del respiro, inteso come soffio vitale e come alternata espansione verso l’interno e verso l’esterno. La riflessione dell’artista sviluppata nella tappa bolognese è quindi dedicata all’espirazione, atto fisiologico e incontrollabile immediatamente conseguente all’inspirazione, tramite il quale il nostro corpo lascia fuoriuscire ciò che è stato trattenuto. Labs Contemporary Art ha inaugurato la nuova stagione espositiva con la mostra

L’acqua le bagna e il vento le calpesta, personale di Dario Picariello (Avellino, 1991) accompagnata da un testo critico di Eugenio Viola. Il percorso espositivo immerge il visitatore in una dimensione a prima vista ovattata e rassicurante, suggerita dall’armonia dei colori pastello che accomunano i lavori e dalla consistenza soffice dei drappi che si appoggiano mollemente ai supporti nelle installazioni scultoree. In realtà ogni opera, come ciascuno dei canti popolari a cui l’artista la associa, nasconde un segreto cruento e drammaticamente attuale. Man mano che lo sguardo si addentra nei nugoli di pixel che ricoprono la superficie delle stampe fotografiche su seta esposte a parete o si fa strada tra i ricami dei tessuti, emergono dettagli che permettono di ricomporre le testimonianze visive di partenza, cioè immagini tratte dal web che denunciano il ripetersi nel corso del tempo di violenze e soprusi, come ad esempio lo sfruttamento degli immigrati nelle campagne del sud Italia a cui fa da contrappunto una scena di lavoro operaio dei primi del ‘900. Il processo di abrasione, frammentazione e cucitura delle immagini attraverso il quale l’artista cancella l’identità delle persone ritratte e complica la comprensione del senso dell’evento documentato ha origine nella medesima vocazione dei canti popolari a tramandare in maniera cifrata e mistificata da un’apparente gioiosità la voce

repressa dei più deboli. I lavori in mostra, come le nenie dei lavoratori sfruttati che in tutte le epoche e latitudini scandiscono una sofferenza individuale che nella ripetizione diventa collettiva e condivisa, non nascono con una partitura precisa, ma sono dispositivi vitali di resistenza e di riscatto dall’oblio che nella loro costitutiva indeterminazione e instabilità si oppongono alla rigidità delle narrazioni ufficiali. -Emanuela Zanon

CATANZARO Gli af fa scinanti inse diamenti storici, i siti archeologici e quelli sacri presenti in Calabria, sono i punti di partenza per il progetto In-ruins residency. L’evento nato nel 2018 si propone come spazio d’incontro e di scambio tra i luoghi dell’archeologia e le pratiche dell’arte contemporanea con lo scopo di originare una “nuova archeologia” della cultura mediterranea. In-ruins, a cura di Maria Luigia Gioffre, Nicola Guastamacchia, Dobroslawa Nowak e Nicola Nitido, coinvolge artisti e professionisti del mondo della cultura a collaborare all’interno di uno spazio interdisciplinare, in grado di favorire uno scambio orizzontale e scaturire differenti connessioni tra discipline, idee e territorio, mettendole in relazione Juliet 205 | 93


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