Toponomastica popolare di Soleto

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“Dove è andato papà?” “Scíu a’ Chiazza Cani!” Questo mi rispondeva da bambino mia madre. Significava che mio padre, come tanti altri, era andato a cercare lavoro. I toponimi urbani elencati e spiegati in questo volume altro non sono che ricordi persi nel tempo, luoghi che rispecchiano abitudini di vita perdute, abitudini che indicano momenti di vita, cultura, costumi e usi rituali. Chi si addentrerà nella lettura riscoprirà o conoscerà qualcosa di ancora vivo, seppur immerso e nascosto nella nostra memoria. I toponimi, oltre ad indicare un luogo ben preciso, racchiudono detti, fatti o leggende di un mondo dimenticato dai più. Ricordare serve a non dimenticare mai da dove si proviene ed a capire meglio dove siamo destinati ad andare. Ringrazio sentitamente il prof. Francesco G. Giannachi che ha curato questo volumetto con passione, con lo scopo di recuperare e diffondere una parte del bagaglio culturale di tradizione orale proprio della nostra Soleto.

Graziano Vantaggiato

Sindaco del Comune di Soleto


Soleto, Porta San Vito, resti del camminamento di ronda sulle mura medievali.


Non si può dimenticare che un Paese è composto principalmente da persone, dalle loro voci, dalla loro memoria. Proprio la memoria collettiva, che raccoglie i ricordi e le conoscenze comuni legati al nostro luogo d’origine, costituisce un legame indissolubile che deve contribuire ad unirci ed a far sentire ognuno di noi membro di una comunità che collabora costantemente per il bene di Soleto. Il lavoro di ricerca dei toponimi urbani utilizzati da tutti i concittadini nel lessico quotidiano è un primo passo che l’Assessorato alla cultura ha voluto promuovere per valorizzare la complessa rete di conoscenze popolari legate al nostro Paese. Le piazze, le strade, i luoghi che tutti i giorni frequentiamo e che chiamiamo con nomi appresi dai nostri padri fanno parte della nostra identità e della nostra più intima quotidianità. Questo lavoro di ricerca, realizzato attraverso il contatto diretto con la gente ed il reperimento di fonti d’archivio, ha una valenza importante per noi tutti. Esso ci aiuta a comprendere meglio il modo in cui parliamo e le ragioni storiche che stanno alla base dei toponimi che utilizziamo ogni giorno nel lessico familiare. Sarà compito di questo Assessorato impegnarsi a promuovere la ricerca sulla toponomastica del nostro Paese in modo che si possa realizzare una mappa completa che comprenda non solo il centro abitato ma anche le zone rurali.

Davide Cafaro

Assessore alla Cultura del Comune di Soleto

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Soleto, piazza Vittorio Emanuele II, l’antico palazzo rinascimentale e la torre dell’orologio abbattuti per costruire l’attuale municipio.



Il patrimonio orale è un possesso purtroppo effimero, perciò ogni civiltà rischia di perdere inesorabilmente tutto ciò che tramanda per via esclusivamente orale, senza affidarlo alla scrittura. La trasmissione da padre in figlio non è garanzia di conservazione o almeno non lo è del tutto. Non lo è stato, infatti, nei tempi passati, quando pure l’atteggiamento conservativo delle generazioni precedenti alla nostra ha, comunque, assicurato la sopravvivenza sino a noi di una parte del sapere orale. Oggi, in una società che sembra aver perso la capacità di ascoltare e che raramente sente il bisogno di trasmettere anche i pochi scampoli di memoria ereditati dal passato, rischiamo di perdere del tutto il bagaglio di informazioni giunte sino a noi senza un supporto scritto e duraturo. Si compie così l’errore di considerare superflue le conoscenze e le abitudini dei nostri avi. Esse hanno costituito per molto tempo una forma di enciclopedia popolare affidata alla voce. Quando non erano diffusi libri e carte geografiche il popolo organizzava un sistema di conoscenze orali che passavano da una generazione all’altra e permettevano la sopravvivenza. In questo ambito rientrano anche le conoscenze geografiche e toponomastiche legate ai singoli centri abitativi. Ognuno di questi ha sviluppato nel corso del tempo una vasta ed intricata rete di denominazioni geografiche che individuano ampie contrade abitative o piccole porzioni di paese, vaste aree rurali o singoli appezzamenti di terreno. Nell’era di internet, sotto l’influenza di Google maps, non si ha purtroppo la necessità di apprendere la toponomastica antica, ovvero quel complesso sistema di indicazioni toponimiche che pure in parte interessarono i cartografi dell’Istituto geografico militare. Essi non mancarono di riportarle, almeno parzialmente e per le sole aree rurali, nelle prime edizioni delle tavole IGM. Il modesto lavoro che è stato svolto grazie al progetto “Toponomastica volgare del centro abitato di Soleto” intende porre le basi per uno studio più ampio e sistematico della toponomastica del

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nostro Comune. Con l’intento di raccogliere e preservare una porzione della nostra cultura orale si è cercato di reperire, trascrivere e, laddove possibile, spiegare le denominazioni di alcune sezioni del centro abitato. Si è optato per un taglio giornalistico e divulgativo delle brevi note di commento che accompagnano ciascun toponimo, proprio perchè questo strumento sia un veicolo di informazioni utilizzabile da tutti e principalmente dai nostri ragazzi. Le fasce d’età più giovani, infatti, più di tutte hanno bisogno di apprendere un bagaglio di informazioni relative al luogo in cui vivono, con la speranza che questo possa essere un primo passo verso una conoscenza sempre più approfondita della nostra realtà locale ed aiuti tutti, giovani e meno giovani, a sviluppare sempre più un amore radicale e profondo per il nostro Paese.

Francesco G. Giannachi

Curatore scientifico del progetto

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TOPONIMI NEL CENTRO STORICO


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CUPONE “Vai allu Cupone?”. Con tono scherzoso coloro che abitano nei paesi limitrofi sono soliti ripetere frasi del genere quando si trovano a parlare con un soletano, e sembra quasi che la parola “Cupone” identifichi Soleto ed anche, potremmo dire, il modo di essere soletano. Ritrovarsi a qualsiasi ora “allu Cupone” vuol dire, infatti, socializzare, essere partecipe di ogni momento e fatto che riguardi il paese, ascoltare, discutere, confrontarsi, a volte scontrarsi. Luogo d’incontro per eccellenza di tutte le fasce d’età, l’attuale Largo Osanna non è sempre stato il parco comunale che le ultime tre/quattro generazioni hanno conosciuto. Ancora agli inizi del Novecento esso era, in effetti, un ampio spazio pubblico appena fuori le mura, una radura brulla incastrata tra porta San Vito, uno degli accessi all’area urbana, e le vie che conducevano a Martano e Sternatia. Un luogo, dunque, importante per la sua collocazione, ma allo stesso tempo fuori dal circuito murario e distante dai ritmi di una vita ancora antica, i cui centri nevralgici erano le affollate vie del centro e le strette piazze, i cortili dei palazzi signorili e le case a corte. Proprio la collocazione strategica del largo “Cupone” spingerebbe a far derivare questo nome dal latino “caupona”, ovvero “locanda, osteria”, ed a pensare che proprio in quel crocevia di strade si sia potuta trovare un tempo una locanda fuori dalle mura. Essa forse offriva ospitalità e ristoro ai viandanti, soprattutto nelle ore serali e notturne, dopo la chiusura delle porte che proteggevano il centro abitato. Sappiamo per certo, comunque, che sino agli anni venti del XX s. la parte a Nord-Est del “Cupone”, attualmente prospiciente l’edificio che ospita la scuola elementare, era una zona in cui si fermava l’acqua piovana e si creava d’inverno un acquitrino. Ricaviamo la notizia dalla pratica

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che il Comune di Soleto portò avanti per l’esproprio alla famiglia Carrozzini del terreno su cui sorge appunto la scuola elementare. I proprietari del suolo sostenevano che il luogo non poteva essere adatto ad ospitare un istituto scolastico, in quanto era malsano in alcuni periodi dell’anno. Per evitare il ristagno delle acque piovane furono create delle opere di canalizzazione che conducono ancora adesso le acque in una enorme cisterna sotto Largo Osanna, posta di fronte ai locali dell’Opera Pia “Madonna delle Grazie”. Anche “la cisterna de lu Cupone” ha una storia a parte. La leggenda vuole che l’enorme locale sia stato ricavato ampliando un’antica cripta. Si dice ancora adesso in paese che in quell’ipogeo ci sarebbero degli antichi affreschi, ma è impossibile verificare questa voce popolare dal momento che fino ad un’altezza di alcuni metri la cisterna è piena di fango, tanto da rendere vana qualsiasi ispezione speleologica. Dei tempi antichi de “lu Cupone” rimangono, comunque, almeno due vivide immagini che ci riconsegnano interessanti momenti di vita economica e sociale. La prima foto mostra la presenza nella piana “Cupone” di mucchi di lupini che in quest’area pubblica venivano ammassati e poi pestati in modo da separare il seme dagli steli (vedi pp. 14-15). Fino all’inizio del Novecento, infatti, l’ampio spazio extraurbano fu utilizzato proprio per battere i lupini e pascolare armenti. La seconda foto ci riconsegna, invece, uno scenario più moderno, risalente agli anni Quaranta-Cinquanta del XX s., quando il Largo Osanna, già così chiamato per la presenza della colonna votiva, era utilizzato anche come campo da calcio (vedi pp. 16-17). Una strada divideva in due l’ampio spazio aperto e collegava la via di Sternatia con quella di Martano. La porzione di suolo ad Est costituiva un campo di calcio naturale, scenario di uno tra i pochi svaghi in un periodo socialmente ed economicamente difficile.

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Soleto, foto d’epoca che immortala l’inaugurazione dell’acquedotto, avvenuta il 28 novembre 1936 sul sito dell’attuale centro anziani (ex mercato coperto) in via Raimondello Orsini.



Soleto, foto risalente al 1910. Sull’attuale Largo Osanna si notano ancora i covoni dei lupini.



Soleto, una partita di calcio su Largo Osanna


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CHIAZZA CANI Le generazioni più mature a Soleto difficilmente sanno che la piazza dalla forma all’incirca quadrata che si incastra tra via Umberto I e via Ospedale M.G. Carrozzini nella toponomastica ufficiale risulta intitolata ad Aldo Moro. I più giovani, invece, attraversano sbadatamente la piazza, assolutamente ignari del fatto che questo luogo è stato sino a cinquanta anni fa uno dei fulcri della vita sociale ed economica di Soleto. Fino a meno di dieci anni fa, prima che i lavori di ristrutturazione la obliterassero, si leggeva ancora sul muro della canonica di Santo Stefano che si affaccia su “Chiazza cani” la scritta rossa a caratteri cubitali “Umberto II ti vendicheremo”, retaggio di un periodo post bellico e di un’atmosfera ancora infuocata che faceva seguito al referendum per la scelta tra monarchia o repubblica del sei giugno 1946. A quel referendum i soletani avevano votato in massa a favore della monarchia e dalle urne erano usciti solo una decina di voti per la repubblica. Possiamo immaginare quante discussioni abbiano preceduto e seguito l’atteso responso referendario e quanti soletani si siano incontrati proprio a “Chiazza cani” in quei giorni per commentare e confrontarsi. Ogni sera tutti gli uomini si vedevano lì, formavano capannelli, scambiavano idee, confrontavano e valutavano le proprie scelte di vita, ma soprattutto attendevano, aspettavano che qualcuno venisse a chiamarli per il lavoro del giorno successivo. Se volessimo attribuire a questo luogo un titolo pregnante, dovremmo definirlo “il mercato delle braccia”. Tutti i contadini braccianti quasi in vetrina, dal più robusto al più debole, erano lì ad attendere la chiamata del padrone per poter svolgere nelle sue terre, con salario a giornata, i lavori agricoli che la stagione richiedeva. La memoria popolare attribuisce proprio a questo fatto la denominazione di “piazza dei cani”. I braccianti, riuniti ed in continuo vociare, aspettavano il padrone che permettesse loro di lavorare e sopravvivere.

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LU CASTIEDDHU Ancora sino ai primi anni Cinquanta del XX s. sorgeva nel centro storico di Soleto tra le vie Perrino, Fossati e Regina Margherita, un’imponente fortezza della quale non si conserva oggi alcuna immagine. La furia iconoclasta degli anni del boom economico la fece abbattere per fare luogo a moderne e lineari abitazioni a travi di cemento armato. Eppure la piazza su cui la fortezza guardava è ancora chiamata nella memoria popolare “lu castieddhu”. Della vecchia fortezza rimane soltanto una mappa con la pianta dei due piani ed il ricordo dei più anziani che hanno ancora negli occhi l’ampia salita che conduceva al portone d’ingresso.

Soleto, via Fossati, parte del giardino dell’antico castello ormai distrutto.

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A RRETU ALLU VASCIU Via Fossati porta già nella toponomastica ufficiale il riferimento ai fossati della fortezza che fu distrutta nei primi anni cinquanta del XX s. Rimane, però, nella memoria della gente anche un modo popolare di denominare questa via che gira ad angolo retto da Piazza Castello e giunge in Piazza Cattedrale. “A rretu allu vasciu” significa letteralmente “nella zona bassa” e si riferisce alle numerose abitazioni che un tempo erano, appunto, sottoposte rispetto al piano di calpestio della strada. Pochi ricordano che questa via fu teatro nel 1904 di un efferato fatto di sangue che portò all’assassinio dell’ostetrica Genoveffa Di Perna, originaria di Palmerino di Isernia in provincia di Campobasso. La donna, richiesta in sposa dal ricco Pasquale Carrozzini, aveva rifiutato la proposta in quanto già promessa ad un altro soletano studente di farmacia, del quale non conosciamo il nome. Condotta la notte del 22 giugno 1904 in questa strada con la scusa che una donna era in procinto di partorire, l’ostetrica subì un tentativo di violenza e poi l’uccisione da parte di un gruppo di tre giovani benestanti del paese tra i quali figurava P. Carrozzini. Accortisi di quanto era accaduto, i tre complici decisero di suicidarsi ciascuno per proprio conto. Solamente il Carrozzini, che era stato il reale autore degli spari, mantenne fede al proposito. I nomi degli altri suoi compagni, uno dei quali fu ferito alla spalla da un proiettile, non sono mai stati resi noti dalle cronache ufficiali. Soltanto la voce popolare ha tramandato possibili identificazioni. Oltre che dai racconti popolari, abbiamo ricostruito la storia grazie ad un articolo apparso su La tribuna illustrata del luglio 1904, gentilmente messoci a disposizione dal prof. Gino L. Di Mitri.

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Ritaglio di giornale da «La tribuna illustrata» del luglio 1904 (proprieta del prof. Gino L. Di Mitri). È descritto l’efferato delitto dell’ostetrica Genoveffa Di Perna avvenuto nella notte del 22 giugno 1904 in via Fossati (lu vasciu) a Soleto.


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A RRETU A PAPA PEPPINU La tortuosa via Regina Elena che dall’angolo di Via F. Arcudi porta verso la circonvallazione interna (vedi la voce “stramurale” o “muraia”) Raimondello Orsini, è spesso indicata come “a rretu a Papa Peppinu” perchè proprio qui sorgono ancora la casa ed il giardino dell’arciprete Don Giuseppe Stanca (18791959), che ancor prima erano stati proprietà della famiglia Carrozzini. L’appellativo “papa” che il popolo sino alla metà del XX s. ha assegnato agli arcipreti della collegiata di Soleto deriva dall’antico uso del rito bizantino nella chiesa matrice. I sacerdoti di rito greco, infatti, vengono chiamati “papàdes” (παπάδες).

Soleto, via Regina Elena, icona votiva.



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RUA CATALANA Dopo che i re cattolici di Spagna Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona emanarono il trentuno marzo 1492 l’editto di espulsione dal proprio regno di tutti gli ebrei che non volevano convertirsi al cristianesimo, i Sefarditi (ebrei di origine spagnola) migrarono in varie regioni del bacino del Mediterraneo, tra cui il regno di Napoli. Ebrei di origine catalana molto probabilmente si stabilirono anche a Soleto. Rua Catalana, dunque, rappresentò il quartiere ebraico di Soleto dove i Sefarditi avevano le proprie attività e probabilmente la sinagoga per il culto. Sarebbe corretto modificare l’odierna toponomastca ufficiale che reca scritto: “Via Rua Catalana”. La ripetizione via/rua è del tutto superflua.

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VICO INFERNO A parte i suoi pochissimi abitanti, di certo nessuno saprebbe dare a Soleto esatte indicazioni per raggiungere vico Silvio Pellico. Il turista che proprio avesse bisogno di recarsi in questo stretto vicolo che da piazza S. Antonio entra nella parte più interna e nascosta del centro storico, potrebbe chiedere di Vico Inferno e forse avrebbe corrette indicazioni da qualche anziano. Benché possa sembrare strano, in questo caso non si tratta di un modo popolare di indicare una zona del paese, bensì di una denominazione ufficiale, poi rimossa, ma rimasta nella memoria dei cittadini. Fu il podestà Luigi Nuzzaci durate il ventennio fascista a stabilirne il nome, in virtù di alcune caratteristiche proprie del vicolo che appariva a coloro che guardavano dal’esterno un budello stretto, buio e sovraffollato. La modernità ha portato evidenti miglioramenti a questa zona del centro storico ed ora vico S. Pellico si presenta come un angolo caratteristico e nascosto di Soleto, all’interno del quale non mancano alcune vestigia del tempo passato (cornici, stemma gentilizio). Una delle porte che si affacciano su di esso reca inciso sulla sommità uno stemma ancora da identificare. Sul vico, inoltre, si trova l’accesso retrostante del giardino del cosiddetto palazzo Arcudi che ha la sua meravigliosa facciata sulla via omonima.

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LA MURAIA | LA STRAMURALE LA CIRCONVALLAZIONE Potremmo dire che il susseguirsi di questi tre toponimi per indicare viale Raimondello Orsini rappresenta in senso sincronico il passare delle generazioni e degli usi linguistici propri a ciascuna di esse. I due più antichi (muraia, stramurale), il primo dei quali è ormai quasi sparito nella parlata soletana, fanno chiaramente riferimento alla presenza del circuito murario medievale che cingeva e proteggeva il centro abitato. Dobbiamo pensare che quanti nel passato hanno usato la parola “muraia” vedevano direttamente ancora le mura, o parte di esse, in piedi e così alcune delle porte d’accesso al paese. Il toponimo “stramurale”, invece, contiene in sé il riferimento ad una strada, proprio l’arteria tondeggiante che circonda il centro storico di Soleto. Nel più moderno “circonvallazione” è sparito ogni riferimento all’antica cinta difensiva.




Soleto, piazza V. Emanuele II, un funerale celebrato durante il periodo fascista.



TOPONIMI FUORI DAL CENTRO STORICO


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A RRETU ALLU TUTUZZA Appena ci si incammina su via Sternatia, lasciando alle spalle Largo Osanna, si nota sulla sinistra, incuneato ormai tra le costruzioni, uno stretto passaggio di circa due metri e mezzo che ora sfocia direttamente in un giardino privato. Sino ancora al secondo conflitto mondiale questo passaggio era una vera e propria strada che congiungeva via Sternatia con l’attuale rione alle spalle del Santuario Madonna delle Grazie. Il comune decise poi di chiudere la strada ed i proprietari dei terreni che si affacciavano si di essa ne divisero a metà il suolo, incorporandolo alle loro proprietà. Le ricerche fatte non sono servite a spiegare il significato della parola “Tutuzza” che probabilmente può riferirsi al nome del terreno che la strada attraversava o al soprannome di un antico proprietario.

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SOTTA ALLE CAVE L’attuale via Madonna del Carmine, che da Largo Osanna scende verso Nord-Est per congiungersi con Viale Italia, è chiamata dai Soletani “la via de le cave”. La spiegazione del toponimo è abbastanza semplice dal momento che esso stesso allude alla presenza di miniere e nel caso specifico di miniere di carbone. Le “cave” furno dismesse nel primo quarto del Novecento in seguito a dei crolli. Oltre alle miniere, però, la via ospitava anche altre attività tra cui soprattutto i frantoi ipogei. Di essi rimangono ormai solo due, almeno in base a quanto appare in superficie. Uno di essi, con accesso direttamente dalla strada, ancora conserva le enormi macine ed i torchi in legno. Alla fine della strada, proprio nei pressi dell’attuale incrocio con viale Italia, vi era

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uno dei tanti luoghi di approvvigionamento idrico di cui Soleto disponeva sino a pochi decenni fa. L’area delle pozzelle è stata poi lottizzata e venduta dal comune in suoli edificabili. La “via de le cave” è attualmente una strada molto ampia, frequentata ed abitata di Soleto, grazie anche alla sua vicinanza con il centralissimo Largo Osanna. Sino ad un cinquantennio fa, invece, questo toponimo indicava un luogo buio e distante dal centro abitato (ovvero l’attuale centro storico), una zona dalla fama sinistra in cui incontrarsi per dirimere nel peggiore dei modi le tensioni ed i dissidi che potevano nascere tra i paesani. Di fronte all’attuale pizzeria “Tozzi” sorgeva sino ai primi decenni del XX s., benchè ormai ridotta a pagliaio, la cappella di S. Lucia.

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LA FUNTANEDDHA Uno dei tanti luoghi pubblici deputati alla raccolta delle acque piovane ed all’approviggionamento idrico dei soletani si trova ancora oggi lungo viale Italia, a pochi passi dall’incrocio semaforizzato che conduce a Sternatia. Il nome “funtaneddha”, ovvero “fontanella”, deriva dal fatto che i pozzi pubblici attingevano l’acqua anche da un’infiltrazione molto superficiale della falda acquifera. Si racconta che, anche nei periodi di maggiore siccità, un rigagnolo d’acqua sgorgasse dalla roccia nella camera ipogea di questi pozzi e che nei primi anni del XX s. si scendesse anche di notte con delle scale per attingere piccole ma assolutamente necessarie quantità d’acqua.

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LA CATERINEDDHA Alle spalle del Santuario Madonna delle Grazie, oltrepassata la rotatoria di Viale Italia, si giunge a via Pozzelli, strada che, costeggiando a sinistra il “giardino Mela” (antica proprietà del capitolo della Collegiata di Soleto), conduce verso la campagna e poi, proprio all’altezza delle pozzzelle, si dirama in direzione delle contrade “Padulàci” e “Varavàttu”. Da viale Italia la strada digrada dolcemente ed il leggero pendio basta per far indicare questa zona come “sotta alla Caterineddha”, ovvero “giù dalle parti della Caterineddha”. La spiegazione del toponimo si perde nella notte dei tempi ma è probabile che il nome debba riferirsi alla presenza di qualche cappella dedicata a Santa Caterina. La Collegiata di Soleto tra le proprie pertinenze annoverava i benefici di Santa Caterina e Santa Caterinella. Rimane, comunque, una bella edicola votiva dedicata alla Madonna.

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SCIACÚ A Nord Ovest del centro abitato, tra i quartieri “Catalogni” e “Quattr’are” si trova il rione “Sciacù” che trova il suo asse portante nella via Armando Diaz. Il nome richiama immediatamente il folletto dispettoso ed arrogante che la tradizione salentina, o meglio greco-salentina, conosce come “sciacuddhi” (altrove “lauru”, “laurieddhu”, “monaceddhu”, “scazzamurieddhu”), lo spiritello fastidioso che perseguitava le sue vittime con trucchi ed inganni. A nostro avviso solo l’etimo delle parole unisce il nome del rione con quello del folletto dal cappello rosso. Quest’ultimo, infatti, deriverebbe il nome da un termine proprio dell’idioma bizantino

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Soleto, via Pozzelli, icona mariana.


di Terra d’Otranto, ovvero *σκιακούλιον (skiakoùlion), parola mai attestata nel greco medievale ma derivante con certezza da σκιά (skià), ovvero “ombra, fantasma”, per cui “sciacuddhi” dovrebbe significare “fantasmino”. Il nostro toponimo, invece, potrebbe derivare dall’aggettivo σκιακός (skiakòs) che propriamente definisce un luogo posto all’ombra, al riparo dal sole. Difficilmente ora possiamo spiegare l’origine di tale toponimo, che potrebbe affondare le radici in un tempo molto antico quando ancora la zona poteva essere, ad esempio, coperta da vegetazione.

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QUATTR’ARE È facile capire che il toponimo si riferisce alle quattro “are” che erano presenti sul suolo in cui sorgono oggi le scuole dell’infanzia e secondaria di I grado di Soleto. Più difficile è che le nuove generazioni sappiano cosa vuol dire il termine dialettale “ara” che in italiano corrisponde ad “aia”. Un lastricato di pietra dalla forma circolare o quadrata, circondato da un contorno di conci (“cijaru”) qualche decina di centimetri più alti rispetto al piano di calpestio, conteneva i cereali mietuti che venivano poi calpestati da cavalli o buoi. Gli animali trascinavano un masso di tufo piatto (“pisara”) che contribuiva a frantumare le spighe.

Esempio di aia nell’area della Grecìa Salentina

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CATALOGNI Strettamente collegata con Rua Catalana è probabilmente la contrada Catalogni, situata ad Ovest verso Galatina. Si tratta in effetti di un’ampia zona anticamente appartenuta alla famiglia Manca e compresa tra le attuali vie Torino, Milano, Venezia e Caduti soletani. Acquistata dopo il fallimento Manca, l’area fu frazionata e venduta in lotti edificabili negli anni cinquanta del XX s. Ancora a metà degli anni ottanta era visibile in via Milano l’edificio, quasi una masseria, che fungeva da casa colonica per l’intero appezzamento di terreno denominato “Catalogni”. C’è da pensare che la zona appartenesse o fosse gestita nell’antichità da ebrei catalani.

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VIA DE LA MACHINA Un toponimo popolare ancora molto sentito è quello con cui si indica la principale arteria via Duca degli Abruzzi. A differenza di quanto potrebbe sembrare a prima vista, la denominazione non ha nulla a che fare con gli autoveicoli, bensì con quella che tra la fine del XIX s. ed il primo ventennio del XX s. poteva essere la macchina per antonomasia, di certo l’unica che potesse trovarsi a Soleto. La famiglia La Porta trasferitasi a Soleto durante gli ultimi decenni del’800 aveva impiantato nei locali di una masseria fuori dal centro abitato, proprio lungo l’attuale via Duca degli Abruzzi, un mulino per la macinazione dei cereali. Era realmente l’unica macchina che si potesse vedere a Soleto e sicuramente per allora la più imponente e rumorosa.

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Soleto, piazza V. Emanuele II, un funerale dei primi anni del XX s. Si nota sullo sfondo a sinistra, la chiesa di San Nicola e il monastero delle suore clarisse.


Progetto realizzato dal Comune di Soleto con il contributo della Regione Puglia e della Grecìa Salentina.

Consulenza Scientifica Francesco G. Giannachi Produzione Kurumuny Coordinamento generale progetto Claudio Giovinazzo Progetto grafico Alessandro Sicuro (Rebel) Ufficio stampa Laura Casciotti Fotografie e documenti di repertorio Original’s photo di Marco Montinaro; Gino L. Di Mitri Fotografie Metropolitan ADV di Raffaella Calso & Valentina Chittano

ISBN: 978-88-98773-29-9 Stampato presso la Tipografia Panico – Galatina (Le), nel mese di dicembre 2014.




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