SCUOLA Disagio giovanile
Frecce e Gelatai Pier o F abbr i
Ch i a r a D a m ia n i
C’è certo qualcosa di civilmente e laicamente sacro, in un’aula parlamentare: dalle prime assemblee greche al senato romano, dal primo parlamento inglese fino ai nostri Montecitorio e Palazzo Madama, e via attraverso tutte le aule di tutte le democrazie. Se volessimo arrischiarci in una definizione senza la paura d’essere troppo retorici, diremmo che è in questi luoghi che respira la Nazione Padrona del Proprio Destino (maiuscole obbligatorie). Anche senza retorica, è bene ricordare che in quelle aule c’è deve esserci - un’aria forte di partecipazione e rappresentanza che nessun palazzo reale o
Tra i banchi di scuola soffia un vento nuovo. Gli studenti hanno già avvertito quella brezza che vuol dire tante cose. Ne avevano proprio bisogno perché il loro universo, quello dei giovani intendo, urla. Urla di dolore, vendetta ma grida anche di gioia. E questo La Pagina lo ha capito bene. E allora già in questo numero troverete un inserto di quattro pagine dedicato alle scuole. Hanno aderito con sincero entusiasmo la scuola media Giovanni XXIII, il liceo classico Tacito e i licei scientifici Galilei, Donatelli e Gandhi. L’inserto è stato realizzato con la collaborazione della Carit che da subito ha condiviso lo spirito e le finalità dell’iniziativa.
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Uomini Do n ne e Bambacioni Vi n c e n z o P o lic r e t i E’ incredibile quanta fatica gli esseri umani affrontino pur di rovinarsi la vita. Quel ch’è avvenuto e sta ancora avvenendo nel rapporto tra uomo e donna ne è un bell’esempio. Si sa che è stato il cambiamento dell’economia a introdurre nel mondo del lavoro la donna, provocandone la presa di coscienza; questa è ormai storia ed è inutile tornarci su. Come prevedibile conseguenza la donna ha preteso eguali diritti. Questo l’ha portata attraverso un movimento femminista più effetto che causa di quella presa di coscienza - ad opporsi all’uomo in modo energico. Ma qui s’è creato il primo equivoco. Le donne sono partite dal presupposto che l’uomo fosse un osso duro, perché faceva la guerra, aveva la voce grossa e dirigeva (comandava, no: l’uomo, comandato veramente non ha mai. Ma questo è un altro discorso). L’uomo era infatti perfettamente programmato per lottare
N° 4 - Aprile 2007 (44)
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Dedicato al mondo del
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Un video s hoc k F r a nc e s c o P atrizi La bambina era tornata a casa in preda ad un forte shock per quello che aveva visto a scuola e i genitori avevano sporto denuncia contro il direttore. Questi giorni è iniziato il processo. La bambina ha avuto modo di riprendersi, se non altro perché sono passati quattro anni dalla vicenda e oggi ne ha segue a pag. 5
Credito al consumo: quanto caro mi costi? A l e s s i a M e l a se c c h e Per le famiglie il credito al consumo costituisce un mezzo efficace per ottenere beni e servizi in misura superiore alle momentanee disponibilità, anticipando il momento dell’acquisto rispetto ai futuri introiti. Gli strumenti utilizzati sono i più disparati: carte di credito, prestiti personali, prestiti finalizzati segue a pag. 2
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A PA G I N A . . . 4
L’antica città di Carsoli
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Conferenze a Narni Scalo
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TERNI - La Favola I p ri m i f o rn i
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Scuola elementare LIC EI S c u o l a me d i a
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Birmania
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ARTE IN CARCERE Forme e colori del silenzio
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Racconti
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- Animals Asia - Dalla A alla V - Gli amici di B. Grillo
Lettera aperta a Oreste Scalzone Mar cello R icci
Pomeriggio di metà febbraio. Bloccata a letto da una fastidiosa influenza decido di fare un po’ di zapping tra i canali televisivi che trasmettono cartoni animati. Che orrore! Mi chiedo che tipo di generazione possa diventare questa, che cresce guardando cartoni animati che raccontano solo di
Caro Oreste, ho letto che, nel fare un bilancio della tua vita sulla scalinata della Sapienza a Roma, avresti detto sostanzialmente che, essendo un rivoluzionario, hai scelto una strada diversa da quella che ti avrebbe portato a fare il professore di filosofia a Terni. Bene. Qualche professore di filosofia si è un po’ risentito, qualcuno, in questo caso il giornalista che scriveva, ha tirato in ballo anche i precari verso i quali non avresti mostrato rispetto. Credo che i precari non c’entrino per niente, né che tu abbia voluto offendere i professori di filosofia, io almeno, conoscendoti bene, non mi sono affatto offeso. La tua affermazione tuttavia mi ha dato l’occasione per riflettere e di questa riflessione voglio rendere partecipe te e la nostra città. Siamo coetanei e il liceo Classico ci ha visto compagni di classe. Ti ricordo già allora nella veste del rivoluzionario ideologico, ricco però di quella umanità che non ti ha mai
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Microcosmo Londra Ad e laide R os cini E’ il 14 marzo, il telegiornale dice che al Westminster c’è una manifestazione contro il riarmo nucleare sostenuto da Blair. Mi viene da sorridere dato che ieri ero proprio lì e la giornata sembrava scorrere tranquilla e lontana dalla cronaca internazionale, nonostante l’ormai stabile gruppetto di igloo dei pacifisti accampati di fronte al Big Ben. segue a pag. 5
L’etica dei cartoni animati Clu d ia Mantilacci
L’ e t i c a d e i c a r t o o n s
pupazzi che gareggiano tra loro in una lotta imperitura per la conquista di non so quale trofeo (senza il minimo accenno all’ancestrale lotta tra bene e male); ragazzini che girano per un mondo virtuale, senza alcun riferimento geografico a quello reale, soli, senza genitori e senza adulti che li accompagnino, per sfidare altri ragazzini in un passatempo assurdo in cui delle semplici carte da gioco prendono autonomamente vita; spugne stupidissime che vivono sott’acqua insieme a (udite, udite!) uno scoiattolo (?) e poi alieni, elfi, esseri violenti, antropomorfi ed asessuati. Ora, non è che chi scrive sia così vecchia da poter pronunciare la fatidica frase …ai miei tempi… però è proprio a questa che ho fatto ricorso quando ho parlato di quel pomeriggio televisivo con alcuni miei coetanei. Ricordo che la mia infanzia e la mia adolescenza erano intrise di cartoni animati in cui, nonostante i personaggi avessero tutti le stesse facce e portassero gli stessi abiti dalla prima all’ultima puntata, c’era dell’etica! Perché è innegabile che ci fossero riferimenti alla morale in tutte le serie sportive, a partire da Mimì fino ad arrivare ad Holly & Benji, passando per Mila & Shiro. Sarà anche vero che Mimì si allenava con le catene ai polsi, che Oliver Hutton giocava la finale del campionato nazionale con una spalla rotta ed una caviglia lesionata, che Mila - mentre si preparava a schiacciare la palla - rimaneva in aria talmente tanto tempo da poter ripensare a tutta la sua vita e che la nazionale giapponese vinceva qualsiasi manifestazione sportiva quando, notoriamente, nel calcio e nella pallavolo non presenta proprio dei fenomeni. Però, ripeto, in tutto ciò c’era dell’etica. Imparavamo i valori dello sport, dell’amicizia, della giustizia, del sapore delle sconfitte e delle prime cotte adolescenziali. Imparavamo anche un po’ di storia con Lady Oscar che raccontava la rivoluzione francese, con Candy-Candy che parlava della prima guerra mondiale, con Georgie che narrava delle controversie tra l’Inghilterra e l’Australia, sua colonia. Ci venivano raccontate storie di coraggio, di altruismo, di amicizia e d’amore. Storie di orfani che non si facevano abbattere dalle difficoltà ma riuscivano sempre a far trionfare i Valori veri e onesti, profondi ed universali. Assiste-
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vamo a storie di personaggi plausibili, ambientate in un mondo realistico con riferimenti spazio-temporali ancorati alla realtà, nelle quali era possibile identificarsi e il confine tra la fantasia e la realtà era ben definito. È vero che c’erano anche I Puffi, Mazinga Z ed Ufo Robot ma non vi era nessun tentativo di farci credere che fossero esseri normali, di antropomorfizzarli: erano creature palesemente fantastiche e sempre e comunque personaggi positivi e romantici che lottavano contro il Male. Anche quando c’era di mezzo la magia era sempre una magia aliena che veniva donata da qualche essere di un altro pianeta ad un umano per un periodo limitato di tempo (Dolce Creamy). Credo che i cartoni del passato avessero un serio e concreto intento educativo e didattico nei confronti della nostra generazione, cercavano di insegnarci cosa fossero l’eroicità e la virtù, come il Bene alla fine trionfasse sul Male, come i buoni fossero sempre circondati da amicizia e da amore. I cartoni animati di oggi non fanno trasparire alcun intento pedagogico nei confronti dei loro principali fruitori, non accennano all’idiosincrasia tra Bene e Male, non trasmettono alcun messaggio né morale né educativo, confondendo le menti dei bimbi durante questa delicata fase della loro vita. Sono solo un banale intrattenimento per bambini già annoiati dalla routine e dalla scuola, cui non viene insegnato a vivere nel mondo reale ma a rifugiarsi in un mondo popolato da chimere fittizie, che li trasporta lontano dalla quotidianità e dai valori universali che dovrebbero essere insegnati a piccoli uomini che stanno crescendo. P.S. ritengo che questo scritto possa essere apprezzato soprattutto dalla generazione di lettori nati tra il 1975 e il 1985. Me ne scuso con gli altri ma credo che il mio pensiero possa essere apprezzato anche da loro. C. Mantilacci
C a r o
C r e d i t o
all’acquisto di beni e servizi di consumo, cessione del quinto dello stipendio, mutui casa, leasing, etc. Studi recenti rilevano che gli italiani utilizzano in modo crescente il credito al consumo sia per le spese straordinarie come l’acquisto di un appartamento sia, in modo sempre più massiccio, per far fronte al quotidiano. Un dato che deve farci riflettere riguarda proprio la crescita dell’esposizione in tale settore, che nell’ultimo anno ha avuto un incremento pari al 23,4%. Lo rileva l’Eurispes aggiungendo però che, se da una parte si è registrata un’impennata nell’indebitamento delle famiglie italiane, dall’altra, si è riscontrata una crescita dei consumi pro capite decisamente più modesta. Una conferma giunge dal Bollettino di Bankitalia che rileva come la propensione delle famiglie italiane a ricorrere all’indebitamento sia aumentata in dieci anni ...ad un ritmo elevato, raggiungendo il 30% del PIL nel settembre 2005 (erano il 18% nel 1996). Percentuali comunque ancora molto al di sotto di altri paesi dell’area dell’euro e rispetto agli USA (56% e 90%, rispettivamente). Ma se alla crescita del credito al consumo, con l’allineamento ai paesi più avanzati, non corrisponde un correlato incremento nelle vendite significa che non aumenta il benessere delle famiglie che ne fanno sempre più ricorso per potersi permettere di arrivare a fine mese o sostenere spese considerate sempre più normali, con rischi frequentemente sottovalutati. Siamo bombardati ormai in modo sistematico da spot che invitano ad accedere a finanziamenti anche chi ha una pensione - anche chi ha avuto in passato qualche piccolo problema. L’invito è suadente: vuoi aiutare un figlio? Oppure puoi accendere una polizza assicurativa sul tuo prestito per evitare che “momentanee difficoltà non ti permettano di pagare la rata”? Si aumenta così il debito nel
debito. Il vero rischio di questa crescita esponenziale è nella crisi finanziaria, e soprattutto di valori, delle famiglie. Pensare di pagare anche dopo un anno, a tasso zero e con comode rate, ci pone in una situazione di scarso controllo della nostra reale capacità di spesa. Quello che sta accadendo è una nuova emergenza e sta interessando maggiormente gli USA e la Gran Bretagna, ma che sta diffondendosi anche da noi. Attraverso la pericolosa arma della carta revolving, si cade prima nella spirale dell’accensione di nuovi prestiti per fare fronte a quelli vecchi, per poi entrare, anche con soli 30 giorni di ritardo nel pagamento di una rata, nella lista nera dei creditori inaffidabili. Non sempre le condizioni sono veramente vantaggiose. Occorre sempre valutare il TAEG, Tasso Annuo Effettivo Globale, per sapere quanto ci costerà effettivamente l’acquisto o chiedere, senza inutili timori, il tasso praticato dalla banca o dalla finanziaria per la rateizzazione del debito accumulato con la nostra carta di credito. Non sono rari i casi in cui si giunge a livelli prossimi all’usura. Occorre poi valutare le spese d’istruttoria e di apertura della pratica, le eventuali spese di riscossione dei rimborsi, quelle per l’assicurazione o le garanzie imposte dal creditore e chi più ne ha più ne metta. Insomma, occhi aperti! Prima di toglierci uno sfizio, occorre calcolare se ne valga davvero la pena, anche in base a
quanto si guadagna. Per essere sicuri di poter far fronte ai pagamenti, gli esperti dicono che l’importo mensile complessivo delle rate non dovrebbe superare il 30% dello stipendio. A monte di questo processo c’è evidentemente un problema culturale e di valori. Fino a pochi decenni fa, senza bisogno di risalire ai tempi di Luigi Einaudi, il risparmio non solo era studiato nelle Facoltà di Economia delle nostre Università, ma era virtù praticata nelle famiglie, insegnata ai figli e tramandata nelle generazioni. Oggi questo legame si sta allentando, non c’è spesso tempo di parlarne. L’emulazione nell’acquisto dell’ultimo telefonino, una pubblicità ossessiva e spesso ingannevole, lo studio scientifico di tecniche di comunicazione e di marketing stanno cambiato radicalmente il modo di pensare. Persino le logiche e le regole della politica troppo spesso non fanno più riferimento al bene comune ma favoriscono modelli consumistici usa e getta, quale presupposto della ripresa economica. Incentivare oltre misura i consumi, soprattutto in settori in cui l’industria italiana è tagliata fuori da decenni di abbandono della ricerca, ad esempio nei settori dell’elettronica, in parte in quello dell’auto, della chimica fine, comporta un aumento immediato delle importazioni ed un peggioramento netto della bilancia dei pagamenti con tutta una serie di conseguenze pesanti e di necessità di riequilibrio compreso l’aumento della pressione fiscale. Nelle scuole oggi si insegna di tutto e di più. Aumentare il senso critico dei giovani, spiegare loro che nella vita ci sono cose ben più importanti della borsa griffata sta diventando compito sempre più urgente, non solo degli educatori tradizionali, ma anche di tutti coloro che fanno corretta comunicazione. alessia.melasecche@libero.it
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F r e c c e
presidenziale potrà mai sognarsi d’avere. Però - almeno dentro le nostre aule parlamentari - deve esserci anche qualcosa di drammaticamente ridicolo, se il destino della suddetta Nazione si gioca sul raffreddore d’una senatrice quasi centenaria, sulla crisi di coscienza d’un coltivatore di rose purista o sul voltafaccia d’un voltafaccista di professione (che anche le Nazioni con le maiuscole non si fanno mai mancare). Il guaio è che siamo ormai abituati a ripeterci, come in trance da cantilena, che la democrazia è imperfetta, ma non c’è niente di meglio, e ci crogioliamo sul potere rassicurante della seconda parte della frase, scordandoci però sempre il grido dall’allarme lanciato dalla prima. Perché, diamine, la democrazia è imperfetta per davvero, mica per modo di dire. Ad esempio, l’Italia è stata divisa dalle ultime urne giusto a metà, con una precisione da far invidia ad un cesellatore; ma questo è solo in piccola parte dovuto al caso. Il lavoro grosso lo ha fatto il bipolarismo, che ha certo i suoi vantaggi, ma non è esente da pecche. Il suo guaio maggiore (delle sue virtù hanno già parlato a profusione in molti) è meramente tecnico ed è splendidamente riassunto dalla nota metafora dei due gelatai sulla spiaggia. Immaginatevi una lunga spiaggia piena di bagnanti, come ce ne sono tante lungo le patrie coste durante l’estate. E immaginate che due gelatai vendano i loro freschi articoli ai vacanzieri stando uno bene al centro della sua metà di spiaggia (chiamiamola Metà di Sinistra), con l’altro in posizione del tutto analoga nella Metà di Destra del litorale. Così, i bagnanti
e
sono serviti al meglio possibile: sia quelli alle estremità della spiaggia che quelli al centro non devono percorrere più di un quarto di spiaggia per arrivare dal gelataio più vicino. Ma quel che va bene ai bagnanti non è detto che soddisfi i gelatai; questi, spinti dall’avidità, notano presto che i tapini piazzati all’estremità della loro parte di spiaggia sono comunque clienti sicuri; d’altra parte, invece, se solo spostassero il carrettino dei gelati un po’ verso il centro, magari riuscirebbero ad apparire più vicini - e quindi più appetibili - agli occhi di alcuni bagnanti indecisi che stanno al centro della spiaggia. Ahimè, questo è però un ragionamento del tutto simmetrico, e ad ogni passetto verso il centro fatto dal Gelataio di Destra farà eco un contro-passo verso il centro del Gelataio di Sinistra, e così via. Alla fine, la spiaggia sarà ridicolmente dotata di due gelatai che lavorano affiancati - gomito a gomito - nel bel centro geometrico del lido, con i bagnanti delle due estremità furiosi perché si sentono lontanissimi da qualsivoglia gelato, e con quelli al centro che non trovano nessunissima differenza tra i due banchetti di gelato, tanto sono ormai vicini fra loro. In tali condizioni, la cosa strana non è tanto che i gelatai riescano ad avere l’identico numero di clienti, quanto che i clienti abbiano ancora voglia di gelato. Non serve neppure la matematica, insomma, per capire i difetti insiti nel bipolarismo; per capire perchè i programmi elettorali si somiglino tutti, o perché gli attuali bagnanti del centro spiaggia abbiano una gran voglia di andare tutti a cena
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G e l a t a i insieme (tanto, i gelatai ce li hanno già tutti loro). Ne serve invece un bel po’, di matematica, per capire che non esiste nessun sistema elettorale perfetto; ma possiamo glissare sui passaggi teorici e accontentarci delle conclusioni. La freccia fatale al cuore dell’illusione democratico-elettorale l’ha scagliata Kenneth Arrow (nomen omen) più di mezzo secolo fa: assumendo come vincolanti alcuni sacri princìpi di democrazia (quali l’Universalità, la Sovranità del Cittadino, la Libertà di Scelta, la Monotonicità e l’Indipendenza), il nostro eroe ha dimostrato che non può esistere nessun sistema di votazione perfetto. No, nein, niet, nisba: come si cerca di ottimizzare un aspetto, se ne lascia scoperto infallibilmente un altro: non a caso il suo è noto come un Teorema dell’Impossibilità, con tante condoglianze all’idea dell’elezione perfettamente democratica. E questo dovrebbero ricordarselo, i nostri gelatai - pardon, i nostri politici - adesso che stanno mettendo mani alla Riforma Elettorale. Dovrebbero ricordare che la perfezione già non esiste proprio, quindi sarebbe bene concentrarsi e rimuovere le più grosse porcherie della legge attuale, senza attardarsi in virtuosismi: porcherie che non sono tanto (o quantomeno non solo) i premi di maggioranza ad hoc, o gli sbarramenti sapientemente dosati, ma piuttosto il fatto che non sono davvero tante, nel mondo, le democrazie che lasciano totalmente in mano alle segreterie di partito le liste chiuse e blindate, senza che l’elettore possa esprimere uno straccio di preferenza. Perché, dicevamo, la democrazia è già di per sé piena di difetti e bisognerebbe proprio evitare di fargliene crescere degli altri. Perché in Parlamento bisognerebbe ragionare, discutere, parlare, come dice il nome della cosa, e non fare il tifo e le risse da stadio. Perché in questo nostro amato paese gli stadi sappiamo che è del tutto impossibile chiuderli (ne abbiamo avuta prova recente), ma a chiudere le aule parlamentari ci siamo già riusciti benissimo. P. Fabbri
Lettera a Oreste abbandonato, simpatico, pronto ad aiutare chi ne aveva bisogno, ma soprattutto a inneggiare al proletariato in un profluvio di parole. All’Università le nostre strade si sono divise, io filosofia a Perugia, tu filosofia a Roma. Mi dicesti: iscriviamoci insieme a Roma, perché è lì che si fa politica. Io, non essendo affatto politicizzato, preferii Perugia, più tranquilla e più somigliante a Terni. Il sessantotto ci ha colti all’università: Perugia non era Roma, ma facemmo anche lì il nostro bravo ’68. Ben presto il vietato vietare e la fantasia al potere furono soffocate e la situazione politica dovette registrare la nostra sconfitta. La tremenda delusione che la nostra generazione subì s’indirizzò su strade diverse e la tua scelta e la mia sono state emblematiche di quel doposessantotto: tu scegliesti la rivoluzione da perseguire attraverso la violenza di classe prima in Potere operaio poi in Autonomia operaia, io scelsi la nonviolenza gandhiana nel partito radicale. Tu la P38, io la penna con cui firmare i referendum. Tu cominciasti il tuo giromondismo attraverso l’Italia come agit prop della rivoluzione, io scelsi più modestamente di fare l’insegnante di filosofia a Terni, dove il terreno da dissodare era impervio e non c’erano le prime pagine dei giornali. Mi aiutò molto in questo compito la nascita di Radio Evelyn, che aprì la nostra città alla cultura laica e libertaria. E’ questo il periodo del tuo arresto e della lotta che tutti facemmo per liberarti. Uscito dal carcere e dall’ospedale, era un primo dell’anno, venisti a trovarmi alla radio e a raccontarci della tua esperienza politica ed umana. Poi ti rifugiasti in Francia, pagando un costo elevatissimo, tu e la tua famiglia, alle tue idee rivoluzionarie. Ti ho sempre dato atto di questa tua coerenza che ti ha preservato dal carrierismo e l’ho anche scritto, tra i pochi in Italia, nel libro “Nera ‘70”. Io alla fine dell’esperienza della radio continuai a fare l’insegnante di filosofia (insegnante e non professore, la differenza è abissale) a Terni e lo faccio tuttora. Oggi sei tornato libero, non abbiamo avuto occasione di
vederci, ma ti ho sentito in varie interviste rivendic a r e ancora il valore della rivoluzione e allora mi è ven u t o spontaneo di entrare scherzosamente nel gioco sempre retorico su di essa e chiedermi: tra noi due chi è stato più rivoluzionario? Mi ricordo di un’intervista di pochi anni fa ad una rivista umbra dove dichiaravi: eravamo funamboli su di un filo che forse non c’era, quel filo era la rivoluzione. Oggi hai ancora deciso di fare il funambolo su di un filo che non c’è? Io ho fatto un’altra scelta che non ha mai previsto fili o funamboli, quella del duro lavoro giorno per giorno tra i giovani di questa città, con la scuola, la radio, con il Progetto Mandela (che fa oggi vent’anni), con le firme referendarie raccolte sui marciapiedi, con il dialogo socratico e nonviolento, con Civiltà Laica. Ho cercato di far crescere migliaia di giovani sui valori della tolleranza, della libertà, dell’antirazzismo, del rispetto dei diritti umani. Quando incontro i miei vecchi alunni, ormai uomini e donne adulti, e mi sento dire che i valori che ho proposto loro da giovani e che ho sempre cercato di praticare con coerenza, rimangono ancora a distanza di decenni un faro per la loro vita e mi invitano a non andare in pensione perché devo educare i loro figli come ho fatto con loro, mi si riempie il cuore di emozione e di orgoglio e in qualche momento di megalomania, che mi perdonerai, mi dico: Accidenti, che rivoluzione che ho fatto! Allora, chi di noi è stato più rivoluzionario? Ai posteri (scherziamoci su) l’ardua sentenza. Con l’affetto di sempre e in attesa di vederti e di abbracciarti. M. Ricci un vecchio insegnante di filosofia
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Un video shock
Egidio Antonio Milj alias Antonio da San Gemine è un autore sconosciuto ai più, noto agli storici e agli esperti di cultura locale e non; vagamente si sa che le sue lezioni sono state stampate solo in parte e vagamente se ne conosce il contenuto. Di certo, però, Milj è parte costitutiva della nostra memoria storica e va annoverato tra coloro che, in un modo o in un altro, possono aiutarci nella comprensione del passato e, per esso, del presente. Per tanto tempo le sue lezioni sono state accessibili a quei pochi di cui si diceva, oggi potrebbero arrivare a tutti perché Franca Giffoni Mosca ha assunto su di sé, con indubbia fatica e strenuo impegno, il carico di trascriverle fedelmente e con cura, superando le intuibili difficoltà (di lettura, di ricostruzione, di interpretazione) che una tale operazione comporta. Fin qui tutto bene: abbiamo finalmente il testo a stampa, ne abbiamo assicurata la stabilità. Ma non basta. La curatrice, sensibile e attenta, ha
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costruito uno splendido paratesto: l’apparato delle note. Comunemente si pensa alla nota come a qualcosa di accessorio e, per certi versi, di opzionale. Niente di più falso in questo caso. In questo caso, infatti, le note di Franca Giffoni Mosca sono parte integrante del testo: luoghi, fatti, persone ci sono accuratamente restituiti con un bel lavoro dì ricerca e ricostruzione sintetico ed essenziale, sempre efficace. Oltre alle pregevoli note, la curatrice ha inserito, a latere nel testo, delle semplici ma illuminanti didascalie descrittivo-narrative che favoriscono l’orientamento e consentono al lettore di cogliere la continuità del discorso di Milj, la concatenazione degli eventi, il sistema dei personaggi ecc. Questo, perciò, è senza dubbio un felice caso in cui chi cura è anche colui che media, che accompagna il lettore verso l’opera e nell’opera, aiutandolo a superare il jet-lag e lo spaesamento che i testo in originale produce. Fausto Dominici
quattordici. Ma cosa turbò quella mattina gli occhi innocenti della piccola? Non episodi di bullismo o violenze gratuite viste in qualche film e nemmeno scene cruente da telegiornale della sera. No. Aveva visto un filmato dell’Olocausto. Come ogni anno, la scuola aveva invitato due ex deportati a raccontare la loro esperienza e l’incontro era stato accompagnato dai filmati veri dei campi di concentramento. Dunque, la bambina non aveva veduto una rappresentazione dell’orrore, una messinscena della crudeltà, un’allegoria del male. Niente streghe e orchi cattivi. Aveva visto corpi scheletrici ammucchiati in una fossa, volti scavati forse già morti, braccia ridotte a fili e altre immagini note della politica del Terzo Reich. Insomma, scene vere di quella tragedia perpetrata da dei folli, mentre milioni e milioni di tedeschi… mentre milioni e milioni di tedeschi… insomma, mentre gli altri tedeschi andavano al lavoro, frequentavano i teatri e facevano la vita di sempre, senza chiedersi che fine avesse fatto il vicino di casa che avevano denunciato. Tutti criminali? No, per carità, la vulgata ci insegna che i pazzi erano solo qualche sparuto centinaio di persone, forse poche decine, anzi, più precisamente, uno solo. Qualcuno provò a parlare, anni dopo, della banalità del male, di come l’uomo riesca a convivere con la parte più meschina di sé senza farsi troppe domande. Allora siamo tutti potenzialmente dei mostri? C’è da impazzire… meglio non
sperimentare, diciamo che l’Olocausto è stato frutto della mente malata di un unico individuo. Perché ci hanno insegnato che spaccare la testa del vicino di casa, spedirlo in un campo di concentramento o avvelenargli la parentela, è pura follia. Follia frequente e sempre latente, a leggere le cronache di oggigiorno. Ma, per carità, non andiamo in giro (specie nelle scuole) a dire che l’uomo ha una parte oscura e negativa che a volte non disdegna di accordarsi con quella solare e positiva... Tornando a quella fatidica mattina, cosa ha provocato lo shock nella piccola? Proviamo ad azzardare un’ipotesi: che quei corpi scheletrici non erano finti, che non era la tv. Quella tv che mostra morti trucidati, pozze di sangue ed esplosioni mortali, ma poi c’è sempre uno speaker in cravatta che non si scompone e passa subito ad un altro argomento. Insomma, dov’era quel filtro catodico che stempera la realtà? Quel filtro che tranquillizza e riduce tutte le brutte notizie alla voce: tragedia della follia? Se la bambina fosse stata attenta, sicuramente la maestra le avrebbe spiegato - seguendo il programma scolastico - che anche l’Olocausto è stato una tragedia della follia, un raptus, il gesto sconsiderato di un uomo con degli assurdi baffetti… Ma forse la piccolina si è distratta ed ha rimuginato da sola. Non è stata colpa di un uomo solo, ma di tanti, di troppi, di tutti… Scoprire a dieci anni che nell’uomo c’è il male! Il male assurdo di chi ordina l’Olocausto e il male banale di chi lo esegue; il male assoluto di chi progetta e il male quotidiano di chi fa finta di non vedere, anzi... Comunque sono solo illazioni, non possiamo entrare nella testa di una bambina. Che oggi ha quattordici anni, sicuramente ha visto in internet il video dell’impiccagione di Saddam (ultima versione soft: con sottofondo rock) ed ha delegato quella traumatica scoperta della sua infanzia agli avvocati. F. Patrizi
SCUO LA
Ai ragazzi abbiamo dato una tabula rasa, quella baconiana per intenderci, dove scrivere di volta in volta le loro impressioni. I temi, gli spunti di riflessione arrivano da fuori, dalla vita quotidiana, dalla cronaca. Realtà che si intrecciano con i loro personali desideri, con le loro ambizioni private, paure e sogni. Nelle pagine dedicate alla scuola non troverete dunque discettazioni di sorta, ma un concreto lavoro dei giovani alla ricerca della comprensione. Prima di tutto cercare una lettura per ciò che accade fuori di noi. Abbiamo chiesto loro forse qualcosa di complesso perché oggi assistiamo ad una deriva delle emozioni e dell’emotività. L’uomo è sempre più ad una dimensione, quella razionale si intende, e la sfera dei sensi è relegata in una posizione subalterna. Si comprende insomma sempre più con la ragione e quasi mai con l’istinto, con le emozioni. In questo numero i ragazzi delle scuole superiori riflettono sul tema del bullismo e sul disagio giovanile in generale. Insieme a loro intervengono anche gli insegnanti. Interessante davvero il confronto tra i due universi. Alcune volte si incrociano, altre volte si dividono e qualche volta si lambiscono. Sempre però si parlano. A tutte queste legittime espressioni dell’animo umano abbiamo deciso di dare voce. C. Damiani
Microcosmo Londra U o m i n i D o n n e e B a m b a c i o n i La città era dolcemente animata come al solito dal viavai dei gruppi di turisti mescolati ai residenti, dagli autobus rossi a due piani, dalle salite e discese nella necessaria efficiente metro. Il mio primo viaggio a Londra, questi quattro giorni, mi ha ricordato che la geografia non si impara del tutto sui libri e che l’attualità globale non si percepisce solo dai notiziari. Non avevo immaginato una tale multirazialità del popolo inglese. C’è poco da fare: ancora in Italia gli immigrati non hanno raggiunto un livello sociale ed economico che li riscatti di fronte agli occhi dei più conservatori e razzisti. Ci stanno provando. Mi sembra che a Londra, invece, il processo di integrazione abbia già avuto un suo apice e che abbia posto da tempo importanti basi. Molti visi dai tratti e coloriti altrettanto diversi ricoprono ruoli di tutto rispetto e mandano avanti molto bene l’economia nei rapporti con il pubblico. Nei negozi del centro, nelle farmacie, nei market e nei fast food, non è facile incontrare al banco il tipico chiaro, biondo o rosso inglese. Questo discorso fa eccezione per gli storici Harrods e
Fortnum & Mason (fornitore ufficiale di tè e altri prodotti coloniali della corona): qui è più facile incontrare commessi dai tratti somatici tradizionali. Ma ovunque: in metro, per le strade, nei gratuiti British Museum e National Gallery figli o nipoti di immigrati indiani, cinesi, africani, contribuiscono alla bellezza e all’efficienza della città. E così mi è sembrato un controsenso il fatto che Londra, un microcosmo che riassume parte del mondo, che accoglie ragazzi e studenti, che propone ristoranti multietnici, sostenga oggi, con convinzione, una guerra. Mentre all’aeroporto di London Stansted ci facevano meticolosissimi controlli al peso e al contenuto dei bagagli, ci perquisivano come la routine della sicurezza vuole dal famoso attentato, il Piccadilly si riempiva come ogni sera di folle piene e vive e il Tamigi si illuminava artificialmente nel silenzio sotto alla Tower of London e al Big Ben. Mentre poi noi spiccavamo il volo sopra lo stesso paesaggio di Mary Poppins e Peter Pan, altri preparavano una decisa manifestazione per l’indomani. A. Roscini
Nei mesi di Aprile e di Maggio, grazie alla sensibilità ed alle attenzioni culturali che la ECOGREEN s.r.l. e la CALCESTRUZZI CIPICCIA S.p.A. infondono nel territorio narnese, presso la Scuola Media Valli e il Liceo Scientifico Gandhi di Narni Scalo, il Prof. Giampiero Raspetti è chiamato a tenere due conferenze sui temi: - Nascita del numero - Le parole della matematica. La ECOGREEN s.r.l. e la CALCESTRUZZI CIPICCIA S.p.A., nel corso dei suddetti incontri culturali, doneranno a studenti ed insegnanti 300 volumi del libro Il senso del numero, il cui autore è il conferenziere stesso.
con altri uomini anche rischiando la pelle; in guerra era un eroe e in pace un conquistatore. Ma nella lotta con la donna non sapeva che pesci prendere, sicché mentre le donne avevano una strategia precisa l’uomo, privo di essa, ha cominciato ad arretrare rivedendo, sia pure con riluttanza, posizioni e idee. Persuaso che le donne avessero in buona parte ragione, ma in cuor suo seccatissimo di questo, s’è adeguato ai crescenti dictat femminili, raccontandosi di farlo volentieri, in quanto maschio sì, ma civile e progressista. Senza accorgersi che c’era un ma di troppo. Come meno prevedibile, ma altrettanto logica conseguenza, ha accettato di seguire la via che la donna gl’indicava, cercando di diventare meno rude, meno aggressivo, meno… insomma, di ingentilirsi. E qui s’è creato il secondo equivoco. La gentilezza, l’ipersensibilità, il garbo ecc. erano qualità tradizionalmente femminili. Se si eccettua una parentesi (peraltro ristretta alla sola nobiltà) nel ‘700, dalla Grecia al Risorgimento gli uomini dovevano essere forti e protettivi laddove le donne dovevano essere garbate e farsi proteggere. Si parla dello stile, beninteso; ciò che realmente avveniva poi tra le mura domestiche ce lo dicono Aristofane, Goldoni e Molière. Quando le donne hanno preteso che anche il maschio seguisse la via dell’incivilimento, non hanno perciò saputo indicargli se non sentieri congeniali a loro, ma nuovi ed estranei a lui. Il maschio (e non maschietto) s’è perciò trovato stretto: da un lato il dovere acquisire virtù tradizionalmente femminili e quindi svirilizzarsi. Dall’altro sostenere una battaglia lunga e quant’altro mai cruenta all’interno della casa; le battaglie all’esterno contro altri maschi erano pane per i suoi denti, ma all’interno, e per di più con le femmine (e non femminucce) non sapeva proprio come cavarsela: per millenni gli era stato insegnato che era suo dovere proteggere le donne, non proteggersi da loro. Il risultato è stato che l’uomo s’è messo a scimmiottare la
donna e a gareggiare con lei nelle virtù femminili, in lui ridicole, finendo inevitabilmente per fare la figura del cretino. E per cretino viene oggi preso dalle donne che, lontanissime dal rendersi conto di avere innescato la metamorfosi, giudicano il maschio per i risultati che ottiene nell’imitarle, anziché per le qualità maschili che esse stesse hanno voluto perdesse. E giustamente, se ne lamentano. Ma il risultato finale di questa lunga rivoluzione è che le donne, oggi vincitrici nella loro lotta, si ritrovano per le mani un uomo castrato, creato a loro immagine e somiglianza, di cui giustamente non sanno che farsi e che altrettanto giustamente deridono e disprezzano. Peggio: la lunga lotta tra i sessi, la più stupida e antinaturale che mai si sia vista, ha creato una barriera di paura, rancore e rabbia proprio tra i due generi che madre natura ha creato affinché si completassero nell’alleanza. Però non ha eliminato gli ormoni che la stessa natura ha messo in circolo nel maschio e nella femmina degli animali superiori per attrarsi, né è
riuscita (per fortuna) a eliminare tutta la meravigliosa sovrastruttura emotiva che la specie umana ha costruito su quegli ormoni e che vivaddio, ancora si chiama “amore”. Le donne quindi continuano a cercare e sognare la gioia che l’amore può dare; non trovandola, non hanno di meglio che aggredire l’uomo il quale a sua volta, spiazzato dal trovarsi il nemico dentro la casa anziché fuori, non trova di meglio che uniformarsi, risultando ancor più miserabile o fuggire, risultando ancor più incapace. L’insoddisfazione delle donne quindi, che le ha portate, sul piano familiare, alle note rivendicazioni, non solo non trova oggi soluzioni valide, ma ha portato ad un’insoddisfazione anche maggiore: prima di uomo ce n’era troppo, oggi è sparito. I pochi uomini validi sopravvissuti, per lo più in estinzione per motivi d’età, vengono guardati con stupita ammirazione e invidiati alle donne che hanno la fortuna d’averne trovato uno, dalle altre che continuano ad imbattersi nei frustranti bambacioni rimbecilliti, profumati, depilati e fatui, che le circondano. Bel risultato. V. Policreti
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I primi forni Lodovico Silvestri Collezione di Memorie Storiche della città di Terni dal 1387 al 1816 STORIA CONTEMPORANEA a tutto il 1858, parte II
Edizioni Thyrus
Il territorio di Terni, come già da noi ampiamente scritto, era ricchissimo di canali, fossi, torrenti derivati dal Nera. Circa cento anni fa nacquero nella nostra città numerose attività industriali ed artigiane che dalle acque appunto traevano l’energia necessaria. Si trattò, in pratica, di attività a conduzione familiare. Ogni famiglia acquistava grano al mercato, tenuto il mercoledì ed il sabato, in P.za S. Francesco o del Mercato. I mugnai ritiravano tale grano, lo macinavano e lo consegnavano a domicilio delle famiglie stesse. Le donne ternane facevano il pane e lo davano, per la cottura, ad artigiani che gestivano forni per cottura conto terzi, con riscaldamento a legna. Risuonava per le vie di Terni il richiamo del fornaio che invitava le donne a mettere il lievito e a preparare il pane all’alba. Tutto questo ebbe termine nel periodo 1910-1915, con la installazione di impianti per panificazione e cottura del pane. Il primo impianto di panificazione sorse a Terni per iniziativa di Gaudioso Tazza. La prima impastatrice meccanica per la produzione del pane fu installata a Terni nel 1913 sempre nel panificio Tazza che all’epoca aveva anche due negozi di generi alimentari presso i quali effettuava la vendita del pane. Uno degli eredi Tazza, il Cav. Umbro, l’iniziò l’installazione a Terni (Voc. Sabbione) di un forno industriale con una produzione molto alta che ha assunto la ragione sociale I N T E R P A N - Industria Ternana Panificazione. Subentrarono poi degli imprenditori che hanno fatto
Te r ni i e r i
L’ e x g a r i b a l d i n o t e n t ò u n a n u o v a impresa come fornaio ai primi del ‘900
Gisucristillu
diventare grande la Interpan: la famiglia Novelli. Sotto la direzione del suo attuale amministratore delegato Torquato Novelli, dotato di grandi capacità manageriali, Interpan è ora una delle aziende più prestigiose del nostro territorio e grande è il lustro che apporta alla nostra città. Idee geniali, come quella di apporre il bollino di riconoscimento sul pane, innovative, come quelle di vendere, per prima in Italia, il pane già affettato e di confezionarlo in film microforati per facilitarne la conservazione, hanno fatto crescere la Interpan ad una produzione di circa 700 quintali al giorno. Intorno agli anni Ottanta il pane di Terni fu esportato grazie alla costruzione di altri stabilimenti a Roma e a Latina e fu distribuito in tutta l’Italia centro-meridionale ove è oggi leader di mercato. Il pane viene prodotto anche ad Amelia, in un vecchio polo agroalimentare composto da molino, mangimificio e panificio, completamente ristrutturato e dotato delle più moderne tecnologie di produzione e di confezionamento.
scopre la concorrenza
Primi anni del ‘900. Ulisse Listanti, più noto in città come Gisucristillu, dopo gli onori e la gloria di Domokos, era tornato alla vita di tutti i giorni. Riposta nell’armadio la sua camicia rossa con i gradi di tenente, conquistati sul campo, aveva ripreso il lavoro nel forno di famiglia in via Tiacci. Viveva tranquillamente, forte dei suoi ricordi di garibaldino, circondato dalla stima di tutta Terni. Aveva ripreso a guadagnarsi la pagnotta, cuocendo pizze, sfornando porchette e tanti, tanti filoni di pane. Un bene di prima necessità quest’ultimo, soprattutto in una città operaia come la Terni d’allora. Strumenti di lavoro un forno a legna, acqua, lievito e farina, parecchio olio di gomito. Come compenso una clientela affezionata e incassi discreti, che garantivano a Gisucristillu e famiglia un’esistenza modesta, ma tranquilla. Il progresso e la modernizzazione erano però destinati a cambiare situazioni e destini. In via Angeloni, a due passi da
quello di Ulisse Listanti, venne aperto un forno nuovo, completamente elettrificato, all’avanguardia per quei tempi. Sul furgone, con cui lo stesso consegnava il pane alla clientela, vistosa ed accattivante compariva la scritta: Forno elettrico, impastatrice automatica. Novità e naturale curiosità attiravano i ternani. Un brutto colpo per Gisucristillu che, senza perdersi d’animo, reagì alla concorrenza, usando le stesse armi. Impresse sul suo vecchio carretto di fornaio, restaurato e tirato a lucido, a caratteri cubitali la dicitura: Forno a legna, impastatrice a cazzotti, spiritosa e realista, per un forno dalle antiche tradizioni. Non sappiamo se l’iniziativa riuscì a mantenere ad Ulisse Listanti tutta la sua clientela. Sicuramente i buongustai continuarono a preferire un buon pane cotto a legna, in barba ad ogni forma di progresso e di vano modernismo. Sergio Bellezza Il Corriere dell’Umbria, 10 marzo 2003, pag 14
S 65 7 Agosto 1732 I1 vecchio Palazzo Priorale di già abbandonato dal Magistrato e da suoi Officiali, si diede in quest’oggi in affittanza all’Appaltatore del forno pubblico con la corrisposta di annui scudi 24. D’allora per quasi un secolo restò sempre destinato a quest’uso e prese la denominazione di forno pubblico, fino a che la provvidissima legge dell’immortal Pio VII proclamava la libertà di commercio e la libera panizzazione. Statistica della città di Terni nell’anno 1858 S 89 Molini In gran copia ed a dovizia abbiamo di cotesti molini da grano e da olio, vuoi nell’interno vuoi nei d’intorni della Città, tanto per uso e bisogno patrio, che de’ luoghi circostanti, e quanti verun altra città anche più popolosa possa sperarne. Contiamo 36 Macine da grano, le quali sono in azione in tutto l’anno, ne abbiamo 46 da olio le quali si stanno in movimento dalla metà del mese di Novembre a tutto Aprile, e moltissime in ubertoso ricolto a tutto Maggio od a tutto Giugno. V’hanno tre molini con frulli, Vasche, Strettoi ed altri attrezzi per la lavatura delle Sanse, da che si trae l’olio così detto lavato. Il Meccanismo di quelli è semplice, di poco migliorato, da ciò che si usava dai nostri Avoli, a spreco di forza motrice somministrata dalla corrente dell’acqua, di cui avendone ad esuberanza, sfarzosamente ne è fatto abuso, nè v’è stato d’uopo di porre gran studio per farne economia, e con quantità tre volte minore ottenerne i medesimi e forse i migliori risultati con più ricercato meccanismo.
E’ opportuno evidenziare come il Pane di Terni abbia ottenuto, anche negli anni ‘70, premi e riconoscimenti in occasione di mostre specializzate dell’alimentazione:
TERNI
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La favola
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Medaglia d’oro Mostra Nazionale del Pane - Milano anno 1968 Medaglia d’oro Mostra Alimentazione - Bologna - anno 1970 Coppa d’argento - 1° concorso Regionale Panificazione - MIPAN - Milano - anno 1971.
S iamo al quinto brano di favola ternana. R iepilogo: Dicembre 2006
Acque e terre emerse Gennaio 2007
Chiare e dolci acque Febbraio 2007
L’acqua e le sue proprietà Marzo 2007
Interamna Aprile 2007
I primi forni Caro ed affezionato lettore, ormai è tutto chiaro! Sei invitato a partecipare! GR
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Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
Arrivò il giorno in cui il sole cadde nel mare. Accadde improvvisamente un pomeriggio d’autunno; uno di quei pomeriggi sonnolenti che pare non abbiano voglia di fare nulla: non un soffio di vento o un movimento di nubi; nemmeno un po’ d’umidità - normale in questo periodo dell’anno un noioso pomeriggio che aspettava, accoccolato su se stesso, le ombre della sera alle quali avrebbe lasciato il suo posto, allontanandosi poi senza fretta. Fu questione di istanti: il cielo, bianco e fermo, si tinse con velocità impressionante di nero ed una lingua di fuoco disegnò una linea luminosa che trovò fine nel mare. Il sole spense così le sue fiamme nelle acque ferme dell’oceano che lo inghiottì rapidamente, con sottile piacere. I pescatori di Pressappoco - piccolo agglomerato di case ammucchiate sulla riva del mare - avevano assistito increduli e silen-
Il sole nel mare ziosi a questo straordinario evento che li aveva sorpresi mentre si avviavano frettolosamente alle loro case dopo aver lasciato, come tutti i giorni a quell’ora, le loro imbarcazioni da pesca; gli anziani invece erano rimasti come pietrificati sulle loro sedie impagliate, con i baffi bruciacchiati dal sigaro dimenticato tra le labbra. Le donne, pensando che fosse giunta la fine del mondo, correvano in su e in giù sulla spiaggia, sperando di creare sufficiente confusione da indurre il Dio Onnipotente a rinunciare al suo proposito e rimandarlo ad un momento più tranquillo. Tanto più che si avvicinava l’ora della cena e non andava a nessuna di loro di discutere i propri peccati o, ancor peggio, sentirsi condannare alle fiamme eterne dell’inferno, con lo stomaco vuoto! Solo i bambini, assorti nei loro divertimenti, non si erano resi conto di nulla e distogliendo di tanto in tanto l’attenzione dai propri giochi, si domandavano, senza troppa curiosità, cosa fosse mai accaduto ai grandi per indurli a comportarsi così stranamente. Un vecchio, rimasto fino ad allora seduto sulla sua sedia logora, con i suoi grandi occhi acquosi spiegazzati dagli anni e dal sole insistente, persi nel buio di quella notte fredda ed immobile, si alzò e stancamente si allontanò dalla folla in tumulto e si diresse verso la riva del mare. Il paese era poco più che un punto di luce quando si fermò e lentamente si accoccolò sulla sabbia umida. Rivolti gli occhi al mare rimase qualche istante in silenzio,
col fiato sospeso, poi, con voce lieve e pacata prese a parlare. …Ho un freddo interiore che mi tormenta e preoccupa, non c’è fuoco che mi riscaldi o lampada che rischiari questo buio impenetrabile. So di non poter più vivere senza la tua presenza perché tu hai dato vita alla mia esistenza. Hai illuminato il mio mondo, bruciato le mie passioni, colorato le giornate più opache, intenerito il mio cuore di pietra. Ora mi sento solo, sperduto e anche un po’ stanco. Detto questo, con movi-
menti lenti ed incerti sdraiò il suo corpo, divenuto nel frattempo sottile come un raggio di luce, sul freddo terreno inumidito dalla leggera risacca e senza fretta chiuse gli occhi sapendo che non li avrebbe più riaperti. Intanto si erano tutti riuniti nella piazza principale del paese. Dopo lunghe discussioni, che portarono anche a qualche zuffa, si decise visto che di sole ce n’era uno solo e che nulla esisteva di tanto caldo e luminoso da poter essere messo al suo posto - che la miglior cosa da fare fosse ripescarlo dagli abissi marini e riportarlo al suo posto, lassù, nel cielo. Pensarono così di costruire una canna da pesca tanto robusta da poter sopportare il suo peso e tanto lunga da arrivare in mezzo al mare, dove appunto lo avevano
visto tuffarsi. Occorsero tutte le grandi querce secolari della foresta di Nonsodove che per secoli aveva costituito il vanto degli abitanti di Pressappoco; furono momenti di profonda commozione quelli che seguirono i lavori per abbattere le maestose piante, che caddero ad una ad una senza troppo rumore. Ben presto i lavori furono ultimati e la gigantesca canna fu trasportata, con non poche difficoltà sulla vetta di un vecchio vulcano che si ergeva, imponente e taciturno, poco distante dal mare. Tutto era ormai pronto e gli abitanti, riuniti per assistere all’incredibile spettacolo che di lì a poco li avrebbe sicuramente incantati, attesero che le prime stelle si accendessero in cielo così da poter avere luce sufficiente per svolgere agevolmente le operazioni di recupero. Seguirono momenti di intensa trepidazione. Le stelle che di solito brillavano incerte nel cielo mai completamente nero sembravano di fuo co, come consapevoli dell’importanza della loro presenza in quel giorno così buio e freddo. Alla luce ferma degli astri infuocati il sole riemerse dalle profondità dell’oceano che lo sostenne delicatamente fino a quando gli abitanti del villaggio non lo tirarono a riva. Giganteschi fuochi furono accesi accanto all’astro spento che lentamente riacquistò la sua lucentezza ed aliti di tiepido vapore si propagavano nell’aria circostante, prova concreta della ormai riacquistata energia. Non rimaneva altro da fare che rimandarlo al suo posto: accanto alle stelle, ad un passo dalla linea chiara dell’orizzonte.
Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
S c u o l e e l e m e n t a r i
Ma la stanchezza che tutti avvertivano era maggiore della eccitazione che li invadeva e si sentirono costretti a far riposare i loro corpi indolenziti dagli sforzi poco prima sostenuti. Ad uno ad uno i mille occhi del piccolo villaggio lentamente si chiusero e tutto divenne silenzioso ed immobile. Intanto sulla spiaggia ormai deserta il sole che acquistava sempre maggiore lucentezza, era scosso di tanto in tanto da rapidi fremiti. Fu in seguito ad uno di questi sussulti che la gigantesca massa di luce si staccò da terra e con un guizzo rapido e sicuro si portò al suo antico posto nel cielo, che nel frattempo aveva riacquistato i suoi tenui colori diurni. Il villaggio fu risvegliato da una tiepida ondata di luce che gli sorrise appena, lo carezzò lievemente, lo abbracciò teneramente, senza fretta e poi cadde in un sonno profondo. Prof.ssa Pia Giani
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I s t i t u t i s u p e r i o r i
LIC E O C L A S S I CO
Redazione del Nuovo Mercurio
Sconvolgente, sembra impossibile... Sono notizie che si sentono così di frequente che quasi non lasciano più il segno... Non li giudico, mi fanno pena per la disperazione che immagino abbiano provato, mi sento male solo a pensarlo...
G. C. TACITO La scrittura è uno strumento felice per investigare ed investigarsi, mettere a confronto le proprie esperienze con quelle degli altri, gettare una luce nel magma incandescente di ciò che sta intorno e dentro di noi… comunque aprire un varco, stabilire un contatto, offrire o cercare una prospettiva sul mondo. Per i ragazzi scrivere è una necessità, un’urgenza: è veder vivere le proprie idee nel momento in cui esse appaiono sotto forma di parole; è avere la certezza di possedere una voce che non si confonda tra tante ma che sia “una” con una cromatura inconfondibile. Grazie a questa iniziativa de La Pagina, e grazie a Giampiero Raspetti, che mi ha fatto amare la matematica con le “parole”, gli studenti avranno ancora più voce. Prof. Daniele Di Lorenzi
L I C E O
S C I E N T I F I C NARNI O
In qualità di dirigente Scolastico dell’Istituto d’Istruzione Superiore Gandhi di Narni, rivolgo un saluto carissimo a tutta la redazione del giornale, ai suoi lettori ed al mio amico Giampiero a cui va un ringraziamento particolare per l’attenzione e l’interesse mostrati verso il mondo della scuola e le problematiche giovanili. Spero che questa opportunità che ci è stata offerta di poter esprimere idee e dare visibilità alle attività svolte nella nostra scuola, possa rappresentare un primo tentativo per creare uno spazio attraverso il quale gli Istituti del territorio possano comunicare, confrontarsi, scambiare e condividere idee ed esperienze creando una rete di efficaci collaborazioni. Prof. Giulio Viscione
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Non c’è tempo, non c’è, NON C’E’ SPAZIO, MAI NESSUNO CAPIRA’ Se re Ne re di gi ov ani a t u pe r t u c on i l ma l e d i vi vere
Bisogna indagare criticamente, in fondo è una scelta che provoca solo dolore e non risolve nulla. Queste le reazioni diverse dei ragazzi del nostro liceo dopo i fatti di cronaca degli ultimi mesi che hanno visto come protagonisti giovani, talora adolescenti. Stiamo parlando di suicidi, ed è normale essere sconvolti, interdetti, preoccupati. Ma soprattutto, è brutta la sensazione di non capirci niente, di essere protagonisti un po’ spaesati di una realtà che è nostra, ma in cui non sempre ci riconosciamo. Per capirci qualcosa abbiamo chiesto aiuto a due autorità in materia: da un lato, Nicola Rossi, il direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria, dall’altro il dott. Alberto Antonini, direttore del Dipartimento Salute
Mentale della A.S.L. n°4 di Terni. La prima risposta dello psichiatra ci spiazza. Volevamo capire qualcosa in più sul suicidio, mentre l’esperto sposta i termini del discorso: il suicidio non è che la punta di un iceberg, la quale nasconde spesso malesseri latenti che si manifestano sotto molteplici e differenti forme. Da un lato, il grido silenzioso dei disturbi alimentari - anoressia e bulimia sono in costante crescita - e della depressione, che miete vittime sempre più giovani; dall’altro, bullismo e assunzione di alcool e droghe, manifestazioni violente ed eclatanti di fragilità e insicurezza che si traducono in arroganza e prevaricazione o in uno “sballo” out of limits. In ogni caso, pulsioni violente, o verso se stessi, o verso gli altri, che coprono un disagio latente molto più diffuso di quanto appaia. Le cause? La cura? Per entrambi la diagnosi è una: i cambiamenti sempre più rapidi avvenuti nella società e che hanno investito anche la famiglia - talora davvero in frantumi - creano un senso di sconforto, di disagio nei giovani che si ritrovano sempre più spaesati e disorientati. L’evoluzione della società non sempre corrisponde a un
benessere comune e ad una sicurezza interiore; per questo, a volte, proprio a causa di un cambiamento così rapido e radicale, i giovani non trovano più punti di riferimento, sentendosi sempre più soli. Cosa fare? Alberto Antonini ci ricorda che è molto importante la condivisione delle emozioni, il confronto costante e libero e la complicità con i genitori, ma anche con gli amici; l’amicizia, in fondo, ci chiama tutti in causa portandoci a stringere rapporti veri in cui non ci si sottragga ai propri e altrui problemi, ma si condividano insieme. Nicola Rossi ribadisce in quest’ottica l’importanza primaria della scuola, che riesce ancora a rivestire un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani, rimanendo loro guida e punto di appoggio attraverso il dialogo e l’accoglienza, ma non solo: La scuola deve assumere la funzione di mediatrice tra persone, famiglie, operatori sanitari e mezzi di comunicazione di massa per prevenire il disagio e promuovere il benessere degli studenti, favorendo processi di partecipazione responsabile, di autonomia e identità, contribuendo allo sviluppo della personalità, soddisfacendo il bisogno di comunicare e di
costruire relazioni significative. Proprio per combattere il disagio degli adolescenti è nato il CIC, ovvero il Centro di Informazione e Consulenza, nell’ambito della legge n. 162 del 1990 per la prevenzione delle tossicodipendenze. Si tratta di ricercare un rapporto di condivisione, accoglienza ed empatia, come recita una delle molte circolari applicative emanate dal Ministero. Un esempio lo abbiamo proprio nel Liceo Classico Tacito, dove, da questo anno, si rinnova una tradizione: un’insegnate psicologa offre le sue competenze per ascoltare ed aiutare i ragazzi in difficoltà e le loro famiglie. Consigli di esperti a parte, il nostro più vero bisogno e al tempo stesso la nostra più grande sfida consistono nel ritrovare la nostra identità. In tal senso una famiglia attenta, che accolga ed elabori il conflitto piuttosto che ignorarlo, e degli amici sempre disposti a condividere e a confrontarsi forniscono il tempo e lo spazio insostituibili per la comprensione, contro le Sere Nere del male di vivere.
Parlare di disagio significa parlare di una nave senza porto, una feluca in balia delle onde, un veliero dal fasciame marcito. Perché la vita dell’uomo è simile ad un giunco piegato dal vento, sia esso flessibile o secco; il giovane non è ancora in grado di sopportare la tempesta, l’adulto ha le ali spezzate dalle sue speranze infrante. Non lo si può negare: il disagio giovanile esiste. Ma limitarsi a parlare di come i ragazzi tentino di fuggire da un mondo troppo asettico, conformista, esclusivista, rende veramente l’idea del problema? Se il disagio segue di pari passo la formazione dell’uomo, è evidente che tale concetto è troppo ampio per essere relegato solo a un momento, anche se importante, della vita di quest’ ultimo. Né tale fatto va confuso con l’emulazione di comportamenti eticamente scorretti e con bravate adolescenziali, ma va ricondotto ad un senso profondo di malessere interiore. L’allontanamento dal dolore, imposto sin dalla tenera età al bambino da parte del nucleo familiare, coopera in tal senso. Entrando a far parte, con la giovinezza, del mondo sociale, il novello iniziato si trova privo di armi di fronte ad un nemico enormemente più grande e scaltro di lui, con la sola possibilità (alquanto episodica) di improvvisare o, più facilmente, fuggire. Ed ecco allora legittimato l’uso delle droghe, dell’alcol, dei demiurghi di una realtà fittizia ma al contempo più reale della reale, perché più strettamente aderente all’immaginario idilliaco dell’uomo bambino, del giovane mai cresciuto, adagiato nell’immensa protezione del nucleo familiare. Se proprio lo vogliamo, chiamiamolo allora disagio giovanile, ma unicamente nell’accezione di proprio dei giovani, e non creato da questi; l’atto creativo va visto nell’ambito di una società troppo ancorata al benessere fisico, distaccata dai veri valori e perennemente impegnata in un insulso tentativo di mostrare ai rivali la propria capacità di creare il bene, riuscendo a generare in realtà solo piacere. La critica tuttavia non va mossa unicamente in tal senso; i giovani devono comunque autoimputarsi parte della colpa, perché da loro può scaturire quel rinnovamento di cui essi si fingono abili ed innocenti sconosciuti, nascondendo sotto la maschera la loro non volontà di impegnarsi. Lorenzo Sapori - VA L’adolescenza rappresenta una delle fasi della vita da sempre ritenuta complessa e problematica. Negli ultimi decenni l’evoluzione della società dei consumi, la cultura dei media, le trasformazioni della famiglia e degli stili di vita, hanno favorito nei giovani il crescere di incertezze, di malessere e di solitudine. Il disagio che ne scaturisce si esprime in molte forme e si manifesta un po’ ovunque, anche a scuola. Atteggiamenti di rifiuto delle regole, di indifferenza alla cultura, di insofferenza, di resistenza all’impegno, sono sempre più frequenti nelle aule e nascondono spesso un disagio verso il quale la scuola non può restare indifferente. Il Liceo Gandhi lavora ormai da diversi anni nell’ottica di consolidare, all’interno della propria offerta formativa, una cultura di promozione del benessere finalizzata a prevenire il disagio ed i rischi a cui questo espone i giovani. Tutto ciò si concretizza attraverso la realizzazione di percorsi ed iniziative che, sempre più inserite nell’ambito curriculare, sono parte integrante dell’attività didattico-formativa quotidiana. Come promotrice di salute la nostra scuola è fortemente proiettata nel territorio all’interno di una rete di sinergie a cui partecipano Enti, associazioni, altre scuole con cui l’Istituto collabora attivamente. Una delle sperimentazioni più significative in tal senso è Il Tempo d’ascolto - un tempo per accoglierti, un servizio di counseling svolto da un gruppo di docenti, opportunamente formati, che offrono la propria disponibilità all’ascolto per dare agli studenti la possibilità di esprimersi ed essere aiutati nella ricerca di possibili soluzioni ai problemi. Collaborano all’iniziativa operatori della ASL che hanno curato la formazione iniziale dei docenti e continuano ad offrire sostegno esterno nel monitorare periodicamente l’attività ed offrire ai docenti opportune consulenze. Il servizio, avviato lo scorso anno, sta riscuotendo un buon successo per il numero sempre più alto di alunni che ne fanno richiesta e per le situazioni, a volte di profondo disagio, che emergono e su cui è possibile intervenire. Sempre attraverso un lavoro di rete si stanno sperimentando con successo percorsi curriculari integrati di prevenzione alla dipendenza da fumo, alcol e sostanze che affrontano molti degli aspetti legati al disagio giovanile avendo l’obiettivo di aiutare i ragazzi a riconoscere il complesso di fattori socio ambientali e personali che inducono a tali consumi. Il Liceo inoltre sta da tempo lavorando per costruire al suo interno un clima sereno affinché i giovani e gli adulti, genitori compresi, possano star bene nelle aule e nei corridoi. Il progetto adolescenza, il laboratorio musicale, quello teatrale, il giornalino d’Istituto sono solo alcune delle iniziative di partecipazione condivisa che fanno della scuola un luogo di aggregazione in cui i giovani possono esprimere liberamente le proprie idee e la loro creatività, essere valorizzati, sentirsi meno soli e costruire relazioni funzionali ad una crescita armonica. Elisabetta Campili - docente referente educazione alla salute
D I S A G I O
G I O V A N I L E
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Ribelli no davvero, troppo conformisti, piuttosto, non solo nell’esteriorità: lo spirito critico individuale è sacrificato alla logica collettiva, solo per pigrizia; per contestare, poi, bisogna conoscerle le regole, loro invece sono così inclini alla deregolarizzazione perché fin da piccoli hanno appreso che c’è sempre una via di fuga, una scappattoia; da adolescenti assistono alla logica dell’impunità, dell’indulto, quando la scuola impone dei princìpi generalmente sono contenti di osservarli, perché ne hanno bisogno. Se definiamo i nostri liceali maleducati, lo stesso attributo indica precise responsabilità. Non amano l’individualismo, sono sempre in gruppo, al massimo li vedi con l’immancabile cellulare, evitano con infiniti stratagemmi le interrogazioni individuali ed il confronto con i più bravi. Cercano sicurezza, appoggio negli amici, nei compagni, negli insegnanti, nei genitori, sono stati abituati così, c’è stata sempre una mano pronta a soccorrerli e adesso cosa volete che facciano, che camminino da soli? Se si prova a metterli in difficoltà, per farli crescere naturalmente, per responsabilizzarli, arriva puntuale un genitore disperato,
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la famiglia non ha più pace: per favore lo interroghi di nuovo, gli faccia rifare il compito, magari gli dica prima gli argomenti… Demitto auriculas, come dice Orazio. Detestano l’incoerenza. Non vogliono apparire migliori, sono immuni anche dall’ipocrisia intellettuale di noi adulti abituati al compromesso ed alla simulazione, ammettono tranquillamente i propri limiti, ma sono decisamente fermi sui loro “no”. No alla politica, non la capiscono, dicono, o forse hanno capito quasi tutto: i dibattiti li sentono lontani dai loro riferimenti; i fini, coincidono troppo spesso con gli interessi o personali o di partito, raramente con quelli dei cittadini; non lascia spazio ai giovani, li usa, ma ostacola visibilità a loro e ai loro problemi. No alla lettura, ma anche qui non è tutta colpa loro: contenuti e stile dei nostri giornali non sono sempre interessanti né coinvolgenti per loro; i giovani addestrati alla lettura però leggono. Quindi… No allo sport, troppa fatica. Insomma questi giovani sono il risultato della nostra educazione, della società che noi abbiamo creato; il loro disagio, quando c’è, nasce dalla fragilità di chi li educa, dall’incapacità di dare solidi princìpi, ma anche solidi no, quando è opportuno. Prof. Gabriella Silvestri
G I O VA N I P E R D U T I N E L L A P R O P R I A S E L VA O S C U R A ? Dove vanno i giovani? Quali sono le loro aspettative? Più sogni o preoccupazioni? Sembra che smarrimento e confusione affliggano molti ragazzi, sempre più disarmati di fronte agli eventi della vita. La cronaca conferma quasi ogni giorno le difficoltà davanti agli ostacoli tipici della nostra età e la mancanza di energia e determinazione ad affrontare il quotidiano, non appena si scosti dal tracciato abituale. E’ tanto di moda parlare del disagio giovanile, chiamare in causa la famiglia, la scuola, la società: imboccando più volte delle scorciatoie inutili. Indubbiamente il modo di vivere delle famiglie è cambiato: e molto rapidamente. La famiglia di provenienza rappresenta comunque, e sempre, il primo nucleo che forma e plasma la personalità di un giovane. Dicono quei coetanei che il disagio lo hanno sofferto di più, che quando ci si sente soli ed abbandonati, costretti a richiedere attenzione facendosi spazio tra gli interessi egoistici degli adulti, allora è lì che iniziano i problemi. Spesso i casi di disagio maturano in situazioni familiari concretamente complicate. Non sempre problemi economici e separazioni sono sinonimi di figli particolari. Qualche volta il disagio emerge in nuclei senza dialogo o in presenza di genitori che si definiscono super occupati e giustificano ogni carenza comportamentale con la mancanza di tempo.
Tasche piene di soldi, come alternativa alla dedizione, non aiutano. Molteplicità di interessi e di diversivi, più o meno adatti alla corretta formazione dei giovani non sempre danno un contributo al processo educativo, anzi spesso aumentano il disamore verso la scuola e gli impegni conseguenti. I perbenisti recitano che è tutta colpa della mancanza dei valori. In verità la storia reale non ne è stata mai troppo pervasa. I valori hanno spesso albergato in passato negli animi e comunità semplici e silenti. I media permettono la divulgazione sia dei comportamenti virtuosi (pochi per la verità), che di quelli definibili come antivalori. Una corsa a chi supera ogni limite! Realtà sempre più vissuta come finzione. Noi giovani però, quando inevitabilmente usciamo dalle mura domestiche, sentiamo l’attrazione del gruppo ed il più delle volte, per il terrore dell’isolamento, esasperiamo il senso di appartenenza e di attaccamento ai coetanei, scambiandolo per vera amicizia. E’ troppo importante sentirsi accettati! Sembra che l’unico giudizio che conti sia quello dei coetanei. Il gruppo si erge così a giudice forte, spesso inesorabile, qualche volta crudele. Il nostro gruppo, il nostro riferimento: in fondo noi. Matteo Crasti - IV E
S I S T E M AT I C A D I S T R U Z I O N E D E L L’ I L L U S I O N E D E L L A R E A LTA’ E’questo l’imperativo che accompagna la vita della gioventù moderna: stupri, droga, violenza, alcol; potrebbero sembrare le parole chiave del copione degno del miglior sequel di arancia meccanica. Sono invece diventati i termini attorno ai quali ruotano le cronache di tutti i giornali. Se ci siamo spaventati ed inorriditi nel guardare Alex e i suoi amici seminare il panico nella Londra degli anni ’70, allarmiamoci ulteriormente, stavolta sul serio: questa non è finzione hollywoodiana, ma realtà. Già i media cercano nuove definizioni da affibbiare alle nuove generazioni. Il vero dilemma non è trovare loro una collocazione terminologica, ma capire sino in fondo ciò che la gioventù rincorre. Il rifuggire i veri valori e gli ideali più profondi ha portato al chiudersi in uno stato d’inerzia morale e culturale. La televisione, diventata lentamente portavoce della società moderna, offre contenuti sempre più stereotipati ed insignificanti assunti come modelli da trasporre in realtà nonostante la loro completa incompatibilità con essa, generando così un preoccupante scontro tra l’essere e l’apparire. Perfino l’amicizia ha perso la sua centralità nella vita dei ragazzi: il gruppo oggi difatti ha importanza solamente come mezzo per divenire idolo della compagnia; la costante preoccupazione di viaggiare soli controcorrente, di allontanarsi dalle masse, ha comportato la continua ricerca di trasgressione delle regole agli occhi dei compagni, favorendo in tal modo una piatta omologazione. Il ruolo d’educatori, inoltre, un tempo fortemente demarcato in figure poste come punti di riferimento, è diventato sempre più incerto: la troppa fiducia e libertà riposta nei figli o nei propri alunni (spesso per paura di opporsi con fermezza), rischia di divenire dannosa quando questi risultano ancora incapaci di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. La manifestazione più palese del progressivo degrado verso cui la nostra società, gli adolescenti in particolar modo, sta andando incontro è testimoniata dal tentativo dei giovani d’oggi di ridurre la propria settimana ad una semplice serata: la routine giornaliera, secondo molti fonte d’insoddisfazione e delusioni, deve essere dimenticata e superata attraverso una folle evasione da essa stessa, con cui per qualche ora sentirsi davvero felici, davvero estasiati, davvero immersi fino in fondo nell’atmosfera fantastica del sabato sera. E allora allarmiamoci, spaventiamoci, inorridiamoci dinanzi a questo scenario desolante, dove sempre più James Dean bruciano, dove con essi inesorabilmente bruciamo anche noi, che non siamo l’acqua in grado di sedare l’incendio, ma la cenere che ne deriva da questo. Tuttavia la prospettiva potrebbe essere molto meno allarmante se i garanti dell’educazione, la scuola e in particolar modo la famiglia, riuscissero nel difficile compito di stimolare la gioventù ad un’assidua ricerca di valori e d’ideali profondi, anche attraverso la cultura che ci rende liberi dai pregiudizi e incondizionati dalle masse. Sistematica ricomposizione della realtà. E’ possibile. Giancarlo Della Volpe e Simone Venturi - IVA Lo sconcerto per gli atti di violenza e aggressione che vedono giovanissimi come protagonisti impone una riflessione sul disagio giovanile, espressione dello smarrimento educativo degli adulti. Si manifestano comportamenti deviati in modo diametralmente opposto: aggressività sfrenata di chi ostenta un superomismo agghiacciante, passività ed apatia di chi tenta di annullarsi. Alcuni elementi risultano nuovi e sorprendenti negli episodi di disagio violento: l’abbassamento dell’età, l’allargamento a fasce sociali insospettabili, non svantaggiate, con una vita normale che cambia repentinamente fisionomia quando i freni inibitori svaniscono. Anche i luoghi in cui la trasgressione esasperata si scatena sono mutati: discoteche, muretti, parchi ma anche e soprattutto scuola e casa, quasi a volersi esibire con orgoglio e sfrontatezza nei contesti della quotidianità. Essere bulli, commettere aggressioni fisiche e/o morali da sfoggiare, possibilmente in rete, contribuisce a rendere forti anche i più insicuri e rappresenta un adeguamento ai modelli che i media propongono. L’altra fisionomia del disagio si configura con atteggiamenti passivi, apatici che lasciano trapelare incapacità di comunicare il proprio vissuto emozionale, compresso ed inibito, il senso di solitudine, la difficoltà ad uscire dal nido non degli affetti ma di play-stations e video-games. Le radici del malessere, diversamente manifestato, sono le insicurezze, l’ansia di bruciare le tappe, il vuoto valoriale e la scarsa consapevolezza del senso etico della vita. Parlare di disagio giovanile è parlare del generale disagio sociale, della credibilità degli adulti, della loro debole autorevolezza e della palpabile deresponsabilizzazione. La famiglia e la scuola debbono mettersi in gioco, per tornare ad essere risorse preziose di impegno educativo e valoriale, centri di profusione della cultura del rispetto, della fiducia nelle capacità personali, negli altri e nelle istituzioni. Occorre tralasciare mete educative puramente quantificabili e materiali che limitano l’orizzonte etico e sviliscono il senso profondo della vita. E’ auspicabile che gli adulti e conseguentemente anche i giovani si riapproprino della capacità di esprimere il loro essere senza emulazioni, nel rispetto rigoroso della legalità e nell’ascolto dei propri conflitti insoluti con quell’attenzione per sé e per gli altri che conferisce stile e dignità al vivere civile. Prof.ssa Sandra Bartocci e Prof. Duccio Penna
1°Studente: Dobbiamo scrivere articoli per La Pagina. 2°S: La Pagina? Quel giornale che si trova un po’ dappertutto a Terni e non si paga? 1°S: Sì, quello. 2°S: Ah, l’ho visto a casa, l’ha portato papà. Bello! E che dobbiamo scrivere? 1°S: In ogni numero quel pazzoide del prof. Raspetti, lo conosci?... quello che sembra Mosè, mette a disposizione dei quattro licei uno spazio per noi studenti e anche per i proff. 2°S: Bella idea! Almeno abbiamo uno spazio tutto nostro. Finalmente uno che si ricorda di noi. 1°S: Di che dobbiamo scrivere? 2°S: In questo numero del disagio giovanile. Ha detto che lo farà Matteo. Però ci vuole anche un articolo del Dirigente scolastico. 1°S: L’ha fatto la De Francisci? 2°S: In questo momento è oberata di lavoro, mi ha detto di farlo fare da quel pazzoide del prof. Ricci. 1°S: Bene, tanto tra pazzoidi… 2°S: Ah, ricorda a Matteo di ringraziare Raspetti da parte di tutti noi studenti alla fine del suo articolo. Grazie di cuore per questa bella iniziativa.
I s t i t u t i s u p e r i o r i
Prof. Marcello Ricci
S C I E N T I F I C D O N AT E L L I O Il disagio nel quale vivono molti dei nostri giovani affonda le radici nel mondo attuale, i cui simboli, sbandierati come emblemi del successo, sono: il potere, i soldi, lo sfoggio del superfluo, l’arroganza. Se un tempo le forme di disagio erano collegate a situazioni di subalternità economica e sociale, ora esiste anche il disagio dell’agio. In ciò genitori e insegnanti hanno un insostituibile ruolo e una enorme responsabilità: capire e far capire che la competizione non seleziona i migliori ma solo i meno sensibili. Un ruolo che dovrebbe essere giocato con coerenza, autorevolezza e carisma. Non vanno, tuttavia, sottovalutate le difficoltà delle istituzioni scolastiche, alle quali vengono fatte richieste di interventi educativi sempre più impegnativi, a fronte di una assegnazione di risorse - in senso lato - sempre più scarse. La complessità del disagio giovanile, quindi, deve indurre ad una collaborazione interattiva fra tutte le istituzioni educative.
L I C E O
Prof. Brunero Brunelli
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Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
S c u o l a m e d i a G I O V A N N I
Strano trovarmi a riflettere sull’arte come forma di terapia proprio il giorno dopo l’acquisto e l’immantinente lettura di alcuni scritti di Alfred Kubin, un genio che ha fatto dell’espressione artistica un’ancora di salvezza; è una di quelle coincidenze grazie alle quali la vita di tutti i giorni torna a profumare di straordinario… Chiedo venia: non possiedo le competenze necessarie per dissertare sull’argomento ma posso contribuire modestamente ad una comune riflessione con ciò che la pratica dell’insegnamento mi ha concesso di imparare. E’ innegabile: l’uomo nasce con l’esigenza primaria di esprimersi (ex-premere: premere per far uscire) ed è nello spingere fuori questo “dentro” la ragione ultima del fare e del leggere l’arte. Ridicolo ma vero, i miei
X X I I I
Michelle Nonni - 3H
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Ragazzi! Vi hanno rubato l’Arte!
Lorenzo Menichini - 3H
alunni non vogliono quasi mai disegnare, dicono di non esserne capaci. Perché? Eravamo bambini che il disegno, la manipolazione, l’invenzione, non erano cose a cui eravamo costretti ma purissime gioie, naturali necessità. Nessuno di noi si domandava: ho fatto bene o male? Quel fare bastava a se stesso, si nutriva del suo compiersi… e allora? Quando abbiamo smesso di divertirci ad essere creatori di qualcosa? Fidatevi, il fattaccio è avvenuto nel momento in cui qualcuno si è disturbato ad insegnarci cos’è brutto e cos’è bello! Così, abbiamo saputo che il gesto artistico è una mera espressione di valori estetici precostituiti. Che cantonata! E (permettetemelo), che fregatura! Risultato, un tragico imperativo: sei bravo? disegna, altrimenti lascia stare! Di cosa siamo stati privati? Di molto: del piacere dell’Arte. L’adolescenza, di cui oggi ci piace tanto parlare, è una fase critica nella storia dell’individuo, non è cosa da poco e tutti
Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
sappiamo quanto ci si può sentire soli e fragili. Ebbene, dipingere, modellare, creare con un software, può aiutare i ragazzi a controllare i loro demoni interiori e il medesimo effetto si può ottenere conducendoli ad apprezzare un capolavoro, in una salutare catarsi. Insomma, all’arte la sua funzione originaria: rendere visibile l’invisibile, raccontare l’inspiegabile, attraverso atti creativi e contemplativi. Ragazzi! Disegnare, passeggiare in un museo, fa bene! L’uomo è un malato in via di guarigione, diceva Massimo Scaligero, affermando che della sofferenza conteniamo le cause e la cura. Credo che riuscire a dar forma e colore a questo male possa costituire un efficace modo di combatterlo. Chi di noi può dire di non averne bisogno? Prof.ssa Diletta Boni
Martina Pacifici - 3H
Viaggiare verso...
Ho volato in Myanmar (Birmania) e in essa mi sono tuffata. L’impatto è forte: sparsi ovunque, templi e tempietti, di dimensioni le più diverse, di architetture esteticamente ridondanti, lussuose solo nell’apparenza. L’ho chiamati I giardini dell’anima e l’anima si respira palpeggiando a piedi nudi quei mattonati eleganti e raffinati che lastricano i viali delle pagode. Troneggiante lo Stupa, il tempio buddista che si erge maestoso, rivestito di sfoglie d’oro, chiuso ermeticamente
e, spesso, reliquiario di capelli o denti dell’ ultimo Budda. Loro, i birmani, il culto lo esprimono passeggiando tra le pagode (paya), sorridenti, ovattati nei movimenti, silenti o accovacciati sugli scalini o inginocchiati, con vera e sentita devozione, davanti agli altari dislocati intorno allo Stupa. Incensi bruciati, fiori, ma, ahimé, anche lampadine da accendere e bussolotti per le offerte in denaro. Ho pensato alla Chiesa Cattolica dove esplode come un boato l’arte suprema di
Aung San Suu Kyi Premio Nobel per la pace nel 1991, leader del governo eletto democraticamente, ma, per questo, messa agli arresti domiciliari dalla giunta militare che governava il Paese. E’ agli arresti ancora oggi. Mi pueblo ha sufrido más que yo, no tengo derecho a quejarme... così si esprime nelle interviste.
architetti, scultori, pittori immortali... ma è la mia Chiesa, nota e amata come gli anni che mi appartengono, frequentata come rifugio di pene e sospiri. Anche in Essa non mancano gli incensi, i fiori e, ahimé, lampadine da accendere, bussolotti da riempire; manca, invece, un’oasi intorno, luogo di sacralità e di meditazione, adornato di alberi, aiuole, sentieri: una nicchia di pace dove la mia gente possa pregare senza parole, ma con l’essenzialità della propria presenza intrisa di spiritualità. Non c’è da fare un paragone perché non ci sono differenze: due culture, lontane nello spazio, che hanno passeggiato nel tempo per millenni su strade diverse, ma sempre verso gli stessi orizzonti; che hanno strutturato i loro rituali per poi ritrovarsi, inginocchiati, ad accendere lumi, a rannicchiarsi in se stessi per nutrire, con la preghiera, i segreti della propria anima. Sandra Raspetti
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NOTIZIE IN PILLOLE Cos’è un ca r c e r e
Chi è il Direttore
In termini di realtà locale si deve notare come ogni medio istituto sia una piccola città. Vi sono organizzati, così come in questa, tutti i servizi, dalla viabilità alle fognature, dai trasporti all’illuminazione, dalla manutenzione delle strutture a quella degli impianti tecnologici più disparati, dal governo del personale all’attività sociale, alla tutela della sicurezza, all’organizzazione di un ospedale, all’attività industriale ed ancora: la formazione professionale, l’aggiornamento del personale, la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, l’assistenza religiosa e molto ancora, oltre, naturalmente, la custodia e il trattamento dei detenuti. L’organizzazione prevede la presenza di personale di due differenti comparti: il personale di polizia penitenziaria, prevalentemente per attività legate al mantenimento dell’ordine e della sicurezza nonché per consentire una corretta gestione delle attività risocializzanti ed il personale del comparto ministeri per tutte le attività amministrative e di organizzazione. L’organizzazione è articolata in aree funzionali che sono: Area Sicurezza, Segreteria, Sanitaria, Trattamento ed Amministrativo-contabile. Non c’e’ niente di simile nell’intero panorama del pubblico impiego, con l’aggiunta che le decisioni vanno prese in tempi sempre contingentati. In tale contesto si sviluppa l’organizzazione di un istituto o servizio penitenziario. Condizione non sempre conosciuta.
Al momento dell’Unità d’Italia il direttore penitenziario era già un impiegato statale. I bagni penali erano alle dipendenze del Ministero della Marina e tali rimasero fino al 1866 quando l’amministrazione delle carceri passò al Ministero dell’interno. Questo trasferimento rappresentò un progresso, sia pure limitato, poiché volle significare l’abbandono di una concezione repressiva di tipo armato per un inquadramento della materia sotto il profilo di sicurezza. In periferia la posizione del funzionario penitenziario, equiparato fin dal 1876 al personale direttivo di polizia, era ragguardevole. Il Direttore era apprezzato per l’alta funzione sociale che tutti gli riconoscevano e, nei confronti del Prefetto, dal quale dipendeva gerarchicamente, agiva alla stessa altezza degli altri notabili nella provincia (Questore, Intendente di finanza, Medico provinciale, ecc.) e, anche formalmente, una legge del 1891 gli attribuiva il grado onorifico di sottoprefetto nell’ordine delle precedenze nelle cerimonie. Oggi il Direttore viene indicato come manager, sostantivo inglese che lo definisce quale amministratore o dirigente con poteri decisionali nella condotta delle strutture cui è preposto e di cui assume le responsabilità. Indicazione assolutamente consona ad una figura che si qualifica non già nello stretto ambito organizzativo della struttura che dirige, ma in un ambito estremamente più vasto di interrelazione esterna, condizione ben definita nell’ordinamento penitenziario che gli attribuisce funzioni di impulso e di ampio ed esteso coordinamento con riferimento all’istruzione, al lavoro, alla partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa, in un unicum che si evidenzia estremamente sofisticato. Atipicità e complessità sono i due elementi che caratterizzano le sue funzioni. D e l l ’ A i r a
F r a n c e s c o
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Il Dentro e il Fuori Non è ternano il direttore del carcere di Terni, ma, da buon camaleonte, come si autodefinisce, lui che è della Puglia, ha saputo inserirsi nell’ambiente umbro, cogliendone gli aspetti positivi per poter dare alla vita dei detenuti un significato che va oltre alla semplice detenzioneespiazione. Nella vita del carcerato, dice il dott. Francesco Dell’Aira, c’è un prima, un durante, un dopo. Il prima lo conosciamo o lo possiamo intuire, il durante è quello che caratterizza il periodo di detenzione, il dopo è quello che può essere preparato, almeno in parte, per facilitare il reinserimento nella società. Cita la Costituzione per ribadire il concetto di riabilitazione del detenuto, di un suo ritorno ad una vita dignitosa e scandita da regole, e poi fa riferimento all’ambiente esterno dove può trovare appoggio per realizzare i suoi progetti. A differenza di altre regioni, dove è più forte la diffidenza verso i detenuti per una maggiore frequenza di reati, l’Umbria, Terni in particolare, si dimostra più disponibile verso la popolazione carceraria. Il Direttore, perciò, può contare, oltre che su un personale molto qualificato, sulle istituzioni locali (Comune, Provincia, Regione in ugual misura) e sulle Associazioni di volontariato che hanno dato e continuano a dare la loro collaborazione. L’utilizzo di potenzialità interne (quelle proprie di ogni detenuto) ed esterne (quelle fornite dall’ambiente) permette l’avvio di progetti aventi come scopo la riabilitazione del detenuto e la creazione di un nuovo bagaglio culturale e formativo. Si va dall’attività scolastica di tipo
tradizionale ad attività formative di vario tipo, il cui percorso termina con il rilascio di un attestato di qualifica (cuochi di grandi comunità, manutentori del verde, muratori, falegnami, rilegatori, tipografi, ecc.). Non volendo rinunciare a nessuna di queste occasioni di qualificazione professionale finanziate dalla Comunità europea, il Direttore, nei casi in cui a Terni mancava il numero sufficiente, ha fatto venire da altri istituti di pena detenuti disposti a frequentare i corsi. Inoltre, per mettere in pratica le nozioni acquisite, dove è stato possibile, si sono create le strutture per realizzare, già all’interno del carcere, un’attività lavorativa. Quindi, dopo il corso di panetteria, il forno di cottura, dopo quello di falegnameria o di lavorazione del ferro, i relativi laboratori. La panetteria, che già funziona giornalmente per rifornire di pane il carcere, avrà forse un bacino di
Le ferite dell’anima
utenza più vasto, se andrà in porto il progetto di fornire pane e panini alla mensa universitaria. Un’altra iniziativa importante finanziata dalla Regione è quella che mira alla formazione, con relativa qualifica, di installatori di pannelli solari. Sia il Ministero dell’Ambiente che quello della Giustizia hanno messo insieme i fondi per acquistare i pannelli solari. I detenuti, alla fine di un
corso di 500 ore di formazione che comincerà ad aprile, monteranno nello stesso istituto penitenziario i pannelli solari, con un risparmio energetico non indifferente. Per questa iniziativa Terni è stata selezionata insieme a solo altri due istituti in Italia. Sarà ancora la Regione a finanziare, con la collaborazione della ASL ternana che ne curerà la parte sanitaria, l’apertura di un
laboratorio veterinario per curare piccoli animali che hanno problemi o che hanno subìto incidenti. Accanto al laboratorio sorgerà un canile diviso in tre parti: la prima parte prenderà in cura animali in degenza post-operatoria, la seconda animali del canile municipale, la terza cani a pensione. Questa terza parte servirà a finanziare gli altri due settori. Il Direttore sa che, se vuole essere credibile come amministratore penitenziario, deve prevedere percorsi lineari e trasparenti; solo così potrà ottenere risorse per realizzare i suoi progetti. D’altra parte è consapevole che ci sono tanti altri settori del disagio a cui va rivolta uguale attenzione. Gli chiedo da dove gli viene questa sensibilità verso i detenuti, quali esperienze precedenti gli hanno permesso un approccio positivo, anche se necessariamente vigile. Risponde di aver ricevuto dalla propria famiglia molto presente e serena un bagaglio di sentimenti e di affetti spendibile in tutta la vita; riconosce di avere una capacità innata di cogliere il meglio di ogni situazione. Ed è bello, conclude, che chi ha avuto tanto non tenga per sé i doni che ha ricevuto ma sappia condividerli con gli altri, cercando di migliorare la vita di chi, per una serie di circostanze, ha perso la propria umanità e la vuole ritrovare. Mi offre un caffè al bar del carcere e un pacchetto di biscotti fatti dai detenuti. Poi ci salutiamo. Io lo ringrazio a nome di tutta la redazione e mi allontano percorrendo un ampio spazio delimitato dal verde e da sculture in ferro: per un attimo ho l’impressione di uscire da un confortevole hotel. Elettra Bertini
Presso la Pro Civitate Christana di Assisi, negli ultimi giorni di febbraio, si è tenuta la 3° edizione del corso di Arteterapia, intitolato Le ferite dell’anima. Secondo gli organizzatori del corso, l’arte, qualsiasi forma di arte, può essere utilizzata come terapia nella elaborazione del trauma conseguente ad una sofferenza fisica o morale. Attraverso l’arte si può recuperare autostima, approfondire la propria interiorità, riconquistare, nel migliore dei casi, l’equilibrio perduto. Tra le persone che, attraverso questa via, hanno cercato di ricucire gli strappi, le ferite dell’anima, ci sono anche i detenuti ternani che, nella Casa Circondariale di Vocabolo Sabbione, per iniziativa del direttore Francesco Dell’Aira, da anni producono opere pittoriche o scultoree (ceramica, ferro, legno), che poi espongono in una mostra. Dal Palazzo Primavera di Terni, in cui sono state visibili dal 31 ottobre all’11 novembre 2006, con il titolo suggestivo di Forme e colori del silenzio, un campionario di queste opere è stato collocato in una sala della Cittadella di Assisi. Inoltre il Direttore del carcere ha proiettato quelle più significative, accompagnandole con un commento che ha messo in luce quanto l’arte possa aiutare ad esprimere il disagio e a far rinascere la voglia di ricominciare. Sia la mostra che la proiezione delle opere e dei dipinti murali hanno meravigliato le persone presenti che hanno apprezzato non solo la bellezza dell’esecuzione, ma anche il talento artistico di alcuni degli autori e si sono chieste come sia stato possibile un risultato così straordinario. La risposta è che dietro al lavoro dei detenuti c’è il coinvolgimento di tutto il personale dell’amministrazione penitenziaria, che spesso va oltre il proprio compito istituzionale, e l’impegno dei volontari che, mettendo a disposizione tempo e competenze, hanno insegnato le tecniche con cui realizzare le opere; c’è la determinazione del Direttore che ha dotato il carcere di un forno di cottura per la ceramica, di laboratori, di strumenti per la pittura, la scultura, la decorazione; c’è infine il contributo degli Enti Locali, insomma un insieme di forze positive che ha prodotto risultati impensabili in un ambiente che si immagina più di punizione e di restrizione che di rieducazione. Il volontariato, sia per la ceramica che per il teatro, è stato voluto, 12
La Provincia di Terni per la cultura
anni fa, dall’allora Presidente Provinciale della Croce Rossa sezione femminile, Daniela Borzomati e continua ora con l’attuale Presidente Vanina Trabalza. Mi sono fatta raccontare dalle volontarie Paola Vangelista, insegnante di ceramica, e dalla sua collaboratrice Dina Natalini i momenti più significativi delle ore di lezione con il gruppo di detenuti iscritti al corso. Mi parlano di persone inizialmente diffidenti, trascurate, depresse, che piano piano diventano più ordinate, socievoli, motivate, perché possono relazionarsi con gli altri in un clima di serenità e di tranquillità che permette sia la battuta scherzosa, sia il racconto di vita: talvolta i detenuti scoprono in se stessi talenti non sospettati e in questo caso viene concesso loro un tempo che va oltre l’ora d’aria. La manipolazione dei materiali, la trasformazione della creta in opera, il passaggio dall’idea alla realizzazione permettono di tradurre un’emozione, di sublimare la sofferenza e il rimorso, di dare al tempo che dovrà passare una valenza positiva, addirittura creativa. Come dice il Direttore, il tempo di pena diventa tempo di vita. Uno dei momenti più emozionanti è quello in cui i detenuti assistono meravigliati all’apertura del forno di cottura da cui escono opere che loro stessi non credevano di poter realizzare, in cui il fuoco ha trasformato i colori e ha dato compattezza alle forme. Oltre alle opere esposte, i detenuti hanno istoriato le pareti del carcere, realizzando murales o dipingendo con la tecnica del trompe l’oeil, che ti permette di aprire una finestra sul fuori quando ancora sei dentro, di immaginare l’infinito anche dal chiuso di una cella. Da poco, alle attività artistiche sono state affiancate anche quelle artigianali, come la panificazione o il lavoro del pasticcere. Non è solo il tempo interno che deve essere recuperato e riscattato, ma anche quello esterno in cui il lancio verso il futuro non deve fare troppa paura, ma deve permettere, insieme all’uscita dal carcere, il reintegro nella società, senza tentazioni di ricadute. E. B.
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I L
T R E N O
Emma entrò in stazione e si diresse verso la biglietteria. Stavolta avrebbe chiesto un abbonamento settimanale anziché il solito andata e ritorno. Nell’attimo in cui mise piede nell’atrio, l’ultimo della fila si voltò verso di lei. Era un ragazzo alto, capelli lunghi ed occhi neri, così neri e dolci da spaventare e affascinare. Lui la fissò sorpreso e a lei venne un colpo al cuore. Sì, un colpo al cuore perché quel giovane l’aveva incrociato per ben tre volte nel giro di un’ora la sera prima, ed anche quella sera i due si erano guardati e meravigliati. Lo stupore era notare nell’altro gli stessi occhi luminosi ed attratti, occhi così simili e così diversi. La fila correva e scorreva, lui chiese per Milano, lei per Roma. Emma si mise l’anima in pace: l’avrebbe visto solo per pochi istanti perché avrebbero preso treni diversi. Una ricarica da cinque euro per il cellulare - Grazie - Prego. E di corsa al binario. Salite le scale Emma tornò istintivamente a cercarlo e voltata a destra lo vide lì, ancora una volta con quello sguardo sorpreso, poi si voltò a sinistra per nascondersi da lui e liberò un sorriso. Erano allo stesso binario perché dovevano prendere lo stesso treno: evidentemente il giovane, per andare a Milano, doveva arrivare a Roma e cambiare. Com’è ironico! Istanti lunghi quelli dell’attesa, lunghi abbastanza per
permettere a Emma di arrovellarsi il cervello: come avrebbe potuto rompere il ghiaccio con lo sconosciuto? Scusa hai una sigaretta? macché, lei non fumava! Sbaglio o ci siamo già visti? - bè, pensate che figura se lui avesse detto “no” e quella degli sguardi, delle coincidenze, della strana curiosità, dello scrutarsi fosse solo una sua costruzione mentale. Arrivò il treno ed i giovani salirono in sincronia da entrate diverse… Ma dove vai? Lì è prima classe! L’aveva già perso. Invece no! eccolo spuntare là dietro! Lei cercò un sedile con accanto un posto libero, sarebbe stato molto ironico se lui si fosse seduto vicino a lei. La gente passava lungo il corridoio del vagone in cerca di un posto per sedersi, ma lui non era nessuno di loro. Emma sbirciò i sedili posteriori ed intravide dei fogli arrotolati, gli stessi che aveva in mano lui… era lui! Ed era dietro di lei, alle sue spalle… Com’era ironico: le coincidenze la sera prima, il ritrovarsi in biglietteria, lo stesso treno, seduti uno dietro l’altro. Che bella e che buffa situazione! Era tutto molto romantico se non fosse per quell’odiosa fermata intermedia del treno che lo fece alzare ed andar via ancor prima di parlarsi, prima di abbattere quel muro, prima di far succedere qualcosa, prima di scoprirsi simili o diversi. Non è ironico? giadafuccelli@libero.it
La ECOGREEN svolge attività di consolidamento di scarpate e pendici rocciose effettuando i seguenti interventi: - ispezione di pareti rocciose di qualsiasi natura e acclività - disgaggio e demolizione di ammassi rocciosi di qualsiasi dimensione - posa in opera di reti metalliche paramassi - placcaggio di superfici rocciose fessurate ed instabili - posa in opera di barriere paramassi Nel campo dell'ingegneria naturalistica la ECOGREEN s.r.l. ha acquisito una significativa esperienza nell'utilizzo di tecniche di idrosemina potenziata, di invecchiamento accelerato delle rocce e di interventi di consolidamento delle scarpate con l'utilizzo di talee vive e/o morte.
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Una volta all’università mi presentarono Julia, immaginate una ragazza bella e bionda: diventammo buoni amici. Il padre era italiano e la madre russa: lei aveva lasciato Mosca alcuni anni prima, quando i genitori avevano divorziato, e si era stabilita in Italia. Aveva la doppia nazionalità, ma tutte le debolezze delle donne occidentali. Lei mi ha insegnato cos’è la coazione a ripetere: s’innamorava sempre degli uomini sbagliati. Che fossero sbagliati, lo capiva però sempre troppo tardi. Mi ha anche insegnato che il libero arbitrio non esiste, che è stato inventato dai filosofi per giustificare l’esistenza di Dio. Insomma, lei mi diceva: faccio sempre gli stessi errori, mi sembra di essere uno scoiattolo in gabbia, che corre dentro una ruota. Quando le proponevo di farmi correre nella gabbia con lei, mi guardava con i suoi occhi trasparenti, di una fissità enorme, e mi diceva: non vorrei che poi tu ti innamorassi di me. Io giuravo e spergiuravo che no, mai e poi mai mi sarei sognato di innamorarmi di lei e che al massimo l’avrei fatta uscire qualche volta, magari avrei provato a portarla al cinema, che so, anche a regalarle dei fiori, volendo. Ma non c’era niente da fare, non ero abbastanza convincente, e continuavamo a correre ognuno nella propria ruota. Poi lei andò a lavorare a Mosca, come interprete, e per molto tempo non l’ho più vista. Ogni tanto, i primi tempi, mi scriveva, era infelice come sempre e non aveva ancora trovato l’uomo per lei. Coazione a ripetere, appunto. La differenza tra uomo e animale, in fondo, è semplice - pensavo. Prendi un cane, insegnagli le buone maniere e lui le rispetterà. Andrà al bagno nei momenti e nei posti giusti, quasi sempre almeno. Prendi un uomo, insegnagli il bene e il male, spiegagli, e lui farà finta di capire. Poi, non appena ti volterai, tornerà a fare i soliti errori di sempre, resterà quello ch’era, invincibile, e tornerà ad innamorarsi delle persone sbagliate, come faceva Julia. Non a caso, nei campi di concentramento sovietici c’erano 40 gradi sottozero, migliaia di uomini e nessun animale, perché gli animali morivano tutti. Gli uomini, invece si aggrappavano alla loro utopia privata e quella faceva loro da stampella, drizzava le loro schiene, li foderava di futuro, da capo a piedi, e quasi non sentivano più il freddo. Insomma, ci credereste? qualche tempo dopo Julia si è trasferita di nuovo in Italia e ci si siamo rivisti, erano passati forse due - tre anni. Lei era cambiata, o forse io la guardavo con occhi diversi. Era ancora bella come prima?, mi domandavo. Di soppiatto a cena, mentre si alzava per andare in bagno o era semplicemente distratta, la scrutavo. I capelli, il profilo, il corpo, l’andatura, erano gli stessi di un tempo. Quando sorrideva, tanti uomini si sarebbero buttati nel fuoco per lei, come un tempo. Quando passava tra la gente, algida e consapevole del suo potere, era ancora una regina. Eppure, io non riuscivo più ad esserne attratto come un tempo. Era bello stare ad ammirarla, vederla sorridere, guadare la fissità assurda del suo sguardo, ma si trattava di puro meccanicismo. Era come essere di fronte ad un
Julia tramonto o al mare: godiamo di quella bellezza, ci immergiamo in essa, ma non le attribuiamo il marchio dell’irripetibilità, sappiamo che domani o dopo, o fra un anno, ci sarà ancora un bel paesaggio da ammirare. Sì, irripetibilità è la parola giusta. Non c’era più niente in lei che mi sembrasse irripetibile, o forse io non riuscivo più a coglierlo. Ogni tanto, mentre mi parlava, sembrava esitare un attimo, rallentava il ritmo del racconto, scuoteva impercettibilmente la testa, poi riprendeva con la stessa velocità di prima. Era come se improvvisamente qualche pensiero facesse irruzione dentro di lei, e la distraesse, ma lei era tanto brava da non far trapelare la sua distrazione. Io che la conoscevo bene e che non le toglievo gli occhi di dosso, notavo questo dettaglio, ma pochissimi se ne sarebbero accorti. In fondo, pensavo, quasi tutti abbiamo dei pensieri e dei drammi personali da affrontare. Dopo cena ci siamo fatti un giro in macchina, perché nessuno di noi due aveva voglia di andare a dormire e risvegliarsi con un altro sole. Mentre giravamo a casaccio per la città, ascoltavamo la radio senza parlare: non so perché, ma c’era una bella armonia tra di noi. Io non mi facevo domande né avevo aspettative su come la serata sarebbe proseguita: in fin dei conti non potevo influire in nessun modo sulle decisioni di una donna come quella. Dopo qualche minuto di silenzio, lei mi ha preso la mano destra, quella che tenevo sul cambio, e l’ha stretta tra le sue mani. Ho pensato: Azz…, così non riesco a guidare, però. Non posso farmi tutta la circonvallazione in seconda. Lei mi ha chiesto se c’era qualcosa che non andava, visto che mi ero irrigidito ed io le ho risposto: No, non ti preoccupare. Mi ha solo stupito che tu mi abbia preso la mano. “Ti dà fastidio?”, mi ha chiesto lei titubante. No, che dici!, anzi mi fa molto piacere, ho risposto, mentre ripartendo da un semaforo in seconda cercavo di non far spegnere il motore. “Grazie. Anche a me fa piacere stare qui con te. Non sono stati anni facili per me”, ha iniziato lei. Ecco! Ci siamo, ho pensato io, la coazione a ripetere! Che palle!, ed ho tolto la mano dalle sue. Ho ingranato la terza e ho preso la tangenziale. Raccontami, le ho intimato, pensando con terrore alla giornata di lavoro che mi aspettava di lì a poche ore. Lei ha iniziato una delle sue solite storie, fatta di uomini insensibili e traditori, di lacrime e di solitudine. Insomma, la trama di sempre. Invece, proprio alla fine, mentre ormai eravamo in vista di Piacenza, ecco il colpo di scena: stavolta era lei che aveva lasciato il tizio in questione, lui che stava male, lui che si disperava. L’aveva tradita con altre donne, ma evidentemente l’amava sul serio. Eppure lei era riuscita a mollarlo e se ne era tornata in Italia ed era decisa a dimenticarlo. Insomma, la mia amica aveva messo i denti. Siamo tornati indietro verso Milano ed io pensavo che forse era per quello che lei non mi attirava più come prima, pensavo che lei fosse cambiata, diventata più dura probabilmente. Siamo stati in silenzio per un po’, poi lei mi ha ripreso la mano tra le sue.
Io non ho fatto resistenze, la strada era vuota e potevo rimanere tranquillamente in quinta per altri venti minuti. Ce li siamo fatti quasi tutti in silenzio, poi non so come, siamo finiti a casa mia. Non me l’aspettavo più, a quel punto: fortuna che la mattina c’era stata la donna delle pulizie. Non sapevamo bene come comportarci: dopo tanti anni di amicizia platonica quella situazione stava diventando troppo equivoca per non causarci qualche imbarazzo. Ci siamo fatti un Martini insieme, le ho fatto vedere qualche foto sul computer, poi mentre lei era in bagno mi è venuto in mente di controllare la posta elettronica. C’era una nuova email, che qualche compagno dei tempi del liceo aveva mandato ad una serie di persone per avvertirle che si sposava, o qualcosa del genere. Quasi per caso poi ho aperto la lista degli indirizzi a cui era stata inviata. Tra i destinatari, sotto il mio nome come da decenni, c’era il nome di uno dei miei più vecchi amici, compagno di molte ere scolastiche e di migliaia di ap-
pelli. Erano anni che non vedevo più la sequenza di quei due nomi incolonnati. Si trattava di un pezzo importante della mia vita che faceva capolino nel presente, in quella strana notte di luglio: mi sono chiesto quanto di quel nome di un tempo ci fosse ancora in me. E quel mio amico, chissà dov’era adesso? Poi Julia è uscita dal bagno, si era struccata ed era molto bella. Ho pensato che nonostante tutto forse lei era sempre la stessa dei nostri primi incontri di alcuni anni prima, e la sua anima non era cambiata tanto, come prima in macchina avevo pensato. Probabilmente anch’io mi ero solamente incarognito un po’, ma ero sempre lo stesso di quella lista di nomi che avevo appena rivisto, ed anche il mio amico pressappoco era sempre lo stesso. I nostri pensieri erano diversi da quelli di un tempo, i nostri sogni, se ancora ne avevamo, ne erano diversi, i nostri mondi erano lontanissimi da quelli di un tempo, ma noi, noi non eravamo veramente liberi di cambiare. Cosa significasse tutto questo, non lo sapevo: se fosse un bene o un male che corressimo sempre nella stessa ruota, pensando che essa fosse cambiata, non lo sapevo. Avevo letto da qualche parte che l’errare, la peregrinazione verso domande forse senza risposta, non era un’avventura, ma un ritorno a casa. Julia si dimostrò un’anima pura e dolcissima. Amarla, quella notte, fu veramente ritornare a casa: per un attimo, irripetibile, riprendere il proprio posto nella lista dei nomi E. Bussetti dell’infanzia. feyeem@gmail.com
A N I M A L S A S I A per gli Orsi della Luna tuirlo con erbe o composti chimici, ma l’abitudine è ben radicata. E soprattutto dietro ci sono, al solito, grandi interessi economici: da un orso si ottengono in media 2 kg di estratto secco di bile in polvere all’anno e il prezzo di vendita è elevatissimo. Orribile scoprire che esistono appositi allevamenti dove gli orsi vivono in gabbia (poco più grande di loro stessi) per tutta la vita, con un catetere di acciaio inserito nell’addome. Difficile che la preziosa sostanza resti invenduta: oltre ai medicinali, il campionario di lozioni, shampoo, vini e tè che Nome romantico, Moon Bears: Orsi della Luna. Così vengono anche chiamati gli Orsi Neri del Tibet per la loro mezzaluna sul torace, diversa in ognuno per colore e forma. Molto meno poetica è la fine che fanno in Asia molti
di questi animaloni da 200 kg. Quando non vengono sfruttati come orsi da combattimento in Pakistan, per il circo in Vietnam, come orsi danzanti in India, la loro vita è finalizzata alla produzione di bile. Infatti la specie è presente prevalentemente nelle zone di origine della Medicina Tradizionale Cinese, che da circa 3000 anni fa largo uso di estratto secco di bile in polvere. Il liquido è ritenuto un rimedio amaro-rinfrescante che espelle il calore corporeo, e viene utilizzato per curare febbre, disturbi al fegato e piaghe agli occhi. Molti medici asiatici riconoscono la possibilità di sosti-
la contengono vanno forte tra i consumatori locali, convinti degli effetti benefici legati a credenze popolari e al marchio. Gli orsetti con orecchie tonde da Topolino (vedere per credere, le foto - e non solo su www.animalsasia.org) sono a rischio di estinzione, ma c’è chi dice Basta! Animals Asia, fondazione con sede a Hong Kong (che intende anche far sparire dai menù asiatici i manicaretti a base di cane e gatto e in alternativa promuovere la pet-therapy) ha salvato già più di 200 Moon Bears. Mentre l’obiettivo finale è quello di eliminare del tutto il commercio di bile attraverso trattative con governi e comunità locali, cresce il Centro di Salvataggio dove gli orsacchiotti vengono rimessi in sesto, e dove hanno a disposizione una foresta di bambù tutta per loro per arrampicarsi, giocare, crescere. Maria Beatrice Ratini
Dalla
A alla V di
Ferdinando Maria Bilotti
Autorevole Lo è chiunque dica male del tuo nemico. Barbarico Selvaggio, feroce, bestiale, come ad esempio il modo in cui i paesi civilizzati sogliono trattare le popolazioni barbariche. Cinico Un moralista arresosi all’amoralità della vita. Dottore Titolo onorifico che ci viene assegnato da chi mira a strapparci una mancia più cospicua. Egoista Una persona che si permette di anteporre le proprie esigenze alle nostre. Fanatico Un uomo che crede in quello che dice. Gentiluomo Un uomo che non conosce le donne. Idealista Un uomo ch’è disposto ad ammazzarci, pur di condurci alla felicità. Lobbista Un uomo che ha ragione da comprare. Mantenuta Prostituta che ha un solo cliente. Nemico Chi sei disposto a sostenere soltanto quando si trova contro un altro tuo nemico. Opportuno L’ineluttabile compromesso fra il giusto e l’utile. Pernicioso Nocivo, temibile, al limite pericoloso, come ad esempio un idealista armato di pistola. Rinunciatario Chi avrà molto da rimpiangere, ma nulla da recriminare. Sgualdrina Una donna che si concede facilmente ai desideri altrui e si nega al tuo. Temerario Un coraggioso cui è andata male. Utilitarismo L’egoismo della maggioranza. Volgarità Esiste da sempre. Negli ultimi tempi però s’è arricchita.
Vico Catina 15/A - Terni ilconvivioterni@virgilio.it
Agire concretamente? Class Action, ora! Parmalat, Cirio, TangoBondArgentina, ricariche telefoniche, Vajont, Porto Marghera, Banco Ambrosiano, Seveso, Linate, RC auto, Capo Gallo, Giacomelli, calciopoli, sangue infetto, vino al metanolo, grano contaminato, cromo esavalente nelle falde acquifere, petroliere in fiamme, inceneritori, alta velocità..: storie di ordinarie catastrofi ambientali, di quotidiane truffe miliardarie, di normali e consuete stragi nostrane. Chi non ha detto già mille volte: basta! Chi non è stufo, sconvolto, amareggiato, insultato da questa incredibile teoria di calamità? Chi non è indignato per le impunità, i mancati risarcimenti, il quotidiano sberleffo mediatico dei resoconti processuali trentennali? Chi non ha in cuor suo voglia di reagire? Ma quali possibilità reali abbiamo per reagire concretamente a questa indecente, perversa ed intollerabile situazione? Oggi in Italia, se un gruppo numeroso di cittadini-lavoratori-consumatori intende fare causa legale contro un ente privato o pubblico, gli individui che compongono tale gruppo debbono adire vie legali in maniera più o meno individuale. Si crea quindi una grande sproporzione tra le forze in campo, da una parte il colosso di turno, sia esso una multinazionale, una banca, una assicurazione o una par- tecipata statale, dall’altra i singoli individui con i rispettivi avvocati (e le relative spese legali). E’ nostra intenzione introdurre in Italia l’istituto legale Class Action (causa collettiva), attualmente in vigore negli USA e in quasi tutte le democrazie occidentali. Con le Class Actions è possibile agire in gruppo. Se 10.000 cittadini sono stati danneggiati, taglieggiati, avvelenati, truffati, 10.000
cittadini, Tutti Insieme, Uniti, Gratuitamente, con un pool di avvocati agguerrito e motivato (perché verrà pagato esclusivamente in percentuale all’eventuale risarcimento ottenuto), fanno causa comune e collettiva contro il colosso avvelenatore-truffatore, con ottime possibilità di vittoria. E per vittoria intendiamo: risarcimenti enormi che spesso ammontano a centinaia di milioni di dollari o di euro. Vi invitiamo perciò a sostenere la nostra iniziativa sottoscrivendo la petizione che chiede a gran voce al Governo l’introduzione in Italia di questo potente strumento processuale in difesa degli interessi della collettività, in difesa dei NOSTRI interessi. Gli Amici di Beppe Grillo di Terni e il Class Action National Group (coordinamento nazionale per l’introduzione in Italia dell’istituto legale Class Action), in supporto al Coordinamento delle Associazioni Esponenziali di Tutela degli Interessi Collettivi Specifici (il Comitato 8 Ottobre Incidente aereo di Linate; l’Associazione 6 agosto 2005 Disastro aereo di Capo Gallo; l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada Onlus; l’Associazione Telefono Rosa Onlus e Telefono Rosa Internazionale; il Telefono Blu Sos Consumatori; il Telefono Antiplagio; Greenpeace Italia; Azionariato Diffuso /Federisparmiatori/ Comitato Risparmiatori e piccoli azionisti Bipop-Carire ed infine il Siti, il Sindacato Italiano per la Tutela dell’Investimento e del risparmio).
0744471180 Chiusura settimanale Domenica
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