La pagina aprile 2009

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Giampiero Raspetti

N° 4 - Aprile 2009 (64°)

La lettera m è una labiale e, in quanto tale, agevole è la sua pronuncia per i bambini. Si vuole abbia dato origine alla parola mamma. La radice sanscrita ma/me esprime il senso di misurare e pensare, valutare cioè con la mente. Mano è la prima misuratrice e matr, madre, lo è rispetto alle diverse funzioni attribuite nella famiglia. Provate adesso a ri-valutare le parole: materia, memoria, mente, mese, metro, mimo, morale. Anche matematica deriva dalla primigenia radice. Mathematiké (téchne), che concerne il sapere, si collega infatti a mathema, disciplina, scienza, derivando da mantano, misuro e pondero le idee e da mania-mantia, invasamento divino, ma anche divinazione (Fedro, Platone). Misura del presente, dunque, e trampolino del futuro! Per un tuffo nel passato invece, basta banalizzare la matematica o ridurla ad aritmetica catechistica. Pitagora, circa duemilacinquecento anni fa, coniò, oltre alle parole filosofia e matematica, anche la parola cosmos, tradotta in latino con mundus, mondo, pulito, ordinato (ricordate l’omnia munda mundis?). Mondo, cosmo e numero hanno subìto la corruzione dei secoli. Mondo degenera: diventa rozzamente positivo nella sua derivazione di mondano e beceramente negativo in quella di mondana. Cosmo è addirittura passato al servizio dell’ordine imbellettato, della cosmetica. Il numero invece, figlio prediletto di mathema e di mantia, nei secoli si rigenera, purificandosi, come catarsi, nelle lettere, nei monomi, nei simboli. S’ammanta d’astrazione, diventa monarca delle scienze e, insieme ad esse, motore assoluto di quanto oggi grava su di noi. Sarà bene allora fare i conti con la matematica o pensate che ne dobbiamo fare a meno? Vi fareste manomettere da un maniscalco? Affidereste i vostri risparmi ad un manolesta? No, certo! Non pensereste mai, dunque, di potervi servire di chi manovra la matematica come da manuale impartendo amenità ai giovani, nell’età più importante per la formazione del pensiero logico, quello che ci permette davvero di essere moderni e competitivi. Guai seri a istruire al far di conto oggi che il numero non c’è più. Autentico sfascio quello della maestrina, prevalente, suvvalente, unica, dalibrocuore... che ammaestra su 2 + 2. Meglio, oggi, nessun insegnamento che uno propinato da un manovale non valente. Ci impegneremo allora nell’organizzazione di una scuola (praticamente gratuita), un moderno Museo per giovanissimi interessati alla scienza e ad un futuro da protagonisti. Chi volesse saperne di più deve semplicemente stabilire un contatto. I genitori che non volessero solo il far di conto per i loro figli, comincino a riflettere. Tutto è numero era il motto della scuola pitagorica. Matematica sarà quello della scuola del vicolo ternano.

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Il pompelmo e il limone, A Mel a secch e Il caso di Faccia - da - Vespa, F P a t ri zi Stragi di innocenti, G R i t o La vendetta della rondini, E B ert i n i Relatività, P F a b b ri Questi giovani d’oggi, C C o l a sa n t i Non tutti uguali, Ma ri a n a Raccolta differenziata, J D a n i el i L’iter letterario di Italo Calvino, P S eri Progetto Mandela SOLUZIONI DI FRANCESCA Liceo Scientifico Gandhi Liceo Classico Tacito Frammenti di vita, B R a t i n i Il rasoio di Occam, E P en t i ra ro ARTE: Silvia Imperi, Moira Pucci Il ritorno-antieconomico-del nucleare, A L i b erati INTERNET peggiore dei mali, A R a t i n i PASTICCERIA PAZZAGLIA Astronomia, T S ca cci a f ra t t e, G C o zza ri Astronomia, P Casali, F Isoardi Valentini, F Guerri

I 4 ordinamenti Unità Linea Piano Solido rappresentano ordinatamente l’universo, chiamato da Pitagora COSMO. Proclo


Il caso di F a c c i a - d a - Ve s p a

Il pompelmo e il limone Un pompelmo è un limone che ha avuto un’opportunità e ne ha approfittato, sosteneva Oscar Wilde. Avere, o meglio, dare un’opportunità a milioni di giovani nel mondo è ciò che ha animato il Global Entrepreneurship Week Congress organizzato a metà marzo presso la Kauffman Foundation a Kansas City. Settantasette le nazioni presenti, dai piccoli stati come Bermuda, Macedonia e Barbados ai grandi come Cina, Stati Uniti e Russia, dagli Stati africani alla Nuova Zelanda, passando per Europa,Asia e SudAmerica. Un coacervo di culture e stili di vita molto diversi tra loro ma con un unico obiettivo condiviso: fare dell’imprenditorialità un’occasione di emancipazione e di vero e sostenibile sviluppo a livello mondiale. L’Italia era rappresentata dalla META Group di Terni che organizza in Italia la Settimana globale dell’imprenditorialità. La portata mondiale dell’evento non ha fatto dimenticare le specificità di ciascun territorio, secondo l’ormai famoso Think global, act local (pensa globale, ma agisci localmente). Si è tenuto conto, da un lato, delle dinamiche mondiali di interrelazione tra popoli, culture e mercati e, dall’altro, dell’agire locale, determinato dalle peculiarità storiche di ciascuno che fanno vivere la crisi attuale in modo molto diverso. Il rappresentante dello Zambia, nonché candidato alle prossime elezioni presidenziali, la percepisce come una enorme opportunità per ri-posizionare il Paese nello scacchiere mondiale, allentando la presa interna dei Pesi stranieri, oppure, per gli Stati Uniti, c’è chi ha suggerito di operare una sorta di ritenzione di cervelli, introducendo un meccanismo premiante per cui chi in quel Paese, immigrato, si laurea in una materia scientifica, dovrebbe aver diritto alla tanto sospirata green card, che dà il privilegio di potervi rimanere a vivere e lavorare. Toccante il racconto della rappresentante dell’Uganda che promuove l’imprenditorialità femminile come chiave per l’emancipazione in un Paese in cui la donna viene ancora sacrificata per la purificazione di alcuni uomini che sperano in questo modo di ottenere posti di lavoro ben remunerati. Più grande è l’impresa da affrontare, più sono le vittime richieste. In Bolivia poi, dichiarata solo il 21 dicembre scorso nazione liberata dall’analfabetismo, l’imprenditorialità è percepita dal socialismo al potere come un fenomeno nocivo al sistema Paese e quindi istituzionalmente scoraggiata. Liberare l’iniziativa privata ed il merito, come valori, e l’agire condiviso sul fronte dell’imprenditorialità possono fare miracoli. Grazie a questa cultura premiante ed alle opportunità che amministrazioni pubbliche aperte e dinamiche potrebbero offrire, tanti piccoli limoni potrebbero diventare altrettanti pompelmi. Terni vista da Kansas City appare un punto lontano nella carta geografica, ma anche da noi un nuovo modo di affrontare i problemi potrebbe dare speranza di crescita e di affermazione a moltissimi giovani cui l’attuale sistema-città, chiuso in se stesso, consente solo di attendere l’elargizione di un sempre più improbabile posto fisso. Perché ad esempio non istituire Promo Terni, copiando semplicemente la più nota Promo Bologna, l’Agenzia che nel cuore della avanzatissima sinistra emiliana, svolge le funzioni di Marketing territoriale per attrarre cervelli, capitali e nuove iniziative di successo? Non il solito carrozzone quindi, ma un nucleo di cervelli, preparati e volti al risultato che, mutuando modelli di successo, contribuisca ad uscire dalle attuali sabbie mobili. Non più quindi promesse gonfie di parole e vuote di contenuti, ma uno scatto di orgoglio e concretezza che può fare la differenza. alessia.melasecche@libero.it

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L’Italia è un paese neo-garantista televisionista d’avanguardia in fatto di… cioè, mi spiego, l’altro giorno stavo aspettando con ansia le foto dei veri stupratori della Caffarella, quando mi imbatto nella foto di faccia-dapugile, ex sospettato, nominato dal GP (Grande Poliziotto), poi rilasciato, però somigliante, dicono, al vero stupratore (giuridicamente credo che si chiami aggravante di similitudine delinquenziale, nel gergo forense anche era-quasi-lui). Insomma, dove sono questi stupratori veri, sosia di quegli altri? Li voglio vedere in faccia. So che non è corretto, ma come si fa, oggi come oggi, a leggere una notizia o vedere un servizio tv senza il viso del colpevole (presunto, vabbé…). Queste nuove foto però non ci sono e alcune testate continuano a far vedere faccia-da-pugile (dice di chiamarsi Karol Racz) specificando che è il falso stupratore, sospettato in precedenza di un altro stupro… ah, no, manco di quello... insomma, di che cosa è accusato? Di niente. E chi lo risarcisce ora il finto mostro, mi chiedo, che non è manco pugile, ma pasticcere? (Oh, pure i bigné, ma questo proprio non ne azzecca una, farebbe saltare i nervi pure a Lombroso). La folla inferocita si è placata, il sindaco ha ribadito che il problema sicurezza non esiste, casomai c’è un’emergenza romeni, ribatte tutti i giorni Studio Aperto (per fortuna anche questi altri due stupratori sono romeni!). Ma faccia-da-bigné non dovrà attendere le lungaggini della (in)giustizia italiana, quei tempi sono passati, oggi c’è la Finanza Creativa… sono veramente orgoglioso di poter partecipare di persona al rimborso di Racz. L’abbiamo insultato, odiato, condannato moralmente, ma adesso gli offriamo un cospicuo rimborso lampo grazie al TSE (Tribunale Speciale per Ex-mostri), cioè Porta a Porta. Con l’ospitata da Vespa, Racz intasca una cospicua parte del nostro canone Rai. Almeno quello, poveraccio. E se non si riterrà pago, sappia che lo aspetta a braccia aperte Fabrizio Corona, il Grande Fratello, Matrix… se vuole, può lanciare una linea di occhiali anti-stupro, di scarpe da fuga, può animare serate in discoteca, inventarsi quello che vuole, perché è in Italia, il paese all’avanguardia nel sistema di compensazione tra giustizia e ingiustizia. Francesco Patrizi

Stra gi d i i n n o cen t i Quando si perde la testa per ragioni emozionali di parte e un programma televisivo serio diventa zuffa, il faro della verità si spegne. Non è facendo il tifo fra due squadre che giocano la partita dell’odio che si afferma la giustizia. Il metodo dell’occhio per occhio, passato culturale della giungla, tradisce la pace, specialmente quando a pagare sono gli inermi, la povera gente, qualunque sia il popolo di appartenenza. Non ha volto il potere. La bestia umana che lo trova sulla sua strada è capace di ogni perfidia, di ogni scelleratezza pur di mantenerselo. La società dei buoni mediti sulle proprie debolezze! Il fascino del male è un pericoloso imbroglio. L’uomo non vince con le armi, la vittoria è soltanto un tempo di tregua, è un rammendo su una stoffa lacera e sfilacciata. Non si risolve il problema truccando i numeri. La telecronaca serale sugli eccidi determina nei telespettatori l’assuefazione a tristi immagini, alla morte cinicamente vissuta come atto dovuto alle stragi. Le fragili coscienze non videro in quelle sere, fra la luce mortale delle bombe, il dolore di una Croce. Su quella Croce due piccoli figli di Abramo condividevano il martirio, condividevano la Speranza. Un bambino ebreo ed un palestinese alzavano gli occhi e una preghiera al Cielo. In un’unica voce, in un unico sguardo. Giuseppe Rito

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PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipografia: Umbriagraf - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta s.a.s. di Martino Raspetti e C.

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La v end e t t a d e l l e r o n d i ni

laboratori

Qualche tempo fa ho lasciato il mio monolocale, ormai troppo stretto, per andare ad abitare in un appartamento più grande all’ultimo piano dello stesso palazzo. Nei cinque anni in cui la casa, prima del mio arrivo, era rimasta disabitata, sette famiglie di rondini avevano trovato rifugio nel sottotetto, appoggiando i loro nidi ad un tubo che passa proprio sopra la finestra della sala. Sette famiglie, sette nidi; sette nidi, due nidiate per anno: una gloria di trilli e di voli, un inferno di escrementi, di pagliuzze e di piume. L’estate di quell’anno era stata particolarmente calda, e io, nuova arrivata, ho dovuto coabitare con l’afa e con l’odore di guano depositatosi sulle serrande. Quando a ottobre le rondini sono ripartite, d’accordo con i vicini di casa, che con me avevano condiviso il disagio, ho deciso, non senza rimorsi e ripensamenti, che sette nidi erano troppi e che le rondini, ormai in volo per altri lidi, tornando avrebbero potuto ricostruire le loro case un po’ più in là. Così è stato, ma non subito. La primavera dell’anno seguente, il ritorno delle rondini è stato segnato prima da lunghe strida che io ho interpretato di disperazione e di smarrimento, poi da un silenzio strano: non più intrecci di voli e trilli, un deserto di voci e di presenze. Quest’anno le rondini sono tornate, gioiosamente per me e per loro: le aspettavo, volevo che tornassero. C’erano due nidi “un po’ più in là” da restaurare; potevano ricominciare, e lo hanno fatto con pazienza, trovando pagliuzze e creta molto diversi da quelli iniziali, così che in questi due nidi si vede il restauro. Anche gli animali sanno farlo. Durante la ricostruzione, vedevo le due coppie di rondini lavorare, sporgersi con le loro pancine bianche e le ali nere, volare e tornare. Ora i nidi sono completati e sicuramente si sta preparando una prima covata: sono arrivati sulla mia terrazza gusci bianchi di piccole uova, forse spazzate via dall’ultimo temporale, ma so che là dentro sta di nuovo nascendo la vita e ne sono felice. Ma l’anno scorso, senza il ritorno delle rondini, gli insetti hanno proliferato, e uno di loro maledettissimo mi ha punto a un braccio e a una mano gonfiandoli e scatenando un’infezione di cui porto ancora le conseguenze. Lo so che vi siete vendicate, care rondini, e quasi quasi lo ritengo giusto. La natura ha le sue regole e i suoi ritmi e io in qualche modo li ho violati. Perciò devo pagare per quei nidi distrutti… Elettra Bertini

Lab

R e l a t i v i t à Selhoho ha otto anni e un cognome impronunciabile. Del resto anche il nome lascia interdetti, con quella coppia di acca messe in maniera inconciliabile con i canoni della lingua italiana; ma Selhoho abita lontano dall’Italia e dell’italica morfosintassi è giusto che non si curi. Il suo paese è il Lesotho, nella parte più meridionale dell’Africa: è un paese con caratteristiche curiose, che si fanno ricordare. Dal punto di vista cartografico e topologico, il Lesotho colpisce per essere un’enclave della Repubblica Sudafricana; dal punto di vista territoriale e morfologico, sorprende per essere l’unica nazione al mondo il cui territorio è totalmente sopra i mille metri di altitudine; dal punto di vista economico e sanitario, rattrista per il suo essere tra i paesi più poveri del mondo e per la sua bassissima speranza di vita. Esistono certo posti migliori dove nascere; ma tutto è relativo. In qualche modo Selhoho può considerarsi fortunato: ha una famiglia, con padre, madre, fratelli e sorelle. Ha un pallone per giocare e i suoi hanno un fazzoletto di terra da coltivare. Inoltre, lui è stato adottato a distanza da una famiglia europea, e ogni mese i suoi genitori ricevono una piccola cifra per il suo mantenimento e la sua istruzione. Piccola cifra? Beh, tutto è relativo. Dal punto di vista della famiglia europea, la cifra è oggettivamente piccola: insufficiente a saldare il conto di due persone in pizzeria, inadeguata per comprare una stecca di sigarette nazionali, incapace perfino di marcare la differenza di prezzo tra un paio di scarpe così così e uno bellino. Ma dal punto di vista della famiglia di Selhoho, la cifra che arriva è grosso modo equivalente a quanto riesce a guadagnare il capofamiglia ogni mese, o poco meno. Resta il fatto che Selhoho può ragionevolmente attendersi di vivere ancora solo la metà della settantina d’anni su cui possono invece far conto i suoi coetanei occidentali; la speranza di vita in Lesotho è di 42,6 anni. D’altra parte, a voler continuare con il gioco della relatività dei punti di vista, nel suo continente imperversano di solito una dozzina di guerre (tutte accuratamente dimenticate dall’Occidente), e ci sono molti suoi coetanei che già si esercitano con i kalashnikov di legno non vedendo l’ora di passare a quelli veri; e li riceveranno davvero, nel giro di pochi mesi. Altrove, altri suoi coetanei vengono piazzati in mezzo alla strada per far fermare le macchine, così che possano essere rapinate (in tempo di pace) o mitragliate (in tempo di guerra); e gli autisti, che lo sanno, devono decidere in una frazione di secondo se fermarsi e rimanere rapinati e forse uccisi, oppure accelerare e investire il bambino. Selhoho, nella foto spedita alla sua famiglia d’adozione, guarda serio l’obiettivo e stringe il pallone di plastica. Viene voglia di augurargli di avere splendide giornate di sole, in modo da poter giocare delle gran partite sui prati dell’altipiano, in attesa dei Mondiali dell’anno prossimo che si terranno così vicino a casa sua. Ma tutto è relativo: nelle poche righe che accompagnano la foto, Selhoho racconta che quest’anno, a differenza del precedente, è piovuto tanto. E questo lo rende felice: la scarsità di pioggia dell’anno prima ha significato siccità e scarso raccolto: le precipitazioni recenti significano più cibo. Selhoho lo sa bene, e scrive che è molto contento perché grazie alla pioggia potrà mangiare in abbondanza. Tutto è relativo. Sembra che Einstein non abbia in realtà mai pronunciato la celebre frase: ma una relatività di fondo è sempre presente, in un mondo fortemente squilibrato. L’Occidente trema per la GFC, la Global Financial Crisis, e per i venti di tempesta che si sentono fischiare in tutti i palazzi del potere e della finanza. Ed è certo un pericolo reale, e non solo occidentale: la poverissima economia del Lesotho soffrirà pure essa, e con essa anche quella misera di tutta l’Africa e del sud del mondo. Senza contare che se la famiglia europea d’adozione di Selhoho dovesse perdere un posto di lavoro non potrebbe mandargli più neanche quei pochi euro al mese. La povertà è sempre più facilmente globalizzabile della ricchezza, senza relativismi. E del resto, nell’aggettivo globale c’è implicita la negazione di relativo. Però anche in questo mondo globalmente in crisi c’è sempre una gran bella differenza tra chi, guardando le nuvole cariche di pioggia, vi legge un po’ di sollievo dalla fame e chi Piero Fabbri invece ci vede solo il fastidio del fango sulle scarpe nuove. Griffate.

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Questi giovani d’oggi... Sono proprio stanca di tutto e di tutti. Ma vi sentite quando parlate? Sentite il clichè di cui siete portatori sani? Vi rendete conto, sì, che a sparare giudizi a zero siete proprio voi, giovani di ieri? Vi rendete conto del mondo in cui ci state facendo crescere? Del peso delle vostre aspettative nei nostri confronti? Guardate che lo sappiamo che è stato lo stesso anche per voi! Ma allora vi siete dimenticati come stavate male ogni volta che qualcuno vi giudicava da come vi vestivate, vi giudicava eversivo solo perché portatore sano di idee giovani? Provate solo per un attimo a tornare indietro nel tempo, non di tanto...oppure di tanto, a seconda della generazione di cui fate parte... ma non erano le stesse paure, gli stessi timori, gli stessi dubbi che magari non vi facevano dormire la notte? Quegli interrogativi che vi perseguitavano allora più assillanti di adesso... ma starò facendo qualcosa di giusto per il mio mondo?, riuscirò mai a render fieri di me coloro che si aspettano tanto dal mio futuro?, ce la farò mai ad essere felice in questa vita? Tutto perché magari quel giorno qualcuno vi aveva guardato male per una maglietta strana, oppure vi aveva ripreso con quell’immancabile evergreen che è questi giovani d’oggi... solo perchè magari ridevate troppo forte in mezzo alla strada oppure perché vi era scappata una parolaccia mentre scherzavate con i vostri amici davanti alla fermata dell’autobus. Quelle parole che vi trovate a dire nei confronti dei giovani d’oggi non erano le stesse parole sentite ripetere da genitori, insegnanti, amici e parenti che avreste non voluto sentire più o che avreste voluto far rimangiare a chi le aveva appena dette? Non erano quegli stessi sogni che vi facevano puntare in alto e che vi facevano trovare la forza adatta anche nei momenti meno propizi per riuscire ad andare avanti... per fargliela vedere voi a quelli che si permettevano di giudicarvi così! Non è grazie a questa solita ruota che il mondo va avanti? Non è forse vero che non c’è nulla di nuovo sotto il sole? L’uomo può anche evolversi, abbandonarsi senza remore al futuro e al progresso, ma la sua natura sempre quella resta! Anche il più pessimista tiene ben stretti a sé i suoi sogni, i propri desideri, il suo motore più intimo... e va avanti. Magari non sempre a testa alta, magari non facendo tutti i giorni dei chilometri, anzi, magari qualche volta facendo anche qualche bel passo indietro, ma... l’importante è non perdere mai di vista i propri sogni, i desideri più importanti, quelli che riusciranno a rendere migliore il mondo, che sia questa generazione o quella di là da venire. L’importante è non mollare mai, e in questo, se ce lo permettete, noi giovani siamo dei maestri... in qualsiasi epoca ci troviamo. Oltretutto ognuno di noi ha avuto degli esempi a cui fare riferimento, nel bene e nel male: sia stato un cantante innovativo, un parente particolarmente liberale, un amico che sapeva dove andare a parare per far uscire il meglio di noi... oppure un genitore serioso e rompi scatole come il quale non diventeremo mai!, giusto? Uso il noi per un motivo puramente matematico, ma penso che molti giovani di ieri abbiano una mentalità più aperta e una voglia di vivere più forte di molti di noi giovani d’oggi, purtroppo e per fortuna. Certo, il mondo e la sua crudeltà pazzoide ci spaventano, ci fanno rabbrividire al pensiero potevo esserci io al posto suo quando sentiamo qualche notizia scioccante, ci fanno indignare, ma è proprio qui che dobbiamo impuntarci. Il mondo è nostro. Dobbiamo migliorarlo. Lo dobbiamo fare per noi, per voi, per i ragazzi più piccoli di noi (e davanti ai quali ci sentiamo dei veterani, diversi perchè fatti con uno stampo ormai perso, visto che siamo esperti della vita ... e sottolineo il fatto che parlo anche a nome della generazione 1990 che insomma, di strada ne ha parecchia davanti!)... ma soprattutto per non sentirci in colpa quando metteremo alla luce i giovani del domani, i nostri figli. Perchè noi giovani (di ieri e di oggi... e di domani) siamo caratterizzati da tutta quella voglia di vivere che solo la crudeltà del mondo potrà arrivare a toglierci, a meno che non ci sia nessuno pronto ad aiutarci a raccogliere i pezzi dei nostri sogni dopo la prima volta che la vita li avrà infranti. Non ce la si può fare da soli: abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che sognare non è un difetto, che ci indichi la strada e ci accompagni, avendo il coraggio di lasciarci inciampare anche quando potrebbe evitarlo. Dobbiamo farlo assieme a qualcuno questo viaggio. Il mondo è di tutti. Il futuro è di tutti. La vita è di tutti. Viviamola assieme, allora, invece di non voler abbandonare i nostri ruoli da adulti o da giovani... tentar non nuoce, no? Chiara Colasanti

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Non tutti uguali

Non tutti gli immigrati sono uguali. Mariana è rumena ed è fiera di esserlo, ma rinuncerebbe alla sua nazionalità per non essere confusa con alcuni suoi connazionali che non meritano l’accoglienza che l’Italia riserva loro e, per di più, dice lei, non parlano bello degli italiani. GRAZIE, ITALIA! Se un giorno potrò cambiare la mia cittadinanza, lo farò, perché, alla domanda Da dove vieni?, sono costretta a rispondere con la testa bassa, con paura e con vergogna, a causa di tanti rumeni che si comportano male. Io e la mia famiglia siamo venuti in Italia per vivere meglio, però lavorando onestamente, non rubando o uccidendo le persone a casa loro. Siamo arrivati qui con grande rispetto per tutti i cittadini italiani che sopportano le persone straniere che vengono nella loro terra da tutto il mondo. Mio marito lavora tanto come muratore, molte volte anche di domenica, per poter pagare l’affitto e tutto quello che serve a quattro persone per andare avanti. Noi siamo contenti per tutto quello che abbiamo trovato in Italia, un lavoro, una casa e amici italiani che si sono dimostrati più che fratelli: Don Demetrio, un sacerdote rumeno della Diocesi di Terni, Suor Giovanna, la professoressa Elettra, che è come una madre per noi, e il Diacono Aurelio che è sempre stato come un padre. Noi abbiamo trovato in Italia una famiglia con un grande amore. Sapete perché? Ci siamo comportati bene e onestamente, e Dio ci ha fatto incontrare queste persone che saranno nel nostro cuore per sempre. Quando sentiamo alla TV quello che fanno i nostri connazionali che vengono a casa vostra e non portano altro che paura, mi sembra di impazzire. Questi criminali sono riusciti e riescono ancora a farmi vergognare come rumena per il loro comportamento. Ho paura di accendere la televisione, perché non voglio sentire che un rumeno ha rubato, che un rumeno ha ammazzato, che un rumeno ha violentato. Abbiamo paura anche noi dei nostri connazionali; noi non abbiamo amici rumeni, non ci fidiamo di nessuno. Ma, prima di tutto siamo preoccupati non per noi, ma per gli italiani che non possono dormire tranquilli a casa loro. Però non siamo tutti uguali. Io e la mia famiglia possiamo dire sempre: Grazie, Italia, per tutto quello che ci hai offerto, e scusa per quelli che, invece di ricambiare il bene, fanno il male. Mariana Grazie a te, Mariana Giampiero Raspetti


L’iter le tterario di Ita lo C a lvi n o Italo Calvino è stato protagonista indiscusso della cultura italiana dal Dopoguerra fino alla sua scomparsa, nel 1985. Dal suo esordio letterario, avvenuto nel 1947 con il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, fino alle pregevoli Lezioni americane pubblicate postume, egli, pur mostrandosi sensibile ed attento alle varie tendenze letterarie del momento, ha sempre teso, come tutti i grandi, a dare delle risposte autonome, mettendo in crisi le posizioni più attestate e rivendicando a sé la libertà di scelta propria del vero La Provincia di Terni intellettuale. per la cultura Per tutta la sua carriera di scrittore è passato attraverso esperienze culturali diverse, talora contrastanti, mantenendo tuttavia la costante di conservare la propria autonomia di intellettuale e di narratore-saggista rispetto alle mode e agli standard del momento specifico. Negli anni 1945-50, sotto la spinta dei problemi politici aperti in un paese che voleva crescere democraticamente, dopo la dittatura fascista e la drammatica esperienza della guerra, Calvino prende le distanze, pur orbitando nel Neorealismo, sia dall’ottimismo prospettico di una parte della cultura neorealistica che credeva nella possibilità di un riscatto della classe operaia e contadina sia dal pessimismo di scrittori come Pavese, Fenoglio, Levi ecc. che evidenziavano l’inadeguatezza del progetto ideologico-politico rispetto alla situazione reale. Questo risulta evidente nel Sentiero dove egli a soli ventitrè anni da scoiattolo della penna (Pavese) racconta la storia di iniziazione alla vita di Pin, un adolescente che una serie di circostanze costringono a partecipare alla lotta partigiana, riuscendo a fondere magistralmente il realismo del crudo e violento scenario di guerra con il simbolismo magico del mondo fantastico del protagonista. Compaiono già qui, sia pure in embrione, due componenti fondamentali della poetica di Calvino: realtà e fantasia o meglio la fantasia considerata coefficiente della ragione non come antitesi di quest’ultima. Gli anni 1950-60 sono caratterizzati da numerosi avvenimenti quali la Ricostruzione, i fatti di Ungheria del 1956, il XX Congresso del P.C.U.S. solo per citarne alcuni, di fronte ai quali la cultura e gli intellettuali, Calvino compreso, non poterono restare indifferenti. Anche in tali frangenti egli mantiene una posizione autonoma; mentre infatti in buona parte degli intellettuali di sinistra dominava il realismo come parola d’ordine, il nostro lo rifiuta, almeno come esso era stato teorizzato dal critico G. Lukacs, puntando decisamente sulla componente fantastica della sua ispirazione. Nel 1952 inizia una trilogia di romanzi terminata nel 1959 conosciuta con il titolo complessivo de I nostri antenati nei quali sono affrontate tematiche di contenuto altamente simbolico: il doppio ne Il visconte dimezzato, raffigurazione delle componenti contrastanti della personalità umana, la scelta di Cosimo di vivere sugli alberi ne Il barone rampante, metafora della condizione dell’intellettuale che ha bisogno di guardare la realtà con distacco per capirla meglio senza farsi condizionare da dogmatismi ideologici, infine la metafora di un’astratta razionalità incapace di collegarsi con la realtà concreta e destinata alla sconfitta ne Il cavaliere inesistente. Da ciò appare evidente che Calvino non ha dimenticato la realtà, ha solo mutato il punto di osservazione: ora la scruta con gli occhi della fantasia. Non a caso proprio in questi anni in seguito all’invasione dell’Ungheria rompe definitivamente con il P.C.I. Si apre una nuova fase della sua attività letteraria piena di interessanti sviluppi nella quale egli, non potendo offrire certezze ideologiche, punta sul coinvolgimento attivo del proprio lettore. Calvino appare sempre più estraneo a modelli italiani, immerso in temi esistenzial-conoscitivi; sottrattosi al progetto del Gruppo ’63, contrario al romanzo sperimentale di Sanguineti, Malerba, Pizzuto, si avvicina all’avanguardia francese al punto da stabilirsi a Parigi per un decennio. La cultura di Calvino spazia sempre più in campi diversi, dallo Strutturalismo all’ermeneutica, dalla fantasia alla fantascienza, acquistando una dimensione internazionale e collocandosi nell’ambito del Postmoderno. La sua esperienza letteraria tende ad assumere una funzione analoga a quella scientifica: progettare tutte le possibilità per individuare la strada tramite la quale l’uomo può uscire dal labirinto, tema che troviamo ripetersi in tutte le opere di questo periodo quali Ti con zero, Il castello dei destini incrociati, Le città invisibili e le già citate Lezioni americane. Pierluigi Seri Nei prossimi articoli cercheremo di esaminare più in dettaglio le fasi della narrativa dello scrittore genovese.

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Europa, pace e diritti umani con il Progetto Mandela

Comunicare, comunicare... In un mondo incentrato sull’informazione, in cui se non si fa notizia non si è nessuno, in cui ogni parola deve essere pesata per non fare scandalo, in cui la televisione ha preso il posto della conversazione e in cui i continenti si riuniscono in un click, ogni cosa, anche la più piccola, va messa a disposizione delle masse, la comunicazione diventa fondamentale. Per questo in una città come Terni, che nel suo piccolo si sente parte del grande mondo dell’informazione, per promuovere e far conoscere il Progetto Mandela, in cui da più di vent’anni crescono ragazzi consapevoli dei Diritti Umani, c’è bisogno di un gruppo che si occupi di comunicare. Il laboratorio di comunicazione (il nome parla da sé) in solo due ore ogni settimana fa il punto della situazione di cosa Terni, e non solo, deve sapere: quando ci sarà il prossimo evento promosso dal progetto, di cosa si occupano gli infaticabili laboratori nel lungo cammino che li porterà allo spettacolo finale. Parla di giovani, di conseguenza deve sapere sfruttare tutti quei mezzi di comunicazione che le nuove generazioni usano, non solo la carta stampata, che, cosa strana da scrivere su un giornale, sta diventando obsoleta, ma anche la radio e Facebook, il tanto discusso e ammirato Facebook, che fa un baffo alla Carrà che riunisce e ha fatto ritrovare compagni di scuola e vecchie amicizie, che ha quasi sostituito ogni altro mezzo d’ informazione. I ragazzi di comunicazione si occupano delle pubbliche relazioni, di scrivere comunicati stampa, articoli per i giornali e le note su Facebook, ripercorrono la settimana di lavoro del progetto ogni venerdì in radio e fanno ciò che quasi tutti i ragazzi timidamente evitano di fare, interviste, riprese, mettere in onda la propria voce, firmare articoli. I più grandi ringraziamenti vanno a chi questo mestiere lo fa e ha avuto voglia e tempo di venircene a parlare, dell’amoreodio per il lavoro, del metodo, dei trucchi e delle difficoltà, che ci ha dato consigli illuminanti: Walter Patalocco, Gigi Scardocci e Giampiero Raspetti. Tutto il Progetto deve ringraziare il gruppo per il duro lavoro di questi 5 mesi e si augura che tutti voi abbiate imparato qualcosina in più su quest’associazione. Speriamo fortemente che l’anno prossimo si possa formare un gruppo altrettanto affiatato e comunicativo. Grazie a tutti: Maria Laura, Diletta, Chiara, Giulia, Irene, Lorenzo, Marco, Giacomo, Edoardo, Giovanni, Lorenzo. Vi ringrazio anch’io e ora credo di poterlo dire, abbiamo comunicato proprio bene. Una di voi... Sophia Loesch Onofri

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Il gruppo di comunicazione del Progetto Mandela, che si occupa di comunicare all’esterno le tematiche trattate e le attività svolte nei laboratori, ha recentemente collaborato con la Tavola della Pace, associazione che si occupa di promuovere pace e diritti umani a livello nazionale, allo scopo di promuovere una campagna pubblicitaria volta all’avvicinamento dei giovani all’Europa, anche in vista delle prossime elezioni politiche del 6 e 7 Giugno. La campagna è rivolta ai giovani di tutta Italia; stanno sorgendo in varie città dei gruppi di comunicazione simili a quello del Progetto per promuovere questa iniziativa. Per il giorno 8 maggio è in programma un meeting ad Assisi a cui parteciperanno giovani e scuole da tutta la penisola per riflettere sull’Europa, sulla pace e sui diritti umani. Sono proprio questi i temi che si sono voluti far convergere nella campagna pubblicitaria elaborata dal gruppo di comunicazione e dai rappresentanti della Tavola della Pace: nei 4 incontri è stato fatto un vasto brain-storming sui concetti di pace, Europa e diritti umani, al fine di trovare idee concrete per la rappresentazione di un logo. È stata anche un’occasione di riflessione sulla grande disinformazione dei giovani sul tema Europa e sulla scarsa fiducia che questi ripongono negli organi istituzionali europei. Il confronto ha portato alla creazione di un logo che rappresenta le stelle della bandiera europea che si trasformano in colombe della pace che si alzano in volo, mentre lo slogan recita Stelle di Pace. Per i mesi di aprile e maggio è in cantiere un programma radiofonico curato dal gruppo di comunicazione in collaborazione con altri giovani di altre città, che tratterà appunto il rapporto dei giovani con l’Europa, il loro grado di conoscenza su questo argomento e le loro proposte e i loro propositi. Giovanni Agostini, Edoardo Santoni, Giacomo Ranieri

Intervista al regista

Marco

Austeri A cura di Lorenzo Boccolini

Il gruppo comunicazione di Progetto Mandela ha incontrato il regista Marco Austeri per parlare dello spettacolo conclusivo dei laboratori di Progetto Mandela. Lorenzo Di che cosa tratta lo spettacolo di quest’anno? Marco Lo spettacolo tratta i movimenti giovanili del ‘900 a partire dalla resistenza in poi, momenti storici in cui i ragazzi si sono riuniti per lottare contro il sistema, contro la dittatura, per cambiare uno stato sociale o di costume come nel ‘68 o nel ‘77, fino ad arrivare al G8 di Genova in cui si è messo in discussione un ordine economico mondiale. L Come è strutturata la storia? M Non possiamo parlare di una storia vera e propria. Lo spettacolo è strutturato in quadri e tratta sia i momenti storici, come detto prima, ma anche la storia di un’amicizia di due ragazzi di oggi che diventa filo conduttore. Tuttavia, lavorando allo spettacolo, ci siamo accorti che trattando l’impegno giovanile si parlava solo di grandi masse e l’individuo rimaneva in secondo piano. Perciò, attraverso la storia di questi due ragazzi, abbiamo deciso di raccontare quello che mancava, ovvero che questi movimenti di massa sono fatti da persone che prima di iniziare un impegno politico hanno bisogno di una crescita individuale. Nello spettacolo vedremo le tappe fondamentali di questa crescita nei due amici. L Hai accennato alla musica, qual è la sua importanza nello spettacolo? M La musica ha un’importanza fondamentale, come dicevo prima. Abbiamo scelto delle canzoni importantissime per la storia della musica, i The Clash, gli Area, gruppi che hanno interpretato istanze portate avanti dai giovani nei vari momenti storici. La musica quindi non è solo colonna sonora, ma è portante per i vari contenuti dello spettacolo. Partendo da un testo di una canzone dei Litfba Il vento, abbiamo addirittura tratto un monologo con cui apriamo la scena di Tienanmen. L Il titolo dello spettacolo è ONDE, da dove deriva? M Questo titolo deriva dal nome del movimento studentesco del 2008, delle varie occupazioni Onda. Questo nome ci è piaciuto anche perché rende l’immagine dei movimenti che si sono susseguiti nel corso degli anni, come se ci fosse un’onda che ogni tanto torna alta nei momenti in cui è necessario che soprattutto i giovani si mettano insieme e combattano. L Quale è stato il lavoro del gruppo di drammaturgia? M Il gruppo di drammaturgia non ha scritto un testo vero e proprio, ma una struttura aperta che permettesse di lavorare senza limiti, mettendo dentro tutte le idee che venivano, lasciando liberi in questo modo tutti i vari gruppi di fare lo stesso lavoro che abbiamo fatto noi, sfruttare quindi l’improvvisazione nel gruppo di recitazione e stimolare le idee del gruppo di scenografia. E’ un lavoro che torna perché anche gli altri gruppi sono autori dello spettacolo, quindi è un susseguirsi di idee che continuamente si concatenano. Come punto di partenza abbiamo scelto delle immagini che sono simboliche per determinati periodi, per esempio piazza Tienanmen, il ragazzo che con una mano ferma il carro armato. Per Genova abbiamo scelto le mani della rete Lilliput, che sfilava nei cortei con le mani alzate pitturate di bianco ed è stato uno dei tronconi del corteo colpito più duramente. L Quali differenze ci sono rispetto allo spettacolo dell’anno scorso? M Tante, a partire dai contenuti. Ci sono però molte analogie riguardo al metodo di lavoro utilizzato. L’anno scorso abbiamo imparato tanto e quest’anno abbiamo continuato a seguire quel filone, forti di un’esperienza di un anno in più. L Per concludere, chi ha collaborato con te alla realizzazione di questo spettacolo? M Tantissime persone, Simone Mazzilli e Luisa Contessa alla messa in scena con Claudia Monti all’elaborazione del testo e dell’organizzazione generale; poi Roberto Melchiorri, Michele Meschini, Donatella Calamita, Marcello Ricci, Irene Loesch, il Progetto Mandela nel suo complesso, ma in realtà è difficile delineare i ruoli di tutte le persone, perché è un lavoro di gruppo e quindi è anche sbagliato parlare di collaboratori, perché siamo davvero un gruppo forte che porta avanti la carretta.


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L I C E O NARNI

S C I E N T I F I C O

N a n o t u b i ...Se comprendere vale farsi un’immagine, noi non ci faremo mai un’immagine di un happening la cui scala è il milionesimo di millimetro, il cui ritmo è il milionesimo di secondo ed i cui attori sono per lo più invisibili… Questa frase di Primo Levi, tratta da Il sistema periodico, ci riporta indietro ad tempo recente in cui sembrava impossibile solo poter immaginare oggetti della dimensione dei milionesimo di millimetro. Oggi a qualche decennio di distanza sempre più frequentemente si sente parlare di nanotecnologie, una nuova scienza interdisciplinare che porterà significativi cambiamenti nella nostra vita in un prossimo futuro.

Nanotecnologie in campo medico Le nanotecnologie possono essere utilizzate per la diagnosi di malattie genetiche e quindi anche per l’applicazione di terapie adeguate. La ricerca si sta orientando verso l’utilizzazione di oggetti le cui dimensioni si aggirano intorno al miliardesimo di metro, per diagnosticare malattie e portare farmaci e geni in specifici punti del nostro corpo. I nanorobot per esempio possono viaggiare nei vasi sanguigni, portando medicinali che vanno a colpire solo le parti malate; inoltre possono pulire le arterie ostruite e analizzare una cellula malata. La medicina sta già utilizzando strumenti come le microbolle e gli ultrasuoni: mediante il fenomeno di riflessione degli ultrasuoni si ottengono le ecografie, molto utili per la diagnostica medica, mentre le microbolle interagiscono con il fascio di ultrasuoni affinché gli echi di ritorno possano risaltare meglio. Se esposte ad ultrasuoni di ampiezza sufficientemente elevata, le microbolle potrebbero scoppiare e rilasciare farmaci o geni all’interno di cellule e tessuti. Ciò sarebbe possibile grazie all’interazione fra i ligandi presenti sulla superficie delle microbolle e i recettori delle cellule: i ligandi infatti permettono alle microbolle di legarsi solamente con la cellula che ha il recettore specifico. Il rilascio del farmaco per mezzo delle microbolle avviene grazie a dei buchi transitori sulla membrana cellulare indotti dall’azione meccanica degli ultrasuoni o anche per un aumento della fluidità della membrana stessa. E’ possibile inoltre ridurre i coaguli vascolari che causano la trombosi: essendo a conoscenza del tipo di recettori presenti sulle piastrine, basterebbe creare delle microbolle contenenti ligandi specifici per tali recettori, in modo che possano legarsi al trombo e trasportare agenti trombolitici. La lisi sarebbe accelerata anche dalla contemporanea esposizione agli ultrasuoni. Emanuela Nevi VC

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Nanotecnologie... infinito mondo da scoprire Da qualche anno a questa parte se guardiamo un telegiornale, ascoltiamo la radio o leggiamo riviste e quotidiani, spesso veniamo a contatto con il mondo delle nanotecnologie. Ma, chiariamoci le idee… Con nanotecnologie s’intende la capacità di osservare, misurare e manipolare la materia su scala atomica e molecolare. A questi livelli di dimensioni, comportamenti e caratteristiche della materia cambiano drasticamente e, attraverso lo sviluppo tecnologico a livelli nanometrici, la scienza ha ottenuto materiali, strutture e dispositivi con proprietà e funzionalità migliorate o del tutto nuove. Le nanotecnologie operano partendo da molecole, o aggregati di molecole, controllandone l’assemblaggio per realizzare finalmente le nanostrutture, che in fin dei conti sono aggregati molecolari in cui almeno una delle tre dimensioni dello spazio presenta un valore a livello nanometrico. Uno degli elementi chimici più utilizzato nel campo nanotecnologico, è il carbonio. Esso, infatti, ha numerose possibilità di combinazione con gli altri atomi del suo stesso tipo; in questo modo oltre alle strutture di grafite e diamante, le più comuni e utilizzate, il carbonio può strutturarsi sottoforma di fullereni e nanotubi. Queste due strutture sono state scoperte negli anni ’90 casualmente da un ricercatore giapponese il cui nome è sconosciuto alla maggior parte di noi, ma che vale la pena di nominare, Sumio Iijima. Ma analizziamo meglio le diverse combinazioni del carbonio.

La grafite, che troviamo nelle comuni matite, è formata da atomi disposti a nido d’ape in strati sovrapposti l’uno sopra l’altro. Dai fogli di grafite ripiegati su sé stessi nascono i famosi e utilissimi nanotubi di carbonio. Il diamante, invece, famoso per il suo valore economico, deve la sua durezza al fatto che ciascun atomo di carbonio si lega ad altri quattro atomi in una struttura tetraedrica. I fullereni, infine, sono molecole contenenti atomi di carbonio, disposti a forma di gabbie, la cui curvatura è dovuta alle forme esagonali e pentagonali create dai legami chimici (praticamente somigliano molto a un pallone da calcio). Le strutture dei fullereni e dei nanotubi rappresentano una delle innovazioni più interessanti per le scienze moderne, che già in molti campi stanno dando prova dei loro infiniti vantaggi e proprietà. La nostra speranza risiede, come in tutte le scoperte scientifiche, negli scienziati e nelle loro coscienze, affinché utilizzino il mondo delle nanotecnologie per scopi utili all’umanità intera. Il mondo delle nanotecnologie è vasto e interessante e difficile da riassumere in poche parole, ma questo è solo una pulce che vi lascio nell’orecchio, che magari risveglierà la vostra curiosità a proposito delle nanotecnologie, un infinito mondo di possibilità tutto, o quasi, da scoprire. Maria Schiaroli VA

Nanotubi tra presente e futuro, tra scienza e fantascienza Le straordinarie proprietà di queste piccolissime strutture di carbonio, fanno sì che le loro applicazioni possano essere studiate in molti ed estremamente diversi settori. Le principali proprietà vengono divise in tre gruppi: meccaniche (alta resistenza a trazione e compressione, elevata flessibilità), elettriche (alta densità di corrente per area trasversale, conducibilità elettrica variabile; infatti queste strutture, al variare delle condizioni alle quali vengono sottoposte possono diventare conduttori, superconduttori o semiconduttori), magnetiche (posseggono anche un’alta conducibilità magnetica). Questo quadro, molto semplificato, riesce sicuramente a far comprendere l’enorme duttilità e possibilità d’impiego dei nanotubi di carbonio, infatti attualmente si stanno conducendo degli studi per eventuali loro applicazioni meccaniche, elettriche nonché mediche. Sicuramente l’utilizzo che può essere ritenuto più fantascientifico, tra i tanti, è quello che vede i nanotubi di carbonio usati per la costruzione di un ascensore che potrebbe collegare la Terra e la Luna. Questa applicazione sfrutta il fatto che i legami di tali strutture sono i più forti esistenti in natura, ciò comporta un’alta resistenza meccanica. Sfruttando le proprietà elettriche, invece, gli esperti potrebbero riuscire a costruire strutture per far passare corrente senza bisogno di utilizzare enormi cavi che ingombrano l’ambiente. A mio avviso, le più importanti e socialmente utili sono le applicazioni in campo biomedico. Con i nanotubi sarà possibile produrre ossa artificiali, si potranno ricostruire circuiti nervosi danneggiati da traumi, produrre componenti di protesi insensibili all’usura, si potranno costruire navicelle di nanotubi per trasportare i farmaci direttamente dentro una cellula cancerosa. La proprietà più importante per le varie applicazioni è infatti la dimensione dei nanotubi; pensate che sono addirittura più piccoli di una cellula e infatti, ad esempio, sarà possibile debellare un tumore senza utilizzare tecniche invasive ma riuscendo ad uccidere unicamente la formazione tumorale introducendo in essa, tramite nanostrutture, il medicinale curante… INCREDIBILE! Giacomo Taddei VA


LICEO CLASSICO

Libertà dal dolore

Eutanasia: buona morte. Ma fino a che punto tale significato etimologico è da considerarsi veritiero? Fino a che punto può essere buona la morte? Morte come risoluzione di ogni significato, liberazione finale, baratro oscuro o apertura salvifica? L’Eutanasia, nelle sue molteplici accezioni e implicazioni, costituisce una delle più sentite e controverse problematiche esistenziali, perché investe l’uomo con tutta la sua drammaticità, costringendolo spietatamente a misurarsi con le più alte domande di senso (il senso della vita e della morte, del dolore e della libertà), domande la cui formulazione è spesso inibita dall’apparente vitalismo dell’odierna società tecnologica che minaccia di offuscare il significato del limite: limite della vita, limite del campo di azione e speculazione dell’intelligenza umana. Qualsiasi risposta riguardo alla liceità della pratica dell’eutanasia si preannuncia di enorme complessità etica, filosofica ed esistenziale anche in virtù dei risvolti giuridici delle sue implicazioni. Tuttavia, se si parla di eutanasia, allora non si può prescindere dal tema della vita come dono o come dato di realtà la si G . C . TA C I T O voglia considerare. Quando la vita è vita; come e a quali condizioni questa va tutelata? Se la vita non è definita dall’esistere, ma dalla libertà dell’essere, dalla coscienza di sé e non dal regolare svolgimento dell’insieme delle funzioni biologiche, quale potrebbe essere il fine ultimo di una vita ridotta a sopravvivenza? Costretta nei limiti troppo angusti di un’esistenza priva di autonomia e dignità, scandita da continue sofferenze? Quale potrebbe essere il senso dell’accanimento terapeutico su un corpo stremato dalla fatica di esserci senza poter essere davvero, esprimendo l’autenticità di un Io? Appare, pur in tutta la complessità e la delicatezza di una realtà drammatica, più umano, più pietoso, nella sua atroce spietatezza, lasciare che la natura umana compia il proprio corso, affrancando l’essenza umana in una liberazione catartica dal dolore. Sembra invece assai più difficile accettare, tanto sul piano etico, quanto su quello umano, la liceità di un’eutanasia attiva, anche nella variante del suicidio assistito, come pratica volta a procurare la morte, tramite somministrazione di farmaci letali. Se, infatti, l’eutanasia attiva costituisce una prospettiva estrema per la razionalità umana, perché implica un coinvolgimento attivo, immediato, diretto nella morte di qualcuno da parte di qualcun altro, pure in presenza di testamento biologico, tuttavia, si deve ammettere che la vita non è superiore alla morte ad ogni costo, che la morte, senza farne un’astratta e cruda apologia filosofica, non assume con necessità il colore di un’angosciosa caduta nel nulla se la si accetta nel mistero insondabile della sua eterna domanda. Domitilla Lattanzi 2° PN

Eu-tanasia Sì alla fine della non-vita

E’ difficile assumere una posizione netta ed univoca dinanzi ad un problema tanto dibattuto come quello dell’eutanasia, sia per la complessità e la gravità dell’argomento, sia per la peculiarità di ogni singolo caso. La storia è stata spettatrice di innumerevoli episodi di richieste della buona morte; soltanto per richiamare l’attualità più recente citiamo nomi come Piergiorgio Welby, Terry Schiavo, Eluana Englaro. In ogni circostanza in cui si è presentato il problema si sono espresse sulla questione migliaia di voci dalle opinioni divergenti. Quando, infatti, il confine tra la vita e la morte diventa labile ed entrano in gioco forze quali il dolore, la perdita della propria dignità e di se stessi, quando l’esistenza appare priva di senso, affiorano le più grandi paure dell’uomo, questi si affaccia su tenebre ignote e brancola nel buio, incapace di trovare una risposta alle sue domande. Diviene facile smarririrsi in un intricato labirinto di battaglie etiche, lotte per i princìpi, che spesso incontrano contraddizioni in sé, degenerano, giungono al paradosso e perdono ogni senso. Tuttavia, l’eutanasia intesa come attuazione della richiesta conscia e consapevole, da parte di un malato inguaribile, di porre fine alle sue sofferenze fisiche con una morte indolore, dovrebbe essere ammessa dalla legge, come già da alcuni anni avviene in altri paesi come Olanda ed lnghilterra. Infatti ogni convinzione morale, ogni appello ad antichi valori e princìpi religiosi, non può che impallidire e venir meno di fronte al malato che invoca, tormentato da dolori fisici irrimediabili, la possibilità di porvi fine. Se il paziente non può guarire la reale violenza è prolungare testardamente le sue sofferenze, costringerlo a patire ancora: sarebbe crudeltà continuarlo a guardare freddamente soffrire, somministrandogli impassibili l’ennesima dose di farmaci. Acconsentire a staccare la spina in condizioni estreme, non sarebbe, al contrario, che dare aiuto alla persona malata, ascoltare il suo appello ultimo. In nome di cosa, infatti, si dovrebbe insistere nell’accanimento terapeutico in circostanze limite? In virtù della dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale risponde il pontefice Benedetto XVI; ma, come rileva Pier Giorgio Welby nella sua lettera aperta al presidente Napolitano, cosa c’è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l’ausilio di respiratori artificiali? Questa non è vita. Quale dignità della persona rimane nel suo annullamento completo e irreversibile? Praticare ì’eutanasia significherebbe, in tale quadro, rispettare non soltanto il fondamentale diritto alla dignità umana, ma anche il naturale corso della vita e della morte, dinanzi al quale l’uomo non può nulla. L’eutanasia non è un omicidio né un suicidio; infatti lo sarebbero l’omissione di cure che potrebbero salvare il malato, mentre non lo è desistere dall’ostinata somministrazione di terapie incapaci di guarirlo. In tal modo, dunque, si giustifica la forma passiva dell’eutanasia, ovvero la mera sospensione delle cure. Ma poiché la differenza tra questa e quella attiva, cioè la somministrazione di una dose letale di farmaci, non è che di tempo, fare distinguo è pura ipocrisia. Pertanto si legittima di conseguenza anche quest’ultima. Ora, qualcuno potrebbe obiettare che così si renderebbero leciti anche l’omicidio o il suicidio di un individuo affetto da dolori morali, depressione, di chiunque soffra dal punto di vista psicologico e che allora l’uomo diverrebbe in grado di disporre arbitrariamente della vita e della morte. Ma cio’ non e affatto vero, in quanto la decisione di morire non deve essere lasciata alla libera scelta dell’interessato o di altri, ma rigorosamente regolamentata da leggi, che la ammettano solo ed unicamente in casi di presenza, nel malato, di oggettive ed incurabili sofferenze fisiche, nonché previa richiesta conscia e consapevole del paziente, o, nel caso che questi si trovi in coma cerebrale o stato vegetativo, di chi ne fa le veci. Allora l’eutanasia si presenta come un atto di umanità e rispetto verso la persona, la quale deve essere anteposta ad ogni altro principio di scienza o di fede. Marta Filidei 2° PN

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Gian Car la Boz z o

Frammenti di vita Gian Carla Bozzo, nata a Terni nel l966 e laureata in ingegneria elettronica, convive con la sclerosi multipla dal 1995. Nel piccolo libro Frammenti di vita, tratta dei temi grandi senza alcun atteggiamento paternalistico. Recuperando nella memoria delle istantanee del proprio passato e raccontando aneddoti in apparenza anche poco significativi ma simili a quelli che ognuno si porta dietro come ricordi per tutta la vita, senza saperlo Gian Carla ci svela un segreto. Ci suggerisce l’atteggiamento, generalmente messo a tacere dall’insoddisfazione cronica tanto diffusa e contagiosa, che permette di prendere la vita per il verso giusto: l’ironia. Che c’è di ironico in una malattia inesorabile come la sclerosi multipla? Quello che di ironico si riscontra in ogni vita: per esempio in Disavventure in Brasile l’autrice parla di un viaggio che si trasforma in avventura per una serie di contrattempi, in Il primo bacio… mancato di un’aspettativa delusa, che mostra quanto un desiderio possa, nella nostra mente, rimodellare la realtà e dipingerla in modo molto più attraente di quella che in effetti è. Non si sorride, forse, degli equivoci, dei paradossi? Nell’immaginare un dialogo tra una nonna di novantadue anni convinta che la nipote non le risponda perché è vecchia, mentre Gian Carla stessa ha problemi nel parlare. La linearità e la semplicità del testo nascono da un lavoro faticoso: Gian Carla ha scritto letteralmente con la testa, utilizzando un computer dotato di ausili, al ritmo di quattro - cinque righe ogni ora e mezza. La sua grande conquista personale nell’aver creato quelle pagine impreziosite dalle vivaci illustrazioni di Beatrice Botondi, in realtà non è così importante come quella di chi le legge: la conquista di riuscire a capire che bisogna reagire e apprezzare. Gian Carla è in grado di raccogliere le forze per rialzarsi da una caduta, così come sa assaporare appieno il gusto di un momento felice, anche il più apparentemente banale. Il pensiero comune e l’evidenza dei fatti dicono che essere in parte o completamente non-autosufficienti vuol dire avere bisogno dell’aiuto degli altri per compiere anche i gesti più semplici. Chi può negarlo? La stessa realtà vista da un’altra prospettiva mostra esattamente il contrario: chi convive con una malattia e vive con intenzione e intensità ogni singolo momento della propria vita prende idealmente sottobraccio chi può agire autonomamente, ma spesso è passivo; chi aiuta chi, in definitiva? L’autrice ha deciso di donare all’associazione ONLUS Neurothon il ricavato della vendita del suo libro, per contribuire alla sperimentazione con cellule staminali portata avanti dal direttore scientifico Angelo Vescovi, per la terapia di malattie neurodegenerative. Vita sarà comunque, profumata e colorata solo diversamente profusa solo diversamente afferrata. Beatrice Ratini Non lasciatevi sfuggire i Frammenti di vita di Gian Carla Bozzo e gli splendidi disegni di Beatrice Botondi. Ringrazio invero Gianna Durastanti, titolare della Libreria Alterocca, e la sua premura-pressione per la pubblicizzazione, da me effettuata con entusiasmo, del presente, pregevolissimo volumetto.

Claudio Ligaboschi, il protagonista di questo romanzo, è un sequestrato che - trovandosi libero - non si consegna all’inquirente, alla stampa, agli inquisitori di ogni tipo e al rituale abusato in ogni sequestro. L’idea gli ripugna e ingaggia una lotta, senza esclusione di colpi, contro chi ha organizzato il suo rapimento. Quel suo nemico multiforme, consapevole di averlo lasciato vivo, agisce contro di lui tramando dai suoi oscuri e molteplici meandri. L’uno contro l’altro, conducono una lotta azzardata, incessante, con colpi di teatro inattesi, manovre diversive spietate o arrischiate che si succedono in scenari dominati da rovesci continui determinati dal caso. Claudio Ligaboschi, nonostante appaia un personaggio contraddittorio, utilizzando una disciplina ferrea di ragionamento, il Rasoio di Occam, taglia impietosamente le piste incongruenti che gli si aprono, le ipotesi assurde che gli si profilano e perviene alla scoperta del vero. Il Rasoio di Occam, concepito nel Trecento dal frate filosofo William of Ockham per semplificare le dispute filosofiche, oggi è posto alla base del pensiero scientifico moderno. L’autore del romanzo lo impiega come espediente narrativo per dipanare la sua avvincente vicenda di fiction. La storia si innesta su un sequestro di persona che si palesa fin da subito per quello che è, cioè una tipologia delinquenziale arcaica quanto è incongruo il disposto giuridico che la disciplina. Poi si scopre connessa a trame e vicende legate al riciclaggio del denaro sporco e all’economia del malaffare, gestita anche attraverso Internet e le reti telematiche nei paradisi finanziari offshore. In questa prospettiva, l’autore si muove con disinvoltura rischiando persino di trasformare alcune pagine del suo noir in un vero e proprio baedeker dell’illecito. Così di quel sequestro di persona non rimane che la custodia dell’ostaggio affidata a gruppi marginali, mentre individui insospettabili e insospettati, operano nei quartieri alti degli affari. Un libro in cui dominano temerarietà, ma anche coraggio e amore. Una storia avvincente che si legge d’un fiato nella quale con gli attori principali s’intrecciano anche comprimari e comparse disegnati a tutto tondo, talvolta anche divertenti. Gli scenari prevalenti sono quelli del Centro Italia, che l’autore mostra di conoscere bene, e una Milano dalla quale viene, ma che forse non ama più tanto. Egidio Pentiraro collabora di tanto in tanto a La Pagina, ha pubblicato diversi saggi nel settore dell’informatica, è autore di numerosissimi articoli e ha ideato serie televisive educative che lo hanno reso noto negli ambienti della stampa del settore tecnologico e didattico. Tra le sue opere ricordiamo il recente On & Off - Interviste virtuali al computer, edito da Mondatori e A scuola con il computer e Computer è facile, due autentici bestseller, pubblicati da Laterza, che hanno avuto diverse edizioni in alcuni club del libro e traduzioni in varie lingue.

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S i l v i a

I m p e r i

Quando mi chiamerai donna è un progetto di Silvia Imperi. Un gruppo di donne s’incontra periodicamente e si confronta su testi letterari di epoche e nature varie. Si lascia suggestionare dalle parole lette, per riscoprire ruolo, individualità, corpo, sensibilità. Racconta i propri disagi, trovando in essi spunto per attivare un confronto più concreto sui saperi di genere. Quando mi chiamerai donna è l’inizio di un percorso per affrontare insieme ad altre donne l’urgenza di essere presenti, che non è solo quella di analizzarsi come singolo, come gruppo social-politico o come vittime di violenza, ma è quotidianità compressa, isolata, poco raccontata. silviaimperi@yahoo.it silviaimperi85@gmail.com

Moira Pucci si è affacciata da poco alla ribalta dell’Arte ternana, dimostrando un già solido possesso delle tecniche espressive ed una non comune sensibilità nel trattare, trasfigurandolo in chiave espressionista, il soggetto prescelto. Tecnica e poesia si fondono insieme in un tutto armonico che lascia prevedere una vocazione autentica per le cose dell’arte. Prof. Paolo Cicchini Donna classica, pittrice di un tempo che sembra essersi fermato sotto una campana di vetro. Elegante tavolozza fiamminga, surrealismo personalizzato. Le sue donne, silenziose nella propria sofferenza, esprimono una femminilità travagliata, contemporanea nel racconto sofferto di un dolore cosmico. Maestro Igor Borozan

Terni, Palazzo Primavera. Mostra personale Quando il corpo riflette l’Anima. All’interno del progetto Quando mi chiamerai donna di Silvia Imperi.

M o i r a

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Il ritorno - antieconomico del nucleare

Stupisce che, nel momento in cui il presidente Barack Obama delinea un piano decennale per la riconversione energetica degli USA, dando assoluta priorità a eolico, solare, metano e carbone pulito, chiedendo l’assoluta messa in sicurezza delle centrali nucleari esistenti, implementando l’efficienza del sistema e riducendo gli sprechi, l’Italia vada in direzione opposta. Anziché andare a scuola dalla Nuova America, da noi si annuncia il ritorno al nucleare, esattamente come l’Iran e la Cina, gli unici Paesi al mondo intenti a riprendere da zero una tecnologia da tempo in mani straniere e su cui il dibattito non avrà mai fine, non solo per i rischi insiti in un’opzione del genere, ma anche per i costi della materia prima: infatti, l’andamento dei prezzi dell’uranio registra da anni una forte crescita e smaltire le scorie -

dove? come? - comporta prezzi sempre più alti. Quanto ai pericoli, dovrebbero bastare gli allarmi recenti proprio dalla Francia, dalla Slovenia o dal Giappone per attuare hic et nunc quel principio di precauzione che dovrebbe orientare ogni politica pubblica. La domanda poi è: dove si faranno le quattro nuove centrali che il Governo italiano vorrebbe? Ancora mistero. Forse non tutti sanno che, proprio in questi giorni, nello Stato Americano dello Utah si discute dell’arrivo di 20.000 tonnellate di scorie nucleari dall’Italia. Poiché non sappiamo dove metterle - nemmeno in Europa - si sta tentando di smaltirle negli Stati Uniti, ove si moltiplicano le iniziative per bloccarne l’afflusso, compresa una legge da far passare al Congresso. Ecco, anche su questo sarebbe bene che i politici tutti - e, specialmente, i candidati a sindaco informassero la pubblica opinione, comunicando senza infingimenti dove intendono stare: se con le lobbies del ritorno - antieconomico - del nucleare o dalla parte dei nuovi indirizzi per la sostenibilità ambientale e produttiva, anticipati da Barack Obama. Andrea Liberati andrealiberatius@gmail.com

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INTERNET? Per i politici è il peggiore dei mali! Può sembrare un’affermazione esagerata, specialmente se si pensa al comune sentire di qualche tempo fa, quando la rete era continuamente osannata da tutti gli schieramenti: tuttavia è questo il messaggio predominante che emerge dai giornali e da alcuni programmi televisivi. Giorno dopo giorno la rete è dipinta come preda di pedofili, piena di pornografia, in cui usurpatori del diritto d’autore, mafiosi e perfino terroristi hanno ormai il controllo del mezzo. Anzi, spesso il fatto che sia presente su internet qualcosa di negativo diventa, nell’immaginario collettivo, più grave del fenomeno stesso: siamo al paradosso che nelle scorse settimane sembrava più grave la presenza di gruppi su Facebook inneggianti a Riina e ai Casalesi, che l’esistenza stessa di mafia e camorra, le cui efferatezze sono ormai relegate per triste consuetudine a notizie di cronaca! Il grande problema è che, salvo pochi casi illuminati, una buona parte della classe politica e dirigenziale italiana ha una età anagrafica che gli impedisce di comprendere a fondo il mezzo e ora lo minimizza, ora lo demonizza a seconda di come tira il vento, facendo grandissime aperture seguite da brusche frenate. In realtà è del tutto evidente che internet è un mezzo, anzi sta ormai diventando il mezzo di comunicazione, e come tale può veicolare messaggi e contenuti di tutti i tipi, certamente in alcuni casi anche negativi. Eccettuati i reati gravi che sono ovviamente perseguibili dalla Magistratura, sta a chi fruisce dei contenuti fare la scelta giusta o impedire che i propri figli minori accedano a immagini, video e testi non adatti per loro. Il necessario controllo deve essere esercitato dall’utente

finale e non può essere delegato a terzi, prima di tutto per le grandissime difficoltà tecniche per effettuare un controllo preventivo di così vaste dimensioni. E anche ove fosse possibile, mai questo controllo dovrebbe essere affidato al Governo in carica, altrimenti, con molte probabilità, esso si trasformerebbe in censura, potendo arrivare agli estremi di paesi come la Cina che non hanno alcuna libertà di espressione anche sulla rete. Oggi internet è qualcosa che ingloba tutti gli altri media, dalla carta stampata alla radio alla televisione, aggiungendo incredibili possibilità di ricerca, ma è soprattutto la possibilità per l’utente finale di interagire avviando una conversazione con chi ha pubblicato il contenuto così come con gli altri utenti che hanno condiviso con lui la fruizione stessa. Ed è perlomeno legittimo il sospetto che, in tempi di opinione pubblica quasi lobotomizzata da una tv ai minimi storici dal punto di vista della qualità e da giornali perlopiù controllati da interessi estranei al giornalismo, questa voglia di controllare il mezzo sia generata dal timore di buona parte della classe politica di avere dei cittadini informati e partecipi, più che dalla volontà di tutelarli. Quello che spaventa è l’interattività e la capillarità di internet, la cui diffusione aumenta di giorno in giorno

anche grazie a canali essenzialmente di svago, che tuttavia stanno contribuendo ad ampliare in maniera incredibile la base degli utenti che interagiscono tra loro. Una prova? Solo nelle prossime settimane saranno in discussione in Parlamento proposte di legge e decreti che prevedono di mettere gli internet provider sotto il controllo del Ministero dell’Interno invece che della magistratura (On. D’Alia), impedire il download anche per uso personale (On. Carlucci), bandire i contenuti anonimi (On. Barbareschi), mettere sotto controllo YouTube e siti similari, intercettare le chiamate telefoniche via internet, impedire il download di contenuti protetti dal diritto d’autore, cosa che deve essere certamente tutelata ma in forme diverse, perché ci si dimentica del fatto che le norme in vigore sono state pensate a metà ottocento, in un mondo che non esiste più. Come chiunque lavori utilizzando la rete ben sa, internet è una opportunità di crescita e una immensa risorsa, dal punto di vista economico così come dal punto di vista democratico. Internet è la più grande invenzione del secolo scorso, non lo ha detto Bill Gates o un famoso blogger, ma Rita Levi Montalcini: difendiamo dunque la rete e non abbassiamo la guardia. Alberto Ratini

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Alcuni attestano che Talete fu il primo a coltivare l’astronomia ed a predire le eclissi solari ed a fissare i solstizi d’inverno.

Il mese scorso spiegavo perché l’ONU ha definito il 2009 Anno Internazionale dell’astronomia e in che misura la nostra Associazione si sarebbe impegnata per organizzare un nutrito programma divulgativo. Ecco in dettaglio le nostre iniziative: Aprile Venerdì 24 - ore 21.30, S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio Maggio IL CIELO E LA TERRA: INCONTRI DI PRIMAVERA Quattro appuntamenti che si terranno presso la Sala Laura, Via Carrara, 2 alle ore 17.30: Mercoledì 6 - Il cielo di Galileo: le prime osservazioni del cielo con un cannocchiale. Giovanna Cozzari - A.T.A.M.B Mercoledì 13 - La Luna - Paolo Casali - A.T.A.M.B Mercoledì 20 - In Viaggio nel Sistema Solare: mondi vicini non più tanto sconosciuti Sergio Bacci- A.T.A.M.B. Mercoledì 27 - Le ore e le ombre: meridiane e orologi solari. Giovanna Cozzari - A.T.A.M.B. Sabato 30 - ASTRONOMIA IN PIAZZA dalle ore 10 della mattina, presso i giardini di Campomaggiore (IV Circoscrizione) Giugno Martedì 23 - ore 21.30, S. Erasmo Astrofotografia Federico Guerri - A.T.A.M.B. Venerdì 26 - ore 21.30, S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio Luglio Sabato 4 - Forche Canapine (Monti Sibillini) : STAR PARTY Martedì 21 - ore 21.30, S. Erasmo Astrofotografia Federico Guerri - A.T.A.M.B. Venerdì 26 - ore 21.30, S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio Agosto Martedì 11 - ore 21.30, S. Erasmo Osservazione delle Perseidi Martedì 18 - ore 21.30 - S. Erasmo Astrofotografia Federico Guerri . A.T.A.M.B. Venerdì 26 - ore 21.30 - S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio Settembre Venerdì 25 - ore 21.30 - S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio Martedì 29 - presso Piazza Europa, ASTRONOMIA IN PIAZZA dalle ore 10 della mattina. Inoltre, durante il mese di settembre, in data e luogo da definire: CONFERENZA PUBBLICA - interverrà il primo astronauta italiano Umberto Guidoni Ottobre IL CIELO E LA TERRA: INCONTRI D’AUTUNNO Quattro appuntamenti che si terranno presso la Sala Laura, Via Carrara, 2 alle ore 17.30: Mercoledì 7 - Mitologia delle costellazioni” Stefano Valentini – A.T.A.M.B. Mercoledì 14 - In viaggio (molto) al di là del Sistema Solare: il Gruppo Locale e i superammassi di galassie. Sergio Bacci - A.T.A.M.B Mercoledì 21 - Diametro e peso dell’Universo. Sergio Bacci - A.T.A.M.B Mercoledì 28 - Telescopi dalla A alla Z: come orientarsi per utilizzare piccoli strumenti amatoriali per l’osservazione visuale e la fotografia astronomica. Antonio Vagnozzi – A.T.A.M.B. Questo è il programma per tutto il 2009, ma di volta in volta vi ricorderemo le attività del mese in corso, magari con qualche chiarimento in più. Siamo convinti di dare in questo modo un forte impulso alla divulgazione delle scienze astronomiche e siamo a disposizione di tutti coloro che volessero chiedere delucidazioni o consigli. Speriamo che il nostro impegno riesca a far avvicinare all’oculare del telescopio tantissimi occhi che sappiano vedere anche con il cuore. Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com

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Una

Diogene Laerzio, I, I, 23

costellazione

al mese

Torniamo alla costellazione del Leone, una delle costellazioni zodiacali più luminose e più estese. Sappiamo già come rintracciarla: basta prolungare la congiungente i puntatori del Grande Carro nella direzione opposta alla stella Polare. L’asterismo principale è noto come la Falce anche se ricorda piuttosto l’immagine speculare di un punto interrogativo. La stella più brillante è Regolo, di prima magnitudine. La sua posizione è molto vicina all’eclittica e per questo motivo sia la Luna che i pianeti le passano vicino o possono occultarla. Secondo lo storico Plinio, il nome Regolo, piccolo re, dato a questa stella, deriva dal fatto che gli astri erranti ogni tanto gli rendono omaggio avvicinandosi apparentemente alla stella. Il resto della costellazione comprende un triangolo di stelle abbastanza prominente, uno dei vertici del quale, Denebola, è di seconda magnitudine. La costellazione del Leone rievoca la prima fatica di Ercole, l’uccisione del leone di Nemea, un animale terribile e dalla pelle invulnerabile. Utilizzando la linea che unisce la β (Denebola) e la γ (Algieba) del Leone e prolungandola verso ovest della stessa distanza che separa le due stelle, si arriva proprio al centro della debole costellazione del Cancro in prossimità dell’ammasso aperto del Presepe (figura). Le cinque stelle più luminose hanno la forma di una Y rovesciata. Questa costellazione, che andrebbe chiamata correttamente del Granchio è la più piccola delle costellazioni zodiacali e simboleggia l’enorme granchio emerso dalla palude Lernea per ostacolare Ercole durante la seconda fatica, l’uccisione dell’Idra di Lerna. Ercole calpestò il granchio e lo uccise: Giunone, per premiare la sua fedeltà, lo portò in cielo. Sotto un bel cielo è visibile, anche ad occhio nudo, come un batuffolo sfumato e lattiginoso di luce, il famoso ammasso aperto M44, chiamato anche Alveare o Presepe o Mangiatoia. Contiene una cinquantina di stelle brillanti sparse su un’ area molto grande, tre volte la Luna Piena. Spingendo l’osservazione fino a mag. 16 o 17 se ne possono contare 300 o 400. Con un binocolo 7x50 si può apprezzare nella sua interezza, incastonato all’interno di un triangolo che ha ai vertici tre stelle abbastanza luminose. E’ uno degli ammassi stellari più vicini a noi, a poco più di 500 a.l. di distanza e piuttosto giovane, appena 660 milioni di anni. Giovanna Cozzari


L’ a s t e r o i d i

La prima osservazione telescopica di Giove

L’andru giornu, ‘nzieme a Zzichicchiu e ‘n andru amicu de Stroncone, semo annati su ppe’ li Prati a ‘ggustacce ‘n bo’ de ambiente servaticu. A ‘n certu puntu, ‘n cillittu che passava, t’ha sganciatu ‘n bisognittu fisiologgicu su la fronte spazziosa de l’amicu miu strinculinu. Quillu t’ha ‘ncuminciatu a manna’ certi ‘mpropèri che mme so’ vergognatu io pe’ essu… e allora j’ho fattu… Pe’ ccucì ppocu fai tutte ‘lle straverie?… E sse tte cascava ‘ddossu ‘n asteroide che facéi… te pijava ‘che corbu!?... Me tt’ha rispostu… Facéo come certi llì la palestra ‘n do’ vado io… me ‘gnottìo ‘llu steroide... cucì… sa che musculi che mme venivono!… J’ho ardittu… Scì… co’ ‘lla velocità che tt’arriàno… sa che ingargallozzata! Zichicchiu che cce stéa a sinti’ cià fattu… Ma che stete a ddi’ Lunardi’!?… Unu tira de qua e l’andru coje de llà! L’asteroidi so’ scoji che girono pe’ lu spazziu… possono èsse picculi picculi o… grossi centinaja de chilometri come Cerere, Vesta, Pallade,… parecchi stanno su ‘na fascia tra Marte e Giove e cce gironzolono ‘ntorno… se scontrono e se spezzettono sempre de più. Finché sbattono tra de loro… lasciamoli fa’… ma vistu che cce possono anche ‘ncrocia’… tocca preoccupasse! Lo sapete che… po’ darsi… a Pasqua de lu 2036… ‘n asteroide chiamatu Apophis… de 400 metri de diametru ce pòle vini’ addossu?... Speramo armeno che quilli ch’emo nominatu noi… Stroncone, Cesi, Terni, Libberati… ce lasciono ‘n pace! Sinnò ‘na bombardata pe’ sfascialli o faje cambia’ strada… la demo anche a loro! Mentre Zichicchiu ce steva a spiega’… l’amicu miu t’ha presu ‘n bo’ de cachiricchi de pecora e me l’ha ‘ncuminciati a tira’ su la capoccia facennome ‘sta manfrina… Quistu è lu steroide Stroncone… quistu è lu steroide Cesi… Me so’ ‘nnervositu e… ho presu, co’ ‘n foju de giornale, ‘na squajozza de vacca e mentre je la tiravo j’ho ‘sclamatu… Senti ‘n bo’… mo’ se mme spalanghi la bocca te cce tiro ‘st’asteroide Terni... cucì te funziona pure da steroide come dici tu… co’ tutte ‘lle vitamine che contène!? paolo.casali48@alice.it

La notte del 7 gennaio 1610, dopo aver scritto alla Corte dei Medici riferendo le sue osservazioni della Luna, Galileo puntò nuovamente il suo cannocchiale verso il cielo e notò che Giove era affiancato da tre stelle fisse, due ad oriente ed una ad occidente, che lo colpirono particolarmente perché sembravano disposte secondo una linea retta. Il fatto lo incuriosì molto e la sera seguente, cercando di osservare come Giove si fosse mosso rispetto ad esse, vide che queste si trovavano tutte ad E st ra t t o d a u n a let t era d i G a l i l eo alla C ort e d ei Med ici occidente del pianeta. Galileo si ripropose allora di osservare per più giorni il fenomeno e dopo circa una settimana scoprì che c’era anche un quarto astro che sembrava accompagnare il pianeta maggiore. Ogni sera disegnava uno schizzo di come apparivano queste stelline rispetto a Giove ed in poco tempo riuscì a capire che non erano stelle fisse, ma si trattava di piccoli corpi celesti che ruotavano intorno al pianeta, con periodi ben precisi, che egli stesso riuscì a determinare dopo qualche mese. Galileo stesso così scrisse nel Sidereus Nuncius: Ma quel che di gran lunga supera ogni meraviglia, e principalmente ci spinse a renderne avvertiti tutti gli astronomi e filosofi, è l’aver scoperto quattro astri erranti, da nessuno, prima di noi, conosciuti né osservati, che, a somiglianza di Venere e Mercurio intorno al Sole, hanno le loro rivoluzioni attorno a un certo astro cospicuo tra i conosciuti, ed ora lo precedono ora lo seguono, non mai allontanandosene oltre determinati limiti. E tutte queste cose furono scoperte e osservate pochi giorni or sono con l’aiuto d’un occhiale che io inventai. Galileo dedicò la sua scoperta ai Signori di Firenze, suoi mecenati, in uno scritto a Cosimo de’ Medici: ...sotto i vostri auspicii, Serenissimo Cosimo, scoprii queste Stelle ignote a tutti i precedenti Astronomi, ben a ragione decisi di insignirle dell’Augustissimo nome della vostra Casa. Che se io per primo le studiai, chi ragionevolmente mi riprenderà se imporrò loro anche un nome e le chiamerò ASTRI MEDICEI? Accogliete dunque, Clementissimo Principe, questa gloria gentilizia a voi riservata dagli Astri. La scoperta dei satelliti Medicei dimostrò che la Terra non era l’unico pianeta ad avere un satellite, ma anche gli altri pianeti potevano essere a loro volta il centro di un sistema: la sensata esperienza ci mostra quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra, mentre tutte insieme con Giove, con periodo di dodici anni si volgono in ampia orbita attorno al Sole. Fiorella Isoardi Valentini ... ma non era ancora tutto. Alla prossima!

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ASTROrime… Nettuno Quarto gigante gassoso (d. equatoriale = 49528 km) con anelli trasparenti (…e sottili) con un clima tempestoso macchie nere che son venti. L’occhio nudo non visiona quel che a volte è il più distante (incrocia l’orbita di Plutone) e il metano poi gli dona un azzurrro ch’è intrigante. Nella sua rivoluzione (165 anni terrestri) ha satelliti orbitanti (Tritone, Nereide,…) e si trova in conclusione tra i pianeti più distanti. (4,5 miliardi di km) PC

L’osservatorio astronomico di S. Erasmo è aperto g r a t u i t a m e n t e per i cittadini l’ultimo venerdì di ogni mese dalle ore 21,30.

Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Apertura per il giorno venerdì 24 aprile 2009 Sarà possibile osservare Saturno, ammassi e galassie. Verrà osservato il cielo con la spiegazione di tutte le costellazioni visibili ed i relativi modi per orientarsi nella volta celeste. Sarà possibile anche simulare al computer l’universo tramite sofisticati software dei quali siamo in possesso. Federico Guerri

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