esplorazioni 17 Collana diretta da Giuseppina Cersosimo Comitato scientifico
Patricia Adler Mary Jo Deegan Chiara Giaccardi Michael Hill Carmelo Lombardo Franco Martinelli Domenico Scafoglio Graham Scrambler Laura Zanfrini
Blumer definiva l’Esplorazione: “procedura flessibile, nella quale il ricercatore sceglie una linea di ricerca o adotta nuove osservazioni, intraprende nuove direzioni di indagine e riflessione precedentemente non comprese, acquisendo maggiori informazioni”
JANE ADDAMS
Lo spirito dei giovani e le strade della cittĂ a cura di Raffaele Rauty Postfazione di Mary Jo Deegan
Titolo originale: The spirit of youth and the city streets, The MacMillan Company, 1909
Traduzione di Raffaele Rauty In copertina: Chicago, Milwakee, 1906 ISBN 978-88-95161-79-2 Chiuso in stampa nel mese di gennaio 2013
Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel. e Fax 0832801528 www.kurumuny.it • info@kurumuny.it © Edizioni Kurumuny – 2013
Indice
I
Jane Addams e i sogni dei giovani di Raffaele Rauty 1. I “nuovi” giovani 2. Giovani e città 3. Le giovani donne 4. Il messaggio teatrale 5. Il senso del gioco del divertimento 6. La Hull-House 7. Chicago 8. Il secolo dei giovani Riferimenti bibliografici
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II
Jane Addams Lo spirito dei giovani e le strade della città Premessa 1. Giovani in città 2. La crisi dei principi della vita familiare 3. La ricerca di avventura
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4. La casa dei sogni 5. Il carattere dei giovani e l’industria 6. Il desiderio di giustizia
Postfazione Jane Addams, il gioco e lo spirito dei giovani di Mary Jo Deegan
p.
92 111 129
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I
Jane Addams e il mito della giovent첫 di Raffaele Rauty
1. I “nuovi” giovani Lo spirito dei giovani e le strade della città è stato, per sua dichiarazione, il libro preferito da Jane Addams, ma anche, probabilmente, il suo testo migliore, un libro che la conferma nello stesso tempo donna dotata di sensibilità artistica e narrativa e saldamente legata agli obiettivi della riforma sociale (Davis, 1972, p. IX), ma anche protagonista diretta di un approccio alla realtà urbana intriso di metodologia sociologica, sensibilità psicologica, attenzione alle forme e agli effetti, soprattutto tra i giovani, della trasformazione sociale, e di una irriducibile volontà innovativa. Quei giovani, la cui realtà interloquisce continuatamente con la vita quotidiana di Jane Addams, sono ripetutamente, fin dalla primissima adolescenza, corollario alla sua esistenza, testimoni e compagni in tantissime rappresentazioni fotografiche, espressione di una idea continua di nuove maternità, socializzazione, organizzazione familiare, riferite a una donna che madre non era e non poteva essere,1 e sembrava, almeno apparentemente, lontana mille miglia dai problemi e dalle pratiche di una cultura femminile postvittoriana.
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Suo cognato Harry Hadelman, chirurgo, assistito dalla sorella della Addams, Alice, nel 1882 la opera alla spina dorsale, in un intervento che necessiterà una lunga convalescenza a letto e, come conseguenza, procura la consapevolezza, confermata dal medico, che non potrà avere figli (Weber Linn, 1935, p. 178).
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Il volume non è accompagnato da un apparato di note, per la evidente volontà di usare, di volta in volta, storie di vita la cui rappresentazione si inserisce in una riflessione più ampia, assegnando un tono quasi letterario alla narrazione, ma assicurandole contemporaneamente precisione analitica e rilevanza scientifica. Di questo si avvantaggia la lettura del testo, consentendo alle pagine di trasmettere una informazione che una serie di dati, certo interni a quel discorso, avrebbero di sicuro appesantito. Peraltro, come ricorda la Addams, alcune parti del volume sono già state pubblicate e qui solo riviste, altre, nuove, presentano un metodo narrativo riprodotto in seguito dalla Addams nel suo primo volume autobiografico (Addams, 1910). Lo spirito dei giovani e le strade della città non è il primo testo che si occupa dei giovani, ma certo è uno dei primi a registrare il loro divenire oggetto dell’approccio analitico delle scienze sociali, e poi, ancora più specificamente, segna la storia dell’analisi della condizione giovanile, attento a una problematica anche complessa, nella quale confluiscono fattori sociali, generazionali, etnici, trasformazioni dell’organizzazione del lavoro come anche delle strutture familiari, a fronte di un espandersi dei confini urbani che ristruttura il rapporto tra gli individui e lo spazio raggiungendo, nella fase di Chicago alla quale si riferisce il testo, quattro miglia da downtown (Cressey, 1938). Peraltro i giovani vivono, di generazione in generazione, il dramma non esplicitato, di essere sempre nuovi, di rappresentare comunque una distanza, più o meno consistente, da una realtà precedente, il cui superamento è legato, quanto meno, al passare oggettivo delle generazioni, al prodursi di una vecchiaia oltre che alla inevitabile trasformazione degli assetti sociali. 10
Rispetto alla realtà giovanile descritta a Chicago, la riflessione della Addams, non è né, come detto, l’unica né la prima, ma si inserisce in un processo teso a considerare, tra il 1890 e la prima parte del ‘900, lo sviluppo quantitativo e qualitativo generale dei giovani nella società statunitense, e i processi di ristrutturazione delle relazioni e del controllo sociale che questo determinava, in un percorso segnato dall’attività di una figura emblematica e contraddittoria come quella di Stanley Hall, il quale, formatosi con William James, rappresentò un riferimento teorico ineludibile per quel tema (Hall, 1904). A partire dal 1835 (Child, 1835) e con maggiore continuità dalla seconda metà del secolo (Beecher, 1854; Bulkeley, 1858; Keddies, 1860; Munger 1881), insieme allo sviluppo urbano e al diversificarsi delle individualità, si moltiplicano i volumi attenti alla realtà dei giovani e alla dimensione “corruttrice” del contesto urbano, tesi a cogliere l’inedita separazione delle età, mai considerata in fasi storiche precedenti, nelle quali era impensabile quell’emergere di nuove “transizioni” dei giovani, colto tra sviluppo delle “passioni” ed emergere di nuove “tentazioni”. Così infanzia e adolescenza divengono periodi di tempo biologicamente precisi, legati all’età, agli obblighi scolastici, al lavoro, al rapporto con la giustizia (Bakan, 1971, p. 181), fattori ai quali si collegano interventi tesi a sviluppare l’educazione obbligatoria, in particolare pubblica, la legislazione a tutela del lavoro dei minori,2 e un rapporto giu-
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Nel 1900 per l’U.S. Census circa due milioni di bambini, il 18,3% di
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diziario per i giovani (legato alla costituzione, nell’ultimo decennio del XIX secolo, dei tribunali per i minori). Ferma restando l’autonomia della tradizione e organizzazione culturale degli individui, era una considerazione del tutto nuova per una massa di giovani, immigrati o figli di immigrati, da oltreoceano o realtà rurali o del sud del paese, per i quali le difficoltà della nuova vita quotidiana erano comunque molto consistenti: “Quattro quinti dei ragazzi che compaiono di fronte ai tribunali giovanili di Chicago sono figli di stranieri. I tedeschi sono quelli che compiono il maggior numero di reati” (Addams, 1910, p. 181). Erano dati che provocano attenzione e riflessione.3 L’attenzione della quale erano oggetto, e che investiva anche le riflessioni della Addams, è legata non solo al loro
quelli fino ai 15 anni, lavoravano in fabbriche, miniere, fattorie. Di conseguenza nel 1904 fu costituito il National Child Labor Committee (NCLC), con l’obiettivo della riforma di questa condizione, affidando a Lewis Hine la sua documentazione fotografica. Dopo un’attività legislativa, sotto la presidenza di Theodore Roosevelt, nel 1909 vi fu la prima White House Conference on the Care of Dependent Children che propose la creazione del Children's Bureau, divenuto legge nel 1912, con il presidente William H. Taft (1857–1930), in un intervento indirizzato a milioni di ragazze e ragazzi. 3 Tra il 1896 e il 1932 gli studenti dell’università di Chicago svolsero più di 32 tesi di master e di dissertazione dottorale sul tema della delinquenza giovanile (Faris, 1967, pp. 135-150). Emblematico che i sociologi di Chicago non dedicassero almeno la stessa attenzione a un fenomeno probabilmente ancora più rilevante nella capitale dell’Illinois, e cioè quello della delinquenza mafiosa.
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presente quanto, anche e soprattutto, al loro futuro: “Ciò che i migliori e più saggi genitori voglio per i loro figli, la comunità lo vuole per i suoi ragazzi” (Dewey, 1899, p. 3). Era un orientamento che frantumava l’incertezza oscillante tra una paura per i ragazzi e una paura dei ragazzi (Grossberg, 2002, p. 3), e che ridisegnava un’idea di futuro non vedendo più solo nel lavoro di fabbrica, in particolare per i figli e le figlie delle classi subalterne, l’unico obiettivo di esistenza. I giovani, nella loro eterogeneità, avevano bisogno di una risposta statale che, unendo tutela e controllo, magari attraverso organizzazioni specifiche, li facesse comunque rientrare pienamente nelle prospettive di sviluppo della società: se ne incaricarono una serie di organizzazioni sorte in quel periodo. Questo fu il caso, per esempio, dei Tribunali per giovani, di nuova istituzione e con un approccio inedito verso i giovani delinquenti: il ruolo del giudice diveniva quello di una guida familiare, che agiva non verso criminali ma verso ragazzi bisognosi di aiuto, tendeva a sospendere le sentenze, consentendo loro di ricevere un trattamento adeguato nelle loro case, tramite anche lo strumento della probation, particolarmente adeguato alla situazione (Trattner, 1970, p. 109). Perché altrimenti la condizione annunciata di “criminale” corrispondeva spesso all’esordio in una carriera che sembrava inevitabile: “I ragazzi di età superiore ai dieci anni erano arrestati, trattenuti nelle stazioni di polizia, portati nei tribunali di primo grado. Se condannati venivano in genere multati e se la multa non veniva pagata veniva incarcerati nelle prigioni municipali. […] Non esistevano
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scambi di registri tra i vari tribunali, per cui gli stessi ragazzi potevano entrare e uscire dalle varie stazioni di polizia un numero infinito di volte, più incalliti e professionalizzati (nel crimine) ad ogni esperienza” (Addams, 1935, p. 133). Peraltro si tentava di far ricadere sui fattori ereditari la responsabilità o comunque le radici dei comportamenti delinquenziali, proprio come descritto dalla Addams nel volume; così, rispetto a una strategia nella quale l’impegno degli psicologi era di ricomprendere nella loro disciplina i caratteri del comportamento delinquenziale, i sociologi provarono a collegare quei comportamenti al contesto territoriale e alle condizioni di vita: “la causa principale della delinquenza sembrerebbe essere la perdita o l’assenza dei genitori. La povertà, le condizioni negative del vicinato, o delle case hanno un posto allo stesso livello nella lista, e spesso si manifestano insieme” (Rhoades, 1907, pp. 3-4). Questo si aggiungeva al fatto, già segnalato, che tanti dei giovani arrestati a Chicago venivano indicati come “violatori della legge per la prima volta”, ma gran parte di loro, un terzo, veniva poi riconosciuta innocente, mentre, se incarcerata, era protagonista, spesso, di rapporti, intimi e subalterni, con criminali più adulti, che li segnavano irrimediabilmente (Altgeld, 1886). Nel 1909, a dieci anni dalla costituzione della Juvenile Court, pur tenendo conto del rapporto, interno alla sua attività, tra tutela e controllo, era da riconoscere il contributo sostanziale dato dalle donne della Hull-House alla sua costituzione e al collegamento tra la sua attività, la politica
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legislativa realizzata e le iniziative delle altre istituzioni generali a tutela dei giovani.4 Di fronte alla massa di giovani che si presentava alla realtà sociale, c’era un evidente problema di controllo dei medesimi con meccanismi che avrebbero potuto essere affidati alle famiglie, che forse non potevano essere svolti (incapacità, impossibilità, incomprensione) dalle medesime ma che, partendo dalla realtà quotidiana della vita urbana, dovevano comunque diventare oggetto di intervento pubblico: “i registri dei tribunali giovanili e le storie degli ufficiali addetti alla libertà su parola devono stimolare rapidamente gli amministratori delle città, delle commissioni scolastiche e dei parchi, delle chiese, i filantropi e gli uomini patrioti ricchi, in uno sforzo assoluto e prolungato per trasformare l’ambiente, rendere le case e le strade pulite e
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Fondata nel 1901, da Jane Addams e dalle sue colleghe, la Juvenile Protective Association (JPA) fornì i primi ufficiali per la probation del Tribunale giovanile degli Stati Uniti. L’indagine, condotta da Florence Kelley negli slums di Chicago, voleva verificare proprio la condizione dei ragazzi e dei giovani, una condizione indubbiamente precaria a più livelli, ma nella quale si continuava a vedere una potenzialità di trasformazione e riforma (Kelley, 1895 e 1902). Era anche la posizione contraddittoria espressa in passato da William Steadt, il quale aveva parlato di Chicago come “cloaca maxima” del mondo, ma aveva evidenziato tutte le potenzialità che potevano farne anche la realtà “ideale” se fosse stata sottoposta a un revival civico, a una trasformazione del sistema sociale municipale, migliorando la città, pavimentando le strade, eliminando i saloon e i bordelli, costruendo playground e servizi per i ragazzi (Steadt, 1894).
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salubri; costruire playgrounds; sottrarre le energie naturali dei giovani ad attività distruttive a favore di altre costruttive; e che la mente e l’anima siano circondate da ogni parte da proposte pure, piacevoli, e ispiratrici” (Henderson, 1904, p. 304). Nel 1909 viene fondato, con il contributo economico di Ethel Sturts Dummer, in contemporanea al National Committee for Mental Hygiene, lo Juvenile Psychopatic Institut, poi incorporata nello Stato dell’Illinois nel 1917, come Institute for Juvenile Research dal 1920 (Snodgrass,1984, p. 337; ne fu nominato direttore William Healy.5 L’istituto aveva fin dall’inizio il compito di fare ricerche sulle cause della delinquenza giovanile, in collegamento con la Chicago Detention Home,6 con una disponibilità “oggettiva” di soggetti da studiare nella prospettiva in un approccio che, malgrado la personalità ambivalente di Healey, contrastava ogni ipotesi ereditaria, premessa di ipotetiche classi pericolose.7
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William Healy (1869-1963), ricercatore di psichiatria infantile e delinquenza giovanile, studiò neurologia a Vienna, Berlino e Londra grazie a un finanziamento di Ethel Dummer. Nel 1908 tiene una conferenza alla Hull-House che rappresenta l’inizio della sua attività di ricerca in rapporto con la Chicago Juvenile Court. Il suo metodo si basava sulla considerazione della storia individuale di ogni ragazzo. 6 Struttura nella quale sono tenuti in custodia i giovani autori di reato, mentre il tribunale analizza i loro casi. 7The Individual Delinquent, fu pensato come uno studio “di tutti i fatti disponibili in una combinazione dei vari metodi che potessero offrire
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2. Giovani e città La città, prima ancor di far vivere i ragazzi e i giovani al suo interno, ha già compiuto una operazione storica irreversibile; li ha distaccati dai loro luoghi di origine, separandoli dalle rispettive comunità e ponendoli all’interno di un’organizzazione familiare che comunque ha, nel contesto urbano, una nuova collocazione, nel suo complesso e in rapporto alle esperienze e negoziazioni dei singoli soggetti che ne fanno parte. Quei giovani, in gran parte provenienti da luoghi lontani e diversi, tutti in qualche modo legati a radici comunitarie, hanno adesso ruoli, relazioni, prospettive, tempi, differenti dal passato. Lo sviluppo industriale e l’avvento urbano favoriscono una ridefinizione della condizione dell’infanzia e della gioventù, come periodi autonomi, con specifici rapporti, bisogni, emozioni, prospettive. Peraltro le condizioni della vita quotidiana, le sue distorsioni, le sue miserie, facilitano per i giovani una presa di distanza dalla realtà e lo spostamento della centralità delle proprie prospettive in un universo altro, legato a un futuro ipotetico che può distaccarsi dalle contingenze della
risultati significativi”. Healy analizzò tra il 1909 e il 1914, presso lo Juvenile Psychopathic Institute del Tribunale giovanile di Chicago, più di 300 giovani, di entrambi i sessi. Trovò 15 tipi di cause, nove maggiori e sei minori: l’ “anormalità mentale”, “le condizioni di vita insufficienti nelle famiglie” e “le anormalità fisiche” erano i tre maggiormente presenti, ogni volta in una combinazione tra fattori principali e secondari. Sul metodo di indagine di Healy, cfr. Bennett, 1981, pp. 112-22.
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vita quotidiana. Le condizioni delle abitazioni, sovraffollate e in molti casi piene di odori derivanti dalla mancanza di ventilazione e da servizi igienici (quando c’erano nelle case e non erano invece comuni o addirittura esterni all’abitazione) ai limiti della sopportabilità, spingono a una ulteriore riduzione della privacy, a stare il meno possibile “a casa”: la città sovrasta e travolge gli individui con la sua abbondanza, i suoi luoghi, e sue presenze, le sue emozioni, facilitando, a partire da questi suoi caratteri, la ricerca di condizioni e luoghi nuovi, dai quali operare un rinnovamento nel carattere delle relazioni (Nasaw, 1985, pp. 8-12). I ragazzi, sottratti da questo complesso di fattori a ogni ipotesi di età dorata, diventano parte di un processo di trasformazione che investe la loro collettività, ma che è rigorosamente individuale, espressione della propria storia di vita: “La differenza dai tipi già esistenti è infatti alla base di tutti i cambiamenti, unica possibilità di progresso, rispetto a quanto differenzia la vita da quanto diventa sempre più inutilmente vecchio e ripetitivo” (Addams, nel testo p. 55). Quella realtà stereotipa e ripetuta, che non si discosta da quel modello, che nella riflessione di Mills segna la specifica appartenenza attribuita dai patologi agli individui “normali” (Mills, 1943), si mostra in questo caso nel suo opposto, soggetto impegnato, nel tempo e della differenziazione urbana, nel suo anonimato e della sua unicità-eccezionalità, premessa di ogni trasformazione. Questa è l’arena nella quale si realizza il loro sviluppo generazionale e sociale, perché gli abitanti della città devono comunque legarsi alla sua realtà specifica e alle sue contraddizioni e questo processo, nella sua violenza formale invisibile,
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segna le vite dei soggetti, in una consapevolezza che riapre oscillazioni di comportamento e di orientamento in quei giovani e nella loro evidente ambivalenza comportamentale: “Su un piano positivo in democrazia i ragazzi, come futuri cittadini, sono la risorsa di maggior valore dello stato; per la sua sicurezza lo stato deve rafforzare il diritto dei ragazzi all’educazione, che sarà loro di sostegno per una cittadinanza positiva”, mentre “in una dimensione negativa, lo stato deve proteggersi dalla minaccia di orde di giovani lasciate crescere nell’ignoranza o senza disciplina o rispetto per gli altri” (Bremmer, 1983, p. 84). In realtà in molte zone la vita era condizionata, nella dimensione degli assembramenti e delle riunioni, dal tempo e dalle stagioni; ci si ritrovava soprattutto all’esterno delle proprie case, lungo i marciapiedi, fuori dai negozi, agli angoli delle strade dove erano fatti gli acquisti, in crocicchi e ritrovi improvvisati nei quali le persone si radunavano distanti dall’odore, dal caldo o dal freddo, dalla insopportabilità delle proprie abitazioni. Gli uomini erano presenti in maggioranza quando era passato l’orario principale di lavoro, e i ragazzi dopo quello scolastico. Ma il territorio ospitava una serie di altre presenze, anzitutto rispetto alle bande e alle varie forme di criminalità organizzata e, in qualche modo, riconosciuta. Tutto questo, apparentemente legato allo sviluppo urbano e alla sua organizzazione, sembrava ai riformatori particolarmente pericoloso, anzitutto per la presenza diffusa, attraverso mille segni, della sessualità, anticipata e promossa anzitutto dalle giovani donne che cercavano, al calare della sera, uno svago nei luoghi pubblici, dimentiche degli standard del dician-
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novesimo secolo. Rapporti, comportamenti, assunzione di alcolici, trucco dei corpi, contraccezioni, sempre meno contrastabili, richiamavano il rapporto del Presidente Roosevelt nel quale si faceva riferimento al rischio di un suicidio della razza, o in fondo a un suo deperimento irreversibile, per quanto stava avvenendo nel paese (Nasaw, 1985, p. 140; ma cfr. anche McGovern, 1968; Gordon, 1976).
3. Le giovani donne In questa fase emerge una autonomia femminile, di massa, presente in diverse narrazioni proposte dalla Addams nel volume, fin dal suo inizio: “… eppure i cappelli enormi e l’irrequietezza delle piume in disordine, ne annunciano al mondo la loro presenza; richiamano l’attenzione sulla loro esistenza, affermando di essere pronte a vivere e a prendere il proprio posto nella società. Il momento più prezioso nello sviluppo umano è l’affermazione, fatta da quelle giovani, della loro diversità dagli altri individui e della loro possibilità di fornire un contributo specifico alla costruzione del mondo” (Addms, cit. nel testo, p. 55). È un contesto nel quale si ridefinisce la dimensione del possibile, percorso esistenziale la cui imprevedibilità è pari alla eterogeneità di ciascuna di quelle ragazze nelle proprie relazioni (oltre che ruoli): “La sua presenza simboleggiava la possibilità di quanto era maggiormente temuto o desiderato da altri… Sottolineando di continuo il ruolo potenziale di vittima bisognosa di peren-
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ne sorveglianza o protezione, i riformatori e i leaders urbani cercavano di riorganizzare la geografia e le pratiche sociali segnate da quel genere, in precedenza parte di un’immagine ordinata della città” (Rabinovitz, 1998, p. 6). La gestione della propria persona e dei propri comportamenti nello spazio pubblico e nel rapporto con gli altri diviene ora determinante per la realizzazione femminile: rispetto a una serie di spazi urbani, codificati e strutturati secondo il genere, quindi “aperti” o meno, secondo la tradizione, alla presenza femminile; il processo si modifica progressivamente, anzitutto attraverso la “corruzione” dei comportamenti e la “ricollocazione” dei luoghi (nuove presenze in aree per esempio in precedenza monosessuali). Si pensi ai rapporti che si vengono modificando non tanto direttamente con i distretti “a luci rosse” quanto attraverso le consuetudini di presenza nelle sale da ballo, frantumando in modo sempre più consistente quei processi di controllo della sessualità e delle relazioni femminili radicati e ancorati a una delimitazione della mobilità e socialità (Nelson, 1888). La riflessione compiuta sui giovani, categoria troppo spesso oggettivamente monosessuale, non può trarre in inganno; riferimenti ripetuti del testo indicano che, quando non si tratta di reati direttamente legati ad azioni violente, sono la forza lavoro e la soggettività femminile particolari oggetto di attenzione e desiderio di controllo, binomio che segna una nuova classe operaia o una nuova presenza nella realtà del commercio e del consumo urbano. Questa fase, delle “ragazze che lavorano” (Weiner, 1985, p. 5), è contraddistinta da una intensificazione della presenza
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femminile in città. Nei due decenni tra il 1880 e la fine del secolo, la forza lavoro femminile raddoppia rispetto al suo incremento nazionale generale, mentre Chicago attrae le donne lavoratrici con una intensità tre volte superiore a quella nazionale (Meyerowitz, 1988, p. 5). A partire dal 1890 quasi due terzi delle donne che lavorano qui sono nubili, mentre quelle sposate con bianchi costituiscono la parte minoritaria delle donne al lavoro. Ora la pratica del vivere autonomamente in città, con conseguenze sul piano relazionale e culturale, è divenuta generalizzata: di 1.232.000 donne che vi lavorano, circa 434.000, più di un terzo, vive fuori casa. E considerando tutte le città con più di 150 mila abitanti, gli alloggi in affitto ospitano dal 18 al 49% delle lavoratrici, e dall’11 al 34% delle medesime, escludendo quelle a servizio domestico (Weiner, cit., p. 19).8 Nel 1889 il Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti compie una ricerca su 22 città verificando che il 14% della forza lavoro femminile ha una presenza e una visibilità urbane consolidate, vive “adrift” [in mobilità] rispetto alle proprie famiglie, dalla cui “protezione” si è staccata,
8 La percentuale delle donne su tutta la forza lavoro passa ora dal 14% nel 1870 al 18% nel 1900 al 20% nel 1920, mentre le donne che lavorano rispetto al complesso della componente femminile sono il 15% nel 1870, il 19% nel 1890 ed il 21% nel 1900, giungendo al 24% nel 1920 (U.S. Bureau of Census, 1943, 92, tab. XV). Una testimonianza del principio di comunità che si stringe tra queste donne sul lavoro e negli alloggi in affitto dove soggiornano, è in Mac Lean, 2010.
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gestendo così le proprie identità e sessualità. Queste donne sono viste ancora come “orfane” di una assistenza, e dunque in pericolo, condizione che può essere fatta risaltare, in quella realtà di individualità, soprattutto come legata a un pericolo sessuale, mentre per converso proprio la presenza di quei corpi femminili, nella rispettiva libertà urbana, è quanto di più temuto e nello stesso tempo desiderato, corollario dei luoghi e in alcuni casi premessa della loro esistenza. Le donne sono esposte a una compromissione della propria esistenza dalla difficoltà di mantenere la propria collocazione in città con il salario contenuto del quale possono disporre e da una doppia morale sessuale che seleziona spietatamente, tra gli abitanti della città, con un precipitare della condizione morale (vissuta e percepita) dei soggetti, in una situazione difficile per una prospettiva di recupero, come indicato dalla ricerca svolta da Robert Woods e Albert Kennedy Woods, Kennedy, 1913). Il problema, legato all’insorgere di una condizione ormai solo apparentemente “giovanile”, che non accetta come in passato silenzi e subalternità rispetto alla novità dei rapporti urbani, investe l’intera area immigrata perché lo sviluppo industriale e l’individualizzazione del lavoro rendono sempre più numeroso il numero di donne che lavora fuori casa, espressione anche di un moltiplicarsi, rispetto al passato, di incontri e relazioni sociali, con problemi di controllo e modifica dei ruoli (e dei domini) nelle singole famiglie. Esempio di questa “insorgenza” culturale è il numero di delitti domestici che si manifestò tra il 1880 e i 1920, testimonianza, come in epoche successive, di una nuova realtà culturale, insopportabile rispetto all’economia tradizionale
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dei sentimenti nella famiglia (Adler, 2002; 2003, p. 27). I comportamenti divengono così parte della nuova realtà: “Apprendiamo lentamente che la vita consiste di processi come anche di risultati, e che il fallimento può essere facile e immediato ignorando l’adeguatezza di un metodo per fini egoistici o ignobili. Questo ci porta a una concezione di democrazia non solo come un sentimento che desidera il benessere di tutti gli uomini, neppure come un credo che ha fiducia nella dignità ed eguaglianza essenziale di tutti gli uomini, ma a qualcosa che produce una regola di vita come anche una prova di fede” (Addams, 1907, p. 6).
4. Il messaggio teatrale Se il teatro è un centro di attrazione nella realtà urbana di Chicago è anche vero che esso è divenuto (dal 1907) una delle attività privilegiate svolte all’interno della HullHouse, individuato come risorsa strategica di lungo periodo rispetto alla condizione esistenziale degli individui: “Abbiamo creduto di poter costringere gli uomini a vivere senza la bellezza nelle loro vite, e pure li costringiamo a fare per noi le cose meravigliose che in parte abbiamo negato loro. Abbiamo pensato di poter insegnare loro nelle scuole la produzione di grazia e armonia, loro sconosciute, precluse ulteriormente dalla vita che li obblighiamo a vivere” (Gates Starr, 1895, p. 168). La dinamica urbana dei giovani, all’esterno del lavoro, si svolge nel percorso ricerca/conseguimento/nuova ricerca del divertimento, e il volume vi fa ripetutamente riferimento, con accenti diver-
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si. La Addams evidenzia infatti il ruolo che i teatri da pochi centesimi possono giocare nel conquistare l’attenzione e la disposizione al sacrificio dei giovani. In realtà agli inizi del ‘900 il pubblico teatrale è chiassoso e disordinato, per cui la sua parte più rispettabile finisce per restare a casa, pratica riproducentesi fino alla parte conclusiva del secolo. Gli spettacoli determinano partecipazione e coinvolgimento per il comportamento degli attori, i cui sguardi, accendevano sentimenti negli spettatori e nelle spettatrici, in un processo efficace sulle fantasie più di quanto prodotto dai romanzi sensazionalistici, in un percorso che rappresenta nello stesso tempo un’attrazione e una minaccia (Hunter, 2002, p. 303). Esso investe ogni area sociale esposta alle emozioni provocate dal teatro, che certo non sono le sole ad agire se è vero che la Addams non entra nel merito ma sussiste la consapevolezza, certo già evidente, che i teatri saranno in breve soppiantati, anzi il processo è già in atto, da sale cinematografiche e dal mondo presentato dal cinema, con un successo superiore a quello già consistente acquisito dal teatro a basso costo (Davis, 1911, pp. 8-9). Infatti il primo nickelodeon apre su Milwaukee Avenue nel 1901, nel 1913 in città ce ne sono già 606, films che, anche se ancora privi del colore, affascinano per il loro realismo senza precedenti (McCarthy, 1976, p. 39)9 e segnano una distanza incolmabile rispetto alle rappresentazioni a disposizione degli spettatori del teatro.
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La Juvenile Protective Association espresse le sue perplessità rispetto al
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D’altro canto, in rapporto alla dimensione della persona, della sua esteriorizzazione e del suo controllo, quei teatri e quegli spettacoli rappresentano una rottura rispetto a una vita affollata dalle ore di lavoro e dalla fatica ad esse collegate. Costituiscono un modo per ritrovare le proprie radici e i propri sogni, secondo tempi e desideri che la giornata lavorativa sembra ignorare completamente a favore di un impegno esclusivo nei rispettivi posti in fabbrica. Ovvio che per la trasmutazione che si verifica nei teatri, difficilmente “accettabile”, “I riformatori costruirono la visione di una città misteriosa, dalla sessualità nascosta, […], mentre, disperati, finivano per vedere la depravazione dovunque guardassero, anche nei posti più scuri” (Maltby, 1994, p. 218). Quei teatri da pochi centesimi, il cui appellativo, The House of Dreams, sembra far pensare a un contesto rarefatto e quasi per pochi, sorgono quasi all’improvviso, in brevissimo tempo, dal centro della città di Chicago, in State Street estendendosi verso sud e verso est, in molte altre sue strade fino alle zone degli immigrati e della classe operaia. Secondo il Chicago Tribune erano diffusi in tutte le zone della città (Chicago Tribune, 1907, p. 3): agli inizi del 1907 i
fatto che le sale erano buie, poco sorvegliate e aperte ai bambini più piccoli, prive di una qualunque selezione del pubblico; per questo si insistette affinché nel 1907 fosse emanata la prima legge sulla censura nel cinema che dava alla polizia la possibilità di intervenire rispetto alla nudità o a scene di sesso, mentre il tema della violenza restava esterno all’intervento legislativo (de Kowen Bowen, 1911).
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teatri in città sono almeno 158, diventando più di 430 nel 1908, mentre quasi 20 teatri di varietà hanno in programma film (1907, p. 32). Secondo un’altra indagine, nel 1899 i teatri sono 1909 con una capacità di 93 mila posti (de Kowen Bowen, 1914, p. 13), mentre, secondo un social worker, a Chicago ogni giorno circa 200 mila persone assistono agli spettacoli teatrali (Palmer, 1909, p. 236). Quel dato corrisponde, a livello nazionale, a una ipotesi di un numero da tre a cinque mila teatri con una frequenza giornaliera di un pubblico aggirantesi su circa due milioni di spettatori (^, 1907, p. 33). Questo successo è strettamente collegato allo sviluppo urbano e demografico di Chicago e all’arrivo di un numero molto alto di immigrati che all’epoca rappresentano più del 35% dell’intera popolazione urbana (Rabinovitz, cit., p. 110, fonte U.S. Bureau of Census 1913)10. Ma più in generale tutta la realtà ricompresa nella sfera del nuovo individualismo, prodotto della città e dei suoi ritmi inediti, apre a una socializzazione senza precedenti, scarsamente comprensibile dai valori tradizionali, legandosi a immagini, vocazioni, espressioni, desideri degli individui; e quando non se ne riesce a comprendere origine e
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Del resto nell’estate del 1907 anche la Hull-House, grazie al contributo di Carl Laemmle, apre un proprio teatro da cinque centesimi, i cui contenuti rispetto agli spettacoli e alle gestione sono ovviamente controllati e legati alla vita delle popolazioni immigrate che ne costituiscono nello stesso tempo gli spettatori, e che deve lottare “contro il senso comune che associa l’idea di teatro a poco prezzo con spettacoli volgari e indegni di essere visti” (Addams, 1907, p. 10).
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