FABIO CHIRIATTI
LO SCANNATOIO DEL LUNEDÌ
Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le) Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel e Fax 0832 801528 www.kurumuny.it – info@kurumuny.it ISBN 978-88-98773-12-1 © Edizioni Kurumuny – 2015
Indice
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Cercarsi, altrove di Renata M. Molinari
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MaPPughE
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I SaBurChI
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CaSCa La TErra
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Cercarsi, altrove
“Se un giorno non mi trovassi più, non saprei dove andarmi a cercare”: possiamo prendere questa considerazione – espressa dalla voce protagonista di Mappughe – come il filo rosso che lega i personaggi dei testi qui raccolti, Mappughe, appunto, I Saburchi e Casca la terra. Tre storie di spaesamento, in cui l’impianto drammaturgico e la lingua scenica, molto diversi da un testo all’altro, trascinano inesorabilmente il lettore-spettatore verso l’altrove in cui sarebbe possibile – è stato possibile, forse sarà possibile – trovare quiete, se non pace. C’è stata e forse continua ad esserci, da qualche parte, un’integrità perduta, un’appartenenza appena percepita, una possibilità di vivere generando e sentendosi generati. La lingua e il corpo portano i segni di questo altrove e si fanno strumenti per la sua esplorazione, adesso, qui. Il corpo si smembra e la lingua cerca di dire queste lacerazioni – vere e proprie mutilazioni – di raccontarle, trovando un arco temporale che dia senso a quanto è accaduto: “Ma il mio corpo finisce sempre col ritornare, sembra non ne possa fare a meno...”. E noi restiamo fuori dal racconto, possiamo solo sentire e risentire i morsi dello smembramento. Il corpo torna per farci sentire la ferita. Sono motivi permanenti, morso e ri-morso, nel Salento di Fabio Chiriatti, e non ci stupisce ritrovarli in drammaturgie dall’impianto così contemporaneo, quasi partiture gestuali, come accade in Mappughe; sono la precondizione per dire questa condizione di modernità: “Cammini, senti ancora gli stessi sassi di sempre”. C’è sempre un rituale cercato ed evocato nell’ostinazione dei gesti
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quotidiani: il rituale del caffè, per esempio; contare il tempo e i sentimenti in tazzine da caffè. un rituale ossessivamente ripetuto e raccontato, magari nella speranza che a forza di ripeterlo, quel rituale del caffè, le labbra possano trovare un altro senso e approdare a un altro racconto. Certo è difficile, sono rituali più vicini a disturbo individuale che alla condivisione: ma a volte bisogna dimenticare una lingua per poterla ritrovare. Non ha dimenticato la sua lingua Lamara, la protagonista de I Saburchi. Qui l’impianto drammaturgico è più consolidato, così come è più esplicito l’arco temporale e i personaggi più riconoscibili, magari anche attraverso gli stereotipi. La lingua e il corpo aprono squarci sull’altrove, lo rendono presente, anche solo per immagini o frammenti di storie; ma non lo raccontano mai fino in fondo, spesso non ne sono capaci, oppure non osano; forse non lo colgono in tutta la sua valenza, questo altrove che non li lascia mai. I corpi e la lingua nell’intreccio di storie di Lamara sono spesso ibridi, frutto di interventi artificiali, di genealogie intrecciate e di sedimentazioni casuali, anche. Il corpo qui è merce di scambio, luogo di battaglia, pegno per un senso da trovare, da dire. E il suo smembramento, il suo ricostruirsi sembra fare tutt’uno con la ricerca di una via propria, verso il racconto di sé: “Prenditi una parte di me. un occhio, una mano”, dice Lamara, pregando la Madonna. In questo “cercare di dirsi” lo sviluppo narrativo si intreccia con la scansione rituale della preghiera, con il tempo dell’anno liturgico, trova il suo senso nel diventare preghiera, “preghiera carnale”, come qualcuno dice, a teatro. La preghiera è il vero altrove di Lamara, così come le settimane della liturgia, le ore della giornata (Compieta, Vespro, Terza ora) sono l’altrove di questa struttura drammaturgica. Certo, c’è anche un altrove narrativo, bizzarramente narrativo: l’americano, viene da Milano, a Milano “fu” la protagonista, nell’ante-
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fatto delle nostra storia: “Maria mia, fui a Milano io e mo’, sia come sia, sto qua, inginocchiata davanti a te.” C’è un altrove, sempre, un altro tempo e un altro luogo... Milano, quando c’era lui, il passato, il futuro... Ma cosa sentiamo più lontano: Milano o quel passato remoto che denuncia per sempre un’altra appartenenza? La preghiera è il luogo e la forma nella quale Lamara può finalmente raccontarsi: “Quando io sono diventata io, Maria mia; quando uno fa una scelta come l’ho fatta io, allora...”. E quando il suo corpo si ritrova, lo fa nella celebrazione del Corpus Domini: “adesso io sono io, sono il corpo che abito e che mi ha vestito, l’unica cosa che tengo. L’unica cosa che è mia, solo mia...”. Ma quale lingua possono parlare i personaggi di Casca la terra? Sono due diciannovenni o poco più, due “vecchi” di una trentina d’anni, un figlio che non c’è, forse che non può esserci. Qui sembra non esserci un altrove, rispetto ai non luoghi abitati dai personaggi: l’altrove è lo spazio d’azione, la lingua si declina secondo i rituali ossessivi del non senso quotidiano; sono ossessioni gli uccelli che cantano, i piccioni morti, l’amore-odio per i genitori, le fantasie di morte, le fantasie di vita – “Fra i vivi e i morti, chi sta meglio?” – la postazione al call center, la lista degli oggetti, dio, un figlio, quelli che vogliono salvarti per forza, le amiche che ce l’hanno fatta, almeno così dicono. La lingua non rimanda a nient’altro che ai non luoghi di queste esistenze e i corpi sembrano esistere solo come ricettacoli provvisori di queste ossessioni; lo stesso interrogarsi sulla propria condizione viene assorbito nell’inutilità di un dire senza vita.
Cosa farai quando sarò morto? Perché, ora non lo sei? aDrIaN Non ci sono riuscito. raQuEL Continuerò a parlarti (pausa). Credo. aDrIaN Come se nulla fosse? aDrIaN
raQuEL
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Sei morto, sono vecchia. Che differenza vuoi che faccia. Nessuna. raQuEL Infatti. raQuEL aDrIaN
Manca la lingua per dire la propria vita, la propria morte: Come sei morto? a te come sarebbe piaciuto? raQuEL Parli di me o di te? aDrIa Di me. raQuEL Non so. raQuEL aDrIaN
Il corpo stesso sembra risucchiato dalle parole che, ossessivamente, ripetono la sua impossibilità: l’impossibilità di generare, l’impossibilità di morire, l’impossibilità di trasmettere la vita di generazione in generazione.
Renata M. Molinari
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MAPPUGHE
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MaPPugghE è stato rappresentato per la prima volta al PimOff di Milano, il primo ottobre 2010 col titolo di Mappughje. Con Chiara Michelini e Maria Cristina Valentini. regia di Stefano Mazzotta ed Emanuele Sciannamea, collaborazione alla regia Martim Pedroso. Luci Stefano Mazzotta. Video Emanuele Sciannamea. Progetto scenografio Cie. Zerogrammi. Produzione Zerogrammi, Coproduzione PIM Spazio scenico Milano, Centro de artes performativas do algrve Davir Capa (Pt), O Espaco do Tempo (Pt). Con il sostegno della regione Piemonte e il Ministero per i Beni e le attività Culturali. Testo vincitore del “Premio raduga – Conoscere Eurasia 2013”. Prima edizione, Almanacco Letterario, Conoscere Eurasia Edizioni, Verona 2013.
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Io a volte devo controllare di esserci tutta, ma tutta davvero. Perché se un giorno non mi trovassi più, non saprei dove andarmi a cercare, in quale cassetto, in quale armadio, in fondo a quale scatola potrei cercarmi, se non mi trovassi più. ammesso di essere in grado di andare da qualche parte. una si sveglia una mattina, si guarda intorno e pensa: questa sono io, questo è il mio corpo, questo è quello che ho per vivere, questa sono sempre stata io, io sarò per sempre questa. Io a volte devo controllare di esserci tutta, ma tutta davvero. Perché se un giorno non mi trovassi più, non saprei dove andarmi a cercare, in quale cassetto, in quale armadio, in fondo a quale scatola potrei cercarmi, se non mi trovassi più. ammesso di essere in grado di andare da qualche parte. Se un giorno perdessi una mano me ne accorgerei subito: con una sola mano farei molta fatica. a volte lo faccio, per esercitarmi nel caso dovesse davvero succedere. Ma se un giorno, mentre una se ne sta lì, si accorge di aver perso una gamba, allora è difficile che si possa ricordare dove l’ha messa, perché muoversi diventerebbe complicato. E più passa il tempo più il ricordo si farebbe lontano e confuso, finchè un giorno ti alzi convinta di essere sempre stata così, senza una gamba, e non ricordandotene più, non potresti sentirne la mancanza. Non te ne accorgeresti più di essere rimasta senza, sarebbe normale, non ti chiederesti nemmeno perché i pantaloni hanno spazio per due gambe. Cosa vuoi che importi a una dei pantaloni quando è arri-
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vata a dimenticarsi di aver avuto due gambe? una si reinventa! Prendi il caffè, per esempio. Il caffè, in sé e per sé, è una cosa della quale uno può anche fare a meno, ma una mattina ti svegli e ti trovi a pensare a tutti quei caffè che potresti non aver preso, perché magari eri impegnata in altro, perché magari pensavi al caffè come a un premio da meritare. una mattina ti alzi e ti scopri a desiderare di bere quanti più caffè riesci, senza star lì a contare quanto tempo passi tra un caffè e l’altro. un caffè ogni volta che uno ne ha voglia. Scegli le tazzine più adatte al momento, il piattino, non per forza in coordinato, anzi, quando succede di avere un piattino rosso e una tazzina blu, mi sembra sempre un’enorme possibilità, mi sembra che si apra un mondo, in cui non devi scegliere, se non il cucchiaino. Che cucchiaino abbini a una tazzina blu e a un piatto rosso? Per comodità una potrebbe prendere dei servizi tutti uguali, magari tutti bianchi, magari con i cucchiaini colorati, così per spezzare un po’, ma io preferisco i servizi spaiati. Ma vuoi mettere quella gradevole sensazione di lieve imbarazzo, magari davanti a un ospite, magari anche importante, magari sei lì, con tutte queste tazze tutte spaiate e ti trovi a bere il caffè, come fai di solito, come fosse la cosa più naturale di questo mondo. è la possibilità di una scoperta. Come capire che scarpe mettere la mattina. Davanti allo specchio mi guardo, faccio le prove e cerco di capire: tacco alto, basso, sandali, décolletés, alla schiava, espadrillas, ballerine, anfibi, sabot, plateaux, tacco cinque, tacco otto, tacco dodici, tacco quindici, tacco... tacco... Meglio senza! Oppure, un paio di scarpe per ogni ora della giornata. a volte tutto questo mi fa ridere tanto, altre, invece, mi sembra che sia una cosa molto seria. a volte, mi metto a guardare la questione da un altro punto di vista: dal punto di vista delle scarpe, per esempio. E mi chiedo se a loro piacerebbe essere indossate quella mattina, con il sole a camminare sulla spiaggia o con la pioggia e impantanarsi
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tutte; mi chiedo se per loro non sarebbe meglio rimanere nella loro scatola, in fondo all’armadio. Con le mie mani, magari. O con i miei capelli che dormono ancora sul cuscino. a volte concedo loro di andare via, di partire, di fare la loro esperienza e di tornare da me. Ma il mio corpo finisce sempre col ritornare, sembra non ne possa fare a meno, a volte rimprovero la mia mano, per essere stata via troppo a lungo. altre mi sembra che non abbia colto l’occasione per starmi lontana un altro po’. Non è un fatto di simpatia o antipatia, non provo questo tipo di sentimento, non per le mie mani, nemmeno per le mie scarpe. Forse solo per le tazzine da caffè, solo per quelle. Le cerco, le accudisco, le curo, le lecco tutte, intorno intorno il bordo, per far capire loro che non faccio preferenza, bevo un sorso da un lato un sorso dall’altro e così, senza pensarci troppo su, infilo la lingua fino in fondo per leccare i granelli di zucchero che si mescolano con la posa del caffè. Quando le mie orecchie non sono lontane dalla mia testa, perché, questo va detto, a loro piace a volte mettersi al posto dei piedi, o delle ginocchia e allora non funzionano tanto bene, ma quando le mie orecchie sono al loro posto, allora sentono il lavandino che perde. Che eroe quel lavandino. Va avanti tutto il giorno a gocciolare. Tutto il giorno senza mai fermarsi, un plic dietro l’altro. Plic. Plic. Plic. Plic. Ci si poteva contare il tempo che passava. Il tempo che mi separava dal prossimo momento di felicità. Mi sono persa dentro quella sua pervicace ostinazione, al punto che ogni plic mi sembrava un costante invito a essere felice, allora il mio lavandino è diventato il mio eroe, perché tutto il giorno mi ricordava i momenti in cui potevo essere felice. La cosa potrebbe essere anche irritante alle volte, perché ci sono mattine in cui una davvero avrebbe voglia di tutto tranne che di essere felice. Che una vorrebbe rimanersene a letto, come i suoi capelli, o andare, che so io,
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I SABURCHI
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I Saburchi sono, nel dialetto salentino, i Sepolcri che vengono allestiti per addobbare le chiese durante la Settimana Santa, in previsione della Pasqua. Si precisa che alcune espressioni o locuzioni presenti nel testo, pur avendo una matrice dialettale, non sono da intendersi come appartenenti al dialetto, inteso come lingua parlata, quanto afferenti a una sorta di lingua “inventata”, che mutua parole e locuzioni dal dialetto, traslandone il senso e il significato. Pertanto, in coda è presente un glossario con la traslitterazione di tali forme.
La giuria del Premio hystrio – Scritture di Scena, composta da antonio Latella (presidente), Fabrizio Caleffi, Claudia Cannella, renato gabrielli, Domenico rigotti, roberto rizzente e Diego Vincenti, ha deciso di segnalare I Saburchi di Fabio Chiriatti, “per la solidità dell’impianto drammaturgico e per la bella invenzione di una lingua teatrale che ibrida fantasiosamente italiano e dialetto, efficace soprattutto nel dare intensa credibilità alla protagonista Lamara, transessuale di cinquantaquattro anni, eroina e martire al centro di un mondo dalle tinte vagamente fassbinderiane”.
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Personaggi LaMara: transessuale di cinquantaquattro anni. MarIa: figlioccia di Lamara, sua sorella germana, di diciotto anni. rINO: figlio di gino, tuttofare di Lamara, di ventidue anni. L’aMErICaNO: amico di vecchia data di Lamara, di sessant’anni circa.
La scena è ambientata davanti casa di Lamara: uno spiazzo tra due vicoli, quello di sinistra conduce alla piazza principale, quello di destra termina in una sorta di corridoio di mattoni e porta a una piazza più grande, dove c’è il convento delle Carmelitane e la chiesa annessa. La casa è nell’angolo a sinistra; di fronte al portone d’ingresso c’è un salotto composto da un vecchio divano, proprietà esclusiva di Lamara, una cassetta di plastica che funge da tavolino e una sedia. Nell’angolo a destra c’è l’altare privato della Madonna del Carmelo. Il divano è posizionato in modo da poter comunque guardare l’altare. Siamo nella prima metà degli anni Novanta.
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Prologo
Mattina, molto presto. Arriva Rino, ha in mano un pacco. Lamara accende un cero e poi si siede sul suo divano. (Aprendo il pacco) Svizzere? rINO albanesi. LaMara (Stizzita, apre la stecca di sigarette; afferra un pacco e lo apre, poi prende una sigaretta e l’annusa) Madonna del Carmelo! Queste niente valgono. rINO Le svizzere qua non arrivano. LaMara a Milano... mi immagino che vai e vieni che fanno dalla Svizzera, mi immagino. rINO hanno aumentato i controlli. LaMara (Scoppiando a ridere) E che fa? Secondo te a me un controllo mi mette paura? rINO alla dogana... LaMara (Interrompendolo) a me non mi fermano mica e, se mi fermano, so io come fare. rINO a te niente ti fa paura. LaMara Non dire sai. Non dire. rINO E di cosa ti metti paura tu? LaMara (Ritornando alle sigarette) Madonna del Carmelo, con queste non ci facciamo niente... a quanto le abbiamo messe finchÊ a mo’? rINO Ventimila. La stecca. LaMara Mettile a venticinque. rINO (Giustificandosi) albanesi sono. LaMara E tu non dirlo. LaMara
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E se chiedono? (Seria) Chi chiede? Chi ti chiede niente? è un mese che di sigarette in giro non ce ne stanno. rINO Se va avanti così ci sistemiamo tutti. LaMara E come no? Se continuiamo a metterle a questo prezzo non arrivo nemmeno a una tovaglia per l’altare della Madonna del Carmelo. (Pausa) rino, le svizzere, le svizzere mi devi portare. Se tu mi porti le svizzere io le metto a trenta la stecca e poi via a salire e allora sì, incominciamo a ragionare, ma se tu continui a portarmi queste merde albanesi... rINO Quelle fino a qua non arrivano, si fermano prima a Milano e poi a Napoli. LaMara Eh, se stavo a Milano mo’... altro che trentamila, a cinquantamila le mettevo... se stavo a Milano mo’ io... (Si sente il verso di una civetta, Lamara si interrompe bruscamente) Madonna del Carmelo! (Pausa) Che c’è scritto sul giornale? rINO Non hanno concluso niente. LaMara Stanno ancora in alto mare. rINO Così pare. LaMara (Pensierosa) Bene, bene. rino: le svizzere, voglio. Mi hai capito? Le svizzere. Qualsiasi cosa, faccio qualsiasi cosa, ma voglio le svizzere. Se me le porti, sistemo tutto, tutto quello che mi è rimasto da sistemare. rINO (Esitando) ...C’è uno... un forestiero... LaMara Che uno? Chi è questo? rINO Non so. Non lo conosco. Finché a mo’ non gli ho mai chiesto di parlarci. LaMara Da dove? rINO Milano, mi hanno detto. Mo’ mo’ è arrivato. LaMara E non ci hai ancora parlato? rINO No. rINO
LaMara
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Bravo figlio, vedi? Tu così mi devi rimanere, così. L’ho giurato. Mandamelo a me, quest’uno. Digli che sono io che gli voglio parlare.
LaMara
Rino annuisce. E mo’ vai che si è fatto tardi. Devo fare il giro. rINO Non è il giorno degli affitti oggi. LaMara Oggi è il giorno che è. Le case sono mie e so io quando è il giorno che vado a chiedere l’affitto. rINO E se non ce li hanno? LaMara E che fa? Mi metto seduta comoda comoda sul meglio divano che c’è e aspetto. E vedi che i soldi li cacano. Li cacano sempre. rINO Non c’hai paura? LaMara Eh, paura... figurati se mi mettono paura quattro albanesi e due marocchini... che fanno, mi pigliano a botte? E io li piglio a botte più forte. Cacciano fuori i coltelli? Le pistole e i cannoni? E io li lascio sparare. E se mi sparano, almeno, l’ho voluto io. rINO Portami con te. LaMara Tu pensa a trovare le svizzere. Che questa non è cosa per te. rINO Perché? LaMara guardami. guardami negli occhi. Che vedi? rino, che vedi? rINO ...Non so... LaMara Io se guardo nei tuoi sai che vedo? Vedo che hai ancora paura. rINO (Scattando) Non è vero! LaMara (Ridendo) è una cosa buona. Tu così hai da essere. uno buono. L’ho promesso, rino, l’ho promesso alle ossa di tuo LaMara
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padre e di tua madre. uno buono per le sigarette. LaMara No. Non sigarette... le svizzere. rINO Maria c’è? LaMara Maria? Quella sta già alla messa, lo sai. rino, è tardi mo’, vai. rINO
Rino si allontana verso la piazza. Si sente di nuovo la civetta cantare. Lamara sospira. .
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Primo atto
Pomeriggio. Lamara entra, va all’altare della Madonna del Carmelo. Non c’ho più il cuore di fare certe cose. Sedermi e aspettare che finiscono con i pianti, con le mosse, con gli strilli, finché non cacano fuori i soldi... (Verso casa) Maria? Maria? Vieni qua! Maria? Ci stai?
LaMara
Nessuno risponde. Maria? Ma dove stai? Vieni qua, che ti devo dire. Maria? Mi hai sentito? MarIa (Uscendo di casa) Eh, che è che gridi così? Stai male? Che c’hai? LaMara Maria! Dove stavi? MarIa Mi preparavo per andare al rosario. LaMara E vai, vai, che si fa tardi. LaMara
Maria fa per andare verso la chiesa. (Bloccandola) E, dopo che hai detto il rosario, accendi un cero all’altare della Madonna, anzi due. uno per la salvezza dell’anima mia e uno per quella lingua svergognata che ti sta venendo fuori. Va bene che stai crescendo, figlia mia, ma non è che mi devi fare morire di crepacuore. MarIa I soldi per l’offerta. LaMara (Dandole delle monete) Se in chiesa vedi la Suliena digli che voglio fare un’ordinazione: una tovaglia per la festa della LaMara
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Madonna del Carmelo. Da mo’ finché alla festa? LaMara (Spazientita) Che crepazione che sei. La Suliena ha tante di quelle ordinazioni che, se una non si sbriga mo’ a farla, quella non gliela fa nemmeno per la Festa dell’anno dopo... MarIa E come mai quest’anno ti sei decisa così? LaMara Vai in chiesa che si fa tardi e, se vedi la Suliena, digli che la voglio fina fina, fina come una pelle, tutta un ricamo la voglio... e di organza la voglio. MarIa E questa non è una tovaglia: questa una camicia di morto è. Stai male? LaMara (Facendo gli scongiuri) Tu pensa a fare l’ordinazione alla Suliena e al resto lascia che ci pensa la Madonna. Sa Lei quand’è il momento della camicia di morto, per mo’ la tovaglia è per l’altare della Madonna del Carmelo. MarIa Solo per l’altare della Madonna? LaMara Non castimare. Dell’altare della Madonna del Carmelo, nel giorno santissimo della Sua incoronazione parliamo. MarIa Finché qualcuno ti caca i soldi... LaMara Non castimare, Maria, non castimare, dalla bocca tua certe parole non devono uscire, anzi, nemmanco dovresti farli certi pensieri. Mi hai capito? MarIa
Maria non risponde. LaMara
Mi hai capito?
Maria annuisce. E mo’ scappa alla messa, che si fa tardi. E quando vedi rino digli che gli devo dire. E non ti dimenticare dei ceri, figlia
LaMara
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mia, che per quella testa ti camminano certi pensieri che non mi piacciono. MarIa (Andandosene via) Figlia a te sono.
Preghiera del Vespro (Alla statua della Madonna) Quando io sono diventata io, Maria mia; quando uno fa una scelta come l’ho fatta io, allora lo metti a conto. Lo metti a conto e lo accetti. Ma io questa figlia mia non la capisco, negli occhi gli leggo una rabbia che non so da dove gli parte. Maria mia, ‘nsistimela tu, non me la lasciare mai sola, Maria, che Tu lo sai che se anche se nel sangue mi è sorella, io l’ho cresciuta come se fosse figlia a me, figlia a Lamara. E tu lo sai. Ma questa, Maria mia, dev’essere un’altra di quelle prove che mi mandi, per vedere se sono degna, un giorno, del Tuo regno.
LaMara
Sera. Mentre Lamara è all’altare della Madonna, entra L’Americano. Tu? Qua? avevi giurato. Ma che vale la parola tua? Quanto tempo è passato? LaMara (Frettolosa) è passato il tempo che è passato, che fa? Chi lo conta più. Con tutti i pensieri che mi camminano la testa, quasi quasi che mi scordavo di te. (Pausa) Che vuoi? L’aMErICaNO Questo sciopero è una vera benedizione, se uno ha un po’ di capitale da investire. LaMara E tu qua ce lo dovevi portare il capitale tuo? Proprio qua devi investirlo? avevi giurato che non ci ritornavi mai mai. L’aMErICaNO Qua sapevo che c’eri tu. LaMara appunto io sto qua e tu stai là, a Milano. LaMara
L’aMErICaNO
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E chi l’ha detto? Io. Io l’ho detto, quando me ne sono andata via.
L’aMErICaNO LaMara
L’Americano non risponde. Ma sia come sia, le parole tue così sono e tanto valgono. Che vuoi? L’aMErICaNO a te, voglio. LaMara è passato quel tempo. Il mio debito l’ho sanato. Se no, non mi lasciavi campare finché a mo’. avanti, che vuoi. L’aMErICaNO Se non era per me, tu non eri nemmeno tu, a quest’ora. LaMara Se non era per te? Madonna del Carmelo, ’nsistime tu. L’aMErICaNO Io ancora aspetto che ritorni. LaMara Quando ho ricevuto la lettera dovevo venire. E che ti credi, che c’ho il sangue di pietra io? Quello mi era sempre padre. anche se io ero diventata io, sotto, in profondità... (Esita) antonio rimaneva ancora. E urlava, piangeva, si batteva che doveva salutarlo il padre morente. L’aMErICaNO E l’hai salutato? Ci sei riuscita? LaMara Cammina, che vuoi? L’aMErICaNO L’hai rivisto a tuo padre? LaMara Il sangue è sempre il sangue e non si scancella. LaMara
L’Americano tira fuori una stecca di sigarette. E che ci faccio io con questa? L’aMErICaNO Mi ha detto che cerchi le svizzere. LaMara
Lamara apre la stecca di sigarette, estrae un pacchetto, lo apre e prende in mano una sigaretta.
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(Annusando la sigaretta) Madonna del Carmelo... quanto me la metti? L’aMErICaNO Cinquantamila. LaMara Ma tu si’ scemo? Cinquantamila? E io dove li vado a prendere? L’aMErICaNO Possiamo sempre aggiustarci. LaMara Quella che stai aspettando tu non c’è più, è morta, per questo non è più tornata. L’aMErICaNO allora è proprio vero che ti sei votata alla Madonna. LaMara Non castimare, lascia stare la Madonna che con questa storia non c’entra niente e dimmi, quanto me le metti? L’aMErICaNO Cinquantamila. LaMara Quante stecche ti sei portato? L’aMErICaNO Quella che vedi. LaMara (Quasi a sé) Sono l’unica che tiene le svizzere. (Pausa, poi a L’Americano) Cinquantamila? LaMara
L’Americano annuisce. Lamara prende la busta da dietro la statua della Madonna e paga L’Americano. è solo per questo che sei tornato. Solo per le sigarette. Siamo soci. alla pari.
LaMara
Lamara prende una bottiglia e due bicchieri, versa da bere prima all’ospite e poi a sé. Brindano e poi bevono. Che ti hanno detto? L’aMErICaNO a Milano nessuno ti conosce più. LaMara Qua. Voglio sapere che ti hanno detto qua. L’aMErICaNO Che ti sei convertita alla Madonna, che ti sei data all’immobiliare... LaMara
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(Sorridendo) Seh... E che nel frattempo, tanto per arrotondare, ti sei messa anche a fare la cresta su quattro marocchini e due albanesi. LaMara (Irritata) Piano piano con le parole. L’aMErICaNO Quando sei andata via ti davo un mese, un mese solo per tornare indietro... e invece... hai imparato pure tu, come fare. LaMara Dopo che una passa dalle mani tue, se non l’ammazzi tu, impara. Perché stai sicuro che una, una volta che esce dalle mani tue, ce l’ha la paura e sa come metterla alla gente. L’aMErICaNO Se non ti vedevo con questi occhi miei, non ci credevo che sei diventata così. E il ragazzo che mi hai mandato? LaMara Quello fai finta che nemmanco l’hai visto, mi sono spiegata? L’aMErICaNO Quello c’ha ancora la paura negli occhi. LaMara E tu non lo guardare. L’aMErICaNO E a quell’altra? alla ragazza? a quella la posso guardare? LaMara Ti hanno detto proprio bene... L’aMErICaNO hai proprio una bella famiglia per essere tu. LaMara (Fa una smorfia) Non credo che uno come a te certe cose le capisce. ridi. ridi pure se vuoi. Ma quelli sono figli a me e non li devi toccare. L’aMErICaNO Figli a te? LaMara Mi sono figli. Nel sangue mi sono figli. E mo’ dimmi: rimani o te ne vai? L’aMErICaNO Magari, mi converto anch’io. LaMara Madonna del Carmelo. Voglio le svizzere. Tutte le settimane. E le voglio solo io qua. Ci siamo capiti? L’aMErICaNO (Incalzandola) Ti manca mai? La vita che facevi a LaMara
L’aMErICaNO
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Milano? Ogni tanto ci penso... ma se non ricevevo la lettera, se non scendevo, non avrei mai incontrato la Madonna, e gino e nemmanco rino e la Maria... L’aMErICaNO E io? Ti manco mai? LaMara (Ridendo) Mai. L’aMErICaNO Eppure, io sto qua. E sono l’unico che ti è rimasto. LaMara No. Quella che vedi, a te non ti conosce proprio. Non ti ha mai incontrato. LaMara
L’Americano va via. Lamara rimane sola.
Preghiera della Compieta Maria mia, fui a Milano io e mo’, sia come sia, sto qua, inginocchiata davanti a te. ’Nsistici tu, Maria mia bella, che qua si vede già la maleparata.
LaMara
Si sente il verso di una civetta. Mattina. Arriva Rino. (Prende un pacchetto di sigarette dal tavolino davanti al divano) Quanto la mettiamo? LaMara Quarantamila. rINO Ma le albanesi le vendiamo a trenta. LaMara Queste le vendiamo a pacchetto. rINO Quarantamila a pacchetto... LaMara Queste non sono per i paesani, per quelli vanno bene le albanesi o le russe. Sono per li signori queste. Noi le mettiamo rINO
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a quarantamila. Se vogliono le comprano. hai visto svizzere in giro? rINO Non si trovano. LaMara appunto. Se vogliono le pagano e, se non vogliono, me le fumo io. rINO Solo una stecca c’hai? LaMara Se va bene, forse l’amico mio mi manda un’altra stecca. Che dicevano i giornali oggi? rINO Sempre lo stesso. LaMara Bene. Si vede che ancora i sensi non mi hanno abbandonato. (Rino sorride. Lamara lo guarda negli occhi) Ogni tanto, quando ti guardo come ridi, mi devo ricordare che tu sei tu e non tuo padre. rINO gli somiglio? LaMara Come un dipinto mi pari. C’hai le stesse mani e le stesse braccia. E pure la bocca, quella è come quella di tuo padre. Scolpita allo stesso modo. rINO E di mia madre? Che ho di mia madre? LaMara Lasciamo andare i morti, vuoi, rino? rINO Parliamo dei vivi allora. Dimmi perché mi hai preso quando i miei sono morti. LaMara rino, io quello che ho fatto l’ho fatto perché lo dovevo fare. è per questo che a te ti voglio pulito. Perché penso sempre che tu sei figlio a gino, ma soprattutto penso che tu sei figlio a tua madre e che lei, se poteva, ti cresceva pulito e onesto. rINO Che colpa c’hai tu? LaMara Io pure ci ho la mia colpa. rINO Lasciamo stare i morti, in pace dove stanno. LaMara Parole sante, rino. Parole sante. (Pausa) Mo’, mi raccomando. (Porgendogli la stecca) Queste svizzere sono. rINO L’amico tuo sta ancora qua?
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Dell’amico mio, tu, non te ne devi fare niente. Magari gli chiedo se mi trova un lavoro a Milano. LaMara Ti manca qualche cosa? Che pensi che trovi a Milano? L’oro alle mani? rINO Dicevo per dire. LaMara Se è solo per dire, non dire. Fai quello che ti dico io e vedi che non ti trovi pentito. rINO Levami la paura dagli occhi. LaMara Tu, per mo’, pensa alle svizzere. LaMara rINO
Rino si allontana verso la chiesa da dove sta rientrando Maria. (A Maria) La Suliena? La Suliena accetta l’ordinazione. Però vuole il pagamento anticipato. LaMara Tutto in anticipo lo vuole? MarIa ha detto che o così o niente. Dice che fa sempre così quando una gli fa l’ordinazione per la prima volta. Che non sa se poi paga o meno. E che quella di fare tutto il lavoro e di non essere pagata non vuole saperne... LaMara Sia come sia. Quanto vuole? MarIa Mezzo miglione ha detto. LaMara Mezzo miglione? Per una tovaglia? MarIa Che tu non lo sai che quella è la meglio ricamatrice che c’è? LaMara Mezzo miglione? E quando lo vuole? MarIa ha detto che quando glielo porti comincia. LaMara E quanto ci mette? Te l’ha detto? MarIa ha detto che era inutile. Che se non vedeva prima i soldi non voleva nemmanco parlare, che era fatica sprecata pure farsi i conti. LaMara Domani digli di passare da qua, che poi l’accompagni tu LaMara MarIa
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a casa. ha detto che bisogna andare a casa sua. Che finché uno non va a casa sua non si rende bene conto del lavoro che fa. LaMara Così ha detto? MarIa Così. LaMara (Cercando la complicità di Maria) Non è che questo è un modo per cacciarmi fuori a me e far entrare rino mentre non ci sto, no? MarIa (Vergognandosi) Scanza... LaMara (Seria) Lo sai che ho fatto voto. ho promesso che sistemavo le cose. MarIa Tu hai promesso, ma le cose le devo sistemare io, con lo sposalizio mio, che mi hai preparato tu. LaMara Puoi sempre prendere i voti... MarIa Prendili tu i voti! LaMara Ci ho pensato e ci ho pensato, a dire la verità, ad abbracciare la Santa Croce, di gettarmi ai piedi del Cristo morente e chiedere perdono per i miei infiniti peccati. Ci ho pensato. Ma mi pareva ’na castima troppo grande. Non mi chiamo mica Maddalena, io. Io Lamara sono e solo una cosa posso fare: tenere a mente tutti i giorni il debito mio. MarIa è passato così tanto tempo... LaMara E ti credi che la Madonna si dimentica? MarIa E chi ti dice, a te, che rino va bene per me? LaMara Io a te ti ho cresciuto, so che rino va bene per una come a te. E lo so perché anche a rino l’ho cresciuto io e io so come vi ho fatti. MarIa è vero. Per farci, ci hai fatti tu. E come passa che una come a te si doveva prendere il fastidio di crescere a due di noi? LaMara Perché, nel sangue, mi sei comunque sorella. MarIa E passa. E rino? MarIa
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Non castimare, Maria. Non castimare. (Pausa) Figlia mia... Porti certi occhi... MarIa Lasciamo andare certi discorsi. LaMara (Cercando di essere accondiscendente) Maria, attenta, ti stai facendo grande. Ma tu devi tenerti forte, devi farlo per me, se mi vuoi bene. MarIa Chi è l’amico tuo? Quello che è venuto da Milano? In chiesa lo ripetono come se era il Vangelo. LaMara Lascia andare, figlia. MarIa Che vuole da te? LaMara Lascia andare, figlia. E non badare alle chiacchiere che senti: tu per la Madonna del Carmelo vai in chiesa. LaMara
Maria entra in casa. Lamara rimane sola.
Preghiera della Sesta Ora un segno, Maria, mandami un segno, non mi lasciare in questa febbre che mi toglie il respiro, mi è figlia, mi è figlia, se non nel corpo, mi è figlia nello spirito. Prenditi una parte di me. un occhio, una mano. Metà della faccia, una gamba e se non ti basta prendimi tutta, non importa se non ho sanato il debito mio con te, non importa se non posso cantare le tue lodi in Paradiso; mandami all’Inferno che tanto, se me le fanno cantare, io le tue lodi le canto lo stesso. Prendi me, ma togli questa malombra dalla figlia mia.
LaMara
Pomeriggio tardi. Entra L’Americano, lascia un’altra stecca di svizzere. LaMara
E queste?
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Per i vecchi tempi. (Risentita) Nemmanco fumo più. L’aMErICaNO Mi sembra che non ti conosco proprio più. LaMara Infatti. Quella che conoscevi tu non c’è più. L’aMErICaNO No. Certe cose non le fai più, è vero, ma sotto sotto sei sempre tu. LaMara E tu che ne sai di come sono sotto. L’aMErICaNO Lo vedo, negli occhi hai sempre quello sguardo... LaMara La conosco questa storia. L’aMErICaNO Solo una. Se non vuoi farlo per me, fallo per quello che siamo stati a Milano. LaMara a Milano io ero uno delle tante e tu... tu eri quello che sei pure mo’. L’aMErICaNO Non ti è mai successo niente... LaMara Tutte le mazzate che ho preso le ho prese da te. L’aMErICaNO Fumatela. LaMara ho smesso. L’aMErICaNO Fumatela. LaMara ascolta. La senti? L’aMErICaNO LaMara
Si sentono i versi di una civetta. è già l’ora? LaMara La senti. L’aMErICaNO (Prende una sigaretta) a quanto le hai messe? LaMara Cinquanta. L’aMErICaNO Be’, queste puoi metterle anche a settanta se aspetti un paio di settimane. LaMara Non stiamo a Milano qua. Quando uno è disposto a fumarsi l’origano non spende cinquantamila per un pacchetto di svizzere. L’aMErICaNO
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Queste sono per un altro giro, non per i paesani. Bisogna vedere se vanno. L’aMErICaNO Vanno, basta che il ragazzo si impegna un po’ di più. LaMara a rino lo devi lasciare in pace, e pure a Maria. hai capito? Non gli devi riempire le orecchie con l’oro di Milano. L’aMErICaNO accenditi una sigaretta. LaMara (Pausa) Mio padre mi ha scancellato da tutti i calendari e, quando sono arrivata qua, nemmeno dipinta mi ha voluto vedere. L’aMErICaNO Potevi tornartene indietro. LaMara Potevo e stavo quasi. Stavo. L’aMErICaNO (Sarcastico) E poi? Ti ha fermato la Madonna? LaMara Non castimare. Con mio padre steso nel letto e quella povera scema di mia madre che aspettava quell’altra. antonio c’ha avuto il cuore di andarsene senza dire niente, di lasciarli. Che poi... che ti potevi aspettare da una che partoriva un figlio a quell’età? E meglio così. almeno, si è risparmiata la pena di sapere tutto quello che c’era da sapere. L’aMErICaNO Non sei né la prima né l’ultima. LaMara Quando sono arrivata qua pensavo di smettere, pensavo. L’aMErICaNO E di che vivevi? LaMara Mi facevo bastare quello che c’era. Poi ho scoperto che mio padre s’era bevuto, giocato e ipotecato tutto e, con tutto quello che dovevo mettere su, nemmeno avessi lavorato tutto il santo giorno ce l’avrei fatta. Ma sia come sia. alla fine ho fatto. Ci ho messo una vita, ma ho fatto e sono quasi arrivata alla fine. L’aMErICaNO (Ironico) Sì, quasi alla pensione. LaMara Non c’ho più il cuore, non c’ho più cuore di fare certe cose alla gente... mi sto facendo vecchia. rINO a certe cose posso pensarci io. LaMara Non castimare. L’aMErICaNO LaMara
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Preparati: ti porto dalla Suliena, così le dai il mezzo milione per la tovaglia.
L’aMErICaNO
Lamara lo guarda con aria interrogativa. Tua figlia parla, chiede e vuole sapere. Quasi quasi me la porto a Milano.
L’aMErICaNO
Si sentono di nuovo i versi di una civetta. La senti? L’aMErICaNO è sempre la stessa di prima. LaMara Povera quella figlia mia. LaMara
Entrambi vanno via. Mattina. Lamara è tornata al suo divano. Arriva Rino. Ti avviso: oggi non è giornata! rINO Che succede? LaMara Non ho dormito. rINO Quelli i pensieri che ti camminano la testa sono. LaMara Lascia andare, rino. Lascia andare. rINO Vuoi stenderti? LaMara No. Qua devo stare. Che qua c’ho tutto sott’occhio. rINO Ci posso stare io qua. LaMara Non è cosa per te! rINO Proviamo. LaMara (Stanca) None, rino, oggi none. rINO Solo per scherzo, magari ti passa sta maleciana. LaMara None, rino, non è giornata: tutta una febbre mi sento. LaMara
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Proviamo. (Dopo averci pensato un po’) Mettimi paura. guardami. Mettimi paura. (Rino ci prova senza riuscirci) Te l’ho detto, anche se sei grande e grosso a me non mi fai paura. (Rino continua a guardarla) Non mi scherzare, rino. Io quello sguardo lo conosco bene: è lo stesso sguardo di gino. Che certe volte, quando mi guardi, mi devo ricordare che sei rino e no gino. rINO Lascia andare. LaMara Comunque sia, rino, la paura non è una cosa per te. Piuttosto, dì una preghiera alla Madonna. rINO Tu ci credi che la Madonna perdona tutto? LaMara Solo se c’è pentimento estremo... rINO E tu? Sei pentita? LaMara Tutti i giorni mi pento della vita che ho fatto. rINO E in cos’altro gli somiglio? rINO
LaMara
Lamara lo guarda e rimane in silenzio per un po’. Le mani. hai le sue stesse mani. Le dita lunghe, il palmo largo e le stesse braccia, che a vederle non gli dai due lire due, ma io lo so che sono forti, perché sono tali e quali alle sue.
LaMara
Silenzio. E di mia madre? Di mia madre non ho niente? (Ignorando la domanda) Quando sei rimasto solo ho pensato che anche il fatto che eri così uguale identico a lui era una prova: che dovevo tenerti sotto gli occhi e vederti, ogni giorno un gesto uguale a lui, e poi la voce, e poi tutta la figura, ma ci sono giorni che penso che è pure una benedizione che mi ricordi gino mio.
rINO
LaMara
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E di mia madre che mi dici? è un altro peccato per cui chiedo perdono alla Madonna. Prego tutti i giorni per la salvezza dell’anima sua. (Pausa) Lasciamo andare i morti... vuoi? rINO Morto uno e morta l’altra... perché non mi parli di mia madre? Di lei non ho niente? gli occhi di mio padre, le mani, le braccia... e di mia madre? LaMara rino, figlio mio... rINO Io non sono figlio a te. LaMara Madonna mia bella, aiutami tu. rino, ma che ti è preso oggi? Oggi non sembri nemmanco tu. rINO E chi ti sembro? Ti sembro lui, non è vero? LaMara Ma tu ti sei impazzito, povero figlio. rINO Non sono figlio a te. LaMara Non castimare, non castimare, rino e lascia andare i morti, non castimare e di’ una preghiera alla Madonna e vedi che ti perdona, che non sei tu che parli. rINO E pensi che basta a cancellare lo schifo che mi fai tu e pure mio padre? LaMara Perché dici così? rINO Perché ti schifo. LaMara Figlio... rINO Non sono figlio a te. LaMara Potevi esserlo. rINO Sono figlio a gino: uno che è venuto con te, per desiderio di un corpo come il tuo. LaMara E sia, come sia... ha sbagliato. rINO E deve pagare. LaMara E non ti sembra che ha pagato abbastanza? Con l’umiliazione, con l’odio, col veleno che gli mostri? rINO Se è vero che la Madonna esiste... rINO
LaMara
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Non castimare, rino, non castimare. Se la Madonna esiste... non può perdonarti. LaMara Non dire così. rINO Né te né lui. LaMara Madonna del Carmelo mia bella: ’nsistime Tu. rINO Smettila, tu e la Madonna. LaMara Non castimare, rino. rINO Tu sei tutta una castima. LaMara Sine, rino. Mo’ basta però. rINO Basta quando lo dico io: che fai con mio padre? Che fai? LaMara rino. Fermati qua. rINO Che ti fa? Eh? Che ti fa? LaMara Lascia andare, rino, lascia andare che non è cosa tua. rINO Lo vedo, lo vedo come mi guardi. Così guardi a lui? LaMara rino, rino, figlio... rINO Non sono figlio a te, sono figlio a mio padre. Te lo ricordi mio padre? LaMara Lascia andare, lascia andare: non è cosa tua. rINO Tu sei tutto quello che mi ha lasciato quel miserabile di mio padre. LaMara rino, questo non sei tu, non sei tu che parli. rINO E invece sì. LaMara rino, non fare così: che poi ti trovi pentito. LaMara E poi accendo un cero alla Madonna. LaMara Lascia stare la Madonna. rINO Se perdona a te, perdona anche a me. LaMara Non castimare, rino. rINO Ti piace? Eh, gino? Ti piace? Ti piace come ti guarda? Ti piace come ti tocca? Ti piace come ti prende? LaMara rINO
Rino comincia a svestirsi e a svestire Lamara.
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rino. Lascia andare i morti... Ti piacciono le sue mani? Le sue gambe? I denti? gli occhi? I capelli? LaMara (Cercando di difendersi) rino, rino... rINO Le vene, il petto, le cosce, i peli, le dita, le sopracciglia. LaMara rino, rino... rINO Quante volte lo fa? Eh? Quante volte ti prende da dietro? O a quattro zampe? O tu davanti? Con le gambe all’aria? LaMara (Arrendendosi) gino, gino. rINO No. rino sono: il figlio di gino. E voglio l’unica cosa merdosa che mio padre mi ha lasciato. LaMara (Rivestendosi) Tu non sei proprio figlio a lui. Tu non sei figlio più a nessuno. E mo’ prendi e vattene. rINO (Finisce di vestirsi, poi prende dalla tasca una busta e gliela porge) Sono quelli delle svizzere. LaMara Tienili tu. rINO roba tua è. LaMara Tienili tu. LaMara rINO
Rino guarda Lamara. Non ci sono più. Negli occhi tuoi non ci sono più né tuo padre né tua madre. Li hai scancellati. rINO (Minaccioso) E la paura? La vedi più quella? LaMara (Guardandolo fisso negli occhi) a te non ti voglio vedere nemmanco dipinto. (Pausa) Per una cosa sola devi tornare: le svizzere. LaMara
Rino va via. Lamara rimane sola.
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CASCA LA TERRA
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Personaggi MagDaLaINE: ragazza di diciannove anni JONa: poco più grande di lei aDrIaN e raQuEL: due ‘vecchi’ di trenta
La scena è ambientata in un interno. Sembra il deposito di un capannone industriale, riadibito a spazio domestico. In sottofondo si sente continuamente il cinguettio di uccelli. La ragazza è seduta in poltrona, mangia cibo per gatti, direttamente dalla confezione. Sotto un cumulo di abiti e cappotti c’è la vecchia raquel, mentre adrian si aggira senza sosta per la stanza, non parlando con nessuno e non guardando nessuno se non raquel. Jona entra, ha con sé dei giornali che lascia vicino alla poltrona di Magdalaine. Senza salutare nessuno, si mette a riparare delle vecchie luminarie natalizie. La ragazza prende un giornale.
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è nel buio. Nel buio, capisci? (Pausa) Merdoso figlio di puttana. Il mio bambino. è nel buio. Mi divora. JONa hai detto “il mio”. MagDaLaINE Tu mi fai incazzare. JONa Non è un motivo valido per tagliarmi fuori. MagDaLaINE Non sei così utile. JONa Vuoi mandarmi via? MagDaLaINE Che hai fatto oggi? MagDaLaINE
Senza distogliere l’attenzione da quello che sta facendo, Jona le porge qualcosa. Sembra un uccello morto. (Delusa) Sei sempre capace di portare un pelo più giù la mia stima nei tuoi confronti. Come puoi sopportare, come? Come puoi permettere all’inutile uomo che sei un altro respiro? (Silenzio) Ti senti? respiri e lo hai rubato al nostro bambino questo respiro. JONa Tu cosa hai fatto? MagDaLaINE Io sono qui. Pronta. aspetto che venga da me. Questo è il mio compito. JONa Non possiamo fare come lo fanno tutti? MagDaLaINE Se volessi un figlio come tutti, uno di quelli che ti fermano per strada a farti i complimenti, “Signora, ma che bel bambino”. Se lo volessi come tutti, credi che lo farei con un merdoso figlio di puttana come te? Non sei la persona più adatta a mettere al mondo mio figlio. JONa Continui a dire “mio”. MagDaLaINE (Irritata) E tu continui a ricordarmelo. JONa Sono quegli uccelli schifosi. Non dormono mai. MagDaLaINE (Afferra una mano di Jona e se la porta sulla pancia) Senti niente? MagDaLaINE
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Jona cerca di ascoltare meglio muovendo la mano. MagDaLaINE
allora? Senti niente?
Jona scuote il capo. Ecco, se fossi tu l’uomo destinato a questo progetto, lo sentiresti. Sentiresti il mio bambino che dal buio mi chiama. JONa Nostro. Nostro. MagDaLaINE Se fosse nostro lo sentiresti anche tu. JONa (Riferito agli uccelli) Mi distraggono. MagDaLaINE Per questo li fai fuori? JONa Pensavo fosse un buon inizio. Per il piano. MagDaLaINE
Da sotto le coperte si sente tossire. (Guardando le coperte) uccidi quella e prendi la sua sedia. Non so se è una buona idea. MagDaLaINE hai mai ucciso qualcuno? JONa a parte i piccioni? una volta. MagDaLaINE Non ti credo. MagDaLaINE JONa
Pausa Ok, ci sono andato molto vicino. Quanto vicino? JONa Quanto basta per far fuori quei maledetti piccioni lì fuori. MagDaLaINE racconta. JONa Preferirei di no. MagDaLaINE racconta. JONa Non sono discorsi da fare. JONa
MagDaLaINE
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Pausa MagDaLaINE
Quando eri piccolo, chi volevi morisse per primo?
Jona, imbarazzato, non risponde. Tuo padre o tua madre? JONa Non pensavo certe cose. MagDaLaINE Tutti i bambini sani di mente le pensano. MagDaLaINE
Pausa ho sempre sperato che il primo a morire fosse mio padre. JONa PerchĂŠ? MagDaLaINE Se fosse morta prima mia madre, avrei dovuto sostituirla. JONa Leggi troppe schifezze di autori contemporanei. MagDaLaINE (Improvvisamente) Slaccia la cintura. MagDaLaINE
Jona obbedisce senza fare domande. MagDaLaINE
Sbottona i pantaloni.
Jona obbedisce. MagDaLaINE
abbassali, ora.
Jona obbedisce. MagDaLaINE
Le mutande.
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JONa
No.
Come? JONa No, le mutande no. MagDaLaINE Sì, le mutande. Subito. MagDaLaINE
Jona obbedisce riluttante. MagDaLaINE
E ora vieni qui.
Jona obbedisce e si avvicina. Magdalaine lo aiuta a stendersi bocconi sulle sue ginocchia; gli accarezza le natiche, come per riscaldarle. Poi, all’improvviso, lo sculaccia forte. Jona urla. Questo è per avermi deluso. Questo perché sei un inutile coglione.
MagDaLaINE
Jona urla ancora, Magdalaine lo picchia. Sei una merda umana e non meriti di vivere. (Pausa, poi Magdalaine riprende con estrema naturalezza) hai mai sognato di ucciderli? JONa I miei sono morti. MagDaLaINE Non dico ora. Da ragazzino. JONa No. MagDaLaINE Tu non devi avere avuto una vita normale. JONa Tuo padre ti trattava male? MagDaLaINE Ero la principessa di papà. JONa Ti ha mai picchiata? MagDaLaINE Nemmeno una cazzo di sberla. JONa Perché lo volevi uccidere, allora? MagDaLaINE Perché è divertente. MagDaLaINE
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(Alzandosi e rivestendosi) No. Non lo è. Tu come lo sai? JONa Non posso dirtelo. MagDaLaINE (Seria) Dimmelo, ti prego. JONa Non me lo ricordo. Sono gli uccelli. Invadono tutti i miei pensieri. Non smettono mai. MagDaLaINE Li hai mai sognati? JONa
MagDaLaINE
Jona sembra rifletterci su. Nemmeno tua madre? JONa (Dopo un attimo) Lei no. Credo di non averla mai sognata. MagDaLaINE Si vede che non ti voleva bene. JONa Lo dici solo per ferirmi. MagDaLaINE Lo penso. JONa Tu hai mai sognato tuo padre? MagDaLaINE Io non gli ho mai voluto bene. JONa E cosa sogni? MagDaLaINE Il nostro bambino è al buio, ha paura. MagDaLaINE
Jona non risponde. Cosa puoi fare per lui? JONa Come fai a sapere che è maschio? MagDaLaINE una madre certe cose le sa e basta. JONa Sei incinta? MagDaLaINE No. JONa allora non puoi essere madre. MagDaLaINE Vattene. JONa Come? MagDaLaINE Fuori dai coglioni. MagDaLaINE
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ragionavo. Se dovessimo stare al tuo ragionamento, non sarei mai incinta. JONa Per essere incinta dovremmo fare cose che tu non vuoi. MagDaLaINE Vattene, tu non hai fede. JONa Sono gli uccelli, mi tolgono anche quella. MagDaLaINE hai letto la Bibbia? JONa No. MagDaLaINE è piena di cose che il ragionamento vieterebbe, eppure accadono. JONa Tu l’hai letta? MagDaLaINE (Seria) Certo che no. JONa E come fai a sapere certe cose? MagDaLaINE (Ironica) Perché sento le voci... ma tu non sei andato al catechismo? JONa Mia madre non voleva. MagDaLaINE Starà bruciando all’inferno. JONa Dici? MagDaLaINE Sono sicura. JONa Speriamo di no. MagDaLaINE Che ti frega? Non le hai mai voluto bene. JONa E a te chi te lo ha detto? MagDaLaINE Non ti sei nemmeno disturbato a sognarla. Quanti anni sono che è morta? Sei? Sette? JONa (Amaro) Io la odiavo, è vero. MagDaLaINE Dovresti darti fuoco. JONa Pensi che questo possa essere utile al piano? MagDaLaINE al piano non so. Può essere utile a me. JONa
MagDaLaINE
Magdalaine tira fuori una moneta dalla tasca e la lancia a Jona.
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(Guardando la moneta) Che ci dovrei fare? è per la benzina. Pensi che non bastino? (Lo incalza) Tu non ne hai? JONa (Frugando nelle tasche) Sì. MagDaLaINE Bene! Vedrai, è un ottimo investimento. JONa La benzina? MagDaLaINE Il tuo sacrificio. JONa Sei seria? MagDaLaINE (Seria) Vuoi che questo sia un posto migliore per nostro figlio? JONa Sì. MagDaLaINE Soprattutto, vuoi un figlio? JONa Vorrei anche che il figlio conoscesse il padre. MagDaLaINE Egoista. JONa Come? MagDaLaINE No, per favore. Non lo fare. Non fare quello che non capisce. Tu sei un egoista. Non solo tu non vuoi un figlio. Ma non vuoi neppure cambiare il mondo. JONa Solo perché ho qualche problema a darmi fuoco? MagDaLaINE No. Non è solo questo. è peggio. Il fatto non è che tu hai problemi a darti fuoco, è che non accetti la tua missione. JONa Non è vero. MagDaLaINE Piagnucoli come una checca isterica. JONa Vuoi che mi dia fuoco? MagDaLaINE Sì. JONa E va bene, lo faccio. MagDaLaINE Davvero? JONa Davvero. (Pausa) Però... MagDaLaINE Eccolo lì, il “però”. JONa Se non funziona? MagDaLaINE Cosa? JONa
MagDaLaINE
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Se non viene? Se rimane al buio? allora, che si fa? Come che si fa? JONa Io sarò morto. MagDaLaINE Potresti fare come il padre di gesù. JONa Il falegname? MagDaLaINE Quello scompare, muore dopo pochi anni. JONa Come muore? MagDaLaINE Non mi ricordo. JONa E non viene resuscitato? MagDaLaINE Figurati... JONa Figurati sì o figurati no? MagDaLaINE Tu prenderesti il fastidio di resuscitare tuo padre? JONa
MagDaLaINE
Jona non risponde. Viva Dio, in questo sei normale. Secondo te, perché gesù avrebbe dovuto? JONa Con Lazzaro l’ha fatto. MagDaLaINE è diverso, Lazzaro è venuto dopo. Si vede che quando è morto suo padre ancora non aveva quel superpotere. JONa Può essere che l’abbia sviluppato dopo. MagDaLaINE In ogni caso, non avrebbe salvato suo padre. JONa Perché no? MagDaLaINE Perché no. JONa Ma con la Madonna? MagDaLaINE No, aspetta. Quella è tutta un’altra storia. JONa raccontamela. MagDaLaINE Lì era già morto. JONa giuseppe? MagDaLaINE gesù. Lei è morta dopo di Lui. Quindi non conta. JONa Dici che quello che si fa da morti non conta più? MagDaLaINE
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Quando uno è morto, è morto. Fra i vivi e i morti, chi sta meglio? MagDaLaINE è difficile dirlo. JONa Insomma, i vivi... sono vivi. MagDaLaINE (Delusa) già... JONa I morti, invece... MagDaLaINE Sono morti. JONa Sì, ma in fondo, noi non sappiamo che cosa ci aspetta. MagDaLaINE JONa
Magdalaine lo guarda. Dopo che moriamo. MagDaLaINE Invece sì, che lo sappiamo. Se tutto va bene, e riuscirai a fare il tuo dovere, tu dopo tre, quattro anni, che sono un periodo anche sufficiente per godersi un bambino, ti addormenterai. Io, dopo che nostro figlio avrà cambiato il mondo, non morirò: passerò dall’altra parte. JONa Detta così, non sembra male. MagDaLaINE già. JONa C’è una birra? MagDaLaINE Le hai comprate? JONa No. MagDaLaINE (Alzando le spalle) allora... (Jona prova a replicare) Non dare la colpa agli uccelli. Non per questo. JONa
Magdalaine si alza, prende una birra e con aria di sfida se la scola davanti a Jona. Poi riprende a mangiare i suoi croccantini. MagDaLaINE
(Con la bocca piena) hanno chiamato per te. _____________________
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Adrian si avvicina al mucchio di abiti e libera Raquel dai vestiti che la ricoprono del tutto. (Da sotto i vestiti) Quand’è che sei morto tu? aDrIaN Il giorno stesso in cui mi hanno lasciato a casa. (Pausa) anzi, l’attimo stesso in cui me lo hanno detto. raQuEL Sì, ma non ti ricordi il giorno preciso? aDrIaN è importante? raQuEL Non pretenderai che io sia triste per te tutto il tempo. Insomma, quand’è il tuo anniversario? aDrIaN Per me è uguale. raQuEL Non sei cambiato, neppure da morto. aDrIaN Sono morto, lasciami in pace. raQuEL Non mi manchi affatto. aDrIaN Lei mi voleva bene. raQuEL Lei, lei, lei... ancora lei. aDrIaN ancora e sempre. raQuEL Nemmeno ora che sei morto riesci a smettere di pensare. aDrIaN Quando sei morto, hai più tempo per pensare. raQuEL (Acida) E tu pensi a lei. aDrIaN La maggior parte del tempo. raQuEL Per questo è importante che tu mi dica quando sei morto. Tu non meriti tutta la mia tristezza. aDrIaN E se te lo dico, che cambia? raQuEL Cambia perché sono triste il giorno prima, quel giorno e il giorno dopo... mezza giornata. aDrIaN Tutto qui, quello che valgo per te? raQuEL (Cattiva) Tu hai “lei”. aDrIaN Lei non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere. raQuEL Ti ha ucciso. aDrIaN No. raQuEL
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Lo hai detto tu prima: “Sono morto quando mi hanno licenziato”. aDrIaN Ma non è stata lei a licenziarmi. raQuEL E allora chi? aDrIaN Il sindacato. Bastardi. Sì, il sindacato mi ha tradito. raQuEL (Ci pensa su, poi, accondiscendente) Sarà... Ma lei glielo ha permesso. aDrIaN E che poteva fare? Pensava di agire nel mio interesse. raQuEL Il sindacato? aDrIaN (Perentorio) Lei. raQuEL Se lo dici tu... aDrIaN Mi vuole bene, lei. raQuEL a me no (indica la sedia a rotelle). aDrIaN (Riferito alle gambe) Non hanno nulla che non va. (Pausa) Ok, ok: era un po’ gelosa... e anche un po’ stronza. raQuEL Lo ammetti? aDrIaN Sì, ma io le voglio bene lo stesso. raQuEL La pensi sempre. aDrIaN è più forte di me. raQuEL Pensi più a una postazione di un call center che a me. aDrIaN è tutto questo tempo da morto: mi confonde. raQuEL Era così anche da vivo. aDrIaN Tu lo sapevi quando mi hai sposato. raQuEL E che scelta avevo? raQuEL
Pausa Senti, che ne dici del primo maggio? aDrIaN Preferisco non pensarci. raQuEL Mi sembrava un buon giorno per rendere omaggio alla tua memoria. raQuEL
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