Mensile gratuito
N째 04 - Aprile 2011 (84째)
Sono libero! Liberatemi dalla libertà!
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Il rubismo in letteratura - F Patrizi Se muore una stella - P Fabbri Il green che rafforza ambiente e imprese - A Melasecche La convenzione sul genocidio - M Ricci ALFIO Non basta spegnere la TV per mandare a casa politici inadeguati - A Liberati Il Bancomat compie 50 anni, ma c’è chi gli fa la festa ogni giorno - AL La tua storia - B Ratini MARIANNA BOCCOLINI L’aiutino non è affatto trascurabile - G Talamonti La mia tana - C Mansueti I Mostri nel cielo di Terni - F Capitoli Dalle terre Arnolfe a Spoleto - La bottega delle idee PROGETTO MANDELA - C Calcatelli, M Cardinale, E Landi LICEO CLASSICO - M D’Ulizia, F Cardarelli, I Macedonio, M Valenti Percorso francescano... e... - V Grechi ALFREDO INNOCENZI - Fondazione Carit I figli del nord Africa tra le braccia di mamma Italia - L Bellucci Facebook e i suoi fratelli: la rovina delle persone arriva dal web - LB ALLEANZA PER LE VOSTRE INSERZIONI PUBBLICITARIE LIONS CLUB SAN VALENTINO - AMICI MUSEO ARMI Lo spettro solare - E Lucci Il Risorgimento degli studenti - F Neri ALLEANZA - Il “partner” del cliente nella gestione dei risparmi Astronomia - T Scacciafratte, G Cozzari, P Casali, F Valentini SUPERCONTI
LA
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Sesso ed età, caratteristiche naturali, definivano, nelle società primitive, la collocazione nella organizzazione tribale. Nelle culture più avanzate, la relazione di appartenenza che trasforma i membri di una comunità in cittadini di uno Stato è decisa da norme artificiali che però, inizialmente, mantengono forti tratti di naturalità: il territorio, la lingua, la razza, la religione. La libertà, da istinto conservativo per difendersi da gruppi nemici, evolve nella difesa delle caratteristiche essenziali di un popolo. Il popolo diventa Stato, lo Stato diventa Patria, la Libertà si stempera in tante sue sfumature... c’è addirittura chi, come Epitteto, afferma che solo l’uomo colto è libero e chi individua nelle biblioteche gli arsenali della libertà. Oggi, la ferrea legge del mercato trasforma idealmente l’umanità in un solo gruppo, funzionale alla logica globale, non a quella di un singolo Stato. Si va dove ti porta il mercato. Spariscono, in quanto limitativi dell’azione mercantile, i tratti di naturalità, ma si dissolvono anche le altre norme. Rimane il mercato, vale il denaro. Tutto si dilegua o si ridimensiona o si adegua o si contestualizza, anche la bestemmia. Assumono valenze non usuali le grandi categorie che hanno prodotto civiltà: morale, democrazia, dignità, libertà. La libertà, diceva Pericle, è scegliere. Siamo dunque liberi! Possiamo scegliere, infatti. Possiamo scegliere di vivere e di morire, ma non possiamo scegliere né come vivere né come morire. Ti dicono che la vita è la tua, ma poi te la insozzano con pressanti suggestioni per una vita meschina, da furbetto o da zoccola, da corruttore o da corrotta. Te la tolgono poi come a loro pare, senza che tu abbia voce in capitolo. Siamo liberi di votare, ma non di scegliere chi votare. La nostra libertà si riduce ad apporre un segnetto sulla scheda. Le scelte dei candidati le compiono i boss dei partiti, noi serviamo solo a far sì che loro acquisiscano una corte servile di riconoscenti. Nessuno ti avverte che la quasi totalità degli eletti agisce ormai solo per risolvere problemi personali, di qualsiasi natura. Alle Poste Italiane (italiane o del paese dei balocchi?) siamo, addirittura, liberi di prendere il resto o ricevere, in cambio, un gratta e vinci. Nessuno ti dice però che questo nostro martoriato paese è invaso dal gioco d’azzardo e che la tua libertà di vivere sperando porterà alla cachessia te e il tuo Paese. Sei libero di iscrivere tuo figlio in qualsiasi scuola, specialmente se tuo figlio ha difficoltà a leggere più di una paginetta a settimana o ha voglia di far niente. Nessuno ti dice, ma lo sai, che tuo figlio sarà promosso perché paghi tu la sua promozione; sai anche che può ottenere una laurea in meno di un anno. Naturalmente sei libero di nasconderti dietro una ideologia di comodo, così fai anche finta di essere d’accordo con la tua coscienza. Sei anche libero di non pagare il canone RAI, perché, magari, non vuoi più ingurgitare le continue falsificazioni della realtà che ti propinano nella loro missione servile. Vuoi vedere solo Telegalileo o Teleterni o Teleumbriaviva. Ebbene, puoi farlo, però arriva l’ufficiale pignorante che ti aliena mobili e suppellettili. Non basta infatti che tu dichiari di non voler vedere i canali RAI e chiedi che siano sigillati. Il solo fatto di possedere un televisore ti costringe a pagare il canone! Sei libero ma nessuno ti dice che questa è violenza e che i tuoi soldi vanno ai partiti politici, per la loro propaganda. Sei libero dunque di vedere canali televisivi di proprietà di un politicante e canali presi in ostaggio da alcuni partiti, di volta in volta, a seconda dei risultati elettorali. Libertà è possibilità di criticare il potere che, a sua volta, accoglie e considera le tue richieste; libertà è sempre libertà di dissentire. Libertà è dovere, sacrificio, meritocrazia, moralità. E’ preziosa, la libertà, sì, ma non da ridursi al detto di Lenin: ...così preziosa che dovrebbe essere razionata. Ironizza infatti Sartre: Per la pace qualsiasi cosa, anche la guerra! Ricominciamo dalle biblioteche, tutti! Giampiero Raspetti
I l Rubismo i n l e t t e ra t u ra Intercettazioni poetiche al vaglio degli inquirenti
laboratori
Diverse sono le sottotracce che attraversano la storia della letteratura e che alcuni critici particolarmente avveduti hanno classificato sotto il nome di Rubismo-Rubacuori. Più che una vera e propria corrente letteraria, si potrebbe definire il Rubismo una tendenza, più o meno latente, a mettersi a nudo, a spogliarsi degli orpelli e a far danzare, ebbri e euforici, le parole intorno a un punto fisso. Il Crepuscolarismo aveva già mostrato singolari avvisaglie; questa corrente protonovecentista, spiega il Sanguineti, prende il nome da quel momento in cui il giorno volge al termine e, dopo una lunga giornata di lavoro, finalmente ci si può rilassare; una condizione propizia, dunque, al Rubismo. Si veda a questo riguardo l’edizione originale, poi rivista, della celebre poesia di Guido Gozzano: L’uccello impagliato, la meglio amica che hai le luci basse, il divanetto, il palo, il canapé l’infermiera, la poliziotta, le autoreggenti e il privé una foto tra le danze, pochi gli anni, tanti i guai le buone pose di pessimo gusto rinasco rinasco rinasco nel fondo della Brianza. (L’amica dell’amica di Nonna Speranza, G. Gozzano) Il titolo allude all’uso tipico crepuscolare di portare amiche di belle speranze, appunto. L’Ermetismo risente in maniera minore di questa tendenza impudica e sbarazzina, si veda però il tentativo di Quasimodo, nella versione poi autocensurata dei suoi celebri versi, di giudicare criticamente il Rubismo: Ognuno è solo al centro della pista trafitto da un raggio di strobo ed è subito galera. (S. Quasimodo) Da notare la chiusura pessimista che riflette la fase cosiddetta giustizialista del poeta. Il Rubismo-Rubacuori ha esercitato un’attrazione irresistibile anche nella poesia inglese d’avanguardia. In una delle molteplici riscritture del suo capolavoro, T. S. Eliot sottopose al collega Ezra Pound un folgorante incipit rubista ispirato proprio dal suo soggiorno italiano: Febbraio è il più crudele dei mesi, eccitando vecchie radici ormai sopite, rinvigorendo una terra da tempo morta, risvegliando un desiderio flaccido e arzillo ma più nessuno viene ormai nella mia villa cosa guardi, tu ipocrita elettore, mio simile, mio fratello? (Festa Desolata, T. S. Eliot) Nella stesura definitiva, il mese crudele fu posticipato ad Aprile, accogliendo le istanze del gip, ed elettore venne sostituito con lettore, scongiurando il ritorno alle urne. In conclusione, il Rubismo si presenta oggi come una vena latente del nostro costume letterario tutta da scoprire. Francesco Patrizi
Lab
Se muore una stella Forse non è la stella più bella del cielo: ce ne sono alcune più brillanti. Non molte, neppure una decina; ma ce ne sono; però è la stella Alfa della più bella ed evocativa delle costellazioni. Orione il cacciatore, feroce nemico dello Scorpione che non a caso è situato all’estremo opposto della volta celeste, è un personaggio mitologico certo molto meno noto di Andromeda o dei Dioscuri, di Ercole o del Toro che traghettò Europa nella terra che da lei prese il nome; ma la sua costellazione non teme alcun confronto. Si riconosce prima per la Cintura, le tre stelline vicine e parimenti brillanti, quasi perfettamente allineate, che sembrano disegnare tre puntini di sospensione nel cielo. Tre stelle il cui curioso allineamento dicono che abbia ispirato quello delle tre grandi Piramidi di Giza; e che per una curiosa coincidenza del destino sono posizionate quasi perfettamente sull’Equatore Celeste, proprio in corrispondenza del meridiano celeste di riferimento. Così nelle mappe stellari -che al pari dei planisferi sono spesso rappresentate da due cerchi accostati, uno per il cielo Boreale e uno per l’Australe- le tre stelline si trovano proprio sulla minuscola zona di confine dove i due cerchi si toccano. E Orione tramite loro si divide, quasi fosse il punto di sutura delle volte celesti: mezza costellazione a nord, l’altra mezza a sud. A partire dalla Cintura è poi facile riconoscere tutta la figura del cacciatore: subito sotto la Spada, piccolo crogiolo verticale di stelle che contiene alcune delle maggiori meraviglie del cielo, come la Grande Nebulosa e la misteriosa nube oscura della Testa di Cavallo; e poi ancora più giù, un po’ a destra, dove splende azzurrissima Rigel, il Piede del Gigante. Quasi sempre più brillante della consorella Alfa, la Beta Orionis è di luce decisa e incantatrice. A lei speculare, a nord, regna invece più tenue Bellatrix, nome latino e guerresco per una delle spalle del gigante armato, che infatti lascia vedere a chi ha gli occhi buoni anche un’altra arma oltre alla spada, un teso e curvo arco di stelline. Opposta a Rigel e a sinistra di Bellatrix, per completare la figura del mitico eroe, c’è finalmente lei, l’Ascella del Gigante, come la chiamavano gli astronomi arabi; ed è dal loro nome che noi abbiamo mediato quello con il quale adesso la conosciamo: Betelgeuse. Stelle fisse, le chiamavano gli antichi. Le vedevano muoversi tutte insieme nel cielo, e le immaginavano come gemme brillanti incastonate in una enorme cupola rotante attorno alla Terra: solidali, sempre insieme, a differenza dei pianeti il cui nome altro non significa che erranti, perché nel cielo sono bastian contrari e non si muovono di concerto con le fisse. Ma le stelle non sono gemme, e non sono affatto fisse: anche se in tempi molto lunghi si muovono di moto proprio, e i lineamenti del cielo impercettibilmente cambiano. Soprattutto, non sono fisse nel tempo: sfere enormi di idrogeno acceso dalla fusione nucleare, hanno un tutt’altro che infinito ciclo di vita: brillano tanto, biancazzurre, all’inizio della loro vita, trasformando l’idrogeno in elio, e nel farlo cambiano dimensioni e colore. Invecchiano e muoiono in maniere diverse, a seconda della loro massa e del loro tipo spettrale: possono diventare nane bianche, stelle di neutroni, buchi neri. O possono esplodere, se sono molto grandi e se hanno vissuto una vita intensa, bruciando in fretta quel gas che è tutta la loro carne. Alcune invecchiando diventano rosse, perché quando l’idrogeno scarseggia cominciano a bruciare quello che resta dai processi di fusione: il carbonio, ad esempio; e le loro dimensioni crescono a dismisura. Si chiamano supergiganti rosse, e sono quelle che ad un certo punto collassano brutalmente su loro stesse, per poi esplodere con inaudita violenza. La luce rossa che emanavano diventa per un po’ fortissima e bianca, e nel cielo si vede un nuovo astro luminosissimo laddove, magari, la stella originaria non era neppure visibile: stella nova, dicevano gli antichi. Supernova, dicono i moderni, quando la nuova stella è così brillante da sembrare quasi un nuovo sole, visibile perfino nella volta azzurra del giorno. E’ già accaduto nel 1006, nella costellazione del Lupo; si è ripetuto nel 1054, con la Crab Nebula che altro non è che la cenere di un’esplosione. Betelgeuse è una supergigante rossa, e sta morendo. Alcuni astronomi dicono dal suo spettro si capisce che è molto prossima alla fine, e che sta già collassando. Qualcuno ha addirittura azzardato che questo accadrà nel famigerato 2012: quasi certamente si tratta di previsione troppo pessimista, ma non si sa mai. Certo, sarebbe uno spettacolo, vedere una supernova nel cielo: un astro brillante almeno quanto la Luna, che illuminerebbe i giorni e le notti in maniera del tutto ignota ai nostri occhi poco abituati ai misteri del cielo. E lo splendore durerebbe a lungo, chissà per quante settimane. Ma poi finirebbe, e Betelgeuse non la vedremmo più. Avremmo Orione privo della sua spalla, eroe monco e ferito, nonostante sia un mito. E in quel nuovo buio, Betelgeuse ci mancherebbe molto. Piero Fabbri
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Il green che rafforza ambiente e imprese
Essere green, ovvero essere amici dell’ambiente, non solo è eticamente giusto, ma conviene. Le indagini condotte a più riprese a livello internazionale, confermano che l’attenzione per l’ambiente non è solo una questione di comunicazione, ma ha a che fare con il business. Ad esempio, le imprese americane del settore hightech leader negli investimenti verdi hanno superato i risultati dei concorrenti del 25% in due anni. Pur non esistendo di fatto un obbligo in tal senso, in Italia sono numerose le aziende che redigono il loro bilancio verde, soprattutto quelle che operano in settori a maggior impatto: energetico e chimico. Il bilancio ambientale serve a descrivere, in questi casi, le relazioni tra l’impresa e l’ambiente, gli sforzi compiuti per il miglioramento dell’efficienza nell’uso delle risorse e le conseguenze, positive e/o negative, sull’ecosistema. Nel 2001, la Commissione europea ha chiesto di inserire le informazioni di carattere ambientale nei bilanci e nei resoconti contabili, sottolineando come l’uso e la salvaguardia delle risorse sia strettamente collegato alla gestione quotidiana dell’attività d’im-
presa. L’obiettivo è chiaro: rendere coerenti conti ambientali e conti economici. Indipendentemente dal modello, un buon bilancio ambientale non può, né deve, limitarsi ai soli elementi positivi, ma dovrebbe riportare anche i principali problemi affrontati, risolti e non, la politica ambientale perseguita, le strategie e i programmi, nonché la gestione delle emergenze. Deve spiegare chiaramente con riferimento all’attività aziendale cosa s’intenda per spesa ambientale e i criteri in base ai quali un costo è classificato come costo ambientale. Ha veramente un senso solo se viene redatto con continuità negli anni e se contiene previsioni e impegni per il futuro. Deve poi essere chiaro, comprensibile a tutti coloro che lo leggono e facilmente fruibile (generalmente è possibile scaricarlo dai siti internet delle aziende). Non ci si illuda che redigerlo sia cosa semplice, perché si ha a che fare spesso con costi e benefici intangibili: come si può dare una chiara rappresentazione contabile di un danno o di un beneficio ambientale? E alla fine spesso difficilmente si riesce a comprendere se un bilancio verde chiuda in rosso, oppure no.
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I benefici che ne vengono all’azienda sono altresì molteplici: oltre a quelli in termini di immagine aziendale (e quindi di valore) che scaturiscono dalla concreta dimostrazione di un impegno vero, profuso nella gestione dell’ambiente, ci sono anche quelli derivanti da un’analisi approfondita degli eventuali sprechi; dalla valutazione dell’opportunità di investimenti in tecnologie a minor impatto ambientale; dall’individuazione degli elementi di criticità legati alla propria attività e delle azioni volte al miglioramento ambientale. C’è anche però da tener conto che il tema è molto sentito dalla gente, fa quindi anche moda e non sempre le informazioni che trapelano sono corrette. In Italia c’è molta confusione nel settore proprio perché mancano normative di riferimento univoche, regolamenti chiari e veri controlli uguali per tutti. Tutto oggi è green, sia l’agire in modo corretto in tema ambientale, con onestà intellettuale e talvolta maggiori costi aziendali per raggiungere obiettivi di interesse generale, sia l’approfittarsene e alla fine non sempre l’immagine green “collettiva” ne guadagna, e neppure l’ambiente. Con un certo ritardo alcuni enti locali cominciano ad accorgersi che, talvolta, il business di alcuni produce un bilancio ambientale e di immagine disastroso per altri, per cui stanno iniziando a prende misure precauzionali. alessia.melasecche@libero.it
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La convenzione sul genocidio (1948) Un ebreo polacco, Raphael Lemkin, impressionato da quanto accaduto agli ebrei sotto il nazismo e incoraggiato dal riconoscimento da parte del Tribunale di Norimberga del crimine di guerra e del crimine contro l'umanità, creò il termine genocidio per definire un crimine commesso contro un gruppo. Già nel 1946 in una sua risoluzione l'ONU definiva così il genocidio: Quando gruppi razziali, religiosi, politici o di altra natura sono stati distrutti in tutto o in parte. Il 9 Dicembre 1948, esattamente un giorno prima della proclamazione della Dichiarazione Universale, l'Assemblea dell'ONU adottò la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, che entrò in vigore nel gennaio del 1951. Nel breve preambolo, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non si fa cenno al nazismo, perché prevalse, dopo lunga discussione, la tesi che questo riferimento avrebbe troppo limitato ad un caso, seppure gravissimo e di tipologia unica, l'intenzione della Convenzione di prevenire e punire la ripetizione di questo crimine in tempo di guerra, ma anche in tempo di pace da qualunque Stato fosse commesso. Per questo motivo si limita ad affermare che l'ONU... ha dichiarato che il genocidio è un crimine di diritto internazionale, contrario allo spirito e ai fini delle Nazioni Unite e condannato dal mondo civile e che il genocidio in tutte le epoche storiche ha inflitto gravi perdite all'umanità. Comunque è evidente che senza la Shoah probabilmente questo documento non avrebbe visto la luce. Il centro di tutta la Convenzione è l'art.2 che va letto nella sua interezza perché si sforza di definire che cos'è un genocidio: ... per genocidio s'intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione dei membri del gruppo, b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo, c) sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale, d) misure atte ad impedire nascite all'interno del gruppo, e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro. Dopo questa dettagliata definizione nell'art. 3 si indicano gli atti da punire: a) il genocidio, b) l'intesa mirante a commettere il genocidio, c) l'incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, d) il tentativo di genocidio, e) la complicità nel genocidio. Negli articoli successivi si precisa che verranno puniti sia governanti sia funzionari sia privati (art. 4), che gli Stati firmatari si impegnano a introdurre nella loro legislazione le disposizioni della Convenzione (art.5) e che gli autori degli atti suddetti possono essere estradati, non essendo considerati reati politici (art.7). L'importanza di questa Convenzione è data dal fatto che per la prima volta si ammette l'esistenza di un crimine contro un gruppo in quanto tale e lo si riconosce a livello di diritto internazionale. Tuttavia anche questo documento è frutto di un compromesso, seppur alto, tra gli interessi delle varie potenze e questo spiega anche i suoi limiti. L'URSS pretese e ottenne di non considerare i gruppi politici, che la già citata risoluzione dell'Onu, precedente alla Convenzione, aveva indicato come possibili oggetti di genocidio, poiché vuole reprimere a suo piacimento gli oppositori politici interni del regime comunista e teme l'ingerenza nella sua politica interna, in altri termini sostiene indirettamente che un gruppo politico può essere sterminato. Gli USA addirittura non firmano, malgrado gli sforzi del presidente Truman, perché temono l'accusa di genocidio verso gli indiani nativi americani e problemi simili con la segregazione verso i neri. Non è poi previsto il genocidio culturale cioè la distruzione di lingua, religione, e cultura di un gruppo. Nell'art.2 si poneva l'accento sul fatto che per definire un genocidio occorresse l'intenzione, cioè l'intento consapevole di distruggere, e, come è facile immaginare, difficilmente ci sarà qualche Stato che ammetterà questo, vedi la Turchia che ammette il massacro degli Armeni, ma non il genocidio. Infine non sono previsti meccanismi di punizione a chi commette genocidio, la sovranità nazionale ancora una volta ha il sopravvento sul diritto internazionale. Marcello Ricci
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Non basta spegnere la TV per mandare a casa politici inadeguati
Da quando l’etica pubblica, già erosa ben prima del caso Ruby, ha definitivamente tirato le cuoia, gli italiani stanno ricevendo conferme, ictu oculi, in merito a come ami vivere una parte non marginale della classe dirigente nazionale: atmosfere perenne-
mente carnascialesche. Deliri contagiosi, che plasmano ormai anche strati significativi del Paese reale, compiaciuto di poter condividere una simile allegria di naufragi con i propri beniamini. Per respingere questo quotidiano assalto all’intelligenza, gli elettori italiani più attenti hanno pochissimi strumenti democratici -eccezion fatta per il telecomando. Spegnere il televisore non comporta però la revoca del mandato a chi, per cinque anni rinnovabili, potrebbe serenamente proseguire la pratica del meretricio, andare al bar quando suona l’inno nazionale, utilizzare fondi pubblici per fini ben diversi e via via scandalizzando, a voler tacere dei contenuti politici veri e propri, da tempo all’attenzione della redazione
di Chi l’ha visto? Eppure, altrove, sarebbe semplice e veloce stimolare al senso del dovere gli eletti, procedendone alla eventuale rimozione -se del caso. Prendiamo allora un aereo e rechiamoci laddove la democrazia è praticata da quasi 240 anni: gli Stati Uniti. Diretti in Florida, atterriamo a Miami, dove il capo dell’amministrazione della contea di Miami Dade, Carlos Alvarez, è stato appena revocato dal proprio ufficio senza poter giungere alla conclusione del suo secondo mandato. Cosa è successo? Durante la crisi economicofinanziaria del 2008, in un alluvione di fallimenti e pignoramenti, Alvarez lasciò che ben 3.000 impiegati della contea giungessero a percepire un salario annua-
le superiore a $ 100.000. Non contento, mentre alzava del 12% la tassa di proprietà immobiliare, faceva regalie al suo staff, i cui stipendi svettarono oltre i $ 200.000 annui. Polemiche feroci si levarono da stampa e società civile, ma lo stridente contrasto con la difficile realtà degli amministrati era destinato a dilatarsi ulteriormente quando Alvarez, impermeabile a ogni critica, prese a noleggio una BMW 550i quale vettura di rappresentanza pagata ovviamente dal contribuente. Marchio straniero, altissima cilindrata e consumi altrettanto elevati in una America stordita dalla crisi, ma anche più sensibile allo stupidario politico. Con l’aiuto dell’uomo d’affari Norman Braman, gli elettori di Miami hanno
quindi fatto ricorso a uno strumento democratico raramente utilizzato nel corso della storia americana: il recall election. In estrema sintesi, conformemente a previsioni normative diverse di Stato in Stato, si raccoglie un numero imponente di firme, si fissa la motivazione di questa sorta di impeachment cittadino entro previsioni circoscritte e, infine, si va al voto, confermando o rimuovendo l’eletto dall’ufficio. Tutte le cautele del caso, trattandosi di sistemi costituzionali diversi: ma non ci vorrebbe anche da noi? Per la cronaca, un plebiscitario 90% di cittadini ha detto no ad Alvarez. Dicono che questi abbia accarezzato per l’ultima volta la nappa delle poltrone BMW e sia poi tornato a casa in taxi. Andrea Liberati
Il Bancomat compie 50 anni, ma c’è chi gli fa la festa ogni giorno Da cinque decenni lo sportello del bancomat rappresenta un rituale quasi mistico, specie in tempi di crisi. E’ la macchina della verità, è il nostro specchio, è un amico un po’ spilorcio: se il conto in banca è vuoto, te lo farà capire a suo modo con crudezza, senza bizantinismi di sorta. Senza darti nemmeno un cent. Bentornati in America dove da qualche giorno si festeggia una ricorrenza per molti inosservata: i 50 anni del Bancomat, qui chiamato ATM. Queste casse continue oggi le trovi dappertutto: al bar, al supermercato, nei negozi di Times Square come in quelli più sperduti dell’America profonda. Non esistono ancora sugli aerei -dove si può comunque pagare con carta di credito- ma sulle navi sì.
Nella primavera 1961 ce n’era soltanto una in tutti gli Stati Uniti, a New York, dove fece il suo debutto in società un cash dispenser di CityBank, che però non ebbe molta fortuna. La novità non fu subito compresa, mancavano i clienti; così, dopo appena sei mesi, la macchina venne rimossa. Per vederne un’altra passarono ben otto anni: la Chemical Bank di Rockville, sobborgo newyorchese, la mise a disposizione dei clienti, salutandone il debutto in modo enfatico: Oggi la nostra agenzia aprirà alle 9 del mattino e non chiuderà mai più! E così è stato. In effetti, considerando che ogni ATM può contenere fino a $ 100.000, la disponibilità è certa a ogni ora del giorno e della notte.
Fu Donald Wetzel a inventarlo; partito dal Texas e autore di molti brevetti al riguardo, scolpì nella pietra la parola “pin” (Personal Identification Number), i noti codici personali; è a quest’uomo che dobbiamo pensare quando li confondiamo, li scambiamo e, infine, li perdiamo. Dal 1961 al 2011 le macchinette sputasoldi si sarebbero moltiplicate fino a raggiungere l’iperbolica cifra di 406.000 solo negli Stati Uniti. E oggi consentono mille usi differenti, dalla ricarica del telefonino all’acquisto di biglietti della lotteria, al versamento a fondazioni no profit, a tanto altro ancora. Sempre che vi siano fondi, s’intende, perché l’amico taccagno era e taccagno è rimasto. Pur trattandosi di una tecnologia ormai totalmente
matura e affidabile, il 55% di chi ha bisogno di denaro preferisce però ancora entrare fisicamente in succursale. Chi si ferma all’ATM resta minoranza, una minoranza talvolta eccezionalmente attiva. Come quel tizio che, in Arizona, si è portato letteralmente a casa ben sette ATM, agganciandoli al proprio fuoristrada per sradicarli da quei muri che li
bloccano così fastidiosamente. Altri, clonando le carte, partendo dagli States sono riusciti a congegnare una truffa mondiale tale da sottrarre nove milioni di dollari in appena 30 minuti. Insomma, il Bancomat ha appena compiuto 50 anni e senza alcuna celebrazione, perché c’è ancora chi tenta di fargli la festa ogni AL giorno.
Analisi della postura Ipertermia Onde d’urto focalizzate Rieducazione ortopedica Rieducazione posturale globale Tecarterapia Test di valutazione e rieducazione isocinetica
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L a t ua sstor tor ia
Leonardo, cantante lirico, tolse il giornale dal sedile mettendoselo sulle ginocchia senza nemmeno accorgersene. Il viaggio in treno da Terni a Spoleto era breve, quindi non si era portato niente da leggere, ma iniziò a sfogliare quel giornale. Spoleto, aveva annunciato però la voce metallica e Leonardo scese dal treno. Dopo un breve tratto in autobus, arrivò al teatro Caio Melisso, dove avrebbe iniziato le prove per l’Italiana in Algeri. Ogni mattina stesso treno. Un giorno Leonardo si accorse che qualche posto davanti a lui c’era una ragazza che lo guardava incuriosita e ogni tanto scriveva qualcosa su un block-notes; istintivamente le sorrise. La ragazza si alzò di scatto e corse via. Alle prove ripensò a quel volto e a quella reazione, e il giorno dopo di nuovo la stessa scena. Lei stavolta tirò fuori dalla borsetta un giornale… sempre quel giornale, e glielo diede. Leonardo non capiva. Tornò al suo sedile e iniziò a leggere. Incredibile! Veniva raccontato esattamente tutto ciò che gli era successo in teatro e su quel treno da quando erano iniziate le prove. C’era anche una descrizione della ragazza, ma lì la storia si interrompeva bruscamente. Alzato lo sguardo lei non c’era più. Sparita. Non l’aveva sognata, ne era certo, e comunque quel giornale era vero, l’aveva ancora in mano. Si sforzò di riflettere: anche se quella ragazza lo avesse osservato ogni giorno su quel treno senza che lui se ne accorgesse, avesse segnato ogni suo minimo movimento sul block-notes, come era possibile che in teatro non l’avesse mai vista, ma soprattutto che su quel giornale fosse stampato quello che era successo fino a un attimo prima? Non tornavano i conti e Leonardo iniziava a perdere la pazienza. Che fosse uno stupido scherzo per spaventarlo? Ci avrebbe pensato dopo lo spettacolo, mancavano solo due giorni. Arrivò il giorno della prova generale; Leonardo fremeva, ma quella carica lo faceva stare bene, era l’ansia buona che gli faceva dare tutto di sé. C’erano tutte le premesse perché quella sera fosse un grande successo. Un attrezzista lo raggiunse dicendogli che qualcuno aveva lasciato qualcosa per lui. Leonardo aprì il pacchetto e dentro c’era il giornale, in cui si parlava in termini entusiastici della prova generale appena conclusa dell’Italiana in Algeri, in particolare del personaggio di Mustafà. Leonardo corse fuori ma non c’era nessuno. A un tratto capì. Quella misteriosa ragazza era lì non per scrivere della sua vita, ma per fargli capire che la sua storia l’avrebbe scritta lui, da solo, ogni giorno. Lei avrebbe semplicemente registrato i fatti. Leonardo si preparò per la prima con una nuova forza in corpo, e quella sera mise tutta l’anima nel canto lasciando Beatrice Ratini il pubblico a bocca aperta.
Nel pomeriggio di domenica 6 marzo, a palazzo Gazzoli è avvenuta la presentazione del libro Un semplice ricordo di Marianna Boccolini, la giovane 18enne scomparsa tragicamente il 18 agosto scorso. Di fronte ad una sala affollatissima, attenta e commossa, la prof.ssa Silvia Paparelli (Istituto Briccialdi, Terni) ha aperto la serata spiegando lo scopo benefico dell’iniziativa: il ricavato della vendita del libro, che prevede una raccolta di dipinti, poesie e scritti di Marianna, sarà interamente devoluto a Medici senza Frontiere interpretando il desiderio della ragazza di divenire un medico come coronamento del suo sogno di solidarietà e amore per il prossimo. La pubblicazione è stata curata dalle associazioni culturali Arte in bottega (Roma) e Arte in itinere (Terni). Il presidente dell’associazione Arte in Bottega, Giorgio Ferretti, ha spiegato che questo libro è stato fortemente voluto perché il materiale ivi contenuto è stato ritenuto troppo prezioso per restare chiuso in un cassetto. Ferretti ha chiamato sul palco la piccola Susanna, la sorellina di 7 anni di Marianna, per donarle un meraviglioso dipinto espressamente realizzato da una componente dell’associazione di artisti, in memoria della giovane scomparsa. Durante la manifestazione, è intervenuto anche il poeta Paolo Eroli, dell’associazione Arte in itinere, che ha declamato tre poesie composte appositamente in memoria di Marianna. Il libro è stato presentato dal docente di lettere di Marianna, il prof. Daniele Di Lorenzi (Liceo Classico Tacito, Terni). Il titolo del libro Un semplice ricordo è tratto da una bellissima e commovente poesia che la giovane scrisse a soli 9 anni ed il professore lo ha definito in stile con la sua allieva che si è sempre contraddistinta per la sua semplicità, che egli ha definito essere la “vera ricchezza e sintomo vero dello sguardo che ella ha sempre avuto sul mondo”. La citazione preferita dalla ragazza L’essenziale è invisibile agli occhi (Saint-Exupéry) è stata definita dal docente quale sintesi della capacità di Marianna di saper sempre vedere le cose col cuore e di saper coglierne il senso più profondo. Il prof. Di Lorenzi ha descritto il contenuto del libro evidenziando “il coraggio con cui da bambina e successivamente da adolescente, Marianna si è misurata con la vita, con l’enigma del significato ultimo dell’esistenza e con l’altro importante enigma della vita, il rapporto con gli altri esseri umani”. Egli ha ribadito che “il ricordo è una grande risorsa per l’uomo poiché nessuna morte potrà mai sottrarglielo” ed ha terminato la sua magistrale e commovente relazione leggendo alcuni passi tratti dal commento di Marianna ad un sonetto di Foscolo. In questo testo la giovane scriveva: “L’illusione della poesia, come quella dell’amore, degli affetti familiari, della sepoltura lacrimata diventa l’incentivo che ci spinge ad opporre alla continua perenne metamorfosi delle cose e di noi stessi alcuni valori che rimangano intatti per sempre e che diano significato alla vita”. Queste parole, secondo l’opinione del professore, testimoniano i livelli altissimi raggiunti dal pensiero interiore dell’alunna scomparsa che “ha lasciato a tutti una grande eredità di affetti, evento non comune a tutte le persone”. Marianna è sempre stata un’assidua lettrice ma il docente ha sottolineato che ella “ha lasciato che i contenuti di tutti i libri da lei letti fermentassero nel suo cuore e questo è il vero senso dell’humanitas”. “L’indecifrabilità della realtà era già profondamente presente in Marianna sin dall’infanzia -ha concluso il professore- e ringrazio chi ha selezionato i testi che compongono questo bellissimo libro poiché hanno fatto emergere la complessità della grandezza di questo animo, che è veramente un animo grande. Marianna attraverso la parola ha dato testimonianza di coraggio e verità.”
Terni - Via dello Stadio 63 Tel. 0744 401995 7
L’ a i u t i n o n o n è a f f a t t o trascurabile... Parlare di doping nello Sport e pensare al ciclismo è purtroppo un parallelismo inevitabile. Le continue trasgressioni, in evidenza nella cronaca quotidiana, rinnovano il disappunto di chi ama questa disciplina e l’amarezza nel prendere atto che essa non possa svolgersi nel rispetto delle regole. L’ultima estemporanea scorciatoia, tuttavia, non ha ispirazioni farmacologiche: niente fiale, niente epo o trasfusioni, niente ormoni della crescita o bombe prêt-à-porter. La creatività, questa volta, è entrata nel campo sconfinato della fantasia. Dunque, si tratta della bici elettrica che, naturalmente non deve sembrare affatto elettrica agli occhi dei fan e dei giudici di gara. E’ stata messo a punto un cilindro magnetico, da inserire nel tubolare che va dalla sella alle pedivelle, che s’innesca nell’asse pedali e che è in grado di erogare, a comando, 100 W di potenza in un’ora, oppure 350 W in un tempo più lungo. L’aiutino non è affatto trascurabile, specie quando al massimo dello sforzo fisico, come una salita, anche una spintarella diventa un’insperata boccata d’ossigeno. E’ da qualche tempo che il sospetto del mezzuccio s’aggira nel mondo dei pedalatori, tanto che un cenno ne aveva fatto il commentatore televisivo Cassani. La stranezza è che non è stata approntata nessuna iniziativa di controllo da parte dell’Unione Ciclistica Internazionale, sempre in ritardo nell’eterna lotta fra doping e contromisure. Ma un altro sospetto s’aggiunge ai già tanti che animano questo settore dello sport magnifico e travagliato: e cioè che serva a distrarre le ricerche di irregolarità su fronti lontani da quelli usualmente perseguiti. In ogni caso, già si conoscono le tariffe e, in giro, fanno ottimi affari gli agenti di vendita del prodotto. Da 9000 a 15000 euro. C’è da attendersi una rapida evoluzione del marchingegno, sia in termini prestazionali, sia di rilevamento della presenza. C’è chi giura che sia pronto un modello che si autogenera nella canna e si dissolve come neve al sole subito dopo il traguardo. Giocondo Talamonti
I M o s t r i n e l c i e l o d i Te r n i Come illuminare male Sprecare energia Inquinare il cielo notturno Le facciate di questo palazzo sono illuminate da numerosi proiettori. Quattro di questi, montati nella torretta superiore, sono orientati dal basso verso l’alto e diffondono la luce oltre la sagoma da illuminare. La luce inviata nel cielo è sprecata e inquina il cielo notturno. franco.capitoli@teletu.it
La mia tana
Che sia grande o piccola, buia o luminosa, colorata o monocromatica la cameretta per i bambini è sempre una tana! Un luogo dove rifugiarsi quando si è in casa, dove giocare senza l'incubo di essere sgridati dai genitori per aver rotto qualche soprammobile, dove poter esprimere la loro creatività, dove poter sentire la musica a tutto volume, dove possono dire "questo è territorio mio e qui comando io!". Se ne vedono di tutti i colori e forme, non a caso per i negozi di mobili occidentali è un vero e proprio business. Abbiamo l'imbarazzo della scelta, si va dalle più economiche che con 1.000 euro ci permettono di avere l'indispensabile alle piu ricercate dove non bastano 5.000 euro per averne una. Le aziende di mobili si fanno concorrenza a suon di colori e modelli, c'è quella tutta rosa per le bambine o quella arcobaleno per entrambi, quella con il letto a castello o con il letto scorrevole su binari oppure con il letto sopraelevato con sotto l'armadio o la scrivania, poi c'è quella trasformabile che di notte ospita fino a 2 o piu letti che di giorno scompaiono nell'armadio lasciando libero spazio al gioco e al divertimento. Un vero e proprio imbarazzo nella scelta (che devono fare loro), basta solo avere le idee chiare sul prezzo e una soluzione si trova di sicuro, ma poi cosa fare quando i bambini crescono? Nessun problema, ora ci sono fasciatoi come quello della Foppapedretti che diventano scrivania, lettini che diventano comode poltrone e armadi con ante personalizzabili che possiamo cambiare quando lo riterremo necessario, oppure, come ci suggerisce www.ribimbo.com, possiamo vendere i giochi con i quali i bambini non si divertono più o le camerette che non rispecchiano più l'età del bambino e comprare giochi e camerette più idonee in modo da dare nuova vita a quegli oggetti che non sono ancora da buttare o che sono usati poco (o niente) ma che possono fare felici ancora tanti bambini... e anche tanti genitori! Questa idea è nata dalla mente di due nostre concittadine che dopo aver affrontato una maternità e visto parenti ed amici prodigarsi nel procurare loro tutto il necessario per i nuovi nati si sono ritrovate la casa piena di piccoli oggetti dei quali non conoscevano neanche l'esistenza (e di alcuni neanche l'utilità), e che ora che i bambini sono cresciuti non sanno dove riporre. L'idea è geniale, i bambini crescono talmente in fretta che a volte non si fa in tempo ad usare tutto quello di cui hanno bisogno e, visto il costo di questi oggetti, è buona norma dare la possibilità a tutti i piccolini meno Claudia Mansueti fortunati di usufruirne. info@claudiamansueti.it
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Dalle Terre Arnolfe a Spoleto, passando per la via meno breve, tra arte e giochi, gustando sapori e colori.
www.umbriaidea.com Ville, castelli e terre: ne narra Felice Contelori abitante della sua capitale, Cesi. Da qui parte il nostro percorso alla scoperta di un’altra fetta d’Umbria anch’essa incastonata fra natura, storia, miti e leggende. Dal panorama di Cesi già si desidera San Gemini e non soltanto per bere la sua acqua, ma per passeggiare tra i vicoli del suo borgo medioevale perfettamente conservato che si anima in autunno di vecchi mestieri, taverne e musicanti. Non contenta della sua bellezza Sangemini si adorna di colori e di profumi con le infiorate del Corpus Domini. Prima di arrivare a Todi, da tutti conosciuta, apprezzata e amata per il suo splendore, facciamo una sosta a Villa S. Faustino, vicina all’omonima Abbazia benedettina, per poi proseguire verso Massa
Martana. Alla ricerca di un’altra Abbazia incontriamo quella di San Fidenzio e Terenzio e poco dopo quella di Viepri, tutti gioielli dell’arte Romanica. Per non cambiare genere approdiamo a Bevagna, che ha scippato alla bella Todi il primato di vivibilità, proprio per la sua attitudine a caricare lo stato di salute con un riposo sereno e con la degustazione di ottimi prodotti locali: non dimentichiamoci che siamo sulle Strade del Sagrantino di Montefalco e dell’olio extravergine di oliva. Per continuare a respirare aria di medioevo, fissiamo in agenda l’appuntamento di prima estate con la rievocazione storica dei vecchi mestieri di Bevagna. Per continuare arriviamo a Spello poi a Foligno dove soltanto due mesi dopo assistiamo alla Giostra della Quintana, altra rievocazione storica di fama mondiale. Se a settembre Foligno ci invita a degustare
Primi d’Italia e ci addolcisce ad ottobre con Miele in Umbria, a Trevi assaggiamo il delizioso Sedano nero, prodotto tipico di nicchia che arricchisce il patrimonio comune e la cultura locale con la sua sagra autunnale. Sulla via di Spoleto altra tappa obbligata è Campello con le splendide fonti sul Clitunno, Pissignano con il suo famoso mercatino mensile di antiquariato, il Castello di Poreta e Castel Ritaldi. A Spoleto, dove è impossibile una visita fugace, c’è di tutto: dagli oliveti secolari del Monteluco, alla Rocca di Albornoz, al suggestivo scenario del Duomo, alle tante chiese, ai teatri ed ai palazzi pieni di opere d’arte, al Festival dei Due Mondi e il famoso Ponte delle Torri. Tutti questi itinerari si intersecano con una lunga lista di iniziative culturali molto originali e diversificate, dove soltanto la priorità di scelta potrebbe rappresentare un problema.
Foto Paolo Leonellii
La Pagina
In questo cuore verde della bella Italia tutto è ancora autentico: la natura, amica e rigogliosa, è la protagonista assoluta di ogni paesaggio, i borghi sono intatti e conservano il fascino di un tempo come nei paesi che sembrano usciti da una leggenda e gli abitanti si tramandano da generazioni un sapere prezioso che non risente del passare del tempo. Nelle abbazie e negli eremi si coglie immediatamente lo slancio di una fede pura e sincera. Qui si mangia ancora secondo la tradizione e, nelle numerose strutture ricettive, spesso provenienti da edificazioni medievali è facile ritemprarsi a contatto con la natura e con la storia. Tutto induce ad assaporare l'armonia, la gioia di vivere, il piacere di essere continuamente sorpresi da paesaggi che non si ripetono mai e che riservano sempre emozioni impreviste. Henry James scriveva, nel 1872: “l’Umbria, che strano paese, talvolta è tutta silenzio, talvolta è un grido di festa.”. Ancora oggi, disseminate ovunque, si svolgono in ogni stagione moltissimi eventi, rievocazioni storiche, sagre, feste e degustazioni di eccellenze regionali. La Bottega delle idee vuole offrire un tracciato guida per consentire al maggior numero di utenti di documentarsi ed allo stesso tempo innamorarsi di questo viaggio insolito all’interno della nostra bella Umbria, cercando di trasmettere al visitatore l'incanto di luoghi ricchi di energie, dove il viaggio diventi inevitabilmente gioia e ricerca di sé. Dopo un anno di intenso ed appassionato lavoro, la nostra associazione è lieta di presentare il prodotto di tanta dedizione attraverso la pubblicazione online di un portale web per promuovere il territorio nella sua complessità, cosicché, poiché è tradotto anche in inglese, francese, tedesco e spagnolo, possa divenire una vetrina internazionale di diffusione delle conoscenze, delle ricchezze naturali e delle tradizioni. Il sito web www.umbriaidea.com è di agevole navigazione e integra nelle diverse sezioni tematiche gli itinerari in armonia tra arte e natura, paesaggio ed architetture, borghi e campagne, risorse rurali ed enogastronomiche, non ultime iniziative culturali e pillole di curiosità attraverso al storia ed il paesaggio. L’architettura del sito consentirà di fare interagire i vari contenuti su richiesta ed è suddiviso in sei grandi sezioni. Gli itinerari sono suddivisi in artistici ed enogatronomici, degli innamorati, naturalistici, spirituali, archeologici e delle meraviglie. Prodotti tipici locali, ricette tipiche, eventi e sagre, curiosità e newsletter. A questo punto non ci resta che augurarvi, con la gioia di aver portato a compimento il nostro ambizioso progetto: buon viaggio in Umbria! …. con la sapiente guida delle bottegaie.
Foto gentilmente concessa dallo IAT (Informazioni ed accoglienza turistica) di Terni
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150 anni de che: opinioni ed impressioni E anche questo è passato. Anche quest’anno lo spettacolo del Progetto Mandela ha fatto breccia nei cuori, ma soprattutto nelle menti, direi, della popolazione ternana. Il giusto cockatil tra divertimento ed emozione, ho visto gente commossa cosa che, insomma, non accade spesso, pure in uno spettacolo che complessivamente rimane leggero, spumeggiante, allegro, ecco una breve descrizione dello spettacolo da uno degli attori interni al progetto, oppure, da uno spettatore preso a caldo dopo la prima serale: stupendo, piacevole dal punto di vista della commedia ed ha toccato in modo leggero ma approfondito temi molto importanti. E quali erano i temi? Poiché negli ultimi mesi il gruppo di comunicazione, sempre efficiente, lo ho ribadito svariate volte, vediamo un po’, ora, che tipo di messaggio è arrivato al nostro pubblico. Iniziamo dagli spettatori colti nel bel mezzo delle chiacchiere su ciò che avevano appena visto la serata della prima, la replica più attesa e forse più carica d’elettricità anche per i nostri giovani attori, e non solo. Uno spettacolo molto interessante, afferma un signore dall’aria pensierosa e compiaciuta, ben curato, a partire dal testo, alla recitazione, alle scenografie; molto significativo nell’insieme anche dal punto di vista politico, perché ha messo a nudo la situazione in cui viviamo. Non saprei scegliere una scena più importante, erano tutte ampolle che si aprivano improvvisamente e ci facevano conoscere una storia d’Italia che è nostra, che appartiene al nostro bagaglio culturale, condita da situazioni inquietanti in cui la “monnezza” impera sovrana (in ogni senso del termine) ed anche chi la rifiuta purtroppo è costretto a tenersela. Interessante perché ha fatto emergere la realtà antitetica in cui viviamo. Altri hanno particolarmente apprezzato la scena dedicata alla costituzione, in cui alcuni dei protagonisti, quattro ragazzi tra cui una albanese e un musulmano, cercano di mettere in salvo gli articoli della costituzione affidatagli da Italo, un personaggio centocinquantenario rappresentante, come rievoca il nome appunto, l’Italia e, correndo per la sala, cercando di non pestare i piedi agli spettatori, leggono alcuni degli articoli fondamentali, con l’immancabile commento di altri personaggi, oltre ad Italo stesso, come il camorrista ed il capo del governo. Indubbiamente una scena collettiva volta a rinnovare la memoria, in cui la battuta basta con la stronzocrazia dobbiamo dire che ha riscosso un notevole successo. Intensa e suggestiva è stata la scena del sogno di Italo, a detta di tutti, con le sue luci fredde e il silenzio interrotto solo dal rumore, dapprima sommesso e poi sempre più forte, dei bombardamenti e dall’ingresso in scena di tre figure rappresentative, tre brigantesse mogli di partigiani, abbrutite dall’esperienza di guerra, la controparte di una ragazza fascista morta in combattimento, e il monologo sulla mafia, perché bisogna fare i conti con la magagne del presente come con quelle del passato. Non poteva poi mancare, tra le scene più quotate, il nostro caro stornellatore romano che col fior de pisello, alla fine, c’ha presentato pure su fratello e col fior de verbena c’ha mandato tutti a cena, e i nostri cervelli giganti, che, sottolineo, non erano ne pecore non cotton fioc, come qualche ragazzo li ha definiti, che si sono esibiti in una coreografia a dir poco esilarante. Inoltre, nonostante anche gli stessi attori abbiano notato una partecipazione minore da parte dei ragazzi delle scuole al contrario del pienone, più che soddisfacente, degli spettacoli serali, non si può dire che i giovani che hanno partecipato non abbiano apprezzato il nostro lavoro, anzi, si sono dimostrati più educati e partecipativi della aspettative, visto l’iniziale scarso interesse. Tra di loro, la scena più gettonata è stata, come per gli adulti, quella dei quattro ragazzi che cercano di difendere la costituzione dai problemi che affliggono l’ Italia, rappresentati sul palco da un camorrista, un prelato, un massone e un brigadiere, ed anche il monologo sulla mafia e la lotta tra le tre allegre brigate, ognuna con un colore diverso della nostra bandiera. Ma, in conclusione, che messaggio è arrivato e, soprattutto, è arrivato o no?! Prima di rispondere passiamo un attimo ad osservare la scena da dietro le quinte. I nostri mandeliani si dicono più che soddisfatti, dagli attori, al regista, agli scenografi ed ai coordinatori. Come sempre si è creato un bel clima e una bella comitiva, nonostante l’incrocio generazionale; non possiamo sapere se il messaggio sia arrivato o no al pubblico, ma l’impressione è positiva, le reazioni sono state quelle che ci aspettavamo, le risate come gli applausi sono partiti spontanei al momento giusto. Ed ecco infine quel che è venuto fuori da tutto questo lavoro, dalla passione e dall’impegno dei partecipanti. Uno spettacolo che entra, scava e fa ragionare, coglie difficoltà e aspettative, un atto non solo di riflessione ma anche di denuncia, un’ impresa non facile ma una delle più riuscite e originali degli ultimi anni... Se Gaber diceva io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo, per fortuna lo sono, anche noi prendiamo tutto quello che c’è... E’ un invito alla legalità, ma soprattutto a vivere con più entusiasmo questa Italia!... Un messaggio d’ottimismo nei confronti dell’Italia dei giovani. I giovani replicano: il messaggio è forte e chiaro, dobbiamo svegliarci! E, non ultimo: la cosa più bella creata in occasione delle celebrazioni dei 150 anni a Terni. Alla domanda: ci sarete il prossimo anno? la risposta è stata affermativa e fidatevi, che, se sarà possibile, il Progetto Mandela ci sarà. Camilla Calcatelli
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Progetto Mandela: vince il lavoro di gruppo! L'esibizione finale dei ragazzi frequentanti i laboratori del Progetto Mandela svoltasi nei giorni 22-23-24 Marzo si è rivelata come ogni anno un grande successo, sia per il numero di posti occupati dagli spettatori in teatro sia per l'entusiasmo che i diversi gruppi di lavoro hanno avuto nel collaborare tra loro. Fin da subito, infatti, si è potuto notare l'entusiasmo dei giovani nel partecipare insieme alla preparazione dello spettacolo. A questa hanno preso parte i laboratori di recitazione, drammaturgia e scenografia, mentre per quanto riguarda l'informazione, la divulgazione e i retroscena si è potuto contare sui ragazzi del gruppo di comunicazione. Tutti e quattro i laboratori hanno dimostrato di saper interagire tra loro e cooperare alla realizzazione del progetto in tutte le sue forme dando vita ad una esperienza unica per la quale i partecipanti hanno potuto esprimere tutto il loro spirito di appartenenza ed entusiasmo. Manuel Cardinale
150 de…successo! Il Progetto Mandela è giunto alla conclusione, una conclusione col botto, almeno a giudicare dal successo che lo spettacolo 150 anni de che?, conclusivo del Progetto e messo in scena nelle giornate del 22, 23 e 24 marzo al teatro Secci di Terni, ha avuto fra il pubblico, il quale è arrivato a definirlo addirittura “il migliore del Progetto Mandela”. Quest’anno, in occasione del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, lo spettacolo ci ha raccontato la storia di Italo, rigattiere in quel bazar che è oggi l’Italia, pieno di storia e ricordi, e di tutte le figure che con lui si sono rapportate, dall’ecclesiastico al camorrista, compresi anche i giovani figli di Italo, che, non a caso, è un centocinquantenne e che, alla fine, decide di consegnare la cosa più preziosa custodita nel suo bazar, la Costituzione italiana, proprio ai suoi figli e ai giovani e in particolare a sua figlia Scintilla e al suo fidanzato marocchino e musulmano, Mohamed. Noi del Gruppo di Comunicazione, dopo avervi assistito più volte, possiamo dire di esserci trovati davanti ad un’opera profonda, ricca di metafore e spunti di riflessione sull’attuale situazione del nostro Paese, la quale ha trattato temi complessi in una chiave spiritosa, leggera e frizzante, alternando momenti di riflessione e d’ironia. Concludiamo ricordandovi che il Gruppo di Comunicazione rimarrà attivo fino alla fine! (di aprile, hehe) e dandovi appuntamento al prossimo mese, sempre qui su La Pagina, a vostra disposizione. Eleonora Landi
foto di Alberto Mirimao
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Strategie della disinformazione, cr
Strategie della disinformazione, crisi dei mercati nell’orizzonte della globalizzazion Sono questi i temi di urgente attualità e, al tempo stesso, di notevole complessità trattati dell’Università Guido Carli di Roma nell’ambito del progetto LUISS per le scuole, al Esperienza stimolante e, a giudicare dai risultati, certo da ripetere!
Progettare il proprio futuro al tempo della crisi Disoccupazione. Fallimento di banche. Aziende in bancarotta. Debito pubblico. Inflazione. Rincaro del prezzo del petrolio. Sono queste le notizie che compaiono in prima pagina e che si possono apprendere da qualsiasi mezzo di informazione. A parlare di crisi economica sono giornalisti, esperti di economia e statistica, ministri, capi di stato, azionisti, esponenti di partiti politici: cercano di svolgere un’analisi delle cause che hanno condotto al crollo del sistema dei mercati e di proporre possibili soluzioni. A prendere atto delle amare conseguenze della travagliata situazione economica, che dal 2009 fino ad oggi è andata progressivamente peggiorando, sono le persone comuni, che vivono in una qualunque città di medie dimensioni in uno stato europeo, come l’Italia, la Spagna o l’Irlanda, oppure extraeuropeo, come gli Stati Uniti. L’inflazione determina l’aumento del prezzo di qualsiasi prodotto, dai generi alimentari ai metri quadrati di un appartamento, dagli indumenti al carburante per un’automobile, ma non corrisponde alla proporzionata crescita delle retribuzioni, sia nel settore pubblico, sia nel privato. Così il potere d’acquisto diminuisce, le condizioni di vita peggiorano, l’opinione pubblica è demoralizzata. A questo proposito il prof. Di Taranto, docente presso la LUISS di Roma, ha proposto un’analisi del sistema economico che ha condotto allo scoppio della crisi e ha individuato nel liberismo esasperato l’elemento scatenante della situazione attuale. Il libero mercato, in cui l’unica regola vigente è l’assenza di regole, non riconosce un ente istituzionale organizzatore che eserciti una qualunque forma di intervento, ma prevede che l’interesse individuale prevalga su quello della società intera. La crisi attuale del meccanismo libero-concorrenziale, in cui la sovranità dello stato è stata sopravanzata dalla trans-nazionalità del potere economico, è dovuta al trasferimento del fattore di rischio dagli intermediari finanziari ai risparmiatori attraverso un sistema di cartolarizzazioni e derivati. Pertanto la nuova ingegneria del credito ha fatto accendere il dibattito sulle analogie e sulle differenze tra la Crisi Economica del 2009 e il Crollo di Wall Street del 1929 e la Grande Depressione che ne derivò. La teoria economica del liberismo afferma che la libera iniziativa economica dell’individuo, non condizionata dallo Stato, sia la condizione per il funzionamento del mercato. La libera concorrenza e il libero scambio determinerebbero l’aumento della produzione a beneficio della maggioranza della popolazione. Questo genere di politica liberista, che fa riferimento al sistema teorizzato da Adam Smith, ebbe il massimo sviluppo al termine del XIX secolo e proseguì anche dopo la Prima Guerra Mondiale. A precedere il crollo di Wall Street fu agli inizi del Novecento un notevole incremento dell’indice di trasmissione delle informazioni in tempo reale, una sorta di rivoluzione delle telecomunicazioni che, in un certo senso, può essere paragonata alla rivoluzione tecnologica informatica, che ha avuto luogo prima dello scoppio della crisi attuale. La Grande Depressione del 1929 si sviluppò in un progressivo e rovinoso crollo di titoli, aggravato da una latente condizione di sovrapproduzione, causato dalla speculazione finanziaria e dalla continua contrazione di debiti attraverso prestiti concessi senza le adeguate garanzie. La recente crisi economica, analogamente a quella del 1929, ha rappresentato l’esito di una fase espansiva dell’economia di mercato, protrattasi per tutta la seconda metà del XX secolo e conclusasi negativamente con il fallimento del sistema monetario internazionale. La globalizzazione del mercato ha determinato la libera circolazione dei capitali, che a loro volta hanno alimentato una elevata liquidità fino agli anni ’90. In una sorta di reazione a catena, la liquidità ha posto le basi per una economia di mercato senza regole, la quale, a sua volta, ha permesso un aumento straordinario dell’occupazione. Il conseguente incremento del commercio e della delocalizzazione industriale ha generato, soprattutto negli USA, l’insolvenza dei mutui subprime, ovvero concessi senza le adeguate garanzie di restituzione degli interessi. Le banche hanno risposto al debito contratto con la cartolarizzazione, operazione finanziaria che consiste nella trasformazione dei mutui subprime in titoli rivenduti sui mercati internazionali. Il debito è reso ancor più grave dall’accumulo di titoli tossici derivati dai processi di cartolarizzazione. In risposta alla crisi del 1929, durante la quale il sistema economico capitalista parve sull’orlo del collasso, furono emanati provvedimenti drastici, ispirati alla dottrina di uno dei più brillanti economisti del secolo, J.M. Keynes. L’interpretazione keynesiana della crisi ne individua le cause nel fatto che una riduzione del volume degli investimenti si riflette in una riduzione dei beni strumentali nei quali gli stessi investimenti si concretizzano, i consumi calano e si genera una sorta di reazione a catena con il progressivo aumento della disoccupazione, peggioramento della produzione, aumento dei prezzi, diminuzione dei profitti e dell’incentivo ad investire. La soluzione proposta dallo stesso economista prevede l’intervento dello Stato, il quale, ponendo regole nel sistema del liberismo anarchico, dovrebbe cercare di arrestare il processo attraverso una qualificata spesa pubblica addizionale, effettuata tempestivamente al fine di ricondurre il sistema verso posizioni di pieno impiego, abbattendo la disoccupazione e investendo in infrastrutture. Nell’ambito della crisi economica attuale, si parla sempre più spesso del cosiddetto Keynesian Consensus, cioè di regole e di politiche economiche che, nel contesto del neo-liberismo, siano in grado di limitare e orientare attraverso interventi pubblici, evitando il fallimento del sistema. La soluzione keynesiana è attualmente riproposta da alcuni studiosi di economia, tra cui il Prof. Di Taranto. La ricerca di soluzioni deve tener conto dell’evoluzione del sistema economico capitalistico alla luce dell’inevitabile processo di globalizzazione in atto. Un giovane europeo o statunitense che progetta il proprio futuro deve far fronte alle difficoltà che comporta lo scenario della crisi, come la disoccupazione, e prendere atto dei meccanismi storici di evoluzione del capitalismo e della globalizzazione. Il primo passo verso la risoluzione della crisi, oltre alle politiche di intervento statale, è la consapevolezza del corretto funzionamento delle dinamiche economiche. Francesca Cardarelli - III PN
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Chiusura Domenica Sera
isi dei mercati, unità e federalismo
ne, unità e federalismo a centocinquant’anni dalla formazione dello Stato italiano. durante il mese di febbraio da tre professori di discipline storico-giuridico-economiche quale il nostro Liceo ha aderito anche quest’anno, coinvolgendo i ragazzi più grandi. Prof Marisa D’Ulizia La Provincia di Terni per la cultura
Strategie della disinformazione Sarebbe non soltanto riduttivo, ma anche sterile tentare un’analisi degli attuali sistemi di informazione e delle loro ripercussioni sulla realtà sociale senza porli in relazione agli sviluppi della politica ad alti livelli, senza cioè tener conto della presenza, dietro i modelli informativi attuali, di un progetto politico altamente studiato. Qualcuno nella storia lo intuì molto bene. La tendenza generale del mondo è quella di fare della mediocrità la potenza dominante, è la brillante constatazione di John Stuart Mill il quale, nel suo Saggio sulla libertà, prosegue: Nella storia antica […] l’individuo costituiva un potere a sé; se aveva grandi talenti e una posizione sociale elevata, era un potere considerevole. Oggi gli individui si perdono nella folla; ed è proprio così. Volenti o nolenti, siamo immersi in un sistema che opera dialetticamente con le masse, concedendo da un lato ampi spazi alle ambizioni della mediocrità collettiva e relegando, dall’altro, i maîtres à penser in loculi angusti. Come afferma Asor Rosa ne Il grande silenzio - intervista sugli intellettuali, già da alcuni anni il ruolo dell’educatore è stato avocato alla televisione, questo grande intellettuale di massa, che ha come unico rivale, sul piano della cultura condivisa, l’istituzione della scuola. È proprio in questo luogo, infatti, che dovrebbe avvenire l’insegnamento -vitale per i giovani- a decodificare i messaggi che permeano il sistema sociale; è qui che occorre fornire tutti i mezzi e gli strumenti necessari affinché si sviluppi quello spirito critico che altrimenti tenderebbe a restare sopito, con gravissime conseguenze. Il rischio insito nei mass media consiste -oltre al fatto che lo schermo è un mezzo freddo- nel fatto che nella televisione il vedere prevale sul parlare, nel senso che la voce in campo […] sta in funzione dell’immagine, come osserva il politologo Sartori. Per dirla in altri termini, avviene uno scambio tra elementi comunicativi e metacomunicativi, per cui ciò che dovrebbe contenere il messaggio (la parola) si riduce a cornice della reale comunicazione (l’immagine) in quanto il vedere, avvicinando l’uomo alle sue capacità ancestrali, arriva prima e più a fondo nell’ascoltatore. È per tali motivi che, oggi più che mai, è indispensabile un atteggiamento critico, aperto, consapevole di limiti e rischi e pronto a combatterli; è necessario ricordare le parole di Hume: Sentiamo che cadremmo pian piano nelle mani di un potere arbitrario, se non badassimo a impedirgli di crescere. […] Bisogna risvegliare spesso l’animo del popolo per frenare l’ambizione della corte. Nell’era della telematica e di Internet, in cui la massa di conoscenze circolanti è infinitamente più vasta che in passato, la cosa più importante da fare è vagliare, sondare oltre l’apparenza, mettere in discussione le certezze esterne, fare insomma un po’ il lavoro degli intellettuali illuministi, ricordando che proprio da quel periodo traiamo i più alti valori umani del nostro tempo e che l’illuminismo ha rappresentato un’epoca di dibattiti piuttosto che di consensi. È da notare come l’odierno network sia paragonabile, sul piano della propulsione di idee attraverso una rete sociale, a quei salon o circoli non istituzionalizzati di intellettuali tipici del Settecento illuminista. In fondo, il compito dell’intellettuale è seminare dubbi, non raccogliere certezze. […] L’adesione senza la critica è priva di senso (Alberto Asor Rosa). Ilaria Macedonio - III AMS
Italia unitaria o federale? Italia globalizzata A centocinquant‘anni dall’Unità si ripropone lo stesso problema che l’Italia aveva dovuto affrontare all’indomani del 1861, ovvero decidere quale fosse la forma migliore di governo, se unitario e centralizzato o regionale e decentrato. Salita al potere, la Destra storica dovette risolvere diverse questioni: brigantaggio, deficit del bilancio e, appunto, la scelta della forma di governo. In quel momento si decise per l’accentramento (attuato attraverso i prefetti) in quanto sembrò che lasciare spazio alle autonomie locali in un territorio nazionale appena unificato sarebbe stato molto rischioso. Quella della Destra non era però l’unica opzione. I federalisti lombardi, Cattaneo e Ferrari, proponevano che venissero riconosciute le tradizioni e valorizzate le diversità regionali; tuttavia, come sostenne Marco Minghetti, nessuno oserebbe discentrare l’amministrazione a tal grado che può mettere a repentaglio l’unità politica e civile, nessuno, cioè, farebbe in modo di acuire le diversità fra aree tanto diverse in partenza e rendere così ancora più problematica l’unificazione. La soluzione migliore, dunque, sarebbe stata quella di provvedere in un primo momento all’uniformità e omogeneità del Paese per poi passare al riconoscimento delle autonomie locali. A livello pratico, quindi, bisognava creare un apparato unico di leggi e uno stesso sistema amministrativo, che tutto il popolo italiano avrebbe dovuto rispettare. Soltanto così si sarebbe potuto raggiungere l’obiettivo di fare gli italiani dopo aver fatto l’Italia. Gli eventi storici hanno poi dimostrato come la casata dei Savoia abbia fallito l’obiettivo e come sia la Destra che la Sinistra storica siano state accentratrici. In definitiva, è vero che si formò uno Stato italiano unitario ma non si riuscirono mai ad abbattere i localismi politici e culturali, che lo caratterizzano ancora oggi. Il centralismo raggiunto fu dunque imperfetto, inadeguato; l’accentramento burocratico contribuì ad acutizzare le ambizioni e le rivalità regionali e, all’interno di uno stato accentrato e formalmente unitario, si aggravò il regionalismo e si giunse a un’esasperazione di tutti gli istinti e le velleità regionali, come scrive Giovanni Spadolini. L’accentuarsi del particolarismo aprì poi la strada alla diffusione del fascismo. Lo Stato unitario, solcato dalle rivendicazioni localistiche, era infatti debole e non poteva organizzare un’opposizione efficace alla penetrazione totalitaria. Dunque la dittatura s’instaurò sopra uno Stato imperfettamente accentrato, con il risultato che le diversità regionali vennero sempre più represse e le autonomie non trovarono più spazio. Il crollo del regime fascista comportò di conseguenza il desiderio crescente in tutta la nazione di recuperare le tradizioni e le peculiarità regionali. Proprio verso il regionalismo o decentramento regionale è indirizzata la Costituzione italiana. Ritardato fino al 1971, la sua attuazione si tradusse in un’operazione tecnico-burocratica, senza essere, come alcuni avevano auspicato, la premessa di un rinnovamento politico di ampio respiro. Nel solco aperto da questo fallimento si inserisce la proposta della Lega Nord. Per quanto riguarda quest’ultima, però, è difficile credere che non sia mossa dall’interesse di aggravare la distanza tra la Padania e il resto del Paese. In ogni caso, nella situazione attuale e in particolare nella prospettiva dell’Europa regionale, il federalismo sarebbe la miglior forma di governo: del resto, una grande federazione di stati repubblicani e democratici era, anche secondo l’impostazione kantiana, la migliore garanzia per una pace perpetua. Si propone il principio di sussidiarietà, massimo decentramento fino ai livelli più bassi del potere decisionale e intervento degli organismi europei soltanto laddove quelle decisioni non vengano prese dalle autorità locali, come rileva Gianfranco Pasquino. Ma si può veramente dare tanta fiducia al decentramento? Il problema attuale non è più quello che contrappone Stato unitario e Stato regionale. La globalizzazione induce a riflettere piuttosto sul coordinamento decisionale delle regioni con gli organismi europei. Sia nell’ottica dell’autonomia delle regioni, sia nell’ottica dello Stato nazionale, è necessaria una rigenerazione del ceto politico italiano che deve collaborare con i cittadini mettendo a disposizione gli strumenti per informarsi, partecipare, controllare, intervenire. Soltanto il buongoverno dunque, supportato da classi politiche efficienti e all’altezza del contesto globale, potrà portare a un miglioramento della realtà italiana. Marta Valenti - III IF
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Percorso francescano... e... Si parla tanto di incrementare il turismo sia a livello nazionale che locale ma poi, quando si va a vedere cosa si fa per raggiungere questo scopo, si hanno delle brutte sorprese. Facciamo un piccolo esempio per capirci meglio. Se un turista viene a Stroncone per fare il percorso francescano e dorme una o più notti in un albergo della zona, perché non gli chiediamo come si è trovato e se ha suggerimenti da darci? Basterebbe predisporre un foglio di carta con dei quesiti in più lingue, corredato da una busta da NON affrancare indirizzata al comune. Costo dell’operazione? Qualche centinaio di euro. E adesso vediamo di fare il percorso a piedi, anche se per un breve tratto, trasformandoci in turista-pellegrino. La prima cosa che balza all’occhio sono le indicazioni del percorso: belle quelle in legno ma poche. Le altre indicazioni fatte con vernice rossa e bianca sui tronchi degli alberi o sui sassi sono insufficienti perché in molti incroci non ci sono mentre in altri c’erano, ma sono state asportate. C’è qualcuno addetto al controllo almeno annuale di tale percorso? Se ci fosse (e se non c’è bisognerebbe nominarlo) si sarebbe reso conto che quando un bosco che costeggia la strada bianca da Stroncone alle Ville di Vasciano viene tagliato, si taglia anche l’albero dove erano stati tracciati segnali indicatori per raggiungere il Sacro Speco. Questi segnali vanno ripristinati, così come va manutenzionato il fondo stradale col ripristino delle cunette di scolo dell’acqua piovana che vengono sistematicamente richiuse dal passaggio di mezzi agricoli e di autocarri o richiuse arbitrariamente dal proprietario del terreno. Lungo il percorso francescano ci sono poi dei ruderi di costruzioni presumibilmente di epoca romana, detti dagli abitanti locali le rotticelle, (le grotticelle o piccole grotte), atte forse a raccogliere l’acqua piovana per uso animale. Quando costerebbe farle vedere ad un esperto regionale, ripulirle dell’edera che le avvolge e metterci una tabella plurilingue che ne spiegasse il periodo di fabbricazione e l’uso per il quale erano state costruite? E la strada che scende da Lugnola e che incrocia il percorso francescano dove si vedono ancora i solchi nella pietra lasciati dai carri o dalle traglie che lì sono transitati nelle epoche passate? Ve lo immaginate un gruppo di turisti che si fermano un attimo per riprendere fiato -dopo la salita- e si mettono a leggere il cartello esplicativo plurilingue? I commenti positivi che farebbero? Le lodi all’amministrazione comunale? E se fossero stranieri includerebbero nelle lodi anche l’Italia. Ve lo immaginate il turista costretto a pagare la tassa di soggiorno se in cambio potesse avere un opuscolo, una piccola guida o magari vedere al circuito museale un Dvd dove un esperto con un po’ di immaginazione illustrasse com’era la vita qui, diciamo 10 000 anni fa? Oppure il lunedì di Pasqua offrire ai turisti che hanno pernottato in albergo una colazione tipica della Pasquetta con uova sode, capocollo, pizza con formaggio e dolce, frittata con le erbette, con stricoli, asparagi selvatici ecc…? Pensate che non si spargerebbe la voce sulla rete o nel passaparola? Andrebbe inoltre fatto un controllo stretto sui locali pubblici come ristoranti, bar e negozi per tenere sotto controllo l’igiene, la pulizia dei bagni, e i prezzi dell’acqua minerale. Se invece si sparge la voce che in Italia il turista è visto come un pollo da spennare, dove le cose belle da vedere sono inaccessibili ai più, non possiamo lamentarci poi se sempre meno gente viene da noi e, se ci viene, ha sempre da recriminare. Facciamo pagare il coperto -reminiscenza medievale- molto salato, da 1 a 2 € o più, e non diamo nemmeno un’anfora d’acqua di rubinetto compresa nel prezzo, per lucrare il guadagno sulla minerale... E allora cosa fa il pellegrino furbo? Si va a comprare un panino nel negozio di generi alimentari più vicino e noi perdiamo immagine e perdiamo la trasmissione dei nostri sapori… Sai quanto ci vuole per rifarsi un’immagine? A volte non bastano alcune generazioni! Stiamo confondendo i turisti con gli uccelli di passo e infatti entrambi stanno diminuendo. Chiedete ai cacciatori cosa hanno preso quest’anno e vi accorgerete che non diciamo balle. Un anno pessimo come questo per i cacciatori locali non si era mai visto. Chiunque può capire di cosa stiamo parlando specialmente se abbiamo conoscenza di come viene curato il territorio nei Paesi Europei a noi vicini o nelle nostre Alpi, dalla Val d’Aosta al Trentino, al Friuli. C’è l’amore per il proprio territorio, per le proprie strade, mulattiere e non, per la propria storia piccola o grande che sia e per la propria terra. Per tornare a Stroncone, siccome poi i turisti sono più numerosi durante la stagione estiva e visto che lungo il percorso ci sono delle sorgenti di acqua naturale, perché non vengono analizzate sulla loro potabilità e indicate con un cartello plurilingue come -per esempio- “bar di S. Francesco”? Oppure se l’acqua non fosse potabile il cartello potrebbe essere utile anche alla gente del posto che magari la beve perché la ritiene migliore di quella del rubinetto. Si potrebbe anche mettere in rete l’orario di apertura e l’ubicazione dei negozi di generi alimentari non lontani dal percorso medesimo o qualunque altra notizia che può essere utile al turista, compresi, perché no, anche gli orari, gli indirizzi e i numeri telefonici degli ambulatori medici e delle farmacie della zona. Offrire al turista un ventaglio di opzioni perché noi non sappiamo chi è e quali interessi coltiva; e se qualcuno fosse interessato a vedere una stalla della zona? Oppure una fabbrica? Magari potrebbe essere lo stesso che poi chiede di vedere i corali o il museo. Alcuni turisti, specialmente stranieri (e non sarebbe male se imparassimo anche noi a fare altrettanto) vanno a visitare anche il cimitero del paese che li ospita. C’è tutta la pietà di un popolo per i propri morti, l’arte funeraria che si è evoluta nei secoli, l’architettura antica e moderna, l’evolversi dei gusti. E anche nel cimitero della più piccola e sperduta frazione, anche in assenza di tombe monumentali di personaggi di rilievo, si può cogliere l’affetto e il dolore che ha accompagnato la dipartita di una persona cara, si può cogliere lo spirito e conoscere meglio la mentalità di un popolo. Ecco perché le amministrazioni dovrebbero curare bene i cimiteri e non limitarsi a falciare l’erba l’ultima settimana di ottobre come spesso accade. Volendo, molto si può fare. Anche organizzare visite guidate per dare lavoro a ragazzi del posto, visto che sicuramente chi conosce le lingue c’è di sicuro. Immaginiamo cosa farebbero gli Stati Uniti se avessero un comune come il nostro, con le sue bellezze, le sue frazioni, la sua storia secolare, le sue chiese, le sue tradizioni e il suo territorio. E’ vero che noi siamo assuefatti a tutto questo ma almeno proviamoci a fare Vittorio Grechi qualcosa di più e di meglio.
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F o n d a z i o n e Cassa di Ri sparmi o di T ern i e N a r n i
Alfredo Innocenzi Tutto ciò che produce un effetto nella sfera emotiva, può essere definito Opera d’Arte. A questa affermazione, inevitabilmente, fanno seguito diversi e svariati distinguo ai quali però non lasciamo spazio. Per noi l’assioma è valido e lo accettiamo così com’è perché nel suo significato lo riteniamo esauriente. Del resto la sensibilità umana, patrimonio che ogni persona possiede, è la ricevente dei fatti che accadono nel mondo che è intorno e quando questi fatti sono tali da vivacizzarla più di altri, significa che ha ricevuto da essi qualcosa di più e, rimanendo nel mondo dell’arte, quel qualcosa è Opera d’Arte anche se solo dal punto di vista personale. Inoltre il concetto di bello, requisito insito nel prodotto artistico, fa parte della nostra sfera emotiva e di conseguenza davanti ad un quadro, una scultura, o quando ascoltiamo della musica... è solo la commozione che proviamo che ci fa apprezzare o meno l’Opera che le mani e la sensibilità di alcuni personaggi particolarmente dotati hanno prodotto. Non dobbiamo temere di non condividere considerazioni diverse dalle nostre (anche se in gran parte sono la maggioranza), i veri giudici siamo solo noi, con la
nostra sensibilità e personalità. Ritenere che il bello è tale perché risponde a determinati requisiti, è sbagliato: il bello, per ognuno di noi, è vela dolcissima che prende il vento dalla nostra spiritualità. Non solo, il più delle volte, ricorrendo appunto alla nostra sensibilità riusciamo a capire quella dell’autore e, anche in questa circostanza, osservando le opere di Alfredo Innocenzi, percepiamo la dolcezza del suo animo d’artista. Innocenzi è entrato giovane nel mondo dell’arte e subito ne è rimasto
coinvolto perché sin dall’inizio fortemente predisposto. Le sue opere hanno la magia di catturare e di portare chi le osserva in un mondo dove la serenità è di casa e al tempo stesso, nella tranquillità del soggetto, fa capire lo spirito che vi è racchiuso. Sia la scultura che la pittura di Innocenzi hanno in particolare una caratteristica: quella di contenere e di diffondere poesia. Come nelle opere dei Grandi, anche in quelle di Innocenzi si cela, per poi palesarsi dolcemente, un qualcosa che va diritto al cuore come fosse una
freccia che penetra nel bersaglio dell’anima producendo inevitabilmente commozione. A questo punto ritengo opportuno completare questa mia riflessione sul nostro Alfredo Innocenzi riportando la parte finale di un articolo che Mino Valeri ha pubblicato sul quotidiano Il Tempo in occasione di una Mostra tenuta a Sarezzo nel 1973: Nei dipinti ad olio si manifesta la coerenza formale e compositiva che caratterizza l’attività di Innocenzi. Ci appaiono dinanzi figure quasi evanescenti, atmosfere di sogno, com-
posizioni realizzate attraverso una delicata e tonale espressione del colore: c’è un vago senso surreale nelle opere di Innocenzi. In quegli alberi scheletrici che sembrano aver perso la loro materiatità; in quelle figure esili e longilinee; in quelle composizioni quasi trasognate Alfredo Innocenzi esprime il suo mondo lirico fatto di sensazioni e di esigenza di ricerca di una bellezza... Le opere plastiche di Innocenzi possiedono una loro forza espressiva, come ad esempio quella “Maternità” racchiusa in se stessa, dove il movimento ovale della composizione contiene e comprende, non solo volumetricamente, ma anche espressivamente le due immagini: il modellato in questa opera é ridotto al minimo, in ogni caso l’intensità espressiva conserva una sua validità. Alfredo Innocenzi, scultore e pittore diplomato al Museo artistico di Roma è nato a Terni il 7 Ottobre 1909 e quivi è morto il 6 Novembre 1974 lasciando un’impronta profonda lungo il cammino dell’arte nostra, non solo per la sua qualità e bravura, ma anche per i numerosi importanti riconoscimenti che ha ottenuto durante la sua vita d’artista al di fuori della sua città. Marcello Ghione
Proprietà Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni
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I figli del nord Africa tra le braccia di mamma Italia Sono in migliaia i profughi che da settimane hanno invaso la piccola isola di Lampedusa in cerca di una sistemazione. La situazione è molto grave e ogni giorno aumentano i problemi. Il governo ha garantito il massimo impegno per cercare di aiutare nel minor tempo possibile gli immigranti e gli abitanti dell'isola, ma ciò non è sufficiente per fronteggiare quanto sta accadendo. C'è paura, soprattutto per il numero dei profughi, oltre 6000, e per il forte disagio quotidiano che i lampedusani denunciano da tempo, accusando lo Stato italiano di inadempienza e disorganizzazione. Mancano le tende, c'è il rischio di epidemie, uomini e donne allo stato brado, con pasti indecenti, manca persino l'acqua e la cosa più grave è la chiusura dentro le mura domestiche dei bambini, le madri di Lampedusa hanno paura dei tunisini, troppi per un piccolo territorio abituato al silenzio del mare. L'emergenza degli immigranti non è nuova alle istituzioni, a distanza di anni, il fenomeno si ripete sempre con intensità maggiore, forse è arrivato il momento di strutturare un piano efficace per arginare il problema. Vivere la condizione di profughi è una cosa complessa, a partire dal viaggio di speranza che dalla loro patria, li condurrà in una nuova terra. Un'odissea dove a combattere non c’è Ulisse contro le presenze mitologiche, ma uomini con le loro vite, bisognosi di aiuto. Un tuffo nel vuoto, nel profondo mare del destino e in quello del Mediterraneo, senza certezze. Gli immigranti sono un'emergenza destinata ad avere ripercussioni sul piano sociale nazionale. Mancano le strutture per fronteggiare situazioni di crisi come questa degli sbarchi. Non si può contare solamente su un numero ristretto di centri di accoglienza, il Governo deve organizzare un piano alternativo. La storia insegna che proprio per la centralità geografica del nostro paese, l'Italia è stata sempre soggetta a questa sorta di “invasioni barbariche”. Manca poi una legge in materia dettagliata, in grado di disciplinare i tempi e le procedure per il controllo e la presenza degli immigrati. Quanto tempo possono restare? Dove possono andare a vivere? Cosa debbono fare per il breve o lungo periodo di permanenza in Italia? Quali centri e cure hanno a disposizione? La Matassa è sufficientemente complessa. Infine che garanzie hanno gli italiani? Come possono essere tutelati da questo evento che sicuramente porterà dei cambiamenti a livello sociale? Molti profughi saranno suddivisi e mandati nelle varie regioni del nostro paese, ma ciò non basta per garantire una sicurezza sul piano interno. Anche se difficile da concepire, le paure legate all'aumento della criminalità, sono spesso imputabili a questo fenomeno. Non dobbiamo generalizzare, il contrario vorrebbe significare far trionfare razzismo e discriminazione, occorre un’operazione internazionale. L’Italia fa parte dell’Europa, non può affrontare un’emergenza così gravosa da sola. La gente si interroga su questo flusso migratorio che non sembra trovare soluzioni. C’è la necessità di mettere in atto sostanziali interventi di prevenzione e cooperazione, per una realtà solidale ma allo stesso tempo sicura per tutti. Lorenzo Bellucci lorenzobellucci.lb@gmail.com
F a c e b o ok e i suoi fratelli: l a r o v i n a d e lle persone arriva dal we b Facebook ed altri social network hanno superato il limite del buon senso, invadendo ogni momento della nostra vita, portando una situazione di generale conformismo, secondo il quale chi non si iscrive non fa parte della community ed è tagliato fuori dal gruppo. Non esiste più la dimensione personale, tutto è messo a disposizione di tutti, la privacy e la riservatezza si sono estinte. Entrare nella vita degli altri, per vedere le cose personali, magari appropriandosene senza permesso, è diventato normale. Nell’era del digitale e della comunicazione web, non ci sono più limiti e protezioni. C’è un piacere voyeuristico, uno spiare senza essere visti, dove la curiosità per gli affari degli altri è l'elemento caratterizzante. I social network aumentano il numero di incontri tra le persone, o meglio, le possibilità di incontro, favorendo allo stesso tempo, un isolamento collettivo delle masse dietro al computer, bloccando quella forma autentica e originale di dialogo tra individui. Si parla sempre di meno, si scrive ancor di meno, la velocità e la realtà virtuale hanno creato questa paralisi dello spirito umano nel voler istaurare rapporti in modo diretto. Un tempo i giovani avevano solo un modo per conoscersi: farsi avanti con coraggio e voglia di presentarsi. Oggi si rimanda tutto ad una possibilità virtuale. Manca quel piacere del mettersi in gioco con leale partecipazione emotiva, senza scudi o protezioni, manca l’immediatezza dell’approccio con l’altro. La scrittura rapida dei messaggi online ha distrutto il bene più prezioso dell’umanità: il dialogo e le parole. Ci sono siti internet che permettono ogni cosa, dove tutti possono accedere con grande facilità e crearsi identità non vere. L’uomo di per sé fatica a mettere a nudo la sua originale natura, sempre in bilico tra essere e apparire; ora ha la possibilità di scegliere tra le infinite identità quella che preferisce. Quale sarà quella vera? Conoscere altre persone fa aumentare anche un altro fattore, quello dei tradimenti. E' pur vero che se un amore è autentico, non si lascia sedurre dal fascino altrui, ma è anche vero che molte coppie si sono separate dopo l’avvento dei social network. Sembra brutto dire che la tentazione si nasconde nello sviluppo tecnologico di internet, eppure è così. La vera ricchezza di ogni individuo sono gli amici. Con facebook c'è la possibilità di averne tantissimi, peccato che non sono più veri e reali ma persone che si aggiungono ad una somma, per far aumentare vertiginosamente il conta-amici e mostrarsi ricchi di persone, nascondendo una verità che spaventa ogni individuo: la solitudine. Persone che si salutano una volta e diventano subito amici su facebook, altre che non si conoscono e improvvisamente vengono messe nell’elenco, come quello della spesa: Oggi ho comprato tre amici, domani ne comprerò altri cinque. I veri amici non sono oggetti da collezione, non si mostrano in un elenco per il piacere di sentirsi migliori. Manca l'autenticità nella nostra epoca, i veri valori non esistono più. La cosa più eclatante è l’ipocrisia di persone che non si salutano quando si incontrano ma su internet sembrano amici per la pelle. Se pensiamo poi ai tanti giochi e intrattenimenti che facebook offre, è un altro punto su cui riflettere. Molti utenti sprecano ore intere davanti al pc, abbindolati da pupazzetti che promettono loro soldi e successo, sempre virtuali, perché quelli reali costano fatica vera, in cambio di una continua e costante presenza online di gioco. Quello che è importante capire è l’uso sbagliato che si sta facendo di questi mezzi, dove il piacere della comunicazione e della conoscenza è passato in secondo piano, lasciando il posto a misere opportunità. LB
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Lo spettro solare La radiazione elettromagnetica proveniente dal Sole non è solo luce visibile: è anche luce infrarossa, luce ultravioletta, raggi X, raggi gamma e onde radio, così come si evidenzia dall’immagine a fianco. I colori degli oggetti che osserviamo nascono dalle interazioni tra la radiazione solare e gli elettroni degli atomi o delle molecole che li compongono. La luce bianca è in realtà un miscuglio di colori. Ad ogni colore corrisponde una data lunghezza d’onda e una certa frequenza delle onde elettromagnetiche. Dal rosso al violetto le lunghezze d’onda variano da 700 nanometri a 400 nanometri, cioè da 0.7 a 0.4 millesimi di mm. Se facciamo passare la luce emessa dal Sole attraverso un prisma, la scomponiamo nei suoi colori costitutivi: violetto, blu, azzurro, verde, giallo, arancione e rosso. In più troveremo numerosissime righe scure che corrispondono a determinati elementi chimici presenti nell’atmosfera solare: ogni elemento, allo stato gassoso, assorbe caratteristiche frequenze luminose, originando le discontinuità rilevabili nello spettro. Queste righe furono scoperte da Josef von Fraunhofer, uno scienziato tedesco, all’inizio dell’800 e da lui hanno preso il nome. Tuttavia, la tipica rappresentazione dello spettro solare con i colori dell’arcobaleno è solo una piccolissima parte di tutte le altre componenti luminose (visibili e non) che lo contraddistinguono. Con l’aiuto di un piccolo stratagemma, è possibile rilevare la presenza di tali componenti invisibili quale, ad esempio, la componente ultravioletta. Ricaviamo, dapprima, lo spettro solare facendo attraversare un semplice vetro o cristallo da un raggio di sole e la striscia colorata che si ottiene visualizziamola su un foglio di carta bianca. Ora, se sovrapponiamo in parte, al foglio di carta bianca un foglio di carta gialla fluorescente (reperibile facilmente in cartoleria), la striscia a colori che si visualizza su quest’ultimo è senza dubbio a sfondo giallastro, tuttavia, si vede bene come essa si estenda ben oltre il violetto: lo spettro solare mostra, quindi, altre componenti oltre la luce visibile denominate, appunto, radiazioni ultraviolette. Non basta. Se prendiamo un filtro rosso, di quelli che si utilizzano in fotografia, si noterà come la componente rossa della luce solare attraversi il filtro senza alcuna attenuazione, a differenza invece, di altre componenti (ad esempio, quella blu) che risultano fortemente attenuate o del tutto assenti dallo spettro risultante. Ciò ci porta a dire che, in natura, esistono materiali che sono trasparenti per alcune componenti della luce solare e che, invece, risultano opachi per altre. L’aria che respiriamo e, più in generale, la nostra atmosfera ne sono esempio concreto. Dimostriamolo, osservando la diversa colorazione del cielo e del sole a mezzodì e al tramonto. Quando il sole è vicino all’orizzonte, la luce che ci raggiunge deve attraversare uno spessore maggiore di atmosfera terrestre rispetto a quando esso è già alto nel cielo; ora, se si tiene conto che l’atmosfera terrestre, per la tipica natura dei gas di cui è composta, è abbastanza trasparente alla luce rossa, mentre assorbe e diffonde in misura molto maggiore la luce azzurra, ben si comprende come al tramonto (o all’alba) il cielo ed il sole siano prevalentemente rossastri (l’atmosfera, più spessa, attenua le componenti blu) mentre, il cielo diurno sia azzurro. Allo stesso modo in cui abbiamo scoperto la presenza di componenti invisibili oltre il violetto, è possibile dimostrare la presenza di componenti invisibili prima del rosso, denominate radiazioni infrarosse. Un altro esempio di radiazioni invisibili e molto note sono i cosiddetti raggi X o raggi Roentgen (dal nome del suo scopritore, lo scienziato Wilhelm Roentgen, alla fine del 1800), i quali non sono altro che una piccola parte delle radiazioni emesse dal nostro sole ed hanno l’interessante caratteristica di attraversare con facilità i tessuti organici. Le nostre ossa sono meno trasparenti dei muscoli per i raggi X, quindi, su una lastra fotografica impressionata, esse appaiono più scure di questi ultimi, permettendone così l’utile impiego in radiologia: attenzione, però, all’esposizione prolungata a certo tipo di radiazioni, solari e non ! Il loro utile impiego nella diagnostica medica non implica che esse lo siano altrettanto per la salute. Per nostra fortuna l’atmosfera terrestre, da buon filtro che è, ci preserva quotidianamente dagli effetti nocivi di tali radiazioni solari, invisibili sì, ma anche molto penetranti e pericolose per gli esseri viventi. Elena Lucci Classe IIIG, ScM O. Nucula Per le immagini riportate, si ringrazia il sito Wikipedia (http://it.wikipedia.org).
Il Risorgimento degli studenti
Il Risorgimento: un evento a noi lontano, risalente addirittura a centocinquanta anni fa, voluto solo da un gruppo di ingenui idealisti che obbligarono i napoletani a condividere la propria patria con i milanesi, non rispettando la logica italiana del guadagno personale sopra ad ogni cosa. Soprattutto un processo storico del quale è meglio
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dimenticarsi o, almeno, questo è quello che pensano molti italiani. Ma stiamo scherzando? E’ veramente assurdo per una nazione degna di definirsi tale sentirsi unita solo quando giocano gli azzurri! Principalmente perché questa divisione culturale ci scredita agli occhi del mondo: basta dire che i cinesi associano al nostro popolo solo la mafia, la pizza e gli spaghetti. Proprio per dimostrare l’assurdità di questi luoghi comuni è importante investire sulle nuove generazioni, in modo da far sì che i ragazzi capiscano l’importanza della nostra unità. Su questo punto è di fonda-
mentale importanza la scuola, la quale ha accompagnato la nostra storia dal diciannovesimo secolo fino ad oggi. Il 23 Marzo scorso, ad esempio, presso l’Orazio Nucula, si sono svolti i festeggiamenti per codesta importantissima ricorrenza. Quest’ultimi sono stati organizzati in maniera eccellente dagli alunni, i quali hanno creato una mostra iconografica sugli eventi accaduti dal 1861 in poi, oltre ad un coro veramente patriottico che ha eseguito canzoni come Inno di Mameli, Addio, mia bella addio, La bandiera dai tre colori, ed altre. E’ da sottolineare la pre-
senza di molte autorità, tra le quali il Sindaco, che ha dato maggiore importanza all’evento. Straordinari anche il rinfresco preparato dagli studenti dell’Istituto Casagrande e la grande partecipazione della maggior parte delle classi di Terni. Tutto ciò dimostra che, fin quando esisteranno giovani in grado di comprendere l’importanza della nostra unificazione e dell’amore verso la propria patria la speranza non sarà perduta! Dalla fine della rivoluzione francese, infatti, decine di migliaia di italiani hanno sacrificato la propria vita per inseguire un ideale, il quale deve essere accolto
anche da noi, altrimenti tutto il Risorgimento rappresenterà veramente l’errore di una setta di utopici. Proprio per evitare ciò voglio ricordare a tutti i lettori una parte del messaggio che, nell’ode Marzo 1821, Alessandro Manzoni volle dare a tutta la nazione: Una gente che libera tutta, o fia serva tra l’Alpe ed il mare; una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor (……) O stranieri, nel proprio retaggio torna Italia, e il suo suolo riprende; o stranieri, strappate le tende da una terra che madre non v’è! Francesco Neri Classe IA, ScM L. Da Vinci
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Un certo Ecfanto, di Siracusa, affermava che si può arguire che il cosmo sia dotato di mente dal fatto che, per la sua potenza divina, ha forma di sfera: centro del cosmo è la terra, che si muove intorno al suo asse in direzione d’oriente. Hippolytus, I 15 [Refutatio contra omnes haereses]
A n d i a m o i n o r b i t a - L’ e s p l o r a z i o n e d i G i o v e Ci lasciamo alle spalle il bellicoso Marte e con un balzo repentino di soli 550 milioni di Km andiamo ad esplorare il sistema di Giove e dei suoi numerosi satelliti. Oggetto molto luminoso nel cielo, fin dall’antichità è stato oggetto di studio da parte di AssiroBabilonesi, Egiziani e Greci, ma dobbiamo a Galileo Galilei la prima osservazione con un telescopio, la scoperta dei famosi quattro satelliti Medicei e la definitiva messa a dimora della teoria Tolemaica che considerava la Terra al centro dell’Universo. Più grande fra tutti i pianeti del Sistema Solare e costituito principalmente da Idrogeno ed Elio, ha un volume 1500 volte superiore alla nostra Terra e un diametro tale che la Terra ci sta 11 volte (vedi figura sopra). La storia dell’esplorazione moderna si riassume principalmente con alcune sonde che dirette verso altri lidi gli passavano a distanza ravvicinata. La prima in assoluto è stata la Pioneer 10 nel 1972; l’anno successivo è stata la volta della gemella Pioneer 11 e nel 1977 le due Voyager. Altre sonde si sono invece avvicinate a Giove per sfruttarne l’effetto fionda gravitazionale (Vedi La Pagina, Novembre 2010), come la sonda Ulysses lanciata per lo studio del Sole nel 1992, la Cassini diretta su Saturno nel 2000 e per ultimo nel 2007 la navicella New Horizons in transito verso Plutone. Sfruttando questi incontri ravvicinati, arrivavano a Terra, a disposizione degli scienziati, migliaia di fotografie e i risultati delle svariate strumentazioni a bordo delle sonde. Si scopriva così che Giove presentava un intenso campo magnetico che, al pari di Saturno ed Urano, possedeva un debole sistema di anelli planetari, che la sua densa atmosfera era molto dinamica, con fulmini, aurore, cicloni e venti che spiravano a velocità di oltre 600 Km orari, e che esistevano numerosi altri satelliti di piccole dimensioni non osservabili dai telescopi a Terra. La sonda Galileo, invece, unica missione diretta proprio su Giove, fu inviata nel 1995 ed è rimasta in orbita per ben sette anni (vedi figura a lato). Ha trasportato una sonda robotica che è penetrata nell’atmosfera di Giove eseguendo misure di temperatura, pressione ed analisi chimiche. La stessa Galileo poi, per evitare una possibile caduta sul satellite Europa contaminandolo, è stata fatta precipitare su Giove, inghiottita dalla dense nubi, in un impatto controllato avvenuto il 21 settembre del 2003. Un bocconcino ghiotto, sfruttato a dovere dai telescopi a Terra, dal telescopio spaziale Hubble e dalle sonde presenti e operative nelle spazio, si è presentato in occasione della caduta su Giove della cometa Shoemaker-Levy che nel 1994 si frantumò in 23 pezzi. Le ferite causate dalle collisioni hanno fornito molti dati sulla composizione chimica dell’atmosfera. Due sono le missioni già programmate per un prossimo futuro: la sonda Juno della NASA destinata all’osservazione di Giove ad alte latitudini partirà quest’anno, mentre la Europa Jupiter System Mission che ha per obiettivo l’esplorazione dei satelliti galileiani, salperà non prima del 2020 e sarà un programma alimentato economicamente da America, Europa e forse anche dal Giappone.. A proposito dei satelliti di Giove, dai quattro che erano dai tempi di Galileo, sono lievitati ad oltre una sessantina, ma di loro ce ne occuperemo al prossimo mese… e sì che di sorprese ce ne sono e nemmeno poche!! Tonino Scacciafratte - Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com
Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Osservazioni per il giorno venerdì 29 Aprile 2011
La visibilità di Saturno, dal mese scorso, è andata ulteriormente migliorando: logico quindi che lo punteremo con il telescopio e, sperando in una serata priva di turbolenza atmosferica, potremmo utilizzare alti ingrandimenti. Si trova nella costellazione della Vergine nelle immediate vicinanze della stella Porrima, una stella doppia molto famosa per la brillantezza delle componenti. Di colore giallo, sono due astri che ruotano uno intorno all’altro con un periodo di 172 anni. Faremo anche delle simulazioni al computer per spiegare concetti semplici di geografia astronomica e cercheremo insieme ad occhio nudo tutte le costellazioni primaverili. TS
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Una
costellazione
al mese
La Bilancia (o Libra) La Bilancia, costellazione primaverile, comincia ad essere visibile durante il mese di aprile dopo le 21, molto bassa sull’orizzonte, mentre sta sorgendo. Culmina in meridiano intorno alle 22 a metà giugno e resta visibile in cielo fino a settembre. Unico oggetto inanimato rappresentato nello zodiaco, la Bilancia è una costellazione antichissima, una delle molte che gli antichi greci ereditarono dai Babilonesi. Reperti mesopotamici risalenti al 2200 aC mostrano unsacerdote che tiene in mano una bilancia della giustizia, simbolo che è rimasto inalterato fino ad oggi. I Greci vedevano in cielo la dea della giustizia (Astraea, la nostra costellazione della Vergine) sostenere proprio una bilancia. In verità, Arato di Soli (III sec aC), parlando della costellazione fa riferimento alle chele del vicino Scorpione e tale abitudine venne ripresa nel tardo medioevo; a riprova di questo i nomi delle due stelle principali sono Zuben el Genubi, chela meridionale e Zuben el Schemali, chela settentrionale. Comunque alla fine lo Scorpione tornò ad avere chele di dimensioni normali e la Bilancia la sua dignità di costellazione indipendente. La costellazione è posta tra la Vergine e lo Scorpione e possiede due stelle più luminose, Alfa (α) e Beta (β), che assieme alle meno brillanti Gamma (γ) e Sigma (σ) formano una figura che assomiglia ad un aquilone un po’ distorto. E’ facile da rintracciare: basta localizzare Spiga della Vergine e Antares dello Scorpione e a metà strada troviamo Alfa Librae.
La stella Alfa, la chela meridionale, è una stella doppia facilmente risolvibile con un modesto binocolo. Le due stelle sono fisicamente legate (hanno la stessa distanza da noi, circa 77 a.l., e condividono il moto nello spazio) ma lo spazio che le separa è circa 5500 UA, un abisso che implica un periodo di rivoluzione di almeno 200.000 anni. La stella Beta, la chela settentrionale, è la più luminosa ed ha un colore poco comune: è stata definita l’unica stella visibile ad occhio nudo di colore Giovanna Cozzari verde. Provare per credere!
Accadde... solo 3 anni fa
La Miridiana Stavamo a ggustacce le vacanze ‘stive ‘nsieme co’ Zzichicchiu e tuttu lu seguitu. M’ero messu a ddormi’ sotto l’ombrellone. A ‘n certu puntu me so’ svejatu... ero ‘n bagnu de sudore... stevo sotto lu scrocchiu de lo Sole! Co’ ‘n’aria ‘n bo’ scocciata ho sborbottatu... Chi mm’ha spostatu lu parasole! Sì statu tu Zzichi’?... A Lunardi’... devi sape’ che noi ggiramo co’ la Terra!... Ariecculu quistu... mancu co’ lo Sole se po’ sta fermi!... Rimanenno carmu carmu me tt’ha spiegatu... Te volevo di’ che mmancu l’ombra se ferma, soprattuttu quanno ce sta lo Sole. Lo sai che l’egizziani co’ ll’ombra che sse mòve... ciànno ‘nventatu la miridiana? Serve pe’ ssape’ l’ora... però sulu quanno è ggiornu e, quarche vorda, anche quanno ce sta la Luna Piena. Te vojo ‘mpara’ a fanne una... guarda ch’è ‘n bo’ rudimentale e ‘pprossimata. Conficchi per terra ‘n bastone... aspetti mezzugiornu e ffai ‘n segnu ‘n do’ sta l’ombra e cce segni le 12. Fai ‘n andru segnu pe’ ttraversu a qquillu de prima, che ppassa pe’ lu piede de lu bastone... a Este ce segni le 18 e a Oveste le 6 e ppo’ dividi quillu spazziu ‘n parti ‘guali e cce segni 7... 8... 9... 10... fino a 11 perché 12 ce l’hai già segnatu e ppo’ 13... 14... fino a 17 e... ecco fattu! Se non ciài quarche scadenza pricisa te pòi anche contenta’! Quella, co’ lo Sole, cammina sempre. Sapissi quante ce ne stanno su li palazzi vecchi ‘n giru! Lu bastone o mejo lu gnomone, è conficcatu su li muri e ‘ndirizzatu versu la Stella Polare... ccucì è ppiù ppricisu! Co’ ll’occhi birbi che mme brillavono j’ho fattu... Senti Zzichi’... mo’ te ne dico una ch’è ‘n misteru anche per te. A Terni ce sta ‘na miridiana che... pe’ ccom’è ffatta... mesà ch’è l’unica in ‘Uropa... me sai di’ ‘ndo’ sta?... ??... Ah questa no’ la sai!?... E’ quella che sta all’Itisse... da ‘n saccu d’anni bbuttata llà ‘n cantone tutta ‘mporverata... che ‘n se riesce a mmettela su perché mesà pesa troppu!... E cce credo!?... Cià ‘n saccu d’ombra e non cammina mai! paolo.casali48@alice.it Note: La meridiana dell’I.T.I.S., progettata e realizzata dall’esimio Prof. Stelio Mancinelli Degli Esposti nel 1986, consiste di due quadranti in marmo (10q ciascuno) con le dimensioni di 180 cm per 180 cm per 11 cm e di un grande gnomone triangolare con i lati di 176 cm, 120.5 cm e 124 cm in lamiera di acciaio inox dello spessore di 5.5 mm. Sul primo quadrante si legge l’ora solare; sul secondo si converte questa in ora civile, con una tolleranza, davvero minima, trenta secondi.
ASTROrime... Sirio Sirio in greco è la splendente... è la stella più brillante... se diciam visibilmente... la seconda più distante. (8,6 a.l.) Sirio del... Cane Maggiore... per il greco e antico egizio... proprio all’alba... con splendore... (levata eliaca) è l’annuncio del solstizio. (solstizio estivo) PC
Il cratere Kamil Si può viaggiare e scoprire nuovi luoghi e meraviglie di questo nostro pianeta in tanti modi, ma 3 anni fa, Vincenzo De Michele, ex curatore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, ha effettuato un viaggio molto particolare che ha sortito un effetto sorprendente. Comodamente seduto davanti al suo computer, De Michele ha sorvolato il nostro pianeta con Google Earth ed è atterrato in una A ll’int er no del cr at er e Kam i l zona interna dell’Egitto meridionale, s i e ffet t uano i r i l evam ent i al confine col Sudan e a circa 50 Km dal confine con la Libia. Per la verità il nostro amico stava cercando villaggi neolitici, ma sullo schermo comparve qualcosa di simile ad un cratere prodotto da una bomba di grande potenza. L’anno successivo (2009) una prima spedizione esplorativa, condotta da Mario Di Martino, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha subito accertato si trattava di un cratere da impatto: una voragine del diametro di 45 metri e profonda 16, riempita di sabbia trasportata dal vento per circa 6 metri. Tutto attorno rocce cristallizzate. La particolarità però consiste nel fatto che lo stato di conservazione era perfetto e, fino ad allora, casi simili erano stati rilevati solo su pianeti del sistema solare privi di atmosfera o ricoperti da ghiaccio. Questo è potuto avvenire grazie al clima secco del deserto che ha conservato l’integrità delle caratteristiche morfologiche generatesi al momento dell’impatto, come ad esempio la forma raggiata del bordo del cratere. Può quindi essere definito il cratere da impatto di piccole dimensioni meglio conservato del nostro pianeta. Solitamente i piccoli crateri vengono cancellati dall’erosione e in pochi secoli dall’impatto la vegetazione li ricopre completamente (oggi sulla Terra ne sono stati individuati solo una quindicina con diametro inferiore a 300 metri). Il cratere è stato battezzato Kamil. Nel febbraio 2010 una spedizione congiunta italo-egiziana, di cui hanno fatto parte due geologi italiani dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) ha raggiunto il cratere ed ha raccolto e studiato oltre una tonnellata e mezza di frammenti del meteorite, il che ha permesso di stimare il peso dell’oggetto caduto sulla Terra tra le 5 e le 10 tonnellate.. Il frammento più grande, ritrovato a 200 metri dal cratere, è lungo circa 70 cm e pesa 83 Kg, e quasi la metà di tutto il materiale raccolto è costituita da ferro e nichel. Ne troviamo gran parte presso il Museo Geologico del Cairo, mentre oltre 20 Kg di meteoriti sono suddivisi tra il Museo Nazionale dell’Antartide (Università di Siena) e il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. I frammenti sono stati ritrovati al di sopra di strutture preistoriche che si trovano in quell’area e che, secondo studi climatici, furono abbandonate dall’uomo circa 5000 anni fa a causa delle condizioni ambientali di aridità assolutamente invivibili; si presume quindi che l’impatto sia avvenuto successivamente. La meteorite è stata classificata come ataxite, ossia una meteorite ferrosa, quasi interamente costituita da taenite, ovvero una lega di ferro e nichel. Nel reperto sono state rinvenute anche tracce di cobalto, rame, gallio, germanio, oro, platino, ed altro ancora. Il dottor Stefano Urbini, geologo dell’INGV, che assieme al collega Jacopo Nicolosi nella spedizione del 2010 ha curato i rilevamenti geofisici, ha anche dato l’input per un altro studio circa il meteorite di Kamil, ossia di mettere in relazione questo avvenimento con la leggenda del ferro caduto dal cielo, citato in alcuni antichi geroglifici egizi. Fiorella Isoardi Valentini Ma questo è compito degli archeologi.
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