L'autentica storia di Otranto nella guerra contro i turchi

Page 1



Daniele Palma

L’autentica storia di Otranto nella guerra contro i turchi Nuova luce sugli eventi del 1480-81 dalle lettere cifrate tra Ercole d’Este e i suoi diplomatici

Uno udio accurato sull’inaudita spedizione ottomana che nella media e ate del  squarciò il lembo d’Italia proteso verso l’Oriente ortodosso e islamico, in cui si vagliano al lume della ragione e dell’umano buonsenso le numerose e divergenti fonti documentarie nonché le ope- re oriografiche dedicate in mezzo millennio a quel conflitto che in grave sospensione tenne popoli e reggitori delle cri iane contrade per più di un anno rimanendo indelebilmente impresso nel comune sentire e che appare tuttora inesplorato negli accadimenti che seguirono l’iniziale immane spavento e dei quali si passano quivi in rassegna i copiosi ed inediti rendiconti che, talvolta sotto l’incalzare degli eventi, talaltra nelle more delle trattative per la crociata liberatrice, brillanti e abili diplomatici spedivano ai propri signori rendendosi anche coraggiosi latori di propo e di pace in terre d’oltremare presso la dimora del temuto nemico.

Impresso per i tipi di Kurumuny nell’anno 


Edizioni Kurumuny Sede legale: Via Palermo 13 – 73021 Calimera (LE) Sede operativa: Via san Pantaleo 12 – 73020 Martignano (LE) Tel. e Fax: 0832 801528 www.kurumuny.it – info@kurumuny.it TEXnica e composizione tipografica: Giuseppe Palma Progetto grafico: Alessandro Sicuro (B22.it) In copertina: costa meridionale della penisola salentina nel Kitab-ı Bahriye di Pîrî Reis (per gentile concessione di Capone Editore), da Gallipoli (in alto) a Roca (a destra). In quarta di copertina: lo stemma di Otranto nel frontespizio del ms. lagettiano XV-C-52 della Biblioteca Nazionale di Napoli. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Italia. © Biblioteca Nazionale di Napoli. ISBN 9788895161-95-2 Chiuso in stampa nel mese di aprile 2013. © Edizioni Kurumuny – 2013 L’editore si dichiara disponibile ad assolvere i propri impegni nei confronti dei titolari di eventuali diritti sulle immagini pubblicate di cui non sia stato possibile reperire la fonte.


Alla mia famiglia



Indice p. xi

Ringraziamenti

p. xiii

Prefazione

p. xvii

Introduzione

p. 1 1 2 4 4 5 6 7 7 8

1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9

Le fonti più antiche e attendibili La corrispondenza diplomatica Gli oratori di Ercole d’Este Due diari curiali, uno falso e una cronaca leccese Sulla scia di G. Cesare, un D.B.H. vero e uno contrabbandato per tale Altre fonti italiane La guerra vista dalle altre sponde dell’Adriatico Dalla guglia del minareto Una buona cronaca locale Nota sulla trascrizione dei testi

Parte I La spedizione turca p. 13 2 Le premesse politiche 13 2.1 Nel cosiddetto equilibrio. . . 15 2.2 . . . una guerra vera Cui profuit? – Sugli incerti confini tra gli schieramenti I sospetti e le accuse su Venezia e Firenze L’inattesa franchezza di due storici insospettabili La faziosità nella moderna storiografia Tra paura, connivenza e miopia politica Rifornimento in volo Una conclusione non consequenziale ad un’analisi obiettiva Una lega invincibile

p. 19 19 20 22 23 25 28 29

3 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7

p. 31 31 32 33

4 Preparativi militari 4.1 La flotta a Valona 4.2 Il presidio otrantino 4.3 Chi temeva. . .


vi

Indice 35 36 37

4.4 . . . e chi sapeva 4.5 La lunga attesa 4.6 Il protagonista dell’invasione turca

p. 41 5 Le divinazioni postume 41 5.1 Le profezie. . . 42 5.2 . . . e la voce della natura p. 45 45 46 49

6 L’armata turca nel tempo e nello spazio 6.1 Una classica incertezza cognitiva 6.2 Le indicazioni e le stime delle forze turche 6.3 Quando e dove avvennero gli sbarchi

p. 53 53 54 58

7 Lo sbarco presso Roca 7.1 In una notte di mezza estate 7.2 Un punto. . . cardinale 7.3 Ricostruzioni temporali

p. 59 59 61 68 71 74 74

8 8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6

Consummatum est – Il dramma otrantino L’epilogo paventato I fatti essenziali in due fonti coeve La tradizione locale Si poteva scampare all’eccidio? La questione ebraica Ancora una gaussiana e due date controverse

p. 81 9 Con le conferme si consolida lo sgomento 81 9.1 L’eco dello sterminio 84 9.2 Un nemico non convenzionale p. 89 10 Un altro destino 89 10.1 L’isola delle rose. . . 92 10.2 . . . e delle spine

Parte II La fase di stallo p. 101 11 La mobilitazione 101 11.1 Da Siena a Roca 104 11.2 Si comincia a bussare a denari 106 11.3 Il fronte a mezzaluna tra Rodi e il Gargano 108 11.4 Apud Rocham p. 113 12 Il ruolo di Roca 113 12.1 Il bagnasciuga che funzionò 115 12.2 Roche o Cruce? Uno scalo fortificato per il duca d’Atene 119 12.3 Una favoleggiata e inverosimile distruzione 120 12.4 Cominciano ad arrivare i nostri 122 12.5 L’avamposto di Alfonso 123 12.6 Una cittadella gradevole e apprezzata da molti 124 12.7 Quanti equivoci per una etimologia avventata


Indice

vii

p. 125 13 Prime reazioni 125 13.1 L’orgoglio aragonese 131 13.2 La chimera veneta 140 13.3 Screzi da papa 146 13.4 Fortificazioni in attesa della nuova stagione bellica p. 151 14 Le fatiche diplomatiche 151 14.1 Scaramucce e tormenti d’autunno 166 14.2 Do si des p. 179 15 Il letargo invernale 179 15.1 Si presidiano i confini provvisori 182 15.2 Surrealtà p. 187 16 La corte itinerante in cammino verso Otranto 187 16.1 Gennaio, andiamo. . . 191 16.2 Crucci lagunari 197 16.3 Baruffe toscane 198 16.4 “Come sa di sale. . .” 204 16.5 In viaggio per la Puglia, pensando ai “castelli” p. 211 17 L’ultimo paladino 211 17.1 C’era una volta il medioevo 218 17.2 La fine di un cavaliere al tramonto di un’epoca 223 17.3 Navi in vista 224 17.4 Rimane sulla scena un conte nipote p. 235 18 La battaglia di Saseno 235 18.1 Un inatteso tallone d’Achille 237 18.2 Dalle titubanze ai rimpianti p. 243 19 Una mossa spregiudicata 243 19.1 S’intravede la “restitutione” 247 19.2 Uno spiraglio di pace fra incomprensioni e intrighi p. 265 20 La “restitutione” 265 20.1 L’ennesima crociata abortita 267 20.2 Beato quel denaro che ritorna alla sua borsa p. 273 21 In bocca al lupo 273 21.1 Verso l’ignoto. . . 287 21.2 Una bolla papale per scuotere la “christiana respublica” 289 21.3 Sulla soglia della tana. . . 291 21.4 Il confronto

Parte III La riconquista p. 303 22 Scacco agli invasori 303 22.1 Alfonso pone l’assedio a Otranto 310 22.2 Incomprensioni e risentimenti per la missione a Valona 316 22.3 Si fa strada una notizia clamorosa


viii p. 327 23 Fu un deus ex machina? 327 23.1 La morte del Conquistatore 334 23.2 Una strategia da decifrare p. 337 24 Arrivano gli Ungari 337 24.1 Quod non fecerunt Italici. . . 341 24.2 Ancora beghe tra “collegati” 348 24.3 La notizia del paggio sfuggito ai turchi, dal Sadoleto al Lagetto 350 24.4 Questioni mediterranee e mitteleuropee 355 24.5 Ambasciatore itinerante 357 24.6 La flotta benedetta p. 363 25 Or volge l’anno. . . 363 25.1 Da carcerieri a carcerati 370 25.2 Ancora castelli da restituire 370 25.3 Convergono gli sforzi per una vittoria ampia p. 375 26 Le operazioni conclusive 375 26.1 Una sortita turca respinta e un assalto aragonese rovinoso 376 26.2 La stretta finale 379 26.3 Il tour diplomatico di ritorno per assistere all’atto finale 382 26.4 Nuntio vobis gaudium magnum 384 26.5 Dove eravamo rimasti? p. 387 27 La pace e i retroscena 387 27.1 Souvenirs di guerra 389 27.2 Si scioglie la tensione del dramma 390 27.3 La transumanza inversa: settembre in Abruzzo 391 27.4 Si sciolgono anche i sodalizi 397 27.5 Verso la pace 398 27.6 Un’intervista esclusiva p. 403 28 Strascichi di pace 403 28.1 Le trattative in un clima festoso 409 28.2 Le strane posizioni delle potenze italiane p. 415 29 Nostalgia di “italici tumulti” 415 29.1 Nell’ardua scelta dei prossimi nemici ed alleati. . . 421 29.2 . . . si cerca la via italiana allo stato nazionale 422 29.3 Una nuova missione diplomatica oltremare 426 29.4 Il commiato del sedulo oratore p. 429 30 A Zacinto. . . e in altre isole elleniche: pretesti e conflitti paralleli 429 30.1 Una moderna leggenda metropolitana 432 30.2 Una vicenda naturale nelle cronache coeve 435 30.3 Venenia ovvero veleni veneti 435 30.4 Sulle orme di Scipio: portare la guerra in casa dell’invasore 438 30.5 Soci in affari o predatori derubati? 439 30.6 Armiamoci e partite: la vittoria sterile p. 447 31 Note in margine 447 31.1 La farina del diavolo. . .

Indice


Indice

ix

449 31.2 Verso l’epilogo 450 31.3 La nenia del muezzin 453 31.4 La campana degli alleati ungheresi. . . 454 31.5 . . . e la sua eco in Ragusa 455 31.6 Considerazioni conclusive

Appendici p. 459 I 459 I.1 460 I.2 497 I.3

Il ceppo partenopeo dei testi lagettiani Premessa L’Historia del Lagetto nel ms. XV-C-23 della Biblioteca Nazionale di Napoli Nota finale

p. 499 II

La testimonianza di un gentilhuomo otrantino nell’opera di Leandro Alberti

p. 503 III In attesa della storia sugli eventi otrantini del 1480-81 p. 505 IV Lost (errors) in translation – Lagetto VS de Araujo 505 IV.1 L’affermazione 506 IV.2 Note di confronto tra ms. lagettiani e l’Historia del de Araujo 515 IV.3 Conclusioni p. 519 V

E turki ce o Terentò (ma loja grica)

Indici p. 527

Indice delle abbreviazioni per le fonti documentarie

p. 533

Indice delle fonti documentarie



Ringraziamenti Nel mio percorso di ricerca documentaria e storica su questa guerra, come su altri argomenti, sono stato spesso aiutato da ottimi compagni di viaggio. Quando nell’ottobre del 1999 mi rivolsi alla vedova di Donato Moro, scoprii con rimpianto che avrei potuto conoscere il più grande studioso su Otranto in quegli anni ’80 in cui lavoravo non lontano dalla sua dimora; avrei avuto questa possibilità ancora in quel 1997, ultimo della sua vita, in cui mi ero accostato alla vicenda rocana nella guerra turca. La prof.ssa Maria Marinari, in compenso, mi fornì subito estratti, copie e appunti con grande disponibilità, come se li avesse predisposti per chi volesse proseguire gli studi sui dispersi ms. lagettiani e sull’intera vicenda otrantina. A seguire, il mio filo d’Arianna bibliografico mi portò a contattare il prof. Giancarlo Vallone, lodato da Moro per la sua dottissima ricerca sull’arcivescovo Stefano Agricoli. In comunione d’intenti abbiamo collaborato per tutte le successive uscite del Bollettino Storico di Terra d’Otranto, in una delle quali stampai anche il buon Lagetto inedito della BPL. G. Vallone, quando vide cosa avevo in mente di fare con la trilogia dedicata a Roca, mi consigliò di andare oltre le edizioni a stampa o le copie napoletane, e mi spinse a intraprendere un’opera di grande impegno, quella di completare il lavoro del Foucard sui restanti dodici mesi di guerra, attingendo direttamente alle lettere originali nell’Archivio di Stato di Modena. Per anni mi ha chiesto notizie del librone o di Otranto, fornendomi ulteriori suggerimenti e un brano in italiano di un suo libro in albanese. In questi anni sono stato sostenuto e aiutato in tanti modi, e non solo in quelli consueti, da tutta la mia famiglia, da mia moglie M. Dolores e dai miei figli Giuseppe, M. Veronica e Luigi Matteo. Mi

hanno seguito nelle mie peregrinazioni in Italia e all’estero sui luoghi in qualche modo legati a questa storia, aspettandomi durante i viaggi mentre mi attardavo a visitare biblioteche e fondi archivistici, o rinunciando in altre occasioni a qualche momento di svago. Giuseppe in particolare ha fatto spesso tappa a Modena, nei suoi viaggi per la Normale di Pisa, per reperire e portarmi le “novelle per un anno”, come disse quando tornò con una mole di riproduzioni pari ad esse come numero. Aveva già mostrato il suo talento nella grafica dei primi due elementi della trilogia, quando era ancora uno studente liceale; nel non comparabile, per dimensioni e complessità, elemento conclusivo, ha toccato vette di professionalità estrema, sebbene faccia tutto questo per passione e per autentico diletto. Ricerca immagini, impaginazione e grafica, come si dice, ma tanto e ben altro: scambi di idee, verifiche di congruenza logica su considerazioni espresse in un ambito così vasto e articolato, suggerimenti brillanti rendono a tutti gli effetti Giuseppe, se avesse voluto accettare, un co-autore di questo libro. Della famiglia in cui sono nato, e che accomuno nella dedica, amo ricordare i miei genitori, che mi hanno dato tanto sotto tutti gli aspetti finché sono stati in vita. Un ringraziamento lo devo anche all’editore nelle persone di Giovanni e Gigi Chiriatti, che hanno aderito convintamente a questa iniziativa fornendomi i consigli derivanti dalla propria esperienza per una buona riuscita della pubblicazione. In questo senso una carica positiva mi è fornita anche dagli incontri con Gigi Manni, che definirei la cartina al tornasole di questo studio, che l’ha vagliato e l’ha trovato degno di una sua prefazione.



Prefazione Una prefazione che si rispetti, fatte salve le ragioni apologetiche (solo quando sono motivate), deve semplicemente illustrare ai lettori i caratteri e gli intendimenti dell’opera. Questo libro – forse il lavoro più importante finora realizzato, nel tentativo di ricostruire in modo rigoroso gli eventi otrantini del 1480-81 –, già nel titolo, L’autentica storia di Otranto nella guerra contro i turchi, concentra il programma di fondo dello studio, finalizzato a liberare il campo da tutto ciò che sull’argomento autentico non è.

corte di Napoli, trascritti da D. Palma a Modena direttamente dai documenti originali; l’importantissima Relazione del 13 ottobre 1480 dell’ignoto commissario del duca di Bari; il Diarium Romanum di Jacopo Gherardi, detto il Volterrano, che contiene notizie sulla guerra, la caduta della città, la sorte dei suoi abitanti e la liberazione di Otranto; il Diarium Parmense, fonte coeva sui fatti di Otranto, inspiegabilmente trascurata da molti studiosi; il De bello Hydruntino di Giovanni Albino Lucano, precettore del duca di Calabria, caratterizzato da L’autore, Daniele Palma, con questa sua fatica, una meticolosa descrizione delle gesta di Alfonso conclude un impegno più che decennale di ricer- d’Aragona; le Cronache del leccese Antonello Coche, iniziato nel 2002 con la pubblicazione di Roca: niger; il De situ Iapygiae del medico e umanista la diaspora unita nel culto di Maria e soprattutto Antonio de Ferrariis o Galateo, con notizie sui primi del saggio Un buon Lagetto inedito sugli eventi del drammatici eventi dell’invasione, e soprattutto la 1480-81 in Otranto, illuminante quest’ultimo e an- preziosa Historia del cronista otrantino Gianmicheticipatore di molte problematiche trascurate dalla le Lagetto (con una g, precisa l’autore), una delle storiografia specialistica. Il sottotitolo, poi, indica fonti considerata al massimo livello d’importanza, a le fonti utilizzate e cioè la corrispondenza origina- fronte della contestata Historia de los Martires dela le e cifrata tra Ercole d’Este e i suoi diplomatici. Ciudad de Otrento (1631) di Francisco de Araujo, È evidente a tutti la grande portata di questo pa- espressione del suo secolo. ziente e altamente meritorio lavoro di decrittazione intrapreso dall’autore. Le fonti diplomatiche decifrate, infatti, non più oscure e misteriose, vengono restituite alla comprensione del lettore, soprattutto degli studiosi, e scrivono pagine nuove e inedite sulla storia dell’assedio turco di Otranto.

L’autore indaga metodicamente le fonti archivistiche italiche sulla conquista e sull’eccidio di Otranto, ma anche quelle adriatiche (per es. dalmate), vagliate, come lui stesso afferma, “al lume della ragione e dell’umano buonsenso”. Tra le fonti più antiche, considerate dall’autore le più attendibili, sono stati compulsati soprattutto i documenti e le lettere pervenute alla corte estense, in particolare i rendiconti di Nicolò Sadoleto, oratore (ambasciatore) presso la

Naturalmente Daniele Palma si confronta anche con i prodotti editoriali più recenti. Mi riferisco ai due volumi di Otranto 1480, che riuniscono gli atti del convegno internazionale “Otranto 1480”, pubblicati a cura di Cosimo Damiano Fonseca, in occasione del V centenario (1980) della caduta di Otranto ad opera dei turchi; ai due tomi Hydruntum: fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del 1480, di Donato Moro, a cura di Gino Pisanò (2002), e ai due volumi La conquista turca di Otranto (1480) tra storia e mito, a cura di Hubert Houben, in cui sono pubblicati gli atti del convegno internazionale di studio del 2007. D. Palma, sia che si tratti di fonti antiche, che di contributi moderni, non si esercita arbitrariamente senza operare una seria cri-


xiv

Prefazione

tica storica, metodologicamente corretta e fedele ragioni che spinsero i turchi ad uccidere tanti uoalla sequenza temporale degli eventi. Con rigore mini, invece di condurli schiavi altrove, come era logico affronta temi noti e malnoti e con coraggio, stato già fatto con centinaia di catturati. Il Galateo sorretto dalla competenza, s’infila spavaldamente non fa alcun riferimento, nell’episodio specifico, alla nelle questioni, ancora aperte, relative alle vicen- “testimonianza della fede per mezzo della propria de otrantine. E sono tante. Per esempio il ruolo vita”. Questo il passo del De situ Iapygiae: “Essengiocato dalla repubblica veneta, mai chiarito del do ormai quasi tutti i nostri feriti e spossati dalle tutto; il ruolo di Otranto e Roca; l’esatta cronologia fatiche e dalla mancanza di sonno [. . .] gli ottocendei fatti e dei vari episodi; l’apporto magiaro alla to uomini che erano sopravvissuti alla strage, in liberazione della città; la discussa imprevidenza di quanto prigionieri, feriti o malati, furono condotti re Ferdinando; la questione degli ebrei otrantini; la fuori dalla città, e quindi tutti massacrati, sotto consistenza della flotta turca; la figura di Achmet; i lo sguardo del crudelissimo comandante straniero”. timori delle città rivierasche; le profezie sul pericolo Sorge il sospetto che il sacrificio degli Ottocento sia incombente; l’arcivescovo di Otranto, “protomartire” stato determinato dalle “condizioni degradate dei della Cristianità, già restituito alla sua vera patria, prigionieri” (feriti o malati, di scarso valore per un Galatina, e al suo vero cognome, Agricoli; i luoghi eventuale riscatto) o, peggio, come documentato in degli sbarchi; i “martiri” di Otranto; il periodo post- un’altra parte del libro, dalla loro impossibilità a liberazione e tanti altri temi di grande interesse che pagare il riscatto di trecento ducati a testa, fissato rendono imperdibile questo libro di Daniele Palma. dai turchi con un preciso calcolo utilitaristico. Così, Quasi naturale, poi, per l’autore, dover affron- la notizia, nella relazione del commissario del duca tare l’argomento “martiri” di Otranto, anche per di Bari: “Qualchuno che potesse fare bona taglia, una curiosa, ma direi opportuna coincidenza, che che non ne valesse mancho de 300 ducati, hebbero vede contemporaneamente nello stesso anno, ossia la vita”. Bisognerebbe, quindi, – come suggerisce D. il 2013, la luce di questo libro e, il 12 maggio, la Palma – “stemperare certa retorica diffusasi intorcanonizzazione degli Ottocento otrantini, da tempo no alla fine di quei disgraziati, che forse avrebbero proclamati beati. preferito continuare a vivere piuttosto che essere Ancora una volta, da navigato ermeneuta, sot- annoverati tra i martiri e gli eroi”. Tuttavia, nel to una nuova luce, richiama e interpreta testi e tempo, nella memoria collettiva e popolare di Terra documenti con un approccio esegetico interdiscipli- d’Otranto, a tener desto l’episodio otrantino, “tra nare, apparentemente senza coinvolgimenti emotivi, canoni retorici e invenzione narrativa”, non fu tanto ma originale nelle conclusioni. Molte le domande. (o solo) l’assedio e la conquista della città, quanto Davvero gli Ottocento scelsero di morire per non la notizia agghiacciante che sul colle della Minerva rinnegare la loro fede? E perché mai i turchi op- erano stati orribilmente decapitati dalle scimitarre tarono per il massacro, potendo invece – cosa più turche ottocento otrantini. vantaggiosa per loro – ridurli in schiavitù? Il LaGli Ottocento, da allora, dopo una serie di inforgetto testimonia la loro fede: “Antonio Primaldo mationes sul “martirio”, di sinodi, centenari, celebramaestro zimator de panni disse che essi (gli Ottocen- zioni solenni, pellegrinaggi apostolici, peregrinazioni to) tengono Giusù Christo per figliuolo di Dio, e loro di urne contenenti le sacre reliquie, furono proclamaSignore, e Dio, e che più presto voleano mille volte ti beati “per aver praticato in sommo grado le virtù morire, che rinegarlo”. Gli fa eco l’Alberti: “furono cristiane” e venerati nella liturgia domenicale. Oggi essortati da’ Turchi à renegar la fede di Christo [. . .] la Chiesa li canonizza “Santi Martiri di Otranto”, più tosto volevano patire ogni aspro tormento, et ritenendo miracolosa, grazie alla loro intercessione, la morte, che non abbandonare la verissima fede di la guarigione di una suora da una grave malattia. Giesu Christo”. Gli studi sulle vicende otrantine del 1480-81 vanDaniele Palma si pone una domanda essenzia- tano una lunga tradizione. Oggi si arricchiscono le. Potevano gli Ottocento “martiri” di Otranto di questo libro complesso, intrigante e di grande, scampare all’eccidio? Nel tentare una possibile spie- indiscusso interesse. Daniele Palma, calandosi in gazione della strage, si riaffida al testo galateano una sorta di full immersion nel segreto dei dispacci con una chiave di lettura – e questo va a suo meri- diplomatici e dei testi antichi, prova a muoversi, e lo to – finora mai sottolineata, cercando cioè le vere fa con passo sicuro, nella fitta ragnatela dei percorsi


Prefazione storici su cui fare finalmente luce. La galleria è affollata da tanti personaggi, alcuni noti, altri meno, che compaiono e scompaiono intorno al nucleo ribollente di una piazza d’armi sconfitta, lacerata e finalmente liberata. Il famoso astrologo e matematico soletano Matteo Tafuri (1492-post 1584), in un inedito Pronostico del Tufo del 1571, ricorda quasi con terrore la figura di Maometto II e di suo padre Murad II, che aveva sconfitto in Albania il re Giorgio Scanderbeg di Croia, prima della presa di Soleto, 15 aprile 2013

xv Otranto. L’autore ha un grandissimo merito. Per evitare, infatti, che la ricerca madre potesse confondersi e perdersi nelle tante e inevitabili gemmazioni, ha voluto unificare in un unico prodotto editoriale i documenti disponibili. Un cammino faticoso, ma utilissimo per ricostruire una storia antica. Il risultato è sicuramente di grande rilievo. Ad maiora. Luigi Manni



Introduzione La pubblicazione di questo studio segue, a distan- fa, mi accostai ad esse; partendo da questo “quadro za di alcuni anni, quella di un mio testo teatrale di riferimento storico e ambientale”: dal titolo Alba di luna sul mare – Tragedia di RoNei rapporti tra il mondo cristiano e quello islamico ca tramandata oralmente sull’altra sponda e, nelle – per quello che riguarda in particolare le componenmie intenzioni di allora, doveva chiamarsi e avere ti di etnia araba e turca – sembrano susseguirsi, e per oggetto “Roca nella guerra otrantina”1 ; al testo alternarsi, fasi di prevalente espansione degli uni a teatrale sono relativi i riferimenti che talvolta si scapito degli altri, e viceversa. Data la vastità dei incontrano in questo. Nel mezzo è stato pubblicato territori coinvolti e la varietà dei popoli interessati, in un altro studio dal titolo Roca: la diaspora unita alcuni dei circa quattordici secoli trascorsi dall’Egira nel culto di Maria. ai giorni nostri, i movimenti di conquista delle due Nella quarta di copertina del testo teatrale avevo comunità sono coesistiti e in qualche modo si sono anticipato i titoli orientativi delle due ricerche (poi bilanciati. È avvenuto qualcosa del genere, ad esemin parte variati) per il semplice fatto che le ricerche pio, nel XIV e XV secolo quando, mentre gli Arabi a stesse erano state in larga parte compiute prima e Occidente perdevano l’ultimo scampolo di territorio europeo a vantaggio dei regni cristiani iberici, che nel durante la stesura della tragedia, la quale – avendo 1492 completavano trionfalmente la Reconquista con l’ambizione di qualificarsi come storica – poteva esla presa di Granata, a Oriente i Turchi sbarcavano in sere scritta solo previa una valutazione critica delle Europa e – dopo aver conquistato buona parte della antiche cronache su quella guerra, sul ruolo che vi penisola balcanica – altrettanto trionfalmente e, con ebbe Roca e su quanto accadde successivamente un’operazione ancor più carica di significati simbolici, a quella cittadella e ai suoi abitanti. I due studi, nel 1453 entravano in Costantinopoli. La differenza pertanto, hanno preso corpo di saggio organico in di circa quarant’anni tra i due fatti non appare signiconseguenza di questo lavoro di documentazione, ficativa, se solo si considera la contemporaneità della che ha confortato elementi della tradizione popolare lunga fase di preparazione degli stessi. e supposizioni personali sull’antico dramma rocano Come spesso accade in questi casi, l’impressionante e otrantino. È un po’ come quando le api s’induslancio propulsivo che aveva animato le due attività di conquista non si esauriva con il raggiungimento striano per produrre il miele: occorre che prima degli obiettivi più prestigiosi. Mentre, infatti, i resiano costruite le cellette di cera. Ma spero che gni di Castiglia e Portogallo già da qualche tempo la similitudine si fermi qui: mi auguro, cioè, che guardavano e si lanciavano al di là dello Stretto di chi ha apprezzato il pathos della tragedia non trovi Gibilterra, quasi ad inseguire i nemici secolari sconfitinsipidi o indigesti i saggi. Per quello che può valere ti, così l’impero ottomano cominciava ad interessarsi la mia esperienza personale, posso assicurare che della sponda occidentale dell’Adriatico, dove regnagli argomenti su cui vertono queste ricerche hanno va, guarda caso, una dinastia aragonese i cui diritti suscitato in me un interesse crescente che non avrei sarebbero poi passati – al termine di una colossale saputo immaginare quando, una quindicina di anni concentrazione di eredità, e di un lungo scontro con 1 Strada facendo mi è sembrata inopportuna anche una tale denominazione per quel conflitto (cfr. L55 47). Per questa e per tutte le altre citazioni, cfr. l’Indice delle abbreviazioni per le fonti documentarie, p. 527.

la Francia – alla stessa dinastia asburgica insediatasi a Toledo. Il policentrismo statuale della comunità cristiana, in contrapposizione alla struttura monolitica dell’av-


xviii versario islamico, determinava tuttavia un rapporto asimmetrico e in molti casi anomalo tra le forze in campo. Molte volte, infatti, le disgrazie degli stati cristiani più esposti all’attrito o al conflitto aperto con gli ottomani – come la repubblica veneta e il regno dell’Italia meridionale nelle sue varie dizioni ufficiali – finirono oggettivamente col favorire, almeno nell’immediato, i loro confinanti e rivali nello stesso campo occidentale. Questa situazione generò un clima di sospetti tra gli stessi stati cristiani, i quali, talvolta, a torto o a ragione, si accusavano più o meno apertamente di aver istigato l’aggressione di quello che avrebbe dovuto rappresentare il nemico comune. Nel gioco delle parti c’era qualcuno che si calava nel ruolo sbagliato – o, almeno, così appariva agli altri.2

Sul più vasto scenario della guerra che i turchi portarono in Terra d’Otranto, se da un lato è stato scritto molto, dall’altro sono rimaste molte questioni aperte. Quando ci s’imbatte in qualcuna di esse non è facile tagliare corto con l’indagine, anche se, a un certo punto, ci si accorge che – per farsi un’idea il più possibile compiuta su di un determinato argomento – si rischia di uscire dal campo di ricerca che lo studioso, o appassionato che sia, si è inizialmente assegnato. Valga un esempio per tutti: la questione del ruolo di Venezia in quella guerra – questione molto vexata, ma ancora non esaurientemente chiarita – è così intrigante che si corre il rischio di dimenticare il fatto indiscutibile che essa solo collateralmente attiene alle vicende e al ruolo di Roca e di Otranto nel medesimo conflitto. Ne consegue un’estensione, per contiguità, del campo di ricerca. . . e la modifica del titolo inizialmente prefigurato dall’autore. Lo stesso discorso vale, naturalmente, per altre questioni, quali l’esatta cronologia dei vari episodi in cui si dispiegò l’invasione turca o lo sterminio di centinaia di otrantini: perché fu voluto e precisamente da chi, con quale criterio furono scelte le vittime, se ebbero la possibilità di scampare alla morte riscattandosi o abiurando la loro fede, se questo fu loro richiesto, e altro ancora. Poco o affatto esaminata – per quello che a me risulta – è, poi, la questione degli ebrei otrantini, che sicuramente esistevano e di cui parla qualche fonte: qual era la loro consistenza numerica, prima di tutto, e, inoltre, se furono uccisi, ed eventualmente conteggiati, insieme con gli ottocento martiri di cui parla la tradizione cristiana. 2 Palma, Incursioni 135-136.

Introduzione Non rientrava tra le ambizioni di questo studio quella di esaminare compiutamente tali questioni o, tanto meno, di fornire risposte definitive a tutti questi interrogativi indubbiamente coinvolgenti. Chi scrive, nondimeno, si è accorto nel corso della ricerca che ad alcuni particolari presenti nelle antiche testimonianze finora non è stata dedicata la giusta attenzione, tanto per non dire tout-court che essi sono stati completamente trascurati; eppure, questi elementi delle cronache del tempo, se considerati come altri punti di visuale, potrebbero aiutare a inquadrare meglio i fatti indagati, all’incirca come avviene per la visione binoculare, che consente di stimare volumi e rilievi anziché semplici superfici. Accenni a questi elementi da riconsiderare – tratti da documenti già conosciuti (in particolare penso al De bello Hydruntino di Giovanni Albino Lucano o alle notizie “racolte” da un ignoto “comisario delo ill. duca de Bari” per il suo signore Ludovico il Moro) – sono posti in evidenza nel presente studio. Si spera che questi accenni, limitati per i motivi suddetti, costituiscano spunti e stimoli per riaprire la riflessione su quell’evento drammatico, magari prima del prossimo centenario o prima di un qualsivoglia convegno si ritenga di dedicare alla vicenda otrantina del 1480-81. Uno recente, tenutosi quando questo studio era nella sostanza terminato, ha marcato già nel titolo altri aspetti non propriamente storici. Si rimanda a tal proposito alla recensione sugli atti di quel convegno riproposta in appendice3 .

3 App. III, ‘Dopo il mito e la letteratura, in attesa della storia sugli eventi otrantini del 1480-81’, p. 503.


CAPITOLO PRIMO Le fonti più antiche e attendibili §1.1 La corrispondenza diplomatica, 1 • §1.2 Gli oratori di Ercole d’Este, 2 • §1.3 Due diari curiali, uno falso e una cronaca leccese, 4 • §1.4 Sulla scia di G. Cesare, un D.B.H. vero e uno contrabbandato per tale, 4 • §1.5 Altre fonti italiane, 5 • §1.6 La guerra vista dalle altre sponde dell’Adriatico, 6 • §1.7 Dalla guglia del minareto, 7 • §1.8 Una buona cronaca locale, 7 • §1.9 Nota sulla trascrizione dei testi, 8.

1.1

La corrispondenza diplomatica

Le fonti sicuramente più antiche e anche più ricche di notizie sulla guerra in questione sono le lettere che gli oratori (ambasciatori non permanenti) inviavano ai loro signori; molto numerose sono le relazioni inviate dagli oratori estensi alla corte di Ferrara (in particolare quelle di Nicolò Sadoleto da Napoli), ed entrate a far parte dell’Archivio di Stato di Modena in conseguenza della cessione dell’originaria capitale dei duchi d’Este allo Stato della Chiesa nel 1598. I dispacci relativi ai prodromi e ai primi mesi di guerra sono stati trascritti dal Foucard1 nel 1881, in occasione del quarto centenario di quell’evento. In quella pubblicazione sono presenti anche le trascrizioni di altri documenti dovuti ad una ampia 1 Il “cav. Cesare Foucard” – il cui cognome di chiara origine francese subisce continui attentati dal mio correttore automatico di testi che trova più naturale trasformarlo in foulard – già in precedenza aveva segnalato sulla stessa rivista napoletana la rilevanza dei documenti presenti nell’archivio estense, utilissimi, a suo dire, per una riscrittura organica della storia italiana nel XV secolo (cfr. di C. Foucard: ‘Fonti di storia napoletana nell’Archivio di Stato di Modena’, in ASPN 2 [1877] 725-730; ‘Proposta fatta dalla corte estense ad Alfonso I re di Napoli (1445)’, in ASPN 4 [1879] 689-707). La trascrizione di quelle fonti, per motivi a noi sconosciuti, si ferma ai dispacci scritti tra la fine di settembre e i primi di

varietà di personaggi del tempo, e pervenuti alla corte estense in originale o in copia; tra tutti, importantissima, la Relazione che il commissario del duca di Bari scrisse il 13 ottobre 1480 al suo signore Ludovico Sforza detto il Moro, documento che oggi si trova in Modena perché trasmesso in copia ad Ercole d’Este dal suo oratore a Firenze, Antonio Montecatino; questo anonimo rappresentante del duca di Milano risiedeva, suo malgrado2 , a ridosso del teatro delle operazioni, e quindi poteva avere notizie più dirette e costantemente aggiornate3 . Biottobre del 1480; a tal proposito, le due lettere del Sadoleto scritte nella prima metà di ottobre sembrano trascritte all’ultimo momento e inviate alla rivista nelle more dei tempi di stampa, perché sono inserite dopo il nome con cui si firmava l’oratore, nome che negli altri casi chiude il gruppo dei documenti dovuti al medesimo. Successivamente sono stati pubblicati brevi passi o alcuni dispacci integrali su quell’evento traendoli, però, da una trascrizione conservata presso la Società Napoletana di Storia Patria. 2 Una umanissima confessione di questa disposizione d’animo si riscontra nella suddetta relazione: “Io per me sto disposto ad ogni bisogno et periculo, et ad exponere la vita pro Christi nomine et per l’honor mio finché ce serò, ma quanto più presto me poterò levare serò più contento”; “Una cosa ne adiuta qua, chel mare è in megio, altramente non scio quanto se poteria resistere ala moltitudine et impeto de questi cani” (Com. 6 e 7). 3 Come dichiara lo stesso relatore nell’incipit, rivolgendosi


2 sogna tuttavia tener presente che, quando scrisse la sua non breve relazione, erano passati circa due mesi dai fatti principali, e questo, forse, lo indusse a non essere estremamente preciso sulle date, che talvolta appaiono sfasate di uno o due giorni. Queste lettere illustrano l’ultima stagione d’indipendenza che fastosamente e orgogliosamente vivevano le signorie e i principati italiani, consapevoli di trovarsi in una condizione singolare rispetto agli stati nazionali confinanti e anche al poco coeso impero germanico: in ognuno, infatti, era ben radicata la convinzione di far parte di un’unica regione geografica e linguistica, dalla quale mancavano solo le due isole maggiori, già soggette ad uno stato straniero, e il Piemonte subalpino, che – appartenendo ad uno stato esteso soprattutto al di là delle Alpi (non solo in Francia, della cui monarchia subiva l’influenza, ma anche in Svizzera) – partecipava solo marginalmente alla vivace, e talvolta leziosa, dialettica italica. A questa rappresentazione è, lo diciamo subito, estraneo ogni giudizio d’imprevidenza sulla precarietà di tale condizione che potrebbe risultare gratuito, visto che i comunque paventati pericoli da oriente si dimostrarono meno perniciosi delle pressoché imprevedibili minacce da occidente, che, invece, si materializzarono nel breve volgere di un ventennio, artigliando due dei più potenti stati italiani (Napoli e Milano) e trascurando tutte le potenze di secondo e terzo rango (Ferrara, Siena etc.), che inopinatamente sopravvissero alla bufera esterna e furono, in tutto o in parte, successivamente fagocitate dalle altre potenze interne di primo livello. Chi in parte si salvò (il ducato estense) ebbe almeno la ventura di vegetare, per quanto privato della sua originaria capitale, fino al XIX secolo, vale a dire oltre il più potente tra gli stati regionali italiani (cloroformizzato e poi cancellato con un tratto di penna a Campoformio), e quasi quanto l’altro suo pericoloso vicino – giustificato nella sua estensione ed esistenza temporale da un falso giuridico, smascherato, invano, proprio in quella stagione umanistica, e che, con la sua monarchia elettiva atipica, costituiva il più forte elemento d’instabilità nel cuore della penisola, governato com’era da un flusso alternato di effimere al suo signore che aveva chiesto ragguagli sui fatti otrantini: “Per satisfare a quanto mi richiede [. . .] benché non possi parlare de visu de ogni cosa, tamen per la propinquità del loco, et frequentia deli advisi havuti fidedigni, non dubito che non deviarò puncto o niente de la verità, et dirola senza alcuno rispecto” (Com. 1).

Le fonti più antiche e attendibili dinastie in cerca di consolidamento in qualche principato, da ritagliare per quei rampolli che un’ipocrisia posteriore chiamò nipoti, all’interno e all’esterno del cosiddetto patrimonio di un pescatore, che aveva abbandonato persino famiglia e barca sulle rive di un lontano lago orientale, per venire a Roma a farsi crocifiggere peggio di uno schiavo ribelle.

1.2

Gli oratori di Ercole d’Este

Sembra opportuno dire qualcosa sugli oratori e su chi per primo ne trascrisse i dispacci: il Foucard, che ne interpretò la grafia, ne normalizzò la punteggiatura4 e in qualche caso anche il cognome, e che, probabilmente, annotò di sua mano anche le carte originali. Ogni dispaccio inerente gli eventi otrantini, e anche al quasi contemporaneo e parallelo assedio di Rodi, reca, infatti, in alto a sinistra della prima o unica carta su cui è vergato, una data scritta con altra grafia e criterio rispetto a quella autografa apposta in chiusura dall’autore: una grafia e un criterio sicuramente non quattrocenteschi. Inoltre, chi volesse semplicemente correggere le bozze al Foucard5 , non avrebbe difficoltà alcuna nell’individuare i brani trascritti dal medesimo, facilmente rintracciabili per la presenza di una mezza parentesi quadra, simile ad una Γ all’inizio delle righe interessate e ad una 4 Si potrebbe anche parlare di stravolgimento – è questione di punti di vista – della punteggiatura: questa, infatti, non è governata da norme universalmente riconosciute, e, pertanto, può apparire discutibile la consuetudine di sostituire quella originale con una delle tante soggettivamente moderne; un’operazione che può fare il paio con la traduzione in italiano corrente della Commedia. Dico questo perché mi sembra che non sia la presenza sistematica della virgola prima delle congiunzioni o l’uso dei due punti nelle abbreviazioni o altri fenomeni simili a ridurre l’intelligibilità di un testo quattrocentesco, che, da questo punto di vista, è più arduo intendere correttamente per subdole differenze di significato in termini formalmente simili ai nostri. Per fare un esempio, penso che appartenga allo stile e al gusto personale, più che alle norme da seguire, la consuetudine di racchiudere tra virgole anche i brevi incisi che con contengono forme verbali; per quanto personalmente ne faccia uso, trovo inopportuno ricorrervi nella trascrizione di documenti di un’altra epoca, come fa sistematicamente il Foucard; oppure, quando vi si ricorre, sarebbe bene che le virgole procedessero in coppia e non spaiate, come ho riscontrato in una normalizzazione del D.B.H. In termini di punteggiatura, pertanto, mi limiterò ad un intervento molto sobrio su quella originale. 5 Si rileva qualche inequivocabile errore di trascrizione, se si leggono direttamente i documenti originali pubblicati da questo storico direttore dell’Archivio modenese, nonché docente di paleografia a Venezia, vissuto dal 1825 al 1892.


1.2 Gli oratori di Ercole d’Este

3

L alla fine, con ripetizione del simbolo all’interno che dalla sua grafia orribile, da un “Exemplum” della riga se questa non è stata trascritta per intero. ricopiato da un suo dispaccio8 , inviato da Venezia In alcuni casi tale simbolo aggancia lettere simili dove era accreditato: ma negli estratti si riscontra nel testo, suscitando un’imprecazione in chi lo sta la forma volgare “Cortese”. autonomamente reinterpretando, quando si accorge Da Roma (ovviamente. . .) scriveva “Baptista che di carattere spurio si tratta. Il tutto è avvenuto, Bendedeus”, che il Foucard chiama “Bendedei”9 e ripeto, sulle carte originali, in corrispondenza dei non “Bendidio” o “Bendedio”, conformemente al brani pubblicati dal Foucard e di quelli successivi al cognome citato nelle lettere di altri oratori e negli settembre-ottobre 1480 che egli probabilmente non estratti10 . Si può dire che ovviamente si trovava fece in tempo a pubblicare (forse li aveva trascritti presso la sede papale, non solo per il cognome, ma a mano, ma che ne conoscesse almeno il contenuto è anche perché nelle sue lettere salta agli occhi, e provato dalle evidenziazioni suddette e dall’accenno talvolta disturba, l’abuso, che sembra curialesco, di alle “dichiarazioni confidenziali dell’ambasciatore alcuni appellativi iperbolici (come “vostra sublimiTurco al Re”6 ). tà”) nei confronti del duca di Ferrara, al quale gli Quanto ai cognomi degli oratori, c’è da dire che altri oratori si rivolgono solo con i rituali “vostra si firmavano in latino, e quindi bisogna tradurli, con excellentia”, “ill.mo signore mio” etc. Risalta, per l’aiuto, talvolta, di riferimenti presenti nei dispacci converso, il rapporto molto franco che sembra avere dei colleghi o del loro duca. Così l’oratore presso Nicolò Sadoleto con Ercole d’Este, al quale talvolla corte di Napoli, “Nicolaus Sadoletus”, in qual- ta l’oratore accreditato a Napoli quasi ricambia il che raro caso “Sadolettus”, o soltanto “Sedulus”, rimprovero di non aver fatto cenno a notizie che più che “Sadoletto”7 , come figura negli estratti dei sicuramente doveva conoscere. dispacci (prodotti in epoca sconosciuta, ma forse Per il resto, traspare una certa gelosia tra collenon lontana dal 1480), sembra preferibile chiamarlo ghi quando qualcuno scrive al duca all’incirca così: “Nicolò Sadoleto”, come appare in un dispaccio del “questa informazione ti sarà già pervenuta dal tale, collega presso i Medici di Firenze, “Antonius de ad ogni buon conto sappi che. . .”11 . Montechatino”. In questo caso, evitando di lam8 Cor. 81.09.05. biccarsi sul cognome (riportare o tralasciare il “de” 9 Anche qui la scelta sembra basata sulla forma del coappare indifferente), sembrerebbe di capire che il gnome adottata dall’Ariosto per il poeta Timoteo (Orlando rappresentante di Ercole d’Este presso Lorenzo il Furioso canto XLII, ottava 86, quinto verso). 10 La stessa metamorfosi del cognome nella forma patroniMagnifico appartenesse a una famiglia originaria mica latina ha rischiato anche un certo “Alesandro Pagnadei domini medicei piuttosto che di quelli estensi no”, che manda tre lettere da Roca rioccupata da Alfonso (Montecatini notoriamente è in Toscana, anche se nel settembre 1480. Su queste carte è stato inopportunamensulla strada per Modena, e comunque nettamente a te scritto “Pagnani” dalla stessa grafia non quattrocentesca sud dello spartiacque appenninico). che ha marchiato altri documenti del tempo. 11 Si veda, ad esempio (in Mon. 80.07.07), il rimando del Il nome di “Albertus Cortesius” si ricava, più 6 Cfr. Foucard 76. Le “dichiarazioni confidenziali” preannunciate dal Foucard sono state poi pubblicate come “confidenze postume” da una copia presso la biblioteca della Società di Storia Patria Napoletana (Zacchino 298 e 338-339), mentre sembra essere sfuggito ai più, se non a tutti, il rendiconto di una ben più lunga conversazione, quasi un’intervista di N. Sadoleto al medesimo ambasciatore, tratto dall’archivio modenese e pubblicato in appendice ad una apologia di Venezia e del suo comportamento in questa guerra (cfr. Piva, III. 166-169, doc. III). Tutte queste missive sono state da me trascritte direttamente dai documenti originali in Modena, come tante altre fonti estensi, edite e inedite, sui fatti di Otranto e di Rodi nel 1480-81. 7 In questa forma è nel canto XLII dell’Orlando Furioso (ultimo verso dell’ottava 86) il cognome del cardinale e scrittore Iacopo, presumo dello stesso casato e della generazione successiva a quella di Nicolò.

Montecatino al Sadoleto (“me rendo certo (che) don Nicolò Sadoleto scriva el tuto”); il quale così rilanciava verso il Cortese: “Apresso me maraviglio che v. ex.a non scriva mai de qua de cossa alcuna o pensieri de venetiani maxime nel facto de questi turchi et che fantasia sia la loro, che pure forse non seria male se qualche cossa scrivesse, et maxime havendo là el suo oratore el quale pure qualche cossa debe advisare” (Sad. 80.09.23 215). Talvolta si nota una certa vanità, come quando il Sadoleto ricorda gli apprezzamenti del sovrano per le sue parole. Questo è quello che si può trarre, dal contenuto delle lettere degli oratori, sul loro carattere; per cercare di sapere di più su questi aspetti ci sarebbe anche la grafia, ma, come si dice, a ciascuno il suo; e nei confronti della medesima, chi scrive, giunto a metà del guado secolare, si limita ad esprimere tutta la propria invidia, perché quei caratteri minuti sembrano vergati da persone al di sotto degli ‘-anta’; la gratitudine, invece, va al Montecatino per la nitidezza della sua scrittura, distinguibile anche quando il “negro semen” risalta appena sui fogli devastati da ampie


4

1.3

Le fonti più antiche e attendibili

Due diari curiali, uno falso e una cronaca leccese

di benedizione della flotta pontificia mandata in soccorso delle forze aragonesi. In merito alla caduta della città e alla sorte dei suoi abitanti, riporta Se non perfettamente sincroni con il periodo della anche informazioni che, per certi aspetti, trovano guerra, sicuramente basati su note appuntate du- riscontro negli scritti dell’Albino (v. 4) e del Galateo rante la stessa si possono considerare alcuni diari. (v. 5). Non è questa la sede per investigare se ci sia Precisiamo subito che, tra i salentini, gli omonimi una relazione di dipendenza, e in quale senso, tra attribuiti da G.B. Tafuri ad un fantomatico sindaco queste fonti, ma sarebbe interessante farlo. gallipolino Lucio Cardami12 , a partire dai sospetti La Cronica gestorum in partibus Lombardie et reespressi da L.G. De Simone fino alle prove addotte liquis Italie (o Diarium Parmense, secondo il titolo da D. Moro, sono ormai considerati un falso settecenassegnato dal Muratori) è una fonte coeva sui fatti tesco13 . Diversamente, sono considerate autentiche di Otranto, inspiegabilmente trascurata dai più e le mal trascritte Cronache del gentiluomo leccese fugacemente citata dai pochi che ne hanno avuto Antonello Coniger; ma non ebbero miglior fortuna cognizione, non fuorviati dalla sua apparente imdei Diarii suddetti quando il Tafuri tentò di farle pertinenza geografica: come il Diarium Romanum inserire nella raccolta sugli storici italiani del Mudel Volterrano, copre circa un lustro proprio a caratori14 . Questi, invece, pubblicò in RIS, tra le vallo del 1480, registrando notizie che pervenivano cronache che riportano notizie su questa guerra, il all’arcivescovo di Parma sulla Lombardia15 e sul Diarium Romanum di fra’ Jacopo Gherardi, detto resto d’Italia, come indicato nel titolo originale. Ma il Volterrano, relativo agli ultimi cinque anni di vita non mancano ragguagli su Rodi, prima assediata di papa Sisto IV (1479-1484). Questo diario – che dai turchi e poi colpita da un terremoto e dal conseriferisce soprattutto avvenimenti in relazione con la guente maremoto. Le stime assolutamente congrue sede apostolica – contiene in forma sintetica anche sulle forze turche inviate nel Salento depongono a notizie relative alle fasi salienti di questa guerra; favore dell’attendibilità di questa cronaca, che, sulin genere è citato soltanto per la datazione della la guerra turca contro la Terra d’Otranto, riporta liberazione di Otranto, che si ottiene da una lettera passim anche altre notizie, tra cui le previsioni un inviata da re Ferdinando al papa, o per la cerimonia po’ esagerate – ma dettate dal terrore che si era diffuso nel campo cristiano – di altre e più imponenti macchie. Per quanto riguarda la numerazione archivistica, si tenga spedizioni. presente che le lettere scritte dal Sadoleto fino al 17 ottobre 1480 sono contenute in una prima busta intitolata “Ambasciatori in Napoli”; da un’altra lettera del 17 ottobre ad una del 2 1.4 Sulla scia di G. Cesare, un maggio 1481 sono in una seconda busta, e quelle scritte dal 4 maggio in poi stanno nella terza. Nei riferimenti archivistici D.B.H. vero e uno qui curati, pertanto, può essere considerato un inutile orpello contrabbandato per tale la ripetizione del numero di busta in ognuna delle centinaia di citazioni tratte dalla corrispondenza di questo oratore, cui Giovanni Albino Lucano – al seguito di Alfonso fortunatamente non pesava la penna. Peraltro, capita anche di dover assemblare qualche lettera partendo da fogli cata- d’Aragona nella spedizione in Toscana, e ivi rimasto logati in buste diverse, e con indicazioni del tipo “manca la quando il duca di Calabria partì per la Puglia – nel fine” e “manca il principio”. Le lettere del Montecatino sono ripartite nelle buste in base agli anni in cui sono state scrit- De bello Hydruntino riporta notizie, che apprende te, e così pure quelle del Bendidio; per quelle del Valentino il a Siena, in una cronaca che narra sinteticamente cambio di busta è nella seconda metà dell’aprile 1481; varia 15 La città era soggetta ai duchi di Milano, e, notoriamente, ed eventuale risulta la numerazione delle lettere da Venezia e Firenze. Di vario tipo, infatti, non sempre presenti e non sem- il nome Lombardia indicava una regione più vasta dell’attuale. pre univoche e utili a rinvenire il documento (come quando si “Sconosciuto è il nome del cronista. L’ipotesi del Muratori, trovano numerate le pagine di ogni lettera a partire da uno), che si debba attribuire al Caviceo, non ha avuto sostenitori sono le numerazioni di alcune carte (in particolare appare e veramente manca di prove attendibili. La forma della strana la catalogazione archivistica per le lettere del Bendidio narrazione semplice, dimessa, priva di qualsiasi ricercatezza e del Cortese, v. 23), per cui, come sempre, il primo o unico o pretesa letteraria, i frequenti idiotismi peculiari del dialetto, e comunque più proficuo elemento di ricerca rimane la data. [. . .] vere e proprie sconcordanze, [. . .] fanno credere che non 12 In Opere edite dai Tafuri II 539-581. ci troviamo di fronte all’opera di un dotto umanista, ma di 13 Aar 72, 253, 257; Moro, Cardami. un diligente raccoglitore di notizie patrie, curante solo della 14 Cfr. Moro, Coniger. sincerità del racconto, non dei lenocinii della forma” (DP I).


1.5 Altre fonti italiane

5

quanto avvenuto nei tredici mesi di guerra, ispiIl medico e umanista Antonio de Ferrariis o Galarandosi a modelli classici. Secondo uno studioso teo, invece, con tutta evidenza, non scrisse un’opera dell’Umanesimo, il D.B.H. si caratterizzerebbe per: con lo stesso titolo di quella dell’Albino, mentre nel De situ Iapygiae si sofferma sui primi drammatici l’esaltazione encomiastica di Alfonso [. . .] dovuta al- eventi di quell’invasione. Inserendo in un’opera prel’opera di Giovanni Albino, precettore del Duca di valentemente geografica qualche pagina dedicata a Calabria, uomo di chiesa e di corte ed elegante umani- un evento bellico dei suoi tempi e della sua terra, sta. Il De bello Hydruntino [. . .] rivela subito di essere con uno stile nella sostanza più classico di quello stato scritto in funzione della riconquista di Otranto dell’Albino, riesce a risolvere la brevità dello spapiù che della sua presa da parte dei Turchi, per la zio prescelto in un vantaggio, consegnandoci una concisa narrazione della prima parte della vicenda, cronaca solenne nella estrema sinteticità di alcune seguita invece da una meticolosa descrizione della 16 espressioni che sfiorano l’ermetismo. gesta di Alfonso. Otranto è una tragica occasione del successo di Alfonso. Anche le ragioni politiche, che son tipiche della storiografia umanistica, rimangono confinate in un indiretto accenno a quel che si raccontava circa la responsabilità di Venezia e di Firenze, quantunque alcune valutazioni trapelino nel discorso volutamente asciutto, quando si dice che giunse anche l’aiuto del Pontefice, il quale, reprimendo l’esecrabile odio per il re di Napoli, non avrebbe voluto dare a vedere di esser nemico della libertà italiana.17

L’editio princeps della paludata opera dell’Albino fu curata dal nipote Ottavio, che garantiva per la sua fedeltà all’originale. Non esente da qualche errore tipografico, fu emendata dall’edizione settecentesca di G. Gravier (1769), che però ne introdusse altri. Un’altra edizione è stata curata in occasione del V centenario della presa di Otranto: “È stato inoltre necessario aggiornare la punteggiatura e correggerla opportunamente, normalizzare l’uso di ii (per ij) e quello della maiuscola”18 . L’edizione del D.B.H. curata da I. Nuovo – attenta a confrontare la princeps con la settecentesca ed a scovare gli errori ortografici di entrambe – presenta qualche lacuna nella punteggiatura introdotta. Generalmente, e a meno di un’indicazione specifica, sia nelle citazioni dall’Albino sia in quelle dal Galateo (v. infra), si riportano fedelmente punteggiatura e ortografia della editio princeps (salvo qualche ammodernamento grafico, come la distinzione di v da u).

Ed è allora molto arduo riconoscere un simile stile asciutto e denso in quell’opera prolissa, servile e barocca19 che l’abate otrantino Gianmichele Marziano, qualche anno dopo la ricorrenza del primo centenario di quella guerra, presentò come una traduzione, nel volgare italiano del tempo, di un’opera galateana sulla guerra otrantina che probabilmente non fu mai scritta e alla quale non esiste alcun riferimento.

1.5

Altre fonti italiane

Tra le fonti salentine, si esprime su quella guerra anche il leccese I.A. Ferrari, che scrive circa un secolo dopo i fatti, senza apportare però novità di rilievo, impegnato com’è nella sua missione di difendere, dalle insidie di Capua e Cosenza, la precedenza della sua città nei parlamenti a Napoli. In un ambito napoletano-otrantino si collocano le “due preziose fonti”, rivalutate da D. Moro e derivanti da una perduta relazione di G.A. d’Acello, collaboratore di Alfonso d’Aragona. La prima copia, contenente solo i primi nove paragrafi e conservata presso la Biblioteca Casanatense di Roma, appare sicuramente interessante e, presumibilmente, fedele all’archetipo; essa stessa è, per sineddoche, indicata come Relazione d’Acello. La seconda, che sembrerebbe meno fedele ed interessante, manifesta l’avvenuto inserimento di aggiunte di ambito locale in un tempo che può spaziare dal 1494 fino, almeno, agli anni ’40 del secolo successivo20 .

19 Si tratta dei Successi dell’armata turchesca nella città d’Otranto nell’anno MCCCCLXXX; questa cronaca, stamperò, dall’uso frequente dell’enclitica que, non valutando, pata a Copertino nel 1583 da Giovanni Bernardino Desa, è forse, gli esiti cacofonici e ai limiti della pronunciabilità in stata recentemente ripubblicata a cura di D. Defilippis (v. forme passive come “trucidarenturque”, “costernunturque” Gli umanisti). 20 Moro propendeva a datare il cosiddetto Rifacimento et similia. 17 Tateo 167. otrantino della Relazione d’Acello al breve periodo di regno di 18 Gli umanisti 100. Alfonso II (febbraio 1494-gennaio 1495), ivi chiamato “re” e 16 Tateo 165. L’eleganza dello stile dell’Albino non rifugge,


6

Le fonti più antiche e attendibili

Alcuni umanisti italiani hanno fatto riferimento nelle loro opere agli eventi otrantini in modo variamente esteso e obiettivo, risentendo delle ragioni e degli interessi che si nutrivano nelle corti e negli stati in cui operavano. Oltre agli accenni più succinti, come quelli di Machiavelli nelle Istorie fiorentine e del Sabellico nelle Enneades, può essere il caso di ricordare quelli presenti in un’opera di ambiente pontificio:

espressione coniata nella più recente storia italica per qualificare l’atteggiamento di chi non prende parte ad una guerra pur non essendo imparziale tra i contendenti. Naturalmente non ho potuto che accogliere convintamente il prezioso suggerimento di cercare e tener presenti le fonti adriatiche, come ideale continuazione della mia tragedia storica “tramandata oralmente sull’altra sponda” e in sintonia con la “nuova luce” che mi riprometto di proiettare su questa guerra dei turchi contro Otranto e la sua provincia. Nel considerare questa prospettiva adriatica, avevo già attinto alle fonti venete (Malipiero, Sanudo e Navagero), che, a dire il vero, sembrano dipendere da una comune, forse la più antica tra esse (Sanudo o il generale Malipiero, che si intratteneva nei paraggi); lo stesso vale, naturalmente, per chi, come il Giustiniani, scrive ancora dopo. Gli umori di Venezia traspaiono, invece, in maniera immediata e non filtrata da patine temporali, dai dispacci dell’oratore estense ivi accreditato, e mostrano, come vedremo, la passionalità del patriziato ivi al potere. Altre fonti sostanzialmente venete si rinvengono in rendiconti dai possedimenti ellenici della Serenissima (“Napoli di Romania”22 ) e dalla

Sigismondo dei Conti, già segretario di Sisto IV al tempo della vicenda otrantina, e autore di una Storia dei suoi tempi che va dal 1475 al 1510a [. . .] interveniva a dimostrare il senso di responsabilità del Papa, venuto in soccorso di Ferdinando per difendere la cristianità. Per rivalutare l’opera di Sisto IV egli s’ingegnava anche nel respingere la minimizzazione del pericolo corso dal Regno, minimizzazione che gli sembrava una trovata dei Veneziani, la quale – secondo lui – sarebbe costata loro poi l’accusa di aver suggerito ai Turchi l’invasioneb . [. . .] come nel caso di Rodi, l’accenno all’intervento divino, rappresentato in questo caso dalla morte di Maometto, è in rapporto col riconoscimento del valore e dello spirito militare del nemico (fu necessario l’intervento divino, data la forza dei Turchi), non con l’intenzione di abbassare il 22 Città cospicua, non identificabile in una delle varie Neamerito di Alfonso, al quale invece viene attribuita la polis greche, ma nell’odierna Nauplio presso Argo, un dosua parte.21

minio veneto incuneato tra i domini turchi del Peloponneso nord-orientale, già appartenuto ai Brienne duchi d’Atene; la vicinanza con l’antica, e decaduta, città micenea si deduce da 1.6 La guerra vista dalle altre “lettere confermatorie dela division facta de Argos e Napoli” sponde dell’Adriatico (Sathas VI, 272, Cancellaria secreta doc. 185. “1480, die XXIX Decembris”, lettera indirizzata a “Ser Nicolao Chauco Come utilmente suggeritomi da G. Vallone, per oratori nostro in Constantinopoli”) e da questo interessante quanto riguarda le fonti occorre “completare il qua- passo in una lettera proveniente dalla stessa “Napoli di Rodro adriatico” cercando di scoprire come si guardava mania”: “. . . in questo interim el Bassa flamburar prometeva de non dar alcuna molestia a i detti castelli [. . .]. Circha la a Otranto, e agli eventi bellici che vi si svolgevano, division de la campagna, allegando nui et domandando che da parte di potenze che sarebbe corretto defini- de questi partidi dovesse eleger l’uno, qual i pareria, o che re non belligeranti più che neutrali, secondo una ne desse et consegnasse i nostri veri et antiqui confini, come se offerivamo provar et constar largamente per scripture non duca qual era nel 1480-81 (cfr. Moro, Due preziose fonti autentiche, et testimoni idonei et fededigni, homeni antiqui 139); ma un re generalmente è chiamato così dal momento in et intelligenti, o veramente che loro examinasse la qualità et cui comincia a regnare in avanti, anche dopo l’abdicazione condiction de Napoli dove sono aneme XX mila in suso, et (nella fattispecie) e la morte (intervenuta poco dopo nel caso da l’altra parte la qualità et condiction de Argos dove sono specifico). Del resto, sembra che il Rifacimento dipenda mancho de famiglie 200, et examinata tutta la campagna che anche dalla Informatione raccolta nel processo diocesano per è fra questi do luogi, ne desse la portion spettante a questo la beatificazione degli 800 svoltosi nel 1539 (cfr. Vallone, luogo da Napoli segondo la forma del capitolo predicto. “Loro risposeno che ne voleva dar quanto bastasse a lavorar Arcivescovo 288 nt. 41). 21 Tateo 172-173. et viver per le fameglie da Napoli, tamen, e cussi interpretava loro la portion contignuda nel capitolo, et che i Albanesi che a Sigismondo de’ Conti da Foligno, Le Storie dei suoi abita a Napoli non die esser messi a questo conto, per esser tempi dal 1475 al 1510. Ora per la prima volta pubblicate romeni del suo paese, forestieri da Napoli” (Nauplio 143). nel testo latino con versione italiana a fronte, Firenze 1883, Ho ritenuto, pertanto, di usare questa sigla nel riferirmi ai voll. I e II (la parte relativa ai fatti di Otranto è riportata “Dispacci da Napoli di Romania (1479-83)” (in Sathas VI, nell’Appendice III). 117-213), scritti da Bartolomeo Mini, provveditore e capitano b Ibidem, vol. I, pp. 109-10. della città.


1.8 Una buona cronaca locale cronaca di Stefano Magno, gli uni e l’altra pubblicati dal Sathas; completano il quadro adriatico alcune notizie riportate, ai primi del Seicento, dal gentiluomo raguseo Giacomo Luccari nel suo ossimorico Copioso ristretto de gli Annali di Rausa; queste ultime note, nella loro stringatezza, danno l’idea di un binocolo che ruota di molti gradi, mostrandosi particolarmente sensibile nei confronti degli alleati e congiunti ungheresi del re di Napoli. Di altre storie non propriamente coeve, si potrebbe con un po’ di impegno cercare, e con una buona approssimazione individuare, la fonte diretta: nelle Rerum ungaricarum decades del Bonfini, ad esempio, sembra di sentire l’eco del Volterrano, di per sé già un po’ di maniera nel descrivere la strage nella cattedrale. A noi in effetti, nella loro lettura, interessa soprattutto scoprire con quale animo e con quale partecipazione, in quelle contrade, fossero state apprese le notizie sulla vicenda otrantina.

1.7

Dalla guglia del minareto

Un discorso sulle fonti non può considerarsi obiettivo se limitato a quelle di origine italica o genericamente cristiana, che, in linea teorica, potrebbero essere in varia misura compassionevoli nei confronti della parte lesa, e prevenute verso l’imputato invasore. A un convegno tenutosi in Otranto nel 1980 parteciparono anche storici turchi e vedremo, a suo tempo, la rilevanza e la obiettività dei loro apporti; come pure apprezzeremo per quello che valgono, tra espressioni poetiche e cognizioni surreali, le fonti turche quasi coeve, riportate da A. Bausani, M. Corti, A. Gallotta ed E. Rossi. Nel 1931 E. Rossi pubblicava le Notizie degli storici turchi sull’occupazione di Otranto nel 1480-81 inserendo una considerazione finale in linea con il clima politico del tempo23 ; da tenere assolutamente presente, però, questa osservazione: I Turchi possiedono una loro storiografia; ma è da osservare che i loro antichi storici o cronisti mancano di esattezza e solo possono riuscire utili se consultati insieme con le fonti occidentali.24 23 “L’Italia è sempre stata esposta a correnti d’invasione tanto a nord e nord-ovest quanto ad est e a sud, e la sicurezza non le fu garantita se non quando fu unita, s’affermò potentemente sui baluardi e sui valichi alpini e pose salde basi sulla prospiciente costa adriatica e sulle spiagge africane” (Rossi 191). 24 Rossi 187.

7 Tali fonti avrebbero cioè un valore praticamente nullo, senza peraltro poter essere equiparate alla funzione dello zero in matematica, che almeno possiede la proprietà di moltiplicare per dieci (o, meglio, per la base del sistema adottato) la cifra che lo precede. Successivamente, la Corti ha pubblicato alcuni brani tratti dalla cronaca di Ibn Kemāl, vissuto tra il XV ed il XVI secolo, le Storie della Casa di Osman. Vi si trova un buon campionario di figure retoriche con prevalenza d’iperboli, similitudini e metafore; molto meno frequenti sono gli elementi precisi utili allo storico. Sarebbe stato opportuno inserire al punto giusto le notizie fornite da fonti non italiane, e in particolare da quelle turche; ma quelle, in gran parte, e le ultime, in special modo, sembrano riferirsi a non-eventi, cioè a qualcosa che accade sempre al di fuori del tempo, e spesso in uno spazio indefinito, qualcosa di meno concreto di un’epopea mitologica. Per tale motivo, quelle, tra queste notizie, che non si inquadrano in coordinate spazio-temporali certe, è sembrato opportuno raggrupparle in fondo alla vicenda otrantina, non per evitare con queste note sintetiche di svelare anticipatamente il finale, quanto perché, appunto, le si può raffrontare con tutto ciò che è stato già tratto ed esposto dalle altre, quelle concrete e particolareggiate.

1.8

Una buona cronaca locale

“Tra le fonti documentarie su quella guerra, last but not least – forse tra le ultime in ordine cronologico, ma al massimo livello di importanza – un discorso a sé merita appunto l’opera (e la sua controversa datazione) di un cronista otrantino, Gianmichele Lagetto”25 , variamente interpretato e proposto anche nel nome. Per un’ampia disamina delle problematiche connesse con questo cronista e con la sua Historia (giustamente ritenuta preziosa e, quindi, esibita, trascritta, tirata per la. . . data a scorrere lungo tutto il XVI secolo) si rimanda ad un mio studio specifico nel quale si propone la trascrizione di una copia di quella cronaca, che – oltre ad essere più vicina nel tempo ai fatti narrati che all’epoca attuale (elemento non comune né trascurabile) – appare soprattutto meno mediata di altre edite in precedenza. E questo – in attesa di una auspicabile edizione critica della quale si pongono 25 L55 48.


8

Le fonti più antiche e attendibili

le premesse in quello studio, iniziando dai nomi pro- manipolatori di riferimenti cronologici successivi al pri di luoghi e di personaggi storici o mitologici – “fatidico 1539”27 . costituisce un passo avanti verso l’introvabile origiIn questa sede basti dire che la Historia lagettianale e la sua, cercata, versione locale ed interna agli na, per il suo equilibrio e per la sua sobrietà, che eventi otrantini. Una testimonianza che – se non manifesta una impostazione meno barocca dei Sucsi può, come è stato fatto disinvoltamente, definire cessi del Marziano (e questo aspetto stilistico non coeva – sembrerebbe comunque mediata da un solo dovrebbe essere trascurato nel datarla), è risultata passaggio generazionale. Di questo si può scorgere sempre credibile28 ; conseguentemente ha subito atuna importante riprova in quelle notizie raccolte da tenzioni non sempre rispettose della sua integrità, fra’ Leandro Alberti, nel 1525, dalla bocca di un che hanno rischiato di alterarne i contenuti oltre “Gentilhuomo” otrantino (v. App. II, p. 499); questi, che di renderne problematica la datazione. Da qui se non è fisicamente il famoso padre del “magnifico l’accennata esigenza di un’edizione critica. Gianmichele Lagetto”, tramanda una storia che, per i brani riportati dall’Alberti, si può a pieno titolo inscrivere tra le varie edizioni a stampa della cronaca 1.9 Nota sulla trascrizione dei testi lagettiana, per la corrispondenza quasi testuale con Nel proporre il contenuto dei documenti manoesse (per lo meno entro i margini delle reciproche scritti ci si è prefissati l’obiettivo di conciliare due discordanze tra queste ultime). Per quanto riguarda esigenze fondamentali ma talvolta contrastanti, vale la datazione – per tutta una serie di motivi illustrati in quello studio – ero giunto alla conclusione che la a dire la fedeltà agli originali e una buona leggiprimigenia stesura della cronaca lagettiana si debba dice IV (v. 505) sembra non curarsi il contemporaneo Houporre verso la metà del ’500 o poco oltre, indivi- ben, che ha bollato come un “plagio” la cronaca locale, e duando gli estremi del periodo cercato negli anni come “pseudo-Lagetto” il suo autore, attribuendo il carattere 1544 e 1571; sembra di poter cogliere questi estremi di originalità ad una pasticciata versione castigliana, scritta in due spie temporali indirette26 che, essendo meno e stampata mezzo secolo dopo (1631) dal portoghese F. de Araujo, cappellano dell’allora vescovo di Otranto, Diego Lóevidenti, sono sfuggite alla caccia di quegli zelanti pez de Andrade. Eppure, è proprio la versione castigliana (a partire dalla seconda pagina) a mostrare di essere una traduzione della cronaca cui, senza troppi infingimenti, lo stesso F. Marciano, la distruzione della cittadella rocana, e il Lagetto, de Araujo dichiara di attingere (leyendo historias). In quannel riferirsi a Roca, la qualifica come «Castello alla marina, to alla vaga forma plurale, non sta a noi precisare e scoprire hoggi disfatto» (c. 20v di questo ms.); nel limite superiore quali sarebbero le altre storie lette dal traduttore, oltre a (1571) i Veneziani perdevano Cipro, mentre il Lagetto scrive quella del Lagetto (escluderei quella del Marziano, che è strutche quell’isola apparteneva a Venezia nel 1480 e «si conserva» turalmente e stilisticamente diversa); questo, come direbbe sotto il suo dominio: «quale da essi Venettiani si conserva, un portoghese attuale, predecessore di un altro Araujo, “non ed era posseduto» (c. 16r)” (L55 75). Recenti risultanze è un problema mio”, semmai del primo e del suo mentore. documentarie (dall’Archivio spagnolo di Simancas, Estado Ma queste evidenze, di cui pare proprio non si voglia teGeneral, L. 1044-56, f. 56 e s. in De Pascalis 312 e 314 ner conto, erano già emerse da tempo: “Un piccolo saggio nt. 38), sull’esistenza di un presidio militare ancora qualche di cosa poteva scaturire da errori di ricopiatura ed imperizie anno dopo il limite inferiore suddetto (nel 1552), lascerebbero aritmetiche si ha in un passo tratto da F. de Aravjo, Histosupporre un errore sulla cifra delle decine nella data indicata ria delos Martires dela Ciudad de Otrento (Napoles 1631) e dal Marciano; questo elemento indurrebbe a considerare non riportato in C. 33 (Aravjo) dove gli anni trascorsi dalla reanecessariamente posteriori o dovute a copisti successivi – ma lizzazione del mosaico sono aggiornati a «poco mas de 474»: autentiche – le considerazioni sulla felice morte di Carlo a parte l’indeterminazione del «poco più di», sommando 474 V (1558) presenti in diversi ms. lagettiani. In ogni caso, a 1165 si ottiene un anno 1639 (!), successivo alla ed. del l’autore della cronaca lagettiana sicuramente non mostra di testo spagnolo” (L55 54 nt. 17). 27 Cfr. Vallone, Arcivescovo 288 nt. 41. conoscere le disavventure spagnole culminate con il disastro 28 Talvolta, però, la credibilità di una cronaca non basta a della Invencible Armada (1588) che, altrimenti, minerebbero alle fondamenta tutte le riflessioni sul castigo divino, svolte determinarne la fortuna editoriale, che sembra arridere invece a partire dal famoso “Hor questa riuscita hebbe l’empia. . .” ad opere meno pregevoli ed attendibili come appunto quella (L55 89-90): ignorare eventi ispanici della seconda meta del Marziano, “un oscuro abate otrantino che – per lo stile e il del Cinquecento (anche quelli positivi, come l’acquisizione modo di raccontare prolisso e pasticciato, e anche per l’epoca da parte di Filippo II della corona portoghese nel 1581) in cui scrive – sarebbe opportuno definire barocco, piuttosto sarebbe curioso, se quest’opera fosse stata scritta dopo il che umanista”. Su un tale paradosso o iniquità riguardante 1588. Sarebbe ancora più strano se un’opera del genere fosse proprio i due cronisti locali di questa guerra, rinvio ad un stata scritta originariamente in spagnolo, e da un portoghese. mio precedente intervento da cui è tratta la definizione di Di questo e di altri dettagli delle dimensioni della Appen- sopra (L55 54-55 nt. 18). 26 “Nel limite inferiore indicato (1544) avviene, secondo il


1.9 Nota sulla trascrizione dei testi

9

bilità, ritenendo parimenti importanti le curiosità l’apostrofo quando richiesto. Si sono conservate le scientifiche delle diverse figure di studiosi e di lettori preposizioni articolate del tempo (non solo “pel”, che possono accostarsi ad essi. Da lettore ritengo “fral”, “tral”, ma anche “contral” e “circal”), e analoche ogni normalizzazione, per quanto sobria, con- gamente quelle che si possono chiamare congiunzioni ferisca comunque una qualche arbitrarietà al testo articolate, come “chel” e “sel”. È sembrato pure optrascritto, potendosi travisare o non comprendere portuno conservare il legame, quando presente, tra pienamente la valenza dell’uso delle minuscole e ma- articolo e pronome relativo (“laquale”) come si riiuscole da parte dell’autore del ms. oppure il senso scontra nelle edizioni a stampa ancora nel secolo che avrebbe voluto, l’autore, dare alle frasi adot- successivo. Viceversa una scrittura del tipo “ad ciò tando quella particolare punteggiatura. Partendo, che”, per la forma della preposizione ad e non a, doquindi, dal presupposto di base che la grafia sia cumenta una scrittura conservativa della morfologia stata correttamente interpretata, come trascritto- latina. re ritengo primario l’obiettivo di fornire un testo Sono state indicate tra parentesi acute le integrache riproduca il documento così come si presenta. zioni congetturate per erosione di margini, macchie, Ci sarebbero almeno due buone ragioni per opera- o inchiostro sbiadito, mentre le abbreviature rapre così: la prima, da scongiurare come eventualità presentate con simboli grafici diversi dal punto, nei ma non da escludere, è che il documento originale casi più comuni e diffusi (come le linee orizzontapuò andare perduto in tutto o in parte o diventare li e incurvate o gli apostrofi interni, indicanti, ad illeggibile, e purtroppo è avvenuto e continua ad esempio, e, m, n, r, ue dopo la q) sono state sciolte accadere; la seconda ragione è da ricercare nella senza altre segnalazioni, allo scopo di dare linearità quasi impossibilità di ricostruire il testo originale a alla stampa. partire dalla trascrizione normalizzata, eliminando Qualche caso di ritocco è stato segnalato in nota i non trascurabili elementi di arbitrarietà introdot- facendo precedere da ex il termine nella forma grafiti con lo scioglimento delle abbreviature o con la ca originaria (per quello che si scorge). Nelle note è normalizzazione della punteggiatura. stato indicato in corsivo il significato di termini oggi D’altra parte, qui si stanno trascrivendo e inter- desueti o di accezione variata. I dubbi interpretativi pretando documenti che possono far luce su eventi sono segnalati con un numero di punti interrogativi storici di cui è rimasta traccia nella corrispondenza presumibilmente pari alle lettere indecifrabili. diplomatica del tempo: una riproduzione fotografica Quando di facile intelligibilità, si sono conservate dei ms. – meritoria da un punto di vista paleografico le abbreviature rappresentate con punti (e talvolta – o anche la continua indicazione in parentesi delle con la parte finale della parola sopraelevata a mo’ integrazioni alle frequentissime abbreviature (in una di esponente) che snelliscono il testo anche per il letscrittura quasi stenografica) renderebbe faticosa la tore moderno, abituato a scrivere in modo similare: lettura a chi sia mosso da interessi storici o di altra “ill.mo S. duca”, “v. ex.a ” con le sue varianti, “la m.tà natura. Da tener presente, inoltre, che molte di del S. Re”. Il frequente “l.ra” è stato sciolto con “litqueste abbreviature (“p(er)”, “p(re)” etc.) non pre- tera” o “lettera” secondo il modo in cui l’autore del sentano alcun dubbio interpretativo e, talvolta, sono documento scriveva qualche volta il termine per estescontate e banali quasi quanto quelle in uso nei mes- so; analogamente per altre abbreviature più o meno saggi telefonici. Cercando, per tutte queste ragioni, frequenti come “p.to ” per “predicto” o “prefato”, di mantenere una linea il più possibile mediana ed oppure “cap.o ” per “capitano” o “capitaneo” (forma equilibrata all’interno di questi due margini, si sono oggi cristallizzata in un cognome, fenomeno che può seguiti i criteri di seguito elencati. essere interessante da un punto di vista geolinguiSi sono introdotti gli accenti finali sulle parole stico); quando non si è trovato in un determinato tronche, quasi sempre assenti in questi ms. per cui autore una occorrenza per esteso di quel termine, praticamente non si pone il problema di eliminare si è preferito evitare di sciogliere arbitrariamente quelli oggi non più in uso (come in “à” con valore l’abbreviatura. Tra parentesi tonde si sono inserite di preposizione, che figura in ms. posteriori e anche integrazioni abbastanza probabili o comunque utili in ed. a stampa). per il senso (come per distinguere “S(ignor)” da Si sono separati articoli e preposizioni da sostan- “S(ignoria)” e simili). tivi, aggettivi, pronomi e verbi, e si è introdotto Anche per la punteggiatura si è seguito il crite-


10

Le fonti più antiche e attendibili

rio guida di generale fedeltà all’originale, fedeltà tanti personaggi (es. “militat” per il re di Napoli, temperata da un intervento sobrio consistente nel “castigat” per il sultano turco etc.). Questi nomi, ricondurre, in base al contesto, la varietà dei simboli che sembrano emblematici, talvolta sono scritti con utilizzati (tra cui anche / e |) a quelli moderni, e l’alfabeto normale e altre volte con quello alternanell’introdurre segni di interpunzione secondo l’uso tivo (segnalato in nota con la dicitura “in cifra”): attuale solo nei casi in cui quest’intervento appare poteva essere un modo di mascherare ulteriormente indispensabile per suggerire un possibile senso ad il contenuto delle lettere, ritardando, peraltro, l’inuna sequenza ininterrotta di parole che non mo- dividuazione della lingua in cui erano scritte, per la strano di possederlo. Quando emblematico di vari presenza di alcune consonanti (inconsuete in volgare aspetti, si è preferito rispettare l’uso delle maiusco- italiano) in fine di parola. Per il testo in chiaro dei le, e anche delle minuscole, adottato dall’autore del brani si è seguito, quando presente, quello prodotto documento originale. per Ercole d’Este dai suoi “sziffranti”, ma opportuÈ stata trascritta come è la voce del verbo essere namente emendandolo ed integrandolo tramite la rappresentata nei ms. tra barre o tra punti: “/e/”, lettura sinottica, grafema per grafema, dell’originale “.e.”; tra delimitatori spesso si trovano scritti anche in cifra. Nelle decifrature ufficiali si riscontra in i numeri, specialmente se in cifre arabe, mentre per qualche caso l’assenza di elementi fondamentali per indicare le migliaia generalmente si usava apporre la corretta comprensione del testo. una m a esponente o al di sopra del numero seguito Le trascrizioni sono state ricontrollate e permandal punto: “XV.m ” per ‘15 000’. gono pochissimi dubbi interpretativi, in un numero Si sono riportate fedelmente le lettere j e y solo ad una cifra; pertanto, salvo gli errori che possono quando appaiono inequivocabili, ma non quando sempre scaturire dalla lettura di una mole di grafemi si distinguono da i o ii per un semplice svolazzo a sette cifre, le particolarità ortografiche che si incongrafico in fine di parola. trano sono tipiche dell’epoca e autentiche dei singoli I simboli v e u, sono usati generalmente, ma non autori, come nell’uso delle doppie, che in certi casi sempre e non da tutti gli autori, rispettivamente a noi può apparire veramente strano: fatta questa all’inizio e nel corpo della parola, per rappresentare premessa, per vari motivi si è ritenuto opportuno sia la quinta vocale italiana sia la consonante che limitare all’essenziale le relative segnalazioni. la segue nell’alfabeto: per motivi pratici si sono Di situazioni particolari e atipiche, infine, si dà trascritti secondo l’uso moderno. contezza nelle note. Tra parentesi graffe si sono riportati gli inserti La citazione di brani stampati nel ’500 e ’600 nei margini destro e sinistro, presenti soprattutto segue gli stessi criteri conservativi dell’ortografia nelle minute dettate da Ercole d’Este: di questi originaria del testo. testi si è ritenuto opportuno riportare in parentesi Nella citazione di brani da generiche opere a stamquadre, per il loro indubbio interesse, anche le parti pa, le note presenti nel testo originale, quando riscritte in un primo momento e poi barrate per essere tenute di qualche utilità, sono state riproposte nel sostituite dagli inserti o semplicemente cancellate. presente lavoro all’interno di due ulteriori apparati Due linee verticali consecutive indicano il cambio (alfabetici) di note a piè di pagina, riservando l’usuadi pagina nel ms. le sistema numerico alle mie annotazioni, eventualUna linea verticale può indicare, quando utile, il mente anche su questi passi. Un quarto apparato cambio di rigo. (simbolico) di note è invece dedicato ad eventuali Tra i simboli \ e /, e in neretto, è stata riporcommenti alle note citate. tata la trascrizione in chiaro di singole parole o di espressioni o di intere pagine cifrate (vergate con un alfabeto composto da simboli particolari e da nomi in codice, convenuti tra mittente e destinatario): \ brano decifrato /. I nomi in codice sono costituiti da aggettivi latini per indicare le città (“pinguis” per Venezia), e da verbi latini alla terza persona singolare del presente indicativo per i


PARTE PRIMA La spedizione turca



CAPITOLO SECONDO Le premesse politiche §2.1 Nel cosiddetto equilibrio. . ., 13 • §2.2 . . . una guerra vera, 15.

2.1

Nel cosiddetto equilibrio. . .

La spedizione ottomana che alla fine di luglio 1480 si abbatté contro la Terra d’Otranto, sebbene da alcuni paventata, colse sostanzialmente di sorpresa anche le cassandre più inclini al pessimismo, mentre il senno di poi – uti solet direbbe una delle nostre fonti1 – ne infoltì le schiere; la stessa natura di quella iniziativa bellica ed i suoi elementi di novità l’avevano fatta giudicare improbabile soprattutto perché inaudita, perché l’Italia aveva perduto la memoria di un simile vulnus e forse si riteneva, appunto, invulnerabile per una serie di motivi, tra i quali sicuramente la lunga desuetudine alle invasioni e la presenza del papa e di stati solidi sebbene frammentati e discordi. In questo ambito sicuramente si inserì come una spada nell’elsa2 l’ambizione personale del pascià di Valona più che quella di Maometto II; è vero che questi non aveva avuto remore a conquistare la capitale del millenario impero bizantino incorporandola nei suoi domini che ormai la accerchiavano, dopo che la infausta quarta crociata era deflagrata nel bastione cristiano d’oriente. Forse il sultano, che ormai si 1 L’espressione, che si può tradurre ‘come spesso accade’, si trova in Albino, DBH 56. 2 La similitudine non è mia; vedremo più avanti qualcosa di simile in una lettera del Sadoleto, che usa un sorprendente sinonimo per il secondo termine.

atteggiava ad erede dei basilei, intendeva consolidare le sue conquiste nella Balcania e non mirava nell’immediato a minacciare o spaventare l’altra Roma; probabilmente si lasciò prendere la mano da un predone che gli vantava la facilità dell’impresa per la favorevole situazione politica italiana del tempo. Nei libri di storia ufficiali si fa risalire al 1494, con la calata del re francese Carlo VIII, l’ingerenza dei sovrani stranieri nelle questioni italiane. Ma, anche se a scuola non è insegnato, pochi anni prima era successo qualcosa di peggio3 . Senza partire molto 3 “Il ridimensionamento della vicenda di Otranto nella storiografia umanistica deriva solo in parte dalla mancanza d’informazione; un ruolo importante giocò la scarsa simpatia verso il re di Napoli, ma anche lo sforzo di equilibrare e soppesare l’incidenza dei fatti in una narrazione storica che voleva essere fusa e organica: diciamo che manca la lente d’ingrandimento di cui si servì la storiografia locale. Fatto sta che Andrea Navagero, che seguì al Sabellico come storico ufficiale della repubblica veneta, pur dilungandosi sulle vicende collaterali e le implicazioni politiche dello sbarco turco, della presa di Otranto dice soltanto che Achmet «prese per forza quella città e con ardue scorrerie, incendi e prede mise in terrore tutta quell’isola» a . Eppure nelle occasioni precedenti in cui aveva parlato degli scontri turchi nei territori veneti si era soffermato sulla ferocia degli assalitori, anzi a proposito del precedente assedio di Scutari aveva largamente illustrato le fasi dell’espugnazione, l’inganno del Bassà, l’impeto a A. Navagero, Storia veneziana, in RR.II.SS., XXIII, coll. 1165 E (il passo relativo ai fatti di Otranto è riprodotto nell’Appendice III).


14 da lontano, basti ricordare che – nel corso degli interminabili contrasti tra gli stati italiani, e nella mutevolezza delle alleanze – negli anni ’70 di quel secolo si guastarono i rapporti tra il papa Sisto IV e la signoria medicea di Firenze, perché Lorenzo, banchiere del papa, non voleva anticipargli i denari per l’acquisto di Imola, forse per non trovarsi accerchiato. Il papa (Francesco della Rovere) riuscì comunque nel suo intento grazie alla famiglia dei Pazzi, banchieri rivali dei Medici, e così Imola, che in senso lato apparteneva pure allo Stato della Chiesa, pervenne al nipote Girolamo Riario4 tramite il matrimonio con Caterina Sforza. In questo clima si arrivò, nel 1478, alla congiura dei Pazzi, con l’uccisione di Giuliano de’ Medici; la giustizia sommaria da parte del fratello Lorenzo, che era sfuggito a dei Giannizzeri, la strenua difesa dei cittadini, la collera del nemico; a Scutari c’era stato, secondo Navagero, anche un episodio finale col taglio spettacolare delle teste, «sopra un monte», proprio come si racconterà poi di Otrantob ” (Tateo 171). Molto accurato anche geograficamente questo storico veneziano nel definire “isola” il Salento o la Puglia. “Ma al Navagero interessava giustificare Venezia per avere alla fine accettato la pace coi Turchi, e interessava far ricadere la colpa sui principi cristiani, che ella avrebbe più volte richiamato all’unione, e soprattutto sul re di Napoli e sul papa, e non si peritava di riconoscere l’istigazione all’impresa turca data da Venezia, perché era stata lasciata sola e messa nella necessità di venire a patti, con suo grave danno, col nemico d’Orientec . Non poteva, lo storico, insistere in quella occasione sull’empità del turco, anche se ne avesse avuta notizia. In effetti egli riteneva che il contingente turco non fosse tale da giustificare l’allarme italiano e la richiesta di aiuti da parte di Ferdinando. Anche la fase della riconquista perdeva ogni connotazione, non dico eroica, ma nobilmente bellica: tutta la soluzione è attribuita alla morte di Maometto e alla furbizia di Alfonso di aver fatto conoscere quella notizia, per costringere i Turchi alla resad ; e quando nella conclusione sottolineava l’inganno del duca, il quale incatenò i Turchi, nonostante avesse promesso loro la libertà, non rendeva certo un buon servigio alla buona fama di Alfonsoe ” (Tateo 171172). 4 Il Sismondi lo chiama, passim, sia “neveu” sia “fils”. Le ambizioni, o i capricci, di questo personaggio sembrano all’origine della guerra toscana, per non dire di quella otrantina (per usare la terminologia dell’Albino), nel corso della quale ebbe a fare una proposta sciacallesca, come vedremo. Tenendo conto di ciò, mi sembra di fargli un onore eccessivo nell’accostarlo (come pure mi sembrava appropriato) a Paride, ai cui capricci la leggenda attribuisce la guerra di Troia.

Le premesse politiche stento al pugnale dei congiurati, non si faceva attendere, e non si fermava davanti all’arcivescovo di Pisa (Salviati), che fu strangolato, e ad un altro Riario, cardinale, che fu imprigionato. Il papa, cui pare fosse stata accennata l’intenzione di compiere un colpo di stato ai danni dei Medici, rispose con l’interdetto nei confronti di Firenze e la scomunica per il suo signore. Ne nacque una guerra in cui i senesi, alleati del papa, vistisi a mal partito, chiesero l’aiuto di Ferdinando d’Aragona, re di Napoli; la situazione – come avveniva spesso nelle guerre antiche – tendeva subito a riequilibrarsi con la formazione di un’alleanza tra Firenze, Venezia e Milano. Ma all’epoca, almeno sul piano militare, la parte meridionale dell’Italia poteva competere senza problemi con quella settentrionale, e pertanto, sulla linea di confine tra i due schieramenti, vale a dire in Toscana, si registrava un’avanzata dei senesi e degli aragonesi che occupavano alcuni castelli fiorentini. Il Magnifico per antonomasia5 – dopo aver aizzato invano il partito angioino contro il nemico più potente – tentò di accordarsi direttamente con lui recandosi di persona nella sua tana, cioè a Napoli6 . Lorenzo e Ferdinando, non avendo veri motivi di guerreggiarsi, si trovarono facilmente d’accordo. Egual5 Si tenga presente che in quei tempi era un appellativo usuale nei confronti di chi ricopriva cariche pubbliche senza appartenere, peraltro, alla nobiltà feudale; chiamare così il signore di uno stato equivaleva quasi a qualificarlo come un parvenu. 6 “Adì 7. di Dicembre (1479 ) ci fu Lettere, come Lorenzo de’ Medici partì jeri adì 6. di Firenze con bella compagnia di gente, per andare a Pisa, e di poi vuole essere a Napoli a domandare la Pace” (Allegretti 797). “Adì XVIII de decembro 1479. de sabato ale. 23. hore venne da firenza per mare con doy galee ad merce alo serenissimo Re ferrando lo Magnifico Lorenzo de medici fiorentino” (NG 145). “Laurentius enim Medicusf , cuius deprimendi gratia bellum est ceptum, cum vidisset inferiori loco Florentinorum res esse se totum regie maiestati commisitg , ac sexta die mensis decembris Florentia abiens, Pisas pervenitA . Unde triremi inscensa, quam f cod. nel marg. c. s.: Laurentius Medicus Neapolim navigat g cod. commissit

A Landucci, p. 33: “E a dì 6 dicembre 1479 si partì di Firenze Lorenzo de’ Medici e andò a Napoli dal re”. Alleb Ibidem, col. 1155 D. gretti, col. 797; Cappelli Antonio, Lettere di Lorenzo de’ c Ibidem, coll. 1165-6. Sul problema storico dell’atteggiaMedici detto il Magnifico conservate nell’Archivio Palatino mento di Venezia cfr. A. Bombaci, Venezia e l’impresa turca di Modena con notizie tratte dai carteggi diplomatici degli di Otranto, in “Rivista Storica Italiana”, Napoli 1954, pp. oratori estensi a Firenze negli Atti e Memorie delle RR. De159-203. putazioni di Storia patria per le provincie Modenesi e Pard Ibidem, col. 1168. mensi, vol. I (1864), p. 283 sgg. Il 10 dicembre Lorenzo stava e Ibid. a Pisa (lettera ad Antonio Montecatini, loc. cit., p. 240).


2.2 . . . una guerra vera mente desiderava la pace Ludovico il Moro, giacché anche a Milano, non meno che a Napoli si proseguivano le trattativeh . Quegli che solo avrebbe avuto interesse di proseguire la guerra, cioè Sisto IV7 , si trovò isolato [. . .]. Nella Toscana tra i Fiorentini e i Senesi era continuata la guerra, quantunque assai sommessamente; e verso il principio di marzo giunse a Siena il duca di Calabria.8

Questi, il primogenito di Ferdinando ed erede al trono di Napoli, Alfonso d’Aragona, nello stesso tempo in cui il Medici tornava in Toscana dopo aver concluso la pace col re9 , risaliva dunque la penisola – menato dal suo “spirto guerrier” tra vecchi alleati bisognosi di assistenza10 e nuovi possibili nemici11 – e vi si tratteneva fino all’estate inoltrata, riuscendo, ad id paratam habebat, paucis comitatus, Neapolim navigavitB . Menses circiter duos ibi est commoratusi , ab ipso rege honorificentissime receptus et habitus, unde in patriam remeans, non mediocriter potestate et auctoritate est auctusC . Pacis vero Florentinis a rege datas conditiones non satis probavit pontifex, cuij parum ex sua et sedis dignitate sunt vise” (Volterrano 7-8). 7 Il papa aveva interesse a proseguire la guerra per ritagliare uno stato al conte nipote: questa genia perniciosa costituiva, insieme con le rivendicazioni alternate di aragonesi ed angioini sul regno di Napoli, il maggior elemento di instabilità politica nell’Italia rinascimentale. 8 Cipolla 601. 9 “Adì 15. di Marzo (1480 ) [. . .] si dice Lorenzo de’ Medici esser ritornato in Fiorenza, che vien da Napoli” (Allegretti 798). “Adì 25. di Marzo 1480. Si bandì la Pace tral Papa, e’l Re, e Sanesi da una parte, e dall’altra parte la Signoria di Milano, la Comunità di Firenze, e Lega tra le dette Parti” (Allegretti 799). 10 “Circa finem junij 1480 gibellini Senenses, qui erant extra in diversis locis relegati, cum auxilio ducis Callabrie intraverunt Senas et expullerunt ac relegaverunt quammultos guelfos regentes et urbis dominium ceperunt” (DP 74). 11 “El se vocifera qua che el S. Duca de Calabria vene a Faenza cum squadre cinquanta, et altre squadre quaranta sono in lochi lì circumvicini” (Cor. 80.06.13): l’area era h Diarium parmense, l. c., 328, 329. i cod. comoratus

j cod. Qui

B Nelle due galee mandate dal re Ferrante a Pisa per prendere Lorenzo de’ Medici s’imbarcarono anche Giantommaso Carafa, primogenito del conte di Maddaloni e Princivalle di Gennaro, intimo del duca di Calabria; Notar Giacomo, Cronaca di Napoli, p. 145. C Giovanni Albino, De bello Hetrusco nella Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’istoria generale del regno di Napoli (Napoli, 1769), t. V, lib. I, 19; Fabronio Angelo, Laurentii Medici Magnifici vita (Pisa, 1784), I, 102-8; Cronache de li antichi ri del regno di Napoli, loc. cit., p. 53.

15 tra l’altro, a far eleggere alla guida della repubblica senese uomini a lui favorevoli. E chissà quando se ne sarebbe partito spontaneamente giacché, nel corso della guerra, sembra si fosse rispolverato un antico diritto, e gli aragonesi di Napoli mirassero a sottomettere la stessa Firenze, quali eredi di quel Gualtieri VI di Brienne12 che ne era stato il signore circa un secolo e mezzo prima13 . Gualtieri – conte di Lecce e fondatore di Roca – nel 1311, quando aveva appena sei anni, aveva perduto il padre (insieme con il ducato di Atene) per opera di una convergenza di interessi tra turchi e una compagnia di mercenari catalani. E chissà se la mente – che dicono scaltrissima – del dotto Lorenzo non abbia pensato a questo precedente o non siano stati i suoi alleati veneziani ad avere la geniale idea di aizzare i medesimi ottomani contro chi regnava sui feudi pugliesi del trecentesco signore di Firenze14 .

2.2

. . . una guerra vera

Vedremo più avanti come sia difficile escludere che qualche stato italiano in attrito con il re di Napoli abbia perlomeno incoraggiato i propositi di Achmet pascià. Pertanto, gli storici ufficiali che si stracciano quella, tra Emilia e Romagna, che rientrava nelle mire del nipote pontificio. 12 Al centro della connessione genealogica tra i Brienne e gli aragonesi d’Italia, ci sono la contessa di Lecce, e poi regina di Napoli, Maria d’Enghien (della quale era prozio Gualtieri VI) e il di lei figlio Giovanni Antonio Orsini del Balzo, a sua volta prozio di Alfonso II, di Federico etc. 13 In due occasioni, nel 1325 e nel 1342-43, la prima quale rappresentante del re Roberto d’Angiò, la seconda su chiamata nominativa da parte dei fiorentini. 14 Un grande studioso tedesco di cose turche così sintetizza la vexata quaestio sulla possibile connivenza di alcuni stati italiani con gli invasori: “Venezia non chiamò in Italia il Turco, ma gli lasciò la convinzione che la sua venuta non le giungesse inopportuna” (Babinger 430). E ancora: “Si ricorderà quel giudice dell’esercito che, durante la marcia verso Sinope e Trebisonda, ebbe l’ardire di chiedere strada facendo, in Anatolia, al Gran Signore (Maometto II ) quale fosse la meta della marcia e ricevette la seguente risposta: «Se i peli della mia barba conoscessero i miei progetti, li strapperei e li brucerei!». Il fatto che egli già alcuni mesi prima iniziasse al segreto del suo sbarco su suolo italiano la cristiana Firenze e l’umiliata Venezia consentirebbe di concludere ch’egli avesse fondato motivo di riporre piena fiducia nei due Stati oppure che fosse informato in modo sorprendente degli avvenimenti di politica interna nella penisola appenninica” (ivi 423-424). Altrove si dà notizia delle ottime relazioni del sultano col magnifico Lorenzo de’ Medici (cfr. ivi 420-421 e F. Babinger, Lorenzo de’ Medici e la corte ottomana in ASI CXXI [1963] 305-361).


16 le vesti parlando di chi (Ludovico il Moro) chiamò il re francese Carlo VIII nel 1494 (sempre ai danni del re di Napoli!) trascurano un precedente ancora più grave. L’Italia non era soltanto un’espressione geografica o linguistica, se lo stesso Machiavelli aveva coscienza di una entità Italia nella sfera politica (vedasi la chiusura del cosiddetto Principe con la Esortazione a pigliare la Italia e liberarla dalle mani dei barbari). Ma, se francesi, spagnoli e imperiali tedeschi erano barbari, che dire di chi – come i turchi – veniva dal cuore dell’Asia e, strada facendo, si era convertito a una religione che proclamava la guerra santa e lo sterminio degli infedeli che non si volevano convertire? Da un lato, la chiamata del sovrano straniero ricorda quegli scolari che – quando sono in procinto di soccombere nella lotta con i compagni – si appellano all’insegnante; dall’altro, gettare nella mischia i giannizzeri turchi, e musulmani (o, più tardi, i lanzichenecchi tedeschi, e luterani), era un po’ come se, ai nostri tempi, si ricorresse alle armi chimiche o nucleari, in presenza di un tacito accordo sull’uso esclusivo di quelle, appunto, convenzionali. Eppure le atrocità commesse dai turchi durante la secolare conquista dell’impero bizantino, e soprattutto della sua capitale (1453), erano ben note in Occidente, dove avevano generato un tardivo rimorso in chi non aveva soccorso Costantinopoli, che era una delle più grandi metropoli cristiane, anche se non cattolica. Un altro aspetto paradossale è rappresentato dal fatto che le trattative con Ferdinando, condotte direttamente da Lorenzo de’ Medici, senza ottenere il ritiro degli aragonesi dalla Toscana, avevano irritato i veneziani (da qualche anno in attrito col re di Napoli per il protettorato su Cipro15 ), i quali si accordarono con il papa, che a sua volta non aveva gradito la buona accoglienza ricevuta a Napoli da un nemico del nipote Girolamo Riario; di conseguenza quando, alla fine di luglio del 1480, i turchi – terminati i preparativi – si mossero dalle coste albanesi, si erano appena formate in rapida successione due nuove alleanze contrapposte: il papa e Venezia da 15 Si veda in proposito l’interessantissimo saggio a puntate del Forcellini o almeno la breve sintesi della quattrocentesca questione cipriota, in esso ampiamente trattata, nel mio L55 (52 e, ibi, nt. 14). Quasi a voler acuire relazioni già tese intervenivano i matrimoni di due figlie di Ferdinando con altri nemici o confinanti della repubblica veneta, quali Mattia Corvino, re d’Ungheria, che aveva sposato Beatrice d’Aragona, ed Ercole d’Este, marito di Eleonora.

Le premesse politiche un lato; Napoli, Milano, Firenze e Ferrara dall’altro (quest’ultima era stata conclusa il 25 luglio!). Una lettera di Ercole al suo oratore Nicolò Sadoleto, in viaggio per Napoli, dimostra che il primo dicembre 1479, già prima della missione di Lorenzo de’ Medici (v. 14), si trattava per quest’ultima lega nella quale qualcuno voleva tirare anche i veneziani, rimanendone escluso, forse, soltanto il papa. Il duca estense tiene anche a mantenere il suo ruolo di condottiero delle forze alleate, essendo il più esposto alle possibili rappresaglie venete16 . Come spesso accade per i documenti in partenza dalla corte estense, si tratta di una minuta non priva di correzioni e aggiunte che vedremo in nota. Ad d(ominum) N(icolaum) S(adoletum) In questa vostra andata a Napoli voi havereti a capitare a Fiorenza17 et dimostrando de essere misso de altri come vi havimo dicto cerchareti de havere audientia dal Mag.co Lorenzo secretamente, et diriti a sua Mag.tia como seti quello che Nui mandiamo ala M.tà del s.re Re per cagione dela nova liga et unione che si prattica18 et gli fareti intendere che prima che arivati a Napoli vi haviti a transsitare19 alo ill.mo S. duca de Calabria20 per notificarli questa andata vostra et pregare sua Ex.tia che voglia battere et operare col S. Re suo padre che sia contento abbraciare S.ri fiorentini et sua Mag.tia per boni amici et temptare de modificare le dimande facte per sua M.tà per forma chel se gli possa stare et che quel stato de fiorentini non si habia a disperare anci si possi commodamente condure insieme cum li altri a questa bona unione. Ricommandandoli il facto de M.co Lorenzo quanto più sia possibile per le ragione vi havimo dicto che ricordati a sua Ex.tia . Et che anche haveriti a pregarla che la voglia farni intendere come passerà el facto nostro et se saremo capitaneo generale dela liga nova che si farà, come siamo dela presente, segondo dovessemo essere: perché scoprendossi Nui contra venetiani convicini al nostro stato che si può dire è in faucibus eorum21 et essendo loro dela potentia che sono, bisogna havere un grande rispecto al facto nostro più cha de niuno altro; aciò siamo proveduti et 16 Evidentemente chi aveva questo incarico teneva presso di sé l’esercito stipendiato con i soldi dei collegati. 17 Quasi passando per caso, come vedremo. 18 Significativa questa inserzione nel margine sinistro della minuta: “come etiam gli havimo facto dire per il nostro ambassatore lì”. 19 Con la doppia s nel documento. 20 Che stava a Siena. 21 O “illorum”. Ma non sembra l’abbreviatura di inimicorum come detto da un ambasciatore veneto a proposito dei domini veneti vicini all’impero turco (Sanudo 179).


2.2 . . . una guerra vera honorati segondo il bisogno nostro et del stato nostro [. . .]. Et haveriti etiam a confortare et pregare quella che voglia operare che S.ri fiorentini anche loro non cerchino de subtilizare tanto le cose per le dimande gli sono facte che le non havesseno ad havere conclusione et che considereno che per accostarsi a venetiani la guerra non gli seria levata da dosso22 et che lo attenda el facto suo et de quella cità lassando el volere condure venetiani in questa lihgai come intendemo da Milano [. . .] || [. . .] et che cum loro se può fare pocho fondamento de boni facti quando se vedeno havere la spexa facta senza de guadagno. Ferrariae primo decembris 1479.23

17 Nell’estate del 1480, insomma, sia i veneziani che i fiorentini avevano ancora qualche conto in sospeso con re Ferdinando, ma non erano più alleati tra di loro. Intanto la macchina da guerra dei turchi si era messa in movimento, e una spedizione contro il suo reame poteva comunque far comodo sia a Venezia che a Firenze, per una serie di motivi che vedremo.

Come si vede, la tendenza dei precedenti alleati di Venezia a includere la repubblica marinara in questa nuova alleanza col re di Napoli ed Ercole d’Este suscitava prevedibili resistenze, che alla fine prevalsero lasciando, però, qualche insoddisfazione tra gli stati aderenti, in particolare a Firenze dove si attendeva e si reclamava la restituzione di alcuni castelli, come previsto dagli accordi di pace con re Ferdinando. E a Venezia si tendeva ad acuire i contrasti tra Firenze e Napoli proprio su questo argomento, come scriveva ad Ercole il suo oratore presso la repubblica: Io etiamdio intendo come questa brigata pigliano una strada per vedere de seminare zizania et discordia per quanto poterano fra la m.tà del S. Re et fiorentini, et per il mezo de molti mercadanti qua fano persuadere a questi fiorentini che sono qua che doveriano exitare et aprire li ochi et la mente de soi S.ri fiorentini che una fiata volesseno intendere et comprehendere che sono tenuti in tempo et menati ala longa da la m.tà del S. Re, et questo per consumarli et anche ogni qual zorno li va circondando et facendossege forte de intorno, per modo che dovevano pur comprehendere non essere intentione de soa m.tà el restituirge le loro terre, ma se ne potesse havere de le altre le torebe a fine de exequire uno qualche zorno qualche suo designo de imbriarli come ha facto Sena, et redurli in termini che convengano stare a la discretione de soa m.tà .24 22 Pragmaticamente Ercole mandava a dire a Lorenzo che l’alleanza con Venezia non lo avrebbe protetto da altri nemici: il riferimento sembra essere proprio al conflitto ancora in essere con Siena, Roma e Napoli. 23 Erc. 79.12.01 207-208 (a N. Sadoleto). 24 Cor. 80.07.03 23-II-29. Si tratta di una lettera diversa da quella, in pari data, pubblicata dal Foucard, ma è quasi interamente marcata. Nella parte iniziale di questa, inedita, il Cortese parla anche dei rapporti tra i veneziani e il “Re de Ungaria per quelle cosse de Veglia”, evidentemente l’isola

dalmata: il re di Napoli non solo era il principale contendente di Venezia in Italia, ma, come segnalato, era anche, forse non del tutto casualmente, il suocero di due prìncipi i cui stati confinavano con i domini della repubblica, e pertanto avevano sempre motivi di attrito con essa.



CAPITOLO TERZO Cui profuit?

Sugli incerti confini tra gli schieramenti §3.1 I sospetti e le accuse su Venezia e Firenze, 19 • §3.2 L’inattesa franchezza di due storici insospettabili, 20 • §3.3 La faziosità nella moderna storiografia, 22 • §3.4 Tra paura, connivenza e miopia politica, 23 • §3.5 Rifornimento in volo, 25 • §3.6 Una conclusione non consequenziale ad un’analisi obiettiva, 28 • §3.7 Una lega invincibile, 29.

3.1

I sospetti e le accuse su Venezia mule del tipo, “si dice”, “si pensa”, “si dubita”2 – i sospetti di tutte le corti italiane (ed erano tante); e Firenze

sospetti che potevano essere il pensiero del principe, ma anche voci di cortigiani perditempo o insinuazioni di chi poteva avere qualche interesse ad avvelenare i rapporti tra le due massime entità statali italiane, già da tempo guasti a causa della questione cipriota. Vaglieremo alcune testimonianze e opinioni di storici e cronisti coevi o vissuti immediatamente dopo i fatti di cui si stanno cercando le cause e le responsabilità. Naturalmente, fra gli altri, ne parla anche il più attendibile dei cronisti locali, l’otrantino Lagetto, e non si ha motivo di dubitare della sua obiettività, anche perché, come avremo modo di vedere, l’ipocrisia sembra non appartenere all’animo

Si è molto discusso sul favore di cui avrebbe goduto l’invasione turca tra alcuni stati italiani, in particolare Venezia, ma anche Firenze. C’è chi ha parlato esplicitamente di incoraggiamento o di esplicito invito ad Achmet, da parte di veneziani e fiorentini, ad invadere il regno di Napoli, che aveva pretese egemoniche sulla parte peninsulare dell’Italia1 . E specialmente l’atteggiamento tenuto dalla repubblica veneta – prima, durante e dopo i tredici mesi in cui i turchi occuparono Otranto e dintorni – è stato oggetto di molte letture e interpretazioni, scaturendone una serie di giudizi in varia misura 2 Una lettera del 19 agosto 1480, “di Giov. Andrea Boccritici nei suoi confronti. caccio, vescovo di Modena, al consigliere del duca di Ferrara, Ambasciatori e oratori riferivano – talvolta con Paolo Antonio Trotto” (Foucard 141-142), si chiude con un molta cautela e circospezione, vale a dire con for- messaggio “in cifra” così interpretato: “Se tiene per certo che 1 Trovo un’espressione quasi simile in DP 79: “. . . quoniam

dicitur, ipsos Venetos causam fuisse introducendi Turchos in Itallia, com quibus pacem et colligationem firmaverunt, ut regem predictum a dicto regno pellerent, qui vociferaretur voluisse totti Italie legem dare”.

la venuta de questi Turchi in el Reame sia stata opera de Venetiani et cum saputa nostra. La brigata non dorme; sempre pescano, bisogna esser vigilante; hanno facto molti desegni per vendicarse per ogni modo de chi non li è andato a verso, et questo habiati per Evangelio, et li Venetiani ne fano ogni opera; seti savij et sapienti, provedete al facto vostro”.


Cui profuit? – Sugli incerti confini tra gli schieramenti

20

rinascimentale sotto qualunque cielo italico; in ogni caso – nel considerare le accuse di complicità o di connivenza con i turchi rivolte ad alcuni stati italiani – saranno ignorate o valutate con molta cautela tutte quelle testimonianze che potrebbero apparire interessate o di dubbia attendibilità e spontaneità (come, ad esempio, le lamentele della corte aragonese o le confessioni dei prigionieri turchi o le voci su misteriosi vascelli, forse veneziani, che frequentavano il porto di Otranto durante l’occupazione turca). Dalla cronaca lagettiana, su questo argomento trarremo solo una frase indicativa dell’opinione che si aveva in Occidente di Maometto II: Havuta questa imbasciata Magometto e richiesta da’ Fiorentini, e consultato e persuaso da Venettiani di mandare un’Armata in Regno, e che facilmente s’havria possuto (?) insignorire, offerendoli Venettiani il passo libero e sicuro, perché il Turco non possedeva nell’Epiro se non alcuni luoghi nella marina, compiacendo a Venettiani accettò volontieri l’offerta, e molto honorò lo imbasciadore e lo presentò.3

Come si può osservare, ci si rivolgeva a colui che non a caso era detto il Conquistatore come a un latifondista che ha fama di acquistare immobili senza mai venderne.

3.2

L’inattesa franchezza di due storici insospettabili

Ci sono, però, due storici quasi coevi agli avvenimenti, che – pur appartenendo ai due stati italiani in odore di connivenza con i turchi – riferiscono senza perifrasi e senza veli quali erano le posizioni, gli interessi e le aspettative delle loro rispettive patrie. Lo storico veneto scrive che la Signoria di Venezia [. . .] mandò Oratore al Papa ser Zaccaria Barbaro, Cavaliere, e Ambasciadore al Signor Turco Ser Sebastiano Gritti4 , a persuadere esso Signore di muovere guerra contro il Re di Puglia. Il qual Signore come Imperadore di Costantinopoli, pretendendo la Città di Brindisi, quella di Taranto, e d’Otranto, di ragione di quello Imperio, adunò grandissima armata, la quale insieme coll’esercito terrestre 3 L55 76.

4 Da precisare che il nome “Sebastiano” dell’ambasciatore

Gritti è frutto di una corruzione da “Ser Battista”, che, come vedremo, si è propagata a lungo.

adunato alla Vallona, Capitano Acmet Bassà, destinò contro il Regno di Puglia.5

Per quanto riguarda, invece, lo storico toscano, che in un certo senso seguiva gli stessi criteri di osservazione obiettiva della realtà tanto cari a Leonardo da Vinci, registrava nella sua opera le diverse reazioni prodotte nei diversi stati italiani dall’invasione turca, che costringeva in particolare il duca di Calabria ad abbandonare la Toscana per dirigersi col suo esercito verso Otranto: Questo assalto, quanto egli perturbò il duca e il resto 5 Navagero 1165. Giustificazione singolare, quella turca, come se Maometto II avesse ottenuto Costantinopoli e il suo impero legittimamente e pacificamente; applicando questo criterio avrebbe potuto pretendere – senza muover guerra – tutti i territori che avevano fatto parte dell’impero di Giustiniano, vale a dire tutta l’Italia e, inoltre, la Spagna e la Francia mediterranee. . . Più sottilmente, ma attingendo alla stessa fonte, uno storico tedesco attribuisce un valore particolarmente suasivo ai sussurri del diplomatico veneto: “I Turchi seguirono ora nella Puglia le orme degli Arabi, e il genio conquistatore di Mohammed fu ancora maggiormente eccitato dai Veneziani, nemici allora di Ferdinando di Aragona. Il loro ambasciatore Sebastiano Gritti, rappresentò al sultano, che Brindisi, Taranto ed Otranto, siccome appartenenti anticamente all’impero romano d’Oriente, spettavano ora per diritto al conquistatore di questo. E come non doveva sembrar evidente, e giusto in simil motivo al Conquistatore?” (Hammer 360). Anche la traduzione dal tedesco è al di sopra di ogni sospetto, essendo dovuta al veneziano Romanin. Uno studioso turco (quando si dice l’importanza di ascoltare tutte le campane. . .) afferma che “Sultan Mehemet, qui, de droit, avait hérité Byzance, s’intéressait, – comme précédemment à la Morée–, aux terres que cet empire possédait en Italie” (Diyarberkirli 23). Il sultano avrebbe ereditato (!) Bisanzio di diritto. . . Teoria singolare, riferita anche in una lettera del 23 agosto 1480, inviata dall’oratore milanese a Napoli Marco Trotto (cfr. Fossati, Sulle cause 20), e in quella, del giorno seguente, di Nicolò Sadoleto: “Li turchi [. . .] hano mandato ad dire al’arcivescovo de Brindece, alias Brondisio, et a tuto el consiglio de quella provintia, chel gram turcho vole tuto quello teneva el principe de Taranto, chel non è del Re, et che se debano rendere tuti de accordo chel gram turcho li tractarà cossì bene como fa el più caro populo che tenga, che quando non se vogliano rendere, mandarà là ogni sua possanza in modo che tuti li consumarà; che non sono venuti lae per Otranto solo, né per stargli uno mese” (Sad. 80.08.24 154). Al di là delle pretese turche di ereditare, di diritto, i territori appartenuti a “Bisanzio” più di quattro secoli prima, si coglie l’intenzione – che inizialmente non poteva essere contrastata dalle scarse forze cristiane – di occupare tutto il Salento. Gli eventi, fortunatamente e inspiegabilmente nello stesso tempo, presero un’altra direzione, e non penso per l’insuccesso dell’incursione del 5 settembre nei paesi a nord-ovest di Lecce (v. 48 e 114).


3.2 L’inattesa franchezza di due storici insospettabili

21

di Italia, tanto rallegrò Firenze e Siena, parendo a Il lessico (“tumulti”) cui ricorreva questo oratore questa di avere riavuta la libertà, e a quella di esse- sincrono ai fatti, come si vede, è lo stesso che in re uscita di quelli pericoli che gli facieno temere di seguito avrebbe usato il Machiavelli (v. 21). perderla.6 Si dà il caso che lo storiografo ufficiale della Se-

A dire il vero, i fiorentini, più che alla libertà, propria e dei senesi, pare tenessero “alla restituzione delle loro castella le quali il duca di Calavria partendosi aveva lasciate nelle mani de’ Sanesi”7 ; questi, grazie all’alleanza col re di Napoli – per quanto in condizioni di subalternità – estendevano la loro giurisdizione, e forse avrebbero comunque preferito ricadere nell’ambito dell’egemonia aragonese invece che subire il diretto dominio fiorentino. Ma il sollievo di tutti i nemici italiani della casa regnante in Napoli durò appena tredici mesi:

renissima, Andrea Navagero (al quale è attribuita una Storia Veneziana 11 del tempo), e il principe degli storici italiani, Niccolò Machiavelli (tanto nomini. . .), oltre ad essere, fino a prova contraria, due persone degne di fede, fossero anche, rispettivamente, di patria veneziana e fiorentina. Viene in mente la frase con cui i sommi sacerdoti che giudicavano Gesù di Nazareth accolsero la sua aperta dichiarazione di essere il figlio di Dio: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?”12 . Questa dichiarazione spontanea (come si dice oggi) degli storici suddetti avrebbe dovuto troncare ogni successiva discussione sull’argomento; così, invece, non è stato. Ci si chiede, pertanto, se le disquisizioni sul comportamento di Venezia siano nate dal fatto che non tutti conoscevano la versione di quei due testimoni insospettabili, oppure da una servile esterofilia di alcuni studiosi – anche pugliesi,

come il principio di quello assalto fu insperato e cagione di molto bene, così il fine inaspettato e cagione di assai male: perché Maumetto gran Turco morì, fuori di ogni opinione, e venuta intra i figliuoli discordia, quelli che si trovavano in Puglia, dal loro signore abbandonati, concessono d’accordo Otranto al re. Tolta via adunque questa paura che teneva gli animi del papa e de’ Viniziani fermi, ciascuno temeva di nuovi 11 Secondo il Cochrane (227-228 e 547 nt. 53), il Navagero, tumulti.8 in punto di morte, avrebbe ordinato di bruciare la sua crona-

Così si concludeva la tregua tra gli stati italiani secondo il primo grande storico moderno; una tregua che – nella realtà “effettuale” – era stata loro imposta dalla paura dei turchi. A conferma di questa dottrina, leggiamo cosa scriveva il Sadoleto, da Napoli, pochi giorni dopo la caduta di Otranto: Pare che l’ambassatore de Venexia habia dicto là ad Roma che tuta Italia ha ad esser obligata al turcho perché sel non havesse dato impazo ad questo S. Re, sua m.tà seria signore de Sena, et intendeva de farse de Italia.9

E c’era addirittura una aspettativa in questo senso da parte dei veneziani, prima della spedizione turca, come appare evidente in questo dispaccio del 15 giugno 1480, inviato dall’oratore estense a Venezia: Extimase qua, questa tale impresa et mossa del Turco per Puglia havere forse affare aquietare questi tumulti italici.10 6 Machiavelli VIII 21.

7 Machiavelli VIII 22. 8 Machiavelli VIII 22.

9 Sad. 80.08.20 149-151, qui 149.

10 Cor. 80.06.15.

ca ancora imperfetta. Si può ragionevolmente supporre che, conoscendo l’esito della disposizione similare impartita da Virgilio qualche millennio prima, avesse messo in conto che anche la sua volontà fosse disattesa. Per fortuna c’è rimasta l’Eneide, non dubitiamo che sia autentica. . . e l’accettiamo volentieri anche con le sue imperfezioni. Potremmo fare altrettanto con l’opera in questione? Lo studioso americano supporta la notizia – tratta dal Bembo – sulla distruzione del lavoro autentico del Navagero, con probanti considerazioni sulle discrepanze tra i modelli classici cui si ispirava il raffinato umanista veneziano, e l’incipit, la struttura e la lingua della “contemporary vernacular chronicle that was subsequently filed under his name in the same volume in the Este library at Modena” (ibidem). Ma, per quello che si sta argomentando, è questo l’elemento essenziale: l’indubbia matrice veneta di quell’opera e il suo valore di testimonianza non sospetta. Un solo dubbio: che il Navagero intendesse distruggere la prima stesura (“the first draft”) della sua cronaca, proprio perché ancora sprovvista di una veste classicamente impeccabile? Il Muratori, del resto, prima di pubblicarla si era posto il problema della paternità di quest’opera; ma il Cochrane sembra non curarsi di rispondere alle argomentazioni contenute nella Praefatio (RIS, t. XXIII, col. 921). Secondo il Muratori, infatti, altre opere del Navagero avevano visto la luce dopo la sua morte, a dispetto dell’affermazione del Bembo (“is moriens sua scripta comburi iussit”) – mentre l’ordine di bruciare poteva riguardare un’altra cronaca storica, richiesta dal senato veneto in lingua latina. Un’ultima riflessione: con ragionamenti simili a quelli del Cochrane, si dovrebbe inferire che Fermo e Lucia e I promessi sposi non possono essere dello stesso autore. 12 Matteo, XXVI, 65.


22

Cui profuit? – Sugli incerti confini tra gli schieramenti

più realisti del re e più papisti del papa – propensi ad assolvere comunque i patrizi veneti che comandavano sulla laguna e su buona parte del Mediterraneo. Ed è strano – proprio considerando la conformazione geografica di questo dominio – che non si facesse caso a che cosa poteva significare per Venezia una occupazione permanente di entrambe le sponde del Canale d’Otranto da parte di una sola potenza, qualunque essa fosse (v. 24). L’impero marittimo e costiero che la più potente repubblica marinara italiana aveva costruito fino a quel momento aveva un punto nodale sul Canale d’Otranto: a nord-ovest il territorio metropolitano in Veneto e in Friuli, poi l’Istria e la Dalmazia con le isole prospicienti; a sud-est, oltre alle grandi isole di Creta, Cipro (in via di acquisizione) Eubea o Negroponte (perduta da poco), vari territori costieri ed altre isole intorno al Peloponneso o Morea. Quel punto nodale non sarebbe dovuto cadere in mani pericolose.

mondo seguiti a gridar canaglia contro un fior di galantuomo?”14 . Il Carusi, d’altra parte, oltre ad alcune zelanti iniziative individuali (in favore dei turchi) divulgate dallo stesso Piva, sottolineava questa sua ineffabile ammissione: i Turchi baldanzosi non si peritavano di chiedere alla Signoria di costruire un fortilizio nell’isola veneta di Sasno, per commodo dell’impresa di Puglia.15

La maldestra apologia di Venezia operata dal Piva rivela altri comportamenti dettati da pavidità nei confronti dei turchi16 , ed è condita da chiamate in correo nei confronti dei fiorentini17 e di Sisto IV “preso tra i due fuochi dell’alleanza veneziana e del dovere di provvedere al supremo interesse della Cristianità”18 : qui, nel mentre si enuncia candidamente l’incompatibilità dell’interesse comune con quello veneto, si fa una colpa al papa per la sua lealtà all’alleato spurio! Vi si rinvengono, infine, incongruenze tra espressioni riportate in appendice 3.3 La faziosità nella moderna e citazioni delle medesime nel testo: l’eventuale “instoriografia delebili infamia”19 che sarebbe derivata alla Santa In singolare contrasto con queste posizioni degli Sede dallo sciacallesco assalto al regno di Napoli storici rinascimentali appare l’opera palesemente 14 Fossati, Alcuni dubbi 32-33. 15 L’affermazione è in Piva, III. 136, ed è commentata apologetica nei confronti di Venezia di uno studioso (il “dott. Edoardo Piva”) che agli inizi del XX secolo come sopra in Carusi 471-472 nt. 1. Nel merito si tratta, dell’isola di Saseno, di fronte a Valona. trascrisse alcuni documenti veneti su una rivista ve- evidentemente, 16 Il leit-motiv del terrore di irritare i turchi si manifesta neta: L’opposizione diplomatica di Venezia alle mire dal tempo della spedizione contro la Terra d’Otranto: “La di Sisto IV su Pesaro e ai tentativi di una crociata prima impressione provata dal governo veneto fu piuttosto contro i Turchi – 1480-81. Il titolo si commenta penosa: ne sono testimonianza l’ammonizione al Barbaro di da solo, e già in esso si tenta di ripartire in misura fuggire ogni discorso, persuasione, incitamento od altro, che a Roma si facesse, per promuovere una lega generale conequanime i due proverbiali colpi ai menzionati ber- tro i Turchia , l’ordine all’armatella, che sotto il comando di sagli della politica veneta, mentre dal testo traspare Federico Giustiniani si recava a Corfù in rinforzo del grossoprattutto il grande sforzo per inficiare ogni ten- so dell’armata, di salutare con segnali di gioia, con spari di tativo di crociata contro i turchi. Ma il Piva – pur bombarde ed altre manifestazionibdi amicizia, il naviglio turco, se mai in quello si imbattesse ” (Piva II. 426); continua basandosi, nel suo argomentare, prevalentemente su durante le trattative per la crociata: “La forma poteva tornadelibere del Senato veneto e del Consiglio dei Dieci re pericolosa, qualora fosse trapelato là dove c’era da temere, – in diverse occasioni appare poco felice ed efficace cioè presso il Turco” (Piva II. 449); si manifesta pure dopo la nel perseguire lo scopo dichiarato di scagionare la inattesa vittoria della flotta aragonese a Saseno: “Nelle congratulazioni, imposte dalla convenienza, appare il più grande sua patria dalle accuse di connivenza con i turchi13 , studio di non eccitare i sospetti dei Turchi” (Piva III. 138); come rilevato, per esempio, dal Carusi e dal Fossati, si chiude con le felicitazioni finali ancora improntate alla “ciril quale – sulla stessa rivista veneta, a onor del ve- cospezione”, con l’obbligo per il console veneziano in Puglia ro – avanzava Alcuni dubbi sul contegno di Venezia di 17“bruciare il foglio appena ricevuto” (Piva III. 154). Piva II. 430. 18 Piva II. 441 e 447-448. durante la ricuperazione di Otranto (1480-1481), 19 Piva III. 172 doc. VIII. e si chiedeva, in sintesi: “è possibile che tutto il 13 Si veda, ad esempio, questo passo: “La Repubblica [. . .] coi continui rifiuti di partecipare alla crociata, legittimava ogni sospetto” (Piva, III. 139).

a Senato, Delib. Secr. XXIX, doc. 9 agosto 1480, cc. 123 t,

124.

b Ibidem, doc. 4 agosto 1480, c. 123-123 t.


3.4 Tra paura, connivenza e miopia politica

23

proposto dal nipote del papa, diventa “incredibiMolto francamente, e senza troppe volute dile” nel commento20 , forse avendo traguardato un plomatiche, rispondeva il rappresentante del re di “incredibile detrimentum” che è stato stampato nel Napoli: rigo precedente del documento.

3.4

Tra paura, connivenza e miopia politica

Ai veneziani, indubbiamente, non poteva dispiacere che i turchi – o chiunque altro in quel momento – dessero un po’ di fastidio a Ferdinando, che esercitava una sorta di tutela sulla repubblica di Siena, e, con le truppe guidate da suo figlio, avanzava nei domini fiorentini. Potevano essere, quindi, pure e semplici scuse onorate, quelle argomentazioni addotte per non partecipare all’alleanza per cacciare i turchi dall’Italia; i diplomatici veneti, come vedremo, rammentavano che erano appena usciti da una guerra durata diciassette anni contro Maometto II, e quasi sfidavano gli altri stati cristiani a provare quel genere di esperienza prima di pretendere il coinvolgimento di Venezia in quest’altro conflitto, con le rappresaglie cui potevano essere esposti i suoi domini nel Mediterraneo orientale. Questa dottrina politica era enunciata dall’ambasciatore veneto presso il papa; così Battista Bendidio, oratore estense a Roma, scriveva che “quando venetiani fusseno chiari che facendo quanto se desidera non fusseno dapoi abbandonati, che forsi seriano contenti”21 ; ma era più chiaro il Sadoleto, che scriveva da Napoli in base a quanto comunicato dall’ambasciatore regio Schales: “Quando venetiani potesseno securarsi che non seriano lassati loro, quando el turcho gli nocesse, volunteri veneriano cum gli altri ad questa impresa”22 ; o lo stesso Bendidio in un dispaccio successivo: “epsi venetiani venevano voluntera et fariano ogni cossa pro defensione fidei, ma dubitavano poi essere abandonati et soli restare nel pericolo, come sono stà già tanti anni, unde ni voleva havere chiarito questo loro dubio”23 .

El mag.co messer Anello per el primo cominciò a parlare. [. . .] Deinde quanto alla sicurtà de venetiani, non sapiamo che sicurtà de darli, se non de quelle che se sogliono, et sono consuete, cum dare la fede et prestare juramento de servarla. Et se pure loro havesseno qualche altra fantasia [. . .] veda sua San.tà subito intendere la loro voluntà, et quella significarnela.24

Il giorno seguente, l’oratore estense a Roma scriveva che lo stesso Anello Arcamone, nonostante tutto, non disperava di ottenere un aiuto dai patrizi veneti: “È pur da sperare l’habiano a fare, essendo pur buoni cristiani”25 . Dai fatti successivi, sembra doversi dedurre che i veneziani non si sentissero rassicurati sulla solidarietà futura da parte degli altri stati cristiani (ma ci fu quando perdettero Cipro, nel 1571, e portò alla vittoria di Lepanto). Lo stesso Sadoleto, più avanti nello stesso dispaccio, riferisce la sua personale idea sui veneziani nella forma in cui l’aveva espressa al re Ferdinando: “quando bene non siano in intelligentia alcuna col turcho, como pure ne havemo qualche dubio [. . .] conoscendo la natura loro se può credere che non mai se moverano ad questo effecto”, e comunque raccomandava “chel se facesse cauta quella sig.ria de non lassarla nela pista quando el turcho la premesse”26 . Pare che la politica seguita dai veneziani in questo periodo tendesse anche a fornire una stima ridotta sulla consistenza delle forze turche, ridimensionando di conseguenza il pericolo che potevano rappresentare per l’Italia e in aperta contraddizione con la

archivistica un tantino prolissa e ridondante comprende un numero documento (quello separato da trattini), un numero di pagina (1) interno alla lettera e anche un numero di mezza pagina progressivo nella busta (e che sembra procedere in ordine cronologico inverso da una lettera all’altra!), per cui nella fattispecie si sarebbe dovuto riportare pure un 97, anche se non è evidentissima la separazione dalla prima metà (96). 20 Piva II. 455. Così nel seguito per le lettere di questo oratore. Talvolta 21 Ben. 80.08.12 21-II-56. sembra esserci anche uno scambio tra quest’ultimo numero e 22 Sad. 80.08.14 134. Qualcuno ha numerato le carte, ap- quello dopo il secondo trattino, oltre a un errore in quello tra ponendo la data suddetta con “?” sulla pagina col nr. 1 e i due trattini; così nella lettera del 16 agosto 1480: “21-IIIspiegando che “manca la fine”; un altro “?” accompagna il 95”. Si precisa, infine, che quello qui riportato per semplicità nr. 7 dell’ultima pagina (140-esima nella numerazione del- come secondo trattino, in realtà, nel documento è costituito l’intera busta) che si chiude con “Neapoli 14 aug’ 1480” e la da una specie di linea di frazione che separa le prime due parti firma del Sadoleto al quale sicuramente appartiene anche la (es. “21-III”), poste in alto, dalla terza (“95” nell’esempio). 24 Ben. 80.08.18 21-II-57 2. grafia delle prime sei pagine. Il dubbio, quindi, si riferisce 25 Ben. 80.08.19 21-II-58 2. solo alla datazione di queste. 23 Ben. 80.08.18 21-II-57 1. In questo caso una numerazione 26 Sad. 80.08.14 136.


Cui profuit? – Sugli incerti confini tra gli schieramenti

24

notizia sui “12,000 homeni” tagliati a pezzi, forniMa a Venezia – anche tralasciando la difficoltà, ta dagli stessi generali o cronisti veneti27 . In un morale, a chiamarsi fuori da un’alleanza che tendeva dispaccio del 13 settembre 1480 l’oratore estense a difendere uno stato cristiano dal gigante islamico Antonio Montecatino scriveva da Firenze: – sarebbe convenuto considerare i pericoli che avrebbero corso le sue navi dirette in Oriente, transitando Me conta questo oratore regio, Schales, che quello nello stretto braccio di mare tra Valona e Otranto, oratore venhecianoi elquale è a Roma ogni zorno mon- se i turchi si fossero installati definitivamente nella stra qualche lettera cum mille busie. Et hahvevai penisola salentina, tanto è vero che negli anni imvoluto persuadere al papa como a Otronte non era mediatamente successivi i veneziani occuparono più più de cinque milia hturchi, eti ala Valona non vi era volte molti porti pugliesi, tra cui proprio Otranto 28 persona alcuna. e Gallipoli. Nel 1484 questa città e un ampio enSulle remore della repubblica veneta, si riportano troterra della costa ionica furono sanguinosamente queste espressioni molto franche proferite dai suoi e temporaneamente conquistati in una delle tante 33 rappresentanti: “la Ill.ma S.a de Venetia aveva XXII guerre tra i due stati ; nel 1496, ancora Gallipoli, anni continui substenuto la guerra contra el dicto con Otranto, Brindisi e altre città pugliesi, furono Turco, che mai era stata adiutata da potentia al- date in pegno ai veneziani da Ferdinando II e fucuna christiana et che adesso li bisognava havere rono riscattate solo nel 1509 dai nuovi dominatori grandissima advertentia de non procurarse un’altra del regno (spagnoli); Venezia, infine, si intromise volta el dicto Turco alle spalle”; “che altri provano nelle faccende di Terra d’Otranto nel 1528-29, alquello che in XVII anni hanno provato loro, cioè de l’epoca della spedizione del francese Lautrec per havere guerra con el Turcoc ”29 . A parte l’oscilla- conto di Francesco I, finché questa regione non finì zione sul numero degli anni di guerra (che furono definitivamente sotto il dominio di Carlo V. Tutto questo dimostra che i veneziani, forse solo diciassette e non ventidue), “dire che i Veneziani combatterono per ventidue contro i Turchi è una a posteriori, compresero che non poteva rientraesagerazione” anche per uno studioso veneto30 ; in re nei propri interessi l’occupazione permanente di ogni caso, la mancata adesione dei veneziani alla Ferando” ai veneziani nel 1472, cfr. anche Sanudo 219. crociata costituì un pretesto perché si defilassero “Re 33 Come l’ammiraglio Nelson, cadde nella battaglia per la anche i francesi. Ma, per Venezia, al di là di ogni ri- conquista di Gallipoli anche il comandante veneziano Jacopo sentimento, pesava più di tutto il fattore economico, o Giacomo Marcello, che era a capo di una flotta di 60-70 come fu detto agli ambasciatori del re di Francia e navi con circa sei-settemila uomini. La notizia della morte del duca di Borgogna: i suoi mercanti, nell’Oriente, del generale Marcello, colpito sulla nave da una colubrina, fu tenuta nascosta per evitare lo scoramento dei soldati veneti si trovavano “in faucibus inimicorum”31 . che, proprio in quel 19 maggio, dopo tre giorni d’assedio, sotto Eppure, secondo quanto riportato dal Sadoleto, la guida dell’altro generale Domenico Malipiero, entrarono nella città ionica, difesa anche dalle donne e con tutti i mezzi il re di Napoli [. . .] || [. . .] ricorda quello subsidio gli deti al Negroponte et molte altre nave et galee exposte per sua m.tà ad benefitij de quella ill.ma S. de Venexia et de la fede christiana. Et anche al presente ha pure mandato due cossì facte nave cossì bene in ordine ad Rhodi, senza expectare che altri mandi, et pure non era dannificato dal turcho.32 27 Cfr. Malipiero 130 e anche Sanudo 176.

28 Mon. 80.09.13; le integrazioni sono tratte da Foucard 126, essendosi probabilmente staccata e perduta una parte del foglio originale. 29 Si veda, ad esempio, in Putignano 9 e s. 30 Piva I. 83 nt. 1. 31 Sanudo 179. 32 Sad. 80.08.20 149-151, qui 150. Per l’aiuto fornito da c Notizenblatt. doc. cit. lettera del 13 luglio 1480.

a disposizione (armi, sassi e olio bollente). Caddero, durante la battaglia, circa cinquecento soldati veneti e, tra i difensori, duecento uomini e quaranta donne. Seguirono le consuete violenze del saccheggio, che, però, sarebbero state presto interrotte per ordine del generale Malipiero (Giustiniani 335). I veneziani occuparono anche Nardò, che “mandò le sue chiavi”, e inoltre “Galatone, Copertino, Veglie, Leverano, Parabita, Racale, Alliste, Felline, Supersano, Casarano ed altri luoghi” (Ravenna 230). Si ritirarono nel settembre dello stesso anno, quando seppero che si avvicinava la flotta napoletana: si era trattato di un’azione diversiva per obbligare Ferdinando a ritirare le sue truppe dallo Stato Pontificio. Secondo F. Tateo (Gli umanisti 11), “una strage non meno cruenta compirono i Veneziani a Gallipoli qualche anno dopo”, dove il confronto, ovviamente, è con l’eccidio degli otrantini per opera dei turchi nel 1480; non so come si giustifichi una tale affermazione in termini quantitativi e quantitativi, dal momento che i gallipolini caddero solo in battaglia, mentre a Otranto il massacro continuò anche dopo e fino allo sterminio.


3.5 Rifornimento in volo

25

assalirne i nemicid .35 Otranto da parte dei turchi, anche se questa apparteneva agli odiati aragonesi. Alla luce di queste Nel documento di cui sopra s’invitava sempliceconsiderazioni sul rischio di strangolamento da parte mente il bailo veneto Battista Gritti a parlare più ottomana del cosiddetto “Golfo di Venezia” – noprudentemente (“mexurate meglio ogni vostro dir”) me quanto mai appropriato, in quell’epoca, per il 34 limitando le “large parole”, com’è riferito in un altro Mare Adriatico – forse la sintesi più emblematica messaggio inviato all’oratore Niccolò Cocco nello del comportamento tenuto dalla repubblica di Venestesso giorno 25 maggio 148036 . Non risulta, pezia in quegli anni si può ravvisare in un passaggio in particolare: il Senato veneto riprese, ma senza rò, che sia stato inviato al sultano un messaggio di sconfessarlo, il suo zelante rappresentante a Costan- smentita, o almeno di rettifica, per ridimensionare tinopoli, per le parole usate nel suggerire al sultano la larghezza delle parole usate dal Gritti. Questi era, quell’impresa nefanda. Gioco delle parti anche qui o evidentemente, espressione di un ambiente che in ponderazione attenta delle conseguenze di una tale quegli anni non era propriamente neutrale tra l’impero ottomano e il regno di Napoli, come si deduce impresa? Il Cipolla, forse nell’intento di scagionare la da quanto riferito più avanti dallo stesso Cipolla: “nell’agosto 1479 era venuto a Venezia un messo di repubblica veneta, scrive: Ahmed pascià di Valona, lo stesso che ora conquistò Che Venezia, officialmente, a così dire, e come gover- Otranto, offrendole la guerra contro Napoli e contro no abbia ajutato i Turchi, non apparisce da prove il Papa, e la risposta datagli da Venezia (23 agosto) sicure, e neppure è presumibile, quantunque sia veri- era stata sì accorta, che, come provano le posteriori simile che particolari persone, anzi perfino alcuni tra relazioni, a Costantinopoli venne ritenuta come una i magistrati, l’abbiano potuto fare: ci resta anzi un promessa d’ajutoe ”37 ; quanto di più lontano, cioè, documento, in cui il Senato biasimò il proprio bailo a dall’eventualità che Venezia avvertisse “FerdinanCostantinopoli, perché, nell’intento di servire gl’inte- do del grave pericolo che gli sovrastava”38 . Questa ressi della sua patria, aveva sollecitato il Sultano ad omissione non era la colpa più grave della repubblica veneta; come si è visto, c’è ben altro. 34

Da una parte, anzi da una sponda, questo nome appariva appropriato; dall’altra era contestato. In una lettera dell’oratore estense a Napoli si legge: “L’oratore de venetiani a Roma, intendendo che questo nostro S. Re mandava questa armata lae per difenderse, dixe queste parole: Et como vorà el Re mandare quella armata nel nostro golfo senza licentia?” (Sad. 80.09.07 187-189, qui 188). È evidente l’enunciazione di una dottrina sulle acque territoriali un tantino vorace e soffocante per gli stati dirimpettai, un po’ come quella sostenuta da un celebre colonnello di un passato recente in merito al Golfo della Sirte. Ma, come si legge nel seguito di questa relazione sulle dispute presso la sede pontificia, il rappresentante veneto arrivava a paventare che “sotto pretexto de suo golfo, causa trovata, non se opponano al’armata nostra. Et pare che già gli sia stato da disputare, perché questo S. Re tene che questo è el mare Adriaco, et che venetiani non gli habino che fare” (ibidem). Come dire che non c’era una sponda privilegiata in questo mare che potesse precludere la navigazione agli stati, sovrani, che si affacciavano sulle altre. Il limite meridionale del golfo – come indicato, ad esempio, in Brasca 58 – era giustamente costituito dalla linea congiungente Otranto con l’isoletta di Saseno, di fronte a Valona; i turchi (impunemente o con autorizzazione?) violarono più volte quel limite: nell’incursione predatoria sulla costa barese (v. 102), quando sbarcarono nei pressi di Roca (v. 53) o davanti ai laghi Alimini (v. 49) e, infine, nella successiva razzia ai danni di Vieste, sul Gargano (v. 28). La flotta napoletana, a sua volta, nonostante le proteste venete, giunse a Brindisi ed ebbe scontri vittoriosi con i turchi nei pressi di Saseno. I consumati diplomatici veneziani avevano perduto una buona occasione per esibire un più dignitoso silenzio.

3.5

Rifornimento in volo

Un’altra parte – forse un’iniziativa personale che sicuramente i prudenti patrizi avrebbero biasimato – pare recitasse un ammiraglio veneziano che pattugliava il Canale d’Otranto. L’Arditi – che si appella all’Albino, al “Darù” (“Istoria di Venezia”) e al Marziano, per sostenere che i veneziani avrebbero “tenuto il saccof ” ai turchi, dopo averli persuasi a compiere la “poderosa ed ostile spedizione in questi nostri mari” – scrive: “in quell’anno (1480) la flotta turca partita da Costantinopoli e giunta nella 35 Cipolla 605.

36 I due documenti sono in Bombaci 202-203. Le qualifiche

dei due rappresentanti della repubblica veneta si ritrovano, per esempio, in Magno 221: “Nicolò Cocho ambassador de Venetiani apresso ditto Maumeth [. . .] Battista Gritti bailo de Venetiani a Costantinopoli”. 37 Cipolla, 605. 38 Egidi 709. d Brosch, p. 18.

e Brosch, p. 19. Romanin, IV, 395.

f Albino, De bello Hydruntino; Darù, Istoria di Venezia; Marziano, Istor. della presa di Otranto.


Cui profuit? – Sugli incerti confini tra gli schieramenti

26

Valona sotto il comando di Agomat Bassà, agnominato Chiedich, chiese a Victor Sorange, comandante generale delle truppe venete nelle Isole Ionie, il passaggio pel Canale di Corfù ond’entrare nel golfo, e vettovaglie, danaro, ed altro, che si ebbe a larga manog ”39 . Non si può pensare che gli Annali Veneti fossero commissionati dal re di Napoli. Il Putignano scrive che Vittor Soranzo lasciò passare i turchi “cum questo chel non offendesse loro né i suoi aderentih ”40 . Si trova questa identica espressione in una lettera del Sadoleto: tà

Ancora dixe sua m. chel ha de bonissimo loco, che quando questo bassà turcho volse venire ad Otranto, domandoe licentia al cap.o del’armata venetiana, et quello cap.o subito mandò a Venexia per sapere che rispondere et che loro risposeno che erano contenti chel havesse licentia, cum questo chel non offendesse loro né suoi adherenti, et de questo ne detero notitia al papa el quale né più né manco ha facto che quello che se vede. Et dixe sua m.tà che mai non crederia chel papa havesse consentito [. . .] et dixe che neanche venetiani gli fano de queste cosse perché mai sua m.tà habi cercato farli damno né tuorli del suo.41

Ed ecco, infine, il testo del Malipiero, tanto, e non sempre fedelmente, citato. Vi si legge: 39 Arditi 449. Mentre è preciso il riferimento alla cronaca dell’Albino (“De bello Hydruntino”) e, nell’altro titolo citato, si riconosce la Storia della Repubblica di Venezia del conte Pierre Daru, il nome dell’opera attribuita al Marziano (“Istor. della presa di Otranto”) fa pensare che l’Arditi abbia confuso l’abate otrantino con il di lui concittadino Lagetto. L’opera indicata del Daru è una traduzione italiana (stampata a Capolago, Canton Ticino, nel 1837) di una Histoire de Venise di cui esistono diverse edizioni parigine antecedenti, e una, di Bruxelles, del 1838; in questa si legge quanto segue: “Mais cette ligue, qui garantissait la sûreté des Venitiens, ne satisfaisait pas leur haine. La guerre n’était pas déclarée, et dans leur impatience de susciter un ennemi au roi Ferdinand, ils intriguèrent à Costantinople, pour persuader au grandseigneur de venir attaquer les côtes du royame de Naples. C’était une singularité politique assez remarquable, que de voir les chefs d’une ligue dans laquelle était le pape, solliciter les Turcs de s’armer contre un prince chrétien et les appeler en Italie” (Daru 270). Osservazione interessante alla quale segue il rendiconto sulla sciagurata e famigerata missione del Gritti, che non può essere attribuita ad un momento di follia personale. 40 Putignano 19. 41 Sad. 80.09.28 220-223, qui 221. g Certificato del generale Sorange estratto degli annali Veneti del Malipiero, ann. 1480 h Domenico Malipiero – Op. cit. – Cfr. dispaccio dell’oratore estense presso la corte di Napoli, 28 sett. 1480 (Archivio Storico per le Province napoletane).

Vettor Soranzo, Capitanio General, se trovava a Corfù el mese de Zugno (1480 ), a tempo che Turchi erano all’assedio preditto (di Rodi), e fu avisà che doveva uscir da Costantinopoli un’altra armada per intrar in Golfo: onde ’l se ridusse con 28 gaglie a Modon; e stando là, se approssimò l’armada turchesca, la qual ghe42 mandò un Ambassador a domandar el transito per quel canal, e vittuaria per i so danari43 . El transito ghe fu concesso; quanto a la vittuaria, ghe fo ditto che ’l mandasse un legno o due a tuorla, che ghe la faria dar: poi passarono 60 vele44 , 13 sole 42 Dovrebbero bastare questa e altre forme linguistiche facilmente riconoscibili (che qualcuno, citando, ha in parte tradotto in italiano corrente) a sciogliere ogni eventuale dubbio sulla patria di chi ha stilato questo documento. Per una corretta interpretazione dello stesso occorre anche tener presente che nel dialetto veneto è frequente l’esito in z dei suoni palatali: così, quando s’incontra “impaza”, bisogna interpretarlo come ‘impaccia’. 43 Un’espressione simile – ma con una virgola in più che, se non fosse di troppo, denoterebbe, nei turchi, un’evidente sfrontatezza o la consapevolezza di poter chiedere tanto ai veneziani – si trova in Sanudo 167: “Vene uno orator dil Signor turcho in questa Terra, et dimandò a la Signoria porto a Corphù, venendo con la sua armada, la qual andava im Puia a tuor Otranto; dimandò etiam refreschamenti per li soi, danari [. . .]”. Per quanto si possa dire sulla connivenza veneta con i turchi, appare improbabile che questi chiedessero viveri gratis e anche denaro, per l’impresa contro un regno cristiano e italiano. Inoltre, la dichiarazione così puntuale dell’obiettivo, e le voci analoghe che sarebbero circolate a Venezia non solo in aprile (v. Sanudo 167), ma già dal marzo 1480 (v. Sanudo 164), lasciano pensare che questa cronaca non sia sincrona con i fatti narrati, come, ad esempio, i dispacci degli oratori che segnalavano, come vedremo, altre città e regioni tra le possibili destinazioni dell’armata turca. A questa richiesta di fiancheggiamento, che – anche secondo il Malipiero (123) – sembra fosse formulata a Venezia prima che a Corfù, il Consiglio dei Pregadi rispose che non era opportuno congiungere le flotte nel porto di quell’isola, e: “che vituarie non li bisognava, ma achadendoli, si observeria li capituli di la pace” (Sanudo 167). Curiosa, questa nota: i veneziani avrebbero conosciuto le reali esigenze dei turchi meglio dei medesimi. Più avanti (Sanudo 175) è riferita la risposta di Soranzo alla richiesta di “vituarie” da parte della flotta turca: “de lì non ne erra pur per l’armada nostra biscoti”. 44 La cifra indicata dal Malipiero è sostanzialmente confermata da Santo Brasca, un pellegrino milanese in viaggio per mare verso la Terrasanta: “a Corfù [. . .] trovassemo el magnifico miser Victore Soranzoi capitaneo de l’armata de la i Nominato Capitan General da Mar nel 1480 al posto di Antonio Loredan. Forse Brasca aveva già visto Soranzo a Milano nel 1475: “Vidal Lando e Vettor Soranzo, mandadi a Galeazo Duca de Milan per indurlo a contribuir all’impresa contra Turchi scrive: che el Duca i ha incontradi 5 mia lontan dalla città de Milan con 150 cavalli, e gran quantità de gente, andata avanti; ch’el Duca descese da cavallo, subito che i scoverse, e i ha acetai con la beretta in man, e i ha conduti


3.5 Rifornimento in volo

27

cui si promette, l’intenzione di mantenere”47 . Verosimilmente, se le cose fossero andate in altro modo, il cronista, che scriveva a posteriori, ne avrebbe riferito o avrebbe formulato diversamente la sua narrazione. Lo “scetticismo” – cui ricorre lo stesso Fossati per smascherare le “ipocrisie diplomatiche”48 – è senza dubbio fondamentale nell’indagine storica, ma, evidentemente, solo quando non si fonda su una cavillosità che sconfina in ragionamenti di tipo sofistico. La richiesta turca di approvvigionamento pare fosse stata inoltrata ai veneziani molto tempo prima che la flotta ottomana si avvicinasse al Canale d’Otranto (o di Corfù che dir si voglia). Ecco, infatti, cosa scriveva l’oratore estense a Venezia, già Ci fermiamo qui per rilevare come il “General” si alla fine del marzo 1480: tranquillizza quando appura che è veramente OtranIo intendo como questa brigata have del turcho como to l’obiettivo dei turchi. A questi, prima, aveva lui vole fare per tempo novo una potentissima armata promesso i viveri purché andassero a prenderli con per Puia o per Zezilia per la quale lui ademanda a le loro navi. C’è stato chi, in merito a questa rispoquesta Signoria li passi per li soi porti et victuarie. sta del Soranzo alle richieste turche, è arrivato ad Et ultra questo dize che el scrivi como lui vole man“avvertire che altro è promettere e altro non solo dare a Gorfù setanta galee disfurnite et prega questa mantenere, ma avere, anche nel preciso momento in galie, verso la Zeffalonia, e de là in canal de Corfù. El General i seguitò sempre navegando a so vista: quei da Corfù, descoverta l’armada turchesca, hebbe gran spavento; ma cognossuda quella della Signoria poco distante, preseno animo. I Turchi vene al Paxò; e ’l General, per far numero de vele, comandò al Rezimento de Corfù che fesse armar 30 gripi grossi, con 30 fin 40 homeni per un, con obligo de servir per 2 mesi; e che armadi, i andasse a trovarlo. Turchi se levò da la Valona con 70 vele, e andarono alla volta d’Otranto; e ’l General se partì con 60 vele, e ghe andò drio a so vista: e fermadi Turchi a Otranto, tornò al Paxò, dove stete 26 zorni; e in quel tempo sentì bombardar la terra45 d’Otranto; e certificà che l’era presa, tornò a Corfù.46

Signoria con 22 galee molto bene in ordine, el qual capitaneo molto ne dissuadete d’andare inante, dicendo ch’el Turcho era acampato a Rhodi con 350 vele [. . .] et maravegliossi molto che nel nostro passagio a la Valona non restassemo periculati, eo maxime ch’el dì precedente erano passate per lì 64 vele de turchi per andare a ingrossare quela armata de la Valonaj ” (Brasca 59). Anche analizzando questa notizia, appare netta la sproporzione, di cui si è detto, tra le forze destinate all’assedio di Rodi e quelle che avrebbero potuto conquistare l’Italia (nelle pavide previsioni di molti contemporanei) o almeno occupare stabilmente la Puglia (secondo qualche studioso recente, ad es. Rossi 185). 45 Qui, naturalmente, è nel senso di ‘città’ o ‘paese’. 46 Malipiero 130. nel so palazo con gran segno de festa e de onor; e ghe ha portà le chiave della Terra, con dirghe che i dispona del stado, della città e della persona soa a beneplacito della Signoria: e ’l zorno driedo, 25 de Zener, ghe è stà consegnà 30,000 ducati per armar 10 galie; e ha ditto e replicado che volerne armar altretante per questa impresa, a beneplacito della Signoria. Ha fatto K. Vettor Soranzo, e ha donà a tutti do una vesta d’oro e cremesina, con maneghe fodrà de martori” (Annali. . . D. Malipiero, cit., p. 109). j Cfr. Annali. . . D. Malipiero, cit., p. 130: “Vettor Soranzo Capitanio General, se trovava a Corfù el mese de Zugno. . . e fu avvisà che doveva uscir da Costantinopoli un’altra armada per intrar in Golfo: onde ’l se ridusse con 28 galie a Modon e stando là se approssimò l’armada turchesca la qual ghe mandò un ambassador a domandar el transito. . . El transito ghe fu concesso. . . poi passarono 60 vele, 13 sole galee verso la Zefallonia e de là in canal de Corfù. El general i seguitò sempre navigando a so vista”.

Signoria li voglia fare provisione de tute le sartie et altre fornimente necessarie, per le quale cosse questa brigata stano de malissima voglia et subito hano ordenato de fare provisione a Napoli, Gurfù et quelli altri logi de la Morea.49

Qui non bisogna credere che le sartie da fornire ai turchi fossero comprate dai veneziani a casa di re Ferdinando: si tratta verosimilmente della cosiddetta Napoli di Romania, la città greca di Nauplio, situata appunto in Morea o Peloponneso. Lo stesso Malipiero, forse sbagliando mese, scrive che il 29 aprile è zonto qua un altro Ambassador del Turco, e ha domandà porto a Corfù e vittuaria per i su danari, per besogno dell’armada che ‘l manda contro el re Ferando de Napoli, chiamado da lui per inimigo comun. Ghe è stà resposo, che la Signoria se trova in pace con ogn’un, e che per addesso no se puol satisfarlo.50 47 Fossati, Sulle cause 14-15.

48 Cfr. Fossati, Sulle cause 9: il riferimento delle “ipocrisie”

è alle congratulazioni dopo la liberazione di Otranto riportate in Romanin 397. 49 Cor. 80.03.27b 56. 50 Malipiero 123. “Quantunque il Malipiero dichiari che il Senato rispose al messo esser la Signoria in pace con tutti e non poter soddisfare alle domande del Sultano, tuttavia la condotta del nuovo capitano generale Vettor Soranzo, che, trovandosi a Modone colla squadra, concesse il passo


28

Cui profuit? – Sugli incerti confini tra gli schieramenti

Perché a luglio si poté soddisfarlo? Era forse cambiato il grado di inimicizia con qualcuno? Ed ecco la strategia che doveva seguire il capitano generale, come appare da una lettera del Cortese di un mese prima:

vero che “compongono una linea politica che torna ad onore del senno veneto”54 , perché tali ansie si riscontrano solo nel settembre 1480, dopo l’incursione sul Gargano55 , cioè quasi a metà del veneziano “golfo”. In laguna la “brigata” (come il Cortese chiama collettivamente gli oligarchi veneti) cominciava [. . .] Veda de havere tuti li navilii che lui pò et quelli ad aver paura per la propria incolumità domestiarmare et tenerlli in ordene, et stare ben provisto, ca, e se la prendeva con “i ritardi napoletani nel et havere mente a quello che farà questa armata del provvedere a respingere l’aggressionek ”56 . E dopo

Turcho et se quella se adrizasse ala volta de Rode che lui non se ne impaza ma lassi fare a cui la tocha. Se anche la andasse ala volta51 de la Puia dove la pare che sia el suo designo de andare praesertim perché el cap.o del Turcho è ala Valona, similiter che lui la lassi andare et che el non se impaza de nulla. Ma che se la volesse fare novitade in logo alchuno de questo dominio che el se ge deba opponere et farge tute le resistentie a lui posibille perché qua tuta via se arma et manderàsege de qua nove galee et altri navilii per quanto se porà.52

3.6

Una conclusione non consequenziale ad un’analisi obiettiva

Non si può concludere questo capitolo senza confrontarsi con il fondamentale studio monografico che il Bombaci ha pubblicato circa mezzo secolo fa sul ruolo di Venezia in questo conflitto. Non pregiudizialmente colpevolista o innocentista sulle presunte responsabilità veneziane nella spedizione turca o su eventuali connivenze di fatto, il Bombaci, a differenza di altri, esprime un giudizio sfumato e aperto, non rinunciando, laddove opportuno o inevitabile, al beneficio del dubbio. Vedremo, pertanto, soltanto alcune osservazioni che suscitano qualche perplessità. Così, rilevare che: “Ben edotta dei proponimenti ottomani la Repubblica ne tenne all’oscuro la vittima predestinata”53 , dopo aver narrato delle iniziative dei diplomatici veneti a Costantinopoli, è estremamente riduttivo o, se si vuole, equivale a scoprire l’acqua calda (o l’America, e ne parleremo a breve). Come pure, le “apprensioni dei Veneziani per gli sviluppi dell’impresa turca” non è all’armata turca e la rifornì di viveri, sembra che contraddica alle parole del Malipiero” (Manfroni 114). L’importante era aver risposto ufficialmente di no. 51 Il meno comprensibile “la dasse de volta” è in Foucard 128, oltre a qualche altra piccola omissione. 52 Cor. 80.03.29 58. 53 Bombaci 187.

54 Bombaci 189.

55 “Questo zorno è venute nove qua como parte de quelli

turchi de Puia sono, per hlai via de mare, venuti in Abruze ad una zità la quale se giama Bestichlei et quella hano brusata, sachomanata et menato via et morte de molte anihme,i su che pur qua molto se mormora et stasse sopra pinsero, et parlasse brutamente de la ma.tà del S. Re, cum dire che soa ma.tà ha perso lo inteleto et non fa provisione alchuna a questa cossa, ma che el pare insensato, perché zercha el fare de le provisione, hozi dize volere fare una cossa, e poi subito se muta de pinsiero, et non sta in ferma opinione zircha el delibrare quale provisione l’abia da fare” (Cor. 80.09.07); traggo le integrazioni in parentesi dal Foucard (133-134) che forse leggeva un foglio ancora integro sul margine destro. Come si vede, a Venezia, dopo aver venduto o fornito le vettovaglie ai turchi, si inveiva contro il re di Napoli che non si sbrigava a respingerli! Per quanto concerne il toponimo “Besticle”, il Foucard (134 nt. 1) lo identifica con “Viesti” (oggi esiste Vieste); ma, per il Bausani (177 e 178) il similare “Beştiçe”, nell’opera di poco successiva del cartografo turco Pı̄rı̄ Re’ı̄s, dovrebbe rappresentare la vicina Peschici. Nel merito, l’episodio fu riferito in modo particolareggiato dal commissario del duca di Bari, che era la fonte più vicina e che sembra riferirsi a Vieste: “Partironsi 50 velle quale veneno al Monte S. Angello, et non fecino prova de smontare in loco alcuno, salvo a Biesti sul monte elquale trovarno deshabitato, pur se teneva la rocha, brusorno la terra, et certi vechi et amalati che trovarno amazorno. In reditu smontorno fra Trani et Malphetta, et brusorno una bella giesia, el stracio et vituperio che fecino a quelle figure et crucifixi et cossì per tuto non ardisco narrarlo. [. . .] Lo obietto de la venuta loro al Monte, oltra al tentare, se li reussiva qualche bon tracto, como seria senza fallo reuscito se non se fussino imbattute d’essere le gente d’arme per la riviera maxime a Manfredonia, estimo fusse per divertire el Duca de Callabria, quale era giunto a Taranto più di dal impedir loro, persuadendosi forsi chel se fusse conducto col exercito che è suso l’altro mare, Taranto longe da Otranto per terra 48 miglia, et dare quella straccha ale zente d’arme, le tardorno alquanto al venir presto a Leze. Tornate dicte 50 velle nel porto de Otranto mai sonno discorse in altre parte per timore de peste, non hanno || lassato terra nulla. Immo potius per volere attendere a tenire Otranto, altro non teneno né meno l’isola de Tremito” (Com. 4-5). Da segnalare come la distanza di Taranto da Otranto nel ms. era stata inizialmente indicata subito dopo la prima occorrenza del nome della città jonica, ma è stata cancellata con un tratto orizzontale di penna per essere reinserita con un richiamo innaturale. 56 Bombaci 189. k Lettera del 7 settembre 1480 di A. Cortesi ad Ercole I, in


3.7 Una lega invincibile

29

aver tenuto, nella migliore delle ipotesi, un atteggia- I. Fu un altro e coevo Ferdinando d’Aragona, il mento di benevola neutralità nei confronti di quella Cattolico marito di Isabella di Castiglia, a dare il spedizione. . . via a un’impresa, non ostile nei confronti di Venezia, ma che nei secoli seguenti le avrebbe sottratto i In conclusione, il Bombaci scrive: commerci, i guadagni e il potere. L’ideatore e il protagonista di quell’impresa in Spagna era chiamato Tutta la condotta politica veneziana in occasione dell’impresa ottomana appare chiaramente ispirata Cristobal Colòn, ma, storici spagnoli a parte, è giual concetto di porre di fronte i due imperialismi che dizio condiviso che fosse nato in un’altra repubblica la minacciavano o le si opponevano, facendo sì che marinara italiana. si logorassero e neutralizzassero reciprocamente, ma evitando che l’uno prevalesse in maniera decisiva ai danni dell’altro.57

3.7

Una lega invincibile

Eppure. . . Ci sono degli elementi che indicano Una simile interpretazione eziologica della spediuna certa complessità di atteggiamenti nella politica zione ottomana si arguisce anche dalle dichiarazioni estera veneziana che non si può interpretare solo in di un diplomatico turco venuto a Foggia per le tratchiave antiaragonese. tative di pace58 . Se questa, dunque, è la più corretta chiave di lettura della condotta politica veneziana in L’altro zorno nui ve scrivessemo circa i movimenti quella circostanza, appare chiaro che essa fu ispirata del Brazo de Mayna quello ne apparse esser necessario. e inficiata da un grossolano errore di valutazione, [. . .] voiando et comandandovi [. . .] dechiariti el vero del successo dela cossa, come anche dela volunta et perché non c’era assolutamente paragone, non solo ferma disposition nostra ala conservation dela pace sotto l’aspetto della consistenza e delle dimensioni, nostra, redugando in memoria tute le demonstration ma nemmeno tra l’efficienza bellica, la compattezza et segni facti per nui de cotal nostra mente et dispoe le disponibilità economiche dei due stati che Venesitione, et confirmando cussi esser invariabilmente, zia voleva contrapporre. Il regno di Napoli, infatti, contra la qual intenzione et volonta questo traditor non faceva più parte di una forte e considerevole del Clada ha fato cotal movimento, ma speremo che compagine statale comprendente anche l’Aragona, fino a questo zorno sara mal capitato o male capitera la Sicilia e la Sardegna, come ai tempi di Alfonso in ogni modo, per le provixion che el Signor Turcho 57 Bombaci 195.

58 A guerra finita si scoprirono gli altarini: “Questo ambas-

satore del turcho [. . .] narra chel suo Sig.re è male d’acordo cum venetiani, et maxime perché persuaseno al gram sig.re chel facesse guerra ad questo S. Re certificandolo che questo S. Re non poteria defenderse, et che non poteria mai armare più che octo sino in X galee, et che se pure fosse aiutato et advenesse chel se defendesse, che loro ala aperta pigliariano la impresa cum lui contra el Re” (Sad. 81.09.29a 93-94, qui 93). Altro che adesione di Venezia alla crociata contro Maometto II! Questi, tuttavia, aspettò invano l’aiuto promesso: “ha speso tanto et mortogli tante persone et non hano facto né mantenuto cossa che habiano dicto” (ibidem). . . a parte le vettovaglie fornite dal generale Vittor Soranzo e i favori vari elargiti da altri “zelanti” veneziani, come li chiama lo stesso Piva (II. 450). D’altra parte, secondo qualcuno: “il fare concessioni alla Mezzaluna costituiva già da molto tempo un imperativo della saggezza e dell’abilità politica non solo di Venezia, ma anche di Napoli e, come ora si vedrà, della repubblica di Firenze” (Babinger 418). Ma Napoli mandò due grosse navi in soccorso di Rodi assediata dai turchi proprio mentre un’altra armata ottomana si concentrava di fronte alle sue coste; l’affermazione dello studioso tedesco non sembra potersi riferire a questa fase dei rapporti tra il regno di Napoli e l’impero ottomano. Foucard cit., 133-134. Si veda pure D. Malipiero, cit., 131.

avea facto, contra lui cum le forze sue. [. . .] et dechiarir el bon animo nostro e disposition al conservar dela pace, non lassate cosa che dir per vui se possi, perché non porete dir tanto che cum effecto non sia piu.59

Esortazioni di questo genere tradiscono, al di là di qualunque sospetto di malevolenza, la paura che a Venezia si nutriva nei confronti di una possibile ripresa del conflitto con i turchi. Lontani dal pensare ad alcuna revanche, i patrizi veneti accettavano quella dura pace – che aveva comportato perdite territoriali e il soggiacere al pagamento di un tributo – come il male minore. Anzi si può addirittura scorgere un’ingenuità nell’aggrapparsi a quella, ripetiamo, dura pace senza dissimulare la propria strategia nemmeno nei rapporti con il vincitore di quella guerra, che poteva dedurne una perdurante condizione di debolezza nello sconfitto. In effetti, 59 Sathas 275, ‘Cancellaria secreta’ doc. 188. “1480, die VIII Januarii”, lettera indirizzata a “Ser Nicholao Chaucho oratori nostro, et Baptiste Griti baiulo nostro in Constantinopoli”.


30

Cui profuit? – Sugli incerti confini tra gli schieramenti

fino ai primi del Settecento, quando entrambi i rivali imboccarono la via della definitiva decadenza, quasi sempre Venezia dovette ripiegare davanti agli ottomani. Ma, come si è già visto a proposito della differente attenzione dedicata dal Navagero (o da chi per lui) alla caduta della veneta Scutari e a quella di Otranto, al di là della paura (cattiva consigliera e istigatrice alla prostrazione nei confronti dei turchi), emana da tutti gli ambienti lagunari un livore verso gli aragonesi di Napoli che non si spiega con la medesima paura, ma solo con la consapevolezza che il regno meridionale – dopo la pace di Lodi che ridimensionò ruolo e ambizioni del ducato milanese – nella seconda metà del XV secolo rappresentasse l’ostacolo principale all’instaurazione di una egemonia veneta sulla penisola; un livore e un astio che non si estinguevano neppure nel secolo successivo (quando scriveva il Navagero o chi per lui), dopo che quel regno ormai era stato assorbito da una compagine statuale molto più estesa. Sulla dibattuta questione del ruolo equivoco ricoperto da alcune potenze italiane, e in special modo da Venezia, nel conflitto di cui ci stiamo occupando, sembra, pertanto, potersi concludere che una paura dei turchi manifestata senza pudore si saldò con una rivalità cronica ormai degenerata in rancore verso gli aragonesi di Napoli, formando una lega saldissima che sostenne la politica veneziana dai prodromi fin oltre la conclusione di quella guerra, come vedremo seguendone lo svolgimento.


CAPITOLO QUARTO Preparativi militari §4.1 La flotta a Valona, 31 • §4.2 Il presidio otrantino, 32 • §4.3 Chi temeva. . ., 33 • §4.4 . . . e chi sapeva, 35 • §4.5 La lunga attesa, 36 • §4.6 Il protagonista dell’invasione turca, 37.

4.1

La flotta a Valona

fia; per quanto sia dunque abbastanza conosciuto, essendo stato citato probabilmente da tutti coloro La prima notizia che sulla vicina costa albane- che si sono occupati di questa guerra, non si può se si stessero concentrando forze navali e terrestri fare a meno di ripresentarlo, specialmente avendo (per dirla in termini moderni) arriva a Napoli, o l’opportunità di trascriverlo per lettura diretta. meglio è diffusa da Napoli, il 14 maggio 1480: è Per quanto se pò ritrare, el Re pare molto volto al una data importante, con la quale, da un punto pacificare et fugire la roptura, et sta molto in suspecto di vista storiografico, si apre la pubblicazione delle del Turcho ilquale se dice ha XX.m persone a la Valona lettere degli oratori estensi da parte del Foucard. È per voltare verso Puglia. Et teme li movimenti de una data a partire dalla quale un primo allarme si Zenoa dove stima niente de stabile, et anche la venuta diffonde per le numerose e variamente interessate del Duca de Lorena1 gli dà che pensare: unde dove si corti italiane, un segnale che una guerra vera, anzi ragiona de cosa che tenda a quiete, gli presta grande una guerra senza regole e senza pietà potrebbe da audientia.2 un giorno all’altro interpellare uno o più di quei principati e signorie, che sovente si cimentano in Ferdinando d’Aragona, re in Napoli della cosidmodesti conflitti delegati alle mercenarie compagnie detta Sicilia al di qua del Faro (di Messina), in di ventura e ai loro infidi capitani. La mina ottoma- questa lettera appare parimenti preoccupato delle na, è vero, potrebbe anche deflagrare, ed è temuta, rivendicazioni di parte francese sul suo trono e di nella dalmata Ragusa, città-stato spesso soggetta a una armata turca che si sta radunando a Valona; qualcuno dei suoi ingombranti vicini, cosmopolita e e, nella prima delle due lettere scritte dal Sadoleto mercantile per vocazione, Venezia in scala ridotta e in qualche modo partecipe della cultura italiana. 1 “Loreno” nel documento. A diffondere la notizia in Italia è il principe degli 2 Sad. 80.05.14b 24-25, qui 24. È la seconda lettera in oratori estensi, e non solo per la gran mole della sua tale data (“hora 3. noctis”) firmata da “Sedulus”, occupa corrispondenza, Nicolò Sadoleto, che la comunica la seconda metà della prima pagina e buona parte della ed è vergata con una grafia più minuta e curata al suo duca Ercole d’Este. Si tratta di un docu- seconda, di quella che troveremo in quasi tutte le lettere successive mento fondamentale, come si diceva, anche se tale (alcune centinaia) dove la firma più comune è invece “Servus apparirà soprattutto nel seguito e nella storiogra- Nicolaus Sadoletus”.


32 in questo giorno, si coglie un’espressione inedita, che ritroveremo nel citatissimo allarme lanciato dai brindisini qualche giorno dopo: “Il S. Re [. . .] dubita assai del Turcho”3 . Quindi l’armata turca è vista sulle coste albanesi una decina di giorni prima che inizi l’assedio a Rodi (23 maggio) e ben due mesi e mezzo prima dello sbarco sulle coste salentine. Sui motivi di questa dilatazione dei tempi si può avanzare più di una ipotesi verosimile; quel che si può dire con certezza è che, dopo aver spaventato diversi stati e comunità locali per tanto tempo, alla fine il maglio turco colpì quasi di sorpresa nella città che, almeno per la sua vicinanza, doveva apparire da subito come la più esposta a quel rischio. Anche nella più seria cronaca scritta in quella città, vale a dire nella Historia del Lagetto, seppure per il mezzo di una dichiarata tradizione orale, si coglie il notevole differimento di quella spedizione rispetto ai preparativi, datati alla prima settimana di giugno. Molto è stato scritto sull’intento, nei cronisti otrantini, di scagionare il re di Napoli dalle accuse di imprevidenza: se lo avessero fatto deliberatamente, avrebbero potuto indicare una distanza temporale maggiore tra il concentramento delle forze turche e lo sbarco; prendiamo atto che non è così, anzi, forse casualmente, è esattamente il contrario perché nella cronaca lagettiana la dilazione dell’impresa turca si riduce di una ventina di giorni. Nel frattempo il viaggiatore Santo Brasca vide da vicino la flotta turca:

Preparativi militari ritrovassemo tanto vicini a la Puglia che chiaramente scopersemo lo porto de Leza chiamato San Cataldo, sottoposto al serenissimo re Ferrando.5

Non possiamo fare a meno di notare, a proposito di questo superlativo convenzionale in riferimento a sovrani e poi divenuto appannaggio fisso di una repubblica, come la serenità del re secondo alcuni si connotava di sconsideratezza.

4.2

Il presidio otrantino

Il presidio – si parla di 400 fanti nella Relazione d’Acello6 mentre il Lagetto riferisce di cento fanti e cinquanta “lance”7 – qualunque fosse la sua consistenza, sembra se la squagliasse ingloriosamente alla vista della flotta di Achmet: il messaggero, al quale il re dimandò delli soldati, che vi erano posti per ordine del Viceré, rispose, che la notte medesima doppo arrivata l’Armata se ne fuggirono, calandosi dalla muraglia con le zuche; domandò Sua M. che cosa erano zuche, dissero quelli Signori ch’erano presenti, che in Terra d’Otranto si chiamano zuche certe funi fatte d’erba, e giunchi, con le quali si cava l’acqua dalli pozzi.8 5 Brasca 59.

6 Pubblicata e così denominata da D. Moro in Otranto nel 1480-81. Due preziose fonti, fra le più antiche, mai fino ad oggi ritenute come tali; al posto dell’abbreviazione da me adottata, riporto per una volta il titolo intero per sottolineare che esso è molto preciso, dal momento che quelle fonti non erano inedite e nemmeno sconosciute in zona: la Giobia 22 iunij, prosequendo al nostro viagio [. . .] prima, infatti, era stata pubblicata agli inizi del Novecento scopersemo le montagne de la Valona posseduta dal (v. Panareo, Una relazione). Alle segnalazioni dei brindisini sull’armata turca che si concentrava in Valona, “Sua MaieTurcho, in la qual Valone v’erano cento vele del dicto stà respose che stessero sicuri e non dubitassero de’ Turchi e 4 Turcho. mandò in Brindisi il signor Tomaso Filomarino e messer Giovanni da Cremona con cinquanta cavalli, in Otranto il signor “Giobia” è da intendersi come “giodìa” e quindi Francesco Zurlo, barone napolitano, il signor Giovanni delli ‘giovedì’, in accordo con il calendario calcolato. Il Falcuni, barone tarantino, con quattrocento fanti” (Moro, Due preziose fonti 150). giorno seguente, a causa di un forte vento di sci7 Si indicava col termine di “lancia” una unità da combatrocco, la nave che trasportava i pellegrini dovette timento composta da un cavaliere corazzato ed armato di procedere a zig-zag e quindi, invece di continuare a lancia, accompagnato da uno scudiero e da un paggio, ancosteggiare la costa albanese, si ritrovò in vista di ch’essi a cavallo, ma che generalmente non partecipavano al combattimento (esisteva anche la “lancia spezzata”, senza il quella salentina, che non si scorge da lontano perché paggio). 8 L55 83. È stata ipotizzata l’origine del termine che incuè molto bassa (la humilis Italia virgiliana): riosì il re nel verbo greco “zeugnuo o zeugnumi, che dà l’idea Venere 23 iunij, sempre agitati dal ditto vento con- di allacciare, legare” (A. 129 nt. 15). È un termine tuttora trario, andassemo continuamente orzando, ita che se in uso, ed esiste un curioso modo di dire: “scire de retu a’ retu comu li zucari”, vale a dire, camminare all’indietro co3 Sad. 80.05.14a 24. Nella prima metà di p. 24 figura la me gli allacciatori di queste funi, quindi come i gamberi; in lettera scritta nella prima ora dopo il tramonto. senso traslato indica una situazione che regredisce o peggiora 4 Brasca 58. invece di progredire.


4.3 Chi temeva. . .

33

È stato ipotizzato che i soldati del presidio, ori- dall’oratore estense a Venezia: ginari della provincia, si defilassero per accorrere a [. . .] Heri sera arivò uno navilio, el quale è venuto in XI difendere le proprie famiglie dalle incursioni dei turgiorni da Salonich10 , et porta como l’armata del Turco chi che erano già iniziate anche prima che si ponesse se ne vene batendo ala via de qua et dela Puglia; et l’assedio a Otranto. Atteggiamento umanamente sonno, como portò il grippo passato, da trecento vele, comprensibile; né è da dire che difendendo la città et dice che hanno visto una litera la quale scriviva avrebbero impedito dette incursioni, che, appunto, quelli da Taranto al locotenente dela m.tà del S. Re per avvenivano lo stesso; atteggiamento verosimile, ma la quale dicevano che el giorno sequente aspectavano che contrasta con lo sdegnoso rigetto delle condil’armata del Turco, et credevano più non li potere zioni di resa proposte da Achmet, di cui parleremo. scrivere: dela qual cosa tutto quello paese tremava.11 Non sappiamo, però, se questo rigetto fosse condiQui le espressioni sembrano esagerate non solo viso dalla popolazione, o se fosse dovuto a qualche perché si rappresenta una legittima preoccupazione eroico comandante. in forma di panico, ma anche per la prospettata e inverosimile imminenza del pericolo: e il pericolo 4.3 Chi temeva. . . reale era di fare la fine del pastorello non creduDicevamo che, con le voci sulla concentrazione di to nella favola. Lo stesso oratore, dopo un altro una grande armata turca a Valona, si registrava la mese, segnalava che l’ondata di panico era ritornapaura, che in diverse città si diffondeva, di essere l’o- ta in Adriatico, abbattendosi stavolta sulla costa biettivo di quella spedizione. Come abbiamo visto, dalmata: le preoccupazioni dei brindisini riferite dalla Relazione d’Acello figuravano già nelle lettere dell’oratore estense Nicolò Sadoleto; era proprio da Brindisi che erano stati segnalati a Napoli consistenti movimenti di truppe e di navi turche nella baia di Valona, e il re mandava subito rinforzi per tranquillizzare la popolazione:

Et perché quelli de Brince dubitano del Turcho et hano mandato i cavallari in freza, hogi el Re gli ha mandato molte artigliarie et fanti più tosto per satisfare a quelli homini, che per instante necessità chel creda essere perché crede sia nominanza trovata et saltem sollicitarà.9

[. . .] Quella armata dala Valona pare che se prepari de molti cavalli. Tense per fermo l’habia ad andare a Ragusa, per modo che ragusei teneno quasi haverla a casa, et sònose sforzati fare le provisioni possibile de redure nel loro porto tutti i navilij grandi et picholi hanno poduti havere atti a fare la diffesa et offesa.12

D’altronde certe manovre delle navi turche proprio in direzione di Ragusa non potevano sfuggire ai più assidui frequentatori dell’Adriatico, che rivendicavano anzi come proprio golfo (ma non quando vi navigava una flotta militare ottomana): Io intendo como l’armata dil Turcho, la quale doveva andare ala Valona, se è messa insieme cum quella la quale era lì ala Valona, per modo che sono in questa hora da vele cento trenta et quattro galie cum due palanterie sono intrate nella Boiana per torre le bumbarde grosse da Schutare: non se sa mo quello habbia affare questa armata.13

Probabilmente i messaggeri a cavallo mandati in fretta dai brindisini erano arrivati da qualche giorno portando la notizia segnalata dall’oratore già il 14 maggio, quando il re sembrava più preoccupato, forse perché si era trovato bruscamente davanti alla prospettiva di un’invasione inopinata e che, rifletIn quel tempo (metà luglio) Ragusa era ritenuta tendo, riprendeva a considerare immotivata e quindi un obiettivo certo anche a Firenze: improbabile contro il suo regno. 10 Corretto da “Garipoli”, Gallipoli in Tracia, tra Salonicco Un mese dopo, analoghe preoccupazioni erano espresse da Taranto, secondo quanto riferito e Costantinopoli. È interessante leggere il racconto del viaggio avventuroso di questo messaggero in L55 82-83. A parte le iperboli finali sulla strada fatta, camminando e senza sosta fino a Napoli, il fatto sembra verosimile, pur nella sua avventurosità. 9 Sad. 80.05.18 29-30, qui 30. Il nome del porto salentino è corretto in “Brindese” dal Foucard (80).

11 Cor. 80.06.15. 12 Cor. 80.07.15.

13 Cor. 80.07.07: sono due le lettere con questa data dell’o-

ratore estense a Venezia, una minuta più lunga, e questa in bella grafia con solo un altro brano di tre righe; non c’è modo di distinguerle con la numerazione archivistica che marchia con un “2” tutte le missive del Cortese tra il giugno 1480 e


34 [. . .] Anchora se intende che l’è vero la armata del turcho andava a Ragusa et tenese, se li va, obtenerà Ragusa.14

Ed era già un ridimensionamento della notizia che circolava pochi giorni prima: [. . .] Se ha da poi una novella più inanti che, per lettere de mercatanti qua, se ha da Bareleta como era arivata la armata a Ragusa et meso el campo.15

E in questo caso è d’obbligo chiedersi se si trattasse di psicosi o di voci messe in giro ad arte. Bari, intanto, che dal 1479 era infeudata agli Sforza di Milano, ivi rappresentati da un commissario, a metà giugno riceveva un rinforzo di armati16 ; mentre re Ferdinando, come abbiamo visto, aveva mandato fanti e artiglierie a Brindisi più per rasserenare i suoi sudditi che per premunirsi contro una invasione che riteneva improbabile. Solo il primo luglio a Napoli si apprendeva che i turchi stavano assediando Rodi con forze ingenti, e si scatenava la fantasia nel pronosticare la meta di quelli di Valona, come segnalato a Ercole d’Este dal suo oratore presso il re:

Preparativi militari nel puo20 ad sua posta. Questo sig.re Re se lassa dubitare et scrive caldamente al papa, et heri fo in consiglio cum li suoi baroni, et questa matina ho inteso che hano concluso mandare soccorso ad Herodi, quatro nave grosse et XXVI galee, et andaragli el grande almiraglio che è el principe de Salerno, et molti baroni. Et questa spesa parte la paga la m.tà del Re, parte li baroni, parte li preti et parte li cavaleri de Herodi de questo Reame. Se crede pure chel papa vorà fare anche lui parte del debito suo.21

In mancanza di informazioni carpite al nemico, era naturale aspettare l’attacco turco non tanto in Val Padana quanto in tutte le località pugliesi e dalmate; nel frattempo, comunque, si pensava di soccorrere Rodi, dove gli ottomani erano già all’opera con le loro devastazioni dalla fine di maggio22 . In attuazione di questi propositi, il re Ferdinando, il 27 dello stesso mese, mandava un migliaio di uomini su due grosse navi in soccorso di quell’isola lontana (che non faceva parte dei suoi domini e non rientrava nemmeno nell’area di possibili protettorati); questo può dare una misura di quanto poco ritenesse opinabile un attacco al suo regno, che avvenne il giorno seguente23 secondo la maggior parte Io credo che v. ex.a habie inteso per la via de delle fonti. Questo è un elemento fondamentale Venexia como ad Herodi17 è l’armata del turco cum nella vexata quaestio sulla presunta imprevidenza centotante18 velle et cum 14 bombarde grosse, et che octantamilia turchi sono smontati nel’isola. Et como quindexe galee grosse de le sue et trenta palandarie et molte altre galee sottile sono nel golfo ala Valona, et credesse che andarano a Ragusa, ma potrebeno venire in Puglia et andare anche altrove, anci me dice el s. secretario che anche potrebeno venire ali damni de v. ex.a et fosti19 el primo, perché poteriano intrare

20 Così nel testo ad indicare il Po (cfr. Foucard 81 nt. 1). Risalendo il fiume, intorno al cui tratto finale dominavano gli estensi, i turchi potevano penetrare nel cuore del Settentrione italiano. 21 Sad. 80.07.01 73. 22 “Altro non se ha de nuovo qua, se non che heri venne uno grippo elquale porta como a Rhodi pur fanno gran damno i turchi, et dì et nocte bombardano da tre lochi: da la Zodecha, da san Nicolò et dala porta; et fanno male asai cum quelli il settembre del 1481. Le pagine delle precedenti tra quelle mortali, et hanno buttato una gran quantità de muro per inerenti questa guerra e i suoi prodromi (marzo 1480) recano terra da quello canto de la Zudecha. Quelli dentro fanno gran repari et diffesa, et ogni giorno escono fora ala scaramuza, invece i numeri tra il 55 e il 59. Il fiume Bojana nasce dal lago di Scutari e sfocia nell’Adria- et insino a qua hanno morti molti di quelli turchi; et anche tico; oggi scorre in territorio albanese nel suo tratto iniziale, de loro n’è stato morti et guasti, per modo che el ge n’è per tutti, Dio li adiuti. Dicese pur sollicitare lo armarse dua navi e poi segna il confine dell’Albania con il Montenegro. 14 Mon. 80.07.14 115-116, qui 116. zenoese per la S.tà del papa, et due altre per la m.tà del S. 15 Mon. 80.07.09. Re de Napoli per socorrere quello locho, et essere conducto 16 Alberto Cortese scriveva da Venezia: “[. . .] L’imbassatore Villamarino cum galie XIIIJ” (Cor. 80.07.15). 23 Il Fossati, a proposito della medesima invasione, ipotizmilanese [. . .] li ha dicto, como sue ex.tie mandano ala Terra dello ill. s. Lodovico duca de Bari certa quantità di fanti per zava che “l’imprigionamento di alcuni turchi con la negata resecurtade di quello locho da turchi, li quali per sua comodità stituzione di una donna, e, anche, l’invio degli aiuti a Rodia per portare le loro arme forse verrano per acqua” (Cor. poterono offrirne i pretesti” (Fossati, Sulle cause 21). Confrontando le date, si direbbe che nemmeno nell’attuale epoca 80.06.19). 17 Si noti la forma strana del toponimo, che, evidentemen- del cosiddetto villaggio globale una rappresaglia avrebbe pote, ancora non era molto menzionato, tanto da risentire di tuto essere così tempestiva, se le navi napoletane partirono (e non sorvoliamo sul significato di questo verbo) per Rodi il 27 reminiscenze bibliche. 18 “Cento trenta” nella trascrizione del Foucard (80). 19 “Forsi” in Foucard 81. a Cipolla, op. cit. pag. 604.


4.4 . . . e chi sapeva del re di Napoli nel difendere le città del suo regno dall’armata turca: chi in buona fede e con i mezzi di discernimento a disposizione ritiene che è una delle proprie città l’ignoto obiettivo di un comandante straniero, può sbagliare nel localizzare la città da difendere con le forze migliori, ma certamente non si priva nemmeno del più piccolo vascello, altro che di due “grosse nave”. Se si trascura questo elemento, è inutile continuare a discutere di aspetti del tutto marginali sull’argomento, ed è ingeneroso bollare come servile qualche cronista posteriore per la sua presunta intenzione di difendere una dinastia ormai impietosamente travolta dagli eventi e già resasi “tributaria delle Parche”. D’altra parte, se consideriamo che Rodi era di fronte alle coste anatoliche, quasi una enclave marittima nell’impero ottomano, mentre il regno di Napoli – che non era una piccola isola – si trovava al di là della penisola balcanica, ancora non interamente conquistata, tanto che si temeva un attacco turco alla città di Ragusa in Dalmazia, il reame napoletano, dunque, poteva apparire come un obiettivo non immediato di Maometto II. La stessa “scorreria di quindici fuste nemiche con la cattura di un centinaio di persone strappate alle coste pugliesi” cui si riferisce il Panareo, più che “aprirgli gli occhi”24 (a re Ferdinando), poteva essere una conferma del tipo di interessi e di mire che i turchi nutrivano nei confronti del suo regno, in perfetta continuità con le spedizioni che da secoli i pirati saraceni compivano ai danni dell’Italia meridionale. Lo stesso Cortese, nel riferire di questa scorreria, attribuiva alla signoria veneta una sovrastima delle forze turche in Valona a scopo di terrorismo psicologico: [. . .] Quindici fuste turchesche sono corse nella Puglia, et hanno menato via da cento anime, né pare questa armata sia grossa como divulga questa brigata, la quale fa questa voce grande a suo modo, per qualche suo disegno et terrore delli vicini, non altro.25

35 In questo modo, però, si rischiava anche di sottovalutare il pericolo di una vera e propria invasione; è preferibile, poi, non avventurarsi più di tanto sui machiavellismi che avrebbero dovuto indurre la “brigata” veneta a diffondere una stima più alta sulle forze turche: se, come alcuni dissero già da allora, Venezia aveva incoraggiato Achmet e confidava nel suo assalto contro la Puglia, avrebbe semmai dovuto favorire l’effetto sorpresa ridimensionando le voci sui preparativi ottomani; se la “brigata” faceva il contrario, vuol dire che non riteneva probabile la caldeggiata invasione, e cercava di cavarne almeno la diffusione di un qualche spavento presso la corte napoletana.

4.4

. . . e chi sapeva

In tutta Italia si facevano illazioni, mentre nei domini veneti in Grecia si conosceva già dai primi di maggio la destinazione dei turchi che si radunavano a Valona: Serenissimo Princeps [. . .] mandai uno messo a Negroponte con una lettera a quel flambular26 [. . .]. Per il detto messo a bocha hebi, esser zonta a Negroponte in questi zorni una fusta da Constantinopoli, la qual porta comandamento al flamburar preditto chel facesse far una crida che tutti quelli nostri Turchi, come Cristiani che vora andar sopra l’armata del Signor con suo pagamento, se debia metter in ordine, la qual si mete per uscir fuora per la luna nova prossima futura27 , et cussi fece per proclamar il detto flamburar, che comuniter tutti dicono che parte de ditta armata die andar a Rhodi; capitano sopra quella un Bassa zovene Greco, nominato Messeh Bassa, et preterea die andar a la Valona, ad unirsi con quella se prepara li, là dove za è andato Achumat Bassa capitano de quella per metterla in ordine, et devesi voler andar in Puglia. [. . .] || Die IIII Maii 1480.28

Una rondine non fa primavera, ma due possono anche fare i rondinini; la destinazione è confermata luglio, e quelle turche sbarcarono nel Salento il giorno dopo: siamo a livelli di lettura del pensiero, o di servizi di intelligen- dopo alcuni giorni:

ce mostruosamente efficienti! Se poi consideriamo la cronologia dei preparativi, appare ancora più evidente che non si può parlare nemmeno di “pretesti”: la notizia dell’attacco turco a Rodi, infatti, arrivò a Napoli il primo luglio; ma, anche se, con mezzi inesistenti all’epoca, fosse arrivata in giornata (vale a dire il 23 maggio), i semplici propositi di inviare una flotta napoletana nell’Egeo sarebbero stati sicuramente successivi alla concentrazione di navi e truppe turche a Valona. 24 Panareo, L’invasione, I. 131. 25 Cor. 80.06.18.

26 “I «flambulari» dirigevano le forze militari del loro distretto, davano ordini alla polizia, vegliavano sulla sicurezza pubblica e provvedevano alla regolare e puntuale riscossione delle tasse” (Babinger 479). Il termine è presente talvolta nei documenti del tempo con qualche variante (“flamolar”). 27 Il documento porta la data del 4 maggio 1480: la luna nuova “prossima futura” sarebbe stata tra il 9 e il 10 maggio. 28 Nauplio 135-136.


36

Preparativi militari

Serenissimo princeps [. . .]. [. . .] etiam a la Valona se prepara armada, et de qua va a la Valona galie 20, et parandarie 20, dicesse andera a danno dela Puja. Iddio governi il tutto; de questi vostri intenderette altre particularita. [. . .] Die 21 Maii 1480.29

Ed ecco la terza rondine, con indicazione di una flotta che diventa sempre più cospicua e minacciosa, corrispondente come numero complessivo di navi, in questo periodo di inizio giugno, a quanto ripreso nella citata annalistica veneta: Serenissimo Princeps [. . .] per questa significo a Vostra Excelentia, che divulgandose variamente l’armata del signor turcho, la qual vien verso queste parte, per andar a la Valona, ut publice audivet, vogliando io haver il tutto de la condetion, i progressi di quella, mandai piu messi a Negroponte, dove detta armata doveva capitar per levare alcune bombarde de quello luogo et altre munition. Et per l’ultimo messo hebi, la detta armata esser numero velle 60, la qual ha levato le bombarde, et molte piere de bombarda lavorate et preparate in quello luocho, se parti de li et venne al colfo del Esimigli ale Cechries per levar una bombarda grossa da Corintho, dove mandai una spia speciose per veder il numero et qualita di questa armata; per la qual spia tornata heri, son advisato esser velle 60, fra le qual sono galie 24, perendarie 18, e lo resto fuste; a Coranto son adunate molte zente de la Morea per tirar le bombarde a la marina, et cargarle sopra la detta armata; la qual’armata, como fo divulgato, prima de andar a la Vallona a trovar el capitaneo Achumat Bassa con l’altra armata preparatali et andera a danni de Puglia. Nui de qui stemo de buon cuor, senza dubito alcuno; tamen non ho restato con moderation et bon modo proveder a le cosse neccessarie, et stero vigilante circha la custodia de questo luocho.30

4.5

La lunga attesa

aspetti di stranezza, di cui parleremo in seguito, che potevano renderla inopinabile se si seguiva una logica normale nel cercare di penetrare disegni tattici e strategici del gigantesco dirimpettaio islamico; tanto incomprensibile da far supporre che avesse avuto origine da una convergenza di interessi tra l’ambizioso pascià di Valona, da poco riabilitato, e una potenza cristiana da pochi mesi in pace con Maometto II. Intanto, tra voci incontrollabili e notizie da Rodi assediata dai turchi, il tempo trascorreva senza che la flotta turca si muovesse dall’Albania, e il presidio inviato a Otranto sembrava addirittura inutile. . . L’Armata predetta dimorò molto tempo alla Vallona, dal che era opinione comune, che non era per passare più avanti, né per venire a dar travaglio a queste parti, mà starsi là per guardia, essendo uscita tanta gente altra, ed Armate per l’altre Imprese, e per questo facea il presidio istanza di esser licenziato, come già li fanti ottennero la licenza; e mentre il secretario della Reggia Audienza, qual’era Col’Antonio de Frisi, Barone d’una quota parte del Casale di Mendervinob , havendo fatta la provisione la mandava con un suo giovane mio parente, chiamato Francesco Santa Barbara al Viceré per firmarla, venne un corriere con aviso, che l’Armata era comparsa sopra Otranto, ed il Viceré di sua mano stracciò la provisione, e la buttò a terra, dicendo in lingua spagnola, esta non sierve mas.31

Potrebbe essere ritenuto poco probabile che una cronaca scritta, secondo alcuni, a più di cento anni dal 1480, e, quindi, attingendo ad una trasmissione orale affidata a più di una generazione, si servisse in larga misura degli stessi termini presenti in una relazione assolutamente sincrona, scritta altrove e spedita ancor più lontano. Eppure questo scriveva il commissario del duca di Bari, altrove tutt’altro che tenero con la popolazione di Terra d’Otranto e il suo sovrano:

Come si comprendeva già da allora, per prevenire le suddette veloci scorrerie che potevano colpire in Circa CC. fanti che erano stati alquanti giorni in Otranto, se erano circa octo dì in anti partiti et un punto qualunque e in un momento imprevedibile, rimasto solo Francesco Zurlo cum sei famegli, in modo servivano flotte e presidi terrestri praticamente insoche non dubitavano più, sì per essere dimorata tanto stenibili, tanto che già si cominciavano a costruire le quella armata ad ussire, sì per haver ogni reprensione torri di avvistamento, per ridurre l’incertezza sulla 31 L55 77-78. Il viceré era Francisco de Arenis, arcivescovo localizzazione dell’attacco piratesco. Il fatto è che la spedizione turca contro Otranto presenta degli di Brindisi. 29 Nauplio 136-138.

30 Nauplio 138-139,

datato “Die primo Iuni 1481” ma inserito, giustamente, tra i dispacci del 1480.

b Qui e nel seguito, si tratta, evidentemente, di ‘Minervino’, paese che pare tragga il nome dal culto per la dea Minerva diffuso anticamente nella zona (v. infra).


4.6 Il protagonista dell’invasione turca

37

lo riteneva probabile. Vediamo allora di conoscere meglio, per quanto possibile, questo personaggio che così bene sembra calarsi in un certo ruolo di epopee e tragedie. Achmet, o Ahmed, o con qualunque altra variante grafica e fonetica lo si voglia chiamare, era soprannoSull’attacco ormai inaspettato vediamo infine una minato Gedik perché gli mancava qualche dente, dal fonte che poteva scrivere pro domo regia, ma che momento che in turco quel termine, originariamente talvolta rilevava anche le pecche nella condotta della indicante una breccia o una fessura, aveva assunto sua parte: il significato traslato di ‘sdentato’34 . Aveva militato nel corpo dei giannizzeri, ma non Cumque etiam maritimos fluctus exoriri, inclinata iam aestate, tempus annueret, nec in quam orbis era turco: “di nazione servo”, cioè serbo, secondo da la m.tà del Re, quando li faceano intendere che li provedesse, sì etiam per la astutia usò quello bassà, che, qualche dì octo prima che venesse, fece fama che ogniuno era partito da la Valona per la gran peste, et cossì se teniva per fermo.32

regionem se multitudo esset effusura certius haberetur, 34 “Ghedik in turco significa «breccia, fessura» e aggettinemo tam procul Admetum traiecturum putaverat. vamente è usato come soprannome (prefisso) per designare Qua spe, quae plurimos mortalium plerunque frustra persona che manca di qualche dente anteriore. «Bidichiamahabet, Rex elusus, hostem negligentius habuitc .33 to Bassa» in Spandugino (riportato dal Sansovino, Dell’O-

Premesso che, per esperienza personale, sul Canale d’Otranto le tempeste di due, tre giorni possono presentarsi in tutte le settimane dell’anno, forse con l’ausilio di dati storici si scoprirebbe che il periodo che va dalla metà di luglio alla metà di agosto è quello in cui sono meno frequenti. L’affermazione dell’Albino avrebbe senso se fosse passata un’altra ventina di giorni; del resto il segretario di Alfonso ammette, giustificandola, una qualche negligenza del re.

4.6

Il protagonista dell’invasione turca

Qualche fonte appena incontrata sottolinea l’astuzia, tipicamente levantina, del pascià di Valona e comandante dell’armata ivi tanto precocemente adunata e poi lanciata all’assalto quando ormai nessuno 32 Com. 1.

33 Albino, DBH 54.

c Nonostante sin dal mese di maggio i Brindisini, resi sospettosi dai movimenti turchi alla Valona, avessero sollecitato aiuti da parte del re, questi sottovalutò la minaccia del nemico e si limitò ad inviare un modestissimo presidio [. . .] (cfr. Foucard Sad., p. 80). La responsabilità della futura perdita di Otranto viene in gran parte addebitata dall’Albino a questa grave imprevidenza di Ferrante, già sottolineata alla fine del De bello Hetrusco: “Nec Regnum solum, sed Italiam omnem occupare, si primordiis fortuna favisset, animo versabat; quam rem Appuli ad quos celerius fama exierat, rerum suarum timidi, quod primos fortunae impetus essent excepturi, quom saepius Neapoli Diomedem Carrafam et Antonellum Petrociam regios consiliarios admonuissent, per ludibrium auditi sunt et tanquam rerum externarum ignari ignominiose dimissi” (cfr. Albino, De bello Hetrusco, p. 37).

rigine et guerre de’ Turchi, ed. di Venezia, 1654, fol. 197v e 198v) va spiegato come «Ghedik Ahmed Pascià»” (Rossi 184 nt. 1). Con la corruzione di qualche consonante e dalla fusione di soprannome e nome scaturisce, come in una sciarada, un nuovo termine che sembra inglobare un participio italiano, e che è già presente nell’ed. veneziana del 1600 (Sansovino 170v e s.). Non appare condivisibile, pertanto, l’osservazione seguente: “Spandugino che nel foglio precedente ha scritto il Kedük Ahmed-pascià con discreta esattezza Giudicamato, lo scrive adesso Bidichiamato, p. 64” (Hammer 360 nt. a). Vediamo, allora, come si presentano questi nomi nella fonte di tante rielaborazioni, a partire da una frase sulla guerra turca contro Leonardo Tocco: “Maumet mandò uenti noue legni armati, et era Capitano un Gidichacmat Bascia” (Spandugnino E3r); qui è evidente che manca solo la separazione tra il soprannome (“Gidich”) e il nome (“Acmat”). Questa forma è presente ancora due volte nel verso dello stesso foglio e una volta nel recto del successivo, vale a dire tutte le volte in cui si menzionano le imprese militari del nostro, dall’assalto alle Isole Ionie (“E Gidichacmat Bascia giunto à quelle Insule, quanti officiali trouò ch’erano di Leonardo tutti li mandò a fil di spada”), a quello contro la Terra d’Otranto, in cui si usa sempre la stessa forma di quel “riverito nome”. Achmet lo sdentato, diremmo noi, e di un tale segno particolare dovrebbero tener conto i registi delle opere su Otranto e Roca, come pure della descrizione fisica (e morale) riportata dal Lagetto: “Un Bassà, il cui nome era Acomath, huomo di natione servo, piccolo di statura, di color bruno, nasuto, con poca barba e mezzo spano, brutto di volto, d’animo crudelissimo, e molto avaro, povero, e vile, fatto Bassà da Magometh per buffoniccio, perché per avanti era staffiero” (L55 77). “Haueua [Maometto II ] anco fama di gran liberale, percioché hauendo uno staffiere per nome chiamato Bidic, (percioché gli mancava un dente dinanzi, haueua nome Acmat) e ragionando, sì come colui ch’era faceto con l’Imperadore, gli disse: Già che un principe non si può ueramente chiamar grande, se egli non può d’un picciolo farlo grande, e di un grande farlo picciolo. Queste parole hebbero tanta forza nell’animo di Maometh, che Acmat, di staffiero divenne il primo Bascià” (Sansovino 171v). Qui palesemente si confonde il nome con l’epiteto e non si riconosce che si tratta dello stesso Bidichiamato di sopra. La fonte del Sansovino è lo Spandugnino, della cui opera esiste un’edizione del 1550: quand’anche questa


38

Preparativi militari

il cronista otrantino; il commissario del duca di gettivo indicante l’etnia in un altro significante uno Bari lo definisce “schiavone”35 , cioè della Slavonia. stato servile. Curiosamente abbiamo qui due coppie di termini Vediamo ora su origine, soprannome e gesta assonanti, e con una analoga deformazione dell’ag- di questo pascià, due sintesi di più fonti nella storiografia variamente successiva: fosse stata la fonte del Lagetto su un tale elemento, non cam147. Geduc, Achmetis bassae cognomen, varie bia nulla in merito alla datazione della cronaca otrantina che corruptum. Achmetis fortuna non minus varia. si è ipotizzata tra il 1552 ed il 1571 (v. 8). Risalire allo SpanMagni nominis vir fuit Achmetes hic bassa tam dugnino è interessante anche per scoprire come la corruzione apud sultanum Muchemetem Secundum patrem quam dei termini di sopra, in effetti, è da attribuire al derivato Sansovino, che forse è stato l’unica fonte di Rossi ed Hammer: apud Bajasitem filium: de cujus origine Geufraeus36 “Questo Imperatore (Maometto II ) hauea uno suo Staffiero errat, cum tradit, eum fuisse filium Stephani, non renominato Gidich, perché li mancaua un dente dauanti Acmat, gis, sed despotae Bozinensis. Nam Bozinae ducis filius il quale ragionando spesso con lo Imperatore, diceua non è fuit alius erat hoc Achemetes bassa, cui cognomen grande uno Principe so (!) non puol fare d’un piccolo un granerat non Geduc, sed Cherseogles37 , ut eum nostri de, e d’un grande un piccolo: di sorte che un giorno l’Imperavocant, de quo infra, suo loco dicetur. Hic autem tore Maumet il sopranominato Acmat de Staffieri il fe ascenAchemetes Albanensis erat origine, vel Epirota. Sidere ad offitio grande di Bascia” (Spandugnino E5r). Come si vede, al di là di una punteggiatura infelice e tale da indurre gismundi Malatestae secretarius scripsit, eum fuisse fraintendimenti, “Gidich” non muta l’iniziale in B, ed è divirtute militari parem antiquis ducibus: adeo quidam, stinto da “Acmat”, il quale non diventa il primo ma uno dei ut sola nominis sui fama, quocunque se conferret, pascià, ed ancora “Acmat Bascia” è chiamato nell’aneddoto omnibus formidinem ac trepidationem injiceret. Adsuccessivo, che può sembrare boccaccesco, ma vuol significare dit, cognominatum vulgo Gendich propterea, quod ei il gran senso di giustizia del Conquistatore; un episodio quasi dens unus deesset. Quam vero a tenui fortuna maxiagli antipodi di quello che, secondo la tradizione, determinò la fine della monarchia etrusca a Roma: “Venendo il figliuolo mam ad dignitatem subito pervenerit, Spanduginus di Maumet chiamato Mostafà Celepi per basciare la mano his propemodum verbis exposuit: Erat, inquit, sulal Imperatore suo padre, s’innamorò della sopra nominata tano Muchemete satelles (solacos Turci vocant) qui moglie di Acmat Bascia, et andando ella à la stufa, et trouanBidic Acmat ex eo nominabatur, quod in oris antica dola in quella Mustafà nuda la uiolò. Et intendendo questo dentium serie dentem unum amisisset. [. . .] Significat Acmat Bascia suo marito andò à truouare lo Imperatore Mauautem vocabulum hoc truncum alicujus rei fractae, met, et ruppe, et squarciossi il turbante che haueua in capo, domandando iustitia. Et lui gli rispose, che hai, che vuol dide quo animadvertitur, hoc ei datum fuisse cognore questo, non sei tu mio schiauo, s’il mio figliuolo ha havuta men a trunco dentis, qui adhuc in ore scilicet reliquus la tua moglie, ha usato con una sua schiaua. Et riprese granhaereret.38 demente il figliuolo dell’dishonesto atto che haueua usato, et remandolo al loco à lui deputato per suo uiuere. Poi per non In sostanza si afferma che Achmet godette di granmancare di iustitia, tre mesi dapoi mandò un suo ministro, e de stima tanto presso il sultano padre Maometto fece soffocare il figliuolo” (Spandugnino E5r– E5v). Tornando alla descrizione data dal Lagetto, “spano” nel II quanto presso il figlio Bayazit: secondo questa greco antico vuol dire ‘imberbe’, quindi “mezzo spano” è una fonte, Antonio Geufreo fornirebbe indicazioni errate ripetizione di quanto detto subito prima (“con poca barba”); nell’iconografia, invece, come si conviene a quel genere di sulla sua origine quando riferisce che fosse figlio di ruolo di cui si diceva, è rappresentato con una lunga e folta Stefano, non re, ma despota della Bozina o Bosnia. barba. E non solo nell’iconografia; così lo Scherillo – che Infatti il figlio del signore della Bozina era un altro pure annovera genericamente il Lagetto, il “Cardami” e altre rispetto a questo Achmet pascià, il cui soprannome nostre conoscenze tra le sue fonti – dopo aver detto che era “soprannominato Gedich, che vuol dire sdentato, perché era non Geduc, bensì Cherseogles. Questo Achmet, appunto avea rotto un dente”, aggiunge: “Il ritratto che gli invece, era originario dell’Albania o dell’Epiro. Il scrittori di quell’epoca fanno di costui è che avesse piccola segretario di Sigismondo Malatesta scrisse che nelpersona, color bruno, folta e nera barba, naso lungo e brutto sembiante” (Scherillo, De’ Beati 5); a questo punto uno non l’arte della guerra era pari agli antichi condottieri, si sorprenderebbe se gli venisse attribuita anche la dotazione e la sola fama del suo nome incuteva un grande di coda, di corna e di un inconfondibile odore di zolfo. . . o timore. Aggiunge che era chiamato volgarmente se, più semplicemente, se ne scorgesse la reincarnazione in 36 Antonio Geufreo, una fonte di Mauro Orbini, il monaco qualche personaggio balcanico (e non solo) dei nostri tempi. Tutto ciò non è bastato ad impedire che oggi il suo nome raguseo autore de Il Regno degli Slavi (Pesaro 1601). 37 Si riconosce il suffisso -oglu (corrispondente al greco sia sfruttato commercialmente nel cuore di Otranto, senza che nessun ente pubblico voglia o possa sconsigliare questa -poulos, ‘figlio’) caratteristico di molti cognomi turchi attuali, trovata di cattivo gusto. a strutturarne una forma patronimica. 35 Com. 1. 38 Leonclavio 828-829.


4.6 Il protagonista dell’invasione turca Gendich perché gli mancava un dente, anzi doveva mancargliene un pezzo, dal momento che l’epiteto indica una mutilazione. In ogni modo riuscì ad emergere raggiungendo un posizione di grande rilievo nell’entourage di Maometto II. Il Rossi ha così sintetizzato la tormentata carriera del conquistatore di Otranto: Ghedik Ahmed Pascià [. . .] entrato giovinetto nella milizia dei Gianizzeri, si distinse nelle guerre condotte da Mehemed II contro il sovrano della Persia, Uzûn Hasan; nel 1474 fu nominato Gran Vizir, e l’anno seguente comandò l’Armata che occupò la Crimea e distrusse la colonia genovese di Caffa. Nel 1478 fu deposto, pare per aver dissentito dal Sultano sulla spedizione in Albania; fu messo in prigione nel castello detto Anadolu Hisâr sul Bosforo e vi stette alcuni mesi. Sul finire dello stesso anno il Sultano lo liberò e gli affidò il governo di Salonicco e poi di Valona con l’incarico di sistemare l’occupazione del territorio in seguito alla pace con i Veneziani. Da Valona egli progettò e compì la spedizione su Otranto. Alla morte di Maometto II si tenne fedele al nuovo Sultano Bâyezîd nella contesa con Gem; Bâyezîd, che l’aveva però in sospetto, lo fece uccidere il 18 novembre 1482.39

39 Rossi 184 nt. 1. Sulla nazionalità del nostro, il Rossi ripropone l’ipotesi slava, indicata dal commissario del duca di Bari, e quella albanese affermata in F. Babinger, Ewlijâ Tschelebi’s Reisewege in Albanien (Berlin 1930) 14 nt. 3.

39



CAPITOLO QUINTO Le divinazioni postume §5.1 Le profezie. . ., 41 • §5.2 . . . e la voce della natura, 42.

5.1

Le profezie. . .

porrà il piede sulla nostra terra!

Per completezza e per documentazione riportiamo anche altri segnali e avvertimenti, cominciando da quelli meglio documentati. Si tramandano (da parte di testimoni al processo di beatificazione) alcune profezie di san Francesco di Paola, che in quei tempi viveva a Paterno e aveva scritto al re Ferdinando per avvertirlo del pericolo incombente (“a non far guerra ai Cristiani, sì bene a munire le costiere del Regno”1 ). Ai soldati inviati per farlo tacere disse:

Come si può osservare, si trattava di un santo monaco che, pur conducendo vita eremitica, non viveva fuori dal mondo, anzi conosceva bene la situazione politica del suo tempo e parlava come un opinionista2 . Poi, solo tre mesi prima dell’assedio, rivolto verso Otranto, il monaco calabrese esclamò:

Tornate al vostro re e ditegli che ormai è tempo di calmare lo sdegno del Signore con pronto ravvedimento; che Dio tiene alzata la sua destra per colpirlo; che si valesse del tempo concessogli per evitare il castigo. L’armata dei Turchi minaccia l’Italia, ma più da vicino il suo regno: ritirasse le soldatesche dalla Toscana, non curasse l’altrui mentre trattavasi di difendere il proprio.

Pare, infine, che preannunciasse anche la sua liberazione imminente dall’occupazione ottomana. Si tramanda pure la profezia dell’abate Verdino da Otranto, un monaco morto a Cosenza due secoli prima (1279), che non indicava i tempi, ma la religione dei futuri invasori: “Hydruntina patria mea a dracone maumettano vastabatur”3 .

Infelice città. . . di quanti cadaveri vedo ricoperte le tue vie! Di quanto sangue cristiano ti vedo inondata!

2 Opinion-maker per quei connazionali che ignorano buo-

A chi gli chiedeva come sarebbe andata la na parte del lessico italico e preferiscono banali nomi composti, purché d’importazione. Il termine italiano, invece, spedizione in Toscana, replicava: passando nel dialetto salentino, muta in un’accezione quasi Non è per la Toscana, ma per il nostro regno che dobbiamo temere! Io vedo il Turco che tra breve 1 Scherillo, De’ Beati 72. Per tutte le profezie del santo monaco calabrese e di Verdino da Otranto, cfr. Gianfreda 246-247 e Saracino, Otranto 102-104.

negativa, vicina a quella di ‘polemista sofistico’, complice anche una certa corruzione formale che ne fa balenare un’altra derivazione paraetimologica (pugnonista). 3 Ma nella Rivista Storica Salentina 1 (luglio 1903) 190191, trovo di L. Maggiulli, ‘Il beato Verdino da Otranto’ che inizia con un passo tratto da un’opera di quell’autore – Un Profeta Salentino del secolo XIII (Maglie 1903) – e continua


42

5.2

Le divinazioni postume

. . . e la voce della natura

Terra d’Otranto furono registrate ancora nel 1504 e nel 15066 : quale altra calamità annunciavano? forse la rapacità dell’appena iniziato dominio spagnolo? Fenomeni naturali che si verificavano un po’ dappertutto e in ogni tempo, come quest’altro registrato nella pianura padana poco dopo la caduta di Otranto, e che in una curia vescovile poneva seri interrogativi teologici:

Qualcuno credette (dopo i fatti) di ravvisare dei segnali premonitori anche in alcuni fenomeni naturali ed eventi vari che precedettero (e seguirono!) l’invasione turca. In particolare l’Albino, adeguandosi anche in questo a modelli antichi, si premurò di collazionare tutti i possibili elementi cui poteva in qualche modo attribuirsi una tale valenza, senza curarsi nemmeno della loro impertinenza geografica: Apparuerant in agro Parmensi a flumine Padi su“In monte Taburno Virginis simulachrum collachrypra flumen Tarronis usque in montibus hoc mense masse. Locustarum ingentem vim in Mesapiam septembris maxime quantitates locustarum quasi terdelatam. In aliquibus Italiae locis leniorem terreram coperientium per tantum spatium, per quantum durabant in latitudine per quartum milliarij et in motum extitisse: et in agro Lucano Sacerdotem a longitudine per quatuor miliaria et ultra, herbas palupo laniatum”4 ; quindi lacrimò un’immagine della scentium, que com sonitibus expellebantur et terreMadonna su un monte tra Benevento e Caserta, in fiebant, in sero se insimul cohibant bine. Masculus alcune località italiane si avvertirono leggere scosse quidem erat viridis, femina vero trahens in nigrum di terremoto e un sacerdote fu sbranato da un lupo aliquantulum, nec ab invicem poterant separari. He in Basilicata. In quanto all’invasione di cavallette quidem bellue fuerunt in agro Brisiensi et Mantuano, che colpì il Salento, si tratterebbe dell’unico evenubi permaxima viguit pestis. Dubitatur ibi fieri simile to geograficamente pertinente e, in qualche modo, quod Deus avertat.7 emblematico; se è la stessa di cui parla Antonello Coniger, era iniziata ben dodici anni prima, nel Si ha notizia certa (dell’accadimento, non del ruo1468: lo divinatorio) di alcune scosse sismiche avvertite Foro in questo Rengho, et sinnanter in Terra d’O- anche in Otranto (improbabile epicentro delle metranto tanti li Bruculi, che tutti li Grani, Legumi man- desime) e di un’eruzione dell’Etna, che in effetti è giavanu, et durò pe paricchi anni, et po pe voluntà uno dei vulcani più vicini, e quindi poteva avere l’incombenza di avvertire; ma forse è più vicino a de Dio sparera suli.5 Tunisi, per dire una città del campo avverso. . . Come avremo occasione di vedere più avanti, semIl Sadoleto, a dire il vero, riporta notizia di questi brerebbe quasi di poter estendere la premonizione ultimi eventi naturali in un dispaccio del 26 agosto anche all’esito di questa guerra contro Otranto, nel 1480, quando ormai la tragedia si era consumata: senso che, secondo alcuni, la liberazione della città fu fortemente favorita da un evento assolutamente [. . .] Dice el secretario che in Otranto sono stati imprevedibile. Ma altre invasioni di cavallette in questi die terremotti grandissimi. Dice che el monte de Mongibello ha sborfato foco

con questa precisazione: “Posteriormente il Maggiulli, a 9 grandissimo che è scorso più de sedexe miglia, che lae giugno 1903, riceveva dall’Abate di Grottaferrata D. Sofronio se ha per male signo et cativissimo augurio.8 Gassisi Monaco basiliano, il testo originale, delle Profezie che trascriviamo. [. . .] Hidruntina patria mea iterum a Drago6 Coniger 517 e 518. A proposito di questo annalista lecne mahometano quassabitur, Roma singulariter concutietur. Florentiae quoque imminitur, nunc expectans formidandam cese, rammentiamo che nella prima metà del Settecento la vindictam sub Duce suo [. . .]. Turcae cum Leonis (!) finctis sua opera, come tante altre, fu raccomandata, ma così malVenet. . . pellunt, et his non expectantibus praelium intra- destramente, da G.B. Tafuri al Muratori, che questi ritenne bunt. Totum regnum Siciliae peribit. [. . .] Maximus sanguis opportuno non accoglierla nella sua monumentale raccolta effunditur ob duas pugnas Gallorum et Batavorum”. Una pro- degli scritti prodotti dagli storici italiani (cfr. D. Moro, Cofezia che, se fossero indicati anche gli intervalli temporali tra niger 5-6). Contiene, in effetti, diverse notizie discordanti da gli eventi, sarebbe così precisa da sembrare una cronaca scrit- quelle più accreditate, ma sono dovute in qualche caso ad ta a posteriori. . . Tra l’altro vi si scorge anche un accenno al evidenti errori di trascrizione. 7 DP 78. comportamento ambiguo di Venezia – per quello che è dato 8 Sad. 80.08.26 161. Un avvertimento tellurico tardivo, di capire tra una desinenza mancante e un’altra che non si sa se interpretare come un genitivo voluto o un ablativo errato. un po’ come, nel 1941, la consegna della dichiarazione di 4 Albino, DBH 56. guerra da parte dell’ambasciatore giapponese a Washington, 5 Coniger 478. qualche ora dopo l’attacco di Pearl Harbour.


5.2 . . . e la voce della natura Era obiettivamente difficile immaginare un corso degli eventi più infausto di quello che gli stessi oratori fotografavano con i loro ragguagli, ma quando si vogliono trarre a tutti i costi degli auspici dai fenomeni naturali, evidentemente succede anche di questo. In ogni caso, qui il Sadoleto si limita a registrare gli auspici infausti che si traevano in Sicilia dall’eruzione dell’Etna; tra l’altro se la frequenza delle eruzioni cospicue era quella attuale, le sventure dovevano ricorrere con una periodicità abbastanza ravvicinata, praticamente annuale. Accadeva pure, nei mesi successivi allo sbarco dei turchi in Terra d’Otranto, che qualche fenomeno naturale inconsueto fosse interpretato come un presagio di una punizione divina, affidata al braccio secolare ottomano, per la dissolutezza di altre città e contrade: Vigesimo secundo novembris 1480 circa horam vigesimam quartam apparuit in medio platee magne communis Parme ignis ad modum stelle cadentis, qui finivit super tecto pallacij potestatis, absque ulla lexione, qui a multis est visus et multis prebuit terrorem.9

Tenuto anche conto che al calendario ancora non era stata applicata la riforma gregoriana, la data indicata (se esatta) cade al di fuori dei periodi in cui si osservano gli sciami meteorici più consistenti; dal testo, peraltro, non si evince con certezza se a concludere la sua traiettoria sul tetto del palazzo del podestà, nella “piazza grande” di Parma, fu la traccia luminosa di un granello consumatosi nell’atmosfera o anche qualche piccolo frammento solido. Questi meteoriti, più raramente, possono arrivare dallo spazio anche quando la Terra non interseca l’orbita e lo sciame di particelle perdute da qualche cometa, come accade, in misura maggiore, nelle notti intorno al 12 agosto o al 17 novembre. All’evento parmense, che terrorizzò gli astanti, pur senza causare danni, seguirono “multe [. . .] lamentationes [. . .] in rima”: in quella riportata, scritta in lingua volgare, ricorre la paura di distruzioni e profanazioni simili a quelle perpetrate in Puglia ad opera della “turchescha armata”10 :

43 Itallia son misera chiamata Con le man zonte e lachrimosi ochi, Pietà ve prenda, o falsa brigata, Prima che Dio la punitione scochi. Ecco verso nuy la Turchesca armata: De, mirate un pocho i miei lacrimosi ochi! Pietà ve prenda legir mio lamento, Forse farete qualche provedimento. [. . .] Sogionta dogla pare a gl’ochi mei Vedendo sopra mi salliti i Turchi, Com11 lor furori isporchi Guastando con incendi li mei be’ lidi. [. . .] I sacri templi gloriosi e dive Sonno posti in ruine e in caverni, Postribuli e taverne Son facte per dispregio a’ vostri oltragi. Hora son sallit sopra vostri spiagi Con infinite velle e grande armate. Le gente renigate Guastando con rapina tutta Puglia. Sentesse al ciel le clamante muglia De’ poveri afflicti e dolorati In capestri ligati! I christian morti gridan per i campi: Veniti tutti hormay a’ vostri scampi, Contra la rabia crudel Turchescha, La qual ognhora rifrescha Con gente armate e con horibil gride. [. . .] Re Ferdinando, o sire d’Aragona, Qui va el tempo a demostrare tue forze12 Contra il can feroze Qual è saliti sopra i toi bei litti. [. . .] Ydio del ciel al mio aiuto proveda, Possa che vedo i christian maligni Di ira esser pregni Tenendo l’un coll’altro in man la spada. A mia defesa non è alcun che vada.

9 DP 84, e 85-89 per le rime cui si fa riferimento.

10 Forse la produzione dei lamenti in rima è ulteriormente

stimolata dal presagio tardivo della stella cadente, ma esprime un sentire diffuso sui principali motivi che connotano questa guerra.

11 La stessa forma per il latino e il volgare di Parma, ma è instabile, come si vede nel seguito. 12 “Qui si parrà la tua nobilitate”.



CAPITOLO SESTO L’armata turca nel tempo e nello spazio §6.1 Una classica incertezza cognitiva, 45 • §6.2 Le indicazioni e le stime delle forze turche, 46 • §6.3 Quando e dove avvennero gli sbarchi, 49.

6.1

Una classica incertezza cognitiva

Esiste una funzione matematica – conosciuta come curva di Gauss o brevemente gaussiana, dal nome di chi la formulò – la cui rappresentazione grafica assume una caratteristica forma a campana appoggiata sull’asse della variabile indipendente. Si verifica spesso che – quando si effettuano misure o osservazioni quantitative di un certo fenomeno – le frequenze dei valori ottenuti si distribuiscano intorno ad uno o a pochissimi valori centrali, risultandone un grafico proprio a forma di campana, nel senso che i valori diversi dalla media (in questo caso sarebbe più appropriato riferirsi alla moda, ossia il valore più ricorrente) sono tanto meno frequenti quanto più lontani da essa; la loro frequenza, per contro, precipita velocemente come sul fianco di una campana, formando agli estremi una o due piccole code. In queste code si rifugiano i valori spuri, del tutto inattendibili e da scartare, anche se poco influenti, per il loro scarso peso, sul calcolo della media ponderata. Quando, e se, è il caso di calcolare una media ponderata. Se si tratta, infatti, di stimare quale possa essere

stata la notte o il giorno in cui i turchi sbarcarono a Roca o in altre località nei pressi di Otranto, non ha molto senso orientarsi con una media ponderata tra le varie date indicate: potremmo ottenere valori frazionari che, seppur tradotti in ore per la parte decimale, risulterebbero poco significativi. In un caso di questo genere è più corretto affidarsi al valore modale. Una media potrebbe avere un senso per valutare l’esatto numero di navi (ma chi le poteva contare almeno un centinaio di navi in movimento o ancorate davanti a diversi punti della costa?) o l’ammontare dei cavalli e degli armati (ancora peggio delle navi, non essendo stato istituito alcun passaggio obbligato allo sbarco). Si vuole, quindi, scoprire l’entità delle forze turche nelle loro diverse articolazioni (navi, uomini, cavalli), i tempi e i luoghi in cui avvennero gli sbarchi; gli elementi contenuti nelle fonti indicano infatti, per motivi di varia natura, una pluralità di sbarchi in giorni e approdi diversi. Vedremo che in molte fonti le informazioni sui tre elementi cercati (forze, luoghi e tempi) sono fornite tutte insieme; la necessità di confrontare le diverse indicazioni di uno stesso elemento in maniera omogenea ci obbliga a scegliere tra un non altrimenti cercato sezionamento


46

L’armata turca nel tempo e nello spazio

di qualche brano, e una ripresa in un altro contesto di una espressione già riportata: cercheremo, more solito, di proporre la soluzione più comoda per chi avrà la pazienza di seguirci.

6.2

Le indicazioni e le stime delle forze turche

robora classi iubet imponi: qui sub Admetoe Duce clarissimo in exitu aestatis, quam Senis Alfonsus consumpseratf , in Italiam traiicerent [. . .] ubi primum barbari in continentem egressi sunt, nudatam omni auxilio provinciam sexcenti equites crebris incursionibus nullo hoste obvio vexant.3

Il Galateo, in un brano del De situ Iapygiae che vedremo per intero, scrive che Achmet venne con duecento navi e diciottomila fortissimi combattenti. Il Defilippis riporta di un ms. del De situ. . . con l’indicazione di quindicimila armati4 . La stessa consistenza è indicata nelle lettere inviate da Bari al vescovo di Parma:

Nel valutare la consistenza della flotta turca possono nascere equivoci preliminari non sapendo se chi ne riferisce abbia contato, o stimato, solo le navi che trasportavano soldati o anche quelle da carico, come le “palandarie” o, se non erano la stessa cosa, i maoni1 ; sembra tuttavia una falsa questione: chi Circa dimidium dicti mensis augusti reddite sunt avrebbe trascurato di contare le navi da carico? Chi littere a civitate Barri Apulie reverendissimo domino poteva avere interesse a sminuire il pericolo? Parmensi episcopo, qualliter in partibus illi marinis Il religioso Jacopo Gherardi detto il Volterraapparuerant centum quinquaginta velle Turchi, que no, come vedremo più avanti, parla di una flotta toti illi regioni metum inducebant.5 composta da un centinaio di navi di diverso genere. Questo filo diretto tra Parma e Bari potrebbe Il monaco benedettino Ilarione da Verona – che scriveva da Napoli nel settembre-ottobre 1480 al car- dipendere dal fatto che entrambe le città erano dinale Francesco Piccolomini – nella Copia Idrunti- infeudate agli Sforza, signori di Milano. ne expugnationis indica 20 000 soldati con seicento 3 Albino, DBH 54-56. 4 Gli umanisti 177 nt. 2 al cap. III dei Successi del cavalli imbarcati su 150-200 navi: De numero Turcarum qui ad oppugnacionema hanc convenerant, apud neminem certo adhuc constitit, non aput regem ipsum. Vulgo tamen ferunt ad viginti milia convenisse et eos omnes delectissimos. Classem alii centum quinquaginta, aliib ducentarum navium fuisse autumant. Huc e Vallonec in Apuliam transvectusd est omnis exercitus, omnis bellicus apparatus et equi, ut aiunt, sexcenti, de genere dromedariorum.2

L’Albino indica sedicimila uomini, di cui seicento cavalieri, che cominciano subito a tormentare la provincia indifesa, con continue scorrerie, senza essere ostacolati da alcuno: Mahometus comparatis omnibus, quae ad oppugnandas urbes usui essent, sexdecim millia hominum 1 Nome derivato proprio dal turco mavuna, indicante una galeazza. 2 Gli umanisti 30 e 39 nt. 3. Come specificato in nota da Lucia Gualdo Rosa, che ha scoperto l’epistola, poteva trattarsi di cavalli arabi da corsa, dal momento nessun’altra fonte parla di dromedari. a appugnacionem

b aly. . .aly

c Sarsone corr. Vallone

d dextr. marg. traiectus

Marziano. 5 Diarium Parmense 74. Il brano così continua: “Et ob hoc filius dicti regis dux Callabrie, qui erat in agro Senensi com suo exercitu, a patre revocatus com omnibus gentibus Neapolim festinanter profectus est. Ipse autem rex, qui versus Calabriam || venabatur, hoc repentinumg Turchorum adventum sentiens, tam propere Neapolim caput regni advolavit, quod gravem est incursus com metu egritudinem” (DP 74-75). e Ahmed Gedik, di origine slava, entrò giovinetto nella milizia dei Giannizzeri; nel 1474 fu nominato Gran Vizir, comandò l’Armata contro la Crimea e Caffa. Nel 1478 fu deposto e imprigionato; venne poi, sul finire dello stesso anno, liberato dal Sultano, che gli affidò il governo di Salonicco ed in seguito quello di Valona. Alla morte di Maometto II si tenne fedele al nuovo Sultano Bayezid, ma questi, che sospettava di lui, lo fece uccidere il 18 novembre 1482. Cfr. Foucard Comm., pp. 162; Babinger, pp. 290, 391-2, 425; Rossi, p. 184, n. 1. f Sul finire dell’estate il duca di Calabria si trovava ancora a Siena. Vi era entrato vincitore il 20 febbraio 1479, durante la guerra che Napoli e lo Stato della Chiesa avevano mosso a Firenze per le conseguenze provocate dalla congiura dei Pazzi. Sebbene il 13 marzo 1480 fosse stata stipulata la pace tra Ferrante e Firenze, restavano tuttavia temporaneamente sospese alcune complesse questioni riguardanti un certo numero di condizioni. Alfonso, a guerra finita, era rimasto in Siena col segreto intento di divenire arbitro della Repubblica, nelle cui elezioni era infatti da poco intervenuto condizionando pesantemente la formazione del nuovo governo. Sull’intera questione cfr. Pontieri, pp. 292-326. g rempentinum cod.


6.2 Le indicazioni e le stime delle forze turche

47

Il Sadoleto, in una lettera del 1 agosto, scriveva espressamente da Napoli:

A questo punto si potrebbe credere che quest’ultimo conteggio di navi includesse anche le palandarie oppure sarà il caso di fare la tara a un certo allar[. . .] La casone per laquale io scrivo questa si è che mismo, non nuovo dalle parti di Taranto (come si questa matina venuti sono quatro cavalari a scaveza- è visto da una lettera del Cortese8 ), riscontrabile collo de Puglia et Terra d’Otrante [. . .] hano portato anche dalla notizia, non confermata in questa danovella como li turchi sono arivati ad Otrante cum ta, della scorreria turca fino a Lecce. Tant’è che velle CL, et dato tre bataglie al castello. [. . .] Alcuni il commissario del duca di Bari segnalava solo 32 già temono del stare ne li borgi de Napoli perché se “pallantarie”, che trasportavano “400 cavalli”, su un dice che questi turchi cavalcano talvolta 300 miglia totale di 150, tra cui anche “40 gallee sotile et circa che non se indusiano, et brusano case et ville, et pigliano persone, et che hano brusato là ad Otrante 30 fuste picole et grande [. . .] de 16 in 18 barche, el resto dele velle grippi”9 ; quindi le 350 navi potrebcasali.6 bero essere un dato spurio e francamente esagerato Il giorno dopo precisava, in base a quanto ap- (visto che il commissario include tra le 150 anche le prendeva dal segretario del re e. . . in tempo scialuppe per lo sbarco). Antonio Montecatino, oratore presso la signoria reale: medicea, a quasi un mese dallo sbarco precisa meglio Già è novella che li turchi sono smontati a terra et la consistenza dell’armata turca: hano preso tre castelle cioe Cotrufiano, che fa 300 fochi et bono et grosso castello, Solgiano et Risigliano, de 80 fochi l’uno, l’altro de circa cento, et sono li turchi sino a dexedocto milia; de cavagli non se scia la quantità. Le velle sono molte, ma galee grosse dexedocto, et più de centovinte altre velle, senza le palandarie. Et in questo rasonamento è venuto uno cavalaro batendo da Tarante, che dice che le velle sono più de 350.7

[. . .] Anchora sono lettere da Napuli, como è suto preso quatro crestiani renegati liquali esaminati dicono la armata del turcho a Otronto essere quindese milia persone et cavalli 400. Le vele sue sono in tuto 132, cioè 22 galee sutile, 34 palandree, el resto fuste et vele picole.10

Lo sbarco dei turchi è così quantificato e descritto nella Relazione d’Acello:

6 Sad. 80.08.01 108-109, qui 108. Si tratta del primo avviso che giunge alla corte napoletana sull’attacco turco: pur non però potuto ben coprirle in due giorni. 8 Cfr. Cor. 80.06.12, v. 55. avendo le doti cinematiche dei mitici (o mitizzati) cursori 9 Com. 1. Un identico numero di palandarie era stato visto turchi, i cavalieri che portano presumibilmente la lettera inviata dagli otrantini al re sembra che impieghino quattro- da un raguseo mandato in ricognizione nella baia di Valona, cinque giorni per coprire una distanza simile a quella che, come appare in una lettera inviata al Re di Napoli, dal Rettosecondo la nomea popolare, i loro nemici percorrerebbero in re e dal Consiglio della città dalmata, in data 26 giugno 1480: una giornata (anche se un tratto di penna taglia obliquamente “Habemus pro certo, per exploratorem nostrum, Classem turle tre righe dell’ultimo periodo nel documento). Il tutto pone chorum, die XXII° presentis mensis, appulisse sub chymaram degli interrogativi su vari punti, non esclusa la data dello velorum circiter LXX.ta , quam totam, explorator ipse noster sbarco turco, che per altri elementi si tende a situare tra il ad oculum vidit; sunt in ea triremes XVII complecte, palan27 e il 28 luglio. daree XXXii, et birremes XX.ti dicta classis Appolloniam 7 Sad. 80.08.02 110-11, qui 110. Sul nome attuale dei temdebat, ut se uniret alteri Classi que sibi est instructa et tre paesi indicati, mentre non ci sono dubbi su Cutrofiano parata” (Foucard 152). Il numero totale di navi (70) corrie Sogliano Cavour (che poi ha ritenuto di legarsi onomasti- sponde perfettamente a quelle viste andare verso Otranto dal camente al sabaudo tessitore), niente di simile si riscontra generale veneto di base a Corfù, e di cui si è già parlato in queper “Risigliano” se non il limitrofo Corigliano d’Otranto. Da sto testo. Nella lettera inviata da Ragusa, è indicata anche Sad. 80.07.27 (99-101) si ricava che la corte napoletana è in- la data in cui i turchi iniziarono l’assedio di Rodi (“die XXIII teramente assorbita dai rapporti con Firenze, i cui castelli mensis Maij”) con sessanta navi (gli oratori estensi indicano verso Siena sono ancora occupati dal duca di Calabria, an- però, chi più, chi meno, circa cento imbarcazioni in più). che se la pace è stata conclusa in marzo; similmente, nelle Nella stampa di questo brano della lettera da Ragusa si successive due lettere di fine luglio (Sad. 80.07.28 102-103; rileva un campionario quasi completo della grafica bizzarra Sad. 80.07.31 104-106), ci si riferisce ad altre questioni italia- con la quale, nelle varie lettere, sono rappresentate cifre ne che coinvolgono anche il “re de Castiglia”, ma non altre e date. Nelle citazioni presenti in questo testo – come il potenze straniere. Sembra strano che le lettere da Otranto lettore attento avrà già notato – si è adottata, ad esempio, la abbiano impiegato circa quattro cinque giorni (dal 27 o 28 forma esponenziale “Xm ” per rappresentare il numero ‘10 000’, luglio) per arrivare a Napoli: se destavano meraviglia le 300 anche se più spesso, nella stampa predetta, la m indicante le miglia che, si favoleggiava, corressero i cavalieri turchi in un migliaia è posta proprio al di sopra della cifra romana. 10 Mon. 80.08.24b 178. In Foucard 122 si trascrive “35 giorno, i “cavallari in freza” o “a scavezzacollo” avrebbero


48 Come alli 28 del mese di luglio, di venerdì mattina, Alamech Bascia se rapresentò in Otranto con galere 24, galeotte e fuste 78 e pantanaree trenta, con li quali portò quattrocento cavalli e 16.000 fanti, bombarde grosse nove, cerbittane e altri sorte diverse d’artigliaria, mezzane e piccole, al numero di 400, e, discesi li cavalli in terra, subito discorsero per la provincia e, trovando le gente sicure, fero grandissima preda sacchegiando et abrugiando molti casali et amazando molte gente.11

Una stima della flotta, che, per consistenza e tipologia d’imbarcazioni, non si discosta da quelle coeve, è riportata dal Lagetto: “cento, e quaranta vele, ciò è trenta Galere, settanta Galeotte, ò vero Fuste, e quaranta hPanitanarei per portar gente, e cavalli, e monittioni dell’Esercito”12 , quindi includendo anche tutte le navi da carico. Sull’invasione turca le edizioni dell’opera del Coniger sono viziate da un paio di errori madornali, forse dovuti a trascrizioni infedeli, che inducono a considerare con cautela le altre informazioni fornite: lo sbarco sarebbe avvenuto il “18 Juliih die Veneri”, in cui è evidente la confusione col venerdì 28; inoltre si indica una flotta di appena “Vele 70i ” aventi per “conductore [. . .] uno Bassà nomine Maumethj ”13 . palandere”. I rinnegati, sorprendentemente, non provenivano da regioni già occupate dai turchi: “de questi quatro presi, ve ne era uno zenuese, uno da Piombino, uno albanese et uno spagnolo” (Mon. 80.08.24b 178). 11 Moro, Due preziose fonti 150. 12 L55 78. 13 Coniger 480.

L’armata turca nel tempo e nello spazio Qui chiaramente si è confuso il nome del sultano con quello del comandante della spedizione Achmet. Il dato sulla consistenza della flotta turca corrisponde a circa la metà di quanto indicato dalla maggior parte delle fonti, ma trova riscontro nel numero di navi che avrebbe visto il generale veneto che sorvegliava l’accesso al golfo di Venezia. Tra i dati spuri sulla consistenza delle forze turche bisognerebbe inserire anche i quattromila di cui parla Machiavelli (senza indicazioni sulle navi) nelle Istorie fiorentine; uso il condizionale perché, dal momento che accenna a questa guerra di sfuggita e funzionalmente alle sue conseguenze per la Toscana, può darsi che abbia registrato la consistenza del presidio lasciato in Otranto da Achmet al sopraggiungere dell’inverno, presidio che constava appunto di circa quattromila soldati e di cui riferisce il Galateo: “. . . relicto in urbe quatuor millium fortissimorum virorum praesidio . . .”14 . Nella storiografia posteriore sono state sollevate anche questioni, per così dire, di lana equina, vale a dire osservazioni polemiche sul numero dei cavalli usati nelle incursioni all’interno, avvenute a distanza di oltre un mese dallo sbarco, come se i turchi non avessero potuto nel frattempo approvvigionarsi di cavalcature locali15 . 14 Galateo, De situ 55-56.

15 Così Giovan Bernardino Tafuri, stampando e annotando nel 1732 le Cronache del Coniger (poi ristampate nel 1851, v. Coniger 481), faceva rilevare che questi parlava di un’incursione – verso “Trepuzze, Schenzano, Turchiarulo, Campie, e San Brancaccio” – di “400k Cavalli de Turchi”, dopo aver scritto che ne erano sbarcati 300 (v. nt. k); l’editore bacchettatore trascurava, però, il fatto che la scorreria fosse stata compiuta il 5 settembre, mentre lo sbarco risaliva alla fine di luglio. Può darsi che il Tafuri avesse in qualche modo appurato – anche se non ce lo dice – che i cavalli degli incursori fossero tutti di pura razza araba (i “dromedari” di cui parla una fonte che vedremo) e che questa non fosse presente in Terra d’Otranto alla fine del XV secolo.

h Alli 28 del Mese di Luglio, e non alli 18 comparve sotto la Città d’Otranto l’armata Turchesca, secondo lasciò scritto Michele Laggetti nell’Istoria, che compose di questa Guerra, quale mss. si conserva presso di noi: Frattanto ecco l’Armata, che comparve a vista della Città, e che veniva a banda di Tramontana il Venerdì mattina a’ 28 del Mese di Luglio dell’anno 1480. Alli 25 del detto Mese scrive M. Lucio Cardami. i L’Armata de’ Turchi era di cento e trentacinque Vele, e non di 70, secondo lasciò scritto Antonio de Ferrariis nell’I- giae, l’Abate Michele Marziano nella pag. 2, Michele Laggetti storia ch’egli scrisse di questa guerra, la quale rimasta mano- nella manoscritta Istoria, Gioviano Pontano nel libro de’ suoi scritta, fu dalla latina nell’Italiana favella tradotta dall’Abate Versi latini in un’Ode in lode di Alfonso d’Aragona, Gio. PieGio. Michele Marziano, e pubblicata per mezzo delle stampe; tro d’Alessandro nel suo Poema latino de Bello Hydruntino, scrive egli adunque così: Era questa Armata di novanta Ga- che mss. si conserva presso di noi, Francesco Antonio Mesa lere, e di quaranta fra Galeotte, ed altri Legni de’ Corsari, nel Poema volgare intitolato l’Idrunte, che mss. si conserva e fra quelli quindeci Mahoni, sopra i quali givano i Cavalli, presso de’ suoi Descendenti nella Terra di Galatone; il P. Ane gran parte delle monizioni. Il medesimo de Ferrariis nel drea della Monica nel lib. IV, cap. 11 dell’Istoria di Brindesi, celebre Trattato de situ Iapygiae parlando di questa Guerra, ed altri. k Non so come i Cavalli de’ Turchi furono 400, quando il nel discorso della Città d’Otranto scrive, che l’armata fu di duecento Vele; centocinquanta scrive M. Lucio Cardami. nostro Cronista poco prima aveva scritto, che venne l’Armata j Acomet, e non Mamet fu il nome del Generale dell’arma- de lo Gran Turco in Otranto, dove foro Vele 70, con huomini ta; leggansi il Galateo nel menzionato trattato de situ Iapy- de Farfanti ventimillia, et Cavalli 300.


6.3 Quando e dove avvennero gli sbarchi

6.3

Quando e dove avvennero gli sbarchi

Dalle fonti sono indicate, come luoghi d’approdo delle navi, queste località: Porto Badisco e l’insenatura delle Orte16 , la stessa Otranto17 , la spiaggia davanti ai laghi Alimini18 , e Roca. In base alle fonti già citate non si può escludere nemmeno che ci siano stati più viaggi nel giro di pochi giorni: un po’ come avveniva nell’ultimo decennio del XX secolo. Anzi, siccome partì subito per Valona un primo carico di donne e ragazzi fatti schiavi, è probabile che si utilizzasse questo sistema efficiente per non far viag-

49 giare le navi scariche: armati all’andata e schiavi al ritorno, almeno un paio di volte. Ovviamente, essendo formata da dati spuri e generalmente non attendibili, almeno una delle code della gaussiana può anche non presentarsi. Nel caso delle date dello sbarco – non prendendo proprio in considerazione l’evidente refuso del Coniger – la coda è più marcata sul lato sinistro di un immaginario grafico, e trae alimento da un improbabile 24 luglio che si ricava dai Successi del Marziano19 . L’Albino – che si trovava in Toscana con il duca Alfonso – indica per il giorno dello sbarco il 28 luglio, nella forma di quinto giorno dalle calende di agosto (contando l’uno e l’altro giorno):

In questo genere di valutazione l’estremo superiore è fornito dal Marziano che parla di ben “settecento cavalli” (Marziano 118). E portu igitur Apolloniael quo convenerant, ad MePer chiudere la diatriba sui cavalli usati dai turchi nell’insapiae litus ingentem Turcarum classem appulisse V. cursione del 5 settembre, basti dire che anche il Sadoleto aveva Kal. Sextilis (uti solet) fama vulgavitm ; cuius advennotizia dal segretario del re “che 400 cavagli de turchi havevatus non modo Regnum sed Italiam omnem terrore no scorso sino a Campi, loco de qua da Leze più de X miglia, longe da Otranto forse più de XX” (Sad. 80.09.09 193). concussit.20 16 Le due località intorno al Capo d’Otranto e, quindi, poco più a sud della città sono segnalate in Marziano 118, come Il commissario del duca di Bari, che è abbastanza vedremo nel capitolo seguente con l’intero brano sullo sbarco dei turchi riportato in quella cronaca (v. 54). vicino al teatro bellico, ma scrive dopo due mesi, 17 Dalla Relazione fatta dal Segretario di Ferdinando a’ come abbiamo appena visto afferma che i turchi Prencipi d’Italia - Rifacimento otrantino: “circa 1300 turchi erano dismontati in Otranto a dì 25 dell’istesso mese” (Moro, sbarcarono il 29 luglio presso i laghi Alimini. Due preziose fonti 153). Strano, però, che ad Otranto fossero In tutto questo balletto di date e di località dove sbarcati prima che nei luoghi circostanti: o è sbagliata la data approdarono dei turchi, in effetti potrebbero avere (che, forse non casualmente, è vicina solo a quella indicata dal ragione, se non tutti, almeno più di uno; proprio Marziano) oppure si fa genericamente riferimento al territorio il suddetto rappresentante di Ludovico il Moro in di Otranto e non alla città vera e propria. 18 Dalla relazione del commissario del duca di Bari: “Ali Terra di Bari scrive chiaramente che “la prima volta XXVIIIJ julij la matina apparse la armata supra Otranto, passò suso tuta quella armata circa X.m persone” e et smontò ad uno loco chiamato la Limine, preso Otranto 4 miglia, dove è bona spiagia et comoda per pigliare aque poi “El dì seguente cum la preda de le anime facte dolce et senza obstaculo alcuno smontorno [. . .] et fecino gran tornorno ala Vallona, et portono ultra cinque milia preda, circa a dua miglia anime” (Com. 1). Da rilevare – persone”21 , per un totale di oltre quindicimila, che non tanto per l’omissione in sé, ma per gli aspetti linguistici connessi – come in Foucard 163 non sia stato trascritto 19 “Quindi, accostati li mahoni, furono sbarcati li cavalli; l’articolo davanti “Limine”, che da nome comune palesemente e nel seguente giorno, che fu alli XXV di luglio, messo in derivante dal greco, è divenuto il nome proprio degli unici, punto l’esercito con ordine militare se inviaro verso Otranto” piccoli, bacini lacustri del Salento, i laghi Alimini, come (Marziano 119). suggerito anche dal Galateo, De situ (57). 20 Albino, DBH 56. È evidenziata graficamente l’integraSi è sostenuto che i turchi avrebbero scelto per lo sbarco la zione “appulisse”, assente nella prima edizione a stampa, e spiaggia davanti ai laghi per esserne protetti e per rifornirsi “congetturata dall’editore settecentesco, perché indispensabile di acqua dolce (come dice il commissario). Se la geografia dal punto di vista logico e sintattico” (Gli umanisti 100). dei luoghi non era diversa da quella di qualche decennio 21 Com. 1. Le oltre cinquemila unità, evidentemente, fa, i turchi – altro che protezione – avrebbero rischiato di non si riferiscono ai prigionieri che poco prima erano stati impantanarsi nelle paludi che in più punti contornavano gli quantificati, dallo stesso commissario, in circa duemila. stessi laghi prima della bonifica; in quanto all’acqua dolce, si trova solo in Alimini Piccolo o Fontanelle (nome indicativo l È il nome classico dell’odierna città di Valona, porto delle sorgenti che vi zampillano) che è il lago più lontano dalla spiaggia, mentre Alimini Grande è tanto vicino al mare albanese sull’Adriatico, prospiciente Otranto. m Questa data è confermata da altre fonti coeve, le quali da comunicare con esso per mezzo di un canale e riceverne acqua salata. Una conoscenza pertinente e approfondita dei precisano, inoltre, che lo sbarco turco avvenne all’alba, nei luoghi non è ricavabile solo da una cartina geografica, tanto pressi dei laghi Alimini, località quattro miglia a nord di meno se odierna. Otranto.


50 comunque costituisce il limite inferiore22 tra le stime sul numero dei turchi trasportati in Italia. Ecco, è sulla consistenza degli armati, che non potrebbero avere ragione in tanti: ed era anche la stima più difficile. In quanto alle navi, se facevano la spola, sbarcando magari in località differenti, era possibile contarle due volte23 . Il commissario sembra riferire l’approdo sulla spiaggia davanti ai laghi Alimini, in data 29 luglio, alla spedizione del primo contingente; non indica la località in cui sbarcò l’altro corpo di spedizione (e potrebbe essere stata Roca, di cui parla il Lagetto). Non si può escludere che il commissario, scrivendo ai primi di ottobre, possa aver confuso le date dei due sbarchi24 . Per quanto riguarda, invece, il numero di turchi scesi dalle navi nelle singole località, e negli sbarchi successivi nella stessa località, mancano informazioni dettagliate; si possono, pertanto, solo avanzare delle congetture. Se in qualche modo (alla partenza o durante la traversata) i turchi erano pervenuti alla determinazione di conquistare Otranto – come si può desumere a posteriori, ma anche osservando la concentricità degli sbarchi intorno ad essa – sembra naturale attendersi che la maggior parte degli armati fossero sbarcati negli approdi più vicini alla città, tra quelli indicati: quindi l’insenatura delle Orte, posto vicinissimo ma non molto agevole, e la spiaggia davanti agli Alimini, un po’ meno vicina ma forse più comoda. Uso la formula dubitativa non solo per consueta cautela metodologica, ma anche perché la linearità della costa effettivamente non crea difficoltà quando il mare è calmo; diventa un problema se il mare è mosso, non essendoci insenature che riparino dalle onde con alcun vento (tranne il libeccio, che però porta al largo); i fondali bassi della spiaggia davanti ai laghi Alimini, inoltre, 22 Era quanto precisato anche dal Sadoleto (che in un primo momento aveva indicato 18 000 invasori) a metà settembre, quando si riferiva la stima sull’entità delle forze turche secondo quanto risultava alla corte napoletana: “Questo S. Re dice che li turchi sono 15 milia, et pargli serà duro caciarli de Otranto, che se fossero ala campagna non dubitaria de niente” (Sad. 80.09.15 200-205, qui 202). 23 Come certi velivoli del ventennio, che avevano un gran volare per spostarsi in tutti gli aeroporti visitati da Mussolini. 24 Forse in conseguenza di questo sfasamento, il commissario situa l’assalto finale alla città nella notte tra il venerdì e il sabato di due settimane dopo, vale a dire un giorno dopo quanto indicato da quasi tutte le altre fonti: “Ala fine de li XV dì dela venuta loro, che fu el venerdì, havendo la nocte più frequente el bombardare cha lo usato, la matina [. . .] senza molta bataglia intrarono” (Com. 2).

L’armata turca nel tempo e nello spazio hanno fatto incagliare una piccola nave anche in tempi recenti. Per contro, approdare in quella specie di fiordo stretto e allungato che è il porto di Badisco, e poi superare l’aspra collina della Palascìa (visibile con le sue bianche falesie anche dal mare) per arrivare a Otranto, non doveva essere un’idea molto geniale: poteva servire al massimo per lasciarvi un avamposto utile a qualche incursione verso sud (come pare avvenisse ai danni di Castro). Roca era la località più lontana, ma, forse, per la buona combinazione di fondali profondi e insenatura abbastanza ampia, uno dei posti più adatti per sbarcare; lo era un po’ meno per via delle fortificazioni incombenti sulle insenature ai lati della cittadella, che avrebbero potuto disturbare le operazioni. Sarebbe stata utile (ai turchi) come avamposto verso nord, da dove c’era da attendersi l’arrivo dell’esercito aragonese, come in effetti accadde; per questo motivo, secondo il Lagetto, il duca di Calabria non riusciva a capacitarsi di come Achmet non l’avesse occupata: e lo giudicava all’incirca un incapace. Parlando di Roca e di Castro, trascurate dal turco e, poco dopo, fatte presidiare da Alfonso d’Aragona, il cronista otrantino scriveva che erano luoghi opportuni, e necessarii per chi vuol tener Otranto in suo dominio: il che non havendo fatto il Bassà, ne giudicava il Duca non esser detto Bassà intendente del mestiere di Guerra, mà lo stimava ignorante, e sciocco.25

Il Lagetto, come vedremo, parla dello sbarco nei pressi di Roca senza indicare espressamente la data, mentre indica poco dopo il giorno (controverso) in cui gli otrantini, avvistata la flotta turca, inviarono una drammatica lettera al re, con un “fra tanto” che potrebbe indicare una sostanziale simultaneità tra i diversi avvistamenti. Lo sbarco multiplo, in più punti della costa, potrebbe essere anche una prova delle difficoltà nella traversata che alcuni tendono ad escludere categoricamente, basandosi in particolare sull’affermazione del commissario del duca di Bari, secondo il quale le navi che trasportavano i cavalli “voglieno bonaza”26 . I cronisti salentini, in effetti, affermano che alla partenza da Valona il mare era calmo, ma poi – in mare aperto – s’intensificò la tramontana, che indusse i 25 L55 96.

26 Com. 1.


6.3 Quando e dove avvennero gli sbarchi

51

turchi a modificare l’obiettivo iniziale di Brindisi in che, per quanto piatti, erano sicuramente più staOtranto: se così fu, l’azione combinata del vento e bili di quei gommoni che, se dovessero aspettare la delle correnti potrebbe aver causato una dispersione “bonaza” su quel medesimo Canale d’Otranto, non della flotta che, pertanto, sarebbe potuta giungere salperebbero quasi mai. E invece. . . in approdi diversi, in conseguenza della deriva subita in modo differente secondo stazza, pescaggio e alberatura dei vari tipi d’imbarcazioni. Mettendo in conto questa possibile deriva e il fatto che Roca è uno dei punti più vicini a Valona, sbarcare i cavalli nei pressi di quel castello (come scrive il Lagetto), poteva servire anche per attaccare Brindisi. Nel Diarium Romanum del Volterrano, tra le altre cose è detto che venerdì 28 luglio la flotta turca raggiunse l’Italia trasportata dalla corrente (o dai marosi): Turcorum classi navigiorum diversi generi circiter centum ex Apollonian , quam VellonamA opinor nunc dicimus, die XXVIII mensis iuliiB , que veneris fuit, ex improviso in Italiam traiecit, transmisso freto [. . .]27

Un elemento cognitivo del genere potrebbe confermare la casualità e, quindi, l’imprevedibilità della meta della flotta turca. Eppure non si tratta di un documento tenero con gli aragonesi, come si riscontra poco più avanti, dove si afferma che gli otrantini invano avevano supplicato il re affinché fosse mandata una guarnigione (“frustra alias regem deprecantibus, ut subsidium ad eos mitteretur”). Per chiudere con le “palandarie” – che, come scriveva il commissario del duca di Bari, “sono piati quasi come ponto per passare fiumi” e che avevano bisogno di mare calmo “altramente sono perdute”28 – si trattava di battelli o zatteroni di grossa stazza 27 Volterrano 22. 28 Com. 1.

n cod. appolonia A Valona, detta anticamente Apollonia, è un golfo sulla bocca dell’Adriatico. Ivi il Turco aveva munito le sue navi, le quali fin dal 22 luglio∗ erano state viste e pedinate da Santo Brasca Veneziano che andava a Gerusalemme; da questo nascondiglio uscì d’improvviso e, navigando la notte, si trovò la mattina del 28 luglio al cospetto di Otranto; Albini, De bello Hidruntino, p. 22; Navagiero, col. 1165; Romanin, IV, 394 sgg.; Guglielmotti, II, 403; Pastor, II, 482; Fossati F., Sulle cause dell’invasione Turca in Italia l’anno 1480 (Vigevano, 1901). B Questa data è confermata dalla Cronaca di Notar Giacomo, le Cronache pubblicate dal Capasso, loc. cit., pp. 534 dànno la data del 23 luglio; l’Albini, op. cit., p. 23 e il Sanuto, col. 1213 dànno invece la data del 26 luglio. ∗ Giugno!



CAPITOLO SETTIMO Lo sbarco presso Roca §7.1 In una notte di mezza estate, 53 • §7.2 Un punto. . . cardinale, 54 • §7.3 Ricostruzioni temporali, 58.

7.1

In una notte di mezza estate

cavalli all’improvviso cominciorno a scorrere il Paese, ed accostandosi alla Città fecero preda di uomini, e d’animalia,2 . Intendendo questa novità gli Capitani,

Vediamo ora come la flotta turca traghettò i suoi uomini in Italia dalla cronaca del Lagetto in un 2 Il Saracino, dopo aver citato il Lagetto in merito alle brano da cui è stato tratto qualche elemento in scorrerie dei turchi e allo scontro di Frassanito, per dimoprecedenti circostanze: strare che “per tutto questo occorsero vari giorni” (v. SaIl disegno era di far l’impresa, venire in Brindisi per la commodità del Porto, come poi già s’intese. Partitasi l’Armata dalla Vallona a prima guardia con un tempo piacevole, in mezzo al Golfo rinfrescò di modo la tramontana, che non possette andare al Porto di Brindisi; ma li fù forza venire cinquanta miglia più di sotto; di più le fuste, che andavano avanti nel camino, trovorno un Vascello, che era partito da Otranto per Durazzo, e per la contrarietà del vento non poteva andare avanti. Fù portato il Padrone del Vascello avanti il Bassà, e li riferì, che veniva da Otranto, e che non vi era più Presidio, che di cinquanta lanze, e certi pochi altri soldati, e che mettevano dentro la Città monittione di paglia, per il che fece disegno il Bassà di venire in Otranto. Hor indrizando l’Armata ed accostandosi a terra a questo continenhtei, senza esser scoverta da nessuna parte sbarcò di notte una mano di cavalli vicino a Roca (Castello alla marina, hoggi disfatto)1 lontano d’Otranto diece miglia, quali 1 Nelle precedenti ed. a stampa mancano queste parentesi, ma non il loro contenuto con evidente valore appositivo, che, tuttavia, forse non è stato compreso da chi lo ha fatto diventare “Roca di Castello” in una versione romanzata di questa vicenda bellica.

racino, Otranto 54-55), riporta anche un passo di un’altra opera dello Scherillo, passo che – oltre ad essere un’evidente riscrittura di quello appena citato dall’Historia lagettiana – sembra dimostrare il contrario, grazie a un avverbio molto significativo: “L’ammiraglio mise in terra una parte dei cavalli e fanti presso un castello marittimo, chiamato Rocca, nelle vicinanze di Otranto, i quali tostamente si dettero a correre la campagna, facendo alcune prede di uomini e di bestiame. Ciò non restò celato ai cittadini; e quei capitani messisi sulla loro pesta, li assalirono animosamente, e ritolto loro il bottino, li volsero in fuga” (Scherillo, De’ Beati 6). “Tostamente”, cioè immediatamente, i turchi “si dettero a correre la campagna”, senza risentire della “traversata che non doveva essere certo un comodo viaggio turistico”, come invece immaginava lo stesso Saracino. Senza esagerare i tempi necessari a sbarcare circa cinquecento cavalli da una trentina di navi distinte, e tenendo conto che da Roca a Otranto a In attesa di rintracciare il volume (distinto) con i riferimenti alle fonti utilizzate dal Babinger per la sua opera su Maometto II, mi sembra evidente che, almeno per la fase dello sbarco in Terra d’Otranto, lo studioso tedesco segua esclusivamente la cronaca lagettiana, accogliendo, tra l’altro, la notizia sul progetto turco di approdare a Brindisi – piano modificato per le informazioni su Otranto fornite dal capitano di un mercantile catturato (Babinger 425); specialmente in questo caso vale l’auspicio, espresso nella prefazione (ibidem XXVI), che alla sua opera generale sul sovrano turco seguano specifici approfondimenti monografici basati su altri documenti coevi.


54 ch’erano dentro la Città uscirno fuori in Campagna, ed incontratisi con detti Turchi a Cavallo in un luogo detto Frassanito, appresso al lago detto la Limini, che stà lontano dalla Città quattro miglia, animosamente investirno, ed uccisero molti Turchi, e liberorno molti huomini fatti schiavi, e li levorno la preda fatta dell’animali. Gli Turchi sbalorditi per ciò, e perché non sapeano il Paese s’incominciorno a ritirare, frà tanto ecco l’Armata compare a vista della Città dalla parte di tramontana buon mattino di Venerdì a dì venti sette di Luglio. Li Capitani del Presidio visto questo si ritirorno con loro Cavalli dentro la Città, e subito dettero ordine, che sbrattasse la gente del Borgo, e che si ritirasse dentro la Città con tutte le sue robbe, e così in un momento fu fatto. Spedirno subito due corrieri uno al Viceré della Provincia, come s’è detto, e l’altro a Napoli alla Maestà del Rè, dandoli aviso communemente dell’arrivo dell’Armata [. . .] Data in Otranto le 27 lugliob .3

Lo sbarco presso Roca

7.2

Un punto. . . cardinale

Secondo il Lagetto, le navi turche partirono all’alba dalla baia di Valona con mare calmo e poi incontrarono una bella tramontana in mare aperto; quest’evoluzione meteorologica si può spiegare – oltre che per un improvviso mutamento del vento – anche in altro modo. La costa nei pressi di Valona non è molto esposta al vento da nord, ancora di meno è esposta a quello che soffia da nord-est (o grecale): nel Salento vanno sotto il nome di tramontana tutti i venti che spirano dai quadranti settentrionali. Si dice anche che la tramontana è signora (nel senso di ceto sociale, anzi nobiliare), perché, come il “giovin signore” del Parini, si alza tardi, vale a dire che generalmente si attenua la notte e poi riprende vigore nella tarda mattinata (e chissà se quel “rinfrescò” non sia una corruzione di rinforzò, intransitivo con valore riflessivo nei dialetti (non essendoci “zone impervie”, ma modesti dislivelli inferiori a venti metri) ci vogliono meno di tre ore di cammino, si salentini). vede bene che i turchi potevano tranquillamente nell’arco di Il Marziano afferma che la flotta turca: una giornata compiere questo tragitto, razziando i casali e le masserie che incontravano sulla loro strada e scontrandosi con una squadra cristiana presso gli Alimini. Per quelli Aperse le vele verso Branditio, hoggi Brindisi, città che sbarcarono sulla spiaggia davanti ai laghi, bastava un’ora nel Regno di Napoli, ma mentre che vi si andava di cammino (a piedi, non a cavallo) per arrivare ad Otranavicinando, assalita in un subbito da contrarii venti to. Non si può, infine, ipotizzare una traversata disagiata che sforzevoli erano, fu costretta a volgere le prore in dopo avere escluso la tramontana e il conseguente dirottadietroc . Ma parendo ad Agomath di potersi ricoveramento della flotta da Brindisi ad Otranto (perché, vien detto, re in dui porticcioli o cale, come vogliam dire, poste i pontoni che portavano i cavalli non potevano arrivare fino a non molto lunghe da Otranto senza havere a tornar Brindisi, che è molto più distante di Otranto dall’Albania. . .). Lo stesso autore scrive, infatti, che “Otranto dista dalla Valnella Velona, divisati prima i legni a’ quali non era lona circa 80 miglia, mentre Brindisi, oltre 170” (Saracino, lecito di discostarsi in niun tempo da lui, parte della Otranto 29). Forse, convertendo più volte le miglia in chilodetta armata si fermò nella prima cala, luoco detto metri, ed esprimendo comunque il risultato in miglia (marine, al presente Le Orte, e il rimanente nell’altra cala, più romane, inglesi?), si è arrivati a raddoppiare tutt’e due le oltre quattro miglia nel medesmo continente, chiamadistanze, dal momento che, con una comune cartina in scala, si trova agevolmente che – da Punta Linguetta, davanti alla baia di Valona – Capo d’Otranto dista circa 73 km, e la co- (Putignano 15-16 nt. 3). Sembra di capire che lo studioso sta brindisina circa 110; a tal proposito, molto più preciso di Ostuni conoscesse un altro ms. lagettiano. c Nelle testimonianze coeve non vi è alcun accenno all’iniappare il Lagetto nell’indicare in cinquanta miglia la distanza tra Brindisi e Otranto. Concludendo, delle due l’una: o ziale proposito di sbarcare a Brindisi né alle cattive condizioni il mare era tanto calmo da consentire la navigazione di que- del mare che avrebbero costretto la flotta turca a dirottare su ste navi basse, e anche un viaggio accettabile, oppure non si Otranto. Anzi una di esse sottolinea in particolare la costante trattò di una comoda traversata, e quindi la rotta avrebbe mitezza del tempo, inconsueta in quel periodo dell’anno, che favorì e accompagnò la navigazione di Achmet (cfr. Foucard potuto subire una deviazione. 3 L55 78-79. Comm., pp. 163-4). Inoltre una recente analisi delle fonti turche dell’epoca ha confermato, tra l’altro, come lo sbarco b Come anticipato, nelle edizioni a stampa, tratte proba- fosse stato deciso, dopo un attento esame della costa pugliese, ∗ bilmente da ms. posteriori, le due indicazioni del 27 luglio proprio ad Otranto : cfr. Gallotta A., I turchi e la terra d’Otranto, in “Atti del Convegno internazionale di studio nel qui riportate slittano al 29, o addirittura al 20 (A. 55-56; M. 27-28; S. 139); l’unico punto fermo è il giorno della settima- V centenario della caduta di Otranto ad opera dei Turchi” na (venerdì) che era il 28! La lettera dovrebbe essere del 27, (Otranto 19-23 maggio 1980), di imminente pubblicazione. È e fu scritta probabilmente appena la flotta turca fu avvista- probabile che il Marziano recepisse la inesatta notizia relatita altrove: “La lettera spedita dagli Otrantini a Sua maestà va a Brindisi, ricorrente anche nel Laggetto, p. 54, da una Cattolica è proprio di quel giorno. I cronisti Volaterrano e cronaca locale quale ad esempio quella del Cardami, p. 503. Laggetti hanno il 28. È anche esatta questa data, che indi∗ Su questo punto, cfr. nt. 13, p. 56. ca il giorno in cui l’armata turchesca si accostò alla città”


7.2 Un punto. . . cardinale ta hoggi di Vadiscod . Era questa armata di novanta galee e de quaranta fra galeotte e altri legni de’ corsari, e fra questi quindeci mahoni sopra i quali givano i cavalli e gran parte delle monitioni. Era l’intento di Agomath di seguire il viaggio de Brindisi cercando de impatronirsi di quel porto, il quale doveva esser ricetto nel seguente inverno della sua armatae .4

55 che il cambio di destinazione sia avvenuto perché a Brindisi c’era la peste7 . Tutto questo appare abbastanza verosimile, mentre la notizia della deviazione dall’obiettivo originario è stata interpretata come un tentativo di giustificare la imprevidenza del re di Napoli nell’approntare adeguate difese in Otranto:

Al di là di qualche incongruenza – come quando si Tale credenza si diffuse in Otranto nel corso del ’500, quasi a sottolineare la piena casualità (che doveva afferma che le navi sono costrette a tornare indietro giustificare, quindi, agli occhi del popolo, l’inerzia dei e scorgono (da dove, dal largo?) le due piccole insesovrani nel predisporre preventivamente le opportune nature, mentre erano proprio i venti settentrionali difese) della sciagura calata sugli Otrantini.8 che potevano portare le navi verso Otranto invece che a Brindisi5 – a parte questo, non sembra peregriQuest’affermazione suscita una domanda (retorina l’ipotesi che Achmet volesse ricoverare la flotta, ca): le difese allestite in Brindisi erano più poderose9 in vista dell’inverno, all’interno di quel capiente di quelle otrantine? Dando, inopportunamente, die riparato porto naturale6 . Si è anche supposto ritto di cittadinanza storiografica ai se ed ai ma si potrebbe rispondere a questo interrogativo, ipo4 Marziano 118. Il termine “ricetto” è sorprendentemente simile a quello riportato in DP 95 dove si scrive che Achmet: tizzando una giustificazione simile (per i sovrani) “habuerat in mandatis castra ponere Brondusij pro habendo nell’eventualità che i turchi fossero sbarcati a Brindireceptaculo portus”. 5 Usa quasi le stesse parole il medico e filosofo di Leverano, si. Ma la storiografia è bella proprio per la varietà di circa omonimo e poco più tardo dell’abate otrantino in quel- opinioni, come questa espressa da un militare: “Semla che sembra una vera e propria parafrasi: “Nell’anno 1480 mai vi fu un errore da parte turca, questo sembra ritrovandosi in Toscana l’esercito del re Ferdinando I di Ara- identificarsi nel non aver osato abbastanza sfrutgona, sotto la guida di Alfonso suo figliuolo, guerreggiando tando la sorpresa con un attacco diretto a Bari e contro de’ Fiorentini, questi spaventati ricorsero per aiuto ai 10 Veneziani, i quali dubitando dei loro stati di Lombardia, acciò Brindisi” ; mi limito ad aggiungere che l’errore turnon venissero in potere di Alfonso, presero occasione per op- co potrebbe essere consistito nel non aver previsto porsi ai disegni del re Ferdinando di trattare con Maometto la tramontana di cui parlano i cronisti otrantini. gran Turco, onde mandasse la sua armata a’ danni del regno In quanto a Bari, che pure, come abbiamo visto, di Napoli, la quale allora si trovava in Costantinopoli nel numero di mille scelti cavalli, e dieci mila fanti. Comandò il re aveva ricevuto rinforzi da Milano, ecco cosa dice Turco ad Agomath Bassà suo fratello, generale della sua arma- delle sue difese e scorte alimentari il commissario ta, che navigasse con quella alla volta della Vallona; dove es- che ivi rappresentava il suo duca: sendo arrivato, imbarcate altre genti e cose necessarie, spiegò le vele con duecento legni e dieciotto mila soldati alla volta di Brindisi col pensiero di aver prima quel porto. Ma mentre che vi si andava avvicinando, assalita l’armata da contrarii venti, fu costretta ritirarsi sotto Otranto in due cale, una detta di Orte, e l’altra di Vadisco. Dove avendo Agomath molto dimorato, e non potendo navigare verso Brindisi per la fortuna del mare, si risolse di avere Otranto” (Marciano 385). 6 Non altrettanto poteva dirsi di Otranto, nemmeno in quell’epoca, quando i turchi: “Nel porto de Otranto non fecino prova de intrare nel quale era assai navilii et navete de la cità, che vista l’armata le fondorono et se fornirono de d Le Orte è chiamata una piccola cala che succede immediatamente a meridione all’insenatura che forma il porto di Otranto, da cui dista via terra poco più di un chilometro e mezzo. Vadisco, oggi Porto Badisco, sei chilometri a sud di Otranto, era un porticciolo in grado di ospitare solo piccole imbarcazioni (cfr. Galateo, De situ, p. 45). e Il porto di Brindisi era infatti l’unico, sulla costa adriatica pugliese, in grado di offrire un sicuro riparo ad una flotta così numerosa e formata in gran parte da navi di grosse dimensioni (biremi e triremi).

Se al principio veniva cossì qua l’armata, non ce possevano tenir octo dì senza fossi, senza una libra polvere et de artiglieria di quelle, altramente stavano neti. Et poi quello non è porto capace di molta armata, né porto securo, che per ogni pocho vento fluctua assai et maxime per greco et levante” (Com. 1). Quando i turchi passarono da carcerieri a carcerati (quando, cioè, furono assediati dagli aragonesi), ricorsero anch’essi all’autoaffondamento delle navi come mezzo di difesa. 7 La presenza di questo morbo infettivo, nella città portuale salentina, era stata segnalata già nel mese di giugno dal Cortese: “a Brandizi et in quelle altre terre marittime li circumvicine li è grandissima peste” (Cor. 80.06.12). La notizia fu confermata il mese seguente dal Montecatino (v. 56). 8 Moro, Cardami 59-60. 9 La stessa Relazione d’Acello sembrerebbe indicare il contrario, almeno per quanto riguarda i rinforzi inviati da Napoli (50 cavalli a Brindisi contro 400 fanti a Otranto) dopo le prime segnalazioni sui movimenti della flotta turca a Valona (Moro, Due preziose fonti 150). 10 Rovighi 96.


56 di polvere et spingarde, et senza grano, et peggio che tutto el dì venevano lettere da Napoli che eravamo spaurosi et timidi, et che non bisognava dubitar dela venuta del Turcho. Sia laudato Idio et s. Nicola. . .11

Lo sbarco presso Roca il caso di inseguire ulteriormente queste possibili obiezioni derivanti dal considerare la tramontana

della Puglia, dà queste notizie di Otrantog : «. . . Tra Brindisi e Otranto, a 25 miglia da Brindisi, c’è Lecce, che dista dal mare 7 miglia. A sud-est c’è una fortezza chiamata Rocca, Dove “dubitare” ha, com’è chiaro, un senso di- che anticamente era una illustre città, ma ora è abitata da verso da quello odierno; com’è evidente pure che poca gente. A 5 miglia verso Oriente è Otranto. Otranto è l’elemento che più inficiava le possibilità di difesa una fortezza sulla riva del mare in direzione nord-est. Sul promontorio che si trova nella parte orientale della città c’è della città era costituito dalle notizie tranquillizzan- una torre chiamata Faroh che è chiamata anche Torre della ti che pervenivano da Napoli! (brusco passaggio Serpei . Di fronte a questa torre c’è una piccola isola; a suddalla sincerità alla propaganda). E comunque il re ovest c’è il porto di Otranto, che non è un vero proprio porto, solo per piccole navi. . . Di fronte a questo porto di Napoli – in un messaggio pervenuto a Firenze di èla adatto città di Valona dista 60 miglia. . .»” (Gallotta 185-186). cui riferisce l’oratore estense in loco – sembrava pre- A parte una certa approssimazione nell’indicare distanze e occupato soprattutto per Brindisi, quale possibile punti cardinali, qui è detto – di rilevante – che a Otranto non c’era “un vero proprio porto”: non si capisce, quindi, quale obiettivo dei turchi: interesse potesse rivestire per i turchi. Questa valutazione, inoltre, è inserita in un documento redatto circa quarant’anni tà [. . .] Fa etiam intendere la m. del S. Re non essere dopo la spedizione di Achmet. In un’altra edizione italiana a pocho periculo Brandusio dicendo che li è la peste dello stesso portulano turco, i riferimenti topografici appaiono grandissima. Et de lì ala Valona ci è pocho.12 con la medesima indeterminazione: “Fra i borghi di Otranto (Otoranto) e Brindisi, a 25 miglia da Brindisi, c’è la torre Ecco, forse una notizia, giunta all’ultimo momen- (pirgos) di San Cataldo (San Qatalde) in un luogo per caricar navi che sta sotto il borgo di Lecce (Deleç) situato sette to in campo turco sulla peste che infuriava a Brindisi, le miglia nell’interno. [. . .] A sud-est del molo c’è il borgo di può aver fatto rinunciare a questo che era un ottimo Roca (Roqa, Roca Vecchia) che un tempo era una grande città, obiettivo da vari punti di vista13 . Ma non sembra e ora c’è solo poca gentej . Da questo borgo verso est, si trova, a cinque miglia, Otranto” (Bausani 186-187). Quest’edizione, 11 Com. 6. traducendo integralmente il testo di Pı̄rı̄ Re’ı̄s, ha il pregio, 12 Mon. 80.07.09. però, di ragguagliarci pienamente su quanto pensavano i 13 C’è stato chi, sulla base di un intervento di A. Gallotta al turchi del porto di Otranto; riprendiamo, dunque, il periodo convegno di Otranto del 1980, ha ritenuto di dedurre quanto lasciato in sospeso da Gallotta: “In effetti il porto non è un segue: “una recente analisi delle fonti turche dell’epoca ha vero e proprio porto, serve solo a riparare le piccole navi, le confermato, tra l’altro, come lo sbarco fosse stato deciso, dopo quali si legano con le cime al molo e si ancorano verso il mare” un attento esame della costa pugliese, proprio ad Otranto” (ibidem). Questo è il porto verso il quale i turchi avrebbero – (Gli umanisti 177 nt. 3 al cap. II dei Successi del Marziano, deliberatamente – indirizzato una flotta di 140-200 navi. . . qui riportata in nt. c, p. 54), pur ammettendo nella stessa Osserviamo, infine, che il Libro della Marina dell’ammiraglio pagina che “Il porto di Brindisi era, infatti, l’unico, sulla turco, pur essendo basato anche su rilievi precedenti, è datato costa adriatica pugliese, in grado di offrire un sicuro riparo da numerosi riferimenti a fatti e situazioni del primo quarto ad una flotta così numerosa e formata in gran parte da navi del XVI secolo (Gallotta 181, 184, 185 e 189); descrive, di grosse dimensioni (biremi e triremi)” (ibidem, nt. 6). inoltre, le coste di tutto il Mediterraneo, senza manifestare Quando fu pubblicato il testo di cui sopra, gli atti del particolare attenzione per quella salentina, come denota, convegno di Otranto erano di “imminente pubblicazione” (ib., peraltro, la forma genitiva del toponimo riferito a Lecce. nt. 3); oggi quegli atti si possono leggere stampati. A un attento esame del contributo, per fortuna non lungo, di Aldo tions nautiques de Pîrî Re’îs, in Revue des études islamiques, Gallotta a quel convegno, sembra di individuare nei passi XLI, 1973, pp. 241-255. g Kitab-i bahriye, ed. in facsimile del ms. Aya Sofya 2612 seguenti il riferimento in questione. Prima si dà notizia di un documento turco non datato in cui si parla metaforicamente – con introduzione e indici a cura di F. Kurdoglu e H. Ale genericamente – della “Puglia «il cui miele è molto, mentre pagot, Istanbul 1935, pp. 470-471. La parte concernente le sue api sono poche» (balı çoq arusı azdur)” (Gallotta l’Italia è stata pubblicata in traduzione italiana da A. Bau184-185); segue una descrizione meno simbolica – ma dal sani, L’Italia nel Kitab-i bahriye di Piri Reis, in: Il Velsenso simile, e comunque riferita alla Puglia intera – tratta tro, XXIII/2-4, marzo-agosto 1979, pp. 173-195. La parte dal famoso Ibn Kemāl (che però scrisse a impresa avvenuta). dedicata ad Otranto è alle pp. 186-187. h Nel facsimile Fano. Quindi si segnala che: “Un famoso geografo turco del XVI i Nel facsimile Y. lan qulsüde, che è senz’altro da leggere secolo, Pı̄rı̄ Re’ı̄s [. . .] autore di un famoso portulano del Mediterraneo [. . .] di cui si hanno due redazioni, la prima yilan qulesi ‘torre della serpe’. j Presso Roca Vecchia sono i ruderi di un castello e di del 1520/21, la seconda del 1525/26f , nella rappresentazione fortificazioni del XIV sec. sul luogo di una città messapica, f Su Pı̄rı̄ Re’ı̄s e la sua opera ved. A. Gallotta, Le ġazavāt con resti di mura e di torri, scavati recentemente, ma che di Hayreddin Barbarossa, in: Studi magrebini, III, 1970, erano, a quanto pare, visibili in parte all’epoca del Nostro, pp. 79-160, 90-96 e S. Soucek, A propos du livre d’instruc- che deve aver visitato personalmente i luoghi.


7.2 Un punto. . . cardinale

57

come un’invenzione giustificativa di re Ferdinando. cumento che risale a quasi un secolo e mezzo prima Basta osservare che, stranamente, questo zelo rea- dei fatti in questione16 : la baia di “Lurso” o “Urso” lista (quando ormai la casa reale aragonese era stata era così chiamata, con presumibile continuità, dal soppiantata da svariati decenni), oltre ad estender- XIV al XVII secolo. Se lo sbarco fosse avvenuto su si fino alla lontana Parma, metterebbe d’accordo – quella spiaggia, si sarebbe potuta indicare un’altra per una sola volta – i due storici otrantini, Lagetto contrada. Non si prendono in considerazione altre e Marziano; non solo: questo zelo si spiegherebbe località, come le spiagge intorno all’attuale San Fosoltanto se le due cronache otrantine fossero state ca, che – oltre ad essere più lontane – se fossero state scritte a ridosso di quegli avvenimenti, con la dina- scelte per l’approdo, avrebbero obbligato i turchi a stia aragonese ancora sul trono, e non un secolo o passare sotto il naso del presidio rocano. quasi più tardi. Come mai questa che si vorrebbe interpretare come una giustificazione implicita della toponimi in un solo modo; se poi teniamo presente che anche imprevidenza degli aragonesi, non è stata in qualche sulla opposta riva albanese si apre una Baia dell’Orso, vediamo che l’unico intruso – etimologicamente parlando – è San modo insinuata anche dall’Albino e dal d’Acello, Foca. Questo toponimo, invece, è reso al femminile non solo collaboratori di Alfonso? da turisti distratti, ma anche da qualche giornalista ignoranNon si sottolineerà mai abbastanza che, secondo te (nel senso che, pur scrivendo su di una rivista “cristiana”, una logica elementare, la prova più genuina della ignora trattarsi di un santo vescovo orientale); tutti costoro o ‘ignorano’ oppure hanno letto l’opera del Marciano (396), il buona fede del re – nel non credere all’eventualità di quale è stato il pioniere di questa madornale cantonata: “. . . un attacco turco ai suoi domini – rimane il fatto che alla torre di Santa Foca sono miglia tre” (partendo da Roca, e egli stesso (il 27 luglio!) mandasse due grosse navi non sono neanche tre chilometri, altro che tre miglia). Possiain soccorso della lontana, e non sua, isola di Rodi. mo, pertanto, limitarci a sorridere bonariamente e compassionevolmente di chi – non salentino e neanche medico e filosofo Un’altra prova sarebbe la stranezza e la sostanziale – declina al femminile il nome dell’antico vescovo orientale. inutilità (per i turchi, ma forse non per altri) di Lo stesso Marciano (394) riferisce che “Lasciando la città quell’invasione che non ebbe un seguito, se non di Otranto ci attende verso Brindisi a miglia due un luogo nelle periodiche e secolari razzie che, però, non detto S. Pietro de’ Canali, dalla moltitudine de’ canali e ruscelli di acque che vi sono, i quali nascono da certi fonti, e si avvalsero mai di un’occupazione permanente di scaturigini d’acque poco infra terra. Precipitando dall’alto territorio italiano. e scosceso lido nel vicino mare dentro di alcune grotte, se Nella cronaca lagettiana, dunque, si legge che i ne veggono due di meravigliosa bellezza, l’una detta della turchi sbarcano a Roca, di notte e senza essere visti Foca, per esser ricetto di foche, o vitelli marini, e l’altra del Bel nome, ciascheduna di passi cento di giro in forma di da nessuna parte (“banda”). Quest’ultimo è un ter- teatro, in cui si può entrare con barchetta, dentro delle quali mine il cui significato può essere frainteso se non si sboccano ruscelli di cristalline ed eccellenti acque”. A parte distanza, sembra si descrivano le grotte della Posia. sa che, nel basso Salento, è frequentemente usato col la 16 Cfr. Guerrieri 39 e, specificatamente, 65-66 dove è risenso indicato e nella forma vanna o vanda 14 . Lo portato il “Transumptum literarum Domini Roberti despoti sbarco avviene nei pressi di Roca, che è un castello Achaie et Tarenti principis de iure plateatico ab ementibus sul mare a dieci miglia da Otranto; sembrano inve- et vendentibus pisces in portibus Sancti Andree Sipollonis et rosimili altre interpretazioni. Se si esclude, infatti, Lursi” (dal “Libro rosso dei Privilegi di Lecce nell’Archivio di Napoli”), in riferimento ad uno sconfinamento di pescatori o l’insenatura di fronte all’odierno santuario, l’unico pescivendoli otrantini nei due porti suddetti: “Spectabilis doluogo adatto allo sbarco, a una distanza più o meno minus Gualtierius Dux Athenarum ac Brienne et Licii comes compatibile con quella indicata, è la spiaggia a lato [. . .] quod licet tam antecessores eius quam ipse ab eo scilicet dell’attuale Torre dell’Orso. A parte la torre di tempore cuius in contrarium hominum viventium memoriam non extare consueverunt percipere per se vel per officiales eoepoca successiva, però, quel toponimo non solo era rum in locis sancti Andree Scipolonis et lursi Ius plateaticum usato in un tempo di poco posteriore a quello in cui ab ementibus vel vendentibus pisces tamen tribus vel quatscriveva il Lagetto15 , ma è anche attestato in un do- tuor forte elapsis homines de civitate Hydrunti . . .”. Al di là

della importante testimonianza sulla toponomastica antica (che, come si vede, è stata riportata in modo leggermente diquella parte’. verso tra il titolo e il corpo del documento, sia nello studio del 15 Il Marciano (395) – vissuto tra il 1571 e il 1628 – parla Guerrieri che in una trascrizione del Libro Rosso presente neldella “Torre di Madorico, ovvero d’Urso”. Il Galateo, De l’Archivio di Stato di Lecce), traspare una inaspettata vivacisitu (60) parla di vitelli marini o foche che frequentavano le tà abitativa in contrade che, invece, in tempi molto più recengrotte Posia in Roca; il bue marino è appunto la foca monaca. ti, apparivano deserte, per il secolare abbandono conseguente Nel dialetto locale, inoltre, si usa l’espressione ursu marinu: alle successive incursioni turche e barbaresche, protrattesi se colleghiamo il tutto possiamo spiegarci l’origine di questi fino agli inizi del secolo XIX (cfr. Palma, Incursioni). 14 Come nella famosa espressione a chira vanna cioè ‘da


58

Lo sbarco presso Roca

In ogni caso si parla – e questo è estremamente importante – di sbarco “vicino a Roca” e non dentro Roca. In quell’espressione – se fedele alla realtà dei fatti – c’è scritto tanto: c’è scritto che Roca non fu invasa e neanche distrutta in quei giorni; le stesse razzie, di uomini e animali, avvennero a danno dei casali dell’interno e non di una città fortificata. Come anticipato, in base a questa datazione e alla sequenza dei vari avvenimenti, si potrebbe supporre che lo scontro di Frassanito sia avvenuto non più tardi del giorno seguente lo sbarco presso Roca (c’è un “tra tanto” a indicare la contemporaneità tra il disorientamento dei turchi battuti nello scontro terrestre e l’arrivo delle loro navi a Otranto); quindi la notte dello sbarco a Roca potrebbe essere quella tra il 27 e il 28 luglio. Così indicano, in effetti, anche altre fonti.

7.3

Ricostruzioni temporali

Tramite il calendario perpetuo, si ricava facilmente che il 28 luglio del 1480 era un venerdì e – considerando proprio quanto fossero importanti a quei tempi i precetti religiosi per i credenti di qualsiasi fede – ci si può chiedere se dei buoni musulmani avrebbero intrapreso una attività di un certo rilievo, quale uno sbarco in territorio ostile, con relativa possibilità di scontrarsi con le truppe locali, proprio nel giorno consacrato al digiuno, alla preghiera e al riposo dall’alba al tramonto. Questo nel lontano 1480; nel recentissimo 1973 gli stati arabi (musulmani) attaccarono lo stato d’Israele nel mese ebraico del kippur, dedicato alla preghiera e al digiuno dagli ebrei, e non nel corrispondente periodo secondo la propria fede, cioè nel mese del ramadan. Intanto pare – secondo la maggior parte delle fonti – che, non solo lo sbarco a Roca sia avvenuto nella notte prima di venerdì 28 luglio, ma che la stessa battaglia finale per la conquista di Otranto sia iniziata all’alba di un altro venerdì, l’11 agosto. Poteva essere anche questo un modo di santificare il venerdì islamico, mandando cioè all’altro mondo tanti infedeli seguaci di Cristo; ma immaginiamo almeno una deroga al precetto del digiuno. Per i rocani, in grande maggioranza cristiani e in parte ebrei, il giorno del riposo di precetto era, rispettivamente, la domenica o il sabato successivi a quel 28 luglio. Due giorni dopo lo sbarco dei

turchi, nella notte tra il sabato 29 e la domenica 30 luglio del 1480, si verificarono quelle condizioni di luna all’ultimo quarto, che sorge dall’orizzonte marino intorno a mezzanotte, di cui si parla, appunto in Alba di luna sul mare, la mia tragedia storica sull’argomento di questo studio17 . Nella relazione del 13 ottobre 1480, scritta dal commissario del duca di Bari, si dice che, quando, dopo il primo sbarco, i primi duemila prigionieri furono spediti a Valona e la flotta tornò con un altro contingente di armati, “sempre lo vento li fu placabile et prospero” (Com. 1); generalmente queste buone condizioni meteorologiche sono propiziate e precedute proprio da forti venti settentrionali, che portano via i residui di una perturbazione, finché non si stabilizza l’alta pressione e il vento perde d’intensità (si dice nel Salento che la tramontana “nasce, pasce e muore”, cioè raggiunge la più alta intensità nel secondo giorno e poi si attenua del tutto alla fine del terzo).

17 Era una notte di mezza luna in fase calante (Palma, Alba 54). Il momento in cui sorge la luna ogni giorno ritarda, mediamente, di circa cinquanta minuti rispetto al giorno precedente: quindi nella notte tra il 27 e il 28 luglio (se lo sbarco è avvenuto allora) la luna si levò dal mare poco dopo le 22 ed appariva illuminata (supposto che, in piena estate, il cielo fosse almeno in parte sereno) per una metà abbondante. Il calcolo della fase lunare di quelle notti è stato effettuato, ovviamente, tenendo conto del numero di giorni trascorsi da allora, della riforma gregoriana del calendario e del periodo di rivoluzione lunare. En passant, come si dice, è stato appurato che la notte del celebre “Addio ai monti” di Lucia nei Promessi Sposi (tra il 10 e il l’11 novembre 1628, partendo dalla iniziale passeggiata di don Abbondio del “martedì 7 novembre”) era effettivamente una notte di luna piena; la creatura della fantasia manzoniana, infatti, mentre attraversa il lago in barca, vede distintamente, sotto “il più bel chiaro di luna”, il proprio paese e anche il palazzotto di don Rodrigo. Probabilmente non esistono cronache meteorologiche – relativamente alle notti del novembre 1628 su “quel ramo del lago di Como” o del luglio 1480 sulla sponda italiana del Canale d’Otranto – che possano confermare l’effettiva visibilità del lume lunare. Statisticamente, però, nell’ultima decade di luglio, a Roca e dintorni il cielo è quasi sempre sereno, spazzato spesso da quelle tramontane (vedasi la cronaca del Lagetto, L55 78) che possono causare quei due, tre giorni di mare tempestoso di cui si parla nella tragedia (Palma, Alba 20 e s.).


CAPITOLO OTTAVO Consummatum est Il dramma otrantino

§8.1 L’epilogo paventato, 59 • §8.2 I fatti essenziali in due fonti coeve, 61 • §8.3 La tradizione locale, 68 • §8.4 Si poteva scampare all’eccidio?, 71 • §8.5 La questione ebraica, 74 • §8.6 Ancora una gaussiana e due date controverse, 74.

8.1

L’epilogo paventato

– come quando, un po’ inspiegabilmente, perdura la vita in un ammalato condannato dalle prognosi Nei quindici giorni di assedio cresceva l’ansia per mediche – è quanto si coglie in questa lettera già la sorte di Otranto nei vari stati italiani, ed è pos- edita e citata, ma che sembra opportuno riproporre sibile cogliere stati d’animo in sintonia con la loro con qualche precisazione nella trascrizione. Il testo, diversa posizione nel conflitto. Il differimento di scritto in due giorni, è dovuto a un fiorentino che qualche giorno tra i fatti e il diffondersi della loro opera a Napoli, dove respira propositi risoluti di cognizione creava, inoltre, un tempo di latenza in reazione all’invasione turca con prontezza e mezzi cui si intrecciavano premonizioni spacciate per noti- consistenti: una visione decisamente ottimistica, ma zie fattuali, smentite e, infine, inevitabili conferme. rilevante proprio per questo aspetto. La lettera è Perché può risultare addirittura sorprendente che copiata e trasmessa dal Montecatino che risiedeva a una piccola città che racchiudeva (si fa per dire) Firenze. nelle sue mura antiquate un migliaio di persone e Adì 5 de agosto in Napule qualche centinaio di armati, abbia resistito due setCopia de l.ra de Philippo Strocio directiva al m.co timane ad un’armata forte di almeno quindicimila d. Bonzohanne Zanfilgiaci uomini e di strumenti bellici così innovativamente Questo asalto de turchi che bene ci sono sopragionti dirompenti. Non dimentichiamo l’effetto che di lì a ala non pensata, dannoci pasione et meritatamente. poco ebbero, ma a proporzioni numeriche invertite, Non hanno perhò facto anchora molto damno che le armi da fuoco in America: qui poche centinaia di Otronte se tiene et è per tenirse anchora qualche dì1 , spagnoli, col “bastone che fa fuoco” in poco tempo deteno de primo dì la batalgia et fuli risposto loro ebbero la meglio su strutture statali di notevole bene. Bombardano ma non li fanno tale damno che entità. quelli dentro non vi rimediino fortifichanosi. E ala L’attesa di un evento che si considera ineluttabile, mista con la sorpresa che ancora non sia accaduto

Valona ha rimandato alcune galee con palandree e 1 Previsione che sarebbe risultata molto accurata.


60

Consummatum est – Il dramma otrantino

altre fuste; dicese per uno turcho suto preso, che sono aspectano. Da Roma se ha anche bona sperancia che ite per condure più zente et artilgiarie2 ; l’altre galee a questo tratto farà da dovero a vedere cio ne11 . Ma restate erano schorse verso Galipoli per predare et el caso sarebe che veneciani condesendeseno12 che tà tenere in terrore el paese. La ma. del S. Re monstra al’uno partito e l’altro se li darebe tale frachasso che in questo la sapientia sua, como ne le altre cose con per fina viva non pensarebe de armare; quando altro animo de lione determina3 rebutarli. li serà faro par(t)e etcetera. Adì 6 Et tra S.ri et terre dominiali ha facto comandare tanta giente che, anchora dichino molto più, fo conto Da Lecio ci sono lettere, de dì 3, che Otronto se fra 8 on X dì harà4 piutosto quaranta cha trenta milia teneva anchora ma tuta volta bombardavano. Et persone, et da 4 in cinque milia cavalli5 che solo lui vi si sono fortificati de stechate in modo persona na6 donato insina ad più cha 500, e ogni dì avia7 nesuna può usire ni intrare. Dicese del conte de zente e la sua persona andarà per terra fra X dì, et, Dugento13 filgio del duca de Andria fu preso, ma da 8 per quello intendo, se fermerà a Troia on a Venosa : suoi insieme fu recuperato. La andata del Re in Pulgia dal’altra parte farà partire de qua el capitaneo de si commencia a metere in dubio14 . Et ogni dì zonze mare fra X dì con 40 in 50 vele, in lequale fra 12 zente, e a Santo Pietro in Galateo15 fanno campo galee, 2 galeacie et 8 nave de 400 bote, in su el resto groso. Et la armata se solicita, et, per avanciare navilii e caroele. tempo, fra 3 dì ne adviarano parte, et fermarase a El provedimento de fori serà grande ma non si ni Mesina et de mano in mano mandaranno le altre. Et può dare custì iudicio. Ultra el duca de Calabria ha de Cicilia fanno conto trarne qualchuna. Et se niuna rechiesto el ducha de Urbino, el conte Iheronimo9 et passase per farro16 , in intrare on in usire, tute le altri suoi soldati. Et così per mare manda a Zenua reteneranno che simile caso parerà essere schusato.17 per adiutarsi de le nave che andavano a Rodi, che Notizie simili su medesimi luoghi e personaggi potrebono fare uno viazo et dui servicii10 ; et cusì de alcune galee vi sono. Et manda drieto per quelle de sono fornite pochi giorni dopo dall’oratore estense Villa Marino. Et cusì in Cicilia per havere le nave presso la corte di Napoli: et galee vi fusseno. Et non si fa dubio che per mare [. . .] Per tuto hogi non se ha altra novella de li e per terra non habii ad havere con loro honore se turchi, se non che pure bombardano Otrante et me 2 Si conferma l’indicazione del commissario sulle diverse dice el secretario che a castello Santo Petro sono ondate di invasione. adunate tre milia persone de questo Reame per andare 3 Solo “termina”, con quel che può valere nel contesto, per ad trovare li turchi. Artigliarie et polvere se mandano il Foucard (140). 4 In presenza di un segno strano, quasi una v, come pride qui in lae.18

ma lettera del termine, sembra comunque preferibile questa lezione rispetto ad “avrà” (Foucard 140). [. . .] De li turchi altra novella per tuto heri non ce 5 Da come si esprime sembra ben inserito negli interessi fo, se non che certi turchi erano andati ad verso el (absit iniuria cognomine. . .) della corte napoletana; per la 11 Interpretazione dubbia; l’insieme degli ultimi quattro cronaca, e la storia, i suoi clienti aragonesi, forse più vicini alla realtà rispetto ai loro adulatori, impiegarono un anno lemmi proposti vale “avederemociene” per il Foucard (140) a mettere insieme circa la metà della fanteria qui preconiz- che sembra dare il significato di ‘mo’ a una linea sopra la e zata; in quanto alla cavalleria non si hanno notizie certe, se precedente, e che, dopo essersi preoccupato di annotare che non quella sui trecento cavalieri ungheresi (v. 338), ma la “caroele” sta per ‘caravelle’, evidentemente considera conoprevisione sembra altrettanto ottimistica. sciuto e di uso comune quest’altro lemma che, opportunamen6 Da intendere come ‘n’ha’. te separato, se valesse la lezione da lui proposta, potrebbe 7 ‘Avvia’. essere così reso: ‘a vedere mo cie n’è’. 8 Ferdinando fece una breve puntata a Foggia in dicembre, 12 ‘Accondiscendessero’. 13 Anche qui, per il Foucard (140), nessuna cura di spieper poi tornarvi per periodi più lunghi nell’anno seguente. 9 Vedremo rispuntare di tanto in tanto, nel corso della gare un toponimo (‘di Ugento’) travestitosi da cardinale guerra, la speranza di veder arrivare sul campo di battaglia (nel senso di aggettivo) in foggia toscana, assorbendo una l’agognato Federico da Montefeltro, forse il più rinomato preposizione che compare in forma ridondante. 14 Magnanima promessa, presto ridimensionata. condottiero dell’epoca; in quanto al nipote del papa, era già 15 Fusione di ‘S. Pietro in Galatina’ con l’aggettivo che tanto non averlo contro, stanti le sue simpatie lagunari. 10 Espressione proverbiale che si rivela per essere molto designa il de Ferrariis quale abitante di Galàtone. 16 Nel senso di ‘faro di Messina’, evidentemente. Sembra antica; nello specifico qui probabilmente si vuol dire che le navi non ancora partite per Rodi potevano passare prima da prefigurarsi un esercizio di predazione e arruolamento forzato Otranto. Nei fatti, invece, l’assedio della città egea volgeva delle navi che si dovessero trovare a passare per lo Stretto al termine perché gli assedianti stavano per desistere anche omonimo. 17 Est. 80.08.05-06 23 (da F. Strozzi a B. Gianfigliazzi). grazie alle molestie loro arrecate dalle due navi napoletane 18 Sad. 80.08.07 116-117, qui 116. già partite.


8.2 I fatti essenziali in due fonti coeve

61

Otranto, si traggono una serie di elementi che vanno dalla gioia di molti veneziani per le disgrazie di Ferdinando alla dissociazione di altri, che però può suonare come una excusatio non petita; infine si insinua il dubbio dietrologico che si tratti di voci messe in giro ad arte per indurre il re a reagire più energicamente, come se ci fosse stato in quel tempo a Venezia un partito che in ogni modo auspicava Vediamo ora un brano che qualcuno cita solo l’espulsione del corpo estraneo ottomano: evidenteparzialmente per dimostrare la malafede veneta, ma mente, chi ragionava così, pur non amando l’aragoche – al di là della nota di colore sui desiderati, nese, comprendeva che, se i turchi avessero messo ma non reali, fuochi d’artificio in laguna con le piede stabilmente in quel seppur lontano lembo della campane a festa – l’oratore estense ivi accreditato penisola, tutte le potenze italiche, indistintamente, ne avrebbero sofferto. ha trasmesso in forma molto più articolata: castello Santo Petro predicto19 longe da Otranto 12 miglia et feceno certa scaramuza nela quale alcuni de li nostri et de li suoi pure furono morti et se diceva chel conte de Doxento20 fiolo del duca de Andria era stato preso, et uno messer Zampetro Guarino21 et uno Bertulazo che sono notabili homini, ma vene heri sira che non erano presi, benché fusseno a pericolo grandissimo.22

[. . .] Pure ho inteso como heri sira vene litere a questa S.ria che el turcho haveva preso Otranto, de la quale cossa io scio dire a V. Ex.tia che qua se ne ride et se el fussi licito ala brigata io credo ne fariano fogi et campane23 ; pur sono anchora de quelli ali quali la non piaze et che dichono non essere el facto de questa S.ria , como è in la veritade; pur li maligni non pono tenire sufogata la loro malegnitade. Altri sono che dicono quella nova non dovere essere vera ma essere facta più larga per chi la scrive o vero per questoro24 qua per scuothere la ma.tà del S. Re, et podere essere che el turcho sia corso et habia damnezato et menato via persone et robe, tuta via pur se divulge el locho essere perso. Starò attento per intendere la veritade et subito ne darò adviso a V. Ex.tia .25

Dalla lettura complessiva, tra notizie vere sulle scorrerie turche e altre premature sulla caduta di 19 Tuttora A’ (ajos) Pedro in greco salentino; oggi semplicemente Galatina, uno dei più grandi centri della provincia di Lecce con i suoi circa 25 000 abitanti, già allora considerevole e sede abituale dell’arcivescovo di Otranto. La distanza indicata nel seguito, peraltro scarsa, sembra comunque escludere paesi più lontani (San Pietro in Lama e San Pietro Vernotico). 20 Dovrebbe trattarsi ancora di Ugento, con l’assorbimento della preposizione di o de. 21 L’attuale comune di Castrì di Lecce si è formato dalla fusione di due piccoli centri vicini, Castrì Francone e Castrì Guarino: quest’ultimo prendeva il nome da una famiglia feudale, probabilmente la stessa di cui faceva parte questo messer Giampietro. 22 Sad. 80.08.07 116-117, qui 117. 23 L’oratore si dimostra certo che – se non apparisse sconveniente – a Venezia si festeggerebbe per la caduta di Otranto; rimane una opinione, non un fatto realmente accaduto, e anche la formula (“fariano fogi et campane”) sembra fosse usata per descrivere metaforicamente ed emblematicamente la manifestazione di una grande gioia. 24 La forma “quellori” in Foucard 132 contraddice l’avverbio che segue. 25 Cor. 80.08.08.

Vediamo infine un brano dalla lettera dell’oratore estense presso lo stato fiorentino dove era pervenuta quella del mercante Strozzi; a due settimane dallo sbarco dei turchi, nelle more dei tempi di comunicazione, si sperava ancora di salvare la città, confidando nell’arrivo di altre squadre e negli inconvenienti che capitavano ai nemici: [. . .] Da Napuli sono lettere de mercatante et persona autenticha che è Philippo Strocio el quale scrive al mag.co d. Bonzohanne Zanfilgiaci, dela quale mando copia qui inclusa a v. ex. dele cose del turcho. [. . .] Li oratori de Milano [. . .] dicono [. . .] che una bombarda grosa de el turcho con la quale tiravano ad Otronte è rota et cusì è restato in due. Et spierano se salvarà dicta terra, perché presto li zonzeranno el duca de Melfi, el duca d’Andri, principo de Bisignano et principo de Salerno et altri con parechie squadre.26

8.2

I fatti essenziali in due fonti coeve

La presa di Otranto e lo sterminio di quasi tutti i suoi abitanti naturalmente trova ampio spazio nella 26 Mon. 80.08.11. Il Foucard ritenne probabilmente “de Melfi” come una corruzione di ‘d’Amalfi’ e così lo rettificò in nota (Foucard 121 nt. 1). Melfi, però, notoriamente esiste e il suo duca Giovanni Caracciolo partecipò alla riconquista di Otranto. Così pure è probabile che “Andri” non sia riconducibile ad Andria (come proposto dal Foucard) bensì ad Atri, in Abruzzo, di cui era duca Giulio Antonio Acquaviva, sfortunato protagonista di questa guerra. Il principe di Salerno era Antonello da San Severino, nato il 1460 da Roberto e Raimondina del Balzo Orsini: un giovanotto di vent’anni che aveva ereditato dal padre la carica di grande ammiraglio del regno, ma senza demeritarla. Per la sua biografia si veda Volpicella 415-421. I contemporanei – che pure si dovevano accontentare di una breve vita media, e spesso dovevano


62

Consummatum est – Il dramma otrantino

cronaca lagettiana, alcune versioni della quale fanno riferimento a questo momento cruciale anche nei lunghissimi titoli con cui sono conosciute. A essa si rimanda27 , pertanto, per una maggiore dovizia di particolari su quelle drammatiche ore. Per la loro importanza, però, anche altre fonti, pur se in misura sobria, ne hanno fornito una descrizione completa; gli oratori, attendibili e immediati, trasmettono inevitabilmente notizie che si rincorrono e talvolta sono soggette a rettifiche. È altrove, pertanto, ma senza allontanarsi troppo nel tempo, che occorre cercare una narrazione più organica; per la freschezza del racconto quasi immediato, e per la notevole vicinanza al teatro bellico, si lasciano preferire, dunque, due relazioni che, tra l’altro, concordano largamente:

Et acampati, deteno uno pocho de battaglia leziera, et immediate quella sera piantono le bombarde, et l’armata loro tirorno in su el lido et lassarola quasi sola, como se non dubitassero et fussero in casa loro [. . .]. Portoro grande artiglieria idest septe bombarde grosse quelle che furno a Scuteri, qualche mille spingarde a cavalleti, et circa altretanti pavesi o voleti intendere targoni, on in bratiadure alte como uno homo, cum uno pallo di ferro da piantare in terra, et questi mandano inanti et li altri stano adrieto ad combattere, come fano ungari; et questi armamenti sonno quelli che acquistò el turcho quando dete quella rota alo ungaro30 . Indosso quelli da cavalli portaro certe loro zupe31 lunge sotto el zenochio di setta, cum le piastre como una coracina32 , et in testa la celatina, in mano una lancia cum la bandirola et la semitara33 et lo arco; quelli da piede lo archo et la semitara; et nel loro combattere servano una grande obedientia et animositade. In quello megio che steteno accampati ad Otranto scorseno tuto quello paese de Terra de Otranto non curando de lassarsi di terra drieto. Per mare mai non se mosseno insino che non hebbeno Otranto; li picoli et gioveni tuti mandorno via in Constantinopoli, quelli che piglioreno per el paese in signo de victoria et venuta loro. Le done molto tenero che li facea fare del pane supra l’altra cossa34 . Et ala magior parte tagliorno li pani fin ala cintura, et la nocte le tenevano legate per li capilli cum grande stratio et vituperio. Li vechi facevano in dui pezzi. Lo modo che servarono ala expugnatione de Otranto fu in questo modo. Piantate le bombarde ut supra, el bassà andò cum una gallea al porto et fece chiamare adomandatoli prima salvo condutto quando35 li parlava de non trare supra la fede nostra. Parlandogi gli domandò sel si voleva rendere di bona voglia, li faria salve le persone a tuti, et che li mandaria a Constantinopoli al gran Turcho, confortandoli molto cum persuaderli che non bisognava sperare in soccorso del Re, peroché sapeva non poteva soccorrerlo per molti giorni [. . .]. Datoli animosamente da Francesco

al confronto di quello che mi sembra il più plausibile dei resoconti coevi all’avvenimento, la Relazione scritta dal commissario del Duca di Bari al Duca stesso Ludovico Sforza (datata 13 ott. 1480), l’unica reale smentita nei riguardi del Galateo è relativa all’Arcivescovo, che sarebbe morto di paura e gli sarebbe mozzata dopo la testa.28

In effetti, rileveremo più avanti qualche altro elemento sul quale le due fonti non sono perfettamente d’accordo e ne cercheremo la ragione. Si propongono, dunque, in sequenza i due resoconti, quello del commissario, con la ricchezza di particolari tipica di una cronaca, e la riflessione più composta del Galateo, confrontandoli all’occorrenza con altre fonti. Quello medemo dì29 se acamporno ad Otranto nel borgo che era abbandonato ma pieno di roba. El quale borgo fu cagione de la più presta perdita di quella cità, elquale haveano servato ad ruinare al bisogno, ma non hebero poi tempo on se scordorno. assumere sin da giovani importanti responsabilità – ammiravano anche il talento militare dell’ancor più giovane Bernardo de Villamari o Villamarina, conte di Bosa: “Le galee del Villamari sono arivate, et sono XI [. . .] questo Villamari è un puto de 16 anni, ma pare molto assentito, et ha cum se molta gente de vaglia” (Sad. 80.08.25 155-156, qui 156). 27 L55 83-88 e p. 470-474 in App. I. 28 Tateo 175. 29 Lo stesso giorno in cui i turchi erano sbarcati, probabilmente il 28 luglio 1480, anche se il commissario – che scrive dopo due mesi e mezzo, e riferisce di due viaggi – come già visto indica la data del 29; in questo giorno una parte della flotta turca potrebbe essere ritornata dopo aver trasportato i primi prigionieri a Valona, compiendo una di quelle traversate di cui narra espressamente proprio il delegato degli Sforza nel loro feudo pugliese.

30 Il riferimento è ad una delle sconfitte (“rota”) subite dagli ungheresi ad opera dei turchi: potrebbe trattarsi della battaglia di Varna, sul Mar Nero, nel 1444. 31 ‘Giubbe’ e non certo ‘zuppe’; il “setta” successivo e altri esempi che seguono confermano una certa qual inversione nell’uso delle doppie rispetto al nostro lessico. 32 ‘Corazzina’. 33 ‘Scimitarra’. 34 Questo anonimo commissario – che è stato tacciato di classismo e antimeridionalismo per una sua affermazione guastafeste sull’abbandono delle mura da parte dei “villani” salentini (Com. 2) – sarà pure antipatico, ma talvolta è efficacissimo. 35 “Q.nto” nel testo, ma sembra una svista.


8.2 I fatti essenziali in due fonti coeve

63

Zurlo la repulsa, imo tardando lì troppo el bassà, sbadataa la Città, quale perché non havea artigliarie deteno foco ad una bombarda, la quale hebbe a fare per offender’ il Nemico poco, ò nessun danno facea, mal servitio al dicto bassà. Irato se partì, et contiperché quelli di dentro non haveano, che certi pezzi nuamente poi dì et nocte li bombardò, et quando le piccoli di ferro, quali andavano piantando hor da uno, bombarde se rescaldavano, le refredavano cum lo olio, hor da un’altro lato, mà la speranza de’ Capitani, e tanta quantità ne hebbero in quello borgo et casali Cittadini era l’aspettare di venire alle mani coll’arotrentini. Se difeseno cum ripari da le bombarde et me, quando erano per entrare, ed aspettavano con da due battaglie, gaiardamente ributtandoli la secungrand’animo mostrare la loro virtù da petto a petto damente gaiardamente36 dali repari dove erano già con le spade in mano; frà tanto andavano riparando saliti; et questo per prudentia et animosità de Franal meglio, che potevano gli luoghi battuti, finalmente cesco Zurlo, et de molti marinari etiam de la terra, doppo quindici giorni, e quindici notti di batteria, deliqualli per non haver ad attendere nisi in uno loco, liberorono i Turchi di entrare, ed un venerdì mattino furono vincitori. Ma per la frequentia dele bombarde, all’alba a dì diece d’Agosto havendono fatto una gran et per non haver fossi boni Otranto, et meno le mura batteria alla cortina, che tirava da levante a ponente, a terrapieno dentro in modo che fecino uno ruinare e tiene la faccia all’Ostro, e trà il Castello, e la Torre, incredibile de muro, che quelli dentro non poterono, che fà l’angolo verso tramontana, dove era una porta, sì per la brevità del tempo, sì etiam per le bombarde che chiamavano la porticella, ed havendono pieno i che dì et nocte non li lassava fortificare et riparare, Fossi, ordinato di sparare tutta l’artigliaria di quelhavendo loro ruinato da la banda del castello et el la banda senza palle per non offendere i loro, con il castello similiter che era una camera da bombardafumo di detta artigliaria per non esser visti con urli, re per triste et vechie mura, non poterno resistere, e strida, e suoni di timpani, e tamburri turcheschi, e maxime che mai li fu dato uno minimo soccorso. gran impeto entrorno, dove trovorno il Capitan Francesco Ciurlo con la sua Compagnia di gente di arme, Ala fine de li XV dì dela venuta loro, che fu el venerdì, havendo la nocte più frequente el bombardare e con suo figlio, che guardava il luogo, e molti altri cha lo usato, la matina caricono tutte le bombarde Cittadini nella difesa, che resistirno più di mezz’hora, grosse senza preda dentro et li detero fuocho; et quelributtando gagliardamente l’Inimico, ed ammazzorno li dentro, stimando li fusseno le prede, reducendose una gran quantità di Turchi; mà perché era tanta la dreto ali repari per meglio che potesseno, in ante che moltitudine de’ Nemici con infinita copia d’archi, frecle bombarde sferiasseno, li cani furno a cavallo su cie, ed archibuggi vi morì il Capitan Francesco Ciurlo, li repari, che sapevano le bombarde non li potevail suo figlio tutti l’huomini d’arme, e molti Cittadini, no offendere, et in quello fumo senza molta bataglia che erano in quel luogo, pure vi erano rimasti alcuni intrarono; dove erano quelli homini pratichi, che staCittadini, che con piche, lancie, ed altr’arme in asta, vano dove era più suspecto37 , fuo pur facto grande e balestre, e spade in mano, resistevano all’entrar de’ resistentia, et tale che forsi non se pigliava Otranto, Turchi.40 se da l’altro canto mancho supsecto dove erano villani et altre gente ville38 non fusseno state abandonate le Queste due fonti così diverse e lontane nel temmura: et così si perdete questa infelice cità.39 po sottolineano il martellamento senza tregua, di

giorno e di notte, che impediva agli otrantini ed al Si noti la straordinaria corrispondenza di que- presidio militare di riparare i danni che subivano le mura (e anche di riposare, come riferisce il Galateo); st’ultimo passo con quanto scrive il Lagetto: praticamente identica è poi la descrizione dell’assalI Turchi intanto non cessando mai di batter né gior- to finale, con le bombarde turche che sparano senza no, né notte, come s’è detto, ed havendo d’ogni banda proiettili per creare una “cortina” di fumo a prote36 Quest’avverbio è semplicemente ripetuto, mentre il pre- zione delle truppe che avanzano, ed entrano infine cedente doveva essere solo in forma di aggettivo. Il Foucard proprio dove erano attese dal capitano Francesco (165) non si pone la questione e interpreta anche il precedente Zurlo. “la” come avverbio di luogo (“là”). Prima di procedere con la descrizione delle cru37 Sembra inopportuna la normalizzazione in punto – in deltà seguite all’irruzione dei turchi in città, il comFoucard 165 – della virgola che segue. 38 Vili, ma non necessariamente nell’accezione attuale, anche perché ha appena detto che tutti “quelli dentro” si erano rifugiati nei luoghi più riparati, tratti in inganno dal fuoco delle bombarde senza lancio di proiettili (per coprire col fumo quelli che andavano all’assalto senza colpirli). 39 Com. 1-2.

40 L55 83. a Così nel ms. L’ipotesi che si tratti di un errore di ricopiatura per “battuta” non è scontata, non essendo minima la differenza tra i due participi.


64

Consummatum est – Il dramma otrantino

missario si concede un rimpianto, perché secondo lui quello scempio si sarebbe potuto evitare se solo si fosse pagato per tempo il soldo a seimila combattenti; e il capitano Zurlo aveva fatto suonare le campane a festa, forse per ingannare i turchi o perché veramente aveva avuto sentore del possibile soccorso. La storia non si fa con i se e con i ma, però nessuno ha mai rilevato non solo l’ingenerosità del Galateo nell’attribuire la successiva cacciata dei turchi dall’Italia alla provvidenziale morte di Maometto II, ma neanche l’impostazione ipotetica del suo sollievo per lo scampato maggiore pericolo. E allora sembra opportuno ascoltare anche questo rimpianto.

nullo navilio venetiano, et io proprio ho veduto passare l’armata loro per el golfo quando andò a Monte S.to Angello et parlorono cum una navetta venetiana che era nel surgettore di questa cità44 . Nullo impedimento li dette, né damno, salvo che dopo la presa de Otrando circa 16 dì del sequente mese, carcando una nave venetiana d’olio a S. Cataldo porto de Leze, el bassà li mandò a dire che se maravegliava che non andava a carichare ad Otranto, et che senza sua licentia carichavano sul paese del gran S.re , et che se non se levava li mandaria a bruxare la nave, et piglio però dui suoi marinari, et non li ha mai restituiti, et fo forza ala nave levarsi, et andò in Levante al suo viagio. Mentro che obsediorno Otronto, se fortificorno molto de fossi et stechadi, et tuto el bestiame amazavano, dele pelle coprevano li stechadi loro aciò non li fusseno bruxadi. Prexo Otranto, li nostri che erano congregati insieme, tuti fugirno como pecore, et molte terre vicine deshabitorno, come è Castri45 lunzi XII miglia, S.to Petro X, Roccha loco fortissimo, et molti altri casteleti et castelli, et Leze che è la principale cità di questa provintia, lunzi da Otranto 24 miglia, bene populata, commenzò ad deshabitare.46

In quelli XV giorni furno commandate molte gente, adeo che se gli trovava in quello dì de la battaglia insieme appresso Otranto octo miglia circa VJ.m persone et non cavalli, se non certi balestreri che stavano ala guardia de Brunduxio cum uno Jo. da Cremona et messer Thomaso Filiomarino capit(ane)o et lo arcivescovo de Brunduxi41 capo del Conseglio di Puglia, et se cinque squadre de cavalli fusseno arrivate de uno dì più presto che tardorno per non li esser stato dato uno quatrino, cum quelle VI.m persone era sufficiente più securamente ad dare disturbo ali turchi prima che commenzassero la battaglia, perché quelli dentro già erano advisati di quello dì; Francesco Zurlo fece sonare ad festa, como sel havesse notitia o signo del soccorso che fusse vicino, per il che li turchi steteno alquanto supra di sé, et non vedendo niente, seguitorno el facto loro.42

Piccoli incidenti di percorso non minano i buoni rapporti turco-veneziani: ne fanno le spese il console veneto in Otranto ed un paio di marinai di una nave che osava caricare olio a San Cataldo, porto di Lecce rivendicato da Achmet, e non a Otranto già occupata. Intanto si ha notizia di popolazione che abbandona paesi e città salentine, e fa capolino la scarsa stima del commissario lombardo per la gente meridionale. Et tute le crudelitade che hanno possuto usare le hanno usate, et nullo ne fuo salvo: etiam el consule venetiano che era drento fu morto et sacchegiato. Vero è che per el golfo43 non hanno dato impedimento a 41 Instabilità della forma nello stesso nome casualmente allineato in due righe successive del ms. 42 Com. 3. 43 Il cosiddetto Golfo di Venezia, corrispondente quasi per intero al Mare Adriatico, salvo che se ne considerava il limite

Il pascià di Valona, ancor prima di conquistare Otranto, manda a dire ai leccesi di prepararsi a subire la stessa sorte che riserverà agli otrantini se non si arrenderanno alle sue buone condizioni; e il duca di Melfi interviene a trattenere la popolazione dal compiere gesti sconsiderati quali la fuga o il passaggio ad uno stato non belligerante. Conoscendo per fama l’inaffidabilità ottomana non si prende nemmeno in considerazione l’idea di accettare le offerte di resa proposte da Achmet. Et, se non chel Duca de Melphi giunse || cum certi homini d’arme et balestreri in Leze, ognuno levava el mazo, tanto era el timore in loro, imperoch’el bassà li mandò a dire per uno suo turcho; et cossì dise ad uno che loro mandò al bassà da lui richesto cum salvo condotto, al quale donò certi vestimenti et fècili grande careze, che se loro se volevano render ad epso li faria de molte immunità, et lassariali securi et salvi, quando non, chel voleva venir fra quatro dì poi preso Otranto, et che quello faria poi a loro che feci a quelli de Otranto. Quanto questo li fu ben conforto meridionale leggermente più a nord del Capo di Leuca e precisamente nel punto più stretto, tra il Capo d’Otranto e la costa albanese dove i veneziani occupavano una delle colonne d’Ercole locali, vale a dire l’isola di Saseno. 44 Bari. 45 Considerata anche la distanza indicata, il toponimo sembra doversi riferire a Castro e non a Castrì di Lecce. 46 Com. 3.


8.2 I fatti essenziali in due fonti coeve pensatilo vui; et se non se li fusse trovato el Duca p.to o loro deshabitavano como haveano commenzato o alzavano le bandiere de venetiani47 ; che in discritione del bassà non sariano mai stati perché havevano visto lo exemplo in queste parte, oltra quello che è manifesto dela non servata fede loro in altri lochi; et lo exemplo de qui fu questo, che inanti la presa de Otranto, uno picolo castello andandoli certi cavalli48 de turchi, se li deteno49 {adimandandoli francheza di X anni, quelli ge la promessino, quando furno dentro li menò al bassà elquale tuti mandò ala Vallona, siché nulla fides pietasque in illis, et forsi Dio lo permette} per il meglio nostro50 , imperoché si servarent fidem, fariano più fructo epsi, se persuadeno più operare cum lo timore de le loro crudelità et sevitie che non fariano col observare pietà et fede, et forsi anche che li mette meglio, perché cossì ogniuno prima fuge che expectarli.51

Non sembra, dunque, che ci si potesse aspettare dai turchi il mantenimento della parola data; forse questa cattiva fama di cui godevano era nota anche ai medesimi; nell’altra preannunciata relazione sulla caduta di Otranto, infatti, le promesse di salvacondotto in cambio della resa si arricchiscono di particolari pratici per rassicurare gli assediati e convincerli che, concretamente, era impossibile violare i patti.

65 Anno a Christo nato MCCCCLXXX Achamatus, praefectus classis Machometis Turcharum regis, ex Aulone Macedoniae oppido solvens cum ducentis navibus et XVIII mil. fortissimorum bellatorum, Hydruntum obsedit non sine omni armorum et machinamentorum genere. Qui tentatis oppidanorum animis, oblatisque non iniquis conditionibus, ut quando non haberent aliquam spem auxilii (exercitus enim noster eo tempore in Hetruria res gerebat) neque invalidam urbem defendi contra tantam vim posse, et callide, et vere aiebat barbarus, sed ut ultro se darent suadebat, aut cum uxoribus et liberis et iis quaecumque ferre possent, urbem desererent atque in vicinas urbes commigrarent, vitamque et libertatem suam servarent. Stultum esse aiebat bene sperare ubi nulla esset spes salutis aut auxilii; at si ipsi fidem homini, et ignoto, et hosti non haberent, se exercitumque suum omnes naves ascensurum atque in mare octo, aut decem millibus passuum ab urbe abiturum pollicebatur, illi interea suae saluti, et libertati consulerent. Haec oratio primo ab Hydruntinis contempta est: responderunt se paratos esse pro Cristo, proque suo Rege extrema omnia pati, et demum mortem obire: ac nuncio ne iterum rediret iusserunt, ac mortem comminati sunt, si quis civium de deditione verbum faceret. Secundum nuncium eadem referentem sagittis confixerunt52 . Concitatus ira barbarus omnia machinamentorum genera, et quae bombardas dicunt, et quas habebant incredibilis magnitudinis expediri iussit, ac invalidos, et veteres muros triduo evertit, adeo ut per plures dies inter nostros Turcasque res telis ensibusque ageretur. Nostri urbem acerrime repugnantes tutabantur, tandem sexta, quam genus Turcarum in veneratione habet feria, XV obsidionis die, tertio idus sextilis: (idus semper

Vediamo allora cosa, sulla presa di Otranto, ritenne di inserire, nella sua opera storico-geografica sul Salento, il Galateo, vicino agli avvenimenti e generalmente degno di fede. Si noterà quanto sia ampio lo spazio riservato alle trattative in rapporto alla brevità di questa cronaca. Riprendiamo, dunque, 52 “Il Bassà poi che il Campo fu accampato mandò un’Indalle notizie sulla consistenza della spedizione già terprete, che i Turchi chiamano Turcimanno a far intendere alli Capitani, ed alla Città, che esso era venuto con questa riportate. 47 Il che sarebbe equivalso ad acquisire l’immunità dall’invasione turca: questa convinzione, evidentemente, scaturiva dalla diffusa conoscenza dei rapporti tra Venezia e Achmet, per non dire dei turchi in genere. 48 Era questo un modo per indicare i cavalieri. 49 Segue in parentesi graffe un lungo inserto nel margine sinistro. 50 “Tutto procede per il meglio nel migliore dei mondi possibili” avrebbe concluso l’ottimista a oltranza Pangloss: è curioso come, quando ci si vuol convincere di qualcosa, più che alla ragione ci si affidi a tecniche sofistiche. 51 Com. 3-4. E alla lunga il buon commissario – sicuramente contaminato dalla mentalità meridionale a causa della sua permanenza in quel di Bari – concedeva diritto di cittadinanza alla opzione della fuga di fronte al nemico, dopo averne rinfacciato l’adozione alla popolazione dell’entroterra rurale otrantino.

Armata, ed esercito per ordine del suo Signore, e che volea la Città in suo dominio, e che se loro si havessero voluto dare, e rendere liberamente, e di buona voglia senza combattere, che esso l’havria fatti liberi di potersene andare con loro famiglie, mogli, e figli, dove ad essi fusse piaciuto, e che se havessero voluto restare nella Città sotto il dominio del suo Signore, che l’havria molto ben trattati, come l’altri sudditi, che havea nelli suoi paesi. Fù risposto da tutti, e communemente al Bassà per mezzo dell’Interprete, ch’essi a nessun conto acconsentivano a questo, anzi che più presto voleano morire, che venire in atto di darsi a loro mani, e che non voleano altro Signore di quello, che hanno, e che per difesa della Fede abbracciarebbero mille morti; con queste, e simili parole li Capitani unanimi con li Cittadini per mezzo dell’Interprete mandorno la risposta al Bassà, quale havuta, incrudelito nell’animo, minacciando fuoco, ruine, fiamme, distruttione, e morte, fece mettere in ordine la batteria per più parti della Città. Li soldati, ch’erano dentro, quasi tutti se ne fugirno, calandosi dalle mura con funi” (L55 80).


66 Italiae infaustas: etenim VI idus sextiles apud Cannas cum Hannibale, infeliciter pugnatum est) omnibus fere nostris sauciis, ac laboribus, et vigiliis defessis, Turcae urbem per plana ingressi primo impetu nemini pepercerunt. Sacerdotes in Ecclesia omnes ad unum trucidaverunt, et nonnullos super altaria hostiam tenentes tamquam victimas mactaverunt. Postquam nocte tota quam turbulentus ille dies secutus est, Stephanus Archiepiscopus, consanguineus meus, omnem populum divino Eucharistiae sacramento firmaverat ad matutinam quam praescierat pugnam, a subterranea templi parte, ad locum, quem chorum dicunt ascendit, ubi martyr Christi pontificalibus insignitus ornamentis in sua sede ab irruentibus Turcis iugulatus est. Qui cladi superfuerunt octigenti viri, aut capti, aut saucii, aut aegroti extra urbem ducti, omnes ante crudelissimi Ducis barbari oculos caesi sunt.53

Consummatum est – Il dramma otrantino E appare discutibile, e non solo metodologicamente scorretta, la considerazione ipotetica che segue: Ogni pocha gente d’arme et fantaria che fusse stato in quello paese haveriano obviato el fare scalla in terra a quella armata. Et se non quello ogni pocho aiuto havesse havuto Otranto haveria disturbato tanta genia dala bataglia di Otranto.55

A parte la disparità incolmabile tra le poche centinaia di uomini del presidio e i circa quindicimila turchi, la costruzione delle torri di guardia – già avviata sotto il dominio aragonese e completata da Carlo V – nasceva dalla constatata impossibilità di bloccare un’invasione che poteva localizzarsi in un punto imprevedibile di una costa così lunga, come quella che delimitava il regno di Napoli56 . Secondo lo stesso commissario, era stato Achmet in persona ad esporre le proposte di resa agli otrantini: proposte e argomenti in parte simili a quelli riferiti dal Galateo, in parte, invece, tutt’altro che rassicuranti (il trasferimento a Costantinopoli. . .). Si potrebbe maliziosamente supporre che, se la prima volta andò veramente Achmet in persona, la seconda volta – immaginando quello che poteva capitargli – mandasse qualcun altro. Ci si potrebbe anche chiedere quale fosse la lingua utilizzata nelle trattative: nelle tradizionali rappresentazioni teatrali di quegli eventi drammatici, pare non esista la figura dell’interprete, anche perché artisticamente sarebbe una zavorra per la vivacità dei dialoghi57 .

Rileviamo alcuni elementi importanti che caratterizzano e rendono particolarmente interessante questa pur breve narrazione. Il primo è l’offerta agli otrantini di condizioni non disprezzabili, tenendo conto che non avevano speranza di soccorso. Achmet è stato dipinto talvolta come un Dracula assetato di sangue; vedremo più avanti, invece, come nella stessa cronaca galateana si ravvisi un comportamento più pragmatico che crudele. Al riparo di mura fatiscenti e avendo a disposizione solo munizioni di paglia, inverosimilmente poco pragmatico, ma improntato a temerarietà, appare semmai l’atteggiamento degli otrantini, o di chi conduceva le trattative. All’estremo opposto, il commissario del duca di Bari – forse un precursore di moderni personaggi pervasi da pregiudizi antimeridionali – riferisce di comportamenti e disposizioni d’animo certa retorica diffusasi intorno alla fine di quei disgraziati, che forse avrebbero preferito continuare a vivere piuttosto tutt’altro che eroici: Tristo chi se trova a subsidio et speranza de villani, maxime di questo paese, che giuro a dio, non intesi né vidi mai li più vili, et || desutili de questi, ma hora vedemo che più spende el scarso, cha lo liberale.54 53 Galateo, De situ 51-54.

54 Com. 2-3. È ragionevole pensare che il rappresentante

di Ludovico il Moro in Bari fosse lombardo come il suo signore, e si incontra un accenno alla Lombardia nella sua relazione; qui sembra di cogliere un atteggiamento sprezzante tra il classista e il razzista nei confronti del popolo minuto di Otranto (più che “villani”, nel senso di contadini, erano pescatori e maestri d’ascia, e quindi più appropriato sarebbe stato il “vile meccanico” usato ironicamente da un altro lombardo qualche tempo dopo). Ma tant’è, tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza. Se impietoso ed ingiusto nei confronti di chi, comunque, perdette il bene più caro, questo giudizio, odioso, ci riporta con i piedi per terra stemperando

che essere annoverati tra i martiri e gli eroi. 55 Com. 3. 56 Gli ultimi re di Napoli arrivarono a sentirsene incoscientemente protetti, ma lo sbarco di Marsala dimostrò quanto fossero infondate le loro certezze, tramandate con la famosa storiella dell’acqua salata e dell’acqua santa, poi entrambe violate, l’una dai Mille di Garibaldi, l’altra dall’esercito piemontese al comando di Vittorio Emanuele II (battaglia di Castelfidardo). 57 Ma, forse, l’assenza di un ruolo simile non è soltanto un espediente teatrale, se è vera questa informazione: “dominus Jullius (l’Acquaviva) [. . .] temptans concordium com dicto capitaneo (Achmet), qui est Grecus audax, crudelis et italice loquitur” (DP 83). La variante della nazionalità rispetto a quelle più comunemente indicate, rimanendo comunque all’interno delle etnie balcaniche di fede cristiana, non appare rilevante; “greco” era genericamente sinonimo di ‘orientale’. In tutto il Levante mediterraneo, d’altra parte, dopo secoli di penetrazione commerciale e politica delle repubbliche marinare italiane, si intendevano bene diversi idiomi italici


8.2 I fatti essenziali in due fonti coeve

67

Si era accennato precedentemente alla cronaca stringata della presa d’Otranto contenuta nel Diarium Romanum del Volterrano e alle analogie, nella sua sinteticità, con quanto narrato dal Galateo, e anche dall’Albino, di cui riferiremo. Vediamo, intanto, il passo del Gherardi:

del Diarium Parmense, dalle notizie sulle efferatezze compiute dai turchi (chiamati talvolta “Teucri”, quasi fossero discendenti degli antichi troiani) a danno dell’arcivescovo e del clero presente in cattedrale, riscontrava un’analogia con la fine toccata al profeta Isaia:

AcchinettusA [. . .] machinis et tormentis adhibitis, quorum magnam copiam secum adduxeratb , omnino illam expugnare conaretur. Itaque illis interim expositis, occupato portu et urbe circumdata, que parvi admodum est circuitus, magna vi, omni genere tormentorum illam adhoriric cepit ita ut nulla per dies noctesqued quies oppidanis daretur. Qui cum imparati essent [. . .], nullis quoque subsidiise comparentibus, tandem victi in potestatef hostium, die XIB augusti mensis, devenere58 , urbs tota direpta est; cesi fere cives omnes et indigene; imbellis etas in servitutem acta est, preter senes utriusque sexus, qui paene cuncti interempti fuere; sacerdotes omnes et ipse in primis Idruntinus antistes,C etate et vitae sanctimonia venerandus, crudeliter occisi.59

[. . .] ipsum com serra fecisse serri, prout sectus fuit Isayas; et omnes presbyteros truncasse, totamque urbem in predam vertisse.61

Come si può osservare, qui non si fa cenno alla strage della popolazione laica che sembra rientrare nella generica devastazione della città. Altrove, si aggiungono particolari ancor più raccapriccianti – e che sembrano appartenere più che altro all’immaginario popolare – sulla fine dell’arcivescovo e degli otrantini: diciturque episcopum Otronti fuisse excoriatum et pellem impletam palleis et quam multos mille homines concisos minutim et multos vhectos in Teucria.62

Fin qui sembra di stare certamente nello specifico Secondo quanto risultava all’oratore estense in otrantino; l’elenco dei vari generi di violenze che Napoli: segue (reliquie gettate ai cani, vergini violate sugli [. . .] Lo vescovo havevano pure tagliato in pezi anci altari, teste portate in cima alle lance come macabri era arcivescovo, ma pare facesse quanto alcunaltro 60 trofei ), non trovando molte conferme, potrebbe benché fosse vechissimo, saltem in exortare ogni uno essere stato attinto dal repertorio delle crudeltà coala guerra et al morire per la fede.63 muni nelle guerre di religione. L’anonimo estensore secondo i luoghi. 58 Così nel testo pubblicato in RIS. 59 Volterrano 22. 60 “Templa Deo dicata funditus dirupta, vel in profanos et turpissimos usus conversa, sanctorum reliquie canibus obiecte, virgines rapte et ad stuprum deducte ac super sanctissimas aras violate. Nihil crudelitatisg aut impietatis obmissum est; b cod. adhuxerat

c cod. corregge della stessa mano adhoriri su adoriri, per l’aggiunta di h nello spazio interlineare. d Dopo noctesque cod. ripete: noulla (sic) e cod. nulla quoque subsidia f cod. impotestate g cod. crudellitatis A Kedük Achmed pascià di Valona fu il condottiero dei Turchi nella invasione del lido Pugliese. B Le Cronache pubblicate dal Capasso, loc. cit., p. 53 dànno la data del 9 agosto; ma l’editore, p. 53, n. 4, avverte che la presa di Otranto avvenne propriamente il giorno 13 agosto. Il Guglielmotti, op. cit., II, 404, seguendo fra le altre testimonianze anche quella del Galateo (Antonio de Ferraris) conferma invece la data del giorno 11 agosto. C Stefano Pentinelli (Eubel, II, 184).

Le voci e le dicerie sull’esito dell’assedio, e non solo, talvolta sorprendevano anche chi, avendole ascoltate per dovere di cronaca, come si dice, sentiva l’obbligo di riferirle: [. . .] Per lettere de diversi mercatanti [. . .] dice che amaciò quando introno dentro da Otronto el vescho cum la croce in mano che celebrava. Et tute le done zovene de qualche aparencia hanno mandato via, le altre pure zovene non de tale aspecto li hanno talgiato li panni et le fanno lavorare ali repari de la terra. Et dicono che 49 homini havea capato da talgia erase mandato a Napuli per rescoderli verba habent dicono etiam che se trovò al dicto vescho ducati 20 milia cuique nobilis caput ascissumh et affixum lanceis, tota urbe ad spectaculumi deferebaturj ” (Volterrano 22). 61 DP 80. 62 DP 76. 63 Sad. 80.08.20 149-151, qui 150. h cod. abscisum

i cod. spetaculum

j cod. defferebatur


Consummatum est – Il dramma otrantino

68

et che hanno portato via da quella terra tra ramme, quella forma, ancora più antica. Vediamo, dunque, arzento et dinari uno cosa incredibile in quello loco.64 gli elementi che più colpirono i ragazzi otrantini del

8.3

La tradizione locale

Uomo del Cinquecento, l’otrantino Gianmichele Lagetto, intorno alla metà di quel secolo, dopo aver raccolto le testimonianze degli ultimi sopravvissuti alla guerra e all’eccidio del 1480, s’incaricò o fu incaricato di dare una compiuta forma scritta a quella tradizione orale. L’intervallo di tempo ipotizzato (e verosimilmente plausibile per quanto già detto) corrisponde, mediamente, a due generazioni umane65 ; ma se consideriamo che durante l’invasione turca alcuni adolescenti si salvarono, riuscendo, nel contempo, ad essere testimoni consapevoli di quegli eventi, il cronista apparteneva alla generazione immediatamente successiva. Vale a dire che gli uomini maturi del 1550 erano figli dei ragazzi del 1480. Al di là di questa contabilità generazionale, la testimonianza raccolta da Leandro Alberti nel 1525 in Otranto sembra fortemente indicare che quella tradizione ancora soltanto orale si era già consolidata in modo assolutamente corrispondente alle forme che saranno poi vergate per iscritto dal Lagetto, la cui cronaca, pertanto, nonostante tutto e tutti i possibili copisti intermedi, è pervenuta nella sostanza autentica fino a noi. In questo senso, quegli zelanti di ogni epoca che hanno artigliato un riferimento all’anno 1537 clonandolo in più punti della Historia per utilizzarlo come anno di stesura della medesima, se intendevano, come sembra, antichizzarla per avvicinarla ai fatti narrati, le hanno fatto un torto. Sarebbe stato più utile confrontarla con i brani presenti nella Descrittione di tutta l’Italia per provare che la tradizione orale, che un giorno il Lagetto si sarebbe incaricato di riprodurre su carta, era, in 64 Mon. 80.08.29 2. Esiste un’altra lettera, sempre su due pagine, scritta dallo stesso oratore in pari data, ma con il giorno in cifre romane, e che termina poco oltre la metà del foglio verso: non ci sono altri modi per distinguerle. A proposito di cifre, per motivi assolutamente inspiegabili, il numero “49” riportato in modo così preciso dal Montecatino, è arrotondato a “50” in Foucard 124. 65 La ricostruzione di tutte le famiglie vissute nella parrocchia di Calimera (e di alcune famiglie delle parrocchie vicine) dai primi del Seicento alla fine dell’Ottocento, mi induce a valutare per quei secoli in circa trentacinque anni la distanza media tra le generazioni. Con buona approssimazione si può quindi asserire che, sempre mediamente, intercorre circa un secolo tra bisnonni e pronipoti, due terzi di secolo tra nonni e nipoti, un terzo tra genitori e figli.

148066 nella fase culminante dell’assedio turco alla loro città, continuando da un brano già visto.

Mà perché era tanta la moltitudine de’ Nemici con infinita copia d’archi, freccie, ed archibuggi vi morì il Capitan Francesco Ciurlo, il suo figlio tutti l’huomini d’arme, e molti Cittadini, che erano in quel luogo, pure vi erano rimasti alcuni Cittadini, che con piche, lancie, ed altr’arme in asta, e balestre, e spade in mano, resistevano all’entrar de’ Turchi; avvisato di questo il Capitano Giovanni Antonio de Falconi, quale stava in una piazzella in mezzo alla Città con la sua Compagnia, e molti altri Cittadini per soccorrere, dove fosse bisogno, ed arrivato subito al luogo con l’huomini d’arme a Cavallo, e trovò, che Turchi già cominciavano ad entrare, essendo venuti fin sopra l’argini di dentro sempre avanzando terreno contro quelli, che resistevano, ed avanzandosi contro quelli con grand’animo, ributtandoli, n’ammazzò molti, e resistè un gran pezzo; mà era tanta la calca della gente Turchesca, che veniva spinta da dietro dal Bassà, e suoi Capitani con bastoni, e sciamitarre ignude per farli entrare a forza, e con gran gridi, ed urli; e perché non potevano offendere gl’huomini d’arme, essendono coverti d’arme bianche, attendevano ad uccidere gli Cavalli, e come erano in terra non potevano più adoprarsi per il peso di dette arme bianche, quali rompevano con l’accette, e subito, che vedevano uno a terra gli era sopra una moltitudine de’ Nemici, di maniera che furno tutti ammazzati con Giovanni Antonio de Falconi, e molti altri Cittadini, che si trovorno a quella difesa, e così i Turchi entrorno dentro ammazzando, ed i Cittadini resistendo, e ritirandosi strada per strada, le strade erano piene dik cadaveri sì di Turchi, come dil christiani, ed il sangue scorreva per le strade, come se fusse un fiume, di modo che scorrendo i Turchi per la Città, sequitando quelli, che resistevano, e quelli, che si ritiravano non trovavano da caminare se non sopra i Corpi morti. Era pieno di grandissima considerattione vedere la virtù de’ Cittadini, e la Magnanimità de Capitani, che in quel medesimo luogo, che s’erano posti a difendere, si vedevano star distesi a terra mezzi morti con le spade 66 Oggi, giustamente, per molto meno stiamo in ansia per i traumi che possono subire i minori che vedono e vivono esperienze drammatiche. In proporzione possiamo immaginare l’intensità dei traumi per i ragazzi di allora in guerre che spesso si configuravano anche come religiose. E certi stupori che potevano nascere nella mente di un adolescente alla vista di quelle scene forse sono pervenuti fino alla penna del cronista. k Ex de’. l Ex de’.


8.3 La tradizione locale nude, ed insanguinate resistere sino all’ultimo fiato. Hor da questo luogo, ed in questo modo la Città fù presa, perché dalla banda del mare non era possibile, stando situata sopra una pegna altam di pietra, sopra la quale stevano poste le mergolature, quali etiam che l’havessero levate con l’haritigliarie, pure restava il monte alto, che non si poteva né battere, né scalare, e sotto il monte l’acqua è bassissima quasi un palmo, che non si può accostar Vascello per far scala. Lascio, che da mare né anco si può battere per l’altezza del monte, che per tirar a mezzo orizonte era necessario, che le Navi fussero andate lontano fuora de bocche, da dove havriano fatto poco, ò nessun danno; mà dalla parte di terra il suo sito è tale, che rende la Città a potersi battere, mentre da ogni parte vien circondata da Colli circonvicini, e li bracci di terra, quali cingono il mare, e fanno il porto, sono lontani.67

L’irruzione in città e il primo scempio dei suoi abitanti sono descritti, come si vede, dal Lagetto similmente alle altre fonti. È stata segnalata una differenza significativa68 sulla morte del presule otrantino che, nella cronaca lagettiana, sembra cedere alla paura di fronte ai turchi entrati nella cattedrale: Il sudetto Arcivescovo havea communicato molte donne, animando tutte ad esser costanti alla Fede di Christo, e volendosi salvare al palazzo fù giunto da un Turco moro avanti la porta della Sacristia, dove il pover Signore fù ucciso, ed il moro si pigliò la mitra e postosela in testa andava camminando per scherzo alla Città.69

Lo “scherzo” potrebbe derivare da un originale scherno nell’apografo, ma cambia poco: è la Chiesa che si vuol umiliare nella persona del suo massimo esponente in loco. Ma a questo protomartire otrantino non rende un buon servizio (o ne tramanda oggettivamente l’umana debolezza?) nemmeno chi accenna al suo tentativo di salvarsi nel palazzo uscendo dalla sacrestia. Senza cercare più o meno dietrologicamente il motivo per cui questa cronaca, comunque funzionale alla beatificazione delle vittime otrantine, contenga un particolare che avrebbe potuto nuocere alla buona memoria dell’arcivescovo, è abbastanza facile prevedere una possibile giusti67 L55 83-84.

68 V. Vallone, Arcivescovo 304 nt. 138. 69 L55 85.

m Nel ms. “altra”.

69 ficazione nella citazione del famoso “Padre, se è possibile, passi da me questo calice”. Passata l’iniziale furia devastatrice dell’irruzione in città e consumato il primo massacro, agli occupanti cominciarono a presentarsi i risvolti più prosaici dell’azione bellica. Il Bassà non volse entrare nella Città, se prima non si purgò de’ i Corpi morti, perché tutte le strade erano piene de’ cadaveri sì di Christiani, come di Turchi, e frà tanto se ne stiede alla campagna, dove era accampato. Fece ordine con bando publico, che chi havesse schiavi ne li desse nota, e che si portassero avanti di esso, e ciò fù a dì undeci Agosto giorno di sabato; in poco spatio di tempo furno portati tutti, eccetto alcuni, che li Capitani ascosero, e portorno sopra le Galere, e poi si rigattorno con denari, e tutti quelli, che furno portati di nanzi al Bassà, per mezzo d’un Interprete si persuadevano, ed esortavano, che rinegassero Christo, e la fede christiana, che ciò facendo li sarebbero restituite le loro mogli, figliuolin , e sariano lasciati nella Città, purché servissero, ed obedissero al suo gran Signore e che ciò non volendo fare l’havriano fatti ammazzare tutti, che così persuadeva il loro Cogia, ciò è maestro, havendono prese l’arme, e resistito al loro Signore. L’Interprete era un Calabrese renegato, quale era stato Prete di Messa, e con questo mezzo li suggeriva, dicendo, che esso era nato christiano, sacerdote, e si chiamava Don Giovanne; mà conoscendo l’errore, in che si trovava, s’havea fatto Turco, perché conosceva, che Magomettho era un messo di Dio, e che lo potea credere alle vittorie, che dava al loro Signore, e che se Christo era meglio di Magomettho l’havria difesi da questa guerra, e non havria fatto far loro schiavi. Con queste, ed altre empie parole, e falze raggioni si forzava lo scelerato Interprete a persuaderli che rinegassero Christo, e la sua santissima Fede; frà l’altri schiavi vi era uno chiamato Antonio Primaldo maestro zimator de panni, huomo vecchio, e trovandosi più dell’altri vicino al Bassà, in persona di tutti rispondendo disse, che essi tengono Giusùo Christo per figliuolo di Dio, e loro Signore, e Dio, e che più presto voleano mille volte morire, che rinegarlo, e farsi Turchi, non dando credito alle sacrileghe parole d’un renegato, dannato, ed inimico di Christo, e voltatosi alli compagni disse queste parole: Fratelli miei sino ad hoggi habbiamo combattuto per difesa della Padria, della propria vita, e de’ nostri Signori temporali, hora è tempo, che combattiamo per salvar l’anime nostre, e per Christo nostro Signore, quale essendo morto per noi in Croce, n Nel ms. “figli, ogli”.

o Così nel ms. dove la forma consueta è “Giesù”.


70 conviene, che noi moriamo per esso, stando saldi, e costanti nella sua santa Fede, e con questa morte temporale guadagnaremo una vita eterna, e la Corona del Martirio; a queste parole incominciorno tutti a gridare ad una voce, che più presto vogliono mille volte morire con qual si voglia empia sorte di morte, che rinegar Christo. Il Bassà dimandò l’Interprete, che cosa haveano detto li Christiani. L’Apostata Interprete rispose, che han detto tutti, che vogliono prima morire, che rinegar Christo, e che in ciò l’havea persuasi quel vecchio mostrando Antonio Primaldo. Intendendo questo il Bassà sdegnato sententiò, che tutti fussero decollati, e che il primo fusse Antonio Primaldo, che havea prima parlato, e che ciò havea persuaso, e così fù esequito il terzo giorno, che fù di Domenica a dodeci Agosto, quali legati con le mani dietro a cinque a cinque fece condurre sopra un monte lontano dalla Città trecento passi, chiamato il monte della Minerva, e da Cosmografi il monte Hydro; e caminandohnio verso il Monte, quasi in un’altro Calvario, s’andavano confortando l’un l’altro a pigliar patientemente il martirio, e questo facea il Padre al figlio, il fratello al fratello, l’Amico all’Amico, il Compagno al Compagno con molto fervore, ed allegrezza. Si disse, che mentre andavano così una Giovine ch’era portata da certi Turchi vedendo due suoi fratelli, ch’andavano così legati con l’altri, disse ò miei fratelli dove andate? rispose uno andamo a morir per amor di Giesù Christo: a queste parole cascò tramortita a terra, ed un Turco volendola far alzare li diede un colpo di sciabola in testa e l’ammazzò.70

Confrontiamo il brano appena visto con quanto l’Alberti raccolse dalla bocca del “gentilhuomo” otrantino: Et auanti fossero uccisi, furono prima esshortati da i Turchi à renegare la fede di Christo, promettendogli assai cose, & poscia minaciati, non lo facendo, di ucciderli tutti, Liquali tutti ad una uoce risposero più tosto uoler patir ogn’aspro tormento & poi la morte, che mai abandonare la uerissima fede di Christo Giesu. Adirati i crudeli nemici di Christo, gli cominciarono ad ucciderli, Ma per questo non pauentati, anzi più animati à morire per il signore nostro Giesu Christo, si esshortauano l’uno & l’altro à sopportare le crodeli ferite de i Turchi & etiandio la morte, Onde (come a me diceua quel Gentilhuomo, che ui era presente) si uedea il padre esshortare il figliuolo à tolerare la morte per Christo dicendogli che non temesse la morte de’l corpo, ma quella de l’anima. [. . .] Et con queste, & altre simili sante esshortationi, tutti alegramẽte se offerriuano al martirio, parendogli di passare ad un 70 L55 86-87.

Consummatum est – Il dramma otrantino glorioso cõuito, che in uerità passauano al nobilissimo conuiuio de uita eterna. Et cosi tutti furono quiui uccisi, & martiriggiati per la fede di Christo nostro redentore.71

Esaminando questi brani in cui fra’ Leandro riporta il racconto dell’ignoto testimone otrantino, appare legittimo inserire a pieno titolo una simile relazione tra le varie edizioni della cronaca lagettiana, che, per gli episodi comuni e fatte salve le proporzioni, non differiscono da quella più che tra di esse. È legittimo supporre che l’Alberti abbia pregato il suo interlocutore di riferirgli stringatamente la triste storia della presa di Otranto o che del suo racconto abbia elaborato una sintesi compatibile col piano della sua opera, ma salvando in ogni modo alcune espressioni che sembrano prese di peso da quella Historia che un giorno avrebbe trasferito su carta il magnifico Gianmichele Lagetto. E ad essa noi torniamo per il racconto conclusivo dell’eccidio con i suoi particolari mirabili. Arrivati così legati al monte, loco destinato all’eccidio uno di quelli sentendosi alquanto lento il legame propò sciogliersi dal compagno, e già si disciolse, e calandosi pian piano giù dal monte frà tanta turba si rimesse dentro una valle, de’ Giardini, ch’era vicina alla falda del Monte, e non essendo stato visto, scampò, e non si vidde mai più, nè di lui si sebbe novella alcuna. Un Turco frà tanto andava a torno a torno alli condennati con una tavoletta in mano, segnata con certi caratteri Turcheschi, e dall’iniquo Interprete si diceva: chi vuol credere quì li sarà liberata la vita, altrimente sarà ammazzato, né fù pur uno, che s’havesse voluto distorre dal suo santo, e buon proposito. I Carnefici facendo il loro ufficio in presenza del perfido Bassà, allegro da sì crudele spettacolo l’uno appresso l’altro con intrepida costanza furno tutti decollati, ed uccisi, ed il primo fù quell’Antonio Primaldo per adempire, ed esequire l’ordine del Bassà, e mentre che fù vivo non cessò mai di predicare, ed esortar tutti ad alta voce, e con efficacia al Martirio, e con gl’occhi verso il Cielo affirmava, che lo vedeva aperto, e che l’Angelici spiriti stevano aspettando quell’anime per riceverle, e che tutto ciò apertamente, e chiaramente vedeva, ed essendoli tagliato il Capo restò saldo, e dritto il corpo come una colonna, senza cascar mai in terra, non ostante, che li Turchi l’urtavano per farlo cascare, e finché non si finì il taglio non cascò mai, e doppo finito cascò da se stesso appresso, e sopra gl’altri.72 71 Alberti 209v-210r.

72 L55 87-88.


8.4 Si poteva scampare all’eccidio?

71

Infine gli ottomani, forse memori del modo con A parte una certa imprecisione (prigionieri eracui dalle loro parti era stato sciolto un celebre nodo, no sicuramente tutti gli otrantini, sia i feriti sia i si mostravano di modi molto spicci nel risolvere i malati sia gli eventuali integri), nell’ultimo periodo problemi pratici: si rinviene una chiave di lettura – che non risulta sia stata finora adeguatamente sottolineata – circa I Turchi da che guadagnorno la Città, fecero della la decisione di uccidere tanti uomini, invece di conchiesa Madre, come s’è detto, loro Moschea, ne ca- durli schiavi altrove, come era stato già fatto con vorno, ed abbruggiorno tutte l’ossa delle sepulture, svariate migliaia di catturati. A chi scrive sembra di levorno tutte l’Imaggini de’ Santi dalle pareti, e li cogliere nella cronaca del Galateo questa possibile biancheggiorno acciò non restasse segno alcuno del- spiegazione di quella strage, proprio in base alla vala Fede di Christo, restò solamente nell’oratorio di lutazione delle condizioni degradate dei prigionieri. basso alla Confessione un’Imaggine di nostra Donna D’altra parte, le testimonianze al primo processo col figlio in braccia, quale stando esposta alla vista di tutti, bisogna dire, che acciecò gli Turchi a non farsi di beatificazione (nel 1539) non fanno cenno allo vedere, hora stà in molta venerattione presso tutti sterminio degli 800 pro fide servata; mentre, come è della Città, e si adora sotto il Titulo del Rosariop . stato giustamente osservato, nell’opera del Capano Serrorno, e frabricorno l’entrate di detto Oratorio, e fecero una porta alli Tribuna verso l’Oriente.73

Ritengo che non si evidenzierà mai abbastanza la inattesa corrispondenza tra la narrazione lagettiana e quella albertiana: pur essendo la seconda molto breve, sembra letteralmente citare alcuni brani dalla prima, che, all’epoca, forse esisteva solo in forma orale.

8.4

Si poteva scampare all’eccidio?

Si colleghino, ora, queste espressioni ricavabili da una traduzione del brano galateano: Essendo ormai quasi tutti i nostri feriti e spossati dalle fatiche e dalla mancanza di sonno [. . .] gli ottocento uomini che erano sopravvissuti alla strage, in quanto prigionieri, feriti o malati, furono condotti fuori dalla città, e quindi tutti massacrati, sotto lo sguardo del crudelissimo comandante straniero. 73 L55 105.

si legge, anzi, e diffusamente, che gli Ottocento furono uccisi perché nel corso dell’assedio gli Otrantini respinsero l’offerta della vita in cambio della resa.74

Ancora secondo G. Vallone – che in sostanza si è chiesto se nella fattispecie si possa parlare di martirio nell’accezione originaria del termine, vale a dire di testimonianza della fede per mezzo della propria vita – nel De situ galateano tale costanza nella fede, non si descrive tentata da offerte di salvezza. Più esplicito è però l’epigramma galateano In sanctos martyres hydruntinos.75

Occorre, infine, tener presente che i turchi, per quanto non fossero cortesi cavalieri medievali, non appartenevano a quella categoria di combattenti che non fanno prigionieri; anzi, spesso si muovevano nel Mediterraneo esclusivamente a questo scopo, e comunque non sembra anteponessero il fanatismo religioso al venale calcolo utilitaristico. Il riscatto dei prigionieri era una pratica molto diffusa, tanto che da secoli operava in tale direzione l’ordine religioso dei trinitari76 ; il commissario del duca di

p Da precisare che l’adorazione è riservata a Dio, mentre 74 Vallone, Arcivescovo 285. “La via più sicura per la alle sue creature – per quanto sublimi – si addice la venerazione. Con un atteggiamento più distaccato, ma senza diffe- beatificazione, era naturalmente (in forza dei decreti urbarenze sostanziali, è riferita dall’Alberti la testimonianza del niani del 1634) la dimostrazione del possesso centenario del gentiluomo otrantino: “Uccisi i santi martiri, et fatti servi culto. Nella specie, il sacrificio era sottolineato per accentutti i fanciulli con le donne, prima che altro i perfidi Tur- tuare l’odium fidei del Turco e l’amor fidei degli Ottocento” chi roinarono tutti i Monasteri, et delle Chiese ne fecero loro (ibidem nt. 26). 75 Vallone, Arcivescovo 287 nt. 35. Il sonetto è in A. De Moschee, guastando le imagini de i Santi acciò non vi rimanesse alcun segno della fede di Christo. Ne rimase però una Ferrariis Galateo, Epistole ed. A. Altamura (Lecce 1959) 301figura della Madonna col benedetto fanciullo in braccio, che 302 e così recita ai versi 5-8: “Non illos fregere minae, non non fu guastata, che si pensa fosse per non esser veduta da caeca minantum / ira, nec instantis dona superba ducis. / quegli sporchi nemici di nostra fede. Et ciò fu poi riputata Quisque sub immani posuit caput ense secandum. / Una fuit cosa miracolosa, per esser quella posta in luogo aperto nel cunctis mens: voluisse mori”. 76 Sulla natura, gli scopi e la storia dell’ordine dei trinitari, santuario della Chiesa Maggiore” (Alberti, ibidem).


72

Consummatum est – Il dramma otrantino

Bari nella sua relazione riferisce che alcuni otran- le altre cum li fanciuli havevano exportate”81 . tini ebbero salva la vita pagando adeguatamente: E a questo punto mi corre l’obbligo di spiegare “Qualchuno che potesse fare bona taglia, che non perché poco sopra, seppur tentato, ho solo segnalato ne volesse77 mancho de 300 ducati, hebbero la vita; la mia opzione per ‘valesse’ piuttosto che sostituire ma non furno in tutto circa 20, et circa 900 persone il “volesse” del testo e darne conto in nota: la prufece amazare. Tutti li piccoli mandò in Constan- denza mi ha trattenuto perché se, come penso, il tinopoli. Le done hano retenute per uso loro: ma commissario intendeva effettivamente scrivere “vade 8 in 10 anni, et cossì li puti”78 ; ne parla anche lesse”, si compone uno scenario molto venale e dalle la Relazione d’Acello: “il detto Bascià [. . .] ne fece conseguenze facilmente immaginabili intorno allo decapitare ottocento, altri ne liberò con ricatto, al- sterminio degli otrantini. Come se i turchi, cioè, tri ne mandò in la Velona e da là al gran Turco”79 ; avessero deciso di accettare solo i riscatti al di sopra anche l’oratore Sadoleto, in data 18 agosto 1480, di quella soglia di trecento ducati a testa, e non scriveva che “li turchi [. . .] hano occiso quasi ogni avessero nemmeno preso in considerazione la posuno excepto che li picoli che hano mandati via, et sibilità di risparmiare la vita a chi non disponeva alcuni altri li quali se recatarono cum taglia”80 , e di tanto, indipendentemente da ogni altro elemento dopo due giorni precisava: “El S. secretario dixe che di valutazione. Né vedo che senso abbia un verbo solo dexesepte homini erano rimasti vivi in Odranto “volesse” in quel contesto; a volere i ducati erano i quali se rescatavano, et alcune done se rescatavano, turchi, non certamente il soggetto di quella frase, che, per quanto anacolutica, invito a rileggere così: “Qualchuno che potesse fare bona taglia, che non ne si può vedere la bibliografia indicata nel compendio storico valesse mancho de 300 ducati82 , hebbero la vita”. di Cipollone (87-97). L’Ordine, che è detto anche “Ordo Tenendo presente che, probabilmente, Otranto Sanctae Trinitatis pro redemptione captivorum” fu fondato contava tra i 1 000 e i 1 500 abitanti83 , che i soldadal francese s. Giovanni de Matha e la sua regola approvata da Innocenzo III il 17 dicembre 1198. “L’Ordine t. è sorto ti del presidio erano scappati, che una parte delle particolarmente per la redenzione captivorum, qui sunt incarcerati pro fide Christi, che se tradissero, cioè accettassero altra religione, cultura e cittadinanza, sarebbero fuori dal carcere, o come liberi o come servi. [. . .] La prima soluzione della cristianità di fronte al problema dei cristiani prigionieri (che travagliava, nel campo avversario, lo stesso Islam per i musulmani caduti prigionieri dei cristiani) passa per l’Ordine t. Come dire, la prima soluzione al problema posto dal confronto ravvicinato delle due religioni è riportare (per quanto possibile) ogni fedele nell’ambito della propria religione, per non privarlo delle possibilità di salvezza eterna che essa arreca, «redimendolo», pagando cioè un riscatto in moneta per lui o scambiandolo con captivi dell’avversario o controparte. Paradossalmente, l’opera di redenzione provocò un numero maggiore di captivi. La certezza del riscatto incentivò l’avidità di guadagno e l’attività ostile musulmana per procacciarsi captivi cristiani” (ivi 29-30). “Gli studi finora compiuti non permettono di indicare, neppure con approssimazione, il totale dei captivi liberati, né l’ammontare complessivo della spesa, anche per mancanza di statistiche” (ivi 33). “Il ciclo di una spedizione redentiva non si chiudeva ordinariamente con lo sbarco in terra cristiana dei captivi cristiani liberati. A parte le quarantene, bisognava curare i malati e pensare a qualche sistemazione per quelli che non avevano né casa né parenti per riceverli. Di qui l’esigenza di avere disponibili locali sufficienti e idonei per accoglierli e per organizzare il viaggio di ritorno in famiglia. [. . .] L’Ospedale t., con l’immediata finalità di soccorso ai captivi, ebbe una sua applicazione anche nel nord-Africa dal sec. XVII in poi” (ivi 34-35). 77 Sembra preferibile ‘valesse’. 78 Com. 3. 79 Moro, Due preziose fonti 151. 80 Sad. 80.08.18 144.

81 Sad. 80.08.20 150.

82 Per avere un’idea del valore di tale cifra, si tenga presen-

te che, ad esempio, l’oratore Sadoleto nel gennaio del 1481 (v. 200) noleggerà per otto ducati al mese, oltre alle spese, un mulattiere e due muli. I trecento ducati riferiti dal commissario potevano corrispondere al salario di parecchi anni di lavoro per un bracciante, un pescatore o un artigiano. 83 La stima più realistica della popolazione otrantina nel 1480 si deve ricavare dalle rilevazioni fiscali che, per forza di cose, rimangono la spia più affidabile su questo genere di valutazioni. Una abbastanza vicina al periodo interessato è presente in Da Molin 77, dove è trascritto un focolario aragonese che per Otranto dovrebbe riferirsi al 1447 e indica 253 fuochi; dal conteggio sono escluse le famiglie degli ecclesiastici, esenti da tasse. Donato Moro, a proposito della corretta stima della popolazione idruntina nel 1480, faceva notare come si continuasse a tramandare un dato spropositato (22 000 abitanti, di cui 12 000 uccisi dai turchi) “sia in ossequio all’autorità” di alcuni storici, come il Pastor, il Simeoni e il Babinger (che si basavano su Le Vite dei Dogi di Marin Sanudo, e forse anche sugli Annali del Muratori, che parla di 10 000 uccisi) “sia anche per vanità municipalistica o, peggio ancora, per una disinvolta pubblicistica provinciale e regionale, capace con la sua grafomania di travolgere tutto e di contrastare efficacemente anche chi pazientemente cerca di stabilire il certo, il vero o, almeno, ciò che si fonda sulla più valida documentazione” (Moro, Fonti salentine 79). Il numero degli uccisi forse derivava da un’altra fonte veneziana, il generale Domenico Malipiero. Questi, dopo aver narrato dell’avvistamento (e anche del vettovagliamento) della flotta turca da parte del generale veneto Vettor Soranzo, di base a Corfù, scriveva:


8.4 Si poteva scampare all’eccidio? donne, presumibilmente quelle giovani, furono trattenute in città dai turchi84 , che bambini e ragazzi furono spediti oltremare, che i contadini rifugiatisi in Otranto erano probabilmente solo quelli dell’immediato entroterra già imputati fiscalmente alla città, che l’unica stima attendibile della popolazione (per ovvi motivi) è quella fiscale, tenendo conto di tutto questo, una cifra tra le cinquecento e le mille persone85 era l’intera popolazione di Otranto al netto di giovani, donne e bambini. Dal momento che i resti degli uccisi recano anche ferite da frecce86 , tutto ciò può indicare che sul colle non solo furono sterminati

73 i vivi, ma furono pure trasportati i corpi di coloro che erano caduti nell’ultimo giorno di battaglia (anche per motivi pratici). Chi poteva, del resto, dare a questi ultimi una sepoltura ordinaria? Se alla strage non sopravvisse quasi nessuno (meno di venti persone), questa triste ma ineccepibile contabilità alla fine torna. Come pure è verosimile pensare che tra gli “Ottocento” ci fossero anche soldati rimasti in città e donne anziane o altre persone morte più o meno casualmente durante l’attacco e l’irruzione finale dei turchi. È interessante anche riflettere sul rigetto delle non malvagie condizioni di resa proposte da Achmet (e la seconda volta il rifiuto fu significato anche in modo oggettivamente indisponente): il terrore che, per contro, invase il Salento, con le conseguenti fughe massive dai paesi, prese corpo soltanto in seguito alla caduta di Otranto e al massacro? Non sembra, in base a quanto indicato in alcune fonti già incontrate e riferentisi già al periodo dell’assedio. O gli otrantini avevano una mentalità diversa da quella dei loro conterranei? Possibile che non si sia praticata alcuna via di mezzo tra l’eroismo senza speranze da un lato, e la fuga senza ritegno e con prospettive non molto migliori dall’altro? A tal proposito, sempre il Galateo, ma nella Esposizione del Pater noster, commentando la frase “et ne nos inducas in tentationem” scriveva:

“Fu messo a sacco la città de Otranto, e fo tagliato a pezzi 12,000 homeni” (Malipiero 130). Forse Corfù poteva essere un ottimo osservatorio per valutare la consistenza della flotta turca, ma certo non quello che succedeva di là dal Canale. Moro faceva giustamente rilevare quanto scritto in una lettera, del 16 agosto 1480, dall’oratore estense in Napoli, Nicolò Sadoleto: “La terra era una utilime cossa, chel me dice el S. secretario che oltra che la faceva più de mile fochi, faceva più de 1500 homini da facti, et erangli più de 500 maistri da nave” (Sad. 80.08.16a 142). Ma le cifre iperboliche di sopra hanno continuato ad aver libero corso storiografico fino al XX secolo, quando dovevano essere conosciute le fonti coeve che indicavano numeri con qualche zero in meno. Ma torniamo ai 253 fuochi indicati nel focolario di cui sopra per “Hidrontum”. Se non è stata omessa una cifra iniziale indicante le migliaia, si dedurrebbe un ulteriore ridimensionamento, oppure una, improbabile, esplosione demografica tra il 1447 e il 1480, tale da portare la popolazione idruntina a quadruplicarsi in poco più di trent’anni. Lecce (“Licium”) nel medesimo focolario risultava tassata per 1323 fuochi: che all’oratore Sadoleto fosse stata fornita l’informazione relativa Venimo ad nostro paese di Otranto, osò resistere alla a questa città? Comunque, ogniqualvolta ricorrono queste gran potentia de li Turchi, Gallipoli ad quella de incongruenze tra valori provenienti da fonti diverse, sulla popolazione di un qualunque centro abitato, sarebbe sempre Venetiani: l’una et l’altra fo disfatta. Taranto volse opportuno mettere in conto un banale fraintendimento tra sequire la parte di Francia; multi anni passarono numero di famiglie e numero di abitanti. Per spiegare la noavanti, che sia quello che era.87 tevole disparità tra le due stime, si può anche ipotizzare che, nel migliaio di fuochi indicati al Sadoleto, fossero conteggiati Tra i motivi che spinsero Achmet a decretare l’ucquelli di una più vasta unità amministrativa, se non ecclesiastica. Rimarrebbe da conciliare questo dato con il numero cisione di centinaia di otrantini, pare vi fosse anche degli sterminati che, nelle fonti del tempo, si situa tra gli il desiderio di punire la città per il netto rifiuto estremi di 500 e 1 000. Ma questo potrebbe non essere un problema, se si tien conto che, all’apparire delle vele turche, opposto alle sue proposte di resa, formulate quin“multi villani se ridusseno in Otranto” (Com. 1). Dalla cit- dici giorni prima; dalle testimonianze al processo tà di Otranto, infine, potrebbero non essere scappati tutti i soldati del presidio, che alcuni indicano formato da 400 unità. 140. Vascelli, 18. mila Fanti, e 1500. Cavalli, per vendicarsi 84 150 secondo il DP (v. 390), ed è una stima assolutamente dell’aiuto prestato a Rodi dal Rè Ferdinando I. [. . .] vedendosi congrua con le cifre indicate sulla popolazione complessiva. tuttavia passate le fronti, e le viscere dalle freccie. [. . .] Vi 85 Sono, come vedremo, gli estremi forniti rispettivamente eran già trè Chiese di Rito Greco. [. . .] sovra una lunga salita, dal Coniger e dall’Albino, in buon accordo col vertice di e vicina al Tempio, dedicato agli stessi Martiri dal Duca di un’altra gaussiana intorno a 800 uccisi. Calabria, nell’Altare di una picciola Cappella, fan vedere la 86 “Si adora nel grande Altare una statua miracolosa di pietra ove quegli furono empiamente decollati” (Pacichelli Nostra Signora, che dicon venisse per se medesima dalla 146-147). Turchia. In quello a sinistra, e sotto la Pietra Sagra si Si tenga presente, inoltre, che una fonte turca che vedremo custodiscon gran numero di Teste degli ottocento generosi estesamente (riportata in Corti 117) parla sia di spada che di Cittadini, i qual nel 1480, sorpresi arditamente dalla Barbarie frecce nell’episodio conclusivo del dramma otrantino (v. 452). 87 Galateo, Opuscoli 74. Ottomana di Achmet Bascià, inviato da Mehemet II. con


74 di beatificazione si deduce che ai martiri non fosse proposta l’abiura dalla fede cristiana in cambio della vita. Si risalirebbe, indirettamente, alla professione di fede, fatta nel respingere le proposte di resa del comandante turco, come causa scatenante della sua ira e della sua tremenda rappresaglia; di difficile interpretazione appare, pertanto, un’altra affermazione dello stesso Galateo nel De situ, secondo il quale nessuno, in quella moltitudine, si allontanò dalla fede in Cristo per paura della morte (“Nemo in tanto populo mortis metu a fide Christi descivit”88 ).

Consummatum est – Il dramma otrantino il commissario del duca di Bari, quando afferma: Persa la terra molti ne furno morti in quello acto et la magior parte presa et tenuti per quello dì, salvo li preti et li zudei che statim li amazorno.91

La maggior parte della popolazione, quindi, fu tenuta prigioniera (per quel giorno); preti e giudei, invece, furono subito uccisi. Dovevano, evidentemente, essere riconoscibili92 anche per i turchi, tanto più che questi ultimi erano “la magior parte christiani novelli, che anchora teneno dela villità giudaica”93 . E qui affiora l’antisemitismo, di matrice più religiosa che etnica, nei confronti di un intero popolo accu8.5 La questione ebraica sato di deicidio fino a pochi anni fa. Inverosimile Un’altra questione, connessa alla possibilità per è, poi, che la maggior parte dei circa diciottomila gli otrantini di scampare all’eccidio, riguarda la sorte soldati turchi fosse costituita da ebrei conversi. E, toccata alla comunità ebraica, che sicuramente sarà inoltre, se erano davvero tali, perché non proposestata presente in Otranto – uno scalo portuale sulla ro ai loro ex-correligionari otrantini di convertirsi via dell’Oriente – dal momento che è documentata, anch’essi, invece di sterminarli per primi? pochi anni dopo, nella stessa città ed in numerose altre località della provincia89 . Gli interrogativi ai 8.6 Ancora una gaussiana e due quali rispondere, in un auspicabile studio specifico, date controverse sono almeno due: tra le centinaia di otrantini sterminati sul colle della Minerva, c’erano anche ebrei? Esamineremo ora due questioni che, come per La Chiesa, considerando come martiri cristiani tutti le notizie sullo sbarco dei turchi, si intrecciano nei gli uccisi, ne esclude scientemente la presenza, o li rendiconti delle fonti antiche, che riferiscono con assimila in un ecumenismo estensivo e ante litteram? la consueta divergenza sul numero di otrantini ucForse tra i meno di venti otrantini adulti che si ri- cisi dopo la caduta della città e sui giorni in cui scattarono c’erano ebrei, ai quali non dovevano, per accaddero questi due avvenimenti. le professioni cui erano obbligati, mancare i mezzi L’ingresso dei turchi in Otranto è avvenuto: seper farlo90 . Rimane da indagare la fine che toccò in condo l’Albino nel quindicesimo giorno dall’inizio sorte agli altri poiché, come è possibile dedurre per dell’assedio (“quintadecima die, postquam obsideri confronto con Roca, gli ebrei potevano costituire coepta est”94 ) senza indicare il giorno dell’inizio; circa un decimo della popolazione otrantina. secondo il Galateo, come abbiamo visto, venerdì 11 Una scarna risposta a queste domande la fornisce 88 Galateo, De situ 54.

91 Com. 3.

92 “Nel XV secolo dovevano portar sugli abiti la Judeca

89 Cfr. Colafemmina, Ebrei 226-227 e passim: doc. “242” tincta (straccio di roba rossa), onde distinguersi dal resto del del “1510 aprile 26, Napoli (Castel Nuovo)” da “ASN, Colla- popolo. [. . .] La Judeca tincta a Lecce chiamavano lu Singu, terale, Partium 8, 248rv”. Dello stesso autore v. anche Ebrei ed era, come di sopra, una pezzuola rossa da portarsi sul e cristiani novelli in Puglia – Le comunità minori (Bari petto” (De Simone, Lecce 348). 93 Com. 4. Ma questa viltà cromosomica che stentava a 1991). Cfr. anche Gianfreda 112-114. 90 Notoriamente, la riluttanza del cristianesimo delle origi- scomparire anche nei conversi, non impediva alla comunità ni a ricavare un utile o interesse che dir si voglia dal prestito ebraica di Lecce di concorrere a mandar via gli invasori: “cindel denaro di fatto finì per demandare ai perfidi giudei lo quecento ducati ha promissi la yudicha di Leczii al S. N. per la svolgimento di quell’immondo servizio, da cui la comunità impresa contra lo Turcho” (Perito 325 doc. 17). Qualche ancristiana intendeva preservarsi immune. L’esercizio delle ru- no dopo quella comunità fu ripagata con le consuete persecudimentali e primitive funzioni creditizie, nel loro labile confi- zioni (cfr. Coniger 498-499). Il commissario del duca di Bari, ne con l’usura, nei secoli naturalmente arricchì gli ebrei, ma che talvolta manifesta elementi di razzismo e di classismo, qui procurò loro anche una serie di effetti collaterali indesiderati, e altrove potrebbe aver raddoppiato la l ritenendo che la viltà a partire dall’accezione negativa dell’aggettivo che li desi- fosse in qualche modo correlata alla condizione di villano. 94 Albino, DBH 58. Prima era stato indicato con una certa gnava, per finire con i pogrom e gli stermini di massa, sotto colore, come si diceva nel XV secolo, dell’odio razziale. cautela il 28 luglio come giorno dello sbarco, non precisando la


8.6 Ancora una gaussiana e due date controverse agosto, nel quindicesimo giorno d’assedio, a partire dal 28 luglio che pure era un venerdì95 ; secondo il Marziano: “Venerdì mattino dunque, XI d’agosto [. . .] a grosse squadre incominciarno intrare nell’hora dell’alba nella città”96 ; secondo il Lagetto “doppo quindici giorni, e quindici notti di batteria, deliberorono i Turchi di entrare, ed un venerdì mattino all’alba a dì diece d’Agosto [. . .] entrorno”97 . La Relazione d’Acello, in accordo con il venerdì 28 luglio come data dello sbarco, indica il venerdì 11 agosto come giorno finale dell’assedio: il detto Alamech Bascià, avendo fatto bombardiare la terra d’Otranto giorni 14 e dirriopato più tele di muro, non possendo aver la terra per acordio nessuno, non ostante che li avesse voluto fare di larghi partiti [. . .] alli undici del mese di agosto, di venerdì mattino, fece parare tutta l’artegliaria e tirare tanto, finchè abattìq le mura rimasti con tutti li ripari fatti di dentro, e, data la battaglia, entrò nella città combattendo con località dove era avvenuto; d’altronde l’Albino era a Siena con Alfonso e vi rimase anche dopo la sua partenza per Otranto. 95 Il medico e filosofo di Leverano Girolamo Marciano, da non confondere con l’abate otrantino Marziano, traduce distrattamente dal Galateo il riferimento alla battaglia di Canne: “Vi entrò finalmente il Turco quindici dopo l’assedio di venerdì mattino agli undeci di agosto del 1480, nel medesimo giorno che Annibale Cartaginese fece la strage de’ Romani a Canne, giorno veramente all’Italia infausto” (Marciano 386). Nel De situ, come si è visto poco fa, è detto in sostanza che Achmet entrò in Otranto il sesto giorno della settimana, terzo giorno prima delle idi di agosto, idi veramente infauste per l’Italia dal momento che nel sesto giorno prima di quelle medesime idi Annibale etc. Le idi, com’è ben noto, a differenza delle calende, non cadevano tutti i mesi nello stesso giorno: le celebri idi di marzo erano il giorno 15, quelle del mese sestile (agosto) il giorno 13; contando le differenze temporali alla maniera degli antichi romani, vale a dire sia il giorno iniziale che quello finale, si ottiene che, se Otranto era stata presa l’11 di agosto, la battaglia di Canne invece era avvenuta l’8 agosto (del 216 a. C.). Come dire che era non un giorno, ma all’incirca una settimana disgraziata per l’Italia (specificamente per la Puglia). 96 Marziano 123. 97 L55 83. Salvo possibili errori di ricopiatura dall’originale, forse in questa strana data si è indicato come giorno del mese quello che si era concluso nella notte in cui i turchi iniziarono l’assalto. Per quanto riguarda le altre edizioni lagettiane, mentre in M. 33 e A. 63 sono presenti i parimenti incongrui “venerdì 12 agosto”, nella versione di Scherillo si legge “Venerdì [. . .] undici” cui segue, però, come giorno del martirio, un irreale “terzo dì [. . .] Domenica 14” (S. 145 e 151). Si è già segnalata l’ipotesi che il “terzo dì” sia stato interpretato come “dopo tre dì” da qualche copista, dando origine alla incongruenza di molte date nelle versioni che noi conosciamo dell’Historia. q abatte

75

le gente de dentro, fando grandissima occesione di maschi e femine.98

Qui la “terra” d’Otranto è chiaramente da intendere come la città e non la provincia. Riportiamo, infine, le notizie fornite da oratori estensi, che, indirettamente, possono dare indicazioni sulla data dell’espugnazione di Otranto. Alberto Cortese, da Venezia, raccoglie e trasmette informazioni contraddittorie, altalenanti e talvolta assurde, evidentemente secondo gli umori e i desiderata, più o meno espliciti, di chi lo ospitava; dopo aver accennato già dal 9 agosto a voci sulla caduta della città: “El se verifica et multiplica qua ognora più el Turco havere facto gran damno in la Puglia, et havere preso Ontranto el quale alchuni dicono che epso Turco el tene, et alchuni che l’ha desfacto et abrusciato”99 , confermate il 15, ma con eloquenti espressioni dubitative: “El pare che heri venisseno litere de Anchona, como il turcho pur haveva preso Otranto et scorso per la Puglia bem XL miglia infraterra, et menato via bem quattro milia anime, el che non so altramente, perché a queste tale nove de questoro per molti respecti do molto pocha fede”100 , in un brevissimo dispaccio del 25 agosto dice che “Questa nocte questa ill.ma S(ignoria) ha havuto notitia como li turchi hano preso Leze e quella tuta brusata et tagliato a pezo picholi et grandi, et cusì se ne procede ne la victoria”101 ; e infine in un’altra lettera con la stessa data102 : Questo zorno qua se ha per diverse vie103 et litere como el non è perso Otranto né altro logo alchuno de la Puia, ma che a 12 de questo fu dato una bataglia asperrima ad Otranto la quale durò da la matina a la sira, et pur valentemente se tiene104 se bene per quella bataia se extimava el fusse persa. Dicesi che, se el socorso è presto, che se teniria, et cusì el resto 98 Moro, Due preziose fonti 151.

99 Cor. 80.08.09 247. Amaramente emblematico il confron-

to con la seconda parte della brevissima lettera, su quanto accadeva sull’altro fronte con i turchi: “De Rhodi se ha como i se defendono gagliardamente et offendono ogni dì i nimici, per modo che se stima che quella armata se levarà da lì”. 100 Cor. 80.08.15. 101 Cor. 80.08.25a. 102 In Foucard 133 sembra una indistinta, e c’è solo un capoverso a separarle. 103 Il riferimento può essere alle navi veneziane che pattugliavano o attraversavano il Canale d’Otranto. 104 Verbo (“se tiene”), e virgola mancanti in Foucard 133, dove pure si duplica il “se” successivo (prima di “extimava”) e, più avanti, si omette quello precedente “teniria”.


76 de le nove sono state qua dicte et scripte sono state fanfaluche che dimostra questa brigata moverse cum passione.105

Oltre all’attesa passionalità veneta nel vivere le vicende di questa guerra, si rileva un forte e inatteso ritardo nella ricezione delle notizie dalla Terra d’Otranto: perché la lettera del 9 agosto contiene informazioni fantasiose o da riferire al 28-29 luglio, quelle comunicate il 15 sono semplicemente iperboliche nell’estensione geografica fino a Lecce, e quelle del 25 sembrano relative alla battaglia finale in cui cadde la città (che si considera comunque non caduta); questa battaglia, dopo tanto tempo, viene pure datata con lo sfasamento di un giorno. Sui tempi della battaglia finale, qualche notizia contraddittoria arrivava anche a Napoli, ed ecco, infatti, cosa scrive il Sadoleto in una lettera del 14: “Fo domandato da me sua m.tà se Otranto era perduto per forcia o datossi de accordo, rispose non haverne notitia de altro se non che gli era scripto chel era perduto venardì passato che li turchi gli detero la bataglia”; notizia rettificata due giorni dopo: El sabado gli detero li turchi de novo la bataglia cum mazore ruina et hebello; hano facto grandissime crudelitate, et dìcese che mai non furono mure de terra più sanguinate de quelle, non se scia perciò anchora precise che habiano facto de la gente tuta né che pensiero sia il loro, ma questo se scia, che hano preso el vescovo de lì et certi altri che gli haveva mandato el S. Re, et se rasona che li mandano al turcho.106 105 Cor. 80.08.25b.

106 Sad. 80.08.14 134-140, qui 137, e Sad. 80.08.16a 142,

rispettivamente. Tra i due dispacci citati dell’oratore estense, si inserisce un altro del 15 (non contenente notizie su Otranto) e la lettera inviata da Ippolita Sforza, moglie del duca di Calabria, al fratello Ludovico il Moro, sempre in data 15 agosto; questa missiva riporta un’informazione provvisoria insieme con una precisa cognizione topografica: “heri venne nova como Otranto era perduto: La casone fo questa, che, iovedi passato, cioè ali X dil mese, la sira non havia facto foco secondo il solito, et questo advenne per havere li turchi comenzato a dare la bataglia el iovedì predicto inverso la sera, taliter che non hebbeno quelli dentro né tempo né recordanza de fare foco, continuando la bataglia tutta la nocte et el venerdì seguente, et havendo tutta via li turchi dentro ale ruine dele mure cadute: ultimamente, con grande virtù de le gente dentro, li Turchi forono rebudati, et morti de loro sopra uno migliaro, li quali forono colti dentro ali repari et tramezati in modo che tutti remaseno occisi, ultra l’altra multitudine admazata dalaltre bande de la terra, perché la terra è tuta fosegiata et spartita dentro in tre parte, et perdendose la una

Consummatum est – Il dramma otrantino Ritorna, dunque, questo sabato 12 agosto in questa fonte sicuramente indipendente da quella veneta del Cortese, ma la replica della battaglia del giorno prima, con la precisa segnalazione delle crudeltà potrebbe riferirsi alla strage finale degli otrantini sopravvissuti all’assalto del venerdì. Poi l’oratore aggiunge: “Quelli da Rocha, terra lontana da Otranto, scriveno che a loro è parso vedere foco in Otranto”107 , segno questo del saccheggio, e del fatto che a Roca in quella data non c’erano i turchi (se mai l’avevano già occupata). Il 18 agosto lo stesso Sadoleto (che, stando a Napoli, sembra apprendesse le notizie dopo un paio di giorni dagli eventi) scriveva che “Rocha, oltra le altre che è molto forte, presso li octo miglia, è derelicta per paura, che non se credeva”108 , forse dopo aver visto le fiamme in direzione di Otranto109 . parte se po defensar laltra; fin qua se ha questa nova, non con altra particularità, aspectase cavallaro con magiore specialità” (Foucard 153). L’abitato di Otranto appare tuttora diviso in tre parti a causa della particolare linea di costa. 107 Sad. 80.08.16a 142. 108 Sad. 80.08.18 144-146, qui 144. Da un punto di vista archivistico è opportuno precisare che la lettera con questa data non comincia, come erroneamente indicato da qualcuno, dalla p. 143, su cui, invece, è scritta una seconda lettera del giorno 16 che si conclude, appunto, con la data “Neapoli 16 augusti 1480 hora prima noctis” e con la firma dell’oratore apposta dopo poche righe sulla p. 144. Da questo punto, fino all’inizio di p. 146, segue la lettera data il giorno 18. 109 Il sentimento della paura, verosimile e umanamente comprensibile, ovviamente non si diffondeva solo tra gli abitanti di Roca. L’Albino, DBH (60) dice genericamente che: “Quibus rebus passim vulgatis non modo ex Regno, sed ex tota Italia complures excedere in animo volutabant. Fuere, qui in Baeticam transmiserint pecunias, ut essent ad iter expeditiores, si sors tulisset: nemo arma capere, nemo furentis hostis impetum propellere audebat: se quisque desperatis rebus mulierum modo tendens victas manus nihil aliud, quam incolumitatem sibi deposcebat, et demum Palmaritio, Roca, et Castro oppido direptisr [. . .]”. Vedremo più avanti il seguito della cronaca bellica nella versione dell’Albino. Osserviamo, ora, che non dovevano essere in tanti a sapere dell’esistenza di quella lontana regione iberica (la Betica, secondo la toponomastica paludata e classicheggiante in uso nel D.B.H.), per poter pensare di convertire buona parte dei propri averi e spedirveli: questo sembra, infatti, il senso da attribuire a quanto riferito dall’Albino, dal momento che il denaro già liquido non doveva costituire un grande impiccio per il viaggio. L’antica Baetica, infine, corrisponde in larga parte a quell’area della Spagna che nel 1480 era ancora in mano agli arabi: e appare improbabile che questo fosse ritenuto il posto più sicuro dove inviare quei beni. A proposito di paura o, più propriamente, di panico, rimane impressa un’icastica espressione presente nella lettera del r Il 20 agosto si apprendeva in Napoli che Castro era stata espugnata [. . .] (cfr. Foucard Sad., p. 92).


8.6 Ancora una gaussiana e due date controverse Ancora un accenno al giorno in cui era caduta questa città si trova in un dispaccio del 21 agosto: “quello sabado che li preseno la terra”110 . Nella cronaca del Lagetto – nelle varie forme in cui è pervenuta a noi – l’unico punto fermo è costituito dal giorno della settimana, indicato come un venerdì. Non è il caso di attribuire importanza al giorno del mese variamente slittato in avanti o all’indietro. Ovviamente stiamo parlando dei giorni di fine luglio111 perché da essi discendono poi le

77

sfasature sui giorni successivi, come quelli intorno all’11 agosto, quindicesimo giorno d’assedio rispettivamente per il Galateo e per il Lagetto, e ancora venerdì per entrambi (“feria” per i musulmani). Il dubbio, infatti, è sorto con la comparsa della flotta davanti a Otranto, e sembrava risolto in favore del giorno del mese con la data della lettera al re; è ricomparso con la data della caduta della città e si propaga sulla data della strage, con una cronologia coerentemente errata:

vescovo di Modena (v. Foucard 142): “quello impalare Il terzo giorno, che fù di Domenica a dodeci Agosto, smarisse molto la brigata” (nello specifico la corte pontificia), quali legati con le mani dietro a cinque a cinque “adeo quod omnes cogitant de fuga”. Secondo quanto riferito fece condurre sopra un monte lontano dalla Città dal Malipiero (128), che, essendo veneziano, è un’ottima trecento passi, chiamato il monte della Minerva, e da fonte, il pascià che nella stessa estate assediava Rodi avrebbe Cosmografi il monte Hydro.112 disposto: “che i homeni senza barba fosse schiavi de chi li prendesse; i altri tutti fosse mandà a fil de spada, e i presi vivi fosse impalai: e per tal effetto ha fatto parecchiar 8,000 Un intervallo temporale più verosimile, cioè un pali”. Un’altra analogia tra l’assedio di Otranto e quello di giorno, tra l’irruzione dei turchi e lo sterminio degli Rodi si coglie nelle riferite modalità di invitare gli assediati Ottocento, si rinviene nella Relazione d’Acello, e alla resa per il tramite di messaggi spediti con frecce (cfr. sembra confermare l’interpretazione già vista di una Vallone, Arcivescovo 285-286). 110 Sad. 80.08.21 152-153, qui 153. lettera del Sadoleto: 111 A dirimere la questione potrebbe giovare la datazione della lettera inviata dagli otrantini al re, secondo quella lo sabato mattino, alli 12 d’agosto, cessata la furia, stessa cronaca. Sembrerebbe che il documento originale, che il detto Bascià fé venire avante di lui tutti li cristiasi conservava in Napoli (è sopravvissuto ai bombardamenti ni erano stati presi vivi e in sua presenzia ne fece della seconda guerra mondiale?), avesse la data del 27 luglio decapitare 800, altri ne liberò con ricatto, altri ne (cfr. Maggiulli 347-348). mandò in la Velona e da là al gran Turco, e dopo Il Putignano (15) scrive: “È anche noto che Rodi si questo donò libertà alli Turchi che facciano quel che difese eroicamente dal 23 maggio al 28 luglio 1480, e che l’armata turchesca gittò le ancore nel porto di Otranto il li piace, in modo che usaro tanta e tale crudeltà o 27 luglio di quel medesimo annos ”. A proposito della nt. s, vituperii alle donne e garzoni che non si porria con occorre notare che lo stesso studioso era di Ostuni e forse onestà scrivere.113 non sapeva che gettare le ancore nel porto di Otranto senza contemporaneamente accostarsi alla città è un po’ difficile, Non solo è verosimile la datazione della strage a anzi sarebbe stato un po’ imprudente compiere le operazioni sabato 12 agosto, ma ci collega al giorno del mese di sbarco proprio sotto i bastioni; è l’unico, del resto, a parlare di sbarco nel porto. L’accesso al porto, anzi, era stato indicato nella cronaca lagettiana, e sembra costituiostruito dai difensori affondando deliberatamente alcune navi re, insieme con l’errore sul giorno della settimana ivi presenti. Ma, a parte questo, quale copia dell’Historia in essa contenuto, quell’anello che, infine, ha fatto lagettiana conosceva il Putignano, con la lettera licenziata il slittare questa data a domenica 13 agosto. L’equi28 luglio? Un dispaccio inviato il primo agosto dall’oratore milanese voco sempiterno tra numeri cardinali e ordinali può presso la corte di Napoli, Marco Trotto (in Saracino, Otranto 53 nt. 31), parla di lettere inviate dagli otrantini: “Il Re Otranto “il dì 28 luglio”; la lettera con cui gli otrantini ne ne dixe che aveva liptere scripte in Othronto del XXVII del danno notizia al re è “Data in Otranto li 27 luglio 1480” passato, per le quali se li scriveva como larmata del Turco era (Scherillo, De’ Beati 6 e 7). Forse il tutto si spiega con gli sbarchi multipli in diversi comparsa ad Othronto” senza evidentemente essere ancora tratti della costa, in giorni differenti e in condizioni meteorosbarcata. Nella sarabanda delle date, lo Scherillo giunge a darci logiche non costanti: le notizie dei primi sbarchi potevano un esempio di premonizione: la flotta compare davanti ad aver preceduto la comparsa della flotta turca davanti alla città. Gli sbarchi in più fasi spiegherebbero pure il fatto che s La lettera spedita dagli Otrantini a Sua maestà Cattolica il generale veneziano di pattuglia nel Canale vide passare è proprio di quel giorno. I cronisti Volaterrano e Laggetti (la prima volta?) una flotta pari a circa la metà del numero hanno il 28. È anche esatta questa data, che indica il giorno di navi indicate da altre fonti. A una spedizione articolata in cui l’armata turchesca si accostò alla città. Anche il 28 in più viaggi, fa chiaramente riferimento il commissario del ha la cronaca di Antonello Coniger: “Die 28 iulii die veneri duca di Bari, come già evidenziato. 112 L55 87. venne l’armata del gran turco”. Cfr. la raccolta del Pelliccia 113 Moro, Due preziose fonti 151. tom. II pag. 16. Napoli 1780. Berardo Perger.


78 aver fatto il resto, generando la data irreale poi passata alla storia liturgica, vale a dire la mai esistita domenica 14 agosto 1480. Una versione un po’ fuori dal coro è quella fornita dall’Albino, sul numero dei martiri e sulla collocazione temporale del martirio: Admetus primum omnium, post captum oppidum, praeter eos, qui acri proelio egregie pro patria ceciderant, mille captivos, quibus Mars pepercerat, ad tertiam buccinam ante omnium oculos pro castris impie truncari iussit: complures palo affigi: nec ab inermi abstinere, maior tamen pars in custodiam abducti. . .114

Vale a dire: dopo aver conquistato la città, Achmet per prima cosa ordinò che, oltre a coloro che eroicamente erano caduti per la patria nell’aspra battaglia, mille prigionieri che erano stati risparmiati dal dio della guerra, al terzo turno di guardia della notte, sotto gli occhi di tutti, davanti all’accampamento, fossero uccisi senza pietà, i più infilzati col palo, e senza risparmiare gli inermi; la maggior parte, tuttavia, furono fatti prigionieri. Non si indica propriamente una data, anzi, col significato traslato della tromba che scandiva il succedersi delle quattro vigilie, sembra che implicitamente si alluda ad uno scenario notturno. Ma quella terza tromba, o terzo turno (o cambio?) di guardia, potrebbe essere stato equivocato come numero di giorni trascorsi dallo sfondamento delle difese otrantine.

Consummatum est – Il dramma otrantino data esatta dello sbarco e al valore modale degli otrantini uccisi, il sacrificio di questi precede la caduta della città che, invece, slitta di un paio di giorni. Un’altra questione è suscitata da questa succinta, ma interessantissima, informazione: perché i mille di cui parla l’Albino non furono fatti prigionieri come la maggior parte? Erano forse inadatti e poco appetibili – per le ferite, l’età o lo stato fisico in genere – come sembra suggerire il Galateo? E, inoltre, la cosiddetta maggior parte che sarebbe stata fatta prigioniera, per le considerazioni demografiche esposte in precedenza, non sembra potersi riferire alla popolazione otrantina, quanto a quella catturata nei dintorni prima della conquista della città. Lo stesso Albino, DBH (58) continua spiegando l’eccidio in funzione di deterrente nei confronti degli altri centri abitati, per spingere i loro abitanti ad arrendersi (“uti oppida et urbes, ne tam horrendam supplicii foeditatem subirent, ad volontariam deditionem inclinarentur”), e aggiungendo che anche le violenze bestiali su ragazzi e ragazze (“in pueros ingenuos, puellasque”) lasciavano tutti sgomenti (“omnium animi procubuerunt”). Il commissario del duca di Bari, che, come abbiamo visto, indica 900 prigionieri uccisi, fornisce questi elementi sulla data e sulle modalità di esecuzione: El di seguente (l’irruzione) li fece menare el Bassà tuti li presoni de nanti ligati ad dui ad dui, et commenciò cossì, caminando in anti a epso farli tagliare a chi la testa, a chi per megio116 , secondo sapevano fare meglior colpo.117

Ai margini di svariate gaussiane, si collocano gli elementi riportati in un brano stringato sulla presa di Otranto, contenuto nella cronaca del Notar Ho già commentato la posizione di chi, Donato Giacomo: Moro, “più di altri ha scandagliato il problema della coerenza tra alcune date della guerra otrantina”, Adi primo de augusto 1480. venne cauallaro alla Mae- partendo da questa personale considerazione: sta del Signore Re innapoli como ali XXVIII de iuglio de venerdi erano venuti con galee fuste et grippe secte milia turchi et erano smontati interra et si haueuano abrusiati piu casali et pigliati piu cristiani et amazate da circha 800. anime perlo che haueuano posto campo ad Otranto doue presero la dicta terra adi XIII dello dicto mese.115

L’eccidio dei maschi adulti non caduti in battaglia, a distanza di un solo giorno dallo sfondamento, è una cosa convincente sia in base al raffronto tra le varie fonti, che sul piano della verosimiglianza, per così dire, operativa.118

Già allora esprimevo qualche dubbio su queSi parte bene con il giorno dell’arrivo a Napoli sta affermazione, espressa, peraltro, con la dovuta del messaggero a cavallo, ma al numero dei turchi cautela: sembra mancare una decina di migliaia; oltre alla 114 Albino, DBH 58.

115 NG 146.

116 ‘Mezzo’.

117 Com. 3. 118 L55 62.


8.6 Ancora una gaussiana e due date controverse Poiché, però, quasi sicuramente verso gli ultimi decenni del ’500, era sorto il problema, per la chiesa idruntina, di distinguere, a fini cautelativi d’ordine giuridico-canonico, la data della commemorazione dei morti per la difesa di Otranto da quella del culto degli Ottocento, date per prassi già fissate, in quello stesso periodo di tempo, l’una l’11 agosto e l’altra il 14 agosto, il Laggetto accolse l’istanza e nella sua Istoria sostenne che gli Otrantini del colle della Minerva furono decapitati il 14 agosto, giorno di domenicat .119

Mi si conceda di riproporre, dunque, le mie osservazioni di allora sulla questione. In quest’operazione della chiesa otrantina di fine ’500 – di cui Moro parlava probabilmente a ragion veduta – perché non fu coinvolto anche il Marziano che pubblicava i Successi nel 1583, che era un abate sicuramente attivo in parrocchia (come attestano i numerosi battesimi da lui somministrati) e che – come sostiene lo stesso studioso – porrebbe l’eccidio nel giorno dopo l’irruzione in città? Neanche su questa interpretazione io giurerei – e non sono il solou – dal momento che il Marziano, come già detto, prima narra l’irruzione dei turchi in Otranto, quindi usa un sibillino gerundio (“. . .dimorando il Bassà per spatio di tre giorni nelle case di Ladislao. . .”) e, dopo qualche altra pagina, arriva a indicare “una seguente mattina”120 come indecifrabile riferimento temporale per l’eccidio.121

79

nel giorno successivo, l’Albino forse nella notte in mezzo; è indeterminata la distanza temporale indicata dal Coniger122 ; non possiamo fidarci troppo delle sequenze temporali del Marziano, disperse in un mare di considerazioni, digressioni e prolusioni. Abbiamo visto, infine, come anche nell’opera del Lagetto il giorno dello sterminio sia potuto partire dal 12 agosto per poi veleggiare fino al 14 – nelle diverse generazioni di ms. – attraverso progressivi ed alternati adeguamenti del giorno della settimana e di quello del mese. Sabato 12 agosto, giorno successivo all’entrata dei turchi in città, è stato indicato come data del martirio anche dai dieci testimoni al primo processo di beatificazione del 1539: in particolare dall’abate Angelo Pendinello, nipote dell’arcivescovo Stefano Agricoli123 , e da mastro Battista di Natale124 . Questa potrebbe essere un’altra causa della confusione tra chi considera venerdì il giorno 11 e chi lo pone al giorno 12. Ma, se le uniche testimonianze del martirio apportate da testimoni oculari (e l’abate, che aveva venticinque anni nel 1480, era l’unico maggiorenne, gli altri non andavano oltre i dodici anni), nel più antico processo canonico, indicano come giorno dell’eccidio il sabato 12 agosto, perché è stata fissata la ricorrenza religiosa al giorno 14? Le registrazioni scritte di quanto asserito dai testimoni erano proprio nelle mani di chi decise in merito alla beatificazione: perché si consegnò alla memoria, e alla venerazione

Ricapitolando, il Galateo non fornisce la data del 122 Secondo il cronista leccese, “dopo facta tutta l’occisione” martirio né i giorni trascorsi dall’irruzione, il d’A- (in occasione dell’irruzione in città), si perpetrò un “altro cello e il commissario del duca di Bari lo pongono stupendo atto di crudeltà” ai danni di “persuni cinquecento

romasi viviv ” (Coniger 481). 123 Questo era, con ogni probabilità, il vero cognome dell’arrestante della nota 36 in L55 62, così precisata per espungere civescovo di Otranto nel 1480, secondo le risultanze di una un numero malignamente infiltratosi in coda: “La trappola accurata ricerca di G. Vallone, che ha rinvenuto un documendelle date ha catturato anche qualche preda eccellente: «. . . to dell’Archivio Segreto Vaticano in cui è riportata la prima venerdì, la mattina dell’11 agosto [. . .]. Lunedì, 13 agosto. . .» investitura vescovile di Stefano (nel 1435 a Nardò), cui seguì (Babinger 426): e il 12, cos’era, sabato e domenica insieme? quella relativa alla sede metropolitana di Otranto nel 1451 C’è da dire che, se di refuso si tratta, ha superato il filtro della (v. Vallone, Arcivescovo). 124 De Donno 58-59 e 68-69. seconda edizione; curiosamente, poi, va in senso opposto alle altre incongruenze cronologiche su questo, sfortunato, fine v Ottocento furono quelli, che costantemente morirono per settimana, poiché anticipa il lunedì al 13 anziché ritardare la domenica al 14, ma si accorda con la cronologia di questo la Fede, siccome ci accerta Antonio Galateo nel Libro de situ mss. (domenica 12)”. Iapygiae, parlando della Città d’Otranto. Qui cladi superfue120 Marziano 126 e 129. runt octingenti viri aut capti, aut saucii, aut aegroti extra 121 L55 62. Urbem ducti, omnes ante crudelissimi Ducis barbari oculos caesi sunt. L’Abate Marziano nella pag. 24 dell’accennata t G. Scherillo, Archeologia. . . cit., vol. II, p. 151. Sareb- Istoria, Michele Laggetti. E questo numero ancora dal Probe interessante esaminare nei testi a stampa e nei mss. che cesso informativo pigliato per il Martirio di quelli, il ristretto recano l’Istoria del Lagetto i vari modi usati per arrivare da del quale fu pubblicato per mezzo delle stampe da Franceun II, venerdì, storicamente accertato, ad un 14, domenica, sco Antonio Capano, il P. Leandro Alberti nella sua Italia, ma tale esame, in questa sede, non è funzionale. Michele Zappullo nel lib. VII, Cristoforo Cieco di Forlì nella u Cfr. Gli umanisti 185 nt. 4 al cap. XI dei Successi del Cronica della magna Grecia, Oderico Rinaldi in quest’anno Marziano. num. 18, Andrea della Monica nel libro VI, cap. 11. 119 Moro, Due preziose fonti 145. Si riprende anche la parte


80 dei fedeli, quell’episodio, legandolo a una data che – nella forma riportata da qualche tardo copista del Lagetto, cioè domenica 14 agosto 1480 – non è mai esistita? Si può anche congetturare che qualcuno, copiando l’originaria stesura lagettiana, dopo la riforma gregoriana del calendario, abbia tentato di verificare la congruenza delle date indicate e abbia maldestramente dedotto quelle – impossibili – che a noi sono pervenute.125

Leggiamo, infine, le considerazioni del Lagetto a conclusione della triste cronaca del martirio: Hor questa riuscita hebbe l’empia, ed esecrabile consulta, e favore dato da Venettiani a Fiorentini, che dispiacque a tutto il Mondo; havriano dovuto consultare più presto, che con mezzi convenienti procurassero d’humiliare Ferdinando, che di chiamar il Turco in aiuto a danno de’ Christiani, dal quale, havendolo da vicino, che bene potea sperarsene?w,126 125 L55 61.

126 L55 89. Si ritiene di dover sottolineare le considerazioni

espresse alla nt. w, perché se ne trae un ulteriore argomento a favore della originalità di questa cronaca idruntina nei confronti della sua versione castigliana. Come si può rilevare, è manifesta la similitudine tra la punizione auspicata dall’Alighieri per Pisa e quella constatata dal Lagetto per Venezia, Firenze etc. al punto da poter fondatamente inferire che chi ha scritto questa cronaca conoscesse bene l’invettiva dantesca, cosa che appare di probabilità alquanto remota per un prete portoghese quale era F. de Araujo. w Qui mi sembra di riscontrare una citazione – non diretta, ma implicita nel tipo di concetto espresso – della celebre invettiva dantesca nel canto XXXIII dell’Inferno (79-88):

Ahi Pisa, vituperio delle genti del bel paese là dove ‘l sì suona, poi che i vicini a te punir son lenti, muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe in Arno in su la foce sì ch’elli annieghi in te ogni persona! Chè se ‘l conte Ugolino aveva voce d’aver tradito te de le castella, non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. Innocenti facea l’età novella, ... Non mi risulta sia mai stato messo in evidenza, ma a me sembra che il Lagetto esprima un’idea sostanzialmente simile, quando sostiene che i veneziani e i fiorentini avevano scelto un modo esecrabile (per usare un suo termine) per contrastare le mire egemoniche di Ferdinando. In quanto alla punizione auspicata da Dante per Pisa, nel nostro caso il cronista otrantino non ha bisogno di invocarla perché la riscontra nelle disgrazie accadute alle due città, disgrazie di cui si è già ampiamente riferito valutandole come elementi indicatori della data di composizione o aggiornamento dell’Historia.

Consummatum est – Il dramma otrantino


CAPITOLO NONO Con le conferme si consolida lo sgomento §9.1 L’eco dello sterminio, 81 • §9.2 Un nemico non convenzionale, 84.

9.1

L’eco dello sterminio

l’inizio e la fine dei brani che si ritrovano editi in ASPN. All’occorrenza il segno è ripetuto all’interno della riga per marcare il punto esatto, magari con l’inserzione del soggetto che sta proferendo quella dichiarazione (per esempio, “il re”) di cui si vuol cogliere antologicamente solo il brano da quel punto incipiente. Al di là di ogni considerazione sulla preservazione e sul rispetto dei suddetti documenti, questa tecnica ci consente di scoprire quali passi della corrispondenza successiva il Foucard avesse intenzione di trascrivere e pubblicare, perché quei marchi segnano1 tutte le lettere del fondo estense in qualche modo inerenti la guerra turca contro Otranto fino alla sua conclusione nel settembre 1481. Tutte le missive, dunque, tranne le minute che il duca di Ferrara Ercole d’Este faceva preparare dal proprio scrivano (la grafia sembra costante) prima di inviare il testo definitivo ai suoi oratori, che, evidentemente, non le riportarono a corte2 : a conforto di queste deduzioni, i brani sono tutti in chiaro, anche quando

Il buon Foucard, trascrivendo le ottime fonti individuate nell’Archivio di Stato di Modena, dopo aver dedicato ai “dispacci” dei quattro oratori accreditati a Venezia, Firenze, Roma e Napoli la prima parte del suo lavoro, raccolse una corrispondenza miscellanea proveniente da “particolari” (come a dire “vili e plebei”) e un’altra dovuta invece alla nobile penna di “principi, condottieri d’arme, etc.”, per finire la prima delle due puntate che fece in tempo a pubblicare con la preziosa relazione del commissario del duca di Bari scritta il 13 ottobre 1480. Tutte le lettere pubblicate sono antecedenti questa data e, più precisamente, ricadono quasi tutte entro il mese di settembre: oltre questa data ci sono solo due lettere del Sadoleto del 7 e del 13 ottobre, palesemente aggiunte in stampa all’ultimo momento, due delle tre lettere che il Pagnano scrisse in una decade tra fine settembre e inizio ottobre, e la suddetta relazione del 13 ottobre. Questo per evidenziare come il Foucard procedesse raggruppando per autore 1 Singu, si dice più sinteticamente in dialetto salentino per tutte le missive di un determinato periodo. Per una indicare un segno che sfregia come una cicatrice di origine coincidenza che non può essere casuale, i documenti violenta. 2 Come vedremo, si trovano raramente delle belle copie recano delle parentesi semiquadre (come Γ ad aprire e come L a chiudere) in precisa corrispondenza con contrassegnate dalla dicitura “exemplum”.


82

Con le conferme si consolida lo sgomento

a lato una parentesi graffa (questa autentica) e la dicitura “in zifra” indicano che andavano trasmessi in forma criptata; se i brani sono in chiaro, non è sempre evidentissima la loro sequenza, a causa delle molte inserzioni, cancellazioni, sostituzioni che rappresentano i ripensamenti del duca e denotano il carattere di minuta di questi scritti. Si ha motivo di ritenere che il Foucard non avesse intenzione di cavarne brani per le sue trascrizioni per la aprioristica considerazione che da Ferrara e dalle varie sedi temporanee della corte estense non potessero trarsi notizie sul conflitto in corso e in studio: i contenuti di queste minute provano il contrario. Del resto, se sono interessanti le notizie che transitavano dalle varie corti italiane, non sono da meno quelle che convergevano presso la foce del Po, le cui brume non hanno nuociuto alla loro conservazione in forma cartacea (la più stabile e leggibile a distanza di secoli, altro che supporti magnetici mutevoli secondo le leggi del progresso e del profitto). Talvolta nelle minute di Ercole si trovano riscontri a messaggi degli oratori e viceversa, talaltra sono riportate notizie tratte da documenti oggi non fruibili; non sono da tralasciare, infine, aspetti che documentano il rapporto tra il duca e i suoi rappresentanti. Da un punto di vista tecnico, gli inserti a margine, in aggiunta o sostituzione che fossero al testo centrale, in questa trascrizione sono stati riportati in parentesi graffe, mentre quelli cancellati, ma ancora leggibili, sono proposti tra parentesi quadre, le stesse utilizzate con i puntini per segnalare i brani omessi.

Et me dixe de quanto gli scrive el Re de Ungaria come vederà v. ex.a per la copia che gli mando qui inclusa, et meravigliasse assai sua m.tà chel non havesse quell’altro adviso, et duolse che quello S. Re non mandasse più littere de uno tenore per diverse vie acioché l’una fosse pure andata a bene, et circa questa tregua secundum v. ex.a vederà per dicta copia, questo S. Re ne ha scripto ad Roma et expectane la risposta.3

Prima di esplorare alcune lettere dettate dal genero italiano di re Ferdinando, riportiamo una proveniente da quello ungherese, il re Mattia Corvino, che fa scrivere in latino al comune suocero per invitarlo ad inserirsi in una tregua che sta stipulando con Maometto II, il quale avrebbe intenzione di inviare altre sessanta navi contro la Puglia. La lettera, priva di data propria, è trasmessa da Nicolò Sadoleto insieme con la sua del 25 agosto 1480 e con una relazione (di Bernardo Donato, v. 92) che vedremo nel capitolo su Rodi, e che è stata trascritta anche in Foucard (137-138) a differenza di questa dovuta al re d’Ungheria. L’oratore estense in Napoli così la introduce, subito dopo un passo su Roca altrove riportato (v. 117), riferendo il discorso di Ferdinando:

Vediamo, allora, come il sovrano di un grande dominio consiglia un approccio non bellicoso al suocero il cui regno, più piccolo e meno solido, è stato assalito dal temuto imperatore turco. Quindi si esprime l’auspicio che il papa e i suoi seguaci si ritirino dalla recente alleanza con i veneziani. Ser.mo Principi Domino Ferdinando dei gratia Regi etc. patri et socero nostro car.mo . Mathias Rex Hungarie etc. salutem et prosperos ad vota successus. Scripsimus nuper M.ti V. postquam certificati sumus Turcorum Imperatorem classem suam misisse in Apuliam contra dominio V.e M.tis et eam avisatam fecimus per alias litteras nostras ut sciret rebus suis in tempore providere habebamus n. uti prioribus litteris nostris significavimus certum hominem nostrum non longe a porta principis Turcorum q. nos de omnibus occurrentibus fideliter avisabat. [. . .] Idem homo noster retulit . . .4 testimonio litterarum principis Turcorum demonstravit paratum esse Turcum ad treugas nobiscum firmandas ita ut contentus sit etiam V. M.tem in ipsas treugas includi quo percepto statuimus celeriter M.tem V. de his reddere certiorem ut si licet cognosceremus an et ipsa vellet huiusmodi treugis includi; et simul requiremus eam ut si ad huiusmodi treugas voluntaria est quam primum mitteret hominem suum ad nos qui iret nomine suo cum oratore nostro ad Turchum vel saltem litteris mandati citissime dirigeret pro nostro oratore ut huiusmodi treuge possent firmari antequam alia sequerentur, nam certificati sumus sexaginta galeas nunc missas esse ad dominia V. M. reliquam classem ivisse ad Rhodum propter quod res ista maxima indiget celeritate; [. . .] ut quam primum treuga huiusmodi inter Nos et Turchum cum inclusione V. M. concludentur, quod quidem erit maxime in rem V. M. et etiam nostris, quia Papa qui de relicta liga prior in vestram et totius christianitatis displicentiam cum venetis colligatus est una cum suis sequacibus pedem facilius retrahet ab incepto, et de alio incipiet consilio 3 Sad. 80.08.25 155-156, qui 155.

4 Non perfettamente leggibile per la trasparenza del verso.


9.1 L’eco dello sterminio

83

cogitare.5

Nella prima lettera di Ercole che vedremo, quella scritta a G. Cesare Valentino, suo oratore in Milano, il duca esprime apprezzamento per l’intenzione degli Sforza di contribuire con diecimila ducati alla guerra contro i turchi, ma giudica tale contributo modesto se paragonato alle possibilità di quel ducato. La saggezza del duca di Ferrara, inoltre, non approva la possibile estensione, prospettata agli Sforza dal re di Spagna, del dominio milanese su Genova, unica potenza navale su cui si può contare per contrastare i turchi sul mare, stante la prevedibile astensione dei veneziani da un tale coinvolgimento. Un breve passaggio, infine, mette in luce la fama di saggezza che accompagnava un giovane trentenne (era del 1449) che passò alla storia come Magnifico perché era solo un gentiluomo e non ancora un titolato (duca, principe, marchese etc.) come chi scriveva e riconosceva il valore di questo esponente dello stesso ceto dei suoi oratori. Messer Cesare, havemo inteso per la vostra de XIJ del presente quanto ve ha dicto messer Antonio Tassino nostro circa la deliberatione presa per questa ill.ma M(adon)a6 de volere succorrere la m.tà del S. Re de ducati X.m per questo bisogno de resistere al turcho. La quale cosa ni è piaciuta grandemente perché lassando da canto che non si poteria fare megliore deliberatione per sua Ex.tia che attendere a questa impresa per il commune periculo de tuta Italia, ne pare che ge ne habia a resultare grandissima benivolentia et obligatione dal canto dela prefata m.tà , et tale che l’habia a poterla condure a tute le sue voglie7 , maisì

che il ni pareria che sua Ex.tia se dovesse pur exhibire a maiore summa per esser quello suo stato de tale potentia et reputatione chel non ciede ad alcuno altro potentato de Italia8 , cussì non debe volere reportare in questa impresa minor fama de li altri né minore demonstratione verso sua m.tà . Et quando non havesse parso farli maior offerta, saltem se doveria condiscendere per sua ill.ma S. ala summa de li XV.m ducati taxatali per il papa a questa impresa, come hano facto Sig.ri fiorentini per la taxa deli soi VIIJ.m et che deliberemo fare anche Nui per li nostri IIIJ.m acioché mancho demonstratione non facesse verso soa m.tà de li altri colligati, et maxime perché la S.tà de nostro S., per quello che havemo da Roma, è contenta che dicte taxe facino questa via, et che li potentati se ne possino valere saltem dela mità da li preti deli soi9 dominii; oltra che questo maior succorso su questo principio si presta a sua m.tà per la expulsione de epsi turchi, tanto più fa al proposito universale perché, pigliando loro piede in quel regno et sovernandossi10 , come poteria accadere, non si facendo adesso un bon rinforzo, l’è da credere chel si conveneria spendere molto più in grosso oltra il pericolo ad che si staria. [. . .] Ma pensando sopra tal parlare ne cavemo chel possa causare per qualche prattica che potesse havere quella ill.ma Madona de stringerse cum venetiani [. . .]. Ne va etiam per la mente che queste parole || de epso messer Antonio non fusseno dicte per qualche proposta che fusse facta a quella ill.ma M(adona) per la m.tà del S. Re de Spagna de insignorirla de Zenoa, al quale partito non ni pareria che sua Sig.ria per cossa del mundo al presente li havesse attendere11 , perché in tuto seria contrario ale promesse facte novamente

8 Il ducato milanese, sebbene ridimensionato territorialmente e nelle ambizioni egemoniche dalla guerra con Venezia Mattia Corvino a Ferdinando). di circa mezzo secolo prima, appariva, se non il primo, non 6 Per lo scioglimento dell’abbreviatura, cfr. inizio della se- inferiore ad altri per potenza economica. La somma offerta al conda pagina (129) nella minuta di questa lettera, precisa- re di Napoli pare fosse pari ai due terzi di quella dovuta, comente al passo sulla possibilità “de stringerse cum venetiani”. me è detto nel seguito, dove, attraverso l’entità dei contributi La madonna in questione era Bona di Savoia, madre del gio- degli altri alleati, si manifestano in forma quantitativa quelli vane duca di Milano Gian Galeazzo Sforza, il cui ruolo fu che potevano essere i rapporti tra le rispettive ricchezze. 9 Da intendere come ‘loro’: per tassare i propri preti, usurpato dallo zio Ludovico detto il Moro. Un degno fratello di quest’ultimo, il giovanissimo cardinale ciascuno stato doveva essere autorizzato dal papa. 10 Verbo ritoccato nella parte iniziale nella minuta, ma Ascanio, spesso nominato nelle missive del Sadoleto, mirava all’obiettivo più cospicuo, ma, non riuscendo ad ottenerlo per di non migliore leggibilità nella copia definitiva, che risulta se stesso, nel 1492 brigava in favore del famigerato Rodrigo più macchiata. Per il possibile significato, sorvolando sulle Borgia (Alessandro VI) che lo ricompensò adeguatamente. necessarie compatibilità, si può ipotizzare che questo gerundio Trascorso questo pontificato tra macchinazioni, combinazioni in forma riflessiva sia riconducibile a verbi come svernare o di matrimoni e gravi sospetti (sulla sua partecipazione all’o- sovraneggiare; da escludere che la lettera iniziale sia una g. 11 Oggi il tutto suonerebbe meglio se questo verbo fosse micidio di un figlio del papa), ritentò invano la scalata nei due conclavi successivi. Forse stremato da tanto attivismo e preceduto da ad, preposizione che, in questa forma, sta dagli insuccessi, morì a cinquant’anni nel 1505. diventando quasi un fossile d’altri tempi, e non solo nella 7 Al di là dell’espressione ambigua, è evidente il senso parlata più sciatta, ma anche in benemerite trasmissioni di espresso al meglio col termine “obligatione” similmente a divulgazione scientifica, tanto da far capire a chi ascolta, in come si esprime in portoghese la gratitudine (obrigado). casi simili, a tendere. 5 Est. —.—.— 157-158 (Allegato a

Sad. 81.08.25, da


84 per la liga, et andaria a periculo de mettere tuta Italia in ruina, perché essendogli già intrato il turcho, non ni pare chel sia da pensare ad altro cha ala expulsione soa a laquale non poteriano esser più apti et più et necessarii zenoesi per la potentia del’armare, dapoi che venetiani stano da canto et a vedere, et ogni minimo disturbo che se gli daesse, se seria sufficiente removerli in tuto da ogni subsidio se potesse havere da loro et dare favore al turcho ad insignorirse de Italia. [. . .] Ma il mag.co Lorenzo come savio et che conosce il bisogno deli communi stati, ne ha preso qualche admiratione et forsi displiantia12 de questa ultima parte.13

Con le conferme si consolida lo sgomento sapeti {non havendo Nui modo alcuno de mandare dinari per il succorso contra il Turcho perché non potemo pur dar dinari ali soldati da sostenirsi non che da mettersi in ordine come è dicto, se altramente non siano pagati}, Nui siamo contenti che sua m.tà se ne ritenga quattromilia per17 succorso contra il Turcho, liquali gli demo voluntieri. Et cussì gli diceti per parte nostra, ricordandoli che voressimo esser de conditione de poterla succorrere de maior summa, come seria nostro desiderio, ma18 che la accepti in supplemento la nostra bona voluntà19 . Deinde de dicta prestanza, ne volemo spendere IJ.m ducati in poledri come vi havemo scripto20 et presto mandaremo laoltra li nostri a chi havemo commesso tal cura. [. . .] || [. . .] Il ni è piaciuto che la publicatione dela liga fusse differita più presto a san Bartholomeo21 che farla fare per la Assumptione de la gloriosa Vergine Maria22 , perché non si essendo deliberato tal cosa se non quando scrivesti, che fu ali 9 del presente23 , la non si poteva publicare comodamente ali XV.24

Cambia il destinatario di Ercole e appare un’altra faccia della medaglia con l’effigie degli aiuti al re di Napoli: nella lettera del duca a Nicolò Sadoleto, suo oratore presso quella corte, prima di tutto si lamenta il mancato pagamento da parte di Milano e Firenze dello stipendio per il mantenimento di un modesto esercito della lega recentemente costituita, 9.2 Un nemico non convenzionale per poi giustificare l’impossibilità di contribuire alla guerra contro i turchi, se non nella misura della Nell’apprendere le notizie sulle crudeltà compiuquota di quello stipendio che compete al regno di te dai turchi, inevitabilmente il pensiero corre ai Ferdinando. loro possibili complici in campo cristiano, la cui posizione ambigua e, quindi, sospetta appare per[. . .] || [. . .] Quanto autem sia per il facto del nostro stipendio et dela prestanza, vi dicemo chel bisogna tanto particolarmente odiosa a causa delle suddette che se li faci tal provisione che la corra perch’el non nefandezze. poteressimo già tenere 400 homini d’arme come haveVigesimo tertio augusti venerunt Parmam nova, mo et più, sel non ci fusse dato la nostra provisione. 14 qualliter Turci, qui intraverunt in Apullia, non nomiRecordandovi che fin qui, per esser sta mal pagati ne Turci25 hec faciebant, sed nomine ducis Anghiò26 , da Milano et da Fiorenza et maxime da Fiorenza, ne qui fuit filius ducis Johannis filij regis Raynerij, et ha bisognato sustenerli del nostro15 : et per la rotta che hebeno al Poggio Imperiale16 non li havemo potu17 Una finezza sintattica che nasconde una promessa inti mettere in ordine né potemo, sel non ci è proveduto determinata: a questo punto è stato cancellato l’articolo del dinaro. Et facemone grande instantia a Milano et determinativo “il”. 18 Questa congiunzione avversativa è quanto richiede il a Fiorenza, maisì che per la prestanza che adesso ne tocha cum la m.tà del S. Re, che è 9500 ducati como senso; il grafema invece consta di una x seguita forse da un

12 Sorpresa e dispiacere, in un termine con un’altra ac-

cezione (più latina) della nostra e in un’altro da noi non usato. 13 Erc. 80.08.15 128-131 (a G.C. Valentino); e, in bella copia col sigillo ducale, 207-209. Per il contenuto delle diverse pagine si fa riferimento a quest’ultima, più compatta. 14 Influenza del linguaggio veneto. 15 Sembra di capire che Ercole fosse stipendiato per sé e per quella grande armata di cui sopra, tenuta in piedi per la lega con Milano, Firenze e Napoli. 16 Monte Imperiale o Poggio Imperiale è il nome di una collina presso Poggibonsi, così chiamata per essere stata la residenza dell’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, di dantesca memoria.

paio di a con un lungo strascico. 19 Questa bella espressione doveva far parte degli strumenti diplomatici a costo zero, come si dice oggi. 20 Seguono i particolari per spendere il resto dello stipendio, oltre ai duemila ducati per i puledri. 21 In calendario, il 24 agosto. 22 15 agosto, vale a dire che quel “più presto” sta per ‘piuttosto’, avverbio che richiama alla mente l’uso improprio che se ne fa oggi in certi ambienti e ambiti geografici. 23 Ma la stipula della lega risaliva al 27 luglio. 24 Erc. 80.08.16 25-27 (a N. Sadoleto). 25 Questo è da intendere come genitivo riferito al sultano. 26 Questo invece è un genitivo postclassico; altri (come il de Ferrariis) avrebbero usato una forma del tipo “Andegavensis” (cfr. Galateo, De situ 59).


9.2 Un nemico non convenzionale quod ipse dux personaliter ibi in dicto exercitu erat et pro eo hec guerra fiebat, ibique clamabatur Angiovino; cum quo dicebantur esse multi ex baronibus illius regni a rege Ferdinando expulsi com fillio comitis Jacobi Picinini27 , cui duci regnum ipsum spectabat; propter quod multas terras obtinuit, tanquam sibi ab antiquo dominio amicantes. Dictumque fuit, ut de inimico suo vindictam summeret, ab inimicis fidei christiane, scilicet a Turchis, auxilium impetrasse. Fammaque fuit, Venetos sibi etiam favere disiunctos a liga illustrissimorum dominorum ducum Mediolani. Nam quasi totam Apuliam jam modo obtinuit. Ob quod rex Ferdinandus multa preparat; sed videntur tarda. Et dubitatur, Turchum com omni suo exercitu, quem Rhodi habebat, illuc transiturum; Venetos quoque Turcho confederatos maximum contra dictum regem navigium armare, qui jam in agro Brisiano28 dicuntur ad confinia nostra armigeros collocasse, ne dictus rex hinc auxilium suscipiat. Cum autem in regno Sicilie reperiantur due secte, altera Angiovinorum et altera Aragonensium, multum dubitatur de statu dicti regis ob expulsionem baronorum suorum.29

85 deferri, sed nolle eos intrare in eorum castris, nec se eis appropinquare ad duo milliaria, ne videant eorum modos et ordines et quod sic conducentibus optime persolvunt.30

La lettera di Ercole che segue continua con toni ancora più appassionati sul tema di quella del 15 agosto allo stesso oratore, perché questi convinca la duchessa di Milano a partecipare con più entusiasmo all’impresa comune contro i turchi. Si coglie una frase tra tante (verso la fine della prima pagina), in cui si staglia con grande risalto la differenza tra le guerricciole mercenarie dell’Italia quattrocentesca, con pochi morti e modeste variazioni territoriali, e una lotta “mortale” in cui il vincitore cancella completamente lo stato se non anche la nazione che soccombe: basterebbe chiedersi quali tracce rimangano nella Turchia odierna di tutte le province dell’impero romano nell’Anatolia (Asia, Cilicia, Cappadocia, Licaonia, Licia, Galazia, Panfilia, Bitinia e Ponto).

Secondo questa fonte, dunque, c’era anche chi, [. . .] Il non si farà anche poco, stando li S.ri italiani come Venezia, per aumentare i problemi a Ferdiin pace, a defendersi da la guerra mortale del Turcho nando, come se non ne avesse avuti già abbastanza, che è potentissimo et sole expugnare non solo cità ma stimolava le rivendicazioni della fazione angioina. reami et imperij.31 Accadeva pure che i turchi cercassero di smentire la cattiva fama che li precedeva, mostrando inteLa percezione che si abbia a trattare con un neresse solo per i beni materiali e non per le persone, mico molto pericoloso, naturalmente, non è dovuta sebbene quest’operazione d’immagine, come si dice a una geniale intuizione del duca estense: qualcosa oggi, risultasse evidentemente ardua. nell’Occidente cristiano trapelava, sui metodi bellici Hoc tempore finis augusti continue adveniunt nova ottomani, anche prima della caduta di Costantinopeiora de Turchis, qui Apuliam invaserunt. Dictum poli, e una fama terrifica accompagnerà l’espansione fuit, homines illarum partium, cum sentiant Turchos turca a lungo. Così, all’appellativo classico che deillic appropinquantes, aufugere et patriam linquere, notava una fede religiosa alternativa (i musulmani ita quod cum Teucri capiunt aliquas terras, in illis erano definiti perfidi, come gli ebrei), si aggiungeva solum reperiunt parvullos, vetulos et vetullas. Fece- un altro tendente a indicare quasi una differenza runt quoque proclamari ipsi Turchi, quod quicumque genetica, in una accezione volta a sottolineare, più christiani ad eos deferant victualias, nullatenus mol- per assonanza che per etimologia, la disumanità e lestabantur et ipsarum victualium optimam consela crudeltà efferata dei turchi, che appunto erano quentur soluctionem. Et ob hoc illis multas victualias definiti talvolta, con una dilatazione superlativa in 27 Cfr. DP 75, dove si riferisce la diceria secondo la quale un termine che già conteneva un’idea di enormità, anche il figlio suddetto militerebbe nelle schiere ottomane immanissimi. Così, in alcuni documenti vaticani per vendicare il padre. Dopo la vittoria sui baroni a Troia nel 1462, re Ferdinando si era disinvoltamente sbarazzato dei inerenti il riscatto di prigionieri cristiani, si associa 32 nel qualificare suoi principali nemici (Iacopo Piccinino, che aveva condotto la immanità alla consueta perfidia

le truppe ribelli, era stato soppresso nelle segrete di Castel Nuovo). 28 Dovrebbe intendersi come Brixiano: i veneziani schiererebbero i propri armati da Brescia al Po per impedire l’eventuale uscita dell’esercito sforzesco in soccorso del re di Napoli. Ipotesi più che remota, peraltro. 29 DP 75-76.

30 DP 76.

31 Erc. 80.08.19 132-138 (a G.C. Valentino). Anche di questa lettera esiste la bella copia, con le pagine numerate 210-212. 32 Di “perfidorum turchorum catholice fidei hostium immanissimorum” si parla nel caso di Carlo Mazara, un prigionie-


86

Con le conferme si consolida lo sgomento

questi nemici della patria e della fede33 .

nostro stipendio, et per mille cose bisognarà tractare: perché questo Turcho face fare de novi pensieri. || Pigliamo admiratione de quelle due nave comparse de che vi disse il S. Re: de un canto considerata la na(tura) de venetiani pare verisimile che le possano esser dele sue; dal’altro quando pensemo il pericolo alquale infine andariano lassando fare il Turcho nido in Italia, non sapemo che si dire. Piacia a dio tuor le forze a chi è contra a sua m.tà et ala christianità. Il caso veramente ne dole quanto si possa pensare, come per altre vi havemo scripto. [. . .] Belrig(uardi) XXIJ Aug. 1480.35

Al Sadoleto che aveva espresso il desiderio di rientrare, Ercole risponde con parole di circostanza che esprimono il convincimento della validità della sua scelta, rafforzate dalla valutazione del momento contingente. E il nostro oratore, che ha già svernato una volta ai piedi del Vesuvio, forse non immagina che potrà rientrare a casa solo nell’estate successiva, con una trasferta intermedia oltremare. Messer Nicolò, havemo recevuto tre vostre che sono de XJ, XIJ, et XIIJ [. . .]. Circal tuor la nostra prestanza, o ad uno tracto on in pezi, non dicemo altro perché hariti veduto quanto ve havemo scripto, rimanendo contenti chel S. Re se ne retenga IIIJ.m ducati per succorso contra el Turcho, et che circa IJ.m se ne spenda in poledri [. . .]. Per quanto ne cegnati34 che tornaresti volunteri a casa ad altro officio et che non voresti più tal fatiche et anche tochandone dele spexe vi sorgerano etc. respondemo che non ni pare far mutation alcuna de oratore laoltra et habiamove lì deputato a fin che gli stiati perché ne satisfaceti molto bene, et cussì hareti a continuare, et non servireti S.re che non possi molto ben adiutarvi quando bisognarà, et non vi serà ingrato, {sì che statine de bona voglia}. Ma del vostro dare de volta adesso a casa, non gli pensati, perché vedeti bene se bisogna che adesso vi partiati, et per queste cose del Turcho, et per questi prencipii del ro il cui riscatto è pagato dal fratello Giorgio, cittadino greco di Otranto (ASV , Reg. Lat. 830, del 15.03.1483); “immanissimi” sono definiti pure i turchi che avevano assediato Rodi e avevano catturato, tra gli altri, uno spagnolo di Saragozza, di cui vedremo più diffusamente l’atto nella sezione dedicata al diverso destino dell’isola greca (v. 89). In altre richieste di liberazione di cristiani in mani turche, si sottolinea solo la perfidia di chi li aveva catturati e li deteneva prigionieri: così per dodici “qui pro perfidorum turchorum propugnatione et catolicae fidej defensione”, per la cui liberazione (“redemptione”) si versano duecento ducati (ASV , Reg. Lat. 817, 22rv del 24.01.1482), o per tre giovani otrantini “in perfidorum turchorum captivitate positis” e che “cupiant ad propriam patriam redire” (ASV , Reg. Lat. 816, 129rv del 19.07.1481). Le due forme del superlativo di sopra, invece, si trovano nei ms. lagettiani partenopei, v. 473. Alla “immanitas” in relazione all’assalto turco contro Otranto, infine, sono dedicati l’intervento specifico di F. Tateo al Convegno su Otranto del 1980, e qualche cenno anche nell’Introduzione a Gli umanisti (10). 33 A queste rispettive categorie si continua a fare riferimento, ad esempio, nella dedica del monumento idruntino che ricorda “eroi e martiri”, in un ordine che risente, forse, del periodo postunitario in cui è stato eretto. 34 Vale a dire ‘ci accennate’.

Il duca di Ferrara apprende la notizia che conferma la caduta di Otranto, già ritenuta inevitabile in mancanza di soccorsi, ed esprime al re, per il tramite del suo oratore, il suo sincero dolore e l’impegno a inviare gli aiuti finanziari già promessi. Segue un passo che non attiene alla guerra dei turchi contro Otranto, in quanto si parla di un classico elemento di facciata quale può essere una bandiera, ma che, come si vede nella gustosa conclusione, è strettamente correlato alla sostanza. Infine, in un lungo Post Scriptum, una comunicazione che illustra le mire venete su città appartenenti ad altri stati italiani, in un simile momento di pericolo per tutta la penisola. Messer Nicolò. Nui havevamo preso alquanto conforto et consolatione per l’adviso ne daesti che Otranto non era perduto et che li Turchi erano stati rebutati, {ilquale adviso per altra via ne era sta dato}, benché, non intendendo altramente che succorso gli fusse giunto, ne siamo stati molto suspexi et dubiosi. Ma hora che siamo advisati per la vostra de 16 de la total perdita et ruina de dicta cità, cum tanta occisione et cum la desolatione de quelle altre terre, cum factura et perdita de tante artiglierie et fru(men)to et altre cose, ne siamo tanto contristati et dolorati quanto si possa pensare per il damno et pericolo de sua m.tà che ci commove grandemente come poteti iudicare, et per il manifesto pericolo de tuta Italia et de la christianità. Cussì ve ne condoleriti in nostro nome cum sua m.tà cum quello più conveniente modo saperiti usare per dimostrarli il nostro cordoglio, ricondandoli che Nui non restemo de sollicitare per ogni via che sua m.tà sia soccorsa: havemovi scripto deli IIIJ.m ducati che gli demo per succorso per il modo che haverite inteso [. . .]. Per una vostra de 18 havemo inteso quanto vi dixe il m.co secretario circa la nostra bandiera domandandovi 35 Erc. 80.08.22 98-99 (a N. Sadoleto).


9.2 Un nemico non convenzionale come la volevati et poi mandandovi quel maistro che vi dimandete del’arma nostra, poi vi disse de stendardo etc. Ad che rispondendo dicemo che habiati grande advertentia che non vi sia menato il capo a treno36 , perché la m.tà del S. Re et anche il S. secretario sciano molto bene come debono stare le bandiere perché sua m.tà ne ha date dele altre et sciano chel non bisogna dimandarvi dela nostra arma, perché la non gli va: anci tuta la bandiera è una arma sola dela sua m.tà come la sia et come haveti visto che stano li pennoni da trombe, vero che, chi li vole metter le divise {de chi è l’arma}, se gli sole dipingere un frisetto ale confine et interserirli epse divise, poi se gli mette una frangeta per ogni quadra. Et qui alligati vi mandemo dui pezi de azza sutile che sono {il più lungo} la misura dela lungeza et il più curto la misura dela largeza, come vederiti anche per un bulletino che dice la bandiera che havessimo da Fiorenza esser lunga brhazii 5.1 et 8 larga brhazii 3.1 . Et cussì la voressimo, perché quella 8 de Milano per esser maior alquanto, è più incomoda da portare. Et non vi lassati invilupare ad acceptar stendardo, perché li stendardi si dano ad inferiori, et le bandiere significano maior dignità como è la nostra.|| [. . .] Belrig(uardi) xxvij Aug. 1480.|| Ad eundem. Messer Nicolò. Qui inclusa vi mandemo la copia in zifra de una lettera ne ha scripto il nostro ambassatore da Vinesia, laquale volemo che incontinente comunichati cum la m.tà del S. Re, facendogela molto bene intendere et gustare. [. . .] Et per questa copia sua m.tà vederà molto bene li ragionamenti che fano neli soi Consigli, et de qual sorte segurtà vorebono per haver il freno in mano a suo modo, et le chiave deli Stati mettendo il pensiero a Brindici, Ancona e Cremona37 . Siché Nui judichemo che habiamo pocha voglia de prestar adiuto alcuno proponendo tale cose. [. . .] || Belrig(uardi) xxvij Aug. 1480.38

Quasi sviluppando consequenzialmente il suo pensiero su Venezia cominciato nella lettera precedente, Ercole, in questa diretta al suo oratore a Milano, esprime il suo scetticismo sulla possibilità di ottenere l’aiuto della repubblica nella guerra contro i turchi, anzi, molto lucidamente, prevede che simili approcci e trattative saranno utilizzati dai suoi vicini, che egli conosce bene, per rinviare ogni reazione concreta all’invasione, logorando anche i rapporti 36 Il tratto spesso del carattere rende incerta l’interpretazione della prima parte del termine. 37 Salvo Ancona, che non mi risulta, tra la fine del secolo e l’inizio del successivo, Venezia mise le mani per qualche tempo sulle altre due e anche su altri porti pugliesi. 38 Erc. 80.08.27 100-103 (a N. Sadoleto).

87 tra i ben disposti. Si considerano, infine, gli eventi in uno scenario, quello della morte di Maometto II, ritenuto possibile se non probabile, e che altri, quando accadde veramente, qualificarono come di origine soprannaturale nonché decisivo per la liberazione di Otranto39 . [. . .] Et circa il ragionamento havuto per la m.tà del S. Re cum li oratori dela nostra ill.ma liga, per mandare Scales suo secretario ala S.tà del papa, a quelli ill.mi Sig.ri , a Sig.ri fiorentini et a Nui perché se habino ad elegere ambassatori che habiano ad andare a Venesia a disponere quella ill.ma S.ria a questa impresa, siamo del parere de quelli ill.mi Sig.ri che non se habiano a mandare a Venesia [. . .]. El meglio che li sia segondo Nui si è chel papa tracti lui a Roma questa cosa. Ma credemo che partito alcuno non se trovarà de assicurar venetiani a suo modo, et che starano a vedere consumare la brigata per aspectare qualche bel tracto, o per la morte del turcho o per altro che se li presenti. Ma perseverando in la victoria il turcho, potria essere che anche loro infine se ne pentiriano.40

Un breve brano di una lettera di Ercole al Sadoleto, in cui rifulge quella che oggi si suole chiamare onestà intellettuale: è vero, il duca di Ferrara ha pregato gli Sforza di essere generosi nel soccorrere il re, ma erano già ben disposti. E, in questa forma elegante, abbiamo notizia dei primi diecimila ducati devoluti alla causa. [. . .] Non bisogna che la m.tà del S. Re ni regratii per li X.m ducati mandatili da Milano, pensi pur se havemo ad fare altro che gli torni in benificio, chel faremo de bona voglia, et benché habiamo facto lo sforcio nostro a Milano per operare che sua m.tà sia succorsa, volemo però che la sapii che etiam sue Ex.tie gli erano da sé medesime ben disposte. [. . .] || Medelane, ultimo Aug. 1480.41

Un brano presente in un’altra lettera fatta scrivere da Ercole nello stesso giorno, e diretta al suo oratore nel ducato sforzesco, appare interessante anche per aspetti comportamentali. Lealtà tra avversari (come 39 Il riferimento, naturalmente, è alla celebre espressione con cui l’umanista di Galatone conclude il suo excursus sulla guerra con i turchi, prendendo le mosse da un’affermazione inesatta quanto ingenerosa: “Antequam urbs a nostris obsidione stringeretur, Deus optimum maximus opportuna reipublicae christianae morte Machometen substulit, alias actum era de nobis” (Galateo, De situ 56). 40 Erc. 80.08.27 139-142 (a G.C. Valentino); e, in bella copia, 214-217 . 41 Erc. 80.08.31 104-105 (a N. Sadoleto).


88 in un torneo cavalleresco o sportivo), gioco delle parti, guerre per celia o ipocrisie rinascimentali: in vari modi si può qualificare questa richiesta al papa di benedire la lega nata per contrastare o bilanciare la di lui42 alleanza con Venezia. [. . .] dopo la publicatione de epsa liga fra uno mese se hano a mandare ambassatori ala S.tà de n. S. a suplicarli43 che la se digni benedirla44 [. . .].45

42 In casi come questi, per motivi di chiarezza si rende necessario l’equivalente di eius. 43 Così, per una strana attrazione verso il soggetto, si trasforma l’atteso suplicarla. 44 Come previsto proprio da un capitolo di quella lega. 45 Erc. 80.08.31 143-144 (a G.C. Valentino).

Con le conferme si consolida lo sgomento


CAPITOLO DECIMO Un altro destino §10.1 L’isola delle rose. . ., 89 • §10.2 . . . e delle spine, 92.

10.1

L’isola delle rose. . .

Più volte si è parlato di un altro assedio, quasi sincrono, che ebbe un esito diverso nell’immediato1 , ma che – ritentato dopo quarant’anni – si trasformò in una occupazione secolare; e fu diverso anche in questo senso. Ci si riferisce, naturalmente, a quanto toccò in sorte a Rodi, e sempre ad opera dei turchi.

che, a partire dall’undicesimo secolo, subentrando agli arabi, avevano creato problemi ai pellegrini in Terrasanta. Che poi i cavalieri di Rodi, nel loro tentativo di resistere all’avanzata ottomana, cercassero valide alleanze, come quella di Uzū’n Hasan e dei suoi discendenti, pure sembra rientrare nella comune e consueta lotta per la sopravvivenza degli stati sovrani.

Di quanto avvenne tra la tarda primavera e la Il Sultano aveva mosso guerra nel 1480 all’ordine di Rodi, l’unica potenza in Oriente che non avesse anco- piena estate del 1480 sui due fronti aperti dai pascià ra piegato al giogo osmano. I Gran Maestri avevano di Maometto II per suo volere o col suo consenso, sempre rifiutato il tributo, avevano sempre procura- si narra sinteticamente in questa fonte: to di aiutare gli sforzi dei Cristiani per combattere Nihil hoc anno rerum sultanus ipse Muchemetes la potenza osmana, s’erano alleati con Ussun-Assan, egit, sed interim autem vezirem suum, Mesitem basavevano insomma, salve, poche eccezioni, fatta un’osam, multis cum millibus hominum, ac praepotenti stinata guerra contro la potenza turca. Ond’è che cum classe, mari ablegavit: ut insulae civitateque libero dalla guerra veneta, il Sultano mosse contro Rhodo bellum inferret. Obsedit autem Mesites RhoRodi.2 dum, sed expugnare non potuit: ideoque maximo cum detrimento et jactura rerum obsidionem solvere Se la si pone in questa maniera, sembra quasi coactus fuit. Tum temporis alterum quoque vezirem che i cavalieri se la fossero cercata, come se fosse suum, Geducem Achmetem bassam, valido cum exernormale che un Ordine – che per le sue finalità e la citu, magnaque classe, Muchemetes in Italiam misit. sua storia costituiva una bandiera della cristianità Is Otrantum in ea civitatem occupavit anno 883 (Chr. in Oriente – dovesse pagare un tributo a quei turchi 1481).3 1 Cfr. il già proposto dispaccio da Venezia Cor. 80.08.09 (p. 75), in cui sono riportate, una di seguito all’altra, le notizie di segno opposto sull’esito dei due tentativi di invasione attuati dai turchi nell’estate di quell’anno. 2 Manfroni 113.

Sono più di una le fonti che collegano le due iniziative belliche intraprese dagli ottomani in rapida 3 Chalcocondila 616.


90

Un altro destino

successione ai margini occidentali ed orientali della Grecia metropolitana; un’altra è il Diarium Parmense, di autore ignoto, ma riconducibile alla curia della città emiliana inclusa nei domini viscontei prima e sforzeschi poi. Vediamo due brani, il primo esclusivamente inerente l’isola dell’Egeo, l’altro entrambe le aree aggredite dalle forze del sultano turco.

Con i primi particolari sull’invasione in Terra d’Otranto, arriva anche qualche imprecisione toponomastica, oltre a una discutibile classicizzazione del nome degli invasori. La classificazione delle armate ottomane – su questo fronte come su altri – nel segno della crudeltà trova riscontro in un atto vaticano per la liberazione di un uomo di Saragozza che era stato fatto prigioTurcus de mense junij castra posuit Rodi cum niero combattendo contro i turchi nella lontana isola ingenti armata et com bombardis. Et opponens se ad portum, ubi est turris, in qua lumina ponuntur in dell’Egeo:

nocte pro navibus navigantibus, ipsam turrim com bombarda pro magna parte est demolitus; ab intus vero sibi optime respondetur per magnum magistrum Rodi, qui in Rodo habet septem mille preliatores audaces et bene armatos. Reperitur quoque civitas per trienium optime victualijs et defensionibus munita. Senes vero, infantes et mulierum magna parsa se reduxit in castro Sancti Petri ad milliaria XX. locum tutissimum. Menia Rodi sunt inexpugnabilia. Hec scribit magister com Dei protectione. [. . .] Quoniam Turchus com ingenti exercitu castra posuit Rodi, temptans omni via, qua potest, Rodum obtinere, summus pontifex, rex Ferdinandus et Veneti ligam insimul fecerunt pro succurrendo Rodo tantum4 ; et multa contra Turchum preparantur.5 Eo hoc tempore proximo Turchus qui castrametabatur Rodum com ingenti navilio6 , quique ictus mille quingintos bombardeb dederat in muris urbis inexpugnabilibus, nec quid illis lesionis intulerat, qua etiam munitissima existente, se com omni suo navillio levavit. In cuius Rodi auxillio collegium cardinalium duas grossissimas naves Janue armabant. Et creditur, ipsum Turchorum navigium aplicuisse in Apullia versus Ciciliam; de quo exercitu multum formidatur; et Teucri, qui in terram descenderunt, castra et bombardas firmaverunt civitati Otroni in Apullia, alijsque multis debellatis et depopulatis locis crudelissime, de quo extant littere ultimi julij 1480. Et dicitur in eorum agmine adesse filium comitis Jacobi Picinini, querentem patris ultionem.7

Sixtus etc. universis Christi fidelibus presentes litteras inspecturis Sal. etc. christiana doctrina monemur et salutaribus instructionibus edocemur ut ea in terris seminare debeam ex quibus in celis multiplicatos fructus recolligere valeamus quod perfecto effic. . . si fideles quos liberis hostium catholice fidei captivitate detentos pijs elemosinare largitionibus ab illa liberare curam cum itaque sicut acceptum dilectus filius Michael de Casafranca laicus Cesaraugustanus dicto tempore quo civitas Rhodi ab immanissimis turchis obsidebatur || incerto conflictu in quo pro defensione dicte civitatis et fide catholica adversus ipsos Turchos pugnabat ab eisdem Turchis captus [. . .]. Nos cupientes ut tenemur prefatum Michaelem de manibus turchorum eorumdem liberari universos Christi fideles predictos in domino requerimus [. . .] de omnipotentis Dei misericordia ac beatorum Petri et Paoli apostolorum eius auctoritate confisi omnibus et singulis Christi fidelibus vero penitentibus et confessis qui pro liberatione dicti Michaelis eidem Gabrieli pias elemosinas erogaverit centum Annos et totidem quadragenas de munetas eis penitentiijs misericordi. . in domino relaxamus presentibus quas per alium qua dictum Gabrielem deferri prohibemus post annum minime valituas . . . Datam Rome apud Sanctum Petrum, anno incarnationis dominice millesimo quadringentesimo octuagesimo secundo quinto kalendis martij anno duodecimo.8

Naturalmente, i primi a sapere che i turchi stanno assediando Rodi sono i veneziani, come risulta dai talia partirono due “navi grosse” inviate dal re di Napoli e altrettante dal papa; è vero che i veneziani avevano tanto dispacci dell’oratore estense presso quella repubblinaviglio nel Mediterraneo orientale che non era necessario ca, dove una stima sulla flotta ottomana destinata farne partire dell’altro dall’Adriatico, ma forse non se ne sa contro l’isola dell’Egeo comincia a circolare già molti nulla perché l’aiuto non procedette oltre le intenzioni di cui giorni prima che nelle altre città italiane, pur senza qui si dà notizia. indicazione di numero di armati: 5 DP 74. 4 Questa fonte parla anche di aiuti veneti a Rodi: dall’I-

6 L’assedio turco a Rodi durò circa tre mesi, tra la fine di maggio e quella dell’agosto 1480. 7 DP 75. a partes cod.

b bombare cod.

[. . .] Del Turcho se ha como la sua armata è arivata a Rhodi et sono cento septanta vele, et fa due bastie suso la insola: una allo incontro dela porta dela terra, 8 ASV , Reg. Lat. 830, 48rv, del 25.02.1483.


10.1 L’isola delle rose. . .

91

L’oratore estense in Firenze raccoglie e trasmette queste notizie, rammentando qualche giorno dopo al duca di Ferrara che avrebbe già dovuto saperle E cominciano subito a galoppare le dicerie sulla dal collega presso re Ferdinando: destinazione successiva di quell’armata, come se Rodi fosse già caduta: [. . .] || [. . .] Da Napuli se ha como la ma.tà del S. Re l’altra alla via del mare; et vole fare habitare l’insola ali suoi, et per questa via assediare questa terra.9

Io intendo che questa S.ria ha una litera molto secreta che la armata dil Turcho se parte da Rhodi et va in Candia, el che non so se sia vero.10

Stime simili a quella fornita dal Cortese, sull’armata turca contro Rodi, giungono dagli altri oratori estensi molto più tardi, vale a dire dopo circa due settimane, dopo aver viaggiato a lungo prima di pervenire ad essi, come si evince da questo passo: Hozi parlando pure con questi S. octo, dicevano dela armata era a Rode del turcho11 || et che ci era adviso como li era a campo cum 160 vele tra galee et palandete, et eragi 60 milia turchi. Et che insina a quello dì quatro de zugno che fu scripta quella lettera, mandò per adviso et per adimandare socorso ala ma.tà del S. Re, dicea haveano piantato bombarde in parechi lochi et insina al dì dicto haveano tracto circa a 120 colpi de bombarde ala torre de Sancto Nicola, et insina al dicto dì non era facto cosa de estima, et bene che se confortaseno, nientedimeno dicevano, non havendo socorso, turchi obtenirebono. Et dise alcuni de loro che el papa per questo se levaria da la impresa perhoché, adimandando socorso da le potencie, voranno essere securi del posare de le arme. Et cusì se venerà a securare el S. Costancio12 . Alcuni dicono la ma.tà del S. Re fare questa solicitudine de socorso per venire ala lega universale la quale monstra per ogni via cercare et bramare. Ma li pare questo socorso non potere essere a tempo perhoché, havendo quelle artelgiarie, como se dice, inanti se fusse là, se seria conquistato ogni grandissima cosa.13 9 Cor. 80.06.18. Secondo un cronista veneziano coevo i turchi erano 90 000 con “galie 46, palandarie 34, fuste e brigantini 34” (Sanudo 175). Più generico, e a cifra tonda sul numero di navi, un altro: “A’ 23 de Mazo è zonta l’armata de 100 vele all’isola con l’esercito imbarcado al Fisto; et se acampà su la cima de monte S. Stefano” (Malipiero 124-125). 10 Cor. 80.06.19. 11 Curiosa costruzione, tanto per rendere più rapida la comprensione del senso. 12 Costanzo Sforza (1447-1483), nipote di Muzio Attendolo, signore di Pesaro dal 1473. Del tutto da verificare quanto fosse determinante questa signoria, peraltro nell’ambito territoriale di pertinenza pontificia, nel condizionare l’invio di soccorsi a Rodi da ben più cospicue potenze italiche, se non anche europee. 13 Mon. 80.07.03 92-93.

fa aparechi per socorere Rodi; mi rendo certo Nicolò Sadoleto scriva el tuto, pure havendo io comodità de have(re) la copia del parlamento facto per sua ma.tà ali suoi baroni, et etiam la copia de la lettera mandata dal gran maestro14 , ho voluto mandarla a v. ex. cusì la mando qui inclusa15 . [. . .] || [. . .] Anchora questa sera scrive lo oratore fiorentino in Roma, como la ma.tà del S. Re ha mandato uno suo lì, et uno cavaliero de Rodi, el quale conferma le cose de Rodi videlicet essere cusì acampato, et che è fornito de pane et vino per dui anni.16

Dall’altra metà del cielo toscano, vale a dire da Siena, giunge l’eco della mobilitazione di tutti gli aderenti all’Ordine dei Cavalieri di Rodi (ospitalieri): Adì 20 di Luglio el Moro Trombetto mandò un bando da parte del papa, e del gran mastro di Rodi, che tutti i frieri andassero in persona al soccorso di Rodi, sotto pena di perdere il benefizio, e di scomunicazione. Perché adì 23 di maggio 1480 il turco arrivò nell’isola di Rodi con 60 milia persone, e per acqua 70 galere, e 100 altre fuste per pigliar Rodi.17

Facendo la tara sui lunghi tempi di trasmissione delle notizie provenienti da un fronte così lontano, anche la notizia che segue è ascrivibile alla prima fase dell’assedio, quella delle magnifiche sorti e progressive per l’armata turca, che come un rullo compressore stava schiacciando quest’isola così vicina alla costa anatolica, e impudentemente riluttante a farsi assorbire dal nuovo grande impero. [. . .] || [. . .] Da Barri sono lettere qua per del comisario lì como per lettere de mercatanti se ha che el turcho ha batuto a terra una torre de Rodi insina ne li fondamenti, la quale torre era inexpugnabile.18

Inespugnabile sì, ma forse non indistruttibile con le nuove armi da fuoco, che rivoluzionavano anche le categorie militari, oltre a capovolgere l’esito 14 All’epoca era il francese Pierre d’Aubusson (1423-1503). 15 “Manca anche questa copia” (Foucard 118 nt. 3). 16 Mon. 80.07.07 2-3.

17 Allegretti 806-807. 18 Mon. 80.08.24b 179.


92

Un altro destino

delle battaglie se in possesso di un solo contendente, fino a consentire la conquista dei grandi imperi precolombiani con qualche centinaio di uomini.

10.2

. . . e delle spine

La mezzaluna ottomana in quel tempo appariva agli occhi della cristianità come una calamità alla quale non si poteva scampare, se non sperando di non essere adocchiati dall’occhio rapace del “Turcho”: da qualche secolo, infatti, avanzava su ogni fronte quasi senza battute d’arresto, occupando tutti i frammenti dell’impero bizantino e non solo. La conseguente dilatazione dei confini, che cingevano un territorio sempre più vasto intorno al crocevia di due continenti, non sembrava costituire un problema perché dai territori conquistati affluivano nuove milizie rapidamente assimilate alle precedenti. Se questo era stato vero per gli avi e predecessori di Maometto II, lo fu ancora di più per chi, come lui, sarebbe stato ricordato con l’appellativo di Conquistatore. Per tutto questo, e anche per le ingenti forze impiegate (circa il quintuplo di quelle mandate in Italia), la caduta di Rodi appariva soltanto questione di tempo, e, già al primo sentore di quell’assalto, come si è visto, si facevano pronostici sull’obiettivo successivo dell’armata ivi impiegata. Ma i rodiesi dichiaravano di possedere viveri sufficienti per due anni, mentre cadeva una loro torre giudicata inespugnabile. L’esito della battaglia non era certo, e insieme alla torre poteva cadere qualche mito. Un rendiconto delle operazioni intervenute nel primo mese di assalti turchi a Rodi mette in luce aspetti chiaroscurali di questo scontro che, non dimentichiamolo, avviene a vista delle coste anatoliche, e non ai margini recenti dell’impero ottomano. A dì XXI de jugnu 1480, relatione facta per Ser Donato Bernardo a riquesta dilu Capitanu di Candia. Riquestu io Donatu Bernardu patruni di navi hogi qui vinutu di Rodi di referiri quillu ho vidutu dili progressi et armata Turchesca contra Rodi, dico chi a dì XXII madij vinendu di Suria capitai a Rodi undi trovai quilla terra tucta in tumultu et in ordinj aspectandu l’armata turchesca d’ora in hora, et stando tucti di bonu animu sperandu prevalersi, et havevano victuagli per anni tri in quattru sicumdu lu dire loru, bumbardi et altri preparamenti di difisa sensa numero, ficinu cuntu haviri in la terra da persuni di facti da V.m in susu, havivanu in lo portu so in aqua

navi XVIJ, galei dui suttili ultra alcuni fusti chi non cuntamo. Io veramenti havendu a sequiri lo viagio meu lo jornu sequenti all’alba mi levai divisandu la mia via per lu canale verso Xciu, perchì altra via non potiva fari non mi levandu lu ventu et a suli levato supra ghimmie ebbi vista di l’armata turchesca undi io insemi cum Lorensu Cadena mi dirisai ala volta di loru sempri mustrandu la prua et sempri acostandosi calamu a meza asta et muntammu in su li barchi nostri andanduli in contra et arrivammo ala galia dilu baxà facendoli riverensia et riferendoli dundi vinivamu, et chi lo jornu avanti eramo stati a Rodi; et chi quilli di Rodi eranu beni in ordine et aspectavanu lli cum bonu animu, et cussì mandò li galey soi a rimorchare li nostri navi alu surgituri so zoè ala fossa di Filerni, et subito missi in terra circa cavalli C.o et tucta la gente di l’armata et tri jorni ala continua attesi a passari genti tucti di pedi, et fasso cuntu havianu fra terra et quilli di l’armata numero XXX.m pianto bunbardi XVJ et quattro mortari ala banda dila Judeca et altri ala banda dilu gran mastro, ala banda di mejo bombardi tri grossi ala volta dilu Capo dilo molu et lavuraru quisti bunbardi finu ali VIIIJ dilu presenti mesi di Jugnu chi li dectinu una battaglia et principiau di prima sira finu a hori duj di jornu, facendu loru sforsu contra la turri di lu portu, la quali era ruynata finu ala cintura di lu vivo di una banda chi porria esseri circa lu quartu; eranu infra galey e fusti numeru XXXIJ non potteru fari alcuna cosa per lu grandi numeru di bombardi et spingardi vinivano cusì di la terra comu di la Turri foru morti turchi multi et feriti da C.v insuso. Chiamosi il baxà multu mali contentu di lu capitaniu iniurandolu multu publicam.te dicendoli esser stato unu pultrunj et chi si mittissi li vili de sua moglieri chi non meritava esseri capitaniu dilu S. et similimenti fu iniuriatu lo capu deli Jennissi dicendulj chi illu divja dari di la prua in terra ala Turri di lo portu et cusì dipoi andaru continuandu lu bonbardari fini ali XVIIJ delo instanti chi li dectiru la secunda battaglia, cussì cum li galey, fusti comu cum li barbocti et traguetandoli per terra mettendulj intra il mandragiu || et per unu ponti factu di lignami et bucti per passari genti sul molu ala dicta Terra andaru li galey cum li sperunj fina sul molu cum grandi animu, et maxime la galia dilu Capitaniu fussi rispusu virilmen(ti) di bombardi et misseru in fundu duj galey et una fusta et annigarusi tucti, morti assai et feriti et maxime quilli dili barbocti tucti quasi valenti hominj, fassu cunto da persuni di IIIJ.m in suso essiri morti et specialmenti lu capu de Jenissi che era unu schavu multu valuruso, in modo chi el baxà videndu non potiri obtiniri, fice moviri li soi bombardi zoè quilli di santo Antony et faciva cuntu metterli ala punta dila Zoica. Nuj veramente ali XXIJ fommu


10.2 . . . e delle spine licenciati et ali XXIIJ ci partemmu di sera, quillu più oltra sia sequitu non intendimu, ma judicamu dicti Turchi nenti faranno contra Rhodi a questo tempu, et maxime che soi bombarderj dicanu chi li bumbardj trasinu intra stuppa et non intra muro avisandu li vostri magnificentij chi quatru bombardi grossi suno ructi et l’armata male in ordine et condicionata.19

93 nce possero campo doue nce foro morti gran quantità de turchi perché la maestà del signore re Ferrando adì 27 de iuglio del dicto anno hauea mandato per succurso doue naue grosse luna nominata Sancta Maria patronizata per messere Ludouico Follero, et laltra per Franci Pastore con circha mille prouisionati in modo che con lo ayuto de dio intraro dentro con venti prosperi et sì se possero a bonbardare larmata del turcho in modo che possero a fondo più galee adeo che non se potevano preualere le galee, palandree et fuste siché fo de bisogno ala dicta armata leuarese da campo da Rode con loro dapno et vergogna.22

L’autore della relazione precedente (scritta per il capitano di Candia e trasmessa dal Sadoleto in allegato ad una lettera del 25 agosto 1480) è il proprietario di una nave che si trova a passare in quei mari: leggendo questa fonte viva e immediata Con termini simili sulla ritirata ingloriosa dei sembra di sentir parlare un salentino, forse di area brindisina (e il suo compagno di viaggio porta il turchi, si esprime nel suo volgare latinizzato l’anonimo raccoglitore di notizie che pervenivano nome del santo protettore di Brindisi). E proprio dall’Italia meridionale, ignara del vul- all’arcivescovo di Parma: nus che stava per subire in capo a qualche giorno, Ultimo septembris 1480 venerunt littere a Rodo, partivano due grosse navi, che sarebbe ingeneroso qualliter Turchus in una die septies pro viribus suis paragonare alle mosche cocchiere che si prendono il menia Rodi expugnaverat, tandem Rodianis viriliter merito della vittoria (come sembrerebbe leggendo urbem defendentibus occisi sunt decem octo mille ex un’ingenua cronaca napoletana), ma che sicuramenpreliatoribus Turchorum et quod in portu sumersete assestarono un buon colpo agli assedianti che da rant quinque galleazie com omnibus preliatoribus, in due mesi e mezzo tentavano inutilmente di entrare qua sumersione gener Turchi dux illarum gallearum nella città di Rodi e, infine, quando – dopo aver superierat. Unde Turchi videntes civitatem inexpugnabito anche le molestie di questi importuni visitatori bilem, totam insullam predati sunt, ferro et igne om– credevano di avercela fatta. . . Ma andiamo con nia vastantes et ab obscidione com damno et vituperio turpiter disceserunt.23 ordine. Cominciamo con lo stringato e asettico accenno di G. Albino: . . . Rhodiis [. . .] quod20 a Francino Pastore viro intrepido duabus navibus onerariis regium praesidium in medio belli ardore fuerat immissum.21

Nella cronaca scritta dal napoletano Notar Giacomo l’intervento delle due grosse navi mandate da re Ferdinando a soccorrere Rodi diventa decisivo per l’abbandono dell’assedio da parte dei turchi, che, a causa delle perdite subite nello scontro con la mini-flotta, decidono di ritirarsi con scorno – per usare un termine geolinguisticamente congruente con l’equipaggio delle navi.

Le operazioni belliche, dunque, non evolvono in senso favorevole alle armi e agli uomini di Maometto II. Dalla dalmata Ragusa24 , in un documento purtroppo quasi illeggibile nella parte finale, giunge notizia del salvataggio un po’ rocambolesco della città di Rodi, i cui difensori ricorrono all’arma della disperazione: i turchi, entrandovi da una breccia nelle mura, precipitano in fossi coperti da rami e fascine cui viene subito dato fuoco25 . Con gli oltre sedicimila morti, tra cui diversi capitani, sembra che le perdite degli assalitori rappresentino circa un quinto dell’armata che tre mesi prima aveva cercato di conquistare l’isola greca prospiciente quell’Anato22 NG 146.

23 DP 77. Adi XIII. de magio 1480 lo gran Turcho nomine 24 Nome oggi scandalosamente censurato anche in servili Maumect fe smontare ad Rode multa quantita de turchi quali vennero per mare con vna grossa armata etsi trasmissioni televisive della prima rete pubblica, che sono 19 Est.

80.06.21 159-160 (“Ambasciatori in Napoli”, relazione di Bernardo Donato). 20 Così nella princeps, mentre l’editore settecentesco ha proposto l’equivalente “quo”. 21 Albino, DBH 54.

arrivate a falsificare la storia riferendo, solo ed esclusivamente, di una “repubblica di Dubrovnik”. 25 Tranello in qualche modo ricambiato un anno dopo dai turchi, asserragliati in Otranto, che avevano scavato profondi fossati sul lato interno della cinta muraria, alla vista dei quali gli aragonesi dovettero ritirarsi (v. 376).


94

Un altro destino

lia ormai diventata stabilmente il nucleo del dominio si decide di desistere dall’assedio a Rodi. Intanto, ottomano. chi di mestiere e di fama è Conquistatore non può oziare fermandosi nelle sue iniziative belliche, peralCopie extracte dele lettere venute da Rausa a tro dopo un insuccesso: e si prevede che presto si Nicolò de Gondola a Napoli rivolgerà contro il regno magiaro, in questo secolo De novo in quisto dì applicoe aqui da Constanti- l’unica compagine statale capace di tener testa all’anopoli Demetrio Barberi lo quale a exposto alo revanzata terrestre dei turchi. In mezzo alle due parti gimento queste parole: Como li turchi a Rodi avendi questa lettera (trasmessa da Firenze), un piccodo combactuto più volte se dice ehsserie morti ultra m26 XVJ. turchi fra li quali nominano quisti capitanei: lo elemento che riguarda Otranto e anche Brindisi: Obrienovic’27 che fo bassà de Natolia con quello28 non è chiaro se si diano già per occupate entrambe o Scanderbech e suo nepote Alibech29 , Vlaconic’, e dui se si preveda che presto sarà presa anche la seconda. homini principali de Natolia, dicese anche lo figlolo del duca Stefano; de che lo gran turcho con gran dispecto, sdegno et ira se ha piglata contra Rodi; dicono che essendo roynate le mura, quelli dentro via fecero fossi et imperoli30 de frasche, fassine et altra esca per far fuoco: dove li turchi stimandose havere vinta la cità sone saltato entro. Come fuerono nel fosso, el foco si appicò dove ne morì maxore parte deli prenominati turchi. Appresso li è che a Constantinopoli haveano la entrata de IIIJ navi dentro Rhodi, dicono essere per intrare31 le quale al passare anegaro cinque galee con più fuste deli turchi; [. . .] adì 5 de settembre32 . De novo per altre mie havute . . . venne qui uno servo del gran turcho . . . li turchi havendo se dice essere morto . . . vi ò dicto la qual cosa lo gran turcho . . . contra Rhodi . . . case . . . altra . . . De novo . . .33

Dopo le notizie che noi apprendiamo tramite la lettera da Ragusa appena vista, a Costantinopoli 26 “XVIJ.m ” in Foucard 143.

Copia de una littera de Costantinopoli34 de cinque de septembre et de sei de septembre35 . El turco36 scrive ad Rhode che l’armada se levi da Rhode, vedando quella imprexa impossibile et che la retorni a caxa; et poi è stato ditto quella deverà andare a Castello Sampiero, loco de rodiani per experementare de haverlo. Credese non farrà nulla per li navilij sonno a Rode aliquali questa armada non poterà resistere per esser quella in tucto fracassada et quasi inutile. De Pulia se ha che l’armata de la Valona esser andata ad Otronto et havir havuto quello loco e lo porto de Brandize37 perché se per lo Re non sia facto presto provisione per mare et per terra, elli ancora quello vorrando, per non havir contrasto, et serà cagion si affirmano in Italia et tegnerano quello acquistaranno poi non se poterà remidiare. Questo signore in freza se prepara per cavalcare ad dexe de questo e benché demostra usire per andare ad spasso e per fugire el morbo non cosa da conto, ma como a questi tempi de agosto sole fare per el desordinato vivere de questi. Tamen la sua cavalcata è per andare verso le confine de Ungaria per retrovarse el Re potente suso le arme per passare de qua; che refrescato alquanto el tempo, che li loro cavalli se possono cavalcare, s’è ditto preparato per venire de qui; spazase gente a la zornata, vanno verso quelli confine, avegna che per l’armata de Rode le gente

27 Abbreviatura che il Foucard rende con una h aggiuntiva che sembra più in accordo con la moderna trascrizione fonetica del patronimico slavo in cognomi friulani che con il grafema presente nel testo. 28 Apparentemente sembra doversi sciogliere in fr(ate)llo il termine abbreviato nel testo; il Foucard inopinatamente lega il termine alla precedente preposizione ottenendo un incomprensibile “confrello”. Al di là di queste considerazioni, tenendo conto che si tratta di un documento ricopiato, il senso suggerisce di chiudere il puzzle della frase con un più 34 Così, senza la consueta n (“Constantinopoli”). appropriato quello, forse abbreviato nell’originale, uti solet, 35 Secondo quanto riportato in Foucard 144, ma senza in “q’llo”. 29 Da notare che in questi nomi la h è esplicita, a conferma che se ne scorga la motivazione, anche del 7 settembre. Sul indiretta di quanto detto sopra. documento è stato aggiunto con grafia recente in alto a destra: 30 Ci aspetteremmo una inversione di vocali, ad esempio “nei dispacci di Firenze”, in accordo con quanto scrive il empiroli, vale a dire ‘li riempirono’. Foucard: “Avviso trasmesso dall’oratore Estense a Firenze”. 31 Termine di incerta interpretazione perché sbiadito e mac36 “Thurco” per Foucard. 37 Notizia inesatta che si precisa nel seguito, mostrando – chiato; “mare” per il Foucard (143), in uno strano corsivo, come sono rappresentati di solito i termini latini in quella fon- anche nel confronto con un documento di qualche giorno dopo damentale pubblicazione della corrispondenza diplomatica (v. 107) – come obiettivo dei turchi fosse Brindisi e il suo sui primi mesi del conflitto. porto, con buona pace di chi attribuisce la paternità di questa 32 Sembrano seguire altre due copie di lettere, ma della teoria ai cronisti otrantini; questi l’avrebbero escogitata per terza è rimasto solo l’incipit e della seconda si intuisce poco. giustificare, dopo circa un secolo, la presunta ignavia della 33 Est. 80.09.05 24 (“Avvisi e notizie dall’estero”, da Ragusa allora casa regnante in Napoli nel munire Otranto di adeguati a N. Gondola). presidi.


10.2 . . . e delle spine de Turchia sonno state per questa impresa et per l’armata dela Valona le meglore occupate, non poterà fare grande hoste. Ha mandato comandamento alo Minio, questo è quello andò com Zumdario co la galia per aconzare38 le confine, debie spazarse et subito vada ad retrovarse dove el serà. Et questo per essere alo Minio39 certoioro de tuta la Grecia et sempre che lo S(ignore) cavalca convense a retrovare con lui dove el va. Si che per quisto et per dare paghe ali soi el si intende el vada verso quelli confine.40

Come si rileva da questo brano della storiografia successiva, le perdite turche nella fallimentare impresa di Rodi potrebbero essere state circa il doppio di quanto indicato, ma come limite inferiore, dalla fonte sincrona. Nunc tandem Rhodum jussu Muchemetis aggressus est Mesites vesir bassa, gente Palaeologa natus. Erat tunc princeps ordinis, qui Graeci Megalon Mastora vocabant, nostri magnum magistrum, Petrus Albussonius, natione Gallus, qui postea cardinalis Ecclesiae Romanae creatus fuisse traditur. Is tam fortiter hac obsidione cum suis se gessit, ut non solum infecta re, verum etiam damnis acceptis gravissimis, inde discedere Mesites cogeretur. Quippe non revocatis ad calculum detrimentis caeteris, caesa periere Turcorum triginta millia, ut quidam aiunt, Geufraeo longe minorem ponente numerum.41

95 litterali sermone de bello Turchi hac estate promota Rodi, in quo bello Turchi victi sunt et expulsi, licet illic centum vella et centum mille pedites haberent et licet tot et tantis ictibus bombardarum magnam partem murorum demolliti fuissent, quammulta ex Turchis millia necati et obtruncati sunt. Et narratur mirum, quod cum ultimate Turchi victoriam sperarent, menia jam urbis ascendentes, repleta fovea, quod in aiere illis clare cernentibus supra vexillum Jerosolimorum, in quo estc ymago domini nostri Jhesu Christi, Virginis Marie et beati Johannis Baptiste, apparuit crux aurea splendidissima et insuper candidissima virgo, clipeum et hastam gerens, ac homo villi veste obsitus, splendidissimo comitatu stipatus. Que visio tantum terrorem incussit, quod Turci nullo pacto ausi sunt ultra progredi; et sic relicta victoria aufugisse ad eorum territoria43 , quos christiani sunt insequti, vexillo eorum capitanei potientes. In qua pugna ex Turcis ceciderunt tria millia quingenti; et omnibus computatis in omni proflictu novem millia, vulneratique sunt quindecim milia. In quibus prelijs frater magni magistri Rodi strenuissimus cecidit, unus ex capitaneis et gener Turchi. Relatumque est, die secunda post victoriam Rodianorum in portu applicuisse tres naves onerarias regis Ferdinandi victualijs et monitionibus onustas, quarum una a Turchis insultata vix eorum manus in portum Rodi aufugit: quod Turchi cernentes com incommodo et dedecore in patriam navigaverunt.44

Dopo aver apprezzato la immediatezza delle fonti venete rispetto alle altre, ora vedremo come, incredibile dictu, è proprio uno storico veneziano a inciampare sui tempi dei due assedi che pone in sequenza, quando invece quello a Otranto, iniziato dopo due mesi, si concluse bene per i turchi prima che i loro connazionali desistessero dall’assalto a Rodi. Nella storia del Giustiniani, l’assedio dei turchi a Rodi è inquadrato tra le due guerre di cui trattò 42 Hoc mense novembris ubique per civitates et l’Albino, anch’egli nella lingua e nello stile di Cesare, plateas vendebatur epistola elloquentissime condita quella in Toscana o etrusca e quella idruntina di no-

La rara vittoria delle armi cristiane nel confronto quasi sempre perdente con le forze ottomane, specie al tempo di Maometto II, contribuiva rapidamente a trasformare il racconto dei fatti bellici in epopea arruolando opportunamente tra le milizie, quasi a spiegare l’eccezione alle comuni e diffuse sconfitte, figure celesti che apparivano anche agli stessi nemici terrorizzandoli:

38 ‘Acconciare’, quindi ‘sistemare’; il lemma, con la c doppia, è usato ampiamente nel dialetto salentino odierno nella stessa accezione. 39 Come sopra, nel testo è “alominio”, e così – a parte l’iniziale maiuscola – stavolta è reso dal Foucard: il tutto sembra verosimilmente dovuto ad una sciatteria del copista che, avendo legato la prima volta la preposizione al nome, nel richiamarlo ha ritenuto che la comprendesse. Il termine che segue, invece, potrebbe derivare da un latinismo (certiore). 40 Est. 80.09.05-06 25 (“Avvisi e notizie dall’estero”, da Costantinopoli). 41 Leonclavio 831, §151. 42 Siamo ancora nel 1480, anno degli eventi narrati, ma già

circonfusi da un’aura di leggenda. 43 La vittoria degli assediati di Rodi sui turchi assedianti apparve tanto mirabile per la sua imprevidibilità da essere attribuita ad un intervento miracoloso di esseri soprannaturali. 44 DP 89. Da rilevare come in questa cronaca le navi napoletane arrivano dopo lo smacco dei turchi, ma il fatto che una delle tre (e non due) riesca a sfuggire alla loro caccia accresce il disonore degli assedianti, che a questo punto desistono del tutto dalla loro impresa. c om. cod.


96 stro attuale interesse. Minimo è lo spazio dedicato a quest’ultima e non toglie suspense visionarlo tutto insieme in questa fase, anche perché il suo contenuto è alquanto impreciso – vi si afferma che la flotta inviata sulla costa salentina era quella respinta a Rodi – nonché discutibile nell’attribuire la liberazione di Otranto alla divina provvidenza nelle vesti di un angelo sterminatore di sultani conquistatori. E non sappiamo quanto questa visione del corso degli eventi teleguidato sia dovuta alla lettura del Galateo45 o ad una mentalità personale generalizzata che, ad esempio, concedeva diritto di cittadinanza nella sua cronaca ad una voce popolare secondo la quale si sarebbero riconosciuti i prìncipi degli apostoli in due maestosi guerrieri tra i combattenti contro i turchi assalitori di Rodi.

Un altro destino Italiane periculum imminere: futurumque, ut breui magnam aliquam cladem Christianae rei ferox Tyrannus infligeret: sed diuina prouidentia factum est: ut medio belli apparatu ille extinctus matura morte omnem metum soluerit, quem itali conceperant: et Ferdinandus defuncto Othomano, statim oppidum recepit.46

Come si vede, ritorna in questa storia tarda l’idea galateana sul ruolo e la natura provvidenziale che avrebbe avuto la morte di Maometto II per le sorti della cristianità; curioso, inoltre, l’atteggiamento del Giustiniani sulla faccenda dei due straordinari guerrieri visti nella difesa di Rodi: non nega l’episodio, ma circoscrive nella credenza popolare solo la identificazione specifica dei due combattenti sovrannaturali; come a dire che i due esseri erano davvero sovrumani, ma non si può esser certi che fossero i Florentinis fractis animis ad pacem respicere coepe- santi Pietro e Paolo (invero avvezzi in qualche modo runt: missusque est Neapolim ad Regem Laurentius all’uso delle armi) piuttosto che Castore e Polluce47 .

Medices: ut periculoso bello patriam liberaret: pace autem fermata: Veneti ex Hetruria suas copias Antonij Donati et Hieronymi Marcelli Legatorum ductu in Galliam reuocarunt: ac sub id tempus Othomanus magna classe sub Mesith et Achomath imperio comparata, eductaque Rhodum inuasit: est autem ea insularum omnium fere, quae in Ionio, et Aegeo sunt: non tam magnitudine, quam situ, et amenitate pulcherrima: centumque, ac vigintiquinque millibus passuum circuitu patet: triamque in ea oppida quondam extitere Camyrum, Lindum, et Ialyssum, nunc vero tantum Rhodus. Liberi iuris ciuitas, et optimis institutis ornata. Hierosolymitanorumque equitum Sedes: penes quos totius rei summa est: multis igitur varijsque armorum conatibus Turcae usi Insulam adoriuntur: ac disiectis assiduo tormentorum iactu moenibus, nonnunquam intra oppidum irrupere: verum propugnatorum virtute cum caede, et ignominia hostis ferox a moenibus repellitur: oppidumque eo tempore non tam humana, quam diuina ope seruatum ferunt: nam viri duo forma humana augustiore incessis facibus saepe pro muris excubare visi sunt: ac inter pugnandum minaci occursu, ferroque stricto in Barbaros impetum fecisse dicuntur: creditum vulgo: Principum Apostolorum simulacra illa fuisse: Turcaeque non multo post sive religione tacti, sive bellica Rhodiorum virtute repulsi, ex insula soluta obsidione abiere: e Rhodo re infecta Othomanus digressus in Calabriam cum classe venit: Hidruntumque subito incursu adortus bellico furore expugnauit: aparebat autem oppido tam vicino oppresso, maximum totius 45 Cfr. la già vista (v. 87) suggestione del Galateo, De situ (56) che così si conclude: “alias actum erat de nobis”.

Vediamo, infine, la sintesi dell’assedio di Rodi nella storiografia degli ultimi due secoli, in particolare in quella di matrice teutonica. Sia prima che dopo l’alleanza militare nella prima guerra mondiale, infatti, una certa attrazione per le cose turche ha spinto spesso studiosi tedeschi ad occuparsene. Cominciamo col più antico che ha attinto criticamente alla precedente storiografia turca e veneziana, diventando a sua volta fonte, talvolta travisata, del successivo. Vedremo (nella traduzione ottocentesca del veneziano Romanin) come si susseguano nel tempo vari tentativi da parte delle forze ottomane di espugnare la città assediata, con particolari interessanti su stratagemmi ed espedienti impiegati dai due schieramenti per prevalere. Lanciavansi nella città delle bombe, ma insignificante era il danno che esse recavano agli abitanti, poiché le donne e i fanciulli si erano salvati nel castello, ove di rado cadevano, e la guarnigione le sapeva schivare nelle volte delle chiese, e nelle caverne sotterranee. I Turchi tentarono il secondo attacco contro la torre S. Nicola, con un ponte di barche, che largo sei uomini, stendevasi in lunghezza dall’angolo della lingua 46 Giustiniani IX 317-318.

47 Talvolta mi chiedo se sia da casi un po’ ambivalenti come questo che è derivato quell’uso improprio dell’avverbio piuttosto nell’accezione delle congiunzioni o, oppure (e mettiamoci pure l’antiquato, ma preferibile ovvero) che si sta diffondendo irrimediabilmente nell’italico idioma da un malvezzo di ambito managerial-conferenziere.


10.2 . . . e delle spine di terra, ove era posta la cappella di Sant’Antonio, fino alla torre di S. Nicola. Questa disposizione era necessaria per dare l’attacco, essendo in altro modo affatto inaccessibili, dalla parte del mare, la torre stessa e le mura. Col mezzo di un’ancora gettata alle fondamenta delle mura della torre, e d’una corda ad essa fermata, aveano tirato il ponte fin presso la torre stessa, cosicché la toccava. Ma nella notte lanciatosi in mare il coraggioso marinajo inglese Gervasio Roger, sciolse l’ancora, ed il ponte ondeggiando retrocedette. Gli Osmani allora il trassero con palichermi all’argine, e nella notte burrascosa del dieciannove giugno tentarono un formale assalto contro la torre. Terribile fuoco vomevano le batterie da ambe le parti, ruppesi il ponte di barche, affondarono gli assalitori con quattro scialuppe di cannonieri, incendiaronsi in parte i palischermi da sbarco. Dalla mezza notte fino alle dieci del seguente mattino durò la zuffa; finalmente i Turchi si ritirarono colla perdita di duemila cinquecento uomini, e con quella di Suleimano sangiacbeg di Castemunid . Respinto Mesih-pascià nell’assalto della torre di San Nicola, rivolse tutta la forza dell’artiglieria contro la parte contigua della città, ove trovavasi il baluardo degl’italiani ed il quartier degli ebrei. Tremila cinquecento palle aprirono breccia nella muraglia. Gli assediati alzarono una nuova macchina con cui scagliavano pezzi di macigno d’immensa grandezza sulla batteria nemica, e la chiamavano ironicamente il tributoe . Trovavano materia di caricarla, parte nei rottami delle immense palle di pietra scagliate dal nemico nella città, parte nei macigni con cui gli assediatori aveano riempiuto il fosso, e che gli assediati per sotterranee vie cavavano dal di sotto, in modo che i Turchi non sapevano comprendere come il piano del fosso si andasse sempre profondando.48

97 Il venerdì ventotto lugliof , in quello stesso giorno in cui la flotta turca approdò ad Otranto, allo spuntar del sole, un colpo di mortajog diede il segnale dell’assalto ed i turchi si spinsero irresistibilmente oltre le ruine delle mura. Duemila cinquecento di essi coprivano la breccia, seguivali l’immensa massa di tutto l’esercito turco di quaranta mila uomini, gettata sui fossi e sulla costa, ed intorno alla cittàh . Fu combattuto da ambe le parti col massimo valore, precipitaronsi gli assediatori, dice Saededdin “quai leoni sciolti dalla catena sulla loro preda”i [. . .]. Già era piantata la bandiera frangiata d’oro e d’argento del Capudan-pascià sull’alto della trincea, già eransi calate quattro scale nella città, da cui smontavano gli assalitori dal bastione alto venti piedij nel quartiere degli ebrei, quando Mesih pascià, tenendosi già certo della vittoria, fece pubblicare dai banditori non essere accordato il saccheggio; appartenere il tesoro di Rodi alle entrate della camera del sultano. Allora ad un tratto raffreddossi l’empito degli assalitori, e le truppe che trovavansi ancora fuori dalla breccia ricusarono di prestar soccorso a quelle che erano già montate sulla trincea, e che furono respinte dai cavalieri schierati nell’interno del baluardo [. . .] finché ritiraronsi battuti i Turchi, colla perdita della loro bandiera e di molti morti. Attribuì il popolo questo sollecito cambiamento dell’assalto ad un terrore panico sparso nel nemico dall’apparizione di una croce d’oro, di una donzella danzante, [. . .] mentre ciò che avea respinto i Turchi, non era stata l’apparizione dell’oro, ma bensì la privazione di quello ad essi promesso. Anche tutti gli storici osmani attribuiscono la causa principale del cattivo esito dell’assalto e dell’assedio all’avarizia del pascià e alla rapacità dell’esercito; ma ne tace lo storico Caoursin, vice cancelliere dell’ordine, per non oscurare il merito dei cavalieri. Tremila cinquecento cadaveri, che coprivano la breccia ed i fossi, furono bruciati, i Turchi, durante quest’assedio di tre mesi ebbero novemila morti e quindicimila feriti. Mentre erano occupati nell’imbarcare le truppe e le greggie rapite, giunsero due navi napoletane che, spedite dal

Furono dati i comandi pel nuovo assalto, e pubblicati nel campo colla promessa del saccheggio. Oltre alle solite armi, i Turchi si provedettero anche di sacchi pel bottino, di corde per legare le donzelle e i ragazzi, e di non meno che ottomila pali, per impalarvi i cavalieri. Per tutta la notte risonarono nel campo f Questi due attacchi nello stesso giorno furono fissati turco le grida d’Allah, e il giubilo della strage. Otto probabilmente pel Venerdì, o per altri favorevoli aspetti cannoni aveano fulminato il dì antecedente senza posa astrologici. g Quinto Calendas augusti ruinam orto sole conscendunt. le mura del quartiere degli ebrei, e aveano tolto ogni Breidenbach, cioè il 28 luglio; ma in Vertot trovasi: Enfin possibilità di restaurarle durante la notte. 48 Hammer 396-398. d In Vertot: Merlabeg gendre d’un fils de Mahomet in Breidenbach viri strenuissimi Turcoque dilecti. e Machinam versilem, quod Tributum vocant trovasi nell’ediz. di Caoursin del 1496, ma nella ristampa di Breidenbach tribuccum che significherebbe di tre buchi. Les Chevaliers nommèrent cette machine par raillerie le tribut. Vertot.

le lendemain vingt sept juillet un peu après le soleil levé. Vertot, 1. VII, t. II, p. 197. h Gewanibi erbaadan da tutte le quattro parti, dice Seaded., che ha dimenticato quella del mare da cui non era possibile alcun accesso. i Singirdan kurtilan arslanler kibi. j Seaded. Ssolakzade, f. 64, Aalì, XXXV, avvenim. Edris, f. 172. In Rauzatul-ebrar, f. 271, parlasi soltanto della rapacità dell’esercito, ma non dell’avarizia del pascià.


98 re Ferdinando in soccorso dei cavalieri, recavano anche la promessa del papa di altre ancora inviarne. I Turchi tentarono d’impedir loro l’ingresso; una delle due navi raggiunse danneggiata il porto, l’altra si aprì il giorno seguente una via fra le galere turche49 , che perdettero in questa battaglia il loro duce. Ricondusse Mesih pascià gli avanzi dell’esercito alla baja di Fisco donde era sortito, assediò poi senza effetto il castello dei cavalieri Petronion, ad Alicarnasso, e giunse a Costantinopoli, ove, deposto della dignità di pascià a tre code50 , fu inviato a Gallipoli in qualità di sangiacbeg.51

Un altro destino del sultano. Le conseguenze di questo passo non si fecero aspettare. Tutti si precipitarono indietro verso l’accampamento.54

Quindi, il comandante turco fece demolire l’accampamento e incendiare le fortificazioni che erano state costruite e si disponeva a far imbarcare di nuovo le truppe sulla riva dell’Anatolia, quando due navi napoletane, mandate da re Ferrante in aiuto agli assediati, s’incontrarono davanti all’ingresso del porto di Rodi con la squadra turca. Questa cercò d’impedire il passaggio alle galee di Napoli, ma una delle navi riuscì ad aprirselo a forza, benché danneggiata, mentre l’altra il giorno seguente poté farsi strada attraverso le galee turche nel porto protettore.55

I simboli equini cui si ricorreva per qualificare i dignitari turchi e lo stesso sultano52 tradiscono la profonda importanza del cavallo per questo popolo che, evidentemente, non si sentiva ancora stanziale ma nomade; a chi scrive richiamano alla mente In ultima analisi, pare si possa riassumere al mequella leggenda sugli Unni, che cuocevano la carne glio la vicenda dell’assedio in parte sincrono con ponendola tra il proprio corpo e il cavallo. quello che i turchi condussero contro Otranto in Ed ecco il racconto dell’ultimo assalto turco – qua- questo modo: si in fotocopia ma con qualche variante inopportuna Maometto II, conclusa all’inizio del 1479 la pace che vedremo subito – nell’opera di un altro tedecon Venezia, rivolse i suoi attacchi contro gli altri sco che, sulle orme di Hammer, si è occupato in Stati della Lega cristiana che avevano molestato le particolare di Maometto II: sue terre profittando della guerra in cui era impeVenerdì 28 luglio, cioè il giorno stesso in cui la flotta turca si ancorò davanti alle Puglie53 , un tiro di mortaio al levar del sole diede il segnale per l’attacco alla fortezza (di Rodi). [. . .] Il primo assalto fu coronato da successo. I Rodioti furono ricacciati indietro e già la bandiera del grande ammiraglio dalle frange d’oro e d’argento veniva piantata in cima al bastione espugnato, quando Mesı̄h Pascià, il quale credeva la città già nelle sue mani, fece proclamare da banditori sui bastioni che il saccheggio era proibito e che il tesoro di Rodi apparteneva ai redditi statali 49 “I Turchi retirai, se dette a depredar l’isola e brusar i luoghi depredai; e apparecchiandosse da partir, descoversero le navi del Re de Napoli e de Sicilia che vegniva in soccorso della Religion, e entrarono salve in porto a’ 13 d’agosto; se ben 30 galee turchesche le combatté. Per queste navi il Gran Maistro hebbe lettere de Papa Sisto IV, per le qual confortava a difenderse virilmente: avisandolo che l’era per inviarghe presto una potente armada, con gran numero de soldai e gran quantità de munizion” (Malipiero 129). 50 Lost in translation: “di cavallo” (“Roßschweifen”). 51 Hammer 399-402. 52 V. 333. 53 Sembra la versione di uno studente che cerca di differenziarsi dal traduttore, fortunosamente pescato, nel brano assegnato in una verifica: Hammer aveva scritto che la flotta turca approdò ad Otranto (v. 97), Babinger cambia verbo e dilata il luogo dell’approdo alla lunghissima costa pugliese.

gnata la Turchia contro la Persia (1472-1474). Tra questi alleati il più vicino era l’ordine dei Cavalieri di San Giovanni (Ospedalieri), padrone di Rodi e delle Sporadi meridionali. Contro Rodi Maometto II mandò una potente Armata comandata da Mesîh Pascià: ma i Cavalieri, le milizie e i cittadini di Rodi s’erano premuniti e si difesero tanto bene che costrinsero i Turchi a levare l’assedio dopo tre mesi con gravissime perdite (maggio-agosto 1480).56

54 Babinger 434.

55 Babinger 435.

56 Rossi 183.


PARTE SECONDA La fase di stallo



CAPITOLO UNDICESIMO La mobilitazione §11.1 Da Siena a Roca, 101 • §11.2 Si comincia a bussare a denari, 104 • §11.3 Il fronte a mezzaluna tra Rodi e il Gargano, 106 • §11.4 Apud Rocham, 108.

11.1

Da Siena a Roca

tendo dal Tirreno ed attraversando tutto lo Ionio prospiciente la costa italiana, raggiungesse il teatro Alfonso d’Aragona fu raggiunto a Siena dalla cat- bellico. tiva nuova dell’invasione turca ai primi d’agosto, e [. . .] La armata dela ma.tà del S. Re è commenciata giorno 7 partì con il suo esercito per raggiungere il a viare a Mesina, et de fora del porto de Napuli che nuovo fronte imprevisto, dove si richiedeva la sua haveano sbocato era usito tredese nave da gabia et presenza in modo più impellente, pur sapendo che galee cinque, et a Napuli non era rimasto più ligni ni il tempo di circa un mese, necessario a truppe che armati ni da armare. Ma in Sicilia tra quelli armano si muovevano a piedi e dovevano attraversare gli siciliani et la ma.tà del S. Re li seranno 12 nave et Appennini, non gli avrebbe consentito di arrivare quatro galee sutile et fuste et saetie grose asai. Et in tempo ad evitare la caduta di Otranto. I turchi, per quanto haveano lì a Napuli dicono lettere de in effetti, entrarono in città quattro giorni dopo, mercatanti che zenuesi haveano offerto galee 7 ma 4 ma lo scoramento ed il vero e proprio panico, che se dice non mancharà, nave due grose, una se ha de si diffuse in tutta l’Italia alla notizia pur attesa, certo1 . Villamarina è ne la foce a Roma cum galee sutile undese et fuste quatro et vasene menato on non abbatterono gli aragonesi, spesso giudicati inconducto per Simoneto Belplato. Afermano per tuto generosamente, che invece non si persero d’animo questo mese haveranno nel farro de Mesina2 30 nave e valutarono lucidamente che, per espellere gli invasori, non bastavano truppe terrestri; occorreva 1 Si noti come, con il dimezzamento progressivo, partendo soprattutto tagliare le vie di rifornimento marittime da un’offerta di sette navi si pervenga alla asserita certezza con la base albanese di Valona ed anche con quei di una. 2 Cioè davanti al faro di Messina, per andare verso lo Iomercanti cosmopoliti (veneziani, ragusei etc.) che, nio e poi l’Adriatico, per quanto a quei tempi era proprio come vedremo, non si facevano scrupoli (pecunia sulla linea Otranto-Punta Linguetta che si indicava la divinon olet) a commerciare con gli infedeli. sione tra i due mari, chiamandosi l’ultimo, peraltro, golfo Nella lettera che segue si rileva la fiducia e quasi l’entusiasmo con cui a Napoli si contava di armare – anche con il concorso dei rivali dei veneziani, vale a dire i genovesi – una flotta consistente, che, par-

di Venezia con una valenza non solo geografica. Vedremo i signori veneziani chiedersi come mai proprio la flotta aragonese entrasse nel “loro” golfo senza autorizzazione. Testimonianze epigrafiche nella grotta di san Cristoforo (patrono dei traghettatori) sulla baia di Torre dell’Orso, mostrano come nell’antichità si chiamasse os vadi, cioè ‘bocca del passaggio’


102 de gabia et 30 galee sutile et tante altre velle, che seranno da 90 in 100 vele. Hora v. ex. ha quello scripse la ma.tà del S. Re, et ha quello se intende per li mercadanti da Napuli et da Mesina. Dicono etiam S(ignore), che la ma.tà del S. Re fa pocha spesa del suo in questa impresa in perhò che quelli vanno in galea per la mazore parte sono commandati solo le spese de victuarie. Baroni e cortesani tuti sono stati spinti via, chi a sue spese, chi con qualche subvencione dela ma.tà del S. Re. Lo campo de la ma.tà del S. Re dicono se ha a fermare a Lecio et a Brandicio et lì aspectaranno la armata per mare, et poi ad uno tempo comenciaranno, Dio li presti victoria.3

Una preziosa testimonianza, se rispondente al vero, è quella fornita da un certo Nicola Greco di Belgrado, un tessitore serbo preso in Otranto dai turchi, poi da questi portato nella loro incursione tra Bari e il Gargano, ivi scappato e infine catturato dagli abitanti di Bisceglie. Racconta cose interessanti, principalmente sulla collaborazione che i veneziani offrono ai turchi sbarcati a Otranto, guidandoli anche nelle loro scorrerie lungo la costa pugliese. Narra di spie venute da Lecce in Otranto a riferire sul prossimo arrivo delle forze aragonesi per mare e per terra; di conseguenza sarebbe stata richiamata la flotta intenta ad approvvigionarsi depredando i porti pugliesi. La mole di notizie fornite da questo giramondo, che forse avrebbe parlato anche senza tortura, insospettisce gli interroganti che gli chiedono come può aver appreso tante cose in pochi giorni, ma egli risponde che se ne parla diffusamente e che i veneziani sono di casa nella flotta ottomana. L’indicazione di circa un centinaio di maschi otrantini sopravvissuti alla battaglia ed alla strage successiva appare abbastanza plausibile, come pure la giustificazione non eroica della sua fuga: davanti alla prospettiva di essere “fatto turco”, il nostro si inventa un’alternativa terrena, incapace com’è di confidare in una celeste. Il documento è marcato dall’inizio alla fine, ma non è stato pubblicato dal Foucard, pur ricadendo abbondantemente all’interno del periodo di cui esistono le trascrizioni; è stato invece trascritto dall’Egidi, che sembra servirsi, in questo e in altri casi, il Canale d’Otranto, il cui punto più stretto va all’incirca da quella località fino al Capo d’Otranto sulla costa italiana e da Saseno a Capo Linguetta sulla parallela costa albanese. 3 Mon. 80.08.24b 178.

La mobilitazione di copie napoletane di documenti estensi4 , come si deduce anche dalle non trascurabili differenze (di cui sarà riportata una parte) con questa trascrizione dal documento modenese. Die primo Septembris, XIIIJ indictionis, Vigiliis5 , MccccLxxx. Nicolaus, ut dixit se cognominavit, Grecus de Belgrado de uno casale nominato Tamorizo6 , captus per vigilienses in eorum territorio post combustionem mirifice ecclesiae Virginis Marie de Martiribus in pertinentiis civitatis Melficte7 , factam per Turcos in transitu eorum classis. Interrogatus primo ad torturam ductus, quomodo interfuisset cum classe turchorum ad istas partes dixit che essendo ipso in Napoli8 intra lo presente anno da mesi tre in cqua9 con una donna greca se partecte dalla10 et conferiose in Otranto, dove tessea; et venendo la armata del turcho in Otranto, siando dali turchi pigliato, ipso ce fo pigliato, et che non fo ammazato como li altri per respecto che era povero, et quello lo pigliò intendea venderlo, et cossì lo portava libero lo iorno, et la nocte lo teneva sotto coperta, et che smontando li turchi alo dicto loco de Sancta Maria deli Martiri, ipso fo uno de quelli, et fugette verso Veseglie, et cossì fo pigliato. Interrogatus quanto tempo è11 non è stato ala Velona, dixit che circa mesi quindici passati. Interrogatus per che causa questa armata se par4 Dopo aver accennato alla “notevole serie di documenti dell’Archivio Modenese fino ad oggi non sfruttataa ” (Egidi 703) si inserisce la nt. a di cui il Foucard e tutti coloro che si avvalgono di documenti originali non sentono la necessità. 5 Dovrebbe essere la forma latina di Bisceglie; v. infra, nel corpo del documento, il toponimo in volgare Veseglie. 6 “Tamorino” in Egidi 757, che appare meno probabile della forma qui proposta, trattandosi di un nome slavo. 7 Molfetta, tra Bisceglie e Bari. Il santuario di cui si parla nel documento è tuttora molto frequentato e conosciuto. 8 Idioma misto. 9 Sic! 10 Probabilmente da intendersi come ‘da là’; “da lla” in Egidi 757. 11 Ad evitare dubbi sibillini, è bene considerare presente virtualmente in questo punto la congiunzione che. a Se ne trova una copia nella Bibl. della Società napolet. di storia patria, Ms. XXIII, D, 1 e 2. Comprende lettere di Nicolò Sadoleto, di Antonio da Montecatini, di Cesare Valentini, di Battista Bendidei, di Alberto Cortesi oratori del duca d’Este rispettivamente a Napoli a Firenze a Roma a Venezia. Vi si incontrano anche lettere di Ercole, di Eleonora sua moglie, di Ludovico il Moro, del card. Giovanni d’Aragona e di altri. Citeremo indicando: Arch. Mod., Cancell. duc., Carteggio etc.


11.1 Da Siena a Roca tecte da Otranto et venne in Puglia12 , dixit che per instructione de venetiani vennero ad provedere questa marina, et perché dicta armata de turchi quale sta in Otranto è avisata deli homini13 veneno da Leze spioni et vanno in Otranto, como venea la armata del S. Re et le gente de arme veneno per terra, venne una fusta de Otranto ad chiamarli et trovarli ad Vesti14 , senne ritornavano lo più presto ponno; verum vanno terra terra per fare alcuna preda, et providere questa marina. Interrogatus se non venia lo dicto aviso dove intendevano de andare, dixe che volevano scorrere più juso, et che li guida una fusta de venetiani, et che senza quella non saperiano andare15 . || Interrogatus che artigliaria portano, dixit che in tutti questi ligni non c’è so excepto due bombarde16 che menano una petra de quattro rotula, etiam per tale causa non se possero per pigliare lo castello de Vesti, che non haveano bombarde grosse, et per questo lo brusaro. Interrogatus venendo lo succurso dela m.tà del S. Re per mare et per terra che intendeno de fare, dixit che tireranno le galee per terra et faranose17 forti in Otranto, et non intendeno fugire, che fugendo lo turcho li faria tutti morire. Dixit etiam che venetiani li hanno mandato ad offerire ayuto et favore, et perché non ni hanno bisognio lo recusaro, et bisogniando li daranno omne favore perché hanno facto pacto insieme de darli quaranta galee in succurso per anno. Interrogatus poi che è stato tanto poco tempo in galea como sa dire queste cose particulare, dixit che publicamente sende parla per la armata del turcho et venendose venetiani intro la armata et odone confabolare fra loro. Interrogatus quanti homini so remasi vivi in Otranto, dixit circa cento, et che le donne se recaptano. Interrogatus se è venuto per spione, dixe che non, ma fugette per respecto18 che suo patrone lo volea far’ turcho.19

Ripercorriamo ora rapidamente il cammino se12 Anche all’epoca, evidentemente, non tutti consideravano la Terra d’Otranto come parte di questa regione. 13 Si può considerare presente una congiunzione che anche qui. 14 Vieste, la città più orientale del Gargano. 15 Questo elemento appare verosimile per più di una ragione. 16 Egidi 758: “bombarde due”. 17 ‘Si faranno’. 18 È evidente che “respecto” è usato in quest’epoca con qualche accezione in più, o diversa, rispetto alla nostra (e non sembri un gioco di parole cercato). 19 Est. 80.09.01 (da N. Greco di Belgrado).

103 guito da Alfonso d’Aragona per abbandonare la campagna di Siena e portarsi nella campagna idruntina. Adì cinque d’Agosto 1480 venne Lettere al Duca di Calavria, come il Turco, overo le sue genti erano smontate nel Reame, e preso Otranto. Subbito il Duca andò in Palazzo alla Balìa, e di poi se n’andò in Campo a Buonconvento. E adì 6. a ore 14. ritornò in Siena. E adì 7. detto ritornò in Palazzo per fare la ripartenza con la Signoria, e con la Balìa; e su la Porta di Palazzo fe’ Cavalieri, e alla Porta Nuova fe’ anco Cavalieri; e fulli fatto compagnia dalla Signorìa, e da molti Cittadini fino alla Porta Nuova; e alla partita toccò la mano a tutti, abbracciandoli con gran tenerezza e amore; e di poi cavalcò via, e lassò in Siena Miss. Prinzivalle20 con alcune squadre di Cavalli, e Fanti.21 Quam rem ubi Alfonsus paternis literis intellexit, repente Senis movens ad Aquas Rubras prope Viterbium unam noctem conquievit, inde flectens iter in agrum Tudertinum et Anarniensem in Umbria, Aquilam et Lanxanum praetervectus, ubi oppugnatam cognovit urbem, mutilatum exercitum ducens nunquam intermisso itinere XII castris Tarentum venit.22 Alfonsus nihil immorandum ratus (ita temporum necessitas ferebat) Tarento quamprimum Lupias commigravit.23

Alfonso d’Aragona, dunque, senza passare per Napoli, puntò direttamente verso il Salento, passando per Todi e Narni e prendendo per l’Abruzzo; a Lanciano apprese della caduta di Otranto; il 4 settembre 1480 si trovava a Taranto da dove scriveva al cognato Ercole d’Este questa lettera. Ill.me et magnhianime dux conghiate et frater noster car.me . Per essiri in questi dii passati in caymino et acteso ad provideri al nostro passari le cità, terry et lochi maritimi, non havemo altromente ad V. S. scripto de nostri progressi. Adesso essendo junti qui in Taranto duve aspectamo lu exercito quali fra duy o tre dì serrà arivato qui, avisamo V. S. che cullo nomi de Dio ne spingerimo verso la cità de Otranto occupata dali inumanissimi turchi aczo che in un medesmo tempo venendo l’armata del S. Re nostro genitori 20 Ritroveremo questo luogotenente di Alfonso nella fase della parziale riconsegna dei castelli contesi ai fiorentini, nella primavera dell’anno seguente. 21 Allegretti 807. 22 Albino, DBH 56. 23 Albino, DBH 58.


104 laquali ey partuta da Nap.li24 et si aspecta da jurno in jurno, nuy cullo exercito per terra possamo invadiri quella cità quali cum lu adiuto de Dyo et la potencia de dicta regia paterna armata, la virtù anco del genti de armi havemo in nostra companghia, mediante lle galgliardi provisioni per nui donate expunghieremo25 quella cità ella26 libereremo da mano de dicti turchi quale vi certificamo che dapo nostra vinuta qui non haveno preso una sola casa altro che Otranto quali multi dì avanti arrivassimo ja haveano presa. Et ben che parte de loro armata habia scursso [sic!] per le mari de Terra de Bari et de Capitanata, non anno27 facto dapno alcuno ance volendo dissenderi et siando ja dissisi per prendiri aqqua [sic!] subcto Manfridonia credendeno fossi sprovista, el conti Alberico et Serpentino quali nuy haveamo mandati cum due squadre et certi fanti si28 caczarono fora, ne aveno29 morti et presi circa duigento et cussì dicte veli overo fusti si sonno tornati in Otranto perché sentino nova de nostra armata et anco de questo nostro exercito cullo quali le andamo addosso et non dubitamo culla gratia de Dio omnino optiniremmo victoria et le30 faremo pentiri de loro vinuta non sensa vindecta delle crudelità aveno facte contra otrantini. Datam Taranti IIIJ Septembris 1480. Vester cognatus et frater Dux Calabrie Alfonsus.31

Quella che segue sembra la lettera di Alfonso a Marino Thomacello, l’oratore di re Ferdinando a Firenze, cui accenna il Foucard senza trascriverla perché “nella sostanza e nella forma della precedente”, vale a dire di quella diretta al cognato Ercole d’Este32 , ma senza il periodo iniziale; la forma denota un’altra particolarità regionale dello scrivano, più disordinato o forse solo più veloce nella grafia, ma tutto sommato più attento nell’ortografia, qualunque fossero le regioni di origine dei due (vedasi nel primo “ella” per et la e il conflitto dagli esiti variabili col gruppo gn).

La mobilitazione desso essendo giunti in Taranto ove expectamo lo exercito quale fra dui dì o tre serà arivato qui, ve advisemo che cum el nome de Dio ne spengeremo verso la città de Otronto occupata da li inhumanissimi turchi33 actio che in uno medesimo tempo venendo l’armata del S. Re nostro genitore la quale è partita da Napoli, et se axpecta de giorno in giorno, et noi cum lo exercito in terra possiamo invadere quella città la quale cum lo adiuto de Dio et la potentia de dicta regia paterna armata34 , la virtù de gente d’arme havemo in nostra compagnia, mediante le ghagliarde provisioni et bono ordine per noi donate expugnaremo quella città et la liberaremo de mano de dicti turchi, liquali vi certifichiamo che dopo nostra venuta qui non haveno preso una sola casa altro che Otronto quale havevano preso multi dì devante arrivassemo qui. Et benché parte de loro armata habia scorso per elle mari de Terra de Bari et Capitanata non haveno facto damno alcuno; ance volendo prendere aqua de Manfredonia et siando dissesi là, et stimandone fusse sprovista35 , el conte Alberigho et Serpentino quale noi havevamo mandati cum due squadre et certi fanti, se chazareno fora, ne hanno morti et presi circa dugento, così dicte vele se sono tornate in Otronto perché sentirono nova de nostra armata et ancho de questo exercito cum lo quale li andamo adosso; et non dubitamo cum la gratia de Dio omnino optiniremo victoria et li faremo pentire de loro venuta non sencia vendetta de le crudelità haveno facte contro otrontini. Datam Tarenti 4 Septembris 1480 Alfonsus.36

11.2

Si comincia a bussare a denari

L’autore del documento seguente è Marino Thomacello, uno dei cosiddetti oratori regi, cioè un rappresentante di Ferdinando, titolare dell’unico regno italico del tempo, quello con capitale Napoli: si tratta, invero, di un testo composto da due parti e che, nel complesso, può apparire paranoico nella peCopia capituli litterae ducis Calabrie ad d. Ma- tulanza delle richieste di sussidi ai signori fiorentini, i quali – a causa di una lega casualmente conclusa rinum un paio di giorni prima dello sbarco turco, avente 24 Abbreviazione stupida quanto quella, oggi diffusa, di peraltro lo scopo di fronteggiare tutt’altro genere “p.zza” per ‘piazza’. 25 Solo in questo caso in Foucard 157 si trascrive di nemici – si trovano obbligati a sostenere un loro fedelmente il gruppo ngh invece di normalizzarlo in gn. 26 Sembra un’assimilazione in fase di scrittura da un et la dettato. 27 ‘Hanno’. 28 Ci si aspetterebbe li. 29 Qui, e più avanti, senza h iniziale. 30 Come sopra, da intendere come et li. 31 Est. 80.09.04a (da Alfonso d’Aragona a Ercole d’Este). 32 Foucard 157.

33 Di “immanissimo Turcho” parla un altro documento in questo capitolo, v. 106. 34 Oggi simili accostamenti possono sembrare arditi o blasfemi, ma c’è tuttora chi invoca Dio andando in guerra, anche non difensiva. 35 Di fortificazioni e munizioni, non di acqua, ovviamente. 36 Est. 80.09.04b 26v (“Avvisi e notizie dall’estero”, da Alfonso a M. Thomacello).


11.2 Si comincia a bussare a denari recente avversario che un po’ li blandisce, un po’ minaccia di metterli alla gogna per inadempienza agli impegni di solidarietà tra alleati. A dire il vero la prima petizione formulata da messer Marino era abbastanza breve e, a ben considerare, discreta. In una sorta di Post Scriptum, però, si rileva che Lorenzo e i suoi accolgono la richiesta, ma non inviano gli aiuti; e qui bisogna aggiungere, da parte di chi conosce il finale della storia, che l’oratore regio difficilmente avrebbe potuto immaginare dopo quanto tempo e a quali condizioni i fiorentini avrebbero adempiuto agli obblighi cui egli li richiamava. Allora Marino Thomacello ricomincia con gli stessi argomenti diventando consapevolmente petulante, tanto da poter indurre reazioni alquanto diverse in chi è costretto ad ascoltarlo: o il cedimento per stanchezza davanti alla ripetizione ossessiva degli stessi argomenti o il desiderio di rompere la lega per non avere più tra i piedi un simile ambasciatore. Rechiesta facta per el m.co messer Marino Thomacello regio secretario et oratore, et a far’ la infrascripta rechiesta commissario specialiter deputato per la M.tà del Re don Ferrando, per la gratia de Dio Re de Sicilia, Hyerusalem et Hungaria etc. ala ex.sa S.ria de republica Fiorentina per virtù de le lettere credentiale per la dicta M.tà scripte in persona del p.to Mag.co messer Marino a dicta S.ria , laquale rechiesta è del tenore sequente. Mag.ci et ex.si S.ri , essendo questo julio proximo passato invaso el Regno de la M.tà del Re Ferrando per lo gran Thurco cum armata potentissima, et posto obsedio et exercito terreste et maritimo ala cità de Ottranto et quella expugnata, et fortificarela per potere procedere ala expugnatione dele altre terre del regno, et apresso de Italia, volendo la M.tà sua adiutarse et valerse de li suoi confederati et colligati secundo li capituli de la liga inita fra la M.tà sua et la vostra ex.sa republica Fiorentina et li altri confederati per potere diffendere lo regno suo, per ordinatione de sua M.tà al primo de septembre proximo passato, io predicto Marino in nome de sua M.tà recercai li M.ci S.ri octo de la prathica, cum li quali ho sempre contractata ogni facenda de la M.tà prefacta37 do poi38 la mia venuta qua, li dovesseno mandare li subsidii, aliquali per virtù de li cap(itu)li de la liga siti obligati, laquale rechiesta per redurla alla memoria de le S.rie V. fu de lo tenore sequente. Mag.ci et ex.si S.ri , essendo tra la M.tà del S. Re 37 Così nel documento.

38 Sembra ci sia di mezzo una cattiva trascrizione.

105 don Ferrando per la gratia de Dio Re de Sicilia, Hyerusalem et Hungaria, et V. ex.se S.rie intelligentia, confederatione et lega, per virtù de lequale ogni una de le parte debbe et è tenuta adiutare, comparere, et subvenire alo bisogno dela altra on altre parte in dicta liga, compresi quando fusse offesa alo39 bisogno lo rechiedesse40 , per questo io como ambassatore et in questo acto ordinato commissario, delaquale commissione facio fede in promptu per la lettera de sua M.tà che attesa questa invasione del Turcho in lo regno de dicta M.tà laquale è notoria a tutta Italia, et maxime a V. ex.se S.rie alequale non semel, ma pluries et a bocha et cum lettere de dicta M.tà ho dato notitie et facta nota la gran ruina imminente et principiata in dicto regno, vogliati prestare quello adiuto et subsidio, quali per dicta liga et cap(itu)li firmati in epsa siti tenuti et obligati, et quello più che è lo bisogno et tanto periculo rechiede per lo particulare interesso de dicta M.tà secundo boni amici confederati et compagni, et etiam vostro como a boni et fideli christiani se apartiene, aciò che dicta M.tà possa cum lo vostro adiuto41 resistere et defenderse et42 suo regno da tanto periculo, in lo quale se vede constituto per la gran possanza et forza de lo inimico, che li have mossa guerra, alaquale sua M.tà non vede como si lo possa aliquo modo resistere. Florentiae die primo septembris 1480. Alaquale rechiesta fu per li m.ci S.ri octo, habito tempore ad consultum r(eserva)ndum saviamente risposto essere parata prestar’ dicti subsidii, et far’ quello che è lo debito et de la liga et de li mutui beneficij et amicitia tra dicta M.tà et V(ostra) ex.sa republica rechieda. Et benché per me in nome de la p.ta M.tà siano stati più volte rechiesti et sollicitati a mandare dicti subsidii, non dimeno fino al presente non li haveano mandati, né adimpito quello a che siti per li cap(itu)li de la liga obligati. Et per questo io p.to Marino in nome de la p.ta M.tà reservato prius omni jure et actione quocunque titulo ratione et causa esset regia M.tà quesitum, prego rechiedo le vostre ex.se S. ne piacia havere || consideratione ali obligi, quali siti tenuti per virtù de la liga et ali mutui benefitij et amicitia è tra la M.tà sua et V. re publica che essendo questa ex.sa republica 39 La a iniziale sembra sovrapporsi ad un altro simbolo, forse una et che migliorerebbe il senso. 40 La stipula della lega era stata molto tempestiva, essendo avvenuta il 27 luglio. 41 L’intera proposizione sembra echeggiare alcune preghiere cristiane come l’Atto di dolore o l’invocazione a san Giuseppe (“acciocché a tuo esempio e mercé il tuo soccorso possiamo virtuosamente vivere, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo”). 42 Così nel testo: il senso può andar bene leggendo il “se” che precede staccato dal verbo.


106 uno de li principali membri de Italia, quando mai non concorresse lo obligo de la liga, li benefitij, amicitia, et coniunctione de lo uno pacto, et de l’altro, doveria moverse a dar’ dicti subsidii per lo commune periculo et per la conservatione43 de Italia et de la fede christiana, laquale periclita per lo male ex.o44 che li altri vedano di questa ex.sa republica argumentando che, se voi quali siti cum dicta per tanti vinculi et de la liga et de coniunctione et amicitia tenuti non cumparite ad obviare alo periculo de la M.tà sua, molto meno debbano comparere loro45 , de che ressulta inconveniente grandissimo perché le altre potentie desisteno de adiutare la M.tà sua per lo exemplo vostro et per haverse la M.tà sua ripossata ne la liga et amicitia vostra, et factone quello fundamento che debbe fare uno amico cum l’altro, et como meritamente debbe fare in una tanta republica ha abandonato ogni altra liga et confederatione, per el che manchandoli voi se ritrova destituto da li altri subsidii i quali al presente seriano prompti, se non se havesse confidato in la vostra liga tenendo per fermo che questa ex.sa republica non havesse manchato alo debito suo, aliquali per la liga è tenuto et maxime essendo venuto caso loquale porta cum si non solamente la ruina de lo stato de dicta M.tà ma de Italia et de la fede christiana, che apertamente se vede che non essendo la M.tà sua adiutata da questa ex.sa republica non basta per si solo a resistere a tanto impeto et potentia quanto è quella delo immanissimo Turcho46 , loquale lassa ogni altra impresa et solamente attende ala invasione de lo regno suo et de Italia cum disfacimento de la fede christiana47 . Et per questo prego le vostre ex.se S.rie per la amicitia et coniunctione è tra la M.tà sua et la V. republica et per virtù de la supradicta liga ve richiedo debiati a sua M.tà prestar’ quella celerità che lo caso et bisogno ricercha, quelli adiuti et subsidii aliquali siti tenuti

La mobilitazione per li cap(itu)li de la liga, aciò che cum le forze unite se possa procedere ala expugnatione de Ottranto et ala expulsione del Turcho del reame, et se possa prevallere de tanto imminente periculo et ruina ad quanto la M.tà sua et tuto lo regno et apresso Italia è costituita, delaquale ruina et de ogni altro inconveniente questa ex.sa republica seria causa quando non volesse o differisse prestare li dicti subsidii48 in jus federis. Però per evitare tanta ruina et inconveniente, et per liberare questa ex.sa republica da tanta imputatione49 quanta li è data per haver differiti et non haver mandati li dicti subsidii, aliquali jure foederis siti tenuti, che oltra che satisfariti alo debito et alo honore di questa ex.sa republica dariti bono exemplo ali altri potentati de comparere in adiuto dela M.tà sua ala expulsione del Turcho. El che cederà in gloria et beneficio di questa republica50 , et stabilimento de lo stato vostro, ricerchando modo quo supra le S.rie V. ne piacia mandar’ li predicti subsidii secundo siti tenuti per li capituli de la liga;51

11.3

Il fronte a mezzaluna tra Rodi e il Gargano

Una bella lettera di origine veneta riferisce la situazione determinatasi, tra la fine di agosto (per le aree più lontane) e i primi di settembre, su tutti i fronti occidentali o cristiani con i turchi: da Otranto, a Rodi e al Friuli, per non parlare dei fronti interni alla respublica christiana in cui non ci si faceva scrupolo di avvalersi del nemico comune; e la contaminatio stavolta non è imputabile a Venezia, da cui, come anticipato, sembra provenire questa lettera, la quale, anzi, si conclude con l’auspicio che la prevedibile ulteriore perdita di molti uomini e mezzi nel Canale d’Otranto riguardi il nemico comune. Casualmente, e simbolicamente, una linea incurvata come una falce di luna sembra collegare le aree in cui questi conflitti si materializzavano concretamente. In merito a Rodi, si confermano le notizie sulla

43 “Conversatione” nel testo, che si appalesa ulteriormente come non autografo. 44 Si può ipotizzare trattarsi di un’abbreviatura per extremo, ma non convince pienamente. 45 Argomento che si rende necessario dopo aver asserito che, quand’anche non ci fossero stati i vincoli della lega, la sola comunanza nazionale e religiosa avrebbe dovuto muovere Firenze ad aiutare il re; questi, infatti, non avrebbe potuto, 48 Al di là delle convenienze a dare o non dare l’aiuto con la medesima forza, pretendere aiuti, per esempio, da Venezia. Peraltro, sempre al di là degli impegni reciproci richiesto, il discorso è indisponente; alla fine si potranno tra i collegati, la sbandierata amicizia era molto recente e contare undici occorrenze del termine “subsidii”, sedici di sarebbe diventata un argomento dei fiorentini per pretendere, “liga” etc. 49 Sempre peggio, altro che diplomazia. a loro volta, l’impegno del re a restituire i castelli occupati 50 Ogni tanto si dimentica di qualificarla come “ex(cel)sa”. insieme con i suoi già sodali senesi. 46 Su questo attributo dei turchi, v. 85. 51 Est. 80.09.04c (da M. Thomacello alla repubblica di 47 Sostenere che Firenze rappresentasse il perno su cui pog- Firenze). Il testo finisce così, con la frase e i termini più giava l’intera respublica christiana sembra eccessivo, sep- ricorrenti, ma il discorso sembra come sospeso e sul punto pur dentro una domanda di aiuto che blandisce l’alleato di riavvilupparsi, con la complice valenza moderna del segno recalcitrante mentre lo richiama a rispettare gli impegni. d’interpunzione usato.


11.3 Il fronte a mezzaluna tra Rodi e il Gargano trappola ordita ai danni dei turchi che ormai stavano irrompendo in città; si aggiungono altre su un traditore esemplarmente punito, ma non si è ancora certi dell’abbandono dell’assedio da parte ottomana. Si parla ancora della scorreria compiuta dai turchi lungo la costa pugliese fino al Gargano, mentre si riferisce che nel Friuli avvengono predazioni con risarcimento. De novo adì 5 di questo vennono doi grippi. Per lettere da me vedute da Constantinopoli dal canzellere del bailo se ha como el Turcho havea comandato al bassà che era a Rhodi che desse una battaglia generale et desse la terra a sacho; et che dando la battaia quei della terra lassonno52 intrare drento quanti turchi a lor piacque et intrò el bassà. Quando a loro parse asaltorno li turchi con spingharde, archi, balestre et a corpo a corpo, per modo fece una taiata inestimabile. El bassà salto fuora con pochi turchi; et dicesi occultamente in Constantinopoli perché il Turcho ha bandito che non si facia né pianto né corrotto né che de tal cosa se parli: che è stata si gran rotta che l’armata non ha da levarsi che si leveria, ben che per lettere di quatro d’agosto da Dalonichi53 venute heri se dica l’armata esser levata da Rhodi ma non si crede in tutto. Le lettere de Constantinopoli sono de 8 d’agosto: l’imbasciator nostro era a Constantinopoli e andava cum un bassà vechio in la Morea per dare li confini al Turcho de le cose a lui date per la paze54 . De Puglia per una nostra nave venuta se ha como l’armata turchescha che era 140 vele quelle scontrò che erano partite da Otranto et venute a Bestie55 che è milia 200 lontano et che giunti i turchi ala terra havevano data voce et non li fo resposto et subito montono ne56 le mure intorno nela terra et non trovono persona viva che tutti haveano abandonato la terra: quella scorse57 , ruinò et abrusò fino ali fondamenti. Scontrò l’armata che tornava adrieto et per iudicio universale se dice che andava a Brindizi. De provisione che faccia el Re nulla se intende publicamente; se se apicano inseme se sentirà nova da molti 52 In Foucard 145 è reso con “lassono”; ma la doppia, rappresentata da una linea sovrastante il rigo, indica univocamente l’azione preordinata, migliorando il senso. 53 Così nel documento, come in una sorta di assimilazione della consonante iniziale di Salonichi a quella della preposizione che precede. 54 Il riferimento è alla nuova definizione dei confini nel Peloponneso, tra Nauplio rimasta in mano ai veneziani e Argo passata ai turchi (cfr. in merito Nauplio 142-147, dove si riporta un documento del 5 settembre 1480). 55 Vieste, sulla costa garganica. 56 Non visto dal Foucard. 57 Nel senso che vi compì scorrerie.

107

anni non simile udita58 . In Friuli sono allogiati et per i confini turchi XX.m cazati da l’ungaro et serrati, et tutti li nostri scampati da loro; et loro toiono la roba li bisognia et lassano li dinari sopra le tavole et vanno con dio; et quando li poveretti tornano trovono li dinari59 . Se dice che lo imperadore li havea conducti per far dapno al Re60 con el quale ha gran guerra61 . La S.ria manda in Friuli dui proveditori per compire et fortificare tutti li lochi non compiti de fornire per i casi boni et rei, i quali sono el m.co messer Antonio Loredan et procuratore fu capitano generale messer Alvisi Lando. In questi giorni la ill.ma S.ria nostra fece far conto deli dinari spesi dal principio della62 guerra del Turcho in qua. Trovase esser stato speso septe milioni et sexcento milia ducati. Né altro per ora. Christo felice sempre vi conservi. Venetiis die VIIIJ Septembris 1480. Depoi scripte queste se he havute lettere de 28 dagosto da Corfu che dice haver per un frier63 che viene da Rhodi como è vero del taiar a pezo de li turchi intro in Rhodi, che fu una rotta grandissima; tamen per 30 ianiseri fugiti del campo et intrati in Rhodi fece ad sapere al gran maestro chel bombardier haveva intelligentia cum el bassà che dove lui butteria una bombarda grossa loro turchi dover piantare sue Bombarde. El gran maestro andò personalmente 58 In questa fonte assolutamente coeva, il preventivato attacco a Brindisi è in contrasto con l’asserita imprevidenza del re. In realtà, nel secolo successivo si comprese che non si potevano presidiare tutti i possibili obiettivi di turchi e pirati saraceni, né si poteva armare una flotta così numerosa da difendere la lunghissima costa del vicereame napoletano: ne scaturì la realizzazione del sistema, economicamente accessibile, basato sulle torri di avvistamento collegate visivamente una con l’altra e i cui segnali – di fuoco la notte e di fumo il giorno – erano visibili dall’entroterra, dove erano pronte ad accorrere le compagnie di soldati. Un paio di milites invalidi, invece, era sufficiente a montare la guardia sulla torre; sulla presenza di queste sentinelle sulla costa adriatica del Salento, v. Palma, Incursioni 164-165. 59 Oggi questo genere di approvvigionamento si chiama selfservice, ma la merce è controllata all’uscita per determinarne il valore fino all’ultimo centesimo che spesso è richiesto. Allora, invece, i predatori lasciavano il denaro a loro discrezione, ma forse anche ad abundantiam per non trovare sfornita la dispensa la volta successiva. 60 Considerata la regione, palesemente si tratta del re d’Ungheria, i cui domini si incuneavano tra quelli veneti e i territori di recente acquisizione ottomana tra Friuli e Dalmazia. 61 Beghe belliche tra l’imperatore germanico e il re d’Ungheria, che il primo cercava di risolvere con armi improprie o non convenzionali, come si dice oggi. Come quando si chiameranno i re francesi ad intromettersi negli “italici tumulti”. 62 Rara occorrenza della preposizione articolata con la l doppia. 63 Dovrebbe trattarsi di frate forse di un ordine cavalleresco come quello che difendeva Rodi.


108 sopra le mura et fece buttare una bombarda fora; subito li turchi andorono lì a piantare le sue; veduto questo preso el bombardiero el fe impalarlo et buttarlo fora cum una bombarda64 . Dice dicti ianiseri chel campo et armata dee invernare et che tutti lor sono malcontenti per el grande dampno ha. Dice etiam dicto frier che aspectavono in Rhodi due nave grosse a lor soccorso. Da Roma se ha el Duca de Callabria el gram marescalcho esser con molte squadre presso a Otronto. El nostro capitaneo scrive esser giunti ala Velona li cavalli VIIJ.m et ogni giorno passa in Puglia. Gran rotta se audirà, Dio permetta sia de turchi.65

Tra Scilla e Cariddi, ovvero con i veneziani non si sa mai come regolarsi: se si respingono le loro pretese, si rischia subito; se le si accolgono, li si rende sempre più potenti e prepotenti tanto da dover ricorrere ad un aiuto non convenzionale per sottrarsi alle loro angherie. È la piccola morale di questo passo dell’oratore estense a Firenze, Antonio Montecatino. [. . .] Io ex.o S. resposi [. . .] che veneciani fra le altre cose adimandaseno a Mantua era queste due principale: la prima recuperare le sue terre, la seconda quello aquistaseno fusse suo. Et chi li concedeva una de queste domandariano più animosamente la seconda dicendo che non se li potesse negare et che chi la negase, como poteria parere ale potencie perché farli si grandi poteria venire tempo che li S(ignori) de Italia voriano potere chiamare el turcho.66

Ed ecco, per completare il trittico lagunare, la lettera di un veneziano “che è stato in Otranto” e ora comunica al signore di Pesaro importanti elementi sui turchi che hanno occupato la città, a partire dalla loro consistenza, peraltro congruente con quella indicata in diverse altre fonti.

La mobilitazione Copia de nove havute per la via del Signor Costanzo67 da uno venetiano che è stato in Otranto. Prima li turchi hanno talgiato dui miglia atorno giardini de’ pomaranza, olivi e spianato ogni cosa; hanno facto de quelle frasche uno reparo cum terra grosso assai cum uno gran fosso di fora ala terra, tanto che hanno messo l’aqua doce dentro da lo reparo nel quale ha facto bombarde et un passo longo una da l’altra et hannoglie messo circha boche de bombarde et spingarde n.ro mille secento et più; quelle tirano68 ala via di terra ferma dui palmi supra la terra. De drento hanno fichati palli circha a dui millia grossi, et hanno incatenati cum catene di ferro grosse assai acioché, essendo sforzati li repari, li cavalli non possino intrare se non per una via la quale hanno molto fortificata, hanno tirate certe fuste in terra le quale sono difese dal riparo di fora, hanno afondato certi legni acioché l’armata non li possa offendere69 ; grandissima quantità de polvere, sartame et monitione assaissime et persone circha XV millia turchi da facti. Et difora a miglia v’hano guastate tute l’aque, acioché el campo del Re venendo non li70 possa stare commodamente. Pisauri 25 septembris.71

11.4

Apud Rocham

Il duca di Calabria, dopo la tappa tarantina, in una decina di giorni andò ad accamparsi tra Roca e Otranto passando per Lecce. Il Sadoleto, che scriveva da Napoli il 15 settembre, prevedeva, infatti, che per quella data Alfonso si sarebbe già dovuto trovare nei pressi di Roca: [. . .] || || [. . .] Ali XI de questo l’armata se trovava longe da Otranto 30 miglia et tutavia caminava a vella cum bono vento, et in quatro hore deveva arivare lae. El S. duca de Calabria se partiva da Leze et deveva andare ad metterse tra Rocha de qua alias, et Otranto.72

Nella decade successiva all’arrivo di Alfonso d’A64 È mirabile la solerzia e la diligenza con cui i nemici si scambiavano quello che oggi si chiama il know-how, nella ragona, avvenne il primo contatto con i turchi, come fattispecie la crudeltà raffinata – quanto un palo appuntito – 67 Cfr. Foucard 147-148, dove si identifica questo signore delle pene inflitte ai traditori. 65 Est. 80.09.09a 27 (“Avvisi e notizie dall’estero”, da in Costanzo Sforza, presumibilmente in base alla città di lettere di veneziani in Costantinopoli, Salonicco, Corfù). provenienza della lettera, Pesaro. V. anche 91. 68 Così sembra sia stato corretto il verbo da un precedente 66 Mon. 80.09.14b. Esistono due lettere del Montecatino con questa data: quella che sembra la prima risponde ad “erano” riportato in Foucard 147. 69 Affondando alcune navi i turchi cercavano di impedire una di Ercole del giorno 9 e ha solo la firma con la grafia consueta dell’oratore, mentre la seconda è tutta autografa e alla flotta aragonese di avvicinarsi. 70 Stranamente “vi” in Foucard 148. replica a una del giorno 11. Il brano qui riportato è tratto 71 Est. 80.09.25a 28 (“Avvisi e notizie dall’estero”, da dalla parte finale della prima pagina della seconda; tracce di numerazione archivistica si notano nella quinta pagina (200 Costanzo Sforza in Pesaro). 72 Sad. 80.09.15 202. in alto e 201 in basso) e nella sesta e ultima (239!).


11.4 Apud Rocham riferisce Alessandro Pagnano73 in una lettera del 25 settembre da Roca, diretta ad un imprecisato signore74 ; tra le perdite dei nostri si rileva quella di un giovane Castriota Scanderbeg. Simultaneamente arrivavano notizie confortanti da Otranto mentre la flotta napoletana assediava i turchi dal mare. Ill.mo Signor’ mio, perché V. S. sappia le cose del campo como vanno sappia che quil dì che io arrivai lo S. duca cavalcò cum cinque squadre e fo appresso Otranto circa tre miglia per provider’ de alcune cose donde che insierono fora de Utranto circa quatrocento cavalli de li turchi de li principali bene in ordene, quasi tucti vestiti cum iube de broccato d’oro et de seta et era lì lo bassà insiemi cum loro et appizaro la scaramuza insiemi con li nostri, et durò la scaramuza da le deicenove hore infine ali vinti dui75 , et poi se despizarono da li nostri et cusì omneuno se tornò. Deli nostri li morì quillo nipote de Scannalibeccho quale stava in Napoli che se domandava misser Juhanni et infine ad quactro altri, donde li morecti un figlio de madama Lionecta che stava con Loysi Carafa. Et deli loro turchi ni morero infine septi et feriti più de quindici; et multi donde76 et homini se sonno rescactati et rescactànose. [. . .] El S. duca ha saputo per alcuni iquali sonno venuti da Utranto che de li loro già ne so morti infine ad mille seicento perché omne dì ne veneno ad morir’ qualche uno che veneno ad far’ qualche correria, o vero qualche sentenella et cusì sono pigliati o vero sonno ammazati. E l’armata del S. Re quisti di è stata ad Brindisi, et mo è venuta denanti ad Utranto et al campo et tene assediata la loro [. . .]. || [. . .] Lo S. duca aspecta ancora multi fanti li quali deveno venire da Napoli et alcuni altri balestreri che deveno venire da hora in hora. Al presente non posso avisare V. S. de più farò la immasciata al S. duca ma per lo avenire starò attento de avisare omne dì V. S. ala quale etc. 73 Come un cortigiano di Alfonso è qualificato in Saracino,

Roca (106), ma, essendo il duca di Calabria più avvezzo a stare sui campi di battaglia che a corte, forse la definizione non è molto appropriata; un personaggio che, per l’uso del verbo “sonno” con la nasale geminata (quasi sempre ignorata in Foucard 148-152), si rivela, comunque, di estrazione napoletana. 74 Vedremo dal testo che il Pagnano è incaricato dal destinatario di questa relazione di portare un messaggio al duca di Calabria; si potrebbe trattare di un personaggio di rilievo nella corte napoletana, come ad esempio il segretario del re, Antonello Petrucci, o il conte di Maddaloni, Diomede Carafa, spesso menzionato in lettere successive da Nicolò Sadoleto. 75 Cioè da cinque a due ore prima del tramonto: in giorni prossimi all’equinozio del 23 settembre, circa dalle 13 alle 16. 76 Così nel documento, che per vari motivi conferma la sua natura di copia.

109 Datam in Rocca la quale è lontano da Utranto octo miglia, die XXV septembris. Rev.mo mon. S. mio dicese che demane lo S. duca con qualche parte dela gente d’arme cavalcarà verso Utranto et io li andarò et si niente serà, io avisarò V. S. de tucto ala quale humilemente me recomando. De V. S. Rev.ma humile et fedel servitor’ Alesandro Pagniano.77

Al di là del valore bellico dei contendenti, alla fine la contesa, come avrebbe generalizzato in seguito qualcuno, si sposta dal piano militare a quello economico, o meglio scopre il suo aspetto venale perché l’ardore militare denuncia la sua fame di vile carburante pecuniario: questa può sembrare un’eresia o la scoperta dell’acqua calda, ma intanto il problema che assilla la corte napoletana dal settembre 1480 in avanti è quello di assoldare le truppe da opporre ai turchi, e per reperire i fondi necessari non ci sono sconti per nessuno, nemmeno per gli habituès a questo genere di esenzioni. Un altro espediente caro ai Quintino Sella di tutte le epoche in casi di emergenza sono le una tantum o la riscossione anticipata delle imposte ordinarie. D’altronde il reperimento di queste risorse finanziarie era ineludibile perché i mezzi militari di cui disponeva il regno al momento non avrebbero consentito operazioni di efficace contrasto al potente nemico. [. . .] || [. . .] Heri d. Marino78 me monstrò una lettera la scriveva la m.tà del S. Re79 la quale era di questo effecto. Prima li dice como ha dato ordine et concluso con el capitaneo dela armata che subito80 habii bono vento el se ne vadi con la armata sopra la armata de Otranto turchesca81 . Et che lo ill. duca suo primo genito elquale è ala campangna82 se faci inanti ala 77 Est. 80.09.25b 100-101 (da A. Pagnano in Roca).

78 Marino

Thomacello oratore del re di Napoli, di cui abbiamo appena conosciuto lo stile da mastino. 79 La consueta abbreviazione “S. re” di questo titolo è divenuta “sig.re” nella copia presso la biblioteca della Società di Storia Patria Napoletana, così come pubblicata in Zacchino 298: leggendola in questa forma potrebbe ingannevolmente essere sciolta in signore, rendendo più oscuro il senso della frase. Così, poco più avanti, in quella trascrizione di questa stessa lettera, manca l’espressione “con la armata”; questo termine è impiegato tre volte dall’oratore nel documento originale, le prime due in riferimento alla flotta del re, la terza per quella turca. 80 Nel senso di ‘appena’. 81 Gli stava sfuggendo di precisare la nazionalità della flotta ormeggiata presso Otranto: ne è venuta fuori una espressione originale e quasi acrobatica. 82 È quel che si ottiene con l’interpretazione comune dei due


110

La mobilitazione

Nella lettera seguente del Pagnano si conferma la rioccupazione di borghi e castelli abbandonati all’arrivo dei turchi, primo fra tutti quello di Roca, da dove partono le lettere di questo signore al seguito di Alfonso di Aragona. E proprio l’arrivo del duca di Calabria e la convergenza di truppe terrestri e forze navali intorno a Otranto – insieme con gli esiti favorevoli dei primi contatti col nemico – fanno ritenere prossima la sua sconfitta; non sarà Qua è imposto hora la x.ma supra li preti: non è dui così, vuoi per l’approssimarsi della stagione inadatmisi che la fu posta supra li baroni et S.ri per soccorere ta alle operazioni, vuoi anche per le difficoltà, che Rodi. La m.tà del Re fa riscodere li pagamenti suoi si riveleranno l’anno seguente, non già di battere i hora che se dovevano pagare a Natale et a Pasqua turchi in campo aperto, bensì di stanare anche un presidio meno consistente da una città che ormai si proxima futura. [. . .] || [. . .] Et se Italia non se move contra questo cane, stava dotando di una buona cinta difensiva. Intanto a questa prima vera dubito86 vederemo tanti turchi si presume pure, in base alle delazioni dei disertori, in Italia, et velle per questa riviera, che difficile serà che gli invasori potrebbero ritirarsi soddisfatti del poterli per tutto star, perché questo Reame da sé non bottino razziato, peraltro già svenduto a speculatori è bastante per pochi homini che ha et mal pagati, et di Ragusa e di Caffa, che hanno lucrato anche nel pochi ligni da armare, cum ligni che in nave non fo cambio delle valute.

terra et che per ogni modo vedano che se brusi quella armata turchesca. [. . .] Et haverà etiam de Terra de Otranta et de Basilicata et de Principato83 et Terra de Barri, de ogni cento focchi XXV homini. Et adimandando io quanti fochi potrano fare quelli lochi tuti, me rispose circha quarantamilia fochi84 . Altro non me dise ma se ha pure inteso che quello Iulio da Pisa che fu ferito ne quella scharamucia facta ali dì passati è morto.85

fundamento, perché bisogna stagino a discrezione de venti, et molte volte credino andare in uno loco et vano in un altro, et questo mare male lo comporta in questa riviera tanto che non li ha porto capace salvo Brundusi et Monte S. Angello87 . [. . .] || [. . .] De misera Italia et sedia apostolica, anchora non cognosci el flagello che Dio te manda. El turcho è in Italia et cum quanta crudelità. La peste è in campo a Leze, et tute quelle terre circumstante, et molte altre del reame maxime Napoli. Poi fu facto lo ordine per la m.tà del Re, che per el suo regno ogni cento fuochi desse 25 fanti, per trovar’ quanto se apartiene alo officio mio sonto stato occupato. Difficultà è a trovare dinari, ma più li homini, che nullo li vole andare de la riviera tanto bisognali spingere per forza. Fin qui io non li ho potuto fornire tutti, et stanno tutti di mala voglia a tante spese insupportabile et de fanti, et de biscoti, et orzi, et de reparare la cità.88

segni di abbreviazione inseriti prima di p e g rispettivamente. 83 Principato Citra e Ultra erano i nomi delle antiche province corrispondenti, all’incirca, a quelle attuali di Benevento, Avellino e Salerno, con parte della Lucania occidentale. 84 Il che equivaleva ad una leva di circa diecimila soldati: più tangibilmente l’algoritmo di sopra poteva esprimersi dicendo che ogni masseria composta, ad esempio, di quattro famiglie doveva fornire un soldato. Il focolario aragonese del 1443-47 (in Da Molin) fotografava una distribuzione della popolazione salentina dispersa in tanti centri abitati formati da poche decine di famiglie ciascuno. 85 Mon. 80.09.30. 86 Da intendere come una delle accezioni del tempo: ‘temo’. 87 L’ultimo toponimo dovrebbe stare per ‘Manfredonia’. 88 Com. 7-9.

Ill.mo et Rev.mo S. mio. Aviso como lo S. duca ha perlongata la cavalcata che io scriveva a V. S.89 ad Otranto. Ma sua S. se attende ad fortificarse lo campo et le castelle le quale erano deshabitate tucte hanno posto gente et sonno tornate ad habitare donde che lo campo nostro sta tanto fortificato de artigliaria et de fossi et de mure che la famiglia de la gente d’arme sola sirria bastata ad resistere ad tucto el mondo tal fortificamento ha facto lo S. duca al campo suo. Et omne dì sua S. va ad fortificar’ et preparar’ lo loco dove hanno da piantare lo campo appresso ad Otranto donde io spero non passaranno molti dì che V. S. senterà la destrucione loro: perché già hanno carestia de pane de aqua et de carne et de legna. Et pareme che lo gran turcho ha mandato a dire al capitanio del’armata sua che si lui se potesse tornare che se tornasse. Et lo bassà loro ad quello che noi ne audimo da quilli che veneno da Otranto che già loro volentieri vorriano essere fora da Otranto et essersene andati con lo guadagno che fecero; et pensa V. S. che donano XX e XXV carlini de tornesi per uno ducato de oro: et ragosei et quelli de Cafa90 anchora se ne sonno facti ricchi perché hanno comparato tucta la robba che loro hanno guadagnato li turchi in Otranto, hanno havuto la bocte del oglio per uno ducato et quello che valeva sei ducati hanno avuto per uno. [. . .] Datam ad Rocha a dì IJ de octobre.91 89 Cfr. lettera del 25 settembre dello stesso.

90 Il Foucard (150) propone qui un improbabile e insignificante “case”, corrompendo il nome della colonia genovese in Crimea, di recente conquistata proprio da Achmet. 91 Est. 80.10.02 102 (da A. Pagnano in Roca).


11.4 Apud Rocham

111

Alessandro Pagnano due giorni dopo scrive anDe V. ill.ma S. humile et fidele servitore Alexandro 95 Pagnano. cora dal castello di Roca – incendiato, ma, evidentemente, non distrutto dai turchi – l’ultima delle Il duca di Calabria, anche se con forze ancora tre lettere sotto tale nome che si trovano oggi tra i insufficienti ad assediare i turchi, li tiene impegnafondi modenesi. ti nelle immediate vicinanze di Otranto e, com’è nella sua natura eminentemente guerriera, si lanRev.mo S. mio per avisare V. S. de le cose del campo. Lo S. Duca mai non cessa de proveder’ et de fortificar’ cia anche in qualche operazione rischiosa, fornendo lo campo suo de gente et de artigliaria: hoggi sonno inconsapevolmente tela da ricamare ai perditempo venuti in campo CCL fanti forestieri bene in ordene che bighellonano nelle varie corti italiane. et omne dì senne aspecta; et lo S. Duca omne dì fa venire artigliaria da Napoli et per questo paese qua intorno; et poi se aspecta el bon tempo che sia una bona tramontana che questo è lo vento prospero per l’armata nostra et haveno saputo como lo bassà loro omne nocte dorme sopra l’armata92 et hanno facto affondare tre navilii grossi de nanti al’armata sua intro lo mare per forteza del’armata sua93 et puro omne dì se fortificano et fabricano et havemo inteso como lo bassà havea deliberato de volersene tornar’ et lassare tre milia combactenti per questo inverno per guardia de Otranto, et inter loro commenzarono ad gridar’ che non volevano, che volevano94 morir’ lì tucti quanti; et che non sen de andasse nullo o vero che se ne andasseno tucti; et cossì deliberareno che non se ne andasse nullo, et havemo saputo per uno presone de Taranto fugito da loro che già hanno caristia de pane; et che tucti non ne ponno mangiare; non hanno più carne né paglia per li cavalli et altre cose da mangiare li mancano; et dicono che non sonno li cavalli loro molto boni pochi cavalli boni; et per alcuni che ne sonno stati pigliati me pare che li sia una grande differentia da questi ad quelli che se pigliano in Hongaria, et omne dì lo S. Duca manda et quando va in persona propria, et quando sua S. non va, va lo S. Mattheo de Capua o vero lo conte Julio ad provedere apresso ad Otranto donde haverà da stare lo campo, et fortificare li lochi, et al presente io non so altro che avisare V. S. che io sapia, al presente loro sonno dentro ad Otranto X milia combactenti; ma V.m sonno quelli che sonno de stima et CCCC cavalli et dicono anchora che sonno manco, etc. In lo castello de Roccha lo quale tucto è stato abrusato da li turchi a dì IIIJ de octobre 1480.

92 Con la sineddoche si rappresenta ovviamente una nave della flotta. 93 Notizia fornita anche da un’altra fonte (cfr. Est. 80.09.25a [da Costanzo Sforza in Pesaro], v. 108) e qui meglio specificata con l’indicazione della posizione delle navi affondate. All’interno del porto non poteva essere ormeggiata la flotta turca per la scarsa profondità dei fondali, e allora si preferiva ostruirne l’ingresso. 94 In Foucard 151 è saltata la seconda relativa, stravolgendo il senso di quel che segue.

Ill.me princeps etc. Questa matina el se è levato una terribelle et publica voce per tuto questa terra la quale era che el S. ducha de Chalabria se era apresentato ad Otranto per dare la bataglia et che sua S. haveva havuto la pezore et feriti lui ne la prima pugna, de la quale voce havevamo tuti nui uno afano mirabelle. Tande se consultassimo lo ambasadore regio et io da mandare da quella ill.ma S. per intendere la veritade, la quale ze mandò a dire che non haveva nulla de tale cossa.96

Probabilmente dopo il primo scontro con i turchi si diffondono queste voci terribili che generano un affanno straordinario (“mirabelle”) e che forse scaturiscono, come i sogni nella loro interpretazione moderna, da desideri inconfessabili ispirati da brume lagunari, che vedremo tornare l’anno successivo. Quella prima battaglia è raccontata dal Pagnano il 25 settembre come avvenuta il giorno del suo arrivo a Roca; il commissario del duca di Bari, che completò la sua relazione il 13 ottobre, parla, esattamente come il Pagnano, di uno scontro in cui era morto uno Scanderbeg, e avvenuto un venerdì di due settimane prima. Siccome il Pagnano ne aveva già scritto il 25 settembre, forse il commissario sbaglia a contare di una unità il numero di settimane intercorse. La battaglia, pertanto, potrebbe essere avvenuta venerdì 22 settembre 1480. Domane serà 15 dì chel S. Duca el venerdì ando cum el campo ordinato a bataglia, per ogni bisogno non ha quella intentione de attacharse supra Otranto per provederse de acamparse là, et ponerli bombarde. Li turchi ussirno fori circa 7000 persone a scaramuzar’, pur ne fu morti assai de essi, et anche de nostri ne restorno, ma fu solum scaramuza. Uno nepote de Scanderbeche più zovene fu morto, volendo smontare a pigliar’ uno cerchio d’oro ad uno Turcho che lo havea morto ultra le altre cose che se portò valorosamente, 95 Est. 80.10.04 103 (da A. Pagnano in Roca).

96 Cor. 80.10.14.


112 non hebbe tempo de montar’ et ritornar’ che li fu mozo el capo.97

97 Com. 8.

La mobilitazione


CAPITOLO DODICESIMO Il ruolo di Roca §12.1 Il bagnasciuga che funzionò, 113 • §12.2 Roche o Cruce? Uno scalo fortificato per il duca d’Atene, 115 • §12.3 Una favoleggiata e inverosimile distruzione, 119 • §12.4 Cominciano ad arrivare i nostri, 120 • §12.5 L’avamposto di Alfonso, 122 • §12.6 Una cittadella gradevole e apprezzata da molti, 123 • §12.7 Quanti equivoci per una etimologia avventata, 124.

12.1

Il bagnasciuga che funzionò

La marcia trionfale turca in Terra d’Otranto non fu molto gloriosa e cominciò a subire i primi intoppi poco dopo la conquista della città, ancor prima che arrivasse in loco il duca di Calabria. Già le due occupazioni di Roca nella seconda metà di agosto sembrano sottintendere l’inciampo in qualche ciottolo, seppur piccolo. In effetti il punto che separa le due fasi di questo conflitto – cioè il momento in cui, dopo lo stordimento dell’invasione, le forze cristiane cominciano a riorganizzarsi per fermare i turchi – si può collocare immediatamente a ridosso della caduta di Otranto. Nella seconda metà di agosto, infatti, gli aragonesi cominciano a cogliere qualche successo, testimoniato dal fatto che, verso nord-ovest, cioè in direzione di Lecce e Napoli, il fronte si stabilizza nei pressi di Roca, che è almeno due volte occupata e perduta dagli invasori. È questa la classica fase di svolta nella guerra, in cui, mentre gli aragonesi già cercano di armare e di mettere insieme una flotta per espellere gli invasori, questi ancora tentano di espandersi, utilizzando la conquistata Otranto come testa di ponte per occupare o, più semplicemente, per razziare le coste pugliesi più a settentrione, confermando l’alta strategia predatoria della loro

operazione italiana. [. . .] Et breviter da Napuli se intende la ma.tà del S. Re stare de mala volgia, et el turcho fortificarse in Otronte et havere descaricato le art(elgi)arie che havea caricato. Et quelle due terre abandonate dove la ma.tà del S. Re havea mandato certi fanti a guardarle, sentendo che el campo turchesco li andava, le abandonono et el turcho se le ha prese, le quale castelle se chiamano Rocha et Castro. Et dubitase per lettere scripse uno veneciano ad uno barone del regno, la quale diceva che a Venesia se haveva per la via de lo oratore loro apreso el turcho che quando el turcho adriciò questa armata in Pulgia ordinò a questo suo bassà che, se havea qualche terra in Pulgia che fusse forte, li mandaria el filgiolo. Et se la armata da Rodi non facea fructo la voltariano qua1 , che havendo mo preso Otronte non mandi el filgiolo cum grande exercito. Et volti la armata da Rodi qua como quella se intende non fa fructo alcuno. Et più ex.o S. el sono lettere qua da Ragusa de XIIJ de 1 Non sembra che questo avvenne, se non in una storia posteriore di matrice veneta, magari ispirata proprio dalla lettera di questo veneziano che ipotizzava un tale spostamento della flotta turca ritirata da Rodi. Ma, semmai vi fosse stato un simile impiego, sarebbe stato aggiuntivo e successivo a quello della flotta di base a Valona, e non certamente esclusivo come indicato dal Giustiniani.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.