Realisticamente
Regole o avanspettacolo?
Raffaela Trequattrini
Giampiero Raspetti E’ facile riempirsi la bocca con frasi di incoraggiamento all’iniziativa privata, all’avviamento di un’attività in proprio, alla progettualità… Ma quali sono gli strumenti concreti che lo Stato e le Amministrazioni locali offrono al giovane aspirante imprenditore? A dispetto di qualunque corso di marketing e delle famose cinque analisi (mercato, prodotto, costi, distribuzione e comunicazione), in Italia le difficoltà da superare, quelle con le quali si imbatte realmente un giovane nel momento in cui tenta di fare capolino sulla piazza, sono di natura ben diversa e al di fuori di qualunque programma accademico: mi riferisco agli agganci politici e alla possibilità di ottenere finanziamenti.
I militanti, ai tempi della mia giovinezza, raramente vedevano i loro leader nazionali: solo in occasione di un comizio in zona. Partecipavano però attivamente alla vita del partito, percorrendone gradualmente i gradini. Una militanza vissuta, nel corso della quale dialogavano, conoscevano, si facevano conoscere. Particolarmente impegnati nell’analisi di problematiche sociali, attenti nei confronti di famiglie in difficoltà, sensibili ai casi umani delicati. L’insieme delle esperienze e delle sintesi politiche degli umili militanti confluiva in un pacchetto di proposte che, viaggiando lungo la scala gerarchica, era portato a conoscenza dei vertici. La politica traeva le sue origini da problemi concreti di tutti. segue a pag. 2
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Libere professioni fra garanzie e competitività
N° 4 - Aprile 2006 (34)
Alessia Melasecche
Parole impegnative Manutenzione del linguaggio per una scrittura antagonista Giampaolo Gravina
Quando si affronta un tema come quello della modernizzazione del sistema ordinistico delle libere professioni è indispensabile distinguere tra due aspetti entrambi delicati ed importanti. Occorre, da un lato, tutelare gli interessi dei cittadini che dovranno continuare a poter beneficiare di professionisti capaci e qualificati, ma dall’altro snellire il settore, renderlo più agile e meno blindato, aumentando il livello di efficienza e concorrenza, aprendolo anche a quei giovani capaci e preparati che oggi sono di fatto troppo spesso esclusi dall’inserimento a causa di meccanismi talvolta eccessivi di autotutela. Le crescenti complessità della società e del mercato impongono nuove modalità organizzative e nuove funzioni degli ordini professionali, tali da rispondere alle esigenze dell’aggiornamento, del controllo rispetto ai princìpi deontologici e più in generale consentire lo svolgimento dell’attività da
“Come parli? Le parole sono importanti, chi parla male pensa male e vive male”. All’uscita dal cinema dove ho appena visto l’ultimo film di Nanni Moretti, Il Caimano, emozioni e riflessioni si rimescolano alla rinfusa. Ma quella battuta, quel paternalistico richiamo del Moretti atleta di se stesso in un altro suo film, mi torna in mente ora
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Voglia di duce Vincenzo Policreti Non è facile capire come mai da noi quando democrazia e libertà sembrano consolidarsi, dopo un po’ qualcosa si pone di traverso per soffocarle o almeno ridurle e limitarle. Se ciò avvenisse ad opera di qualche liberticida, non si sarebbe che di fronte all’intramontabile sogno dei pochi di imperare sui molti. Ciò che rende incomprensibile
Non chiederti quello che il Paese può fare per te; domandati quello che tu puoi fare per il Paese. J. F. Kennedy
E chi li vuol separare... peste lo colga ST I magistrati appaiono così gelosi delle loro carriere unificate, che il solo accenno ad una mèra ipotesi di loro separazione, viene da alcuni (ma non da tutti, fortunatamente!) considerato un delitto di lesa maestà e un vulnus irreparabile all’art. 107 della Costituzione, il quale sancisce che i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Ebbene, una simile presa di posizione appare assai bizzarra, se solo si considera che l’esempio italiano è così isolato nel panorama mondiale, che lo stesso Consiglio d’Europa si è sentito in segue a pag. 6
G a lle r ia d e l Co r s o - Te r ni
Quanto costa la libertà d’espressione
Psicologia estrema
Francesco Patrizi
Maurizio Bechi Gabrielli
Narciso dal lago alla telecamera
Pochi paesaggi agricoli al mondo hanno la varietà di scenari e di possibilità di cui gode l’Italia, terra di santi, di eroi… e di contadini. La nostra Storia è sempre stata intrecciata a doppio filo con la vita e la vitalità delle nostre campagne: dalle comunità di castello del Medioevo, fino ai latifondi della seconda metà dell’Ottocento; dalla
Narciso è un personaggio molto noto tra i cultori della mitologia greca: figlio di un dio e di una ninfa era un fanciullo di straordinaria bellezza e seduttività che finì per innamorarsi della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d’acqua, tanto da rimanere a contemplarla fino a morire. La psicologia, da sempre attratta dalla mitologia, fece, inizialmente, del Narcisismo un aspetto patologico della personalità, anche se la psicoanalisi, in realtà ne prevedeva una forma sana, nei termini di attenzione a se stesso. Ebbe maggiore fortuna, tuttavia, quella accezione del termine indicante un eccessivo, financo patologico, amore per se stesso (ipervalutazione). Nel tempo la psicologia della personalità ne ha fatto un tratto, ovvero una delle possibili modalità di relazione con gli altri che caratterizza una determinata persona. Ciascuno di noi, infatti, per ottenere un buon adattamento all’ambiente, sulla base dei pro-
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Si parla tanto di promozione della cultura, di libertà d’espressione e di sostegno per i giovani; proviamo per una volta a seguire concretamente il percorso di un gruppo di giovani liceali intenzionati a mettere su uno spettacolo teatrale e vediamo in che modo lo Stato interviene. Un ragazzo ha scritto il testo teatrale, un altro le musiche, una ragazza cuce i costumi, segue a pag. 3
Paesaggio agricolo Federico Marconi
E’ questo ciò che conta, in pratica, oggi in Italia. La formazione professionale, da sola, non basta, è pura teoria da manuale, e chi si rifiuta di ammetterlo, o parla senza aver mai avuto la minima esperienza nel settore, o sta difendendo la credibilità della sua privilegiata posizione personale. Ai politici che usano la “i” di impresa come altisonante propaganda elettorale, vorrei far presente che siccome il posto pubblico è diventato un miraggio ormai da diversi anni, numerosi sono già i giovani che hanno avuto modo di riscontrare sulla propria pelle la veridicità delle argomentazioni che mi accingo ad illustrare, e quindi certe esortazioni invitanti ed ottimistiche, del tipo pensate in grande!... abbiate fiducia in voi stessi!... ci vuole la motivazione…, e via discorrendo, potranno probabilmente risultare coinvolgenti in altri Paesi, ma dalle nostre parti cominciano a dare ai nervi a un bel po’ di gente…! Proviamo a descrivere l’odissea che un povero giovane dall’animo intraprendente è costretto ad affrontare, per riuscire a trovare un suo spazio in quest’Italietta mafiosa. Per avviare un’impresa è necessario disporre di un capitale iniziale. Dove reperire questo capitale? Le possibilità, in teoria, sono due: un ente privato (la banca) o un ente pubblico (Amministrazioni locali). Tanto per chiarire quelle che sono attualmente le prospettive offerte dalle banche italiane in simili frangenti, basta pensare che se Bill Gates (il fondatore della Microsoft) fos-
Le analisi delle soluzioni, raffinate, durante le discussioni, da procedimenti di generalizzazione, di astrazione e quindi di sintesi, si trasformavano in regole, in idee politiche nazionali. Il militante aveva coscienza di costituire un elemento importante dell’ingranaggio: senza il concorso di tanti militanti come lui, il partito non avrebbe fatto sentire la sua voce... Poi venne la tv... e i comizi se ne andarono. I leader nazionali diventano visibili a tutti, attraverso lo schermo televisivo; rilasciano interviste, partecipano a dibattiti e tavole rotonde ove espongono le loro idee, ma rappresentano, sostanzialmente, solo se stessi e il loro personale entourage. Questa nuova realtà corrode la base della democrazia: la partecipazione. Partecipare significa ormai essere spettatori, ma con un ruolo simile a quello dei tifosi in curva sud. La legge delle oligarchie sostiene che i partiti politici degenerano in macchine interessate non a produrre un progetto politico ma solo a preservare se stessi e quei piccoli gruppi che detengono il potere e che non tollerano concorrenti. Tutto ciò incentiva ovviamente un ritorno alla demagogia, cioé alla visione della politica come arte di condurre (leggi plagiare) il popolo, anziché come uno strumento attraverso cui si determina la compartecipazione di tutti alla formazione del-
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R e a l i s t i c a m e n t e se stato italiano non sarebbe mai diventato nessuno; tutt’al più avrebbe potuto cedere la sua preziosa idea a qualche figlio di papà e lavorare come suo subordinato. Infatti, non provenendo da una famiglia ricca, non esiste banca, in Italia, che gli avrebbe concesso un capitale, come è invece accaduto nella sua specifica situazione… Nessuna banca si sarebbe mai mobilitata, né disporrebbe delle figure competenti, per valutare l’entità di un progetto (che in questo caso ha rivoluzionato il mondo dell’informazione), in mancanza di un elemento basilare: il patrimonio. Gates ed il suo socio non ne disponevano, per cui qualunque nostro istituto di credito avrebbe respinto la loro richiesta di finanziamento, senza alcuna possibilità di appello. E come se la cava, invece, un idiota qualsiasi quando riesce ad avviare un’impresa soltanto grazie alle garanzie economiche offerte dalla sua famiglia? Nel migliore dei casi si circonda dei consulenti necessari, preclusi a chi non può pagarseli sin dall’inizio, e delega la gestione dell’azienda, che così, di fatto, si regge interamente sulla professionalità di altri, i quali però, almeno formalmente, devono prendere
R e g o l e la volontà dello stato. Venuto meno il binomio base che progetta - vertice che recepisce, le riunioni residuali diventano riservate e con unica finalità: lo scambio o il mantenimento di poltrone. Tali manovre vedono contrapposte, per lo più, famiglie diverse di uno stesso partito. Quel che resta del militante è la sua trasformazione in puro raccoglitore di voti, con la recondita speranza di entrare nelle buone grazie del livello superiore, quello degli affaristi, ove poco si discute, ma molto si fa. La cultura, le lucide interpretazioni, il semplice comprendere sono ormai inessenziali: gli inviti allo studio di Antonio Gramsci o i libri studiati da Giulio Andreotti diventano urticanti, quasi offese pubbliche. Meno si studia più si è indifesi rispetto ai subdoli messaggi mediatici! Contano solo i quattrini... che mandano in parlamento i propri asserviti. Ma non finisce qui, purtroppo. Gruppi di potere, spesso con l’acqua alla gola, si immettono direttamente in parlamento e nominano d’ufficio i loro dipendenti, anche a prescindere dalla fedina penale! (Cesare Previti - camera Deputati, Lazio1, 5° posto; Marcello Dell’Utri - Senato, Lombardia, 6° posto... - vedi articolo PRESCRIZIONI a pag. 16).
ordini dall’idiota. Nel peggiore dei casi il suddetto si mette in mente di essere un genio. Accentra ogni decisione su se stesso, non ascolta i consigli di nessuno, parte in quarta e fa un gran botto, lasciando in mezzo alla strada i dipendenti. Per lui non c’è problema… avrà sempre di che vivere! Sono sicura che tante persone in questo
momento diranno: è vero, è proprio quello che è successo a me! Ma non i diretti interessati, ovvero gli idioti. Costoro sono bravissimi ad autoconvincersi che il loro caso è, o era, completamente diverso… Ma torniamo al nostro giovane aspirante imprenditore che, privo di beni al sole, sta cercando fondi per sviluppare la sua idea. Visto che con le banche non c’è niente da fare, ci prova con le Istituzioni… Ma lo sanno anche i polli che
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per accedere ai fondi istituzionali c’è bisogno dell’appoggio dei partiti politici, ed in particolare di quei partiti che amministrano gli Enti locali. I partiti: generalmente circondati da una schiera di opportunisti che stanno lì soltanto ad aspettare di mettere le mani sul fiero pasto, o a consumare avidamente le pietanze già servite, ben difficilmente guardano di buon occhio i nuovi ingressi. Qualunque persona al di fuori di certe logiche sarebbe portata a pensare che alla vista di un potenziale sostenitore che si accosta per la prima volta ad un partito, mostrando nei suoi confronti interesse e propensione, i vecchi militanti si dimostrino compiaciuti ed accoglienti. Errore!!! Al contrario, il clima è di estrema freddezza, per non dire di profondo fastidio: e adesso questo che vuole? Non sarà che viene a portarmi via un ossicino? Attenzione: ci sono prima io!!! Così chi ha un progetto da proporre e si rivolge agli amministratori locali incontra l’ostilità dei vari portaborse, unita al timore, da parte dei potenti, di urtare la suscettibilità dei suoi fedeli galoppini, sì da spezzare l’equilibrio di questo patetico
a v a n s p e t t a c o l o ? Ce ne sono così tanti, tra i candidati, con la coscienza pulita perché mai usata, che fareste bene a verificare, prima di apporre il vostro voto - pardon - la vostra crocetta!! Quando il cittadino andava a votare, una volta, poteva ancora separare grano da gramigna! Il parlamentare è eletto dal popolo - si diceva e quasi ci si credeva - e risponde solo al suo elettore! Niente ormai di più falso! Liste bloccate di candidati super obbedienti, emanate dalle oligarchie dei partiti, quindi da persone non elette dai cittadini. Cittadini ai quali non è più richiesto il saper leggere; possono benissimo nemmeno saper scrivere. A molti è solo richiesto di essere imboniti dai media e di saper mettere una crocetta! Siamo trattati da umili dipendenti o da vili esecutori. Tutto qui! Il militante non c’è più ma ciò non vuol dire che si possa fare a
meno dei partiti, anzi! Servono partiti che non attingano tutti i princìpi da una confessione religiosa, che non si ispirino a soli interessi territoriali, che non siano proprietà di un leader incontrastato che fa e disfa in piena autonomia. Servono partiti che abbiano forti elementi di identità nella difesa dei valori fondamentali dell'uomo; partiti che esprimano la loro solidarietà con l'altro e con gli altri; che sappiano coniugare l'ansia di giustizia sociale con la ricerca del miglioramento delle ricchezze territoriali. Partiti formati da persone coraggiose, democratiche, libere che rifiutano i privilegi. S’avvicina la Pasqua di Resurrezione. Rinascono le speranze: qualcosa sta già cambiando! Cominciamo ad assistere a dibattiti televisivi degni di un paese civile. Ovviamente ci saranno ancora delle eccezioni: non tutti possono rinunciare alla politica destabilizzante ed imbonitrice, o ridotta a battutine, claque, furibonde irruzioni, sovrapposizioni di voci, insulti, volendola spregiudicatamente e, direi, disperatamente, ridurre o a rissa o a rutilante cabaret. Pure, sono convinto che la serietà e la moderazione, la dignità di quei politici che ascoltavo nei comizi durante la mia giovinezza,
circuito. E più il soggetto sembra capace e intelligente, tanto più intorno a lui si erge un muro, in quanto con più probabilità si affaccia il mostro di un potenziale concorrente. Alcuni dirigenti di partito osano persino paventare l’opportunità di concedere a chi lo presenta qualche briciola del suo progetto, dopo averlo eventualmente messo nelle mani di qualcuno che offra maggiori garanzie, dove le maggiori garanzie si traducono esclusivamente in una più veterana appartenenza al partito stesso. Spesso accade anche che chi viene indicato come idoneo ad assumere la gestione dell’iniziativa manchi di qualsivoglia professionalità, o addirittura abbia già collezionato una lunga serie di esperienze fallimentari. Ma questo non conta tra vecchi compagni! Tradizione partitica o patrimonio familiare. Evviva la meritocrazia!!! Evviva le pari opportunità!!! Ma se ormai in tanti hanno digerito questi bocconi, c’è anche chi ha capito che tutto ciò non va d’accordo col progresso, chi preferisce rinunciare alla sua porzione piuttosto che alla propria dignità. Qualcuno che, grazie a Dio, ancora crede nelle battaglie ideali… costino quel che costino! Io credo solo a chi ragiona così, e a chi mi parla così: realisticamente. Come ho sentito parlare Emma Bonino; spina nel fianco per molti… per altri, una rosa nel deserto. R. Trequattrini
rinasceranno come fiori di primavera. E se è vero che per le elezioni sarà quest’anno determinante il peso di due elettrodomestici, non solo la tv, ma anche il frigorifero, so che la parte proba del paese, di destra o di sinistra, quella orgogliosa della propria coerenza morale e del proprio impegno civile, sente che non è più possibile ridurre la politica a puro avanspettacolo e si comporterà di conseguenza! Qualcuno ha anche superato i già esasperati limiti. L’ex ministro Calderoli dichiara: Non sono orgoglioso della legge elettorale. L'ho scritta io ma è una porcata. Una porcata fatta volutamente per mettere in difficoltà la destra e la sinistra. Che aggiungere?!... Trascorriamo serenamente le ore che ci separano dall’apertura delle urne e, durante le votazioni, passeggiamo tutto il giorno, percorriamo strade e stradine, a piedi o in bicicletta, sorridiamoci, salutiamoci: daremo a tutti il senso di una cortese, trasparente civiltà. La Pasqua, come sempre, porterà la Resurrezione. Farà anche risorgere la rosa della laicità, dell’amore per i diseredati, del bisogno di democrazia, di giustizia, di cultura, di scienza, di partecipazione. Noi la stringeremo amorevolmente, ma con fermezza, nel pugno. G. Raspetti
Libere professioni fra garanzie e competitività
parte di professionisti preparati, ma anche permettere a tutti i meritevoli l’effettiva possibilità di svolgere un’attività professionale in presenza di capacità e conoscenze tecniche. Oggi, le norme di accesso alle professioni prevedono lunghi praticantati che si traducono, spesso, in un periodo demotivante in cui il praticante lavora moltissimo, impara spesso pochissimo e viene retribuito (quando ciò accade!) in modo sperequato rispetto alla prestazione lavorativa fornita. Esistono eccezioni, dovute più alla signorilità del professionista/datore di lavoro, che non ad una prassi consolidata. A questo va poi aggiunto il fatto di dover sostenere, al termine di detto periodo, un esame di stato, viziato, a volte, dalla aprioristica volontà/normativa di mantenere ristretto il numero degli adepti, a prescindere da capacità o preparazione. Inoltre, le tariffe professionali obbligatorie dovrebbero lasciare spazio ai princìpi di concorrenza ed essere intese e percepite dai fruitori dei servizi come indicative e non come un’imposizione anticoncorrenziale. Le conseguenze di questa situazione costituiscono una sorta di ingessatura per tutti, professionisti ed utenti ma soprattutto un pesante fardello per la società nel suo complesso. Uno studio realizzato qualche anno fa dall’Institute for Advanced Studies di Vienna, per conto della Com-
missione Europea, ha confrontato legislazione, regolamentazione, norme di accesso e codici di condotta che disciplinano l’esercizio di una serie di servizi professionali nei vari Stati membri dell’U. E. Tra i paesi ad alta intensità di regole per tutte le professioni, figurano Austria, Italia, Lussemburgo e, con alcune eccezioni nel settore dei servizi tecnici, Germania e Francia. Belgio, Spagna e Portogallo sembrano collocarsi nella categoria intermedia, mentre Regno Unito, Svezia e Danimarca (ad eccezione dei farmacisti), Paesi Bassi, Irlanda e Finlandia presentano regimi regolamentari piuttosto liberali. Anche per questo il mondo delle professioni negli ultimi anni è stato oggetto di una costante attenzione. Nel nostro Paese, ma ancor di più a livello comunitario, i temi della liberalizzazione dei servizi e dell’abbattimento delle frontiere per un esercizio concorrenziale delle professioni sono stati centrali e sono tuttora considerati come punti fermi di qualsiasi programma finalizzato a rendere più fluida la società e l’economia sia italiana, che europea. Prendendo quale fonte Il Sole-24 ore emerge che, solo in Italia, tra il 2001 e il 2005 sono stati presentati più di 150 disegni di legge in materia di professioni, come dire 1 ogni 9,7 giorni, considerando anche tutti i festivi! Il 30 maggio 2001, all’e-
Parole impegnative
con più insistenza, come una specie di epigrafe ad ogni ulteriore considerazione possibile sull’impegno. Già, l’impegno: come risponde chi scrive alla questione dell’impegno? Ha ancora senso parlare di impegno da dietro una scrivania? Al riparo degli schermi ultrapiatti dei nostri personal computers, interrogarsi sullo statuto di una simile questione
sordio dell’attuale legislatura, sono stati depositati, tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, ben nove progetti per la disciplina di varie attività professionali (dall’erborista al giornalista, dall’assistente domiciliare all’odontoiatra, dal sociologo al perito agrario). Al termine del quinquennio si può tranquillamente affermare che l’andamento della legislazione interna, per quanto oggettivamente nella direzione dell’esemplificazione, è stato in linea con la tradizione ordinistica. In Europa, invece, è soffiato più forte il vento della liberalizzazione, anche se, a livello comunitario, le difficoltà di pervenire ad una regolamentazione unitaria in fatto di libertà di circolazione e di stabilimento dei professionisti permangono tuttora. Una riforma liberale delle professioni è quindi improcrastinabile e non può prescindere dal risolvere alcuni nodi dell’attuale assetto legislativo, partendo dal presupposto che non esistono professioni più o meno degne di essere riconosciute: tutte generano valore per gli individui ed il sistema. Il nostro Paese può disporre di un formidabile serbatoio di capacità inespresse, di competenze sino ad ora parzialmente sacrificate sull’altare di poteri autoreferenziali ed interessi troppo spesso di parte. Mi auguro che i risultati del dibattito, da tempo aperto, si concretizzino in una riforma che eviti ai cittadini ed alle imprese di sopportare oneri impropri, vuoi per ingiustificate rendite di posizione, vuoi per la scarsa qualificazione di chi presta il servizio, e che garantisca ai giovani più brillanti di poter pensare all’esperienza professionale come ad una possibilità effettiva per il loro futuro e non come ad un mondo dove solo pochi eletti possono salire. A. Melasecche alessia.melasecche@libero.it
Quanto costa la libertà d’espressione altre costruiscono la scenografia; tutti insieme trovano i soldi per affittare un teatro. Tutto è pronto; lo spettacolo sarà senza biglietto, ad ingresso libero. Adesso non resta che muovere i primi passi di un lungo percorso burocratico. Primo passo: i ragazzi vanno alla Siae; il testo non è tutelato dai diritti d’autore, quindi non bisogna pagare per rappresentarlo; lo spettacolo è ad ingresso gratuito, quindi non c’è la tassa sull’incasso; esiste però una tassa calcolata in base alla capienza del teatro (dai 70 euro in su) nonché una tassa forfetaria sulla musica. Secondo passo: i ragazzi scoprono che occorre un nullaosta per recitare; come si legge nell’art. 1 dr. n. 153 del 14/12/1938, qualora ad un controllo se ne risultasse sprovvisti, lo spettacolo potrebbe essere sospeso. Il nullaosta viene rilasciato dal Ministero degli Interni previa presentazione dello statuto associativo per teatro amatoriale senza fini di lucro; ovvero i ragazzi devono costituirsi associazione presso l’Ufficio del Registro (200 euro + vari bolli), dopodiché devono spedire lo statuto timbrato al Ministero. Terzo passo: una volta entrati in teatro, i ragazzi scoprono che non possono aprire il sipario né tirare una semplice cordicella perché, secondo la legge, per muoversi dietro le quinte bisogna essere iscritti all’ente dei lavoratori dello spettacolo; se però, per statuto associativo, sei un teatrante amatoriale, cioè non lo fai per mestiere, non puoi iscriverti. Occorre quindi un tecnico professionista, tariffa minima sindacale: 150 euro (anche solo per aprire il sipario!). Quarto passo: la legge prevede
la presenza dei Vigili del Fuoco durante lo spettacolo (prendono dai 100 euro in su). Il percorso burocratico finisce qui; solo per stare in regola con la legge, i ragazzi devono pagare una cifra che parte da un minimo di 400 euro. Lo Stato non offre alcun tipo di agevolazione, non fa sconti e non incoraggia di certo questi ragazzi. Si parla tanto di incentivi per i giovani: una buona idea potrebbe essere quella di rivedere certi parametri, ad esempio la tassa sulla capienza del teatro pagata alla Siae (ma non basta pagare l’affitto dello stabile?), il nullaosta ministeriale (che praticamente è a pagamento), le tariffe minime sindacali per tirare il sipario (!). La libertà d’espressione è condizionata anche dalle possibilità oggettive ed è un dato di fatto che la legislazione in ambito artistico è pensata unicamente per chi si muove da professionista iscritto ad un ente e a fini di lucro. Quanto ai nostri ragazzi, non resta loro che cercare il sostegno di qualche sponsor o il patrocinio di un ente. Si sapeva che in Italia con la cultura non ci si guadagnava, ma che addirittura ci si rimettesse! F. Patrizi
Manutenzione del linguaggio per una scrittura antagonista
conserva ancora una qualche forma di necessità? Insieme ovvia e anacronistica, la mia risposta è sì. Anzi, ora più che mai la questione dell’impegno di chi scrive mi sembra ineludibile e vincolante: non solo una questione di stile, ma una specie di passaggio obbligato, un tagliando da staccare ogni tanti chilometri di parole, un antivirus da aggiornare periodicamente con attente verifiche di sistema. Il linguaggio si deteriora, si impoverisce, si banalizza. Mittenti e destinatari di sms ed e-mail, utenti di una comunicazione che si vuole vieppiù simultanea e performativa, siamo tutti testimoni di una certa deriva di omologazione della parola. Ma più il linguaggio si deteriora, maggiore è il bisogno di una sua manutenzione. È qui che l’impegno di chi scrive si fa decisivo.
E si manifesta attraverso la reazione nei confronti di un utilizzo del linguaggio assuefatto e slabbrato: quel linguaggio spiccio e brutalizzante che impregna dei suoi torbidi umori buona parte della comunicazione televisiva. Le parole sono importanti, ha ragione Nanni Moretti. E le macerie che il suo (il nostro) Caimano lascia dietro di sé non sono solo macerie politiche e istituzionali, etiche, psicologiche e culturali, ma anche macerie linguistiche. Mai come oggi le parole vengono usate per dividere e per aggredire, brandite come armi per aizzare la claque e fare fuori gli avversari. Anziché per restituire alle questioni un’originaria dignità problematica, ricorriamo alle parole per liquidare gli ultimi residui di problematicità e sbarazzarci dei pochi interrogativi rimasti. Parlare e scrivere male, in mo-
do trascurato e sbrigativo, sciatto e banalizzante, quando non apertamente aggressivo e derisorio, finisce per coinvolgere la forma più intima delle nostre emozioni, l’articolazione dei pensieri, la qualità della vita. E così le parole sembrano non più capaci di attingere ad alcun patrimonio comune, non solo di valori, ma perfino di contegni e di sentimenti. Nell’attesa di scoprire un antidoto possibile contro il veleno
emesso da chi irride o ignora l’impegno per una parola antagonista, sarà bene ricordare che chi scrive è per statuto sempre all’opposizione: ma si tratta di un’opposizione all’uso strumentale della parola, di un antagonismo per sottrarre materiali verbali alla mercificazione quotidiana. Chissà che non sia proprio questa sottrazione, questo scarto a rendere le parole impegnative e salutari. G. Gravina
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Vo g l i a
il fenomeno è invece il fatto che la democrazia si suicida democraticamente, vale a dire che è proprio una porzione, tuttavia determinante, del popolo a non volerla. Il che ci pone di fronte a un paradosso bello e buono: se viene dal popolo, una scelta antidemocratica è democratica? Ma i popoli sono fatti di persone e anche se il tutto non è eguale alla somma delle parti, la psicologia è pur sempre una preziosa chiave di lettura per capire. Gli adolescenti si trovano in una posizione simile a quella dei popoli che si affacciano alla democrazia: desiderano e reclamano a gran voce libertà e diritti: andare dove vogliono, tornare quando credono, non essere mai controllati: E’ proibito proibire recitava uno slogan sessantottino. Ma avete provato a prenderli alla lettera? A lasciarli davvero senza controllo, ad abdicare alle funzioni di genitori, a non preparare la cena e il letto, a non far trovare le cose pronte, in una parola, a lasciarli davvero liberi, quindi soli? Un comportamento simile è talmente dirompente da essere addirittura prescritto come misura protocollare in Terapia strategica, nei casi in cui i figli siano di difficile gestione: non appena il giovane s’accorge che cuius commoda eius et incommoda, realizza che diritti e libertà hanno un prezzo: l’autonomia, che significa non essere protetti, dover fare da sé e non potersela prendere con nessun altro che con se stessi: orrore!
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du c e
Protestare è più facile che gestire, lamentarsi lo è più che organizzarsi e ahimè: ubbidire è più facile che comandare. Questo spiega, almeno in parte, come certe spinte suicide in democrazia vengano non dalle Destre totalitarie, che in fondo farebbero il loro mestiere, ma proprio dalle Sinistre, preparate talvolta, proprio per la logica che sottende la loro posizione politica, più a reagire al totalitarismo altrui che a gestire il Paese, come avvenne nella Rivoluzione dei garofani in Portogallo e, da noi, sull’Aventino. A questo pericolo, sempre endemico, se ne aggiunge oggi uno prettamente culturale: la crisi della scuola. Che la scuola non potesse conservare la sua funzione di Tempio della Conoscenza era ovvio fin dagli albori di Internet e non solo: era folle pensare che essa, con l’elefantiaca struttura che la contraddistingue, potesse competere con l’enorme velocità con cui oggi le informazioni nascono, si sviluppano e muoiono. E’chiaro che la scuola non può più produrre informazione: in questo tutte le altre agenzie la superano. Ma può produrre cultura: essere il luogo in cui le informazioni vengono selezionate, assimilate e armonizzate in una Weltanschauung. E’ un lavoro più difficile, che richiede una revisione del concetto di scuola in senso tra l’altro diverso da quello delle riforme che hanno variato la parte informativa con pochi e fumosi cenni su quella elabo-
rativa. Saprà la scuola formare strutture mentali composte di passione e raziocinio, atte a gestire la pletorica velocità del mondo contemporaneo? Se sì, i nostri figli potrebbero bene essere in grado di affrontarne l’enorme complessità e gestirlo. In caso contrario essi saranno presi nel vortice di un mondo che darà loro mille informazioni, ma di cui non avranno alcuna vera comprensione, un mondo dalle regole per loro incomprensibili. In tal caso diventeranno facile preda di quelle agenzie economiche e politiche che si reggono su soggetti manipolabili e li reclutano (ricordate le pecore di Orwell?) promettendo loro protezione e deresponsabilizzazione (ghe pensi mi). Una massa di soggetti deboli e incapaci, perciò arrabbiati e aggressivi, alla perenne ricerca di un centro, un punto di riferimento, una guida (in italiano Duce, in tedesco Fuehrer in arabo e siciliano Rais), pronti a consegnarglisi mani e piedi legati, in cambio di una sicurezza che come sempre in questi casi si rivelerà effimera, giacché nessuna reale sicurezza potrà mai essere trovata dall’uomo all’esterno del proprio Sé. Competitivi non per diventare migliori, ma per compensare nel confronto la loro mancanza di dimensioni reali. E l’unico piano su cui si potranno confrontare sarà quello materialistico, giacché non avranno potuto formarsi una personalità spirituale e affettiva e non sapranno quindi gestire i sentimenti attualizzandoli nel rapporto umano né nell’atto amoroso (concetto che di quello sessuale è enormemente più ampio). Incapaci culturalmente di gestire la democrazia, si sentiranno protetti dal dispotismo, dissimulato sotto un consumismo di informazioni, preconfezionato dai mezzi di comunicazione alle masse che, come ogni consumismo, altro non è se non uno degli aspetti della dipendenza. Penseranno quindi di essere liberi. Mentre saranno tragicamente schiavi. V. Policreti
Lo stoico Posidonio teorizza, nell’XI libro delle Storie: molti uomini, non essendo in grado di governarsi da soli per debolezza mentale, si sono consegnati come servi ad uomini intellettualmente superiori affinché, ottenendo che i padroni provvedessero alle loro necessità, essi, i servi, potessero contraccambiare, svolgendo per i padroni quelle mansioni che fossero in grado di eseguire. In questa forma i Mariandini si sottomisero agli abitanti di Eraclea, impegnandosi a servirli per sempre se gli Eracleoti avessero provveduto alle loro necessità. Stabilirono come ulteriore condizione che nessun Mariandino sarebbe stato venduto al di fuori del territorio di Eraclea, ma soltanto all’interno della propria terra. [Ma un tempo.. non c’era bisogno di schiavi… infatti:] Cratere negli Animali selvaggi: A Quindi, nessuno possiederà uno schiavo o una schiava, ma ognuno, anche se anziano, si servirà da sé? B Niente affatto: farò in modo che ogni oggetto si muova. A E che vantaggio avranno? B Ogni utensile si accosterà non appena chiamato. Vieni qui vicino, tavola, Ehi, tu, apparecchiati. Impasta, panierino, Mesci, mestolo! Dov’è la coppa? Va’ a sciacquarti! Vieni su, focaccia. La pentola dovrebbe scolare le bietole. Muoviti, pesce. ‘Ma non sono ancora arrostito a puntino sull’altro lato! Ma che aspetti a rivoltarti ed a cospargerti di sale e di olio? …Ancora più seducente è la descrizione di Teleclide negli Anfizioni: Voglio descriverti il genere di vita che un tempo offrivo ai mortali. In primo luogo, vi era pace fra tutti come l’acqua scorre sulle mani. La terra non produceva terrore, né malattie; le cose necessarie nascevano spontaneamente. Il vino scorreva in tutti i torrenti, le focacce lottavano con i panini per raggiungere le bocche degli uomini. Li supplicavano di mangiarle, se gradivano le più bianche. I pesci si presentavano alla porta di casa, si arrostivano da sé e si imbandivano sulle tavole. A fianco dei letti scorreva un fiume di brodo, in cui rotolavano pezzi dì carne bollente. Rivoli di salse piccanti erano a portata di mano per chi ne desiderasse, sicché ce n’era in abbondanza per trangugiare il boccone dopo averlo intinto, sì da renderlo tenero. Sui vassoi erano adagiate focacce al miele, cosparse dì spezie, mentre tordi arrostiti, accompagnati da focaccette al latte, saltavano in bocca. Le torte schiamazzavano e si facevano largo a spintoni per raggiungere le mascelle. Da: Ateneo, Schiavi e servi, Sellerio editore Palermo
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La schiavitù nel mondo delle formiche
Forse il titolo di questa nota susciterà sorpresa e curiosità fra i lettori che non s’interessano di zoologia. Ma il fenomeno dello schiavismo (detto anche dulosi: dal greco dulos = schiavo) nelle formiche è ben noto da circa due secoli. Fu infatti Pierre Huber, un entomologo svizzero che nel 1810 descrisse per primo le razzie di larve e pupe effettuate da una specie ai danni di un’altra più debole. I soggetti immaturi rapiti, una volta portati nel formicaio, si sviluppano e diventano schiavi-operai il cui compito è quello di costruire celle, prendersi cura della prole e nutrire la collettività. Si viene a creare, dunque, una dipendenza talmente forte che le formiche predatrici non sono in grado di sopravvivere senza l’intervento delle schiave. Charles Darwin, nella sua celeberrima opera L’origine delle specie, ritorna sull’argomento e propone una interessante e largamente condivisa teoria sulla genesi del fenomeno. Egli infatti ipotizza che fu la necessità di reperire cibo a spingere una specie al ratto degli esemplari immaturi di altre formiche (affini geneticamente). Non tutte le numerose prede furono uccise e divorate e, conseguentemente, quelle che rimasero ebbero la possibilità di svilupparsi, di divenire adulte e d’integrarsi con gli altri componenti della colonia. Ebbe cosi inizio un processo evolutivo che ha condotto agli attuali fenomeni di schiavismo. Questa interessante teoria è però confutata da uno zoologo della Harvard University, Eduard O. Wilson, il quale sostiene che la principale spinta all’attività dulotica è stata determinata dalla necessità di difendere il territorio e non di procacciarsi il
cibo. Conclusione questa scaturita da osservazioni effettuate su colonie, d’ordinario non dedite allo schiavismo, collocate sperimentalmente in aree ravvicinate. E’ stato così che la collettività più numerosa aggredì quella più piccola, uccidendo gli adulti (regine comprese) e predando le pupe. Wilson ha anche scoperto che le specie razziatrici non sempre hanno il sopravvento avvalendosi della loro forza fisica e dei loro organi di offesa, in quanto viene fatto ricorso anche ad un inganno olfattivo. Invero, gli esponenti della specie Formica subintegra secernono una sostanza (acetato) in grado di creare scompiglio e panico nella comunità avversaria. L’effetto dell’arma chimica è talmente potente che, cessata l’aggressione, i superstiti sono restii a rimanere nell’area interessata. In conclusione, alle schiaveoperaie è riservata una duplice sventurata sorte: quella di essere state rapite in tenera età e quella di subire l’inganno determinato da un imprinting errato: venendo a contatto, fin dall’inizio della loro esistenza, con l’odore caratteristico degli schiavisti, s’identificano con essi e si comportano di conseguenza. L’unica consolazione per le povere schiave è, per così dire, quella di non essere state sbranate. Quindi, il processo evolutivo passa anche attraverso strade che possono apparire estremamente ingiuste ai nostri occhi, ma che sono dettate dall’insopprimibile esigenza di trovare i mezzi per sopravvivere e di ottenere un successo riproduttivo ossia la trasmissione dei propri geni alla discendenza. Ivano Mortaruolo
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Paesaggio
mezzadria, fino alle grandi coltivazioni quasi industriali; da momenti di rigogliosa prosperità, fino agli stenti dell’autarchia. Nessuno manca di ricordi, più o meno lontani, di una campagna che era (ed è tuttora) simbolo di benessere, di cose genuine e naturali da mangiare, di qualità della vita. Piccole località rurali dove, magari, abitavano parenti ai quali si invidiava la semplicità di uno stile di vita assolutamente impossibile da replicare in ambito urbano. Ma tutto cambia, tutto evolve e forse, proprio a causa di un suo implicito carattere conservatore, il mondo dell’agricoltura non sempre ha saputo muoversi alla stessa velocità di altri comparti. Ad un inevitabile avvento di tecnologie avanzatissime, che sono state gradualmente e naturalmente metabolizzate, non è mai corrisposto un pari cambiamento di mentalità. La terra era e rimane bassa e anche la testa degli imprenditori agricoli, raramente ha saputo guardare al di là del susseguirsi delle stagioni. Seppur di imprenditori veri e propri si può parlare (con tanto di spirito di iniziativa e di rischio d’impresa sommati alla imprevedibile clemenza - o cattiveria - del fattore meteorologico), adesso è il momento di andare veramente avanti, con onesta lungimiranza, superando la falsa panacea delle politiche di sovvenzione. Comunitarie, nazionali o regionali che siano. Una vera politica agricola comune è sicuramente un’altra cosa.
agricolo
Che senso ha (e lo dico per averlo visto in prima persona) espiantare un vigneto in produzione per piantare dei pioppi, semplicemente perché ci sono in ballo dei contributi? A chi giova piantare dei girasoli che non verranno mai raccolti, per il solo motivo di potere accedere ad un finanziamento? A cosa serve, insomma, arrivare per primi di gran lena al primo chilometro quando si sta correndo una maratona? Questo tipo di politica vetusta non giova, anzi nuoce gravemente, al territorio, alla sua tipicità, alle tradizioni e alla continuità storica che sono il solo valore su cui davvero puntare. Se veramente si vuole aiutare un settore come quello agricolo potrebbe essere più semplice - e sicuramente più giusto attuare misure mirate alla defiscalizzazione dei redditi e degli utili. Parallelamente occorre puntare fortemente sulla territorialità caratterizzante ed esclusiva delle nostre produzioni, reinvestendo almeno parte del gettito fiscale nella promozione istituzionale del settore e delle sue produzioni. L’Italia è un paese dalla meravigliosa e quasi sconfinata varietà di produzioni agricole tipiche e non replicabili altrove. Aumentare la consapevolezza e la diffusione di prodotti italiani, una volta legati anche culturalmente al territorio, ci consentirebbe, infine, di eliminare gradualmente ma definitivamente ogni forma di barriera sui prodotti agricoli dei paesi in via di sviluppo. Basterebbe poco, insomma per fare bene sia per casa nostra, sia per altri paesi che, per ragioni morali in primo luogo, abbiamo il dovere di aiutare. F. Marconi
Il disturbo narcisistico di personalità pri specifici tratti di personalità, privilegia certi stili di comportamento da mettere in atto nelle varie situazioni di vita. Entro certi limiti, più una persona ha la possibilità di scegliere tra vari stili comportamentali, magari sulla base di più tratti che ne caratterizzano la personalità, meglio riesce a soddisfare le proprie esigenze in accordo con le richieste sociali. Al contrario, più una persona ha una personalità basata su un tratto assolutamente prevalente, più è rigida nel relazionarsi agli altri ed avrà difficoltà ad ottenere soddisfazione, oppure, per farlo, metterà gli altri in grave difficoltà. Nel caso del narcisismo, una personalità sufficientemente elastica, avrà una adeguata e realistica stima di sé, pur tendendo magari ad essere protagonista e centrale nelle relazioni interpersonali; non disdegnerà il contributo degli altri, che terrà nella giusta considerazione e utilizzerà per migliorare se stesso ed aumentare il proprio prestigio (un buon leader non può non avere anche un tratto narcisistico). Una personalità rigida, per così dire, estrema, tenderà invece a utilizzare gli altri unicamente come comprimari o scenario per le proprie esibizioni, nella convinzione assoluta “che il mondo esterno esista unicamente per soddisfare i propri desideri” (Charles Rycroft). I narcisisti estremi manifestano un senso grandioso di autostima e una pressante necessità di ammirazione, sovrastimando le proprie capacità, spesso con una implicita svalutazione dei contributi altrui. Possono presumere che anche gli altri valutino allo stesso modo i loro sforzi, tanto da risultare sorpresi quando non giungono le lodi che si aspettano e che si sentono di meritare. Questi individui si sentono superiori, speciali, unici e amano paragonarsi con persone famose o privilegiate (tipo Napoleone o, per fare esempi di casa nostra, De Gasperi o Don Sturzo). Possono pensare di dover frequentare solo persone speciali o di condizione sociale elevata, i soli che li possano veramente capire (un magnate dell’industria o delle comunicazioni o magari un presidente di una nazione importante potrebbero essere annoverati tra questi). Essi richiedono generalmente un’ammirazione eccessiva e credono che le loro necessità siano speciali e al di fuori delle
persone ordinarie (magari paragonandosi per questo a personaggi superiori, tipo Gesù, in quanto, come il Cristo, destinati a sacrificarsi per l’umanità). I narcisisti estremi, inoltre, mettono sovente in atto comportamenti arroganti e superbi; sono spesso incuranti del dolore o del fastidio che le loro osservazioni possono provocare negli altri, tanto che alcune frasi offensive per chiunque, possono essere percepite e magari descritte da loro stessi solo come battute. Una personale vulnerabilità di fondo li rende molto sensibili alle ferite dovute a critiche o frustrazioni. Sebbene possano non darlo a vedere esternamente, la critica può tormentarli profondamente e, per questo, possono reagire con sdegno, rabbia o contrattaccare con insolenza (prendendosela magari con lo stesso soggetto che ha osato criticare alcune loro scelte manageriali, economiche, o politiche, ovvero denigrando l’avversario per i suoi difetti fisici; per cui se uno è esageratamente magro, potrebbero anche dire, ad esempio, che piuttosto che frequentarlo preferirebbero bivaccare in un ossario). A volte, la risposta è una parvenza di umiltà che può mascherare o proteggere la grandiosità (come potrebbe essere il richiamo ancora a Gesù Cristo, con nomina eventuale di discepoli che dovrebbero portare nel mondo, con sacrificio e tolleranza, come essi stessi stanno facendo, una Buona Novella, magari di una famiglia felice, o di una azienda felice, o di un’Italia felice); altre volte questi individui tendono a costruire razionalizzazioni per gonfiare il loro valore e svalutare chi si rifiuta di accettare l’immagine che essi stessi hanno di sé (per cui chi si rifiuta è un pessimista, o un anarchico, o un comunista).
A questa caratteristica estrema possono associarsi tratti di tipo persecutorio che si caratterizzano per una diffidenza e sospettosità pervasive (che tendono, cioè, a diffondersi ovunque), le quali si manifestano nel timore, peraltro senza prove, di essere sfruttato o danneggiato; nel dubbio ingiustificato della lealtà o fedeltà di amici e colleghi; nello scorgere significati nascosti, umilianti o minacciosi in critiche o simili; nella percezione costante di attacchi al proprio ruolo o alla propria reputazione, quand’anche non evidenti agli altri, tanto da essere pronto a reagire con rabbia e a contrattaccare a testa bassa, raccontando nei salotti buoni o davanti alle telecamere o magari nelle sedi istituzionali, fatti inconsistenti pur di creare confusione e metter in cattiva luce il supposto danneggiatore. Il narcisista estremo è un soggetto sempre più diffuso nella nostra società, che ormai non si accontenta più di specchiarsi in un lago per rimirare se stesso, ma si propone costantemente all’attenzione degli altri, sfruttando ogni occasione di visibilità, procurandosela in ogni modo, cercando di imporsi se non riesce a farlo con le buone (il narcisista gode spesso anche di una certa, ancorché strumentale, seduttività e si stupisce sempre quando gli altri non ne sono conquistati), lamentandosi sempre e comunque di meritare e di avere diritto a più spazio. Non viene in mente nessuno? Beh, basta guardare i titoli dei giornali o magari accendere la televisione all’ora di cena e sicuramente, dopo qualche minuto, i lettori avranno qualche idea più concreta di quanti possano costituire un esempio del tipo descritto in queste righe. M. Bechi Gabrielli m.bechigabrielli@fastwebnet.it
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E chi li vuol separare... peste lo colga
dovere di rivolgere un motivato invito agli stati membri (di fatto, all’Italia) perché siano apprestati congrui correttivi al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (laddove ancora esistente, come appunto in Italia) e sia del pari attuata una effettiva separazione tra magistratura inquirente e giudicante (laddove tale separazione ancora non esista, come appunto in Italia). Aciò si aggiunga che nel lontano 1979, Giovanni Conso parlava già di accordo pressoché generale delle istituzioni sulla necessità di modificare l’attuale regolamentazione del PM in quanto ambigua e contraddittoria, né chiara né omogenea, priva di qualsiasi logica, e che, prima di lui, Antonio Brancaccio aveva anche chiarito come la corretta impostazione della problematica del PM imponesse di mettere da parte lo spirito corporativo con cui la maggioranza della magistratura si era fino ad allora (e si è fino ad ora, aggiungiamo noi) occupata di essa. Né le critiche dei Presidenti emeriti della Consulta sono rimaste voci isolate, se anche Giovanni Falcone ha lanciato in epoca a noi più vicina, una sua denuncia tranchant del sistema, quando al Convegno di Senigallia del 1990, definì addirittura inaccettabile “che in un regime liberal-democratico qual è indubbiamente quello del nostro Paese, non vi” - fosse - “ancora una politica giudiziaria e tutto” fosse - “riservato alle decisioni, assolutamente irresponsabili, dei vari uffici di procura e spesso dei
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singoli sostituti!”. E forse il nervo scoperto di questo scomodo dente del giudizio, va ricercato nel fatto che da anni, oramai, il processo penale è diventato, con patente scorrettezza metodologica, non solo l’unica sede di controllo della criminalità, ma anche lo strumento privilegiato per la diffusione mediatica dei contrasti politici e dei problemi di ordine pubblico, e ciò in ragione del clamore che le inchieste giudiziarie comunque suscitano, a prescindere dal loro esito finale (peraltro non parimenti pubblicizzato se favorevole all’imputato) e dai loro costi (a volte stratosferici), nonché dell’impatto che le iniziative e le decisioni degli inquirenti hanno sulla opinione pubblica; tant’è che la giurisdizione penale sembra essere l’unica esistente, a scapito di quella civile che dovrebbe essere, di contro, il vero perno su cui far ruotare la complessa e cigolante porta politica del diritto. Pur tuttavia la deformazione esiste e tale resta; anzi ad essa si uniscono le non meno rilevanti considerazioni che l’uomo della strada non è, per un verso, capace di percepire, per suo incolpevole difetto di conoscenza, le specifiche peculiarità che caratterizzano le diverse legislazioni ed ha, per altro verso, la possibilità di percepire il peso delle perverse dinamiche giudiziarie e delle discrasie che affliggono il pianeta giustizia, solo quando le sperimenta sulla sua pelle. Il che postula la necessità di fornire una esemplificazione di questo ostico tema della sepa-
razione delle carriere, che potrebbe risultare non soltanto di difficile comprensione, ma addirittura di scarso rilievo per i non addetti ai lavori, mentre invece non lo è affatto. Per cui, al solo e precipuo fine di chiarirlo e non certo di banalizzarlo, ricorriamo ad una metafora calcistica supponendo che la squadra di Tizio (Avvocato della Difesa) debba incontrare, peraltro in trasferta (Tribunale), la squadra di Caio (Pubblico Ministero). Allora, pensate voi che Tizio sarebbe contento e appagato nelle sue legittime istanze di imparzialità, se l’arbitro (il Giudice) di tale incontro fosse un giocatore della squadra avversaria (Magistratura latu sensu) e che questi, abbandonata nel secondo tempo la divisa nera (Magistratura giudicante), entrasse in campo con la maglia della squadra di Caio (Magistratura inquirente)? Credo proprio di no ed immagino, anzi, quale infinita e violenta querelle verrebbe sollevata in proposito nei vari talk-show calcistici, tra improbabili rossi biscardiani e sicure obesità bistecconiche. Ebbene, mutatis mutandis, la situazione in essere nella nostra magistratura è più o meno la stessa, quand’anche nei modesti limiti imposti dalla recente riforma, la quale ha però operato soltanto una blanda separazione delle funzioni, rendendo meno agevole, ma non impossibile, la trasmigrazione da quella inquirente (Procuratore della Repubblica, Sostituti e PM), a quella giudicante e viceversa. E tutto questo senza che ci sia, da parte di chi scrive, alcun giudizio etico, bensì la sola convinzione, peraltro recentemente ribadita con assoluta chiarezza dal Presidente Ciampi, che il magistrato non debba limitarsi ad essere imparziale, ma che debba anche apparire tale. Ora, non credo v’abbia alcun dubbio su come l’imputato fatichi ad avvertire tale equidistanza, quando rileva in chi è chiamato a giudicarlo, una certa consuetudine amicale con chi l’accusa, la quale si tra-
duce, ad esempio, in un familiare Tu, mentre a chi lo difende viene riservato il più asettico e giustamente distaccato Lei. E dunque come non convincersi, magari sbagliando (ma sta proprio qui il problema dell’apparire!), che il Giudice potrebbe ascoltare con maggiore disponibilità d’animo la tesi del collega della Procura, con il quale ha comunanza di vita e di professione, piuttosto che la tesi dell’avvocato della difesa, forse mai visto o conosciuto!? E, si badi bene, niente di innaturale o di sbagliato in tutto questo, perché essere colleghi, significa essere vicini di stanza; lavorare gomito a gomito; avere gli stessi problemi di carriera; percepire la stessa retribuzione; essere partecipi degli stessi privilegi; avere bisogno reciproco e, all’occorrenza, la possibilità di difendersi reciprocamente da accuse esterne o interne; far parte della stessa associazione sindacale e, a volte, della stessa corrente; confrontarsi sulle stesse problematiche e sui casi più difficili, mettendo a disposizione le rispettive esperienze; essere portatori delle stesse rivendicazioni; essere eventualmente amici e avere mogli amiche; avvertire, in definitiva, lo stesso forte spirito di appartenenza ad un’unica grande famiglia. Ma se è vero, come è vero, che nella triade processuale il Giudice assume la funzione di arbitro (tanto per tornare alla nostra metafora iniziale), cioè di soggetto terzo che pondera in maniera asettica le opposte tesi e decide di conseguenza, allora le altre due parti, in quanto portatrici di interessi confliggenti, devono restare separate dal primo, essere soggetti estranei ad esso. Né è pensabile che l’inquirente, cioè il PM di oggi, possa diventare il Giudice di domani, chiamato magari a valutare la posizione processuale di un imputato, che è stato inquisito da un ufficio del tutto simile, per metodi di indagine, per forma e per abitudini mentali, a quello di cui anche lui ha fatto parte.
In conclusione, però, se non vogliamo cedere con peccaminoso compiacimento alla tentazione di spargere al vento ricette utopistiche, dobbiamo avere e dare coscienza di come l’eguaglianza totale dei due antagonisti (PM e Difesa), sia auspicabile e doverosa solo in linea teorica, dal momento che essa è sul piano pratico di difficile attuazione. Il PM rappresenta pur sempre lo Stato, il cui compito istituzionale consiste nel ripristinare l’ordine giuridico violato, al punto che l’ordinamento prevede e sancisce, per taluni comportamenti ritenuti ex lege altamente riprovevoli, anche la privazione di un bene intangibile come la libertà personale. Tant’è che il PM ha a sua disposizione, gratuitamente (rectius a spese della collettività), la Polizia Giudiziaria (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Municipale, Guardia Forestale ecc.) della quale si serve per gestire le indagini, mentre l’imputato deve farsi carico delle onerose prestazioni di un Investigatore privato (nei limiti che questi comunque incontra, a differenza della Polizia Giudiziaria), qualora voglia e possa permettersi quella ricerca delle prove a discarico, che il PM non intende effettuare, sebbene sia tenuto a farlo, in quanto reputa non meritevoli di attenzione gli elementi probatori indicati dalla difesa. Ebbene, è proprio in virtù di questo inevitabile favore, che il legislatore dovrebbe avere la sensibilità sociale e la volontà politica di garantire il più alto grado possibile di parità tra accusa e difesa, non limitandosi all’attuato spostamento del banco del PM, un tempo posizionato alla stessa altezza, o quasi, del Giudice ed ora portato al livello di quello della difesa, ma offrendo all’imputato quella imparzialità e quella equidistanza, apparenti nella forma e reali nella sostanza, di cui la separazione delle carriere rappresenta soltanto un primo e necessario passo. ST
In occasione della mia tesi di laurea in Scienze dei beni culturali all’università Lumsa di Roma, ho deciso di analizzare quello che secondo me è IL monumento di Narni ed ho proposto una mia strategia di riqualificazione. La Rocca Albornoziana è da settecento anni la fortezza di Narni e di quanti ogni giorno la osservano elevarsi solennemente sopra di loro; è un cuore di pietra pulsante dal fascino discreto e fiabesco. Studiare un progetto culturale da realizzarvi è compito delicato ma anche di grande soddisfazione per chi come me crede in un futuro migliore per questo tesoro e per la sua città così ricca di storia e arte. La tesi si articola in tre parti. La prima è una ricognizione culturale di Narni con particolare attenzione alla storia e all’architettura della Rocca. Ho presentato poi la manifestazione Le vie del cinema, che ha ispirato la scelta della materia del museo, la rassegna cinematografica annuale che si svolge al Parco Pubblico di Narni Scalo, durante la quale vengono presentate pellicole restaurate con il contributo dello stesso Comune di Narni. Questa parte è seguita da un capitolo sui valori che fanno di un film un’opera d’arte e sui princìpi per un restauro filologico delle pellicole, desunti dal saggio di Cesare Brandi sulla Teoria del restauro. Ho parlato infine in concreto della proposta di adibire alcuni
ROCCA ALBORNOZIANA DI NARNI da fortezza a museo del cinema italiano restaurato
Un progetto di riqualificazione
U N I V E R S I T A ’ L U M S A D I R O M A Facoltà di Scienze e gestione dei beni culturali Voto 110 e lode Congratulazioni dalla Direzione de La Pagina alla sua redattrice
B E N E D E T TA B AT T I S T E L L I locali della Rocca a museo del cinema, il tutto introdotto da una parte generale sulla situazione museologica italiana e più nello specifico umbra per individuare la tipologia di museo più adatta al territorio in
cui spero presto di potermi trovare ad operare. Per la prima volta in questa occasione è stata da me proposta una collaborazione tra due realtà presenti e collaudate sul territorio narnese, quella della ma-
No alla politica dell’embargo Nonostante la Conferenza Navale di Londra del 1909 riservi la misura costrittiva dell’embargo a situazioni belliche, questo viene frequentemente utilizzato come strumento politico. Già molto discusso ed ambiguo fin dalla sua origine, l’embargo rimane ancora oggi un provvedimento discutibile nella sua efficacia, in quanto strumento di pressione, e nelle sue conseguenze. Nel caso di Cuba, quasi cinquant’anni di restrizioni determinate dagli USA non sono servite a muovere Castro verso il neoliberalismo o la libertà di espressione. Oppure, come accaduto in Burundi, dove i gravi problemi nazionali erano imputati alle ristrettezze dell’embargo anziché al governo, la lotta energica condotta dal regime dittatoriale di Buyoya per la sospensione dell’embargo ha rinforzato le simpatie per la sensibilità mostrata nei confronti dei bisogni della popolazione. L’embargo costituisce di fatto uno sbarramento allo sviluppo dell’economia del Paese che lo
subisce nei settori strategici: infrastrutture e trasporti, turismo, attività bancaria, assicurativa, petrolifera, chimica, edile, agricola, peschiera, elettronica e telematica. È un forte intralcio agli investimenti diretti d’imprese straniere e al trasferimento di valuta. In modo ancor più grave e inaccettabile, gli effetti dell’embargo arrecano sofferenze ingiustificate alla popolazione, utilizzandone i bisogni vitali come un’arma politica che la colpisca al cuore. Incalcolabili i danni sociali legati a deficienze alimentari, sanitarie e culturali. Generi alimentari di prima necessità spariscono dal mercato; il numero dei pasti giornalieri viene ridotto a causa della scarsità del cibo. I medicinali che non sono prodotti nel Paese sono difficilmente reperibili e questo complica l’attuazione di terapie contro il cancro, la leucemia, l’AIDS, le malattie cardiovascolari e renali, per non parlare di cure e prestazioni mediche che noi fortunati potremmo ritenere ordinarie, come quelle indirizzate, ad esempio, alle donne in gravidanza. Il prezzo più alto, come sempre, lo pagano i bambini: le vaccinazioni sono rese difficoltose dalla necessità di importazione di componenti essenziali per la produzione dei vaccini stessi, ma, peggio, ci sono stati e ci sono casi in cui è impedito che i neonati ricevano gratuitamente cibo e prodotti pediatrici per trattamenti intensivi. Si calcola che le privazioni di assistenza sanitaria e di nutrizione adeguata produrranno una prossima generazione di uomini e donne
mentalmente ritardati, con grossi problemi comportamentali e fisici. Oltre al resto, come il caso cubano ci mostra, incentivi all’emigrazione - anche illegale - causano perdita di risorse umane e di talenti; sistematiche violazioni delle libertà di movimento dei ricercatori e limitazione dell’opportunità di reperire materiali di letteratura scientifica specialistica, ostacolano il progresso della ricerca scientifica e, di conseguenza, la crescita di un Paese. Ciò considerato, è facile comprendere come l’embargo così esercitato contravvenga alla Carta delle Nazioni Unite ed alle Convenzioni dell’ONU sui diritti umani e sui diritti del bambino. Diritti Umani, Autodeterminazione dei Popoli, Sovranità Popolare. Concetti e valori sedimentati nel nostro tessuto culturale che sono parte indiscussa della nostra identità di democratici ed illuminati cittadini. Coscienza Critica, Libertà di Stampa, di Pensiero e di Opinione. Libertà di Scelta, che significa avere Opportunità di Accesso. I divieti, le proibizioni, le modalità con cui l’embargo si esplica, che metaforicamente rimanda a un cuscino spinto sul volto a voler soffocare, si avvicina a un crimine contro l’umanità. Appare allora drammaticamente chiaro come l’embargo sia uno strumento in contrasto con i princìpi di promozione e protezione di quei diritti umani, sociali, civili, che le cosiddette civiltà democratiche vogliono per sé, ma evidentemente, fattivamente, non per Loro. Silvia Donati
nifestazione e appunto la Rocca. Ho scelto di collocare qui il museo, nel pieno rispetto dei valori artistici del monumento, perché essa è già di per sé stessa dotata di vocazione museale. Il suo ultimo restauro infatti,
effettuato nel 1998/99, aveva già previsto di destinarla a questo scopo. L’obiettivo è quello di far sì che la Rocca, anche se già museo in sé, possa diventare un vero punto di riferimento per iniziative culturali e contribuire alla crescita formativa e turistica del Comune di Narni. Per la sua natura e la sua storia, la Rocca occupa un posto di rilievo a livello nazionale ed europeo. La specifica identità storica la qualifica come elemento fondamentale di un sistema difensivo e di controllo del territorio. Il sistema di fortezze voluto dal Cardinale Albornoz segna fortemente il territorio nella sua conformazione ed evoluzione, ne esprime una caratteristica originale ben individuabile e riconoscibile per funzione e forma. Su queste premesse ho voluto impostare il mio progetto, per riacquisire un monumento così prestigioso alla proprietà e disponibilità pubblica, destinandolo ad un uso della stessa valenza non solo locale ma nazionale ed europea che in qualche modo ha caratterizzato la sua esistenza. La specificità deriva inoltre, oltre che dallo spessore storico e culturale del monumento, dalla sua capacità di evocare un ruolo, un messaggio, una funzione. Dalla Rocca quindi credo debba partire il progetto di riconversione per una città come Narni, dall’economia principalmente industriale, per una identità nuova all’insegna della cultura. Benedetta Battistelli
Laurea per Federico Li Gobbi giovanissimo campione ternano Nuovo traguardo raggiunto da Federico Li Gobbi. Dopo la vittoria nella International Rally Cup arriva anche la laurea. Il pilota ternano, che nel 2005 aveva diviso il suo tempo fra la carriera rallystica e l’impegno universitario, porta a termine il suo cammino da studente. La tesi che ha consentito a Federico di laurearsi in scienze dei beni storico - artistici ha come oggetto l’altare maggiore dell’Abbazia di San Pietro in Valle presso Ferentillo. “Ho scelto questo argomento spinto dalla voglia di studiare una testimonianza altomedievale che fosse geograficamente vicina alla mia città; sinceramente non avevo idea di quante problematiche potesse nascondere un tale reperto ma devo ammettere di essermi appassionato molto a questo caso”. La passione per l’arte non gli ha impedito di lottare nella classe N2 dell’International Rally Cup, campionato che lo ha visto vincitore dopo le sette gare previste. Ma le sorprese non finiscono qui: la prossima sfida sarà dimostrare il suo valore nella medesima serie nel 2006 a bordo di un’auto di categoria superiore. Federico infatti disputerà la prossima stagione con una Renault Clio RS della Realtime Motorsport, squadra corse pistoiese con cui il pilota ternano ha raggiunto l’accordo di colla-
borazione. L’auto che avrà a disposizione è uscita vincitrice dal campionato toscano nel 2005 ma dobbiamo concedere a Federico qualche km di gara per poter entrare in confidenza col mezzo prima di chiedere qualche risultato di rilievo. La maggior potenza della Clio rispetto alla piccola Peugeot finora utilizzata ha bisogno di esser trattata con i guanti! Auguriamo a Federico di potersi battere alla pari con i piloti più quotati d’Italia che scenderanno in campo dal primo appuntamento in programma per il 2 aprile a Cassino. Un grosso in bocca al lupo, carissimo e bravissimo Federico, per i due alti traguardi, quello culturale e quello dell’abilità sportiva, che hai, anche grazie all’amore ed alla passione sportiva dei tuoi genitori, conquistate con le tue sole forze. GR
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Le donne? Un mito!
Il mito è un racconto che narra le vicende di tanto tempo fa. In genere queste vicende sono poste all’origine del tempo stesso come spiegazione dell’essere al mondo. Ciò che spinge l’uomo a costruire miti è il bisogno di dare significato all’esistenza, di spiegarsene le ragioni ultime - o prime, se si preferisce - di dare ordine alla realtà sottraendola al caos. Il mito fonda la realtà non solo com’è ma anche come deve essere, infatti la realtà, così come è, lo è diventata in quel tempo in cui tutto si è deciso. Uno dei temi mitici più diffusi è la comparsa della prima donna sulla terra. Per gli antichi Greci si chiamava Pandora ed era un tipetto fisicamente niente male … ma chi dice donna, si sa, dice danno. Si dà il caso che quando Zeus era già re, cioè quando il mondo divino aveva trovato un suo equilibrio, quando dèi e uomini banchettavano alla stessa tavola e gli uomini restavano eternamente giovani, esistevano le dee ma non le donne (e qui è già sospetto). Gli uomini, così come non conoscevano vecchiaia, malattia, morte e bisogno di lavorare, non sapevano cosa fosse una fem-
mina umana (e qui non commento). Nel quadro di una spartizione fra dèi e umani, Zeus un bel giorno decise di togliere agli uomini alcuni privilegi perciò nascose il fuoco e il nutrimento. Gli uomini erano ormai obbligati a lavorare la terra, e il fuoco di cui disponevano era un fuoco che moriva se non veniva alimentato, ma ormai, grazie a Prometeo che aveva consegnato loro tutte le tecniche, possedevano la Civiltà: proprio per vendicarsi di questo, Zeus preparò un nuovo tranello. Ordinò a Efesto di impastare un po’ di creta con l’acqua e di modellare una forma a immagine delle dee. Chiese poi a Hermes di animarla e di darle una voce e ad Atena e Afrodite di abbigliarla. Così costruita, Pandora colei che è tutta un dono – fece innamorare Epimeto colui che tanto intelligente non è - il quale, nonostante gli avvertimenti del fratello scienziato, la sposò. Pandora, prima donna del mondo umano, qualche tempo dopo, senza comprendere la portata storica della sciocchezza che stava per fare, non tanto per personale curiosità, quanto su istigazione di Giove, aprì una giara, guarda caso proprio quella da cui le avevano detto di stare alla larga. Appena sollevato il coperchio, fatica, malattie, morte, tutti i mali del mondo si diffusero nel pianeta. Nel recipiente restò solo la speranza, ciò che deve ancora accadere. Un bell’esordio per la prima moglie umana, non c’è che dire, a parte forse che Pandora, come Jessica Rabbit, quasi 3000 anni dopo, non aveva nessuna colpa… le hanno disegnate così. Lorella Giulivi
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Legge morale in me.... Due cose riempiono la mia mente di mistero e di sgomento, scrisse più di un secolo fa Immanuel Kant: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. Martha Nussbaum, pensatrice contemporanea, vede, in questa frase, lo spirito del pensiero liberale: la necessità di rispettare non ricchezze ed onori, ma il mistero dell’universo, le specie che lo popolano e la persona nella sua dignità di essere umano. E il rispetto di ogni caratteristica di questo essere tanto complesso, fatto di limiti e capacità, implica il considerare le persone fini, mai mezzi. Per Kant è un imperativo categorico, da seguire sempre e comunque. Sono molti i casi in cui ciò non avviene, per esempio, nella situazione delle donne. C’è un piccolo particolare che spesso tende a sfuggire: in nessun paese, nessuno, le donne sono trattate completamente alla pari degli uomini, nonostante i diversi gradi e le modalità con cui la disuguaglianza di genere si manifesta. Senza allontanarci troppo, focalizziamoci sulla civilissima Italia. Ma… qualcuno potrebbe obiettare, cosa può volere una donna in un contesto dove non solo viene detto, ma è legalmente vero che l’uomo e la donna godono di pari diritti? Il problema è che l’effettiva uguaglianza uomo-donna presuppone che entrambi abbiano le stesse opportunità di realizzare la propria vita, cioè che esista un’uguaglianza di opportunità reale, non formale. Ciò che il pensiero liberale considera fondamentale è l’autodeterminazione, in altre parole, la libertà di scelta. Ma perché la donna sia veramente libera di scegliere, devono esistere determinati presupposti materiali, primo tra tutti un’educazione tale da rendere la sua mente libera da pregiudizi. Nell’Italia di oggi, e non solo (anche se noi siamo agli ultimi posti nell’Unione Europea), ci sono mille piccole insidie e vere e proprie trappole, che vanificano l’uguaglianza formale. Perché, vedete, gridare viva le donne non è sufficiente, e se non è supportato dai fatti, puzza un pochino di presa in giro… Ci sono tre ambiti principali nei quali il pensiero comune e le politiche statali danneggiano le donne: la dimensione della cura e del bisogno, la famiglia e la religione. E’ verità da tempo accertata e inconfutabile che la cura delle persone in condizioni di dipendenza è prerogativa femminile. Qualcuno sostiene per predisposizione naturale…, ma lo sapete che la personalità viene formata fin dalla nascita dalle componenti sociali? Non bisogna confondere la naturalità con l’educazione che vorrebbe la donna come un connubio di altruismo totale e deficienza intellettuale. Fa troppo como-
do delegare interamente la cura di anziani, bambini o, in generale, delle persone bisognose di assistenza! Prendersi cura degli altri, a tutti i livelli, merita indubbiamente un alto riconoscimento (le politiche statali sono spesso del tutto inadeguate in questo senso), ma l’altruismo è una dimensione insita nell’essere umano, non nella donna in particolare. Non può essere repressa nell’uomo e sviluppata in modo totalizzante nella donna, pena la realizzazione di esseri umani incompleti e sofferenti in modi diversi, ma in eguale intensità. Anche l’uomo avrebbe da guadagnare in questa riconsiderazione dei termini, perché neanche lui, stando così le cose, è un essere umano a 360 gradi, libero di sviluppare davvero le sue attitudini. Purtroppo però, non se ne rende conto. Una tale riconsiderazione dei ruoli porrebbe le basi anche per una convivenza meno conflittuale tra uomo e donna, conflittualità, oggi, a danno della famiglia. Infatti il contesto familiare è un altro ambito in cui le donne spesso soffrono, dove rischiano ancora una volta di essere considerate mezzi, non persone aventi dignità propria, strumenti per il benessere dei mariti e dei figli. Il benessere del nucleo familiare è importantissimo, ma di tutte le persone che lo compongono, donna inclusa! Non si può ottenere a spese di uno dei membri! E’ realistico affermare che una donna è libera di scegliere un lavoro impegnativo e realizzarsi a tutti i livelli, alla pari di un uomo, se poi è completamente schiacciata da una doppia giornata lavorativa che include l’intero peso degli impegni domestici? Una bambina che fin dalla nascita è educata a una divisione dei ruoli, basata sull’appartenenza di genere, non diventa una donna libera di scegliere. La religione…Molte religioni sono discriminanti nei confronti delle donne: è un dato di fatto. E che tale fattore è spesso sottovalutato, anzi, giustificato dalla necessità di rispettare la religione, è un altro dato di fatto, ancora più triste. Sarà bene esplicitare un punto fondamentale, che non è un dato di fatto, ma do-
vrebbe esserlo: Nessuna Religione può vantare la pretesa di prevaricare la donna in quanto essere umano. I precetti religiosi possono essere tollerati solo in presenza di un esplicito consenso individuale, ma non possono avere pretese esterne, o influenzare il senso comune e le scelte statali! Nessuno vuole negare l’enorme importanza che la religione può avere per la persona. La libertà di religione è parte integrante nel principio della libertà individuali. Il valore etico della religione, però, dovrebbe consistere nel tentativo di migliorare la condotta umana. Ma le interpretazioni interne, legate ad un sistema patriarcale, fanno sì che i precetti non vengano aggiornati alla luce dell’evoluzione del dibattito morale, poiché etico-morale è l’intento religioso; e così ci sono molti aspetti delle religioni, i più ingiusti, che essendo in realtà di natura politico-culturale, non sono religiosi. Heera Nawaz, femminista islamica, sintetizza efficacemente: l’idea che Dio è buono e giusto è basilare e vincola idee più specifiche su ciò che Dio approva e disapprova. Ma gli uomini non hanno convenienza a supportare l’uguaglianza di genere, perché l’attuale situazione, in fondo, li favorisce. Oltre allo sviluppo armonioso della personalità umana ed al raggiungimento di una maggiore sintonia con l’universo femminile, c’è un altro motivo fondamentale per cui tutti devono battersi per l’uguaglianza reale, per la libertà di scelta e l’autodeterminazione: la democrazia. John S. Mill, già nel 1869, scrisse: tutte le inclinazioni egoiste, il culto di se stessi, le ingiuste partigianerie a proprio vantaggio, hanno la loro origine nei rapporti tra uomini e donne… Pensiamo a cosa significhi per un ragazzo crescere e diventare adulto nella convinzione che senza merito né sforzo alcuno da parte sua, pur essendo magari il più frivolo e vuoto, il più ignorante e stolto degli uomini, per il solo fatto di essere nato maschio, ha il diritto di essere superiore ad un’intera metà della specie umana. In questi termini non si può parlare di democrazia. Emma Franchini
Prostituzione,
Si dice che sia il mestiere più antico del mondo e infatti, anche nell’ambito della prostituzione, noi contemporanei avremmo molto da imparare dagli antichi romani, maestri di saggezza e buonsenso. Già ai tempi di Caligola la civiltà dei costumi aveva raggiunto un’elevatezza tale da poter essere fonte d’ispirazione per la risoluzione di un attualissimo problema che affligge le nostre città; le prostitute, infatti, potevano esercitare la loro professione nei lupanari, i postriboli, che erano non solo ampiamente tollerati dai governi (da qui il nome di case di tolleranza) ma anche controllati, sia dal punto di vista della prevenzione medica che per motivi tributari, difatti le lucciole pagavano le tasse al fisco romano come un qualsivoglia altro lavoratore. La societas romana era forse troppo dissoluta e depravata nei costumi morali? O forse possiamo ispirarci alla sapienza degli antichi che, sembra, avevano capito meglio di noi cosa fosse realmente uno Stato liberale di diritto? Al giorno d’oggi la piaga della prostituzione sta assurgendo ormai a proporzioni di vera e propria emergenza sociale. Nelle grandi città le zone dove le passeggiatrici esercitano sono ormai dei veri e propri ghetti in cui la legalità è bandita; il substrato delinquenziale che opera intorno al mondo della prostituzione fa sì che in queste aree si dislochino anche spacciatori, sfruttatori e malavitosi in genere che non esitano a picchiare, sfruttare e violentare - sia fisicamente che psicologicamente - le prostitute, specie se minorenni e clandestine. Al di là di ogni considerazione di ordine morale sulla compravendita di una merce come il sesso, bisognerebbe evitare di nascondersi dietro falsi perbenismi ed affrontare il problema in maniera razionale ed etico-sociale. La lotta alla prostituzione clandestina non deve concen-
un problema etico e sociale
trarsi sulle donne che esercitano il mestiere, né tanto meno sui clienti che pagano regolarmente la prestazione, ma dovrebbe perseguire coloro che operano nel racket della prostituzione, coloro che commerciano in carne umana, coloro che rendono una prostituta una schiava. Il commercio di esseri umani schiavizzati ha raggiunto dimensioni aberranti, nemmeno ai tempi del famigerato commercio triangolare di prigionieri tra Africa, Europa e America si assisteva ad una efferatezza ed una crudeltà tali da suscitare un così alto tasso di indignazione per un diritto, quello di poter disporre del proprio corpo, che è costantemente calpestato e disatteso. Facendo un discorso meramente razionale, legalizzando la prostituzione si potrebbero evitare dei problemi che comportano costi molto alti per lo Stato italiano: regolarizzando le squillo si riuscirebbero a tassare i loro proventi aumentando così il gettito fiscale del nostro Paese, ma - soprattutto - si pensi al risparmio che comporterebbe per la sanità pubblica un serio e capillare lavoro di prevenzione dall’AIDS e dalle malattie veneree, che sarebbe attuabile solo ed esclusivamente censendo le prostitute e proteggendole da stupri e violenze come qualsiasi altro cittadino. Perché, se è vero che le prostitute sono in maggioranza straniere, i clienti sono quasi sempre italiani che a casa hanno anche fidanzate e mogli. Così potremmo cercare di ridurre al minimo i danni determinati dalle debolezze dei nostri connazionali. Oggi le prostitute operano sulla strada e, costrette dagli sfruttatori, non rifiutano nessun tipo di clientela, anche se malata, e - spesso - devono sottostare a rapporti senza l’uso di alcuna protezione. Operando una seria revisione della legge Merlin, le prostitute potrebbero operare in autonomia ed affittare appartamenti per dedicarsi con tranquillità all’esercizio del
mestiere, potrebbero coordinarsi e curare sia la scelta degli avventori che la prevenzione delle malattie. Una revisione ed una razionalizzazione dell’intero sistema sono state operate nel nord dell’Europa. Perché tutto questo è stato possibile in questi Stati e, invece, non è nemmeno lontanamente ipotizzabile in Italia? Perché ci nascondiamo dietro un ipocrita puritanesimo e proibizionismi ancor più falsi, che non permettono di affrontare il problema e di risolverlo? Non cerchiamo di combattere le etére ma combattiamo il loro sfruttamento e la loro riduzione in schiavitù perché, da che mondo è mondo, il sesso è stato e sarà sempre merce di scambio. Naturalmente quando la decisione di prostituirsi, di fare commercio del proprio corpo, derivi da una scelta ponderata e motivata, da un atto di volontà autonomo e non da coercizioni o imposizioni esterne che possono aver determinato una scelta obbligata, con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di libertà e sicurezza sociale. Allora cerchiamo di fare in modo che chi decide di vendere il proprio corpo per denaro lo faccia in assoluta autonomia e non sotto lo spauracchio di un permesso di soggiorno o, peggio, di un figlio sequestrato dagli sfruttatori. Siamo consapevoli che è difficilissimo arginare il fenomeno della prostituzione, ci sono e ci saranno sempre persone disposte a vendersi per denaro ed acquirenti più o mano incalliti. Uno Stato laico dovrebbe impegnarsi in primo luogo nel tentare di recuperare queste donne, il più delle volte delle vere e proprie disperate, poi, in seconda istanza, di epurare questo tipo di attività da sfruttatori, schiavisti, mercanti di esseri umani e da quanti si sentono in diritto di costringere con la forza ed il ricatto un altro individuo a soddisfare i propri capricci. Claudia Mantilacci
Strade proibite, stra de da pe rc orre re Da qualche tempo non vediamo lungo le nostre strade le prostitute nigeriane a cui i maschi nostrani, non più razzisti se si tratta di sesso, si accostavano con morbosa curiosità, né le albanesi o le moldave o le ucraine o, infine, le romene, arrivate in ondate successive. Adesso la strada è stata sostituita dagli appartamenti, dai night o da altri luoghi di incontro, individuati attraverso siti web e indirizzi di posta elettronica. Traffico più comodo e meno visibile, ma anche fuori del controllo degli operatori sociali che potrebbero offrire aiuto alle giovani donne, spesso minorenni, e tentare per loro un riscatto. Dietro ad ogni prostituta o gruppo di prostitute un protettore (per le nigeriane una protettrice) brutale, senza scrupoli, capace di ogni tipo di violenza e di ricatto (sottrazione dei figli, segregazione, minacce di morte). Oltre all’ambiente in cui esercitare la propria professione o in cui vivere il proprio dramma, cosa è cambiato nelle donne vittime della tratta? Perché quando sono ingannate, strappate alla propria famiglia, mandate a lavorare senza passaporto in altri paesi, dobbiamo parlare di tratta o di schiavitù. Non sappiamo se negli ultimi anni sia cambiato il grado di consapevolezza delle vittime o il tipo di sfruttatore, se sia più facile o più difficile cambiare vita, tornare alla normalità. Sappiamo solo che i tanti operatori senza nome, che in Italia e in altri paesi si battono per la liberazione delle donne vittime dello sfruttamento sessuale, sono la dimostrazione che non solo qualcosa si è fatto, ma molto si sta facendo per ridare dignità e speranza a chi vuole riscattare la propria vita ed essere in grado di fare scelte diverse. Ma c’è anche chi non torna indietro, chi si salva, ma poi si lascia risucchiare nuovamente nel vortice delle paure, delle minacce, di incredibili rimpianti... E’ ancora presente e pericoloso lo spettro del maschilismo, della violenza psicologica in cui molte donne nascono e crescono e a cui non sono capaci di sottrarsi, abituate (soprattutto in territori in cui domina la dittatura) a subire, ad accettare la violenza, a sentirsi inferiori di fronte all’uomo. Perché la liberazione è questa: non solo cambiare vita, casa o città, ma anche cambiare mentalità, non accettare più il rimprovero immotivato, la minaccia, la
violenza fisica e psicologica, le umiliazioni e trovare la forza di difendere la propria dignità di persona, la propria identità, il proprio valore. E’ questa la strada da percorre per chi vuole sfuggire alla tratta, ma è necessario che qualcuno affianchi chi cerca coraggio e speranza, autonomia relazionale (non dipendere più dallo sfruttatore), oltre che alloggiativa e lavorativa. Il compito degli operatori è difficile e complesso, ma il supporto di seminari di formazione a livello nazionale, la presenza di psicologi, di medici, di legali, anche di sacerdoti volontari, il confronto fra équipes garantisce la serietà degli interventi. Che dire poi dei clienti? Anche qui qualcosa è cambiato: talvolta sono loro a segnalare le situazioni più drammatiche e, nei casi migliori, a collaborare, perché almeno le più giovani e le più coatte possano recuperare la loro libertà. Tuttavia viene spontaneo domandarsi cosa si compra nell’amore a pagamento, solo sesso o anche ascolto e comprensione? E allora, che famiglie ci sono dietro a certi uomini? Sicuramente famiglie che devono riscoprire il proprio ruolo, migliorare la relazione di coppia, garantire attenzione, tenerezza, affettività. Elettra Bertini
Tutti coloro che si trovassero in condizione di sfruttamento o che ne siano a conoscenza possono rivolgersi al numero verde nazionale (gratuito) 800290290 o agli Uffici dell’Associazione San Martino (referente nel territorio per tali interventi), in Terni, Via Ciaurro, (tel. 0744428393)
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I l Ho come l’impressione che ad alcuni amministratori comunali sfugga un particolare piuttosto importante: il budget che hanno a disposizione per finanziare le manifestazioni pubbliche, non appartiene a loro, ma ai cittadini. Quindi non possono spenderlo secondo i propri gusti personali, ma secondo l’interesse dei cittadini. E l’interesse dei cittadini si misura esclusivamente attraverso 2 parametri: la partecipazione diretta all’evento o il rientro economico per la città. Ho già sollevato più volte questa questione, ma a Terni quando si chiede il confronto su determinati punti, non c’è assolutamente il verso di ottenere udienza. Gli appuntamenti richiesti vengono glissati ad oltranza, per mesi, anni…, con la scusa di improrogabili impegni che se per Gli anni ‘70 a Terni sono anni di cambiamento. Forze nuove, problemi impensabili solo un decennio prima emergono con forza sulla scena della società ternana da sempre vissuta sul luogo comune della sana e industriosa città operaia. Muta il clima sociale, politico e culturale, entrano in scena i figli degli operai, la nuova generazione del postguerra. In tale clima le occupazioni dell’ex Palazzo Sanità, che sorgeva in completo abbandono al centro della città, sono state il termometro che ha misurato le inquietudini delle nuove generazioni e hanno avuto il merito di richiamare l’attenzione sul problema della emarginazione e della droga che era divenuto il segno distintivo della precaria condizione esistenziale e politica di una grossa parte dei giovani più sensibili al disagio sociale. Furono le successive occupazioni infatti che scandirono i tempi di questo disagio e della lotta politica messa in atto per superarlo. Il 30 gennaio 1977 un gruppo di giovani, che si rifacevano ideologicamente alla rivoluzione comunista, occupava il palazzo, cercando disperatamente di richiamare l’attenzione. Ma la città, piuttosto distratta, li guardava con curiosità mista a indifferenza e l’amministrazione comunale, messa di fronte al problema nuovo ed inaspettato della emarginazione in una città fino ad allora compattamente operaia, reagiva nell’unico modo sbagliato. Il 2 Febbraio con il pretesto della pericolosità (in realtà si trattava so-
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C a n t a m a g g i o chi amministra una piccola città come Terni fossero reali, renderebbero categoricamente impossibile a qualunque essere umano di diventare, ad esempio, un Ministro, o il Presidente di una Nazione. Ma accantoniamo per il momento questo discorso, che merita di essere trattato a parte, e torniamo alle manifestazioni ternane. Fermo restando che a Terni nessun evento è mai riuscito a tramutarsi in un investimento per questa città, contrariamente a ciò che accade nella vicina Perugia, ed
I l
escludendo quindi a priori la possibilità di un qualsivoglia rientro economico (purtroppo finché le competenze e la mentalità generale rimarranno misere, misere rimarranno anche le casse), l’unico fattore da considerare è quello
P a l a z z o
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t e r n a n o della partecipazione cittadina. La sola manifestazione che a Terni può definirsi a pieno titolo pubblica, ovvero seguita da un numero considerevole di persone e non da quattro gatti che si tenta disperatamente, con patetiche dichiarazioni, di far passare per folla, è il Cantamaggio. Non esiste altra iniziativa che riempia le strade e le piazze in modo così evidente agli occhi di tutti, e soprattutto non esiste altra iniziativa che impegni nell’organizzazione tanti cittadini. Un gran numero di pensionati ed artigiani si dedica
P r i m a v e r a
un protagonista degli anni ‘70 lo di inagibilità) veniva fatta intervenire la polizia, scattavano le denunce. Nel novembre dello stesso anno il processo e le condanne, confermate poi nell’appello del maggio 1978. La situazione però continuava a deteriorarsi e le richieste dei giovani di creare un centro sociale trovavano orecchie sorde. Era inevitabile una nuova occupazione, questa volta però con le idee più chiare da parte degli occupanti sull’uso dello stabile e sulla sua funzione politica e sociale e con l’appoggio mediatico e politico di una di quelle tipiche radio libere dell’epoca quale era Radio Evelyn, che si batteva già da anni su questi temi. Era il 16 febbraio del 1979. Erano trascorsi due anni dalla prima occupazione e l’eroina stava devastando una parte della gioventù ternana: nel giugno 1977 c’era scappato il morto. Gli occupanti ben consapevoli della gravità del problema, intendevano fondare un centro sociale con attività culturali, ricreative e una mensa, convinti che l’emarginazione sociale e la solitudine esistenziale erano il brodo
di coltura dell’eroina. Questa volta l’amministrazione comunale intervenne nella persona del sindaco, che, recatosi sul luogo, iniziava le trattative, ma era un dialogo tra sordi, parlavano due linguaggi diversi, gli occupanti quello delle loro urgenze di vita e dei loro bisogni, il sindaco quello legale. Risultato: intervenne nuovamente la polizia. Era la mattina del 15 Marzo. Al pomeriggio un’ultima fiammata, si rioccupava poi si decideva di lasciare dopo democratica votazione. Durante l’occupazione si era avuto tutto il tempo di dare fondo alla fantasia e creatività tipica di quel periodo. Sui muri delle stanze fatiscenti sbocciarono come fiori graffiti e slogan quali Terni rossa di vergogna,
Falce e spinello, L’istituzione strangola, 10, 100, 1000 occupazioni. Sul frontone spiccava la scritta Ribellarsi è giusto. Ma ciò che più caratterizzava e identificava questa seconda occupazione era il nome Palazzo di Primavera, che quei giovani ribelli avevano dato da subito all’edificio e scritto a caratteri cubitali sulla facciata esterna. Nella loro fantasia storica si rivedevano novelli bolscevichi, che assaltano e conquistano il Palazzo d’Inverno. Questa volta però si evocava la Primavera, la stagione del rifiorire delle speranze e della voglia di cambiamento. Riprendevano, non so quanto consapevolmente, una continuità con la prima grande esperienza alternativa dei giovani ternani in quegli anni, quella del Cinemateatro Primavera. Erano passati solo pochi mesi quando il 15 novembre 1979, favorita dalla morte per eroina di una giovanissima ragazza madre di Amelia, si arrivava ad una nuova occupazione. In un volantino dello stesso giorno gli occupanti denunciavano il comportamento repressivo nei confronti dei tossicodipendenti
tutto l’anno alla progettazione ed alla realizzazione dei carri, vivendo, nel corso di tutta fase la preparatoria, un importantissimo momento di socializzazione. Ma tutto questo pare non interessare affatto i nostri amministratori che preferiscono finanziare, con i nostri soldi, invisibili gruppuscoli di dilettanti. Se non si trattasse di dilettanti, con gli aiuti dei quali hanno beneficiato, sarebbero riusciti a dare alle loro manifestazioni una dimensione di livello nazionale. Gli eventi non possono sfuggire alla valutazione del rapporto qualità-prezzo, specialmente quando il prezzo pagato va a discapito di altre proposte. E la qualità non la giudica uno a caso, ma la determina il consenso dei ternani. Raffaela Trequattrini
da parte di polizia e magistratura e chiedevano a Partito comunista e Partito socialista che erano al governo della Regione e del Comune, la distribuzione controllata della morfina per sconfiggere il mercato nero dell’eroina. Inoltre chiedevano iniziative concrete per la liberazione dei giovani tossicodipendenti detenuti per pochi grammi di eroina o addirittura per qualche spinello e proponevano alle istituzioni l’utilizzazione degli spazi disponibili in città per creare una rete di centri sociali, di iniziative in grado di stravolgere la realtà di merda oggi presente a Terni, precisando che i loro primi progetti erano la costruzione di una comunità urbana e di una mensa. Anche questa volta nel giro di un paio di settimane le istituzioni rispondevano con l’incomprensione e con la polizia. Si era arrivati così alla fine degli anni ‘70, le frustrazioni cominciavano a prevalere sulle speranze, il movimento a disgregarsi, ognuno tornava alla propria disperazione privata. Restava nel bel mezzo della nostra città un palazzo fantasma con su scritto Primavera, quando ormai era già inverno, e Ribellarsi è giusto, quando nessuno ormai si ribellava più. E tanta solitudine. E’ rimasto così per venticinque anni a testimoniare con i suoi graffiti e le sue scritte rosse la storia delle lotte e delle illusioni di una generazione, la storia in fondo di una sconfitta. Oggi si chiama di nuovo Primavera, ma non resta che il nome. Marcello Ricci
Intervista a Silvano Rometti candidato alla Camera dei Deputati in Umbria per la Rosa nel Pugno
Dott. Rometti, quali sono a suo giudizio i problemi più gravi che dovrà affrontare il nostro Paese dopo le elezioni? Una delle priorità che lo Stato italiano dovrà affrontare dopo le elezioni è senz’altro quella della difesa e del rilancio della scuola pubblica. L’istruzione è uno dei pilastri fondamentali su cui costruire la ripresa economica e sociale del nostro Paese. E’ necessario, pertanto, un intervento diretto dello Stato nella riqualificazione dell’istruzione, perché possiamo finalmente avere una scuola pubblica moderna sul piano del sapere, delle metodologie e dell’organizzazione, che sia capace di istruire e al contempo di educare i nostri giovani, perché possano muoversi con maggiore sicurezza nel mondo di oggi. Parimenti importante è il tema della ricerca, unico vero alimento dell’innovazione. Investire sui giovani e sulla ricerca perché si possa garantire la qualificazione del sistema produttivo, promuovere l’internazionalizzazione delle imprese e
l’innovazione tecnologica è la vera sfida che ci attende nel prossimo futuro. Quali sono stati i riflessi negativi che la politica nazionale degli ultimi anni ha comportato per questa Regione? Sono stati tanti. Le finanziarie degli ultimi anni hanno attuato una politica di tagli ai servizi che ha visto le Regioni, insieme a tutti gli enti locali, abbandonate a se stesse nel tentativo non più di migliorare, ma almeno di mantenere quella qualità della vita che erano riuscite a raggiungere in passato. La drastica riduzione dei trasferimenti dello Stato insieme al patto di stabilità, ossia a tagli generalizzati alla spesa pubblica senza che fosse seguito alcun criterio, hanno prodotto effetti negativi soprattutto sulla capacità degli enti di garantire i servizi essenziali. Si pensi anche qui alla scuola, alla sanità, ai trasporti pubblici. I limiti previsti per la spesa per gli investimenti, imposti in maniera indipendente rispetto alle risorse economiche di cui gli enti stessi dispongono, non ha fatto
altro che aggravare una situazione economica già in parte compromessa da una crisi generalizzata. La riduzione degli investimenti, infatti, ha determinato una riduzione della leva finanziaria nel nostro territorio, ha cioè diminuito il flusso di denaro immesso nel sistema economico determinando un calo dei consumi e di conseguenza dei redditi. Può darci alcuni chiarimenti in merito ai vostri specifici programmi relativi allo sviluppo del nostro territorio, con particolare riferimento ai settori dell’industria, della cultura, del turismo e dell’agricoltura? La stasi che sta colpendo il mondo dell’imprenditoria italiana, con una crescita pari a zero, tanto da far parlare di una vera e propria recessione, non ha risparmiato la nostra Regione, il cui tessuto imprenditoriale, costituito da piccole e medie imprese, ha vissuto e sta ancora vivendo un momento di grande difficoltà. Questo è dovuto soprattutto all’assenza di investimenti nell’innovazione e alla perdita di competitività delle nostre imprese. Servono dunque politiche a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese, accompagnate da investimenti nella formazione, nella ricerca e nella promozione, capaci di valorizzare le peculiarità dei nostri prodotti e di rilanciare il Made in Umbria. Quello dell’agricoltura è un settore che sarà sempre meno sostenuto dalle risorse comunitarie, per questo dovremo attuare un potenziamento dell’agricoltura umbra, che deve essere considerata una vera e propria risorsa della nostra Regione, un suo elemento di eccellenza all’interno del sistema integrato, accanto al turismo, all’ambiente e alla cultura. Tra gli elementi costitutivi di grande valore della risorsa “Umbria” un ruolo essenziale è senza dubbio rappresentato sia dal patrimonio architettonico, sia dai beni culturali largamente diffusi su tutto il nostro territorio. Valorizzare i beni restaurati, completare i circuiti museali e teatrali, organizzare grandi manifestazioni espositive, inserire le risorse minori in circuiti e itinerari
che riescano a valorizzarne e sfruttarne il limitato potenziale attrattivo nell’ambito di nuove proposte turistiche sono i principali obiettivi da perseguire nelle politiche di valorizzazione del territorio. Il suo partito è stato fondato di recente e rispetto alle altre forze della coalizione ha avuto tempi molto più brevi per farsi conoscere dagli elettori. Crede che gli Italiani siano riusciti a recepire l’entità e la novità del vostro messaggio? La Rosa nel Pugno è un progetto nuovo che vede socialisti e radicali uniti nella promozione di un messaggio politico forte e ambizioso di rinnovamento e progresso per l’intero centrosinistra e per tutto il Paese. Non possiamo ancora definirlo un partito, anche se speriamo che lo diventi quanto prima. Dipenderà dai risultati delle prossime elezioni politiche. E’ vero, il tempo a nostra disposizione è stato poco, ma i princìpi socialisti, laici, liberali e radicali fanno da sempre parte del patrimonio culturale e politico sia del mio partito, lo SDI, sia degli amici radicali. Sono convinto che il messaggio che abbiamo
lanciato con enfasi e con chiarezza a tutti i cittadini e cioè quello di voler accrescere e rafforzare i diritti di tutti, sia arrivato agli italiani. Le significative adesioni che abbiamo avuto ci inducono ad essere ottimisti. Negli ultimi anni si sente spesso dire, specialmente nell’ambito delle fasce più giovani della popolazione, che il linguaggio politico si esprime ormai in forme astratte e stereotipate che rispecchiano le situazioni in modo poco realistico rispetto a come la gente le vive quotidianamente. E’ d’accordo con questa affermazione? Sì, sono d’accordo. Credo che questa sia purtroppo una grande verità. Spesso la politica e chi fa politica può correre il rischio di apparire distaccato dai problemi quotidiani dei cittadini. Devo dire, tuttavia, che in Umbria questo non è ancora avvenuto e che vi è anzi una forte visione partecipata della cosa pubblica. Di certo anche le dimensioni della nostra Regione consentono una compartecipazione e un confronto costante con i cittadini, che danno la sensazione di una politica ancora vicina ai problemi della gente. LP
Nato a Città di Castello nel 1954 e residente a Perugia. Sposato, ha una figlia. E’ laureato in Scienze politiche. Dirigente tecnico presso il Dipartimento di prevenzione della Usl n. 2, è stato capogruppo nel Consiglio comunale di Perugia dal 1995 al 1997, e, dal 1997 al 1999, assessore all’ambiente. E’ stato vicesindaco di Perugia dal 1999 al 2004, con delega all’Ambiente e Protezione civile. Dal 1999 è membro del Consiglio nazionale dell’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) e vicepresidente dell’Anci-Umbria, dal 2000 presidente dell’Autorità di Ambito Umbria 1. Dal 2002 è presidente della Commissione nazionale di Garanzia dei Socialisti democratici italiani (Sdi). Nel 2004 è stato rieletto consigliere comunale di Perugia e nominato vicesindaco, con deleghe all’Ambiente, Protezione civile e alle attività per la riforma dei servizi pubblici. Nell’aprile 2005 è nominato Assessore alla Regione Umbria con deleghe ai Beni e attività culturali, Politiche dello spettacolo, Grandi mianifestazioni, Sport e impiantistica sportiva, Associazionismo culturale e sportivo, Centri storici e riqualificazione urbana, Trasporto pubblico locale e mobilità alternativa.
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Il consolidamento della Chies C O M U N E
La storia dei Templari
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Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis (Cavalieri poveri di Cristo e del Tempio di Salomone), meglio noti come Cavalieri templari o semplicemente Templari, furono tra i primi e più noti ordini militari cristiani. L’origine di quest’ordine viene fatta risalire agli anni 1118-1119, subito dopo la prima crociata del 1096, per aiutare il nuovo Regno di Gerusalemme a resistere contro gli sconfitti musulmani e per garantire la sicurezza dei numerosi pellegrini europei che visitavano Gerusalemme dopo la sua conquista. L’ordine fu ufficializzato il 29 marzo 1139 con la Bolla pontificia Omne datum optimum. I Templari erano organizzati come un ordine monastico, la cui regola sarebbe stata ispirata da Bernardo di Chiaravalle, il santo fondatore dell’ordine dei Cistercensi. I Cavalieri venivano reclutati soprattutto tra i giovani della nobiltà, desiderosi di impegnarsi nella difesa della cristianità in Medio Oriente. L’ordine militare così formato aveva una gerarchia assai rigida. I suoi membri facevano voto di povertà e lasciavano all’ordine tutte le loro proprietà ed eredità. Nei suoi primi anni la crescita dell’Ordine fu accentuata dal favore papale. Innocenzo II nel 1139 con la Bolla Omne datum optimum aveva concesso all’Ordine la totale indipendenza dal potere temporale, compreso l’esonero dal pagamento di tasse e gabelle. Vi erano quattro divisioni di confratelli nei Templari: cava-
lieri, sergenti, fattori, cappellani. Ciascun cavaliere aveva sempre alcune decine di persone che lo aiutavano. Alcuni confratelli si occupavano esclusivamente di attività bancarie, in quanto l’Ordine trattava frequentemente le merci preziose dei partecipanti alle Crociate, mentre molti altri erano impegnati nell’assistenza medica dei feriti nelle battaglie. Questa parte di Cavalieri era molto consistente, tanto che la creazione di ricoveri e di piccoli ospedali, e in generale di strutture dedite all’assistenza medica, fu per molto tempo la prima occupazione dei Templari. La maggioranza dei Cavalieri, per moltissimi anni, si dedicava tuttavia alle manovre militari. I Templari usavano le loro ricchezze per costruire numerose fortificazioni in tutta la Terra Santa ed erano probabilmente le unità da combattimento meglio addestrate e disciplinate del loro tempo. Quando poi Filippo il Bello, nel 1310, sterminò tutti i Cavalieri Templari, questi furono costretti a dividersi in tre ordini principali: i Cavalieri di Malta, i Teutonici, gli Europei. I primi erano caratterizzati da uno spirito fortemente assistenziale, ed erano molto più religiosi che militari, gli ultimi invece divennero presto un ordine segreto. Nonostante la diaspora, avviarono con meticolosità e professionalità la loro organizzazione nell’intero Occidente, trasformandolo in un gran magazzino per l’approvvigionamento dell’oltre mare, costituendo in tutti gli stati d’Europa loro insediamenti agricoli, economici e politici. Grazie poi alle enormi risorse accumulate e alla benevolenza papale, i Templari riuscirono a diffondersi dapprima attraverso il sud Italia e poi in tutta Europa. Massimo Colonna
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La Chiesa di San Bevignate a Perugia Per comprendere al meglio la genesi e la storia della chiesa di San Bevignate (Foto 10), occorre inquadrare il momento storico in cui fu costruita, un periodo nel corso del quale la città di Perugia fu interessata da un notevole sviluppo urbanistico. L’edificazione si fa risalire al 1256 circa, ad opera dei monaci-cavalieri Templari; si inserisce, dunque, tra la seconda metà del Duecento ed il Trecento, anni durante i quali la cittadina umbra vide il sorgere di palazzi, acquedotti, luoghi di culto e conventi1. La struttura dell’edificio, a navata unica, absidata, con contrafforti (Foto 1), ben richiama le caratteristiche tipiche delle costruzioni templari2. La semplicità compositiva, evidente tanto nelle architetture quanto nelle decorazioni, è un riflesso tangibile dello spirito degli ordini religiosi, mendicanti o militari. Fra le poche suppellettili che si conservano all’interno della chiesa vi è, dietro
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l’altare, un pozzo, probabilmente quello che la tradizione vuole sia stato realizzato per contenere le acque fatte sgorgare dallo stesso Bevignate3 (Foto 4). Le pareti dell’edificio sono rivestite da vari cicli pittorici, risalenti a due epoche diverse e la cui coesistenza è testimoniata dalla sovrapposizione di più strati dipinti e da due successive stesure. Il primo è coevo alla realizzazione dell’edificio (quinto decennio del XIII secolo), mentre l’altro, caratterizzato dalla presenza di maestranze influenzate dallo stile giottesco, si può datare tra il 1280 ed il 1285. Tutti i dipinti, comunque, indipendentemente dagli anni in cui furono eseguiti, risultano estremamente interessanti dal punto di vista iconografico; al di là del loro significato più intrinse-
co, si nota come queste figurazioni assumano un aspetto didascalico, raccontando i fatti del mondo di allora con un linguaggio comprensibile a tutti. Le pitture maggiormente significative, seppur frammentarie e mal ridotte a causa dei cattivi restauri4, sono quelle della controfacciata, in cui campeggia la grandiosa Battaglia dei Mori (Foto 2). Percorrendo la lunga navata che ci conduce verso l’abside, è possibile ammirare riquadri con le figure degli Apostoli, inseriti in cornici rettangolari situate lungo tutte le pareti laterali. La cella absidale, che costituisce forse la parte più bella dal punto di vista decorativo, ospita, sulla parete destra, un grande Giudizio Finale. Al centro compare la figura del Cristo Giudice (Foto 5), ritratto in modo estremamente singolare ed inconsueto: Egli, infatti, è assiso su un trono adagiato a sua volta su un tappeto, chiara indicazione di una forte influenza dell’arte bizantina e di un evidente richiamo al mondo orientale. Il Redentore è circondato dai 12 Apostoli, ai quali si aggiungono altre due figure: Barnaba (santo di origine veneziana, che contribuisce a chiarire ancora una
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volta i rapporti con l’Oriente) e Paolo. Al di sotto vi sono altri due registri, occupati rispettivamente dai Beati, ritratti con le braccia protese verso il cielo, e dai Dannati, che si contorcono dentro il sepolcro (Foto 6). Un altro fatto estremamente singolare che caratterizza questo ciclo pittorico è costituito dalla sempre minore agitazione dei dannati, che con il procedere della
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sa Templare di San Bevignate I
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lettura da sinistra verso destra, e quindi verso la purificazione, diminuiscono notevolmente la loro foga. La fascia inferiore è occupata dalla rappresentazione dei Flagellanti, cioè coloro che si accollavano i peccati di tutta l’umanità e si sottoponevano a questo genere di tortura per espiarli. L’episodio è rappresentato unicamente sulle pareti di questa chiesa e, a dimostra-
zione del fatto che si trattava di una realtà relativa all’ambiente locale, è presente la figura di Raniero Fasani, capostipite e primo fondatore dell’ordine (Foto 3). Il realismo ed il verismo delle pitture analizzate fino ad ora, tocca qui il suo punto più alto: l’autore infatti si sofferma addirittura sulla descrizione dei peli pubici di uno dei Flagellanti (Foto 9). Per quanto concerne i dipinti della parete di fondo, il più significativo dal punto di vista iconografico è certamente quello in cui Fra Bevignate riceve dal vescovo di Perugia la concessione ad edificare la chiesa (Foto 7); autorizzazione questa, testimoniata dai rotoli situati all’interno dello stipetto in secondo piano, contenenti appunto le disposizioni. La parete sinistra invece è occupata, nella parte alta, da una raffigurazione dell’Ultima cena (Foto 11) che, per alcune sue peculiarità, si distingue nettamente dall’analogo tema affrontato più volte. Il Cristo, infatti, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non si trova al centro della composizione, ma è relegato all’estrema destra del tavolo; la figura di Giuda, inoltre, è rappresentata di dimensioni voluta-
mente minori, sì da dimostrare la piccolezza dell’uomo. Al di sotto compare la Maddalena (Foto 8), caratterizzata dai lunghi capelli ondulati che scendono fino a terra; la peccatrice è rappresentata all’interno di una grotta e sul suo corpo nudo è ben evidenziato il costato, per sottolineare probabilmente la penitenza ed il digiuno. La tradizione vuole che dal 1300 a questa parte, la chiesa non abbia subito modifiche rilevanti; l’episodio più significativo risale al 1324, quando il perugino Rico (Enrico) di Corbolo, personaggio importante presso la curia pontificia di Avignone, trasformò la chiesa in un monastero femminile; chiese l’autorizzazione al gran maestro dei Gerosolimitani, ottenendo il 5 agosto dell’anno successivo, l’approvazione per la sua fondazione da papa Giovanni XXII5. Nel convento si viveva rispettando la regola e vestendo l’abito dell’Ospedale di San Giovanni Gerosolimitano. Improvvisamente però, nel 1400 circa, vi fu un ingente calo nel numero di Ospitaliere presenti al capitolo di S. Bevignate, sia per la crisi delle vocazioni, sia per problemi di
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ordine economico. Una “decadenza” della disciplina e dell’osservanza regolare contribuì alla soppressione dell’ordine e all’espulsione dal monastero delle Giovannite di S. Bevignate, con il conseguente ritorno allo stato laicale6. Nel corso degli anni le pareti della chiesa furono imbiancate, probabilmente per nascondere il segno dei Templari, considerati eretici. Soltanto con la stesura dei primi saggi (1909/1910) i dipinti vennero nuovamente alla luce.
I lavori di ristrutturazione I primi interventi di consolidamento della Chiesa Templare di San Bevignate sono iniziati negli anni '90 ed hanno interessato in particolare il riconferimento della continuità materica tra la copertura voltata e le strutture portanti verticali. I lavori sono proseguiti poi sfruttando i finanziamenti del Piano annuale dei Beni Culturali danneggiati dagli eventi sismici per il 2002, per un valore totale di oltre 1 milione di euro. Attraverso ricerche fatte utilizzando i più moderni mezzi tecnici (prove microsismiche ultrasoniche, prove con martinetto piatto, con georadar, sondaggi geognostici) è stato messo in evidenza uno stato di dissesto riguardante: la rotazione delle pareti sud, nord, e della facciata; il parziale cedimento vincolare al piede di ogni arco; l'allontanamento tra la parete verticale di tamponatura e la volta; lo stato di degrado delle
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murature a sacco. Pertanto, le principali azioni di riconsolidamento possono riassumersi in: messa in sicurezza degli affreschi, consolidamento delle mura da eseguire con iniezioni di malta, consolidamento delle mura di fondazione, realizzazione di incatenamenti orizzontali, consolidamento superficiale della muratura in arenaria esterna mediante MC acqua di calce.
Milites Templi - Salvaguardia e Valorizzazione del Patrimonio Storico-Artistico dei Templari in Europa E’ un progetto di cooperazione europea promosso e coordinato dal Comune di Perugia, che ha indagato sulle testimonianze storiche ed artistiche dell'Ordine dei Templari presenti su quattro aree territoriali in Europa (Perugia, Tarragona, Arles, Malta). Il progetto è stato avviato nel giugno 2004 a Perugia, con un incontro amministrativo in presenza dei responsabili delle Istituzioni partecipanti (Universitat Rovira i Virgili di Tarragona, Centre de Conservation du Livres a Arles, European Group Unit de l'Università di Malta, Dipartimento delle Scienze Storiche e Centro di Eccellenza di Perugia, Soprintendenza BAPPSAE dell'Umbria) e si è concluso nel maggio 2005, con la realizzazione del Convegno Internazionale Il Patrimonio Monumentale e Artistico dei Templari in Europa e l'inaugurazione del Centro di Documentazione e di Divulgazione della Cultura Templare presso la Chiesa di S. Bevignate a Perugia. Il Progetto si è sviluppato seguendo tre principali direttive: lo sviluppo di metodologie e tecniche per la conservazione e la salvaguardia delle testimonianze pittoriche e architettoniche presenti sul territorio europeo, l'esame degli aspetti e dei valori culturali e sociali dell'Ordine dei Templari e della loro eredità oggi, il miglioramento della conoscenza dei caratteri tipici del patrimonio storico e artistico dello stesso Ordine. Il primo obiettivo è stato raggiunto sfruttando soprattutto la strumentazione portatile Molab, che permette lo studio degli affreschi senza effettuare alcun prelievo. Per mostrare l'efficacia di tali strumenti è stato organizzato il Convegno Internazionale Esperienze di restauro degli edifici templari in Europa. Il secondo obiettivo ha portato a eccellenti risultati valorizzati poi dal convegno Il patrimonio monumentale e artistico dei templari in Europa, al quale hanno partecipato i maggiori esperti del campo di diverse università europee. Il terzo punto è stato esaltato attraverso l'organizzazione di due convegni internazionali, di visite guidate lungo gli itinerari templari nel perugino, e di un concerto di musiche medievali realizzato in occasione dell'apertura del Centro Europeo di Documentazione e di Divulgazione della Cultura Templare. Tutti gli obiettivi sono stati raggiunti con piena soddisfazione delle Istituzioni partecipanti al progetto e anche il riscontro del pubblico è stato importante, considerando il fatto che le presenze a tutti gli eventi sono state di circa 4000 persone. Per ulteriori informazioni consultare il sito www.militestempli.com. MC
Chiara Leonelli
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1 Templari e Ospitalieri in Italia - la chiesa di San Bevignate a Perugia, a cura di Mario Roncetti, Pietro Scarpellini, Francesco Tommasi, Electa, 1987, pp. 53-161. 2 Ibidem 3 Ibidem 4 Ibidem 5 Ibidem 6 Ibidem
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Intervista a Francesco Pullia candidato al Senato della Repubblica in Umbria per la Rosa nel Pugno
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Francesco Pullia, 49 anni, da 35 anni militante radicale. Membro del Comitato nazionale dei Radicali Italiani, ha entusiasticamente partecipato alla nascita, a Fiuggi, del nuovo soggetto politico della Rosa nel Pugno, simbolo a lui particolarmente caro. Ha pubblicato 15 libri tra raccolte di poesie, opere di narrativa e d’argomento estetico-filosofico. Al Senato è il primo dei candidati umbri della Rosa nel Pugno, al terzo posto, subito dopo Intini e Pannella. C’è una significativa attenzione nei vostri confronti... Sì, è vero. Abbiamo ricevuto numerose attestazioni di simpatia insieme a spontanee dichiarazioni di voto da parte di persone che si sentono tradite dal centrodestra e deluse dalla politica asfittica e remissiva di questo centrosinistra. C’è invece bisogno di una forte ventata riformatrice e, nonostante la palese penalizzazione perpetrata dai mass media audiotelevisivi, si sta diffondendo la convinzione che l’unica novità nella scena della politica è costituita dalla Rosa nel Pugno. E’ per questo che cercano di occultarci. Ci temono perché sanno che potremmo scombussolare gli accordi spartitori che hanno già fatto su tutto, a cominciare dai vertici istituzionali. Avrà un significato o no se uomini come Biagio De Giovanni e Lanfranco Turci hanno deciso di abbandonare i Ds per candidarsi con noi, se una delle voci più limpide di questa sinistra come Emanuele Macaluso e un intellettuale come Fabrizio Rondolino, già portavoce dalemiano, guardano a noi con una sorta di affinità elettiva, con un atteggiamento di vicinanza che è molto più del semplice ri-
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spetto? La nostra è una lunga storia di battaglie tenaci, intransigenti, di conquiste per tutti, non per pochi, per modernizzare il Paese senza compromessi e accondiscendenze devozionali... Ce lo hanno riconosciuto Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia, due tra le menti più lucide del nostro Novecento. Cosa vi caratterizza e differenzia? Innanzitutto crediamo fermamente nella laicità dello Stato e nell’affermazione delle libertà individuali. Come giustamente sostiene Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, il nesso tra diritti e sviluppo è imprescindibile. La situazione in cui versa il nostro Paese lo dimostra ampiamente. Il nostro indice di crescita economica è zero, nullo, mentre nella Spagna zapateriana, dove sono state attuate importanti riforme civili, ha raggiunto il 3,5%. Non è un caso che la stagnazione italiana coincida con un momento storico in cui sono elevatissime l’ingerenza e l’attività manipolatrice delle gerarchie vaticane su questioni attinenti le libere scelte soggettive. Lo abbiamo visto recentemente con la spudorata campagna astensionistica in occasione del referendum per l’abrogazione di norme della legge 40/2004, legge che di fatto rende più difficile la procreazione medicalmente assistita, costringendo le coppie che possono permetterselo a recarsi all’estero e impedendo, in modo vergognosamente cinico, di utilizzare gli embrioni soprannumerari per curare migliaia di affetti da malattie degenrative come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica. Lo vediamo ormai tutti i giorni. I diritti civili acquisiti negli anni Settanta e Ottanta sono messi duramente a repentaglio dall’atteggiamento ipocrita e irresponsabile, di ostentata genuflessione, che trasversalmente accomuna sepolcri imbiancati di destra e di sinistra. Noi della Rosa nel Pugno siamo riusciti a fare convergere in un unico soggetto l’esperienza radicale e il vissuto socialista assicurando una ferma, chiara, netta risposta laica all’avanzata dell’oscurantismo, a quella farneticante concezione che vorrebbe tramu-
tare in reato tutto ciò che per l’ideologia clericale è peccato. Come può esprimersi il laicismo in politica? Con la rivendicazione e la valorizzazione della piena autonomia della vita civile e dello Stato da ogni sorta di interferenza confessionale. Tra l’altro è ora che, una volta per tutte, finisca l’equivoco che vorrebbe il laicismo antitetico alla religiosità. Al contrario, il laicismo è la più alta espressione di una religiosità libera, matura, adogmatica. E’ la religione della libertà annunciata da Benedetto Croce. Noi non siamo antireligiosi e la stragrande maggioranza dei cattolici, grazie al cui apporto qualificato abbiamo conquistato e difeso diritti civili, lo sa pefettamente. E’ in corso quello che un filosofo cattolico come Pietro Prini ha giustamente ed efficacemente chiamato scisma sommerso, e cioé la frattura tra le gerarchie vaticane, asserragliate in un sordido esercizio di potere, e il mondo dei credenti, di donne e uomini che avvertono la propria fede in modo interiore e vivificante senza accettare l’insulsa condizione di gregge. Noi laici siamo credenti, crediamo, come spesso ama ripetere Marco Pannella, in altro che nel potere e negli ori. Quali i vostri punti programmatici prioritari? Riconoscere giuridicamente le coppie di fatto; incentivare la ricerca scientifica; assicurare un reddito di cittadinanza che consenta ai ceti meno abbienti ed alle famiglie dei lavoratori in crisi di potere affrontare e risolvere con serenità i disagi causati dalla dissennata politica economica fin qui condotta; uscire, con la depenalizzazione e la legalizzazione delle droghe, dalla spirale criminogena proibizionista che ogni anno procura introiti favolosi, inestimabili, alla malavita organizzata; riqualificare la scuola pubblica o, per meglio dire, renderla di nuovo pubblica (è assurdo che lo Stato anziché assicurare il corretto funzionamento e l’aggiornamento della scuola pubblica si preoccupi di finanziare le scuole private, di matrice tra l’altro prevalentemente confessionale), tramutarla in competitiva, in grado di affrontare le sfide poste dalla globalizzazione; avviare
una seria e credibile politica di tutela ambientale e considerare altresì l’opportunità di fonti energetiche alternative; ricondurre il nostro Paese ad un ruolo di primaria importanza in politica estera favorendo, ad esempio, la creazione di un’organizzazione mondiale delle democrazie. La Rosa nel Pugno è l’unica forza che trova nella nonviolenza gandhiana e capitiniana l’autentica ispirazione di fondo per realizzare compiutamente, davvero, quel cambiamento di cui, come dell’ossigeno, c’è urgentemente bisogno. C’è troppa sfiducia in giro. Vogliamo che il nostro slancio, il nostro entusiasmo siano contagiosi e possano beneficamente contaminare la società. La nonviolenza non può essere ridotta ad un’improvvisazione bertinottiana. Appartiene da sempre al nostro agire. Aldo Capitini, filosofo impropriamente fagocitato dai burocrati delle marce pseudo pacifiste, è stato uno dei maggiori propugnatori del pensiero liberalsocialista fornendo validissime aggiunte a quanto è stato elaborato da Nello e Carlo Rosselli, antifascisti scomodi il cui insegnamento resta per noi fondamentale. Non ha mancato un solo attimo di insistere sull’importanza di scrivere nonviolenza come unica parola, per metterne in luce il valore organico, positivo, costruttivo e non di semplice opposizione a qualcosa. La nonviolenza è una prospettiva che mira ad esaltare e valorizzare il singolo individuo, a conferirgli la responsabilità dell’agire politico. Tutto questo non si ritrova affatto nel bertinottismo, prigioniero, di fatto, dell’impostazione totalitaria comunista.
Arte e politica sono due termini antitetici? Nient’affatto. E’ vero, anzi, proprio il contrario. Non può esserci scarto, separazione tra ciò in cui si crede e ciò che si concepisce nella scrittura, nella pittura, nel cinema, nella musica. C’è una sorta di scambio simbiotico. L’arte, come la politica, nasce da un atto di profondo e altruistico amore, da un’incessante ricerca di miglioramento di sé e della società. Ricordo l’impegno, tra le nostre fila, di uomini come Ignazio Silone, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Piero Dorazio. Nell’ambito della musica avete sostenitori d’eccezione come Vasco... Vasco Rossi ha detto che Pannella è il suo alter ego in politica. Ma oltre al sostegno di Vasco abbiamo anche quello di Franco Battiato, Eugenio Bennato, Paola Turci. A proposito di Franco Battiato mi piace ricordare che, in tempi non sospetti, è stato pure candidato radicale. La prima volta che l’incontrai fu circa trent’anni fa in occasione di una manifestazione per la legalizzazione dell’aborto, legalizzazione che recentemente esponenti nazionali e regionali della Margherita, in perfetta sintonia con i vertici vaticani e con appartenenti allo schieramento del Polo, sono addirittura arrivati a mettere in discussione. Come candidato ti senti più radicale o socialista? Non esistono candidati radicali o socialisti ma compagni e compagne che si ritrovano nello stesso soggetto politico, la Rosa nel Pugno appunto, perché intendono offrire il proprio appassionato contributo per assicurare al Paese un’incisiva svolta riformatrice e garantire l’alternanza adesso per l’alternativa domani. LP
St o r i e d i b a m b i n i c i n e s i
Uno strano traffico di neonati è stato scoperto in Cina. Strano perché non ci sono di mezzo adozioni illegali o pedofilia, ma dei bambini considerati come merce; e la causa di tutto nasce da una assurda legge dello Stato. Si è scoperto che i direttori di alcuni orfanotrofi acquistavano bambini per prezzi compresi fra gli 800 ed i 1.200 yuan (fra gli 80 ed i 120 euro), perché il Governo cinese prevede uno stanziamento di fondi proporzionale al numero di bambini ospitati dall’istituto; una volta presi i fondi, li rivendevano a privati o a case per bambini per cifre fra gli 8 mila ed i 30 mila yuan. La polizia ha arrestato il responsabile dell’orfanotrofio della contea di Hengyang e 6 membri del suo staff, oltre a 20 persone che lavorano in altri istituti per bambini (ong) sparsi nella regione. Da dove provengono tutti
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questi bambini acquistati e poi rivenduti? Bisogna partire dalla legge voluta da Deng Xiaoping nel 1978 per contenere l’incremento demografico, detta politica del figlio unico: chi partorisce un secondo figlio rischia tutt’ora l’incarcerazione e la sottrazione del neonato. La ripercussione più grave di questa politica c’è stata nelle campagne, dove i secondo geniti vengono abbandonati o venduti (soprattutto se femmine). Solo una donna si è ribellata a questa politica, Mao Hengfeng. Quando è restata incinta del secondo figlio, la fabbrica di sapone dove era impiegata l’ha licenziata. Mao non ha voluto saperne di liberarsi del secondo figlio, ha partorito ed ha denunciato la fabbrica. Durante il processo si è presentata provocatoriamente con una terza gravidanza; il giudice le ha promesso che, se avesse abortito, si sarebbe espresso a suo favore nella sentenza. Mao, contro la sua volontà, ha abortito e alla fine il tribunale ha dato ragione alla fabbrica. Dopo dieci anni di ricorsi, Mao Hengfeng è stata condannata in via definitiva a 18 mesi di lavori forzati e, nonostante la sua famiglia abbia denunciato torture e umiliazioni subite dalla donna in carcere, non si hanno da tempo più notizie di lei. Francesco Patrizi
q u a l c o s a ?
Durante il primo fine settimana di Febbraio, si è svolta una grande manifestazione di protesta contro la realizzazione della centrale elettrica a carbone pulito (e sul pulito possiamo discutere) sul litorale di Civitavecchia. Durante la manifestazione è stata bloccata per due giorni (!!!) l’Aurelia tra Civitavecchia e Tarquinia. I manifestanti hanno espresso con decisione le loro motivate ragioni contro la centrale, il cui impatto ambientale sarebbe devastante non solo dal punto di vista della salute pubblica ma anche sui comparti della pesca, dell’agricoltura, del turismo. Si creerebbero danni all’occupazione che molto difficilmente la centrale stessa potrebbe riassorbire. Si metterebbe a rischio la salute di chi lì vive. Ma non è questo il punto del mio scrivere. La questione è più alta e implica la libertà di ogni cittadino di esprimere il proprio parere e di
avere accesso ad una informazione corretta, completa e pluralista. Mi chiedo come sia accettabile che una battaglia così alta sia stata fatta passare sotto un inesorabile silenzio. Mentre della TAV o del ponte sullo stretto tutti si riempiono la bocca e riempiono colonne, nessun quotidiano nazionale ha parlato di questa manifestazione; nessun telegiornale nazionale ha fatto menzione di ciò che stava succedendo (o era successo). Nessuno ha parlato di una manifestazione che, senza violenze alcune ma con la forza delle argomentazioni, ha bloccato l’Aurelia per un fine settimana intero. Resta difficile non sospettare che dietro non ci sia una regìa che segue un copione già scritto, ma resta ancora più difficile non scegliere da che parte stare. Dalla parte di ogni cittadino che desidera, spera, si illude che il suo parere conti qualcosa. Federico Marconi
Internet = Libertà: fino a quando? Internet è ormai nella mente di ciascuno di noi, l’emblema della libertà in senso assoluto. Perfino chi non si è mai collegato alla rete, e forse non conosce internet se non dai fugaci servizi televisivi e dagli articoli di quotidiani e periodici, ha in mente l’equazione Internet = libertà. Ed in effetti la rete è nata e si è sviluppata in modo esponenziale nell’ultimo decennio proprio grazie al fatto di essere un mezzo non controllato, o meglio non controllato completamente da qualcuno; essa è stata semmai parzialmente gestita da tante entità differenti e spesso con interessi in contrasto, che ne hanno determinato una evoluzione non pilotata. Il fatto che l’infrastruttura attraverso la quale si diffonde la comunicazione non sia nelle mani di un unico soggetto, e che gli standard ovvero le regole che garantiscono il colloquio tra i computer nel mondo non siano sotto il diretto controllo di qualcuno, ha avuto come conseguenza che per molto tempo i contenuti non siano stati filtrati e addomesticati da qualsiasi tipo di interesse. In una parola, e lo abbiamo tutti sotto gli occhi proprio in questo periodo pre-elettorale, l’esatto contrario di quello che è successo nella comunicazione televisiva, dove il controllo di mezzi e contenuti e l’assenza di interattività, ha portato ad un (quasi) completo svuotamento della funzione e del servizio pubblico e parallelamente all’affermarsi di una logica basata esclusivamente su ascolti e regole di business, ottime solo per chi ne trae proventi. Passata in meno di trent’anni da infrastruttura di comunicazione militare a strumento per la diffusione delle conoscenze scientifiche e universitario via via fino alla diffusione generalizzata, Internet proprio dalla sua genesi ha probabilmente tratto il suo carattere di strumento libero. Basti pensare che nel pensiero di uno dei suoi padri fondatori, Vinton Cerf ”Internet è uno dei veicoli più solidi per la difesa della libertà, poiché offre la verità a chi vuole vederla e intenderla”. Tuttavia qualcosa forse sta cambiando, e ci sono diver-
si campanelli d’allarme da non sottovalutare. Se da un lato è pur vero che neanche la stessa Microsoft, che è riuscita ad imporre i suoi programmi sul 90% dei computer personali mondiali e quindi da una posizione di indubbio predominio, è stata in grado di imporre un suo controllo sulla rete, è pur vero che in molti regimi l’accesso alla rete è sempre più spesso oggetto di una pesante censura sia per quello che riguarda la fruizione in quanto tale, sia, ancor più subdolamente, per quello che riguarda l’”adattamento” dei contenuti. Recentemente il ministro della cultura ha dato la notizia del fatto che la Cina ha chiuso d’autorità ben 8600 punti pubblici di accesso ad internet, e in Vietnam i cybercafè sono stati trasformati in strutture paramilitari, essendo identificati come armi dei dissidenti. Vista la situazione delle libertà in quei paesi, questo potrebbe non sorprendere. Ma forse non è così noto il fatto che in Italia le nuove norme del decreto Pisanu a proposito del funzionamento degli Internet Point, prevedono che venga tenuta nota delle generalità di chiunque si connetta alla Rete; e che i gestori dei punti di accesso pubblici alla rete, debbano tener traccia dettagliata delle attività dei navigatori: i siti web ai quali si collegano, gli indirizzi di posta elettronica ai quali spediscono e dai quali ricevono messaggi, e così via. Insomma una legge dello Stato che prevede, non un controllo nell’ambito di indagini mirate a qualche persona, gruppo
o sito sospetto, ma una vera e propria intercettazione di massa. Ed è lo stesso Governo che ha stanziato per la TV digitale terrestre, che arriva a pochi, offre scarsi servizi e che non è realmente interattivo, 220 milioni in due anni… E sempre sotto la falsa bandiera del rispetto delle leggi nazionali, Google, Yahoo e Altavista, motori di ricerca inizialmente del tutto censurati, sono ormai spesso conniventi con regimi come quello cinese, e fatti analoghi avvengono dalla Tunisia al Vietnam. Un caso per tutti è stato il determinante decisivo contributo di Yahoo a far identificare ed arrestare un giornalista dissidente cinese. Bisogna vigilare, e chi oggi già fruisce ampiamente di Internet dovrebbe essere il primo a farlo. Non possiamo ignorare che il più grande motore di ricerca nel mondo, che offre una sezione dedicata alla ricerca delle immagini su Internet, ha già abbassato la guardia: se su Google italiano si digita Dalai Lama si ottengono decine di pagine con sue fotografie, molte relative ad incontri con esponenti politici di tutto il mondo; se provate a fare lo stesso sulla versione cinese del motore, otterete due scarne paginette di interni di santuari senza nemmeno una foto del Lama! Per fortuna c’è comunque un aspetto positivo: in Internet perfino l’esercizio della censura è sotto gli occhi di tutti, e da qualche parte nel mondo un nuovo motore di ricerca che combatterà con Google probabilmente è già nato... Alberto Ratini
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Né laico né cattolico semplicemente urgente
C’è un problema laico che non ha mai smesso di riguardare anche i cattolici: l’urgenza della risistemazione dell’intero sistema penitenziario italiano e, particolarmente, dei suoi, a quanto pare sgradevoli e sgraditi, ospiti. Qualche anno fa addirittura papa Giovanni Paolo II, nella storica seduta al parlamento italiano, aveva strappato lacrime e consensi tra i rappresentanti della classe dirigente, cui aveva prospettato l’idea - almeno l’idea - dell’amnistia come rimedio ad una situazione che nella sostanza è sin troppo antidemocratica e crudele: nessuna rieducazione del detenuto ma, in genere, la mera reclusione coatta. Tuttavia i cori a favore, se non dell’amnistia vera e propria almeno di una discussione approfondita su di essa, hanno cessato di proferire soluzioni o involuzioni al problema che pure c’è e, senza troppi indugi, andrebbe invece evidenziato tra i punti programmatici degli schieramenti che, di qui a breve, si scontreranno alle elezioni politiche. Ora se è vero, come banalmente si crede, che sia sin troppo improduttivo per gran parte dei partiti italiani parlare dell’amnistia - ci si preoccupa molto più di promettere sicurezza ai cittadini - è ancor più vero il contrario.
Le cifre della popolazione carceraria, nonché i costi che lo Stato deve assolvere per il mantenimento di una macchina così burocratica quanto inefficiente, testimoniano una situazione che è davvero ai limiti della sostenibilità. Insomma il detenuto non vive né di libertà (e fin qui nessuna obiezione) né di democrazia - e nessuno può aspettarsi che questo stato delle cose lo riconsegni al mondo vero rieducato - e al contempo la sua reclusione rappresenta un costo a cui difficilmente corrisponde il risultato auspicato. Pensare alla ristrutturazione e all’ammodernamento degli istituti carcerari appare utopico; credere di eliminare il problema attraverso un’amnistia di classe (si pensi alla ex-Cirielli) che premia chi può permettersi corsi, ricorsi e spese processuali a scapito di chi non può, risulta invece decisamente antidemocratico e, soprattutto, diseducativo per tutti, detenuti e non. Il problema c’è, si nasconde tra le mura di edifici posti ai margini delle città e della società, si insinua tra le pieghe della presunta normalità, si cela tra le menzogne della campagna elettorale, riaffiora allorquando qualche sciocco intellettuale si impegna per la parità di diritti (e doveri) di tutti. Corrado Pani
www.abitareinumbria.it
P RE S CRI Z I O NI
Si chiama prescrizione l’amnistia strisciante riservata in particolare a chi può permettersi un bravo avvocato. Negli ultimi 5 anni, 865.073 persone hanno beneficiato della prescrizione dei reati per i quali erano state inquisite. Moltissime le prescrizioni ritagliate su misura per disavventure penali di potenti... fra Cirami, Cirielli, depenalizzazioni varie e riforme di giustizia ad hoc, il Parlamento ha approvato la più gigantesca amnistia di classe, della storia della Repubblica. Cesare Previti (FI), condannato due volte in appello, a 5 anni per corruzione del giudice Squillante e a 7 anni per corruzione del giudice Metta nel caso Imi-Sir, è in attesa della Cassazione. Gli sono state negate le attenuanti che avrebbero fatto scattare la prescrizione. C. Previti è candidato, per FI, alla Camera dei deputati, collegio Lazio 1, 5° posto. Alfredo Vito (FI) ha confessato di aver incassato 22 tangenti, patteggiato 2 anni di reclusione a Napoli e restituito 5 miliardi di lire con l'impegno di abbandonare la politica. A. Vito candidato, per FI, alla Camera dei deputati, collegio Campagna 2, 5° posto. Marcello Dell'Utri (FI), condannato definitivamente, nel 1999, sentenza passata in giudicato, a 2 anni di reclusione per false fatture e frode fiscale. E’ attualmente sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, reato per il quale ha subito una condanna, in primo grado, a 9 anni di reclusione presso il Tribunale di Palermo nel 2004. E’stato condannato in primo grado a 2 anni per tentata estorsione dal Tribunale di Milano. Imputato a Palermo per calunnia aggravata ai danni di alcuni pentiti, il gip di Palermo ne dispose l’arresto nel 1999, ma il Parlamento lo bloccò. M. Dell’Utri candidato, per FI, al Senato, collegio Lombardia, 6° posto. Antonio Tomassini (FI) condannato in via definitiva dalla Cassazione a 3 anni per falso. A. Tomassini candidato, per FI, al Senato, collegio Lombardia, 7° posto. L’elenco dei carichi pendenti con la giustizia in capo a candidati parlamentari è lunghissimo. Quelli esposti sono certamente tra i più gravi. Le liste dei candidati sono pubblicate sul sito www.politicalink.it/candidati_politi che2006.htm.
Le sentenze sono pubbliche e le trovate ovunque nella rete. Controllate, prego, prima di ridurvi a complici! GR
DIB
DATI DEL DAP Dipartimento Amministrazione Penitenziaria 60.000 persone sono in prigione: dovrebbero essere al massimo 43.000. Nel 2005, ci sono stati 57 suicidi, 12.000 affetti da disturbi mentali, 16.000 extracomunitari. Le carceri sono allo stremo; 1 detenuto su 3 è tossicodipendente. Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale detenuti e trattamento del Dap, dichiara: Le risorse per la salute dei detenuti sono sempre meno perché vengono stabilite senza tener conto di una fondamentale variabile che è, appunto, il raddoppio del numero dei detenuti negli ultimi 20 anni. Dai corrispondenti 1.846 euro spesi nel 1995 per l’assistenza sanitaria di ciascun detenuto, si è passati agli attuali 1.607 euro. Patrizio Gonnella, Presidente nazionale di Antigone, l’associazione che si batte per il rispetto dei diritti nelle carceri, critica il Guardasigilli: A un mese dalle elezioni, dopo che grazie anche al ministro Castelli è stata bocciata l’amnistia, dopo che è stata approvata la ex-Cirielli che farà crescere di alcune decine di migliaia i detenuti nelle carceri italiane, dopo che è stata modificata in peggio la legge sulle droghe parificando i consumatori di droghe leggere con gli spacciatori di droghe pesanti, ci vengono a dire che la situazione è drammatica. A Verona vivono 3 detenuti in celle pensate per 1; a Piacenza vive più del doppio dei detenuti che il carcere potrebbe ospitare, in una struttura con i muri crepati e dove regolarmente piove all’interno; all’Ucciardone di Palermo più di 100 detenuti di troppo vivono in celle fatiscenti dove la luce del sole penetra scarsamente; a Bari abbiamo celle di 18 m2 che ospitano ognuna 6 detenuti, quasi sempre chiusi dentro per 20 ore al giorno: togliendo bagno, letti e mobili, resta circa 1 m2 a disposizione di ciascun detenuto; al Poggioreale di Napoli si sta in cella quasi tutto il giorno, gli spazi comuni sono quasi nulli, si vive fino a 18 persone insieme, dividendosi l’unico bagno e l’unico tavolo disponibili; a Rebibbia vive circa il doppio dei detenuti che il carcere potrebbe ospitare; a Le Vallette di Torino ci sono 600 detenuti in più. GR
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FORME Sono davvero sconcertata da questa stucchevole disputa rispetto all’esposizione o meno del Crocifisso nelle scuole. Sembra quasi che il povero Cristo sia stato ridotto ad una sorta di amuleto portafortuna, alla stregua del cornetto rosso o del ferro di cavallo. Ma cosa gliene può importare ad un vero credente di vedere appeso al muro il simbolo della sua fede? A cosa può giovare trasformare la religione in una serie di piccole e grandi pratiche di carattere rituale, come avveniva tra i popoli primitivi? Gli unici effetti che ne derivano sono: la trasformazione della religione in superstizione da un lato, e l’incremento delle ostilità dall’altro, dato che qualunque cosa venga imposta con la forza finisce per essere odiata da molti. Invece di diffondere i valori dell’altruismo, della tolleranza, del perdono, la Chiesa si sta adoperando con ogni sforzo per apparire ogni giorno di più come una Società per Azioni, intenta a diffondere il marchio del suo prodotto per affermarlo sul mercato. Da cristiana mi sento indignata, ed in tutta sincerità comincio a provare disagio quando penso che potrei essere confusa per un sostenitore delle pretese vaticane. Spero che la voce contrariata di tanti sacerdoti in merito a questo ritorno di ingerenza nella vita politica da parte della Chiesa, riesca ad aprire gli occhi a quella parte del Clero, purtroppo quella che conta, che sta minando le basi della filosofia cristiana in nome del ripristino di un potere temporale che la collettività non ha più i connotati per accettare, se non limitatamente alla sterilità della forma. Raffaela Trequattrini
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Categoria protetta? Generalmente non credo nelle mezze misure: o è bianco o è nero, o è giusto o è sbagliato, o è sì o è no; la prima cosa che mi viene in mente alla parola diplomatico è una fetta di torta bagnata di liquore e cosparsa di zucchero a velo, di quelle che si trovano in tutte le pasticcerie ternane. Eppure, ultimamente, la mia ferrea categoricità è stata messa a dura prova dalla dibattuta (?!) questione delle cosiddette quote rosa. Come molti sapranno, a larghissima maggioranza il Senato ha approvato il ddl (disegno di legge) sulle quote rosa, che prevede che in ciascuna lista elettorale ogni sesso non possa essere rappresentato in misura superiore alla metà dei candidati della lista. Il testo, poi, è però contraddittorio perché nella composizione delle liste sta-
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bilisce che ogni sesso non può essere rappresentato in una successione superiore a tre, che rende problematico il raggiungimento del fatidico 50% per sesso. Scopo del ddl è garantire la partecipazione femminile nella gestione dello Stato. Confesso che la mia prima impressione di fronte a questo progetto di legge è stata decisamente negativa: come donna mi sono sentita offesa, trattata alla stregua di una handicappata bisognosa di aiuto. Non mi piace l’idea per cui altrimenti, poverina da sola non ce la farebbe mai. Insomma, una sorta di legge 104 per la categoria protetta delle donne. Se non che, il ddl è finito in una bolla di sapone, perché la ristrettezza dei tempi ne ha impedito il varo alla Camera. E qui mi è saltata la pulce
all’orecchio: che sia stata tutta una presa in giro come tante altre? Un tentativo per accaparrarsi voti rosa a fine legislatura? Perché non ci hanno pensato prima? Vuoi vedere che la parità di diritti in politica, nella realtà dei fatti, non esiste? E così vengo a scoprire che nella scalata al potere l’impegno del singolo è poca cosa quando manca l’appoggio del partito, il quale, attraverso i propri dirigenti, suggerisce ai tesserati chi votare; segnala quel candidato all’interno della lista con indicazioni dirette o indirette, riservandogli ad esempio quegli spazi per parlare in pubblico, che permettono ad un candidato di farsi conoscere. Il candidato in questione è, guarda caso, quasi sempre un uomo. In quei rari casi in cui l’appoggio è dato a rappresentanti del gentil sesso, si tratta molto spesso di donne, per così dire, speciali (spesso
A C H T U N G
Dai salotti bene o dai melliflui programmi televisivi, pieni di carne appetitosa e taroccata, di feste vip, di luccichii esteriori e di insipienze culturali e spirituali, non si vedono i giovani privi della speranza di un lavoro stabile, né negozi che chiudono e non riaprono più, né ditte e privati sul baratro fallimentare, fatti a brandelli dalle usuraie Banche Italiane. Forse da quei salotti patinati non riescono a vedere proprio niente. Però una certezza, ossessiva, l’hanno sinistramente in vista! La Sinistra! Non fanno che parlarne, come se ne fossero loro presidenti o segretari od anche uscieri o fattorini. Nei dibattiti televisivi interrogano i rappresentanti ufficiali della sinistra spiegando loro come è, o deve o dovrà essere, la Sinistra stessa! Una pugna elettorale della destra che non parla mai della destra ma si basa sul motivetto che gli piace tanto: la sinistra è divisa! Ma trasecoliamo? 1 - da 5 anni assistiamo a veti interni, cambiamenti forzati di Ministri, ricatti incrociati, frequentissimi diktat o è così o tutti a casa, elargizioni ad un partito per cedere, a mo’ di baratto, ad un altro della stessa coalizio-
ne... è così che l’Italia è diventata un puzzle di leggi anticostituzionali, ad personam, porcate, come nel caso confessato da Calderoli.
2 - La casa delle libertà ha ridicolizzato la nostra Italia con il caporal kapò, con la Lega scacciata dalla destra europea, con Giovanardi, smentito da Berlusconi, e i suoi nazisti olandesi, con Buttiglione e i suoi peccaminosi rapporti omosessuali per cui fu dichiarato non idoneo a Ministro delle politiche sociali. Il Cav. Berlusconi, latin lover con il Primo Ministro Finlandese, ha altercato con giornalisti, industriali, studenti, insegnanti, medici, infermieri, sindacati, lavoratori, giudici, sondaggisti... ha attaccato violentemente quasi tutte le istituzioni, creando nemici ovunque. Uno “statista” che non ha mai perso occasione, qualunque tematica trattasse o in qualsivoglia situazione si trovasse, di spargere zizzania, parlando male degli altri... tutti comunisti!
! !
3 - nelle sue liste ci sono molti candidati condannati a sentenze già passate in giudicato. E sarebbe la sinistra a non andar d’accordo su niente, a creare immoralità, disagi o caos? Ma veniamo da un altro mondo? Il Cav Berlusconi ha Sinistrizzato anche i Sondaggisti italiani, nessuno escluso, serissimi professionisti che da sempre tutti conoscono e stimano. Di botto (!?) sono diventati tutti comunisti. Il gioco è palese: se avvenisse qualche disguido, particolarmente sul conteggio elettronico (invito a leggere il Diario n. 12 di Enrico Deaglio o a collegarvi con www.diario.it) allora potrebbe, l’unto, di nuovo dire, urbis et orbis, ad idioti e a complici: ve lo avevo detto che i sondaggi (il 24 marzo stava 7 punti indietro!) erano sbagliati! D’altronde già da tempo ha denunciato che la sinistra commette brogli elettorali! Che statista! Solito ritornello, quello da sempre utilizzato anche per i suoi processi... finiti, alcuni, per decorrenza dei termini autoprocuratesi, non per assoluzioni! Giampiero Raspetti
speciali soltanto agli occhi di qualche uomo chiave). Anna Serafini (moglie di Piero Fassino), Anna Maria Carloni (moglie di Antonio Bassolino), Mariella Bocciardo (prima moglie di Berlusconi), Angela Bossi (moglie di Umberto), Stefania Craxi (figlia di Bettino e sorella di Bobo). Quindi, visto che in politica nessuno, né uomo né donna potrebbe mai farcela senza l’appoggio del partito o di qualche personaggio influente, e poiché i partiti tendono a favorire candidati maschi, o al massimo mogli, amanti, concubine dei potenti, ben vengano le quote rosa! Purché non siano motivo di rilassamento (tanto nella lista mi ci devono mettere), ma siano piuttosto uno sprone, un incentivo a darsi da fare,
a combattere con grinta, a non mollare, e diventino un’opportunità per offrire un esempio di tenacia ed onestà per tutti, uomini e donne. Qualche nome? Nilde Iotti ed Emma Bonino. Monica Tarani
La Pagina nasce a Terni nel gennaio del 2003, fa il suo ingresso a Perugia nel marzo del 2006. E’ un mensile che intende dare voce ai cittadini su varie tematiche di attualità e cultura, come la politica, la scienza, l’arte, la psicologia, la sociologia, la comunicazione. Il suo obiettivo prioritario consiste nel presentare gli argomenti trattati con linguaggi e contenuti realistici, vicini al sentire della gente e non in forma confezionata e spesso strumentale, secondo la prassi ormai affermata nel mondo della comunicazione. Altro scopo fondamentale è quello di diffondere la conoscenza della nostra regione, valorizzandone le numerose risorse artistiche, culturali, paesaggistiche, ma anche economiche ed imprenditoriali, con l’augurio che ciò possa tradursi nell’intensificazione dei rapporti tra le varie realtà e nello sviluppo di nuove forme di cooperazione. Attualmente stampato in 20.000 copie e distribuito nelle due Province, La Pagina si prefigge di raddoppiare la sua tiratura entro l’anno in corso, per arrivare anche nelle cittadine e nei centri minori dell’Umbria. Non ci soffermiamo sulle caratteristiche tecniche del giornale (carta, grafica, impaginazione), la cui qualità crediamo sia evidente, così come l’impegno che dedichiamo per offrirla a questi ottimi livelli.
Le aziende interessate a sostenere La Pagina, nell’ottica di promuovere la propria immagine attraverso un’iniziativa di valenza sociale e culturale, possono contattarci al Tel. 074459838, oppure inviare una email all’indirizzo: comunicazione.e.progresso@virgilio.it
Venerdì 28 aprile 2006 alle ore 21,00 presso la sala superiore del Caffè del Corso si terrà una degustazione guidata di vini australiani con l’azienda Deakin Select. I calici verranno accompagnati da una degustazione gastronomica.
Sauvignon Blanc 2005 Chardonnay 2005
Il sorbetto Shiraz 2004
Cabernet Sauvignon 2002 Il dolcetto del Caffè del Corso Il caffè
& Bacalao, dell’Az. Pietro Baggi, marinato al pepe rosa & plateau di Pesce Spada e Salmone all’aneto J.d.C. & Mortadella arrosto con balsamico & plateau di formaggi
La degustazione si terrà nella sala superiore del Caffè del Corso e sarà riservata a max. 40 partecipanti al prezzo di € 35,00 cad. E’ gradita la prenotazione.
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SCUOLA? Sxolh (skolè), scuola. La parola significa tempo libero: sistema di formazione per chi ne dispone. Non per gli schiavi, quindi. Oggi assistiamo al tentativo di renderla alquanto disponibile anche a sciattoni, ad obbedienti sciocchi, a dogmatici schiavi. E questo non solo per il patetico tentativo di devitalizzare scienza, cultura e verità, come appare dalle grossolane strategie della Sig. Letizia Brichetto Arnaboldi, conosciuta come Ministro Moratti, particolarmente acuite nell’eclatante caso Darwin. Non riescono a vedere, nelle riforme, nient’altro che puri smottamenti quantitativi: unica visione intellettiva delle testine che dirigono la scuola e che, a loro volta, a scuola ci saranno pure andati, ma o si son pagati diploma e laurea o l’hanno rubacchiati studiando tutto a memoria. Tarlo quest’ultimo che ha roso il cervelletto di molti politici e di molti insegnanti, diciamo pure... di molti laureati italiani che, mediamente, statistiche mondiali alla mano, sono i meno capaci di lettura critica e scientifica e i più dogmatizzati, quasi il loro apprendimento si fosse dispiegato in una normale presecuzione del giovanilissimo catechismo chiesastico. Chi si è salvato per luce propria emigra perché nel nostro bel paese non si investe sulla ricerca ma solo sui decoder e sugli interessi privati. Senza cultura e senza ricerca, ma solo col nozionismo talebano, non c’è meritocrazia e a rovinare il paese sono chiamati, a dirigerlo proprio, parenti e affiliati delle grandi famiglie! Non si vogliono o non si sanno affrontare i veri nodi della scuola italiana, oltre a quello, scontato, dei fondi. Il traguardo formativo Il traguardo formativo è ancora fermo alla trasmissione di conoscenze, fenomeno noto anche come sabba del nozionismo. Occorre invece favorire abilità, competenze ed attitudini mentali orientate alla risoluzione di problemi ed alla gestione delle informazioni. Il problema non è più quali pezzi di sapere codificato mettere nei programmi e neanche solo quello di più cultura o di più computer o di più inglese. Il problema è come cultura, come computer, come inglese: è nel metodo, nella capacità cioè di saper ricercare e scoprire. In una scuola che non condizioni, ma che promuova l’autodeterminazione dello studente, dovrà radicalmente cambiare il ruolo dell’insegnante, non più chiamato a ripetere un sapere codificato, ma capace di porsi esso stesso in una vera e propria attività di ricerca, parallela a quella dell’allievo. L’insegnante deve saper motivare i giovani ad elaborare una propria mappa culturale, motivare
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alla sete di conoscenza e al desiderio di ragionare correttamente, e per far ciò deve essere in grado di lavorare senza barriere, senza timori, direi senza cattedra. Deve però sapere e capire molto e, evidentemente, deve essere carismatico. Non può avere lo stesso stipendio del collega che niente sa, ma tutto ripete, dei tanti somari che si piazzano sulle cattedre. Il nuovo percorso induce un modello scolastico con un indirizzo aperto, dove l’insegnamento interagisce culturalmente con la più vasta comunità sociale: una nuova scommessa educativa, imparare ad imparare! Sarà fondamentale cancellare l’abitudine a vivere la cultura in modo descrittivo per intraprendere una forma mentis laboratoriale. Occorrerà sviluppare la capacità di orientarsi, di documentarsi, di fare domande, di organizzare risposte. Tutto ciò richiede, tra l’altro, una profonda integrità morale: presento le mie idee, le critico, accetto serenamente di aver sbagliato ipotesi, cambio tranquillamente l’assioma di partenza, come è proprio della parola assioma (verità degna fino a prova contraria!). Siamo nel centro stesso dell’educazione: accettare di essere valutati solo per i propri meriti, aborrendo ogni forma di privilegio. S cu o la p u b bl i c a s cu o la p riv a ta Si tratta, in genere, di accaparramento di quattrini pubblici. Le scuole private, nella grande generalità dei casi, sono diplomifici a pagamento, come tutti sanno e ipocritamente cercano di nascondere, a cominciare dagli studenti che le frequentano, dai genitori che pagano la retta, dagli stessi operatori. Sebbene io sia sempre stato per la scuola di Stato, e sempre lo sarò, facciamole pure tante scuole, pubbliche e private, facciamoli contenti questi genitori che hanno diritto di scegliere l’educazione per i propri figli; facciamo felice il clero che non smette un attimo di pretendere, pretendere, pretendere... quattrini. Diamo pur retta a questa che è la più mistificatoria parola d’ordine degli ipocriti. Il 90% degli istituti privati in Italia è il rifugio degli idioti e dei nullafacenti, dei tanti figli di papà che comprano pezzi di carta. Sarà poi cura del partito o della parrocchietta piazzarli, perpetuando quella funesta prassi per cui molti posti direttivi in Italia vanno agli idioti con tessera! Altro che America, altro che meritocrazia!!! Facciamole, ma che siano tutte all’insegna dello studio e della cultura, laiche, non ideologiche. Spero soltanto che si sappia, ben distinguere, in una auspicabile rigorosa competizione culturale tra istituti, tra conoscenza e concezione perché ho timore che nella fase più delicata dell’apprendimento si possa favorire non già un tessuto culturale omogeneo e socializzante ma un inserimento in tante visioni parziali, di parte, tanti brandelli di concezioni irreparabilmente disgiunti tra loro. Non amo una società che nasce dal patchwork, sono per una società che sappia scegliere, si confronti liberamente, dopo aver conosciuto quello che appartiene alla cultura ed
alla scienza. Misticismo ed ideologia non vanno a scuola: chi li vuole se li faccia, quando vuole e dove vuole, nel rispetto delle coscienze di tutti, ma se li paghi! Il governo Berlusconi lascia una scuola statale più povera e precaria. Le casse degli istituti hanno meno soldi da spendere sia per le attività didattiche sia per il funzionamento pratico. E ancora: le aule sono più affollate e il numero di insegnanti precari è da record. Al contrario, le scuole private ricevono più soldi, tanti insegnanti di religione immessi in ruolo di cui non sapremo che fare (perché i giovani stanno scegliendo di non avvalersi di tale insegnamento), ma che dovremo pagare a vita! Secondo l’esimio pedagogista Benedetto Vertecchi: in questi anni è cambiata la linea di sviluppo del sistema scolastico italiano. Fino al 2000 era di tipo solidale: la preoccupazione principale era di non determinare eccessive differenze fra le classi sociali. Lo scopo era di aiutare gli alunni con maggiori difficoltà. Con l’avvento del governo Berlusconi cambia la rotta. Nel 2001 si fa avanti un modello di tipo competitivo di stampo inglese o americano. La riduzione della spesa comporta una specie di selezione naturale per i più deboli e condizioni di favore per i più capaci. Ma, il sistema è complessivamente regredito. Il passaggio dal modello solidale a quello competitivo è avvenuto in modo imperfetto. Il peggioramento delle condizioni per i più deboli non è stato compensato da un equivalente miglioramento per i più fortunati e i dati Ocse lo dimostrano ampiamente. Insoddisfazione Alla scuola berlusconiana delle 3I (Inglese, Informatica e Impresa) manca la quarta: la I della Insoddisfazione, ovviamente dei docenti. Secondo una stima Snals-Confsal da settembre oltre 27.000 insegnanti lasceranno il lavoro. E il precariato aumenterà di 11.000 unità. Secondo il suo segretario Gino Galati, il primo settembre andranno in pensione 27.046 docenti, con una crescita del 40% e i prossimi dieci anni vedranno uscire dalla scuola 250 mila docenti. Come è stato dimostrato dagli ultimi studi sulla soddisfazione lavorativa della classe docente e dall’impennarsi del numero di casi di malattia neurologica e psichiatrica fra docenti, gli insegnanti sono sempre più stanchi, acciaccati e demotivati. Stare dietro la cattedra è diventato sempre più difficile. E da un paio di anni a questa parte a fare fretta a parecchi docenti ha contribuito la riforma delle pensioni voluta dal Ministro del Lavoro Maroni e l’approssimarsi del gennaio 2008. Ma per lo Snals (un sindacato non propriamente comunista) il vero problema è che con 23.500 assunzioni e 34.500 pensionamenti il numero dei precari della scuola aumenterà nel prossimo anno scolastico di 11.000 unità. E Galati non intende più tollerare una cieca politica del personale della scuola che con il prossimo anno produrrà oltre 190.000 precari. Il governo Berlusconi un merito ce l’ha: ha saputo compattare tutti i sindacati, dalle Alpi alle Piramidi, dalla destra alla sinistra. Tutti nemici, anche il Manzanarre, anche il Reno, anche gli insegnanti dello Snals! Giampiero Raspetti
L’ o r g o g l i o i t a l i a n o
Nella mia vita ho avuto la fortuna di visitare Paesi stranieri, ogni volta che è accaduto sono stata orgogliosa di dire che ero italiana. Ho potuto provare questo sentimento grazie ad alcuni italiani che con coraggio, dedizione e ingegno, portano il nome dell’Italia, per una volta, in cima alla vetta del mondo. Sono i nostri cervelli, i ricercatori sparsi per il mondo. Sono persone eccezionali che rinunciano alla loro Nazione per seguire l’istinto, lo stesso che li spinge a vivere lontani dalle loro famiglie, dalla loro cultura, dalla loro vita, per portare conoscenza e progresso nel mondo. Istinto che deriva proprio da quella terra che sono costretti a lasciare. Sono, per esempio, quegli studiosi che analizzano il processo di differenziamento delle cellule staminali con lo scopo di trovare una cura per malattie quali il parkinson, l’alzheimer, l’ictus, il diabete, le malattie cardiache e addirittura la paralisi. In futuro gli scienziati sperano di manipolare queste cellule affinché invece di produrre globuli rossi possano dare origine a cellule cerebrali, epatiche, cardiache e nervose. Sono quegli scienziati che, preoccupati della dipendenza della società moderna dalla disponibilità di energia, stanno studiando la fusione con lo scopo di creare energia pulita, cioè senza emissione di gas a effetto serra e arrestare il continuo aumento di bisogno di energia importata, che spesso è la causa di conflitti bellici. L’Europa come le altre zone del mondo industrializzate ha poche risorse energetiche proprie, quindi è indispensabile promuovere, diffondere e valorizzare l’attività di ricerca. Tutti i principali settori di sviluppo del Paese dallo scientifico, tecnologico, economico al sociale devono essere sostenuti. La fuga dei cervelli è un fenomeno tristemente noto e ripetuto per noi italiani; sono anni che sento dire dai telegiornali di scoperte fatte da nostri connazionali in laboratori stranieri, sono anni che il governo millanta soluzioni, sono anni che tutto è come prima. Mancano i requisiti essenziali per la ricerca: la formazione; le risorse finanziarie; il riconoscimento del merito; le
partnership e lo snellimento della burocrazia. La finanziaria 2006 non cambia questa tendenza, anzi continua a colpire i settori dell’università e della ricerca. Infatti viene mantenuto il blocco delle assunzioni per gli Enti di ricerca, anche i contratti a tempo determinato e co.co.co. subiscono una riduzione del 40%, vengono tagliate le risorse per laboratori e materie prime. In soldoni significa una riduzione di circa 75 milioni di euro per il finanziamento ordinario delle università statali, meno circa 6 milioni di euro per gli Enti di ricerca. Il governo colpisce anche l’edilizia universitaria con un taglio di 60 milioni di euro. Una manovra che si abbatte su un terreno già accidentato, si consideri che nel biennio 2004/2005 lo stipendio di ingresso di un ricercatore italiano è stato di 1.035 € mensili contro i 2.000/3.000 dell’unione Europea e i 4.000 degli Stati Uniti. Già molti celebri cervelli italiani lo hanno fatto notare schierandosi a favore della lungimiranza come: Franco Pacini, Umberto Eco, Lucio Bianco, Margherita Hack, Rita Levi Montalcini. La ricerca subisce con la finanziaria 2006 oltre il danno anche la beffa, infatti ci sono tagli pure sulla rappresentanza e i convegni, a dimostrazione che alcuni Ministri non sanno che per fare conoscere la produzione scientifica bisogna tenere convegni nazionali e internazionali. Per fortuna che c’è il 5 per mille a finanziare la ricerca, peccato che dovrebbero versarlo gli italiani di buon cuore e buone risorse economiche. Trovarne della prima categoria non sarà difficile, è della seconda che mi sembra impossibile. Però c’è la possibilità per le società di elargire contributi per la ricerca completamente non tassati, peccato che non sia prevista nessuna verifica su che tipo di ricerca o sulla effettiva realizzazione. Non capire che il nostro futuro dipende dalle menti dei giovani e dalle loro forze è stupido e avvilente, non voglio credere che il nostro paese non sia in grado di creare una legge adeguata per lo sviluppo scientifico, tecnologico e industriale. Serena Battisti
EDUCAZIONE ALLO SPORT
Vo g l i a
di
a m i ci zi a
Tr o p p o . . . . t r o p p o p o c o
Si è appena calato il sipario sulle Paralimpiadi invernali di Torino con una messe di record, destinati a non figurare negli annali storici. Come sempre accade nel corso di questo tipo di manifestazioni, ognuno dei 600 atleti è riuscito a segnare miglioramenti nelle performance; se non in assoluto, certamente a livello individuale. Al loro fianco, dividono l’orgoglio dei progressi 80 tecnici che con la perizia di specialisti da pit-stop, hanno assistito con eguale impegno una miriade di team. Sono i guru dell’elettronica applicata alla biologia, gente capace di far funzionare una protesi con la precisione di un arto naturale; di far gridare al miracolo il mondo dei normali quando caviglie, ginocchia, mani e piedi computerizzati consentono agli atleti di raggiungere sette metri nel salto in lungo, o di permettere ad altri di effettuare discese spericolate sulla ne-
ve, segnando tempi di appena 2/3 secondi superiori a quelli di colleghi che non immaginano neppure la loro esistenza. Il parametro di riferimento preso da questa schiera di maghi è il record assoluto; quello dei beneficiari è se stessi. La gioia di chi arriva ultimo è legittima al pari di chi vince. Non c’è nulla di esasperato, perchè lo spettatore ignora l’avanzamento tecnico di quell’atleta, misurabile solo in rapporto ad una personale valutazione. Ogni singola prestazione è la quintessenza dello Sport puro: non più competizione finalizzata a primeggiare sugli avversari, ma a migliorare i limiti propri. Lo spazio mediatico che meritano va oltre i tempi striminziti concessi dalla TV di Stato, se solo i responsabili intuissero il potenziale formativo sui giovani, l’impatto sulle masse pateticamente ancorate a sopportare le smanie comportamentali di giocatori di calcio viziati, avidi e spesso drogati. Ma ogni medaglia ha il suo verso: ricostruire un arto con transistor e diodi, schede elettroniche e microprocessori può costare fino a 30.000 euro, cui concorre, per il 10%, il servizio sanitario nazionale. Poco, troppo poco per alimentare l’aspirazione alla normalità dei nostri azzurri, così come per riconoscere dignità a quanti, come loro, non guardano a prestazioni da primato, ma al diritto di sentirsi fisicamente partecipi ed utili alla società in cui vivono. Giocondo Talamonti
IPSIA Carro di maggio 2004
Nel clima di tensione, d’insicurezza, di diffidenza, di scetticismo che la società moderna sta vivendo, l’edizione 2006 del carro dell’IPSIA “Voglia di amicizia” vuole essere un invito, rivolto a tutti gli uomini, di cercare nella propria interiorità il senso della socialità, del bisogno individuale di rapportarsi con gli altri, della sensazione di non sentirsi padrone di se stesso se non in affinità con i suoi simili, della necessità di stabilire un rapporto privilegiato basato sull’amore reciproco e sulla gioia della corresponsione secondo l’imperativo si vis amari, ama, uno stimolo ad amare per primo, in breve, ad offrire solidarietà, amicizia. Ecco, allora il simbolismo del carro: una grande sedia che rappresenta la volontà di accogliere, di far accomodare tutti i viandanti della terra, condividerne le preoccupazioni, trovare loro un sostegno, un rifugio ove riprendere vigore per proseguire il cammino, i pacchi regalo nel significato metaforico del donare speranza e serenità a chi, vivendo in condizioni difficili, si vede negato il diritto ad
esistere in un ambiente amico ed accogliente, la torta, allegoria della festa e dell’appagamento dell’uomo che, in antitesi con lo stato di solitudine, realizza totalmente la sua essenza nei legami con qualcuno e ancor più profondamente e più completamente esistendo per qualcuno, ove il per racchiude il concetto della relazione di reciprocità. La comunità ternana, in piena coerenza con un così inteso valore dell’ amicizia, ha sempre dimostrato la capacità di accogliere tutti coloro che sono entrati in contatto con essa e di sostenere i deboli e i meno fortunati. Nei tempi passati, la trasformazione della città: da centro
agricolo a centro industriale, ha richiamato un enorme flusso di persone provenienti dai più disparati luoghi di ogni regione. Con loro, ha condiviso i momenti di difficoltà e di prosperità e ha saputo costruire, in perfetta simbiosi, le fortune della città. Oggi, con lo stesso spirito, dà il benvenuto ai tanti stranieri che si insediano in città, continuando ad interpretare, senza remore, il senso di fratellanza che i padri gli hanno trasmesso. Solidarietà, fratellanza, amore, amicizia, le tante sfaccettature di una qualità da tutti riconosciuta come caratteristica propria dei suoi abitanti. Una tradizione che si protrae nel tempo. GT
I l P r e s i d e , I n g . G i o c o n d o Ta l a m o n t i , con alcuni dei suoi studenti maggiaioli
C I N E F I L O
S P O R T I V O
Spirito, ideale e cultura dello sport nel cinema
I L D O C U M E N TA R I O S P O RT I VO
La ECOGREEN s.r.l. svolge attività di CONSOLIDAMENTO di scarpate e pendici rocciose effettuando i seguenti interventi:
- ispezione di pareti rocciose di qualsiasi natura e acclività - disgaggio e demolizione di ammassi rocciosi di qualsiasi dimensione - posa in opera di reti metalliche paramassi - placcaggio di superfici rocciose fessurate ed instabili - posa in opera di barriere paramassi Nel campo dell'ingegneria naturalistica la ECOGREEN s.r.l. ha acquisito una significativa esperienza nell'utilizzo di tecniche di idrosemina potenziata, di invecchiamento accelerato delle rocce e di interventi di consolidamento delle scarpate con l'utilizzo di talee vive e/o morte.
Il documentario è uno strumento straordinario di conoscenza, informazione, formazione, cultura e intrattenimento. Le radici di questo genere cinematografico e televisivo sono profonde e ben consolidate grazie anche alla qualità dei cineasti che se ne occupano. Di particolare interesse, in questa sede, è quello SPORTIVO: un documentario capace, a differenza della diretta e delle immagini di repertorio, di presentare lo sport da un punto di vista diverso, vale a dire quello di un autore che con ogni espediente tecnico, dal montaggio alla colonna sonora, sceglie e cura la ricostruzione dei passaggi e dei momenti significativi dello sport. Il cinema conta innumerevoli documentari sportivi tra i quali ri-
cordiamo gli intramontabili OLIMPIA (1938, Leni Riefenstahl), LA GRANDE ESTASI DELL’INTAGLIATORE STEINER (1974, Werner Herzog) e LA MORTE SOSPESA (2003, Kevin MacDonald) che più di altri evidenziano le grandi potenzialità del mezzo cinematografico in questo genere, con riprese e intuizioni registiche mozzafiato. La televisione, invece, ha una lista di documentari sportivi praticamente infinita, ne vengono realizzati centinaia ogni anno per le numerose trasmissioni di approfondimento con temi che variano dal calcio, alla moto, alle macchine, alla boxe... Molti di questi titoli, ed altri realizzati appositamente, vengono messi in vendita e allegati a
riviste e giornali per sfruttare commercialmente un particolare evento o semplicemente per innalzare il divo del momento. Per un cinefilo sportivo, comunque, è imperdibile in TV la trasmissione: “SFIDE. Lo sport come non l’avete mai visto”. Un programma innovativo che con un geniale montaggio cinematografico mischia insieme interviste, testimonianze, musica ad hoc e immagini di repertorio per ricostruire la storia di campioni e protagonisti le cui imprese sono parte della memoria collettiva. La voce narrante fuori campo fa da collante al tutto e il risultato è uno dei migliori programmi televisivi che l’azienda pubblica produce. Claudio Talamonti
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Può la democrazia uccidere la democrazia?
W il duce...?!? C’è una stupida moda che imperversa tra alcuni giovanissimi di oggi. La chiamo moda perché non si basa su conoscenze realistiche né su un’analisi storico-sociale degna di questa definizione, ma è semplicemente dettata dal desiderio di apparire forti e coraggiosi, di crearsi un’immagine che con le proprie caratteristiche e capacità non verrebbe mai e poi mai alla luce in quanto, di fatto, è fondata sul nulla. Gridano W il duce! Disegnano svastiche, si salutano col braccio alzato alla fascista… Se vivessi in un altro Stato, mi augurerei di tutto cuore che venisse un po’ di fascismo, esattamente quello degli anni ’30 e ’40, con manganelli e coprifuoco, sganassoni facili e calci nel sedere. Mi piacerebbe vedere che fine farebbe tanto entusiasmo nei confronti di autoritarismi e dittature…! Perché molto spesso gli stessi elementi che inneggiano la massima disciplina, acclamano il rigore assoluto, si ispirano al polso di ferro, il sabato sera in discoteca o l’estate in vacanza, completamente rincoglioniti dall’alcol e dalle pasticche, si trascinano in condizioni pietose tra un vomito e una bestemmia e non di rado, per puro vandalismo, si divertono a distruggere panchine, cartelli
stradali, a scrivere sui muri; insomma, si trasformano in veri e propri teppistelli di bassa lega! Per non parlare del loro stato alla guida dell’auto o del motorino… Forse non hanno capito che sarebbero proprio loro i primi a rimetterci il sedere, se tornasse davvero il regime!!! E spesso non lo capiscono neppure certi genitori che si dimostrano tanto intransigenti quando giudicano alcuni comportamenti giovanili che attribuiscono sempre e solo ai figli degli altri, non immaginando neppure lontanamente che razza di metamorfosi subiscono regolarmente i loro figli quando si trovano ad agire in libertà. Ma se i suddetti atteggiamenti non derivano dalla convinzione: io posso, gli altri no… (perché in tal caso non c’è dialogo, come con i terroristi), e scaturiscono semplicemente dall’ingenuità, da un lato dei ragazzi, dall’altro dei genitori, allora suggerirei di lasciar perdere il duce e di rifarsi piuttosto a quelle personalità della storia e dell’attualità che invece di invocare il ricorso alla violenza, emblema delle società primitive, hanno puntato e puntano sulla forza delle idee. Chi non ce l’ha, farebbe meglio a tacere. Soprattutto… nel suo inteSilvia Spiropulos resse!
TERNI - V. della Stazione, 32/38 - Tel. 0744. 420298
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La recente vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi ha riportato alla ribalta un tema già discusso negli anni ’40: può il sistema democratico auto-distruggersi? Hamas ha conquistato il potere vincendo libere elezioni. Ma Hamas non solo è anche un’organizzazione terroristica, ma è l’espressione di un fondamentalismo islamico che rifiuta i principi della democrazia. Ecco quindi, che la stessa democrazia ha generato un sistema anti democratico. Un intricato paradosso. La stessa cosa avvenne proprio negli anni Quaranta in Europa, quando Hitler vinse elezioni democratiche e arrivò al potere in modo legittimo. Ma come può avvenire che elezioni democratiche, riportanti il volere di tutto il popolo, possano portare al potere formazioni estreme e contro i principi base della democrazia? La risposta forse, va cercata nel contesto in cui si svolgono le elezioni. Queste infatti, possono anche svolgersi liberamente, ma se avvengono in un contesto affatto democratico, vengono inevitabilmente condizionate. Appare evidente che libere elezioni non bastino a proclamare reale democrazia. Essa infatti, non è solo elezioni libere, ma un sistema che deve abbracciare tutta la società, in modo da creare un contesto idoneo allo svolgimento delle votazioni. Altrimenti, si corre il rischio di nascondere la libertà dietro ad un voto libero che, seppur elemento basilare di una democrazia, non può rappresentarne l’unica espressione. Massimo Colonna
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R o m a no, Silvio e l’inde c is o
TNS Abacus (Dati resi pubblici da il Giornale - 17/03/2006)
E scontro fu. Rai1, 14 Marzo 2006 - prima serata: per Silvio ha vinto senza dubbio Berlusconi, per Romano ha certamente trionfato Prodi, per i media è chiaro come non sia stato tanto il Professore a convincere, quanto il Cavaliere a deludere. Gli indecisi, vero target delle trasmissioni politiche, e secondo un sondaggio abacus circa il 20% degli aventi diritti al voto, hanno invece espresso un giudizio inequivocabile: pareggio. O meglio: non ci avete convinto. In merito al senso di inutilità espresso dalla trasmissione, lamentata dal popolo degli indecisi, Silvio Berlusconi ha manifestato tutta la propria solidarietà, scagliandosi contro le regole del programma: rendono tutto troppo asettico, non permettono alla gente di capire. Quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio la dice lunga sul ruolo che egli destina alla comunicazione politica. Non un grande mezzo per fare informazione ma un cinico strumento di persuasione. Non un’occasione per parlare ai cittadini interessati ma un canto sensuale ed ammiccante per chi, come gli indecisi, non ha idea per quale fronte politico combattere. Ed in effetti il Presidente non ha tutti i torti: due minuti e mezzo, questa la lunghezza destinata ad ogni intervento nella trasmissione diRai1, sono veramente troppo pochi per persuadere anche il più becero fra gli ignoranti. Il leader della casa delle libertà non ha quindi gradito affatto lo scontro imparziale, minutato e serio andato in onda su Rai1 il 14 marzo scorso, perché non ha sortito alcun effetto su chi ha poco a che spartire con la politica: gli indecisi. Silvio Berlusconi, padre di Publitalia ‘80 (la più grande azienda pubblicitaria d’Italia), gli indecisi li conosce bene. Sa come trattarli. Sa come meravigliarli affinché si riversino nelle strade per consumare, lo ha fatto per anni.
La pubblicità è il mestiere che ha reso Silvio un Cavaliere. In politica l’indeciso non è colui o colei che vive un travaglio esistenziale poiché non sa scegliere ciò che sia giusto o no, per sé e per gli altri. Non è un intellettuale incerto. Egli è piuttosto un soggetto disinteressato alla materia, che esercita il proprio diritto di voto per mera abitudine, e che, dunque, presta facilmente il fianco a chi sa raggirarlo con slogan e promesse di ogni genere. In Italia, dati alla mano, sono il 20% degli aventi diritto al voto. Per questo la comunicazione politica è oramai ridotta ad uno squallido teatrino di colpi bassi, sorrisi di facciata e patetici luoghi comuni adatti alla costruzione dell’immagine personale, a discapito di quella dell’avversario. Per questo i media, grande cassa di risonanza avversa all’approfondimento culturale, assumono un ruolo fondamentale nella politica moderna. Vedere per credere: ore 22.45 del 14 Marzo, lo scontro è finito da pochi minuti. Sui vari canali si accendono i dibattiti-sposta voti. Maurizio Belpietro, direttore del Giornale, ospite allo speciale di studio aperto, guarda fisso in camera ed afferma deciso: ho già preparato il titolo da prima pagina per domani: Berlusconi mette KO Prodi! Pura propaganda, autosmentita 3 giorni dopo, dai dati reali che lo stesso giornale ha dovuto pubblicare. Questa volta, grazie ad uno scontro asettico fra i leaders, il germe della persuasione non ha trovato strada perchè non rafforzato dai sorrisi, dalle arroganze e dalle battute del premier, dai suoi lunghi monologhi e dalla furbizia televisiva. Il 3 Aprile ci auguriamo accada esattamente la stessa cosa. Caro Presidente tenga a mente: due minuti e mezzo sono troppo pochi per un miracolo italiano ma bastano e avanzano per informare chi già sa cos’è la poFrancesco Bassanelli litica.
Futurismo al femminile tra arte e letteratura La Provincia di Terni per la cultura
La Provincia di Terni per la cultura
Una donna umbra dell’avanguardia futurista: la pittrice Leandra Angelucci Nell’ambito delle manifestazioni che si sono svolte a Terni per l’8 marzo, organizzate dal Comune, dalla Pinacoteca comunale, da altre istituzioni e dalle Associazio-
ni culturali è stata prevista una mostra retrospettiva della pittrice futurista Leandra Angelucci Cominazzini (Foligno 1890-1981). Allestita in due ampie sale del Palazzo di Primavera, la mostra ha visto esposte una quindicina di rari dipinti, arazzi, maioliche e arredi dell’artista folignate, datati tutti tra gli anni Trenta e i Quaranta. Curata da Francesca Duranti ed Antonella Pesola, la mostra è stata inaugurata il 2 marzo con una conferenza delle curatrici, che, presentando l’artista umbra, hanno spaziato dai tratti caratteristici del futurismo locale, al ruolo delle donne nel movimento avanguardistico, sottolineando il tutto con la
D o n n e L’esposizione, dedicata alla pittrice folignate Leandra Angelucci, ha ben evidenziato la particolare ispirazione visionaria di una borghese di provincia, interprete originale della rivoluzione artistica futurista, che ebbe modo di manifestarsi lungo il corso degli anni Trenta ed oltre, anche se furono poche le donne che vissero quella avventura artistica. Il Futurismo aveva, però, intessuto rapporti con il mondo delle donne e alcune di esse avevano, fin dal suo sorgere, aderito al movimento avanguardistico. Una speciale partecipazione ed adesione all’avanguardia storica che è stata spettacolarizzata, negli spazi della
mostra dedicata all’Angelucci, in una conferenza-performance curata da Domenico Cialfi: Donne e futurismo tra arte e letteratura. La conferenza, animata da declamazioni e sottolineata da proiezioni di rare foto, è risultata incentrata sulla presentazione di alcuni profili di donne attive nel movimento d’avanguardia dal 1912 agli anni ’30 - ’40 del ‘900 ed ha ben evidenziato le contraddizioni dei futuristi tra rappresentazioni letterarie, pittoriche e vita vissuta, ispirata ad un immaginario maschile e maschilista ben più radicato delle aperture nei confronti del mondo femminile. Sono stati così ricostruiti, in
proiezione di rari documenti fotografici e iconografie di realizzazioni artistiche. A Massimo Duranti, anch’egli presente all’inaugurazione, il compito di inquadrare storicamente ed artisticamente l’avanguardia storica più longeva, cogliendone continuità e fratture evolutive. Leandra Angelucci Comi-
e
nazzini, donna della borghesia folignate, dopo una prima stagione figurativa e di impegno artistico-artigianale speso nella creazione di originali arazzi denominati Hispellum, realizzati con stoffe di risulta, aderì al Futurismo. Influenzata inizialmente da Gerardo Dottori, ben presto realizzò un suo linguaggio originale nell’ambito dell’aeropittura in chiave onirico-visionaria. Amica di Benedetta, pittrice futurista, moglie di Filippo Tommaso Martinetti che la apprezzò ed incoraggiò, l’Angelucci entrò a pieno titolo nel movimento dell’avanguardia artistica partecipando a tutte le più importanti esposizioni lungo tutto il corso degli
anni Trenta e l’inizio dei Quaranta, fra cui molte edizioni della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma, oltre che, naturalmente, delle Sindacali umbre. Riscoperta all’inizio degli anni Ottanta da Lea Vergine per la mostra L’altra metà dell’avanguardia che si tenne al Palazzo Reale di Milano, la sua città natale le dedicò un’antologica nel 1983, curata da Massimo Duranti ed Erico Crispolti. Da allora le sue opere hanno figurato spesso nelle mostre storiche sul Futurismo che si sono tenute in Italia ed all’estero. Domenico Cialfi
F u t u r i s m o
un ipotetico salotto d’inizio secolo, alcuni momenti salienti dell’avanguardia storica al femminile a partire dai Manifesti del 1912/’13 di Valentine de Saint-Point (Lione, 1975 - Il Cairo, 1953), tesi all’esaltazione della lussuria e della crudeltà contro l’immagine sdolcinata della donna romantica e fatale allora in voga, per giungere al recupero della tradizione, soprattutto con la figura della moglie di Martinetti: Benedetta Cappa (Roma, 1897 - Venezia, 1977), più nota come Beny, che incarna a partire dagli anni ’20, un nuovo modello di donna futurista, dedita all’impegno avanguardistico in arte e,
contemporaneamente, al recupero dei valori della famiglia. Relativamente all’ultima fase del movimento futurista, sono state evocate con declamazioni di testi creativi due figure di futuriste umbre: la pittrice e poetessa Leandra Angelucci (Foligno, 18901981) e la poetessa e scrittrice Franca Maria Corneli, felicemente vivente a Perugia. I roventi e scandalosi manifesti futuristi dell’inizio del secolo scorso della De SaintPoint, invocando l’immagine di una donna virilizzata, ritraggono una figura femminile che non fa più parte dell’attuale patrimonio di idee dell’altra parte del cielo… Ma, a ben vedere, fino a che
punto? Leggendo questi manifesti come documenti straordinari di un’epoca trascorsa, ci si è potuto addentrare nel labirinto di una crudele forma mentale e studiarne le circonvoluzioni fino ai nostri giorni. Nel corso della performance hanno dato voce a futuristi e futuriste l’ideatore Domenico Cialfi e alcune studentesse (Chiara Belli, Francesca Fausti, Irene latini, Gioia Mariani, Andrea Mocanu, Alessia Paolucci, Clio Rozzi) dell’indirizzo linguistico dell’Istituto “F. Angeloni” di Terni, che hanno curato anche un assemblaggio di rare immagini d’epoca, le musiche, i costumi e l’allestimento. Giulio Viscione
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Grechetto dei Colli Martani 2005 **½ 25.000 bt. 6€ È il bianco di base dell’azienda, un Grechetto vinificato in acciaio e affinato per tre mesi in bottiglia. Di colore giallo paglierino carico, ha un impatto olfattivo fresco, fruttato e floreale con note di pesca, mandorlo e biancospino. Al gusto è armonico e caldo per la buona spinta alcolica, e si abbina a primi piatti della tradizione umbra come il risotto alla Norcina, a zuppe e minestre di legumi e cereali, meglio se con le lenticchie di Castelluccio, e ad altre specialità regionali come la schiacciatina di patate di Colfiorito con gamberi di fiume. Grechetto dei Colli Martani Vigna Tonda 2004 *** 5.000 bt. 9€ In produzione dal 1993, la selezione del Grechetto di casa Antonelli prende il nome dalla forma rotonda che aveva la sua vigna quando fu piantata agli inizi del secolo scorso. Vendemmiato verso fine settembre, a uno stato di maturazione già avanzata delle uve, questo Grechetto fermenta e affina sui suoi lieviti in tonneaux da 500 litri di rovere francese a bassa tostatura, viene imbottigliato senza filtrazioni per completare poi l’affinamento nel vetro per un periodo che può durare fino a un anno prima della messa in commercio. È un bianco ambizioso, dai riflessi dorati intensi, che si apre all’olfatto con una bella articolazione aromatica: le note fruttate (cedro, biancospino e mandorla) dialogano con quelle speziate della tostatura del rovere (vaniglia, cannella). In bocca è caldo e ricco, buona la sensazione di polpa e di dolcezza: piacerà agli amanti dei bianchi nel rovere a basso tenore di acidità. Rosso di Montefalco 2003 *** 140.000 bt. 10 € Da un uvaggio composto di sangiovese al 65%, con aggiunte di sagrantino, cabernet sauvignon e merlot in percentuali pressochè analoghe, il rosso di base nella gerarchia aziendale festeggia quest’anno 25 anni dal primo imbottigliamento. Fermentato sulle bucce per una paio di settimane, affina in botti grandi (25 hl) di rovere di Slavonia e Allier per circa nove mesi; dopo l’assemblaggio delle varietà e l’illimpidimento in vasche in cemento, resta in bottiglia per altri sei mesi. Il colore è rosso rubino, con riflessi violacei, al naso offre analogie con frutti di bosco, ciliegie e prugne, e anche in bocca il profilo fruttato conserva fragranza e immediatezza: è scattante e versatile negli abbinamenti, e non disdegna piatti della cucina regionale come strangozzi al tartufo, porchetta di Costano, corallina e caciotta in foglia di noce. Rosso di Montefalco Riserva 2003 **** 13.000 bt. 18 € A metà strada tra la fragranza fruttata del rosso di base e la severa tannicità del Sagrantino, il Rosso Riserva offre un modello di equilibrio originale e calibrato. Buona parte del merito va riconosciuto alla qualità del sangiovese, che incide nell’uvaggio finale per oltre il 70%, conferendo al vino un’apprezzabile dinamica gustativa e un senso di autenticità. Atteso alla prova di una conferma dopo l’entusiasmante versione del 2001, considerata da alcuni critici come una delle più riuscite espressioni di sempre nella sua tipologia, il 2003 è in uscita a maggio, dopo un affinamento nel rovere di oltre 15 mesi tra botti grandi e piccole. Si abbina a primi saporiti come le fettuccine al ragù di lepre e altri piatti della cucina umbra, come cardi al Grifo, frittata al tartufo, prosciutto di Norcia. Sagrantino di Montefalco Passito 2003 **** 10.000 bt. 20 € Sagrantino deriva con tutta probabilità dal latino sacer: vale a dire vino sacro destinato al consumo durante le feste della tradizione cristiana. È probabilmente questa versione dolce l’erede del primo Sagrantino, frutto dei grappoli più spargoli e derivata da un appassimento naturale, condotto su graticci per 75-90 giorni, con cernita delle uve. E quindi vinificata con una fermentazione sulle bucce per 8 giorni alla temperatura di 25°, cui fa seguito un affinamento di 15 mesi in botti di rovere di Slavonia (10 hl) e di 12 mesi in bottiglia. Sappiamo per esperienza che i Sagrantino Passiti beneficiano di prolungati affinamenti in bottiglia e hanno interessanti evoluzioni nel lungo periodo: non farà eccezione questo 2003, che propone il consueto blend di frutto e complessità tannica sotto il segno di una ricca speziatura.Va accompagnato a crostate di frutta rossa, pasticceria secca, dolci al cioccolato, formaggi decisamente stagionati. Sagrantino di Montefalco 2002 **** 40.000 bt. 22 € Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale cita un’uva Itriola tipica della zona, e forse si riferisce proprio al Sagrantino, ma resta il fatto che sull’origine della varietà nulla si conosce di preciso, le prime fonti documentali trovate risalendo al XVI secolo, quando la data di vendemmia del Sagrantino viene stabilita con un’ordinanza comunale. In tempi più recenti Montefalco, che nel 1925 ospitava una grande mostra enologica, veniva già definita “centro vinicolo più importante della regione”, e alla D.O.C. del 1979 ha fatto seguito la D.O.C.G. del 1992, prestigioso riconoscimento per la tradizione e la qualità dei vini di questo territorio. Qualità che il sagrantino di Filippo Antonelli difende anche in una vendemmia ingenerosa come la 2002, limitando quella sensazione di ruvidezza dei tannini che ha penalizzato molti dei suoi concorrenti, e lasciando emergere per contro i suoi toni fruttati, con decise note di mora e prugna. Troverà il suo complemento ideale nelle carni rosse brasate o stufate, ma ancor più nella cacciagione, con beccacce e palombe, cinghiale in umido con cipolla di Cannara, pecorino stagionato e formaggi a pasta dura stravecchi.
***** *** *
eccellente buono sufficiente
**** ** °
ottimo discreto difettoso GG
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Protagonisti del Vino Umbro Filippo Antonelli
Estesa per 170 ettari, tutti concentrati in un unico corpo, la Tenuta San Marco, di proprietà della famiglia Antonelli da oltre un secolo, è una delle più importanti del territorio di Montefalco. I terreni, situati ad un’altitudine media di 350 metri slm, proprio al centro del comprensorio a Denominazione d’Origine Controllata e Garantita del Sagrantino, hanno origine pleistocenica e matrice alluvionale: sono profondi, argillosi, molto ricchi di calcare, ideali per le colture di vite e olivo, che si estendono qui per quasi cinquanta ettari complessivi. San Marco de Corticellis era all’origine una coorte longobarda, appartenuta dal XIII al XIX secolo al Vescovo di Spoleto (i confini dell’azienda sono rimasti uguali a quelli descritti in un documento del XIII secolo conservato all’Archivio Vescovile di Spoleto), e poi acquistata a fine ‘800 da Francesco Antonelli, avvocato di Spoleto, che avviò profonde trasformazioni, tra le quali l’impianto di vigneti specializ-
Località San Marco 59 tel. 0742.379158 www.antonellisanmarco.it zati (in una relazione del 1902 si parla di impianti con 5.000 ceppi/ettaro, una densità ragguardevole per l’epoca). Nel 1979 è iniziata l’attività di imbottigliamento e commercializzazione dei vini che fino ad allora venivano venduti per lo più all’ingrosso, e dal 1986 l’azienda è condotta da Filippo Antonelli, che ne ha rafforzato con determinazione e lungimiranza l’originaria vocazione vitivinicola. Nel giro di poche vendemmie, Filippo (che si divide tra Montefalco, dove ha da poco completato il mandato di Presidente del Consorzio di Tutela, e Roma, dove dirige un’altra azienda vinicola sulla via Aurelia, il Castello di Torre in Pietra) si è imposto all’attenzione di operatori e appassionati caratterizzando lo stile aziendale con vini molto ben definiti nel disegno e nell’articolazione, sempre fedeli all’impronta territoriale: vini votati all’equilibrio, alla bevibilità e all’eleganza, più che alla potenza, con estrazioni delicate e un uso moderato del legno. A questo traguardo ha senz’altro contribuito il recente ampliamento della cantina, situata al centro dell’azienda, proprio sotto la casa padronale, con la realizzazione della sala di fermentazione sotterranea su due livelli allo scopo di consentire la vinificazione e la successiva svinatura per gravità, cioè senza l’uso di pompe che danneggerebbero l’integrità delle
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bucce. Anche la bottaia e il locale per l’affinamento in bottiglia sono stati realizzati sotto il livello del terreno per avere una temperatura pressoché costante. La produzione annua ammonta a circa 270.000 bottiglie. Accanto al piatto forte della Tenuta, che resta senz’altro il vino, e in particolare il Sagrantino, meritano tuttavia una menzione l’olio extra vergine di oliva biologico, ottenuto dalle varietà frantoio e moraiolo, e la grappa di sagrantino. Va inoltre ricordato che dal 1992 qui a San Marco viene praticato l’enoturismo, grazie al pregevole restauro del “Casale Satriano”, con i suoi 6 appartamenti dotati di piscina: un luogo ideale per chi volesse dedicare a Montefalco un’attenzione più meditata, corroborata dalla visita alla chiesamuseo di San Francesco, che ospita lo straordinario ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli con le storie della vita del santo. Giampaolo Gravina Vice Curatore della Guida Vini d'Italia de L'Espresso unoebino@tiscali.it
L’altra metà
Appena smaltita la differenza di fuso orario, ecco che i nostri prodi pionieri iniziano a costruire un fortino per cautelarsi dallo zoccolo duro delle patriottiche paperelle dell’Ontario. Ogni tanto un indigeno tenta di rubare qualche tappo di sughero scambiandolo per il pupazzetto di spongboll, ma viene immediatamente sanzionato con la tortorata di rigore. Da ammirare la sportività di questo popolo che accetta ogni decisione arbitrale senza accennare la minima reazione di protesta. Intanto, e siamo appena all’inizio, la voce narrante non ha smesso un attimo di martellare! Un bel giorno il comandante:
L’ a n g o l o d e l g r a n d a n g o l o
Ciurma, scusateme mucho, migo abeo finitos los sugarros. Prendo los navos, ando adelante al tabachinos in Espana, e retuerno subitos. Nomina Erim (Bambidos di cognome cioè Colin Farrell) capitano della truppa, e parte lasciando due confezioni di pavesini e tre di fette biscottate come mezzo di sostentamento. Non passa molto tempo che i marinai e gli indigeni diventano culo e camicia (lascio immaginare a chi spetta fare la parte del culo) e, come da manuale, Erim rimane folgorato dalla figlia del capo, un incrocio fra Pocahontas e Valeria Marini. Magistrale la ripresa di lei mentre tenta di cattu-
rare un grillo sbattendosi forte due pietroni sulle ginocchia, seguendo un’antica tecnica indiana. Pochy non lo nota subito, ma quando lui le si para innanzi col suo sguardo languido, le sopracciglia ad albero di Natale e l’espresione un pò così..., lei cede improvvisamente e gli vomita sugli stivali. Il capitano cerca aiuto immediatamente, ma gli indigeni gli spiegano che è la maniera delle loro donne di manifestare amore. Allora lui prontamente si mette due dita in gola rischiando così il linciaggio. Per fortuna interviene Pochy che lo salva e gli spiega che quello è il gesto indiano per indicare di appartenere alla tifoseria juventina. Intanto la voce narrante non accenna al minimo cedimento, minando le menti con un orgia di non ci sono più le quattro stagioni, è tutta colpa del buco nell’orzoro, l’acqua ai poli si sta sciogliendo, ecc. ecc. Le Scene d’azione si susseguono spasmodicamente. Strabiliante la lunga sequenza mozzafiato dell’inseguimento fra la tartaruga poliziotta e il bradipo assassino. Ricca di tensione anche la rapina della banda dei topolini mangiacacca ai danni di un po-
vero stercorario. Ma alla fine di tutte queste traversie capitan Erim Bambidos finalmente sposa Pocahontas. Arriva l’inverno e sono cavoli amari. Alla ciurma manca il cibo, il vestiario e del comandante nessuna traccia. Ma un abile cambio immagine spiega tutto. Nella nebbia tra i ghiacci del Polo nord si intravede la sagoma di un galeone spagnolo, ed una voce echeggia dallo stesso. Comandante: Chi cablavas los navos? Ciurma: Joachim Dalemas! Comandante: Maledicion! La voce narrante intanto produce i suoi nefasti effetti. Il mio vicino di posto si alza in trance abbandonando la mo-
glie e i figli dicendo che deve andare a trovare la suocera! Quello davanti con lo sguardo sbarrato si allontana ripetendo, con voce impersonale, che deve uccidere la regina d’Inghilterra. Finalmente il comandante ritorna ma... purtroppo non posso raccontarvi il finale. Mi sono risvegliato in carcere dopo esser stato imprigionato per aver tentato di rapinare la banca d’Italia armato di banane e bombe alla crema. Ma ve lo giuro, e dovete credermi, non ricordo di averlo fatto! Comunque tutti i detenuti del carcere mi hanno riferito che il film durava più di tre ore. Orlando Orlandella
Intervista con il giornalista Fiero Mincazzo Dott. Mincazzo, è vero che un noto esponente della Casa delle Libertà Vigilate stava spiando la sua vita privata per montare accuse di immoralità nei suoi confronti? Sì, è esatto. Prendendo spunto dalla vicenda che colpì alcuni anni fa l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton, a causa della sua relazione extraconiugale con la Levinsky, pensavano di infangare il mio nome denunciando un mio presunto coinvolgimento in storie di sesso, droga e rock & roll. Lei naturalmente si dichiara estraneo ai fatti… Certamente, anche se fare l’amore mi piace, non lo nego, fumo spinelli dai tempi
del liceo (mai però più di 23 al giorno) e possiedo l’intera collezione dei dischi dei Violent Femmes. Il punto è che di queste cose non frega niente a nessuno ed alla fin fine, se la devo dire tutta, secondo me non sarebbe fregato niente a nessuno neppure delle accuse che stavano montando… Questi ragazzi non imparano dalle esperienze, è qui che cascano… Possibile che l’epilogo del caso Clinton non gli abbia insegnato nulla? Per quale ragione ritiene che le sia stato giocato un tiro così birbone? La risposta è semplice, anzi, elementare. Quando non si sa più come fare a nascondere le proprie magagne si cerca di
spostare l’attenzione su quelle altrui, e se quelle altrui risultano irrilevanti rispetto alla macroscopicità delle proprie, allora la fantasia si sbizzarrisce… E come ha reagito a cotanto affronto? Se non fosse che con i danni morali che dovranno pagarmi
mi ci posso comprare una signora villa a Santo Domingo, non li avrei presi in minima considerazione; tanto con la figura barbina che hanno fatto, la mia rivincita già me la sono presa. Però lei capisce, una villa a Santo Domingo mi arrazza un bel po’…, e quindi li ho denunciati. Qualche rimpianto? In effetti, sì… Avrei preferito Thaiti, ma non so se lei ricorda che qualche tempo fa Berlusconi ha dichiarato che se avesse perso le elezioni si sarebbe ritirato a vita privata proprio a Thaiti. Con tutta la buona volontà, non ce la faccio a ritrovarmelo come vicino di casa in vacanza…!!! Pensa davvero che il Cavaliere si ritirerà?
Quello che so di certo è che perderà! Ma spero che non si ritiri, sia per la faccenda della mia villetta, sia per il futuro dei poveri Thaitiani tra i quali sta girando la notizia che l’ex Presidente abbia già avviato una trattativa con il Governo locale per l’apertura di 3 nuove emittenti: Tele-cocco, Tele-palme e Tele-banana, dove Silvio, che negli ultimi tempi ha cominciato a definirsi “uno e trino”, assumerebbe il ruolo di presentatore, cantante, ballerino, show man, giornalista, scenografo, stilista, truccatore e parrucchiere. Ah dimenticavo… si occuperebbe anche delle televendite, indubbiamente, la sua specialità…Eufemio Ampolloso
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