La pagina dicembre 2005

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La tv è la politica

Scavare

Raffaela Trequattrini

Giampiero Raspetti Il medium è il messaggio. Per Marshall Mc Luahan, autore della notissima affermazione, il medium è ogni estensione di noi stessi. La clava ad esempio è l’estensione della forza del braccio, il canocchiale delle capacità visive. Anche la stampa di Gutenberg è un medium ed ha addirittura restituito all’uomo la categoria spazio: non ho più bisogno, per leggere quel libro, di recarmi presso gli amanuensi, ma lo trovo in libreria, a due passi da casa. E’ un po’ quello che fa la televisione: non devi recarti sull’Etna per vederne l’eruzione, né a Baghdad per vederne la distruzione. La tecnologia elettronica, che ogni giorno presenta nuovi incantamenti, restituisce all’uomo non solo la categoria spazio ma anche la categoria tempo: conosco o comunico all’istante, dalla mia scrivania.

Eh cari amici…, forse non ci avete pensato, ma questo mese costituisce l’ultimo periodo di relativa quiete, prima di una devastante tempesta: la campagna elettorale! In teoria non sarebbe affatto spiacevole accendere la televisione la sera ed assistere a qualche sano dibattito, perché la politica detta legge su moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana, quindi, i pareri di chi governa o di chi aspira a governare, non sono affatto irrilevanti per tutti noi. Il problema è che ormai i dibattiti politici, come d’altra parte i dibattiti su ogni altro tema importante, ben difficilmente esprimono qualcosa di significativo e tanto meno di nuovo. Quello che manca fondamentalmente è la capacità di sviscerare gli argomenti, di analizzarli in profondità, di metterne in luce

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N° 10 - Dicembre 2005 (30)

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Caro fratello detenuto

I missili ignoti sul cielo di Napoli

Don Augusto Fontana

Francesco Patrizi

Scusami se ti chiamo detenuto. Lo sei, ma sei ben di più: sei tutta la tua storia che ti ha portato qui accompagnato dal rancore di chi hai danneggiato o, se innocente, dalla tua impotente rabbia; sei tutto quello che avresti potuto o voluto essere; sei tutto quello che noi attendiamo che tu sia; sei tutto quello che mi hai fatto dignitosamente scorgere nei tuoi occhi umidi e nel tuo sguardo di sfida; sei come Dio o Allah ti hanno creato e ti sognano. Oltre tutto questo, sei anche detenuto. Praticamente un desaparecido dal video dei nostri talk show quotidiani, un senza storia. Ti chiamo fratello, ma mi accorgo che sto esagerando. Fratello è una parola abusata per acquietare i morsi della coscienza o superare gli abissi tra le nostre storie. Eppure oso chiamarti fratello, innanzitutto nella debolezza. Ascoltando la tua storia e le sue

Sta per chiudersi un’inchiesta. Un’inchiesta che ci riguarda tutti, ma di cui non abbiamo saputo nulla. È trapelata appena in qualche giornale due settimane fa e la tv non ne ha parlato. Nel cielo di Napoli, nel 2003, sono volati due missili; hanno sfiorato un aereo di linea ed un elicottero della Guardia di

Due recenti avvenimenti di cronaca, mi hanno spinto ad elaborare altrettante riflessioni che mi piace condividere con i lettori de La Pagina. La prima nasce dall’episodio delle sommosse parigine, ma è stata in special modo indotta dai commenti del Maitre à penser di turno (per una volta sovrapponibili a quelli di molti uomini della

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Violenza e potere Sandro Tomassini

Caro Gesù Bambino Non ho mai chiesto né chiederei mai niente per me e nemmeno per mia madre. Ti disturbo solo per il bene dei tuoi fratelli: fa’ che la più alta dignità statale sia quella umana; fa’ che gli impegni dei politici siano rivolti verso i malati, i poveri, i vecchi, i bambini, la scuola, la scienza, la cultura... poi... a gran distanza, il resto. Fa’ che quelli che parlano in Tuo Nome non si contaminino con pratiche temporali, sconvolgendo così il Tuo Verbo e recando ferita gravissima al Cristianesimo. Fa’ che la coscienza dei politici sia pulita non perché mai usata. Fa’ che interessi e faccende personali non corrompano il Parlamento, punto di riferimento dei tanti cittadini tuoi fratelli, diversi od uguali, smarriti o sulla giusta via, ai quali tu mai scagliasti anatemi, ma che amasti indistintamente. Grazie Gesù Bambino. GR

Noi, gli schiavi

Un racconto di Natale

Vincenzo Policreti

Michele Di Lando

Il linguaggio verbale ha alcune caratteristiche che impegnano il cervello in modo preciso: dato che la parola, anche scritta, è simbolica e lineare, essa impegna la mente in una continua analisi e decodificazione dei suoni o delle lettere che si succedono in un ordine determinato, che trasforma in parole prima, in concetti poi,

Per i bambini, Babbo Natale, è l’anziano barbuto signore che vestito di rosso distribuisce doni la notte magica. Da grandi, invece, è il pretesto con cui si esprimono i propri desideri con l’adulta consapevolezza che dovrà essere qualcun altro ad esaudirli. E allora… Caro Babbo Natale, la mia città ha bisogno di te!

Siedi! Spostò appena la sedia e lei ci si ripose, ancora tremante, lo sguardo chino. Ivan prese il panettone comprato in offerta al discount e una bottiglia da un euro, dolciastra e troppo frizzante. Schiumante. Lo conosci? Roba da signori. Lei alzò appena gli occhi come per sbirciare: occhi bianchissimi, isole lattiginose che galleggiano nel nero del suo viso senza luce. Lo schiumante: e chi lo aveva visto mai? Le mani callose di lui armeggiavano sul collo della bottiglia. La stagnola se ne andò con un fruscio, la retìna di metallo contorto fece poca resistenza. Le sue mani da muratore cottimista strinsero il tappo con troppa brutalità. Pum! Uno sbuffo di schiuma biancastra colò sul tavolino. Silenzio: poi Ivan scoppiò in una fragorosa risata, che spalancò i suoi denti marci e il suo molare d’argento. Anche lei rise appena: non avrebbe dovuto, forse non avrebbe voluto, ma lo fece. Era ancora capace di un sorriso, dopo tutto,

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Caro Babbo Natale... Alessia Melasecche


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Caro fratello detenuto

premesse ho riconosciuto che non c’è peccato la cui radice non sia anche in me, non c’è trasgressione a cui anch’io non abbia fatto l’occhiolino, non c’è stupidità umana che non abbia in me una qualche consanguineità. Chiamarti fratello suona eccessivo per animelle vergini o presunte tali, custodi gelosi di pubbliche virtù in vizi privati. Fratello è una parola eccentrica e profetica per tempi diversi dal nostro. E Gesù, che sembra uno d’altri tempi, ti chiama fratello con quella sua inflessione responsabilizzante che turba e poi commuove. Oso dunque destabilizzare e coccolare la tua vita chiamandoti come ti chiama lui: fratello! Fratello nei nostri sogni belli, nella nostra comune consanguineità divina, nelle comuni risorse annidate nelle impraticabili grotte del nostro animo o seminate nell’umido terriccio dei nostri sentimenti. Caro fratello detenuto, che attendi che ti vada bene il processo, che attendi un permesso premio anche per fare l’amore finalmente con la tua compagna, che attendi la dura fedeltà di tua moglie e lo sguardo riconciliato di tuo figlio, che attendi il trasferimento vicino a casa, che attendi l’ora d’aria per sfiatare polmoni e muscoli sotto il cielo, che attendi l’ora della Messa per aggrapparti a quel frammento di pane e di parola che ti traghettino verso altre spiagge, che attendi una qualsiasi terapia che ti dia il sapore materno della cura, che attendi che passi il tempo dell’isolamento dove ti sei buttato con rabbia cieca aggredendo il tuo corpo o l’anima altrui, che attendi che un qualche dio minore si materializzi nell’angusto spazio della tua cella spesso simile - perdonami! alle asfissianti misure a cui forse hai ridotto la tua bellezza di un tempo. A te che per le prossime festività forse attendi e

speri e invochi, io riesco solo a darti una notizia che potrebbe deludere tutte le tue aspettative così immediate e concrete: si dice che Dio abbia deciso di stare talmente dalla nostra parte da farsi uomo. E’ chiamato Jeshua, alias Gesù. Ti chiedo di verificare se la notizia abbia fondamento e di interrogare eventuali testimoni. Pare che la cosa abbia turbato qualcuno e rallegrato altri. Alcuni di noi lo hanno tollerato purchè restasse bambino. Ma questo bambino è cresciuto in fretta in età, sapienza e benevolenza portandosi dietro piccoli gruppi di simpatizzanti nelle case e agli incroci dove stazionavano disoccupati, usurai, ladri e prostitute. Pare che dicesse cose dell’altro mondo che irritava alcuni e cambiava la vita ad altri. Se appurerai che la notizia è vera, spero di trovarti tra quelli a cui cambiava la vita. Poiché questo bambino è cresciuto, ora vive tra noi ed ha l’età dei nostri giorni. Io non sono tra quelli irritati e turbati, ma neppure tra quelli a cui lui ha cambiato la vita. Se dunque vorrai potremo cercarlo insieme. Forse lo troveremo fra qualche tempo in un tribunale dove lo stanno processando a torto. E tu di tribunali ne sai qualcosa. Forse lo troveremo come un cadavere appeso a un palo. Forse lo troveremo, con la faccia di un giardiniere o di uno straniero, vivo e vispo come un Dio. Allora forse ci interesserà di sapere davvero come era cominciata tutta questa storia e torneremo a Betlemme con stupore nuovo, portando tutte le nostre attese. In questi giorni guardati in giro, fruga nella mangiatoia delle tue attese, ascolta messaggeri di pace nei cieli aperti della tua voglia di libertà e di liberazione. Fatti aiutare a cercarlo, fatti aiutare dal tuo compagno di cella anche da quello che recita Allah Akbar, Dio è il più grande, fatti aiutare dall’agente chiuso con te a guadagnarsi la pagnotta custodendoti e restando uomo. Fatti aiutare e aiuta a tua volta a cercarlo. E se capitasse a qualcuno di voi di ricevere la buona notizia, venite a dirmelo. Brinderemo insieme con un alleluia. Don A. Fontana

I missili ignoti sul cielo di Napoli Finanza. Alle 20.20 del 25 giugno 2003, il jet Fokker 100 della Alpieagles, partito da Palermo carico di passeggeri si prepara ad atterrare a Capodichino; all’improvviso gli viene incontro una scia luminosa ed un oggetto sfreccia a 600 metri sotto l’aereo. Seguono le concitate comunicazioni con la torre di controllo, che ha registrato tutto, e parte l’allarme. Le forze dell’ordine vengono allertate, ma dopo poche ore da Roma arriva la comunicazione di non dare notizia dell’accaduto per non creare il panico. I carabinieri della Compagnia Stella avviano le indagini. Nell’inchiesta, aperta dalla Procura di Napoli, l’ipotesi di reato è quella di attentato alla sicurezza del trasporto aereo. Nessuno però sembra interessato a scoprire cosa sia successo e il missile, nelle deposizioni ufficiali, diviene oggetto non identificato, in termini tecnici un UFO. Anche il pilota dell’aereo si decide (convinto da chi?) che forse il missile non era un missile, ma uno strano fenomeno celeste (talmente strano da essere registrato dai radar!). L’inchiesta sembra fermarsi qui, quando il 10 ottobre un elicottero della Guardia di Finanza viene sfiorato, sempre nel cielo di Napoli, da un missile, questa volta ben visibile. Il pilota non tergiversa e denuncia chiaramente quello che ha visto. Il fascicolo si aggiunge a quello già aperto e l’UFO torna ad essere un missile. In questi due anni non abbiamo saputo nulla dell’inchiesta in corso. Solo pochi giorni fa è trapelata la notizia che sono scaduti i tempi tecnici e che l’indagine verrà archiviata. Chi spara missili sul cielo italiano? Chi stava per abbattere (nuovamente?) nei nostri cieli un aereo di linea ed un elicottero? Non lo sapremo mai. L’inchiesta è, ed è sempre restata, un Modello 44 e come tale verrà chiusa. Modello 44 vuol dire a carico di ignoti. F. Patrizi

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quei fattori che, seppure meno apparenti, risultano essenziali ai fini di una critica (come ad esempio le cause reali per le quali determinati fenomeni sociali si verificano). In molti ritengono che ciò avvenga in quanto la classe politica non è particolarmente interessata a sviluppare il senso critico del cittadino, e questo non è completamente falso. Altri cosiddetti intellettuali, impegnati anche su fronti diversi dalla politica, sostengono invece che la superficialità con la quale alcune problematiche vengono affrontate pubblicamente, derivi dall’esigenza di farsi comprendere da tutti. Ma secondo me il problema sostanziale è diverso: il mondo di oggi è pieno di gente che non avendo fatto carriera per meriti, ma per vie traverse, non è di fatto all’altezza dei ruoli che ricopre. Ripete quasi meccanicamente sempre le stesse cose e pare avere risposte preconfezionate ad ogni quesito. Infatti, in caso di quesiti non previsti, elude le risposte, ovvero, risponde fischi per fiaschi. Abbiamo uomini politici abilissimi a non rispondere mai alle domande che gli tornano scomode e a sviare il discorso in modo dozzinale. Fateci caso! Ci sono poi disgustosi, e sottolineo disgustosi, personaggi che addirittura credono di cavarsela urlando e squacquerando a macchinetta per coprire la voce dell’interlocutore. Non faccio nomi, basta guardare la TV…! Credono forse che non si noti la loro mancanza di argomenti? Ci considerano davvero così idioti da non capire che quando

Natale

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una persona non ti lascia parlare è perché non possiede motivazioni logiche e coerenti per avvalorare le sue teorie? Inoltre…, rispetto alla linee programmatiche di alcuni partiti, esistono delle incongruenze talmente lapalissiane che, in tutta sincerità, non mi spiego come mai nessun politico della controparte pretenda spiegazioni chiare ed inequivocabili in merito. Faccio un esempio: perché mai la sinistra in cinque anni di governo non ha varato la legge sul conflitto di interessi? Ora la chiede a Berlusconi che è l’ultima persona in Italia a poterla auspicare; ma perché non l’ha fatta la sinistra…?!? Mai sentita una risposta di senso compiuto a questa domanda! C’è stato forse di uno scambio di favori? E ancora, per dare una botta al cerchio e una alla botte…, com’è possibile conciliare un mercato del lavoro concepito secondo i criteri del precariato e della mobilità con una politica a favore della famiglia? I due obiettivi sono in netto contrasto l’uno con l’altro, eppure le forze politiche che promuovono la mobilità sono le stesse che, a dir loro, pongono gli interessi della famiglia in primo piano… E’ forse interesse della famiglia che il marito lavori a Genova e la moglie a Benevento? E i figli? Ho la netta sensazione che qualcuno non abbia il coraggio di dire che le donne dovrebbero tornare a fare le casalinghe per essere sempre pronte a seguire il marito nei suoi continui spostamenti. E’l’unica spiegazione possibile, e anche quella che giustificherebbe in pieno la mancanza di coraggio nell’offrire chiarimenti. Però, a pensarci bene, di spiegazione ce ne potrebbe essere un’altra: forse mi sbaglio, ma… e se questa tanto decantata politica a favore della famiglia fosse solo un pretesto per carpire il voto dei cattolici? Anzi, a proposito degli amici cattolici…, visto che mi hanno intasato la casella di posta elettronica, e non esattamente per farmi gli auguri di Natale, vorrei ricordare loro che la Giustizia Divina è grande, quindi, se davvero lo merito, ci penserà Nostro Signore a mandarmi R. Trequattrini all’inferno!


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strada), secondo i quali siffatte scorrerie vandaliche meritano sì una censura, ma con i soliti urticanti distinguo del tipo: “sono atti da condannare, ma bisogna anche considerare che la situazione della banlieue parigina è tale che…”, oppure: “di sicuro una violenza del genere è inopportuna, però il governo si è dimenticato dei giovani di periferia e, si sa, la noncuranza può generare reazioni anche dure…” e via di questo passo. Ebbene, questo atteggiamento da bilancioni, che non comporta mai la condanna tout-court della violenza; quella condanna, tanto per intenderci, senza se e senza ma che andava bene, e giustamente, per la guerra, penso e credo vada contestato ab imo. Di certo il buio esistenziale non è novità di questo secolo se anche Bernardo da Chiaravalle poteva dire habet tempus iste noctes suas et non paucas (ha questo tempo le sue notti, e non poche), ma la luce che dobbiamo conquistare non si sprigiona dalle auto in fiamme. Non si vince le malaise de vivre, il malessere esistenziale come lo chiamava Heidegger, con il fuoco inutilmente devastante del furore cieco, ma con la riscoperta di una utopia (nel senso di qualcosa che non c’è, o meglio, che non c’è ancora) concreta della libertà. C’è bisogno di un progetto etico in divenire, di un’etica in cammino, come già nel lontano 1958 la definiva la filosofa spagnola Maria Zambrano nel suo Persona e democrazia, per rendere questo mondo migliore e per agire nella società come persone, appunto, libere e consapevoli. La seconda riflessione è legata alle manifestazioni contrarie al progetto del trasporto veloce, c.d. TAV, in Val di Susa. Premetto che non conoscendo i termini tecnici della questione, non formulo giudizi di merito, ma limito la mia analisi alla espressione del dissenso in sé, prescindendo dal resto.

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Ebbene, per quanto mi è dato di capire ascoltando e leggendo commenti politici di opposta tendenza, non ultimo quello del sindaco torinese Chiamamparino il quale, in una intervista ad Antonio Galdo, fa risalire l’idea primigenia a Lucio Libertini, esponente di spicco del Partito Comunista confluito poi nelle fila del partito della Rifondazione, la cosa sarebbe quanto mai opportuna e necessiterebbe soltanto di una compiuta valutazione dell’impatto ambientale. Allora mi chiedo come sia possibile che in questo martoriato paese ancora affetto dalla sindrome di Franceschiello, una minoranza qualunque possa impunemente ostacolare, ritardare, impedire, proprio quello studio di fattibilità che avrebbe il compito di tutelare uomo e ambiente, come è avvenuto giorni fa ad opera di pochi facinorosi che hanno peraltro interrotto servizi pubblici importanti come i trasporti e la viabilità?! In uno Stato democratico il potere appartiene al popolo, il quale è costretto a delegarlo ai suoi rappresentanti, per i motivi già chiaramente esposti da Rousseau nel Contratto Sociale e da Montesquieu ne L’Esprit des lois. In democrazia a decidere, in buona sostanza, è e deve essere la maggioranza, altrimenti non esisterebbe possibilità di governo. Per cui, di fronte a scelte a noi sgradite, possiamo solo verificare che esse siano espressione di una volontà politica maggioritaria e pretendere adeguata informazione e doverosa tutela, come la manifestazione di mercoledì 16 ha correttamente fatto, chiedendo la riapertura del confronto con le istituzioni ed utilizzando, quindi, i percorsi, le dinamiche e gli strumenti politici propri di una democrazia, appunto, in cui il potere è anche esercitato, come sostenevano quei Padri Pellegrini che hanno gettato il seme della Costituzione Americana, con il popolo e per il popolo. Ma questa è cosa assai diversa che consentire ad una minoranza di persone, di esercitare un effettivo potere di interdizione. Sapere che almeno un lettore si sarà dato pena di meditare su questi spunti di riflessione, sarà il mio regalo di Natale. S. Tomassini

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Tale tecnologia è medium che estende la mente dell’uomo, ben più di un braccio o della vista! E’ centrata sulla psiche, conscia o incoscia dell’utilizzatore, molto più attiva nel caso di internet, quasi del tutto passiva nel caso della TV. Poiché la politica è anche arte del conseguimento del consenso, oggi ML scriverebbe: La TV è la politica! Tant’è che chi la spadroneggia si affanna ad affermare, in coro con i suoi umili servitori, che non serve, non ha alcuna influenza sul voto... ma non la lascerebbe neanche se seviziassero tutti i suoi parenti o le sue cose care, scatola di scacchi compresa. Ciò di cui parli ha una risonanza, ciò di cui taci ha una valenza in un modo o nell’altro politica. A livello mondiale l'Italia, in base ai dati Ocse 2004, si colloca al terz'ultimo posto nella classifica dei primi 30 paesi più istruiti, seguita solo da Portogallo e Messico. A metà novembre 2005 è stata pubblicata l’inchiesta UNLA(Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo) dell’Università di Castel Sant’Angelo sull’arretratezza e gli squilibri educativi nell’Italia di oggi. La ricerca mostra come i cittadini italiani che hanno frequentato solo la scuola media sono il 30,12% della popolazione, mentre il 36,52% dei cittadini ha frequentato solo la scuola elementare. Se aggregati insieme al numero degli analfabeti totali e di ritorno (fenomeno che colpisce anche alcuni diplomati), si arriva alla cifra impressionante di quasi 36 milioni (il 66% della popolazione), di persone incapaci di decodificare i simboli e i messaggi dei media e quindi indifese vittime di quella caccia al voto che si serve di sofisticate e raffinate tecniche di raggiro. Molti politicanti pronunciano frasi demenziali, perché, come tutte le demagogie, suonano bene, si ripetono bene, specialmente da chi non è sorretto da istruzione e spirito critico. Sergio Zavoli, invece: Credo che sia il tempo di realizzare una forte sinergia tra scuola e tv; quest’ultima non solo deve informare, ma comunicare, trasmettere valori. In TV presentano però in continuazione penosi personaggi, facenti parte del cosiddetto gossip dei quali si parla per presentarli, per farli litigare, per far fare pace, finanche per parodiarli o per dire che non se ne può più! Pur di parlarne... cioé pur di non parlar d’altro! Vogliamo renderci conto di quanto questa pervicacità nel presentare scemenze possa influire sul disimpegno di tanti cittadini, particolarmente dei giovani? Se presenti tette e sederi, a molti di loro va bene... se presenti Chi è la puzzola... va bene e ti ringraziano pure. Se presenti L’isola dei corrotti o L’isola degli scaccolatori impenitenti o La penisola dei non punibili per decorrenza dei termini, per loro è tutto oro colato! E poiché in Italia ci sono due poli politici numericamente quasi equivalenti, con qualche subdola manciata di voti in più si potrebbe, alle elezioni,

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vincere alla grande. Anche per questo la TV è la politica. Il potere lo sa e questo avverrà sempre, qualsiasi siano i governi, finché non si combatterà la piaga italiana dell’analfabebetismo e della superstizione. Un Buon Natale c’è stato, una lezione di generosità e di coraggio: ce l’hanno regalata i giovani di Locri e i tanti cortei organizzati contro la mafia. Attenzione, però - dichiara il mitico don Ciotti, presidente di Libera, organizzatrice della Carovana Antimafie e di un corteo proprio a Locri - perché d’ora in poi non ci si potrà più fermare alle carovane, alle marce, alle fiaccolate, ai convegni, che rimangono sì importanti, ma che devono essere seguiti da fatti reali e concreti, da processi di sviluppo, di legalità, di occupazione, di controllo intelligente del territorio, di infrastrutture e di servizi. La TV, che è politica, che farà? Cercherà di dare notizie vere sull’Italia reale o seguiterà ad inzepparci di comici, di destra e di sinistra, gli uni nei telegiornali, gli altri a battitori liberi? Proseguirà nell’inventarsi un’Italia felice e beota, sfavillante, ma di plastica?... favorirà il dibattito politico mettendolo in bocca alle siliconate di turno?... promuoverà il dibattito culturale presentando, come suoi massimi esegeti, calciatori e cantanti?... elargirà riflessioni, riguardanti la morale e la famiglia, di prelati propagandatori di un Vangelo tanto diverso da quello che leggiamo noi? Qualcuno, pur distrattamente, si ricorderà che il Bambin Gesù è nato in una stalla? Ricorderanno quello che Lui ha detto? Apparirà, anche per un solo attimo, la lacera tunica di Cristo, agli occhi di chi indossa, fin nella biancheria intima, un preziosissimo corredo, ricamato e ingioiellato? Persevereranno le loro incursioni televisive su tematiche di esclusivo peso elettorale? Faranno riemergere la sepolcrale mistificazione di una scienza razionalmente vera “quando ispirata dal o al dogma”? Manovre diaboliche ma trasparenti. Diaboliche perché diavolo viene da dia-ebolon e significa porre dentro, attraverso, mettere zizzania. Trasparenti perché inducono apertamente, ma surrettiziamente, a far scattare contrapposizioni nel tessuto politico in cui si discute animatamente tra gnostici e agnosti-

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ci, cristallizzati e relativisti, confessionali e laici, tra chi riconosce le conquiste della scienza e non vuole nasconderle, rinnegarle, umiliarle, tra creazionisti ed evoluzionisti. Soffiare, attraverso i media, per cercare il contrasto e la diatriba, per mostrare che di certa gente non c’è da fidarsi perché non vanno d’accordo, non rappresenta il bene pastorale dell’Italia e, comunque, sono problemi che riguardano solo la nostra nazione, non altri. Altri che non s’è mai sentito entrare, sulle soglie delle elezioni, nei dibattiti politici della Francia o della Germania o della Spagna o.... di chi sia, né s’è mai sentito dare preziosi suggerimenti su come non votare. La politica, che si serve della TV, che farà? Seguirà le preziose indicazioni di Don Ciotti, si impegnerà affinché ogni uomo pubblico abbia la fedina penale immacolata o seguiterà a consentire la presenza nel Parlamento di persone addirittura condannate in via definitiva o che uomini anche appena in odore di sporcizie, pur che portino voti, possano rappresentare le istituzioni? Ma già vanno elencando interessi che definiscono esiziali per le sorti stesse del paese: non si tratta delle davvero vitali riforme economiche ma... di rifondare pro domo la costituzione; rivedere la 194; modificare con un oplà la legge elettorale; parità di condizioni in tv, sì o no?; sbattere in faccia agli impoveriti italiani una campagna elettorale costosissima, un vero, insulso, insulto; regalare cattedre di religione in una nazione dove più di tre quarti degli studenti la vuole solo in Chiesa; chi rieleggere a Presidente della Repubblica (proposta politica le cui surrettizie finalità sono del tutto scoperte) e quindi tutto scorrerà come al solito. Si farà solo quel minimo senza cui i giochi sarebbero scoperti! Noi abbiamo un vessillo che stringeremo fino allo stordimento: la dignità del nostro Grande Presidente A. Ciampi. A questa ci ispiriamo e in essa confidiamo. Buon Natale dunque agli uomini di buona dignità. G. Raspetti

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lettere e suoni; e questi, una volta detti o scritti, svaniscono per dare spazio a lettere o suoni successivi. La lettura quindi, costringendo il cervello a un continuo lavorio razionale, analitico e critico, è un formidabile mezzo di allenamento mentale e prepara il campo a quella sintesi di ciò che si è appreso, in un più ampio sistema personale di cognizioni: risultato finale è la cultura. La visione invece è globale, acritica (si vede ciò che si vede, senza bisogno di pensarci su) e dà origine ad una conoscenza assai più istintiva e primitiva. Non per niente nello sviluppo del bambino la visione si forma dopo i primi tre mesi, mentre la parola non compare che attorno ai due anni. Come ha osservato R. Simone, l’affermarsi di media visivi ha riportato il modo di acquisire le informazioni verso una modalità visiva, più immediata, meno faticosa, meno impegnativa. Ma anche meno formativa e critica. In questo panorama Internet, col sistema dell’ipertesto si pone in modo particolarissimo: apparentemente esso si vale della parola scritta, eppure ha alcune inquietanti peculiarità che dallo scritto lo allontanano decisamente. Anzitutto, a differenza dallo scritto, l’ipertesto non ha né un principio, né una fine né un ordine. Il fruitore comincia dove vuole, fa il percorso che preferisce e termina quando ne ha abbastanza. La rete quindi è in realtà non un oggetto, ma uno spazio in cui soggetti e oggetti si muovono. Queste caratteristiche ne fanno un qualcosa che ha molte più analogie con la simultaneità del vedere che con la linearità del leggere. Ma c’è dell’altro. La rete è anarchica e illimitata. Il fruitore, a meno che un solido bagaglio cognitivo non lo abbia reso lucidamente critico, ha quindi la costante sensazione di essere il perno del sistema, dato che l’unico centro che vede è se stesso e altri nella rete non ne trova. Un piccolo passo in più verso la paranoia e può ben avere la sensazione di avere un mondo al suo servizio: Tutto intorno a te!

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Un racconto di N

Si convince quindi di avere a propria disposizione una possibilità di conoscenze pressocché illimitata. Il suo individualismo, se non il suo delirio di onniscienza (quindi di onnipotenza) ne vengono incrementati, tanto da farlo sentire, in quanto padrone di strumenti culturali tanto numerosi e raffinati, un essere culturalmente superiore. Ma le informazioni non sono né saranno mai in se stesse cultura: per divenire tali esse devono essere filtrate dalla mente e inserite in un sistema coerente dove ognuna sia in relazione con tutte le altre e dove tutte si armonizzino in un’unica Weltanschauung. E perché ciò avvenga è assolutamente necessario che la mente, oggi assai più che ieri, sia in possesso proprio di quei solidi elementi critici e intellettivi che le consentano di distinguere, sceverare, scegliere quelle utili tra tutte le informazioni da cui è quotidianamente bombardata, per poi integrarle tra loro e con il bagaglio culturale già esistente; proprio ciò che il ritorno a modalità visive non produce. Un cittadino ignorante e acritico, ma che non sappia di esserlo è – guarda caso – esattamente ciò di cui tanto il potere politico quanto quello economico hanno bisogno per manovrarlo senza intoppi. Qualcuno che creda senza batter ciglio di volta in volta al carbonchio, alla Sars e all’aviaria, riempiendo di profitti chi ce l’ha fatto credere, o al milione di posti di lavoro, alla riduzione delle tasse e all’esistenza di armi di distruzione proprio dove c’è il petrolio, basando su questi elementi le proprie scelte politiche. Che possa essere quindi manovrato senza toccare, si badi, neppure in parte le istituzioni e la forma democratica, bensì della democrazia distruggendo il presupposto: la libertà del pensiero. Che si trovi così a credere di operare le sue scelte, di percorre le sue strade, di decidere ciò che fa. Di essere libero. Senza sapere mai di essere inesorabilmente, inavvertitamente, irreversibilmente schiavo. V. Policreti

malgrado tutto, e di questo si meravigliò. Quanti anni hai? Domanda insolita in una situazione del genere. Silenzio. Ti ho chiesto quanti anni hai? Non voleva essere brutale. Senti, lo capisci l’italiano? Non avrebbe dovuto accettare di andare in casa sua. D’accordo, lui non aveva la macchina, ma in quella notte lì la compagnia non le sarebbe certo mancata: sciami di muratori e camionisti finiti come dentro un imbuto in questa città piena di luci, che si concedono un surrogato di calore umano o che si svuotano e basta, e sputano in terra una volta finito. Vabbé, tanto poco me ne frega, sai. Beviti ‘sto schiumante. Lei prese il bicchiere con le sue dita lunghe e nere: si limitò ad un sorso e sibilò: Ventidue. Anni ventidue. Non molto più grande della sua Nastja, pensò Ivan. Lo vuoi un po’di panettone? E’buono e pieno di frutta, dentro. Un altro cenno del capo e uno sguardo di sottecchi. Lui ne tagliò una bella fetta, la spezzò in due parti e ghignò: Sei bella, sai? A me le nere non piacciono granché, ma tu sei niente male. A pensarci bene era quanto di meglio sapesse fare in fatto di complimenti e si compiacque quasi di questa sua insolita vena. Lei, non molto abituata a parlare, chinò lo sguardo sulla fetta di dolce e la trangugiò, poi, paziente, iniziò a raccogliere le briciole rimaste sul tovagliolo. Ne vuoi un altro po’, vero? La televisione nell’angolo continuava a ronzare, mentre lei mangiava la sua seconda fetta e lui rivestiva piano il proprio corpo scottato dal sole. Era tardi: lei si rimise quei dannati stivali col tacco, che sembravano ogni giorno più stretti e sbirciò la foto in primo piano di una biondina, che sorrideva con un velo di tristezza negli occhi. La TVrimandava le immagini di un uomo vestito di bianco che roteava le braccia. Ivan l’accompagnò alla porta: mancava poco alla mezzanotte. Lei fece per andarsene in silenzio, quando lui la trattenne per un braccio. Pensò che sarebbe stato bello tenerla lì almeno per una notte: tutti e due naufraghi in questo lontano Paese civile. Sorrise di un pensiero così balordo. Prendilo tutto il panettone. A me non piace: troppa frutta. Lei lo guardò e ringraziò con un cenno del capo. Ivan vide allontanarsi dalla sua casa in subaffitto una sconosciuta africana, incerta su tacchi troppo alti, con una scatola di panettone in mano. Era appena scoccata la mezzanotte. La seguì con lo sguardo finché non scomparve, poi masticandolo quasi tra sé e sé, gli scivolò di bocca un insensato: Buon Natale. M. Di Lando

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Caro Babbo Natale... Non ti preoccupare, non ho intenzione di impegnarti troppo chiedendoti la fine di tutte le guerre, sai bene che lo vorrei con tutto il cuore ma già si prodigano ufficialmente per questo le Miss di tutto il mondo e tanti bravi professionisti a cominciare dal consulente per la pace che il Comune di Terni paga profumatamente. No, sei già oberato di lavoro con il Natale alle porte, mi limiterò a chiederti solo poche cose, di quelle semplici che un governo cittadino potrebbe facilmente esaudire. Devi sapere infatti che… le tre ciminiere degli inceneritori che svettano a più altezze ci fanno pensare che l’aria che respiriamo non sia poi tanto salutare e che forse bloccare di tanto in tanto il transito di una piccola parte di auto non sia risolutivo, soprattutto quando, intenerito, mandi giù una pioggia torrenziale che provvede, almeno quella, ad abbattere le polveri sottili che fanno male alla salute. E poi dovresti prima pulire fossi e tombini, visto che, nonostante la Tassa Tevere Nera che la Regione ci impone (a proposito sai che a Perugia non la pagano?) e la TARSU per l’ASM, chi dovrebbe, evidentemente non provvede? Ogni settimana si riallagano strade, case e fabbriche con danni enormi a tanta brava gente! Chissà se almeno tu sai rispondere alla domanda di molti ma gli inceneritori hanno targa pari o dispari, sono catalizzati o no? Forse li tengono aperti perché immatricolati… dopo il 1998? A proposito ti sembra giusto che noi dobbiamo bruciare tutti i residui ospedalieri dell’Umbria ed i rifiuti industriali di mezza Italia? Ma non ci aveva poi promesso quel signore che distribuiva regali, parcelle, sogni di gloria e di… affari a destra e a sinistra che avrebbe portato la Ternana in Serie A? Ricordi in quanti ci andavano a braccetto al Liberati illudendo tanti che Terni sarebbe rinata col binomio calcio e rifiuti? Che avrebbe dato lavoro a tanti giovani al Centro Multimediale dove ha lasciato una montagna... non di panettoni, come fai tu, ma di debiti? Lui se n’è andato, forse dove l’aria è migliore. Peccato che ci abbia lasciato un’acciaieria non più nostra lucrando sulla vendita una montagna di miliardi mentre la città è costretta, grazie a chi gli ha creduto, a stringere la cinghia per i prossimi vent’anni per tappare i buchi che ci ha lasciato! Possibile che

c’è ancora chi vorrebbe farci credere… alle favole? E fortuna che il Tribunale ha bocciato la famigerata Città dello Sport! Pensa, caro Babbo Natale che il Presidentissimo se ne sarebbe andato con un sacco di altri soldi speculando sulle aree di proprietà del Comune! Dimmi un po’: lassù fra le nuvole incontri ogni tanto S. Valentino? Sì, il nostro Santo, patrono dell’amore. Gli chiedi se è d’accordo che qualche assessore si faccia un’associazione con il suo nome e la gestisca privatamente, ovviamente con una valanga di soldi pubblici, senza spiegare chi ci ha guadagnato? E che dire a tutte quelle migliaia di ternani che hanno pagato profumatamente i biglietti degli spettacoli? Tutto top secret. Caro Babbo Natale ma non credi che S. Valentino si possa arrabbiare se dovesse scoprire che qualcuno ha promesso solennemente che sarebbero serviti per alleviare le sofferenze dei bambini in Mozambico mentre solo oggi scopriamo che laggiù si mandano quattro baiocchi rispetto al giro vorticoso di soldi, molti dei quali pubblici, che c’è stato dietro? Solo il Comune deve sborsare un miliardo di vecchie lire, oltre agli altri sponsor ed ai tanti ternani benefattori paganti. Forse molti non sanno, ma tu Babbo Natale non dirlo, che i debiti, li dobbiamo pagare tutti noi, emettendo il Comune dei BOC, cioè cambiali a carico della città, che dovremo pagare con una coda lunghissima di interessi per i prossimi venticinque anni? Lo so, tu Babbo Natale diresti che forse è meglio riaprire qualche manicomio ma per chiuderci quei furbi che a Terni ricominciano a girare, come qualche consigliere comunale e provinciale che, dopo aver preso i voti da una parte, fa finta di essere folgorato sulla via di Damasco, e, ovviamente senza dimettersi, va ad incassare dall’altra. Però, ti prego, almeno in questi giorni sii bravo, portaci qualche sogno in più ed esaudisci qualche desiderio. Dopo la Befana cercheremo tutti di capire meglio chi è buono e chi fa finta di esserlo sperando di farla franca. Non si illudano a Terni, non sono molti gli allocchi! Auguri anche a te e... mi raccomando… non frustare troppo quelle bellissime renne che tirano il tuo carro carico di doni, anche loro potrebbero ribellarsi! A. Melasecche


Opinioni L’ a l t r a f a c c i a d e l l a C h i e s a (grazie a K.Deschner)

Dal sito dell’enciclopedia libera Wikipedia it.wikipedia.org apprendiamo che Karlheinz Deschner è nato a Bamberg, Germania, il 23 Maggio 1924; ha studiato Letteratura, Filosofia e Storia all’Università di Würzburg. Negli ultimi anni ha cominciato ad essere conosciuto anche in Italia grazie all’opera di traduzione e pubblicazione di alcune delle sue molte opere da parte di due piccole ma determinate case editrici, la Ariele di Milano www.edizioniariele.it e la Massari di Viterbo www.enjoy.it/erre-emme. È autore, tra le altre, di un’opera monumentale e documentatissima: la Storia Criminale del Cristianesimo, con la quale ripercorre i duemila anni di storia della religione cristiana; lavoro ponderosissimo giunto al decimo volume ma non ancora terminato (se mai potrà esserlo, essendoci sempre nuovo materiale...). All’inizio del primo volume è inserita in veste di epigrafe una citazione di Gaetano Salvemini, lo storico laico ed anticlericale: [...] ma se avrò un solo momento di vita nell’Italia liberata dai goti, quest’ultimo momento di vita voglio dedicarlo come individuo libero alla lotta contro la fede cattolica... In Italia la pubblicazione, curata da Ariele, dei vari volumi che compongono la Storia Criminale del Cristianesimo è progressiva: potete chiedere in libreria per avere

notizie dell’ultimo volume pubblicato (al momento in cui scriviamo, il sesto). Alcuni altri suoi lavori, pubblicati invece da Massari, sono: La croce della Chiesa. Storia del sesso nel cristianesimo; Il Gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa; Anticatechismo. Duecento ragioni contro le Chiese e a favore del mondo. Per una bibliografia completa si possono visitare la pagina specifica it.wikipedia.org/wiki/Deschner ed il sito ufficiale, per ora solo in Inglese e Tedesco, www.deschner.info. L’associazione culturale Civiltà Laica ci tiene a dare il proprio contributo alla diffusione dei lavori di questo illustre (all’estero) studioso perché ritiene che, in generale, ma particolarmente in ambito ecclesiastico, sia utile sentire esprimersi quante più... campane possibile. Comprese quelle, quindi, non del tutto prone a fare da eco ai proclami, quando non ai silenzi omissivi, ed alle solite solfe dogmatiche che ci arrivano dai pulpiti offerti anche dai mass-media. Fra queste campane, o per meglio dire voci, non allineate al coro, che riflettono la voglia e l’impegno di pensare con la propria testa, c’è quella di Karlheinz Deschner. In questa direzione, abbiamo organizzato per sabato 17 dicembre, alle ore 16, presso la Sala Laura in Via Carrara 2, all’interno dell’Officina Sociale La Siviera, un incontro dal titolo Il codice Da Vinci e/o Karlheinz Deschner?, cui parteciperanno l’editore Roberto Massari e il professor Valerio Bruschini, insegnante di Storia (con un debole per quella medievale). Nicoletta Bernardi Per entrare in contatto con Civiltà Laica, potete fare un salto sul nostro sito: www.civiltalaica.it oppure chiamarci o scriverci al 348.408.86.38; oppure ancora, ascoltarci il martedì dalle 18 alle 19.30 su Radio Galileo.

BA S TA!

Ci sono argomenti di cui si parla, riparla, straparla e alla fine non se ne può più. Uno di questi è la cosiddetta questione della donna, che sa tanto di questione meridionale, cioè di storia infinita. Ora, se con tale espressione ci riferiamo alle donne afghane, o a quelle africane, sottoposte ad ogni tipo di vessazione e tortura, allora se ne parli, però ad alta voce, urlando vergogna ad ogni angolo dal mondo. Ma quando sento dire di episodi di maltrattamenti e violenze qui a casa nostra, allora faccio fumo dal naso. Poverina, il marito la picchia: troppo poco, dovrebbe gonfiarla di botte! In Italia ci sono leggi precise che proibiscono ogni tipo di violenza, figuriamoci quella fisica. Tuo marito ti mena, denuncialo, perché se non lo fai vuol dire che ti sta bene, che sei d’accordo, che sotto sotto ti fa anche piacere. Ho sentito ragazze (nota bene, ragazze con tanto di titolo di studio, non povere vecchie analfabete della profonda campagna di non si sa dove) dire che il proprio fidanzatino le picchiava perché mi vuole bene ed è geloso! Tali femmine infangano il nome di donna, sono un’offesa, uno schiaffo morale a chi è costretta a subire da leggi che come alternativa non consentono altro che la morte. Smettetela di frignare, di fare le vittime innocenti, perché innocenti non siete e se, guardandovi allo specchio, provate un po’ di vergogna, se dentro di voi c’è ancora un briciolo di rispetto per voi stesse, allora tiratelo fuori. Monica Tarani

Tr a i d u e l i t i g a n t i il terzo gode... per ora!

In verità, l’enorme torta, rappresentata dai 13 miliardi di euro delle liquidazioni dei lavoratori, ha visto litigare una moltitudine di soggetti: il Ministro Maroni ha perfino alzato la voce contro il suo datore di lavoro, l’On. Cavaliere Silvio Berlusconi, casualmente azionista di Mediolanum assicurazioni. Gli industriali a volte hanno finto di azzuffarsi con il Governo. I banchieri e gli assicuratori avevano stipulato una polizza con l’UDC, che, puntualmente, ha onorato gli impegni sottoscritti, facendo naufragare, anche nel ridicolo, il Progetto Maroni; se le sono date di santa ragione con la CGIL, la CISL e l’UIL. Insomma, per alcuni aspetti, si è assistito ad un furibondo corpo a corpo, sia pur in giacca e cravatta, di tutti contro tutti. Infatti, questi Signori avevano idee e, soprattutto, interessi molto diversi riguardo alla gestione del fiume di denaro, corrispondente a 26 mila miliardi delle vecchie lire, che avrebbe dato un enorme potere non solo economico, ma anche politico a chi fosse riuscito ad incanalarlo nelle proprie casse, tramite il nuovo e sofisticato strumento di rapina elegantemente chiamato Fondi Pensione. In compenso, erano tutti d’accordo su un punto fondamentale: i lavoratori dovevano essere scippati del loro salario differito, costituito, appunto, dalla liquidazione, che doveva finire nelle sapienti mani dei Signori in giacca e cravatta, che lo avrebbero giocato in Borsa, all’insegna del “noto principio economico”: Se va bene, viva Michele; se va male, …a Pasquale. In tutti questi anni, veramente bui, tempestosi e disgustosi,

solo i COBAS e gli altri Sindacati di Base si sono opposti in tutti i modi a questa vera e propria rapina del secolo, denunciando sia il feroce, truffaldino ed antidemocratico criterio del silenzioassenso, che avrebbe costituito il lussuoso carro funebre per le esequie delle liquidazioni spettanti ai lavoratori, sia la profonda immoralità rappresentata dal legare il futuro dei lavoratori stessi all’andamento della Borsa, come hanno concretamente dimostrato i fallimenti della Enron negli Stati Uniti e della Parmalat in Italia. Per nostra fortuna, i contrasti tra i ghiottoni hanno impedito loro di mangiare la torta dei 26 mila miliardi di lire, costringendo il Ministro Maroni a comparire con aria funerea, in televisione, Giovedì 24 Novembre 2005, per annunciare che le esequie delle liquidazioni erano state rimandate al 1° Gennaio 2008. Quindi, il terzo, ovvero i lavoratori sulla cui pelle si è giocata questa sporca partita, può tirare un sospiro di sollievo, per ora. Comunque, i COBAS, nel rivendicare questo successo, invitano i lavoratori non solo a non abbassare la guardia, ma anche ad organizzarsi, per affossare in maniera definitiva questo progetto delittuoso, nel 2008. Rivendichiamo questo successo in proporzione a ciò che siamo riusciti a fare; d’altra parte, dal 1999, grazie all’allora Ministro Bassanini, noi non abbiamo più il diritto di tenere Assemblee Sindacali in orario di lavoro. Per fortuna, viviamo in un Paese democratico... Confederazione Cobas di Perugia

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S alus La smania di comprare In questi ultimi tempi si va affermando un po’ dappertutto qualcosa che sta a metà tra il fatto di costume e la patologia: molte persone, per lo più donne ma non solo, sono prese dalla compulsione irrefrenabile di comperare, comperare e comperare. All’interno di questa compulsione c’è poi chi compra solo un tipo di oggetti (la regista Simona Izzo ha dichiarato di avere tale problema con le scarpe e di possederne oltre 100 paia), chi spazia in un ambito più largo, ma comunque determinato (p. es. l’abbigliamento), chi, infine, ma si tratta di casi meno frequenti, compra tutto quello che vede, fino a che non ha finito i soldi. Si tratta evidentemente di una patologia riservata ai ricchi, anche se vi rientrano casi di famiglie non ricche, che proprio per questo vengono ridotte sul lastrico dal problema. Ma come tipo di sintomo, si tratta evidentemente di uno di quelli che si innestano su usi sociali (quello del c.d. shopping) caratteristici dei Paesi più ricchi. Ciò non è senza significato, quando si pensi che una patologia diffusa oltre all’aspetto individuale del singolo che ne è affetto, è sempre contemporaneamente un fenomeno sociale, anche per il solo fatto di diffondersi. Dato che si tratta di una vera e propria compulsione, questo disturbo rientra tra quelli ossessivo - compulsivi, proprio come il vizio (rectius: la malattia) del gioco. Insomma, chi non può fare a meno di comprare non ha un disturbo differente, nella sostanza, da quello di chi controlla ossessivamente il gas o la chiusura della porta, o rimugina coattivamente pensieri sempre uguali. In quanto disturbo psichico, non risponde al buon senso, esattamente come non vi risponde alcun disturbo psichico (salvo rari, encomia-

bili casi). Inutili quindi le prediche sullo sperpero, sull’economia e nemmeno sul come tirare avanti fino al 27. I disturbi emotivi richiedono, per essere curati, terapie emotive: Similia similibus curantur. Il guaio è che questo specifico disturbo è più refrattario di altri alla terapia, forse perché all’angoscia che sempre dà la coazione di qualsiasi tipo oppone in compensazione il piacere, sia pure estremamente effimero, del possedere. La sua origine va sì cercata, come ormai sanno tutti e come vale per il 99,99% dei disturbi della psiche, nelle carenze affettive. Bella scoperta. Ma l’origine ultima sta nella dipendenza. Il soggetto infatti, in questo come in tanti altri disturbi, dipende dal suo sintomo, ne è schiavo, non riesce a rinunciarci. La terapia va quindi incentrata sul problema della dipendenza, uno dei più rognosi e lunghi da risolvere. Almeno nei casi in cui altri più brevi tipi di terapia non abbiano dato risultato. Vincenzo Policreti

L a

s i g n o r a

Q uando

ero piccola sul mio palazzo abitava una signora che avevo soprannominato la signora con le bustine. La incontravo in continuazione ed ogni volta con un’infinità di pacchi, pacchetti, buste e bustarelle. Mai a mani vuote! E siccome io ho sempre detestato andare in giro con le mani impegnate, mi domandavo quale strana maledizione avesse colpito quella povera donna che era costretta a trasportare perennemente tanto materiale. Poi sono cresciuta e mi sono resa conto che la suddetta maledizione colpiva in realtà moltissime donne. Ma la vera tragedia è stata conoscerne qualcuna da vicino e quel che è ancora peggio… provare a frequentarla!

c o n

l e

Con simili soggetti, infatti, gli argomenti di conversazione non brillano certo per varietà di contenuti: ho visto una magliettina da Elsa… deliziosa!!! Ha il collo all’americana con due decorazioni a zigzag dalle parti: una rosa shokking con sfumature tipo marmo che danno sul grigio perla; l’altra verde pisello, ma non proprio pisello, più sul… tipo sedano!!! Le maniche così e così, la lana liscia, ma che sembra crespa, ecc…, ecc. Si può continuare con gli orecchini, il fondotinta, i sali da bagno o con una serie di pezzi appartenenti a quella classica oggettistica che, dopo averla tenuta in casa per vent’anni senza averne fatto mai il minimo uso, si decide generosamente di donare a favore

b u s t i n e della pesca di beneficenza organizzata dalla parrocchia. Le signore con le bustine trasformano ogni innocua passeggiata in una pesantissima via crucis, dove però non è Cristo a patire, ma il disgraziato o la disgraziata che le accompagna. Ogni vetrina è una stazione in cui al posto delle preghiere si recitano altisonanti encomi o critiche feroci alla merce esposta, con specifici riferimenti ad amici e conoscenti che possiedono qualcosa di simile. Ho saputo da fonti sicure che ad essere i mariti delle bustinare si incorre in un drammatico inconveniente. Ogni sera, al ritorno della sperperatrice, si viene sottoposti ad un assillante interrogatorio, volto ad appurare se: i pantaloni buttano bene sul sedere, il profumo non sia troppo dolce, il colore dell’ombretto faccia risaltare a dovere quello degli occhi. Ma non è tutto... Qualunque sia il commento del partner, la reazione è immancabilmente di sdegno. Perché se lo sventurato esprime approvazione, lei lo accusa di faciloneria, mentre in caso di mancate lodi o di timide titubanze, lei è colta da attacchi isterici e crisi depressive che possono arrivare fino alla minaccia di divorzio per manifesta insensibilità del coniuge. Ed è proprio allora che lui al divorzio comincia a pensarci per davvero… Raffaela Trequattrini

c’è un aquilone

nel cuore della città

a i z n a f n ’i d la o u c s •• • • • • • ne attività di manipolazsioestivi re nie ra st e gu lin pu cam informatica sport psicomotricità gioco ni junior zo an pittura m ro co terapia laboratorio di musico

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da settembre

all’inaugurazione sarà presente il Prof.

PAOLO CREPET

Manzoni Junior - via G. Mirimao, 1 • presso Circolo della Scherma • tel. 0744/407955 • info@manzonieducation.it

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M a d o n n a in tro n o c o n il B a m b in o e Santi Stroncone, convento di San Francesco La Provincia di Terni per la cultura

La Provincia di Terni per la cultura

Nell’oratorio dedicato a S. Antonio da Padova, nel piccolo convento stronconese fondato nel 1213 da S. Francesco d’Assisi, c’è un affresco, risalente al 1509, di Tiberio Diotallevi, detto di Assisi, raffigurante la Vergine che tiene il Bambino tra le braccia con, a destra, S. Girolamo, S. Antonio da Padova e, a sinistra, S. Michele Arcangelo e S. Bonaventura. La datazione del lavoro è apposta in basso a destra, accanto ai nomi Sanctus (contratto in Sctus) Ieronimus e Sanctus (Sctus) Antonius de Padua. Nato ad Assisi intorno al 1470 e morto nel 1524, Tiberio si formò a Perugia dapprima nella cerchia del Pinturicchio, che

tezza del ventre. Dalla lunga veste fanno capolino le scarpe. Accanto a lui, a destra dello spettatore, c’è S. Antonio con la tonsura e il saio francescano. Nella mano sinistra tiene un libro chiuso da due stringhe e nella destra un frutto. Alle spalle, si stagliano le guglie della cattedrale patavina verso cui converge il volo delle rondini. La stradina che conduce all’edificio religioso è percorsa da due pellegrini e da un cane con la coda rialzata. All’estrema destra del trono (a sinistra per il visitatore), si trova San Michele Arcangelo con una spada in una mano e una bilancia, con dentro un minuscolo corpo, simbolo dell’aniLa Vergine ha lineamenti delicati, esili sopracciglia, piccole labbra e uno sguardo assorto, tra l’estatico e il trasognato. Il Bambino è in piedi, delicatamente sorretto dalle braccia della madre, cinto da un lenzuolino e con gli occhi rivolti verso la sua sinistra, nella direzione di San Girolamo e di S. Antonio da Padova. San Girolamo legge un libro di orazioni. Ha una fluente barba bianca ed ha il capo avvolto da un ampio mantello rosso sormontato da un cappello tenuto da due corde annodate all’al-

probabilmente seguì a Roma, poi in quella del Perugino. Nel caso dell’opera da noi considerata è evidente l’influenza ricevuta dal secondo e, in particolare, dalla Madonna concepita dal Perugino originariamente per la cappella dei Priori e adesso in Vaticano. Per qualcuno, come lo storico ternano Luigi Lanzi, il dipinto stronconese costituisce il capolavoro dell’artista, per altri, invece, esprimerebbe un intento meramente divulgativo e sarebbe il risultato di un pittore privo forse di originalità ma che, però, ha bene assimilato le tecniche dei maestri umbri della fine del Quattrocento. I personaggi sono raffigurati in una posa statica, all’interno di un impianto scenografico teatrale e con uno sfondo dato da una veduta marina. Ma vediamo uno ad uno i soggetti partendo dal centro, e cioè dalla Madonna che sorregge il Bambino. La Vergine in trono, secondo l’iconografia del tempo, sembra stare all’interno di una conchiglia. In alto campeggia la scritta Ave Maria Gratia Plena Dominus Tecum. Intorno al seggio sono stati inseriti motivi ornamentali con foglie intarsiate dentro ovoli e quattro piccole teste di fauni.

ma, in preghiera. La punta della spada è conficcata in una bestia nera, alata e cornuta, allusiva del male, calpestata dal piede sinistro. Dietro, una stradina costeggia un masso roccioso. E’ percorsa da tre persone che sembrano di ritorno dal lavoro nei campi. Una di loro, una donna con il capo ricoperto da un fazzoletto bianco, tiene in braccio un bambino. E’ uno scorcio d’ispirazione particolarmente agreste. S. Bonaventura da Bagnoregio, il maggiore esponente del pensiero francescano medievale (1221-1274), ha invece una mitra finemente adornata, a conferma della sua autorità, e mostra, nella mano sinistra, un libro aperto. Dalle dita pendono le corde della borsa. La mano destra, invece, con impresso uno stigma caratteristico, regge un bastone culminante con un crocifisso. I nomi dei santi sono indicati didascalicamente dallo stesso Tiberio nella cornice entro cui è incastonata la rappresentazione. Quest’opera, più delle altre, conferma la capacità dell’artista di tradurre in termini popolari temi appartenenti alla pittura sacra del tempo. Francesco Pullia Foto di Marco Santarelli

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D iritto I re g a l i d i m a m m a c h i e s a

Ognuno di noi appartiene alla religione che la propria famiglia gli ha trasmesso alla nascita; infatti di norma una persona ben istruita e senza condizionamenti, difficilmente abbraccia una qualsiasi religione, una volta adulta. Questo è un dato noto per qualsiasi gerarchia religiosa, perciò cercano di influenzare le menti in giovane età, ed è lo stesso motivo per cui la Chiesa insiste sull’insegnamento religioso nella scuola primaria. Un bambino non possiede ricettività critica, anzi assorbe tutti gli input che gli vengono dall’esterno come fosse una spugna. Qualunque genitore può testimoniare quanto sia difficile fargli comprendere il vero significato dei comportamenti o dei concetti. Inoltre parliamo di una materia che permeandosi nella nostra mente ci accompagnerà per tutta la vita conformando i nostri atteggiamenti al nostro credo. Questo è quello che accade con qualsivoglia religione, questo è quello che porta agli estremismi, questo è quello che limita la nostra libertà. È l’insegnamento meccanico di precetti religiosi che genera paure e complessi, facciamo l’esempio della mela di Eva, ogni donna nasce con un marchio stampato in fronte che dice: tu sei una peccatrice!

Io sono una donna che affronta quotidianamente centinaia di problemi: il lavoro, la famiglia, l’integrazione, l’assistenza, gli stereotipi; ci mancava solo il peccato originale. Io sono una donna e non sono colpevole di nulla, semmai è la storia che è colpevole nei miei confronti.

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Generando frustrazioni, sensi di colpa e di inferiorità si mina l’autostima di alcune persone, esaltandone altre e si arriva alle dittature, alle pulizie etniche, agli stermini, alle guerre di religione e alle sottomissioni femminili. Nessun continente è immune da tale sorte, le donne afgane girano come fantasmi, le donne africane vengono mutilate, le donne asiatiche lavorano venti ore al giorno, le donne europee cercano ancora la parità e così via. Volete altri esempi? Pensate al genocidio degli Ebrei, al terrorismo moderno delle Torri Gemelle, alle fosse comuni cecene. In questo modo la religione diventa un fantastico strumento di controllo, invece dobbiamo volere una coscienza libera per tutti. Coscienza libera non significa essere atei; io sono Cattolica e guai a chi mi tocca Dio, ma significa guardare con occhi puri e mente sgombra. L’ideale sarebbe avere un mondo scevro da contenuti dogmatici, intendendo per dogma un fatto accettato come vero in assoluto e quindi non soggetto a discussione. Anche la politica e la famiglia impartiscono dogmi, e vai a capire quali sono più pericolosi. Il mondo ha bisogno di pensare e convivere con tutte le sue diversità. Il piano triennale di assunzione degli insegnanti di Religione del ministro Moratti è l’apoteosi di ciò che non andrebbe fatto, ma è evidente che per mantenere poltrone e privilegi non si guarda in faccia a nessuno. Tale piano prevedeva che entro il 2006 dovessero essere assunti oltre 15.000 insegnanti di religione (guarda caso nel 2006 ci sono le elezioni politiche). Da settembre di quest’anno anche gli ultimi 3.000 precari di religione hanno il posto assicurato. Così si è ottenuto che il precariato degli insegnanti di religione è stato eliminato, mentre rimangono 53.000 precari delle altre materie, alcuni dei quali iscritti da anni nelle graduatorie permanenti (dati raccolti dalla FIC CGIL). Tutto ok se ci fosse stato un bel concorsone cumulativo e lo avessero vinto

solo quelli di religione, ma la cosa è ben diversa. Il concorso era riservato ai soli insegnanti di religione i quali dovevano avere due requisiti fondamentali: 1) aver insegnato per almeno quattro anni consecutivi nell’ultimo decennio in una scuola statale o paritaria; 2) avere la certificazione di idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano. Ma avete capito? Innanzitutto si tratta solo di religione Cattolica e poi bisogna avere una certificazione della Chiesa. Così si è dato un potere decisionale sulla scuola ad un’unica confessione religiosa, potere che si è manifestato con un concorso dove, in alcune regioni italiane, i posti a disposizione hanno superato gli idonei. Cioè non c’è stata competizione, hanno vinto tutti perché c’erano più posti che candidati: il sogno di tutti gli italiani. E guarda caso le regioni in questione sono: Emilia Romagna; Liguria; Marche; Molise; Umbria; Veneto; Lombardia. È evidente che certi governi sfornano più idonei di altri. La revisione del concordato Stato-Chiesa Cattolica del 1984 prevede che la religione cattolica non sia più religione di Stato, con la facoltà per gli studenti di non avvalersene. Così gli studenti delle scuole superiori usano l’ora di religione per terminare i compiti o svagarsi, costando allo Stato che paga i professori di religione 3300 miliardi delle vecchie lire ogni anno. Che il Ministro Moratti dica che un milione di studenti su due e mezzo totali ha deciso di non avvalersi dell’insegnamento della religione Cattolica lo considero un affronto alla mia intelligenza, oltre che alle mie tasche. Tagli alle spese della scuola, meno insegnanti, più soldi alle scuole paritarie, proclami a favore delle scuole cattoliche, evviva la libertà! Non ci rimane che l’Europa. Speriamo che l’Unione Europea apra gli occhi e freni questo scempio, riconoscendo il pluralismo di coscienza anche in Italia. Speriamo che gli italiani capiscano quello che sta accadendo e si ribellino, speriamo che il prossimo governo faccia le riforme giuste, speriamo, speriamo, la speranza è l’ultima a morire. Serena Battisti

Il lavoro precario

L’uomo ha bisogno di certezze. Da sempre questa è stata l’Esigenza tra le esigenze primarie. Perché l’incertezza è per antonomasia insicurezza, l’insicurezza partorisce l’ansia, e l’ansia, quando si protrae, degenera in depressione. E’ questo che il nostro Stato vuole per i suoi cittadini? Sprofondarli nell’angoscia di chi non è più in condizione di costruire un suo progetto di vita? Se il nostro Stato vuole questo per noi, sarà difficile per noi vivere in questo stato…! Mistificare, affabulare, filosofeggiare non ha senso quando i fatti già parlano così chiaramente: il mercato occupazionale, in Italia, non presenta al momento le condizioni per garantire ai cittadini che svolgono un’attività a carattere precario il diritto ad un lavoro continuativo, e quindi al mantenimento dignitoso di se stessi e della propria famiglia, il che significa: se perdo il lavoro oggi, non ne trovo un altro tra un mese e probabilmente nemmeno tra due; non c’è da escludere che resti disoccupato per un anno intero e forse per più di uno. Quindi… non so!!! Invece noi vogliamo sapere, perché un Governo ce l’abbiamo per questo. Ed anche individuare le fonti dalle quali attingere le risorse per la nostra sicurezza economica, non è un intervento opzionale per un Governo… ma un suo dovere preciso e prioritario! Secondo il Governo, la flessibilità del mondo del lavoro (legge Biagi) avrebbe dovuto garantire la ripresa economica. Tanti presunti ed imminenti licenziamenti non ne costituiscono una gran prova…!!! Non investimenti, ma tagli; non riorganizzazione dei servizi, ma esternalizzazione; non assunzioni, ma blocco del turn-over; riduzione degli organici e svendita degli uffici dove lavoriamo. E i risultati? La finanziaria del 2006 prevede una riduzione del 40% della spesa per stipendi e compensi del personale a tempo determinato, a convenzione e a contratto co.co.co. In tutta Italia saranno 260.000

le persone che rimarranno disoccupate. E così, in barba a tutte le rosee previsioni contenute nel programma di Governo, ai famosi tagli dei rami secchi non è seguito alcun germoglio. Qui le cose sono due: o si trattava di un programma fittizio, redatto tanto per entrare in politica, oppure qualcuno ha fatto male i conti: molto male! Le conseguenze però saremo noi a pagarle, e non chi ha sbagliato i conti…!!! Le Aziende Ospedaliere, tanto per fare un esempio, sono rette in percentuale altissima da personale precario. Quali risvolti avrà per la Sanità questa finanziaria? Quali risvolti avrà quindi per tutti noi? Viene da sé l’urgenza di pianificare immediatamente delle linee programmatiche per conservare l’efficienza di determinate strutture che, a prescindere dalla congiuntura politico-economica del Paese, devono garantire ai cittadini un livello di assistenza degno di una società civile. E’ indispensabile intraprendere un percorso sistematico per arrivare alla soluzione del problema del nostro precariato, percorso il cui esito sarà fortemente condizionato dall’effettivo appoggio da parte delle organizzazioni sindacali e dalla capacità di coesione e di condivisione dei lavoratori. Raffaela Trequattrini


M issionari per un S orriso Dedicato all’Africa

Pronto? Sono Anna. Anna chi? Sono tante le Anne che conosco! Anna dell’Africa. Anna! Adesso mi torna familiare anche la voce. Di Anna ne conosco tante, ma non sono tante quelle che vanno in Africa. Come è andata? Le chiedo. Ti devo vedere, ti devo raccontare - mi dice lei - Sto male per le cose che ho visto. Miseria? No, morte, la morte dei bambini. Il giorno prima li tenevo in braccio, il giorno dopo erano morti. Anna è partita alla fine di ottobre 2004 per prestare la sua opera di infermiera volontaria in Africa, precisamente in Etiopia, nella zona del Volait ai confini con il Sudan. Vado a trovarla al SIM infanzia dove lavora come infermiera psichiatrica; mi racconta quaranta giorni di un’esperienza durissima. Prima di partire si era documentata e aveva pensato di poter contare sul suo precedente volontariato in altri territori, ma l’Africa le si è presentata con un volto inaspettato, bellissimo e terribile allo stesso tempo. Già in aereo il Vescovo della Missione aveva cominciato a darle le prime informazioni necessarie per il suo lavoro e il suo inserimento: l’ospedale, i malati, le persone a cui far riferimento, nello specifico la Missione tenuta dai frati cappuccini. Ma, per una mentalità chiusa e che si pensava ormai superata, Anna non è stata accolta nella Missione, perché donna. Le è stata offerta una casetta carina, ma isolata, distante più di un chilometro dalla Missione, in cui lei si è sentita reclusa, e ha dovuto escogitare sistemi per la sopravvivenza. Invece di aiutare i bambini che le correvano incontro lungo la strada, gridando Sister, caramella! ha dovuto lei chiedere da mangiare, sollecitare la generosità della gente, per ricevere un bicchiere di latte, una patata, un po’di pane, un po’ di miele… Insomma,

un’avventura nell’avventura, in una terra già piena di problemi e di fame. Nel reparto di pediatria dove è stata assegnata come infermiera Anna ha visto tanti bambini morire di malaria, di tetano, di AIDS, di malnutrizione ed ha scoperto che in Africa la morte è naturale come è naturale nascere; per sette bambini che muoiono dieci ne nascono. E allora qual è il problema? E’ la nostra mentalità di occidentali che ci fa temere la morte. Per gli africani non è così: non si può pretendere la salute, è normale la malattia, è inappellabile la morte, anche se precoce, anche se dei bambini. Bambini malati, tristi, senza sorriso, donne giovanissime che perdono i loro bimbi appena nati e non versano una lacrima; si alzano dal letto di ospedale dove sono state ricoverate e si allontanano senza dire una parola, senza chiedere niente. Il letto vuoto servirà ad altre madri, forse più fortunate. Anna si ribella ad una realtà che non è la nostra e che lei trova assurda e scandalosa, come è scandalosa l’indifferenza di infermiere locali che non fanno niente di fronte alla tristezza dei bambini e danno per scontata la fatalità della morte senza cercare di ritardarne l’evento. Forse questo succede perché i bambini sono troppi, e molti altri premono alle porte dell’ospedale per farsi curare: Anna ha provato a far giocare i bambini più tristi e più malati di fronte allo sguardo incredulo e diffidente delle infermiere locali, un Patch Adams al femminile. Qualche risultato l’ha ottenuto: i bambini l’aspettavano in piedi sui loro lettini e la guardavano con occhi neri vivissimi. Ma per i più gravi la morte arrivava ugualmente, puntuale. Accanto a queste sconfitte, ci sono nei suoi ricordi gli odori nauseabondi dell’ospe-

dale Odore di tutto - dice Anna di vomito, di urina, di sangue, di feci, di morte… la gente sdraiata per terra, pochissimi letti, persone che vengono da villaggi lontanissimi e camminano per più di dieci giorni per arrivare all’ospedale e quando arrivano è ormai troppo tardi…. Parliamo di una delle zone più povere dell’Africa. Che dire poi della sala operatoria e della sala parto? Manca l’igiene, scarseggia l’acqua, le mosche e il caldo aggravano ancora di più la situazione. Le donne che partoriscono sono spesso infibulate e il parto diventa un dramma, una vera e propria operazione. I bambini che nascono non sono contrassegnati, potrebbero avvenire scambi, ma loro dicono: Non importa, è un figlio. Certe volte le operazioni avvengono senza anestesia, ma anche nei bambini la soglia del dolore è altissima. Come non si ride, così non si piange. Anna ricorda l’episodio di un bambino che si era ferito gravemente ad un piede con il machete che serviva a tagliare la canna da zucchero. Mentre il chirurgo ricuciva la ferita profonda Anna stringeva le mani del bambino per aiutarlo a sopportare il dolore, ma lei stessa si sentiva svenire. Lui l’ha guardata e strizzando l’occhio: Sister o.k.!, le ha detto, lasciandola senza fiato. E’il colmo! - commenta Anna. Accanto al racconto delle tragedie, squarci di luce: paesaggi di sogno, fiori dai profumi inebrianti, colori vivacissimi, impazziti…; l’incontro con le persone giuste, come quel Padre Saverio che lei definisce mio maestro di vita qui in Africa. E’un vecchio missionario pieno di amore per il prossimo, di carisma, di fede, anche di vasta cultura personale. Per Anna è stato un punto di riferimento formidabile, con lui ha potuto parlare, superare le sue crisi, imparare molto sull’Africa. Ma esistono anche i Missionari sbagliati, quelli che hanno dimenticato il mandato, quelli che hanno abiti buoni, macchine costosissime e vogliono costruire cattedrali miliardarie…… L’Etiopia è bellissima, dice Anna, (come faccio a dirlo con il suo tono di voce?) e io ci torno!, afferma convinta, nonostante i racconti di miseria, di sofferenza, di morte. Poi mi parla della solitudine vissuta in quei quaranta giorni, senza libri, senza musica, della nostalgia delle sue colleghe del SIM, della sua casa di Narni; subito però torna a pensare all’Africa che l’affascina e la spaventa e che ormai l’ha rapita e la sta trascinando via….. Elettra Bertini

L’ I n d i a c i s a l v e r à ?

E’la domanda che si sta ponendo Don Fernando Benigni dopo aver visitato l’India colpita dallo tsunami. In due viaggi successivi, uno a febbraio e l’altro a ottobre di quest’anno, ha raggiunto la parte meridionale di questo subcontinente con il progetto di ricostruzione Monica per un sorriso, volto ad aiutare i pescatori di cinque villaggi. Il viaggio di febbraio è servito per prendere contatto con la realtà della devastazione e per provvedere alle necessità più impellenti, quello di ottobre per mettere in atto il progetto: barche, reti e attrezzature varie, per riavviare il lavoro. Don Fernando mi parla ammirato della dignità delle persone di fronte alla tragedia, della voglia di ricominciare, dove è possibile, con speranza, fiducia nella vita e grande tenacia. E’ la fede in Dio che fa superare tutto. Non ci sono né maledizioni né bestemmie: Dio ci ha dato molte cose e ce lo viene a ricordare togliendocele dicono i pescatori. Sembra di risentire l’eco delle parole di Giobbe: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. E quale preghiera migliore che voler ricominciare, e farlo cercando di stare insieme? Oltre alle barche e alle reti, infatti, i pescatori hanno chiesto anche un capannone per incontrarsi, per organizzarsi nel lavoro, per pregare insieme. Don Fernando insiste su questo senso comunitario degli Indiani, comunitario e religioso nello stesso tempo. La religione non divide, anzi unisce. Possono convivere indù, cattolici e musulmani, si può pregare accendendo incensi non solo agli dei tradizionali, ma anche a Sant’Antonio da Padova. Anche quando si celebra il nostro Natale, la festa è comune. Non a caso, il vescovo di Terni, Mons.

Vincenzo Paglia e la Comunità di S. Egidio hanno scelto Cochin, nel Sud dell’India, come sede di un convegno dal titolo significativo: Forgiare un nuovo umanesimo spirituale. Il secondo viaggio di Don Fernando è stato anche l’occasione per inaugurare un nuovo parco giochi (il precedente è stato distrutto dalle acque) che ha il nome di una bambina, Aswini, sfuggita dalle mani della mamma che invece è riuscita a salvare gli altri quattro figli. Il parco, che prima era di fronte all’Oceano, ora è situato vicino al cimitero: gli indù non hanno paura dei morti, anzi pensano che siano lì per proteggere i vivi. Ad ottobre c’è stato anche l’incontro con i bambini adottati a distanza, in genere figli di pescatori. L’Associazione Monica per un sorriso ha contattato una suora indiana, Suor Nancy, che si occupa personalmente delle adozioni: con la cifra irrisoria di 15 euro al mese si possono aiutare le famiglie a comprare l’occorrente per la scuola o per altro. Fa bene a loro e a noi, dice Don Fernando, e già pensa a una nuova esperienza da fare: tornare in India con altre persone, vivere e far vivere ad altri la serenità di questo popolo da cui è uscito un grande maestro come Gandhi; curare le nevrosi da cui spesso siamo travolti, passeggiando per le strade dell’India, magari con una mucca al fianco. Forse abbiamo molto da imparare da questa terra che prega, che ha un’anima religiosa e interreligiosa. Forse l’India, con la scienza tecnologica di cui è ormai padrona, con la medicina ayurvedica di antichissima tradizione, con la sua forte spiritualità, è il futuro del mondo. Se non sarà anche lei consumata dal consumismo, come dice Don Fernando, l’India ci salverà. EB

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m All’inizio fu Paolo, l’amatissimo Zazurian. Di Omero si smorzava ormai la risata, Cesare aveva iactato il dado, la Rosa Rossa di Lancaster e la Rosa Bianca di York si erano da poco avvinte... E... venne l’Angelino... Seguirono Alberto e Giampiero e Paolo e Sandro e.... altri, tantissimi altri. Galileo gravitava e rivoluzionava... di lì a poco Giacomo cantava Silvia, Giuseppe le foglie autunnali, Eugenio gli ossi di seppia. Sandro forgiava squadre di contendenti e ne regolava le tenzoni. Mai, neanche per un istante (vedi anche foto 2005), venne meno il conforto della sua parola: la Storia lo tramandò come Il Verboso. Angelino e i suoi continuavano imperturbabili a disfidarsi... chez jeaux des pommes a Parigi come en o Maracanà de Rio. Si stabilizzarono a Terni, presso l’oratorio salesiano, calcando un terreno polveroso e sassoso, come s’addice alle disfide, recintato da lastroni di zinco. Venne poi Don Paolone, aristocratico e raffinato, a stabilire che il terreno delle tenzoni dovesse essere più radicato nel contesto territoriale. Fece così scaricare, per il manto campale, camionate di scorie della Soc. Terni. Volle che fosse orientato da nord a sud e lo

ruotò di 90 gradi; sostituì lo zinco con muratura perimetrale. Prima, durante, dopo la gara, nessuno riusciva ad azzittire Sandro. Continuava a parlare, 60 secondi al minuto, 60 minuti l’ora, per circa 3 ore, poi... proseguiva da solo. Angelino e i suoi non battevano ciglio. Paolo il portiere spallerotte giocava, con le spalle rotte appunto! Si disfidavano con qualsiasi condizione atmosferica. Pioggia allagante? Paolo, architetto divino, alle 5 in punto, iniziava a fare buchi sul terreno... in molti lo emulavano in ore meno disperate. Si era affibbiato i galloni di addetto alla manutenzione del campo; in autunno fungeva da aiuto manutentore un altro mito di noi giovanotti degli anni anta: Don Carlo Borgetti, da me amatissimo. Carlo si dedicava con diletto e con amore alla pulizia mattutina delle foglie sparse sul campo, in un impegno che lui definiva umile, ma rasserenante. Infatti non c’erano mai foglie sul nostro cammino... solo buchette, crateri, piccole voragini... e nessuno ha mai capito a cosa servissero quelle taste sul terreno che tanto esaltavano Paolo. Volendogli però tutti molto bene, lo assecondavamo in quella sua frenetica e giovanile attività da manuale delle giovani marmotte. Per fortuna però, nel frattempo, cercando di camuffarsi, Antonio, Alberto, Alfredo, Rossano, Paolo spallina, Mario, Giampiero ed altri, si attrezzavano con stracci, secchi e scope di saggina e a forza di strizzare e trascinar via acqua e terra scoriosa il campo era sempre, magicamente, praticabile. Se proprio, a volte, nonostante gli stracci, rimaneva impraticabile... nessuno ci faceva caso anzi era l’oc-

casione per schizzare gli avversari. Memmo giocava solo in tali occasioni, scendendo in campo con l’ombrello. Neve? Stupendo! Ah, impalpabile neve che nulla corrompi, ma tutto attutisci, silenziosa neve che inviti alla quiete, ovattato fluire che sfumi i pensieri... nemmeno tu riuscivi a far tacere i rompimenti gracchiosi del Verboso... Ghiaccio? E chi se ne frega! Tuoni e fulmini? C’è più aria di festa! Si sposa la figlia! Auguri, figlia mia, sarò presente dopo la partita.... Combattono fieramente i mitici eroi della pelota: nessuno ci sta a perdere. A volte si lasciano andare a qualche verginale improperio, ad un suggerimento appena accennato, a sguardi carezzevoli, a impercettibili gesti di disapprovazione. Tutto seraficamente. Rivelano, è vero, una stizza autentica nel non voler perdere, ma sono esempio adamantino di amore puro per il calcio. Sportivi autentici: il mondo professionistico del calcio sparisce al loro confronto. Commettono però tre errori: - non ringraziare abbastanza l’attuale Don Carlo che, inserendo il verde manto, li ha dotati del campo di calcio che oggi, anche per ubicazione, è assolutamente il più bello del mondo; - non imporre la mordacchia a Sandro per farlo arbitrare con gong o con piatti o con tamburo; - non prendere completa coscienza che nessuno di loro ha mai perso ma che, ogni volta che scendono in campo, non solo sono vittoriosi ma anche fortunati, se ad una età più che venerabile possono ancora godere ed essere protagonisti di un gioco che, grazie a loro, è davvero il gioco più bello del mondo.

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2005

Giampiero Raspetti

Formazioni mitiche del 1987

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Paolo Francescangeli, Alberto Strinati

Grazie

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Vo c i d i . . . S q u i l l i d i r i c h i a m o Trasparenza Suggestioni realistiche

A volte capita che chi vive in condizioni cosiddette normali, non riesca ad immaginare neppure lontanamente quelle che possono essere le problematiche di una persona che, colpita da circostanze avverse, si trova ad un certo punto, suo malgrado, a condurre un’esistenza fuori dai canoni. Esprimere giudizi è sempre facile, ma nessuno di noi può sapere cosa sarebbe diventato se sbattuto in un contesto completamente diverso dal suo, in balìa di vicende che rendono davvero difficile pensare che la vita è bella… Nel mese di ottobre La Pagina ha realizzato un servizio su Primo Squillino e la sua pittura. Squillino non ha bisogno di troppe presentazioni, basta guardare la sua foto ed in molti di certo lo riconosceranno. La nostra disponibilità a promuovere la sua attività artistica lo ha particolarmente ben disposto nei nostri riguardi, tanto che io personalmente, con il collega Francesco Patrizi, siamo stati invitati a casa sua per una visita amichevole. Squillino condivide un piccolo appartamento in viale Brin con la sua compagna Maura, una donna che ci ha riservato non poche sorprese. La prima cosa che ci ha colpito è stato un adesivo attaccato al muro con il simbolo dell’Unicef. Inoltre, poggiati a terra, c’erano due scatoloni pieni di cibi e di vestiti, pronti per essere spediti in Pakistan. Maura non voleva che uscisse questo articolo. Mi ha esplicitamente vietato di pubblicare ciò che ora state leggendo, dicendomi: i figli miei sono una cosa mia! Non li

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voglio usare per raccogliere più soldi. Io però ho deciso di andare contro la sua volontà (spero non mi denunci per questo) perché ritengo che la società abbia bisogno di essere scrostata da quell’ipocrisia che fa sentire la gentildonna con un marito da 10.000 euro al mese, una pia donna soltanto perché sovvenziona opere caritatevoli con un budget inferiore a quello che spende in un mese di parrucchiere. Inoltre, la medesima non perde un’occasione per sbandierare ai quattro venti la sua commovente generosità, creando in alcuni il sospetto che, esattamente come il parrucchiere, la sua solidarietà faccia parte di una precisa politica d’immagine. La stessa gentildonna è quella pronta a trinciare giudizi impietosi su persone come Maura e Squillino, che ritiene imparagonabili a lei sotto il profilo umano. E su questo ha proprio ragione! Squillino si lamenta un po’, tanto per atteggiarsi a quel maschio che ha più senso pratico nel mandare avanti la baracca, del fatto che in questo mese di dicembre Maura ha speso ben 1000 euro di regali per i suoi bambini adottivi. Ma lo dice con quel malcelato orgoglio di chi ne è chiaramente complice. Squillino ama dipingere, dice che gli dà serenità e che i colori delle sue tele sono gli unici veri colori della sua vita. Le tele però costano 15 euro l’una ed anche i colori non sono a buon mercato. Non aggiungo altro. E chi ha orecchie per intendere, intenda. RaffaelaTrequattrini

A metà Dicembre Tommaso non trova ancora ciò che gli serve per addobbare l’albero di Natale: stufo di colori chiassosi e pacchiane decorazioni, è alla ricerca di palline trasparenti. Pure, essenziali, che brillino di luce propria. Le cerca al supermercato. Ce ne sono tantissime, ma nell’esaminarle una ad una, le trova tutte estremamente grossolane, nota dove una riga, dove un difetto. A basso costo ma scadenti. Le cerca dal vetraio. Ma la superficie è ancora troppo spessa e opaca rispetto al suo desiderio. Ne ammira una di cristallo nella vetrina della gioielleria; sembra vicina all’idea di purezza e leggerezza che va cercando, ma osservando meglio si accorge che il velluto e l’illuminazione la rendono così splendente. Deluso, cammina per strada a testa bassa, quando vede qualcosa che gli volteggia proprio sotto il naso, quasi voglia attirare la sua attenzione prima di innalzarsi e scomparire nel cielo limpido dell’inverno. E’ una bolla di sapone. L’uomo si guarda intorno e vede un bambino che ne sta facendo tante; si ferma e tende istintivamente la mano, come per accarezzarne una e… la bolla... non scoppia! Gli si adagia nel palmo, senza rompersi né volare via; sembra essersi cristallizzata pur rimanendo flessibile. Il piccolo prodigio si ripete: tutte le bolle, al tocco delle dita dell’uomo, si trasformano magicamente in bellissime palline leggere. Tommaso è così felice di aver trovato quello che ha tanto cercato, e di non essersi accontentato scendendo a compromessi! Ne raccoglie un bel po’ nelle tasche del giaccone, poi ringrazia con un sorriso il piccolo, che si allontana saltellando. Il 24 tutti i vicini ammutoliscono di fronte all’albero meraviglioso: le bolle sono sospese, né ganci né nastrini le fissano sui rami, e non occorre nessun altro artificio per renderle più belle. M. Beatrice Ratini

La mano di Giuseppe accarezza una bambola magra intagliata nel legno: la vestirai, Maria, tornerai a quei giochi lasciati quando i tuoi anni erano così pochi. Questi i pensieri di Giuseppe che torna da Maria dopo quattro anni di lavoro lontano dalla Giudea. Maria era appena una bambina affidatagli dai sacerdoti che l’avevano custodita nel tempio. Essi la esponevano perché la sua verginità si tingeva di rosso. Questi, dunque, i pensieri che ha il vecchio Giuseppe nella Buona Novella di De André. E’ un’atmosfera ben precisa quella che caratterizza il Natale, sia per chi lo vive nella fede sia per chi lo vive nella tradizione. Per chi è accecato dalle lucine e dagli addobbi e per chi collabora con i poveri, con le parrocchie, con la famiglia. E’ un’atmosfera che ha tutta l’aria di essere molto mistica sia per i religiosi che per i laici. E’ invece così tremendamente umana e materiale l’atmosfera che De André racconta cantando nella Buona Novella: un avvento e un Natale di uomini. La storia di Maria è quella di una donna strappata all’infanzia senza la sua volontà e dell’indulgenza dello sguardo del vecchio Giuseppe, che la accoglie prima come figlia poi come moglie. Maria ha capelli lunghi come un mantello, carne, viso, collo belli e invitanti. E i sacerdoti la offrono come un premio di una lotteria.

Giuseppe, falegname per forza e padre per professione, la accoglie come una bimba mentre egli invecchia. Ma poi, cosa avviene a Maria che lo aspetta da oltre il deserto per quattro anni? Se fosse un presepe sarebbe un insieme di volti e atteggiamenti molto realistici e ben chiari. De André descrive benissimo i pensieri, i gesti, il popolo, gli sguardi, il paesaggio. E un angelo che resta nell’opera come una presenza inquietante e forse più corporea di tutte le altre, pur dietro quel nome metafisico. Dicono che fosse un’angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo tra cibo e Signore. Maria spiega: Nel grembo umido scuro del tempio, l’ombra era grande gonfia d’incenso. L’angelo scese come ogni sera ad insegnarmi una nuova preghiera. Poi d’improvviso mi sciolse le mani e le mie braccia divennero ali. Quando mi chiese conosci l’estate io per un giorno per un momento corsi a vedere il colore del vento(...) Ed alla fine di ogni preghiera contava una vertebra della mia schiena. Infine l’autore, rivolto a Giuseppe, racconta così quel rivelatore ritorno da Maria, la cui rotondità dei fianchi avvolge un bimbo: E tu piano posasti le dita all’orlo della sua fronte, i vecchi quando accarezzano hanno il timore di far troppo forte. Adelaide Roscini


...Natale Quando l’impegno è per sempre

Poliziotti si diventa, ma si resta tali per tutta la vita. Questa è l’impressione che l’ispettore capo di Pubblica Sicurezza Tondi Giuseppe, ora presidente della sezione ANPS di Terni, suscita alla prima stretta di mano. L’ho incontrato nei bei locali dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato presso la questura di Terni, dove svolgono la loro attività sociale gli ex poliziotti andati in pensione o, come loro stessi preferiscono dire, in congedo. Per me, figlio di poliziotto, è un pò come respirare aria di casa. I pensieri mi riportano ai momenti dell’infanzia quando, fra il timoroso e l’incuriosito, seguivo mio padre nei lunghi corridoi della questura. Tra l’andirivieni frenetico, il vociare colorato delle tante contrade italiane, rispondevo alle domande perentorie dei colleghi cercando di dire la verità,

non si sa mai. La scuola, la salute, le vacanze oggetto dei brevi scambi di battute stavano lì a connotare la sincerità e la familiarità delle relazioni personali. E’ lo spirito che si coglie nelle parole del presidente che tiene a presentare la sezione come una famiglia animata da spirito di gruppo e mandata avanti col motore della solidarietà. La sezione, attiva a Terni da vari anni, riorganizzata e diretta con impegno dal defunto sovrintendente capo di PS cavalier Raffaello Giardi, è stata intitolata solo di recente alla guardia di Pubblica Sicurezza Giovanni Bianchi, medaglia d’Oro al merito Civile. Nato a Rosaro di Acquasparta nel giugno del 1944 e ultimo di tre fratelli, muore a Nuoro appena ventitreenne colpito a morte in un posto di blocco. Il riconoscimento, giunto a quasi quaranta anni dalla sua morte, viene ufficializzato in una cerimonia particolarmente toccante sia dal punto di vista del ricordo che della volontà di rendere merito ad un sacrificio non raro, purtroppo, tra le forze dell’ordine. Si è svolta nel mese di maggio a palazzo Gazzoli alla presenza dei rappresentanti delle varie istituzioni riuniti per la tradizionale festa della polizia. E’ stato il fratello maggiore Francesco a riceverla materialmente sul petto per mano del prefetto dott. Alessandro Felsini in

rappresentanza del capo della polizia. Anche questo è, per notevole parte, merito dell’impegno e della determinazione dei colleghi pensionati desiderosi di far ottenere ad un valoroso agente il dovuto riconoscimento. L’eroismo e l’attaccamento al dovere di chi ha sacrificato la vita per far rispettare la legalità sono in grado di dare un senso al lavoro di chi, sottraendo del tempo ai propri impegni personali, con meritoria azione di volontariato, cerca di tenere vivi quei sentimenti particolarmente cari ad ogni poliziotto. Prima che nello statuto dell’associazione essi vivono nel cuore e nella mente di chi fa o ha fatto parte del corpo della polizia di Stato. Il giuramento alla costituzione della Repubblica, i vincoli di cameratismo e di fratellanza con i colleghi in pensione e in servizio, le sane tradizioni dell’Amministrazione, il ricordo dei caduti nell’adempimento del proprio dovere sono solo alcune delle finalità che impegnano il lavoro associativo della sezione. Di particolare importanza sono, però, quelle azioni di assistenza morale, materiale, culturale e ricreativa a beneficio degli associati. La casistica spazia dall’assistenza burocratica per pratiche di varia natura alla visita a casa o in ospedale per gli ammalati, alla organizzazione di varie attività ricreative.

Di notevole importanza per tutti i cittadini è l’opuscolo recentemente realizzato in collaborazione tra questura, Comune di Terni e Circoscrizioni. Illustra 10 semplici regole per difendersi da truffe o violenze. E’ dedicato particolarmente agli anziani, i più esposti rispetto a chi, cinicamente, approfitta del naturale calo di attenzione o della diminuita efficienza fisica. Anche in questo caso rilevante è stato il contributo della sezione ANPS di Terni sia per la sua realizzazione che per la diffusione presso gli anziani e la cittadinanza tutta. Altra iniziativa, particolarmente voluta dall’attuale questore dott. Luigi Savina, in collaborazione con Circoscrizione Colleluna, Comune di Terni e Sezione ANPS, vedrà la luce nel prossimo mese di gennaio. Si tratta del progetto Verde Sicuro in cui saranno impegnati i soci dell’ANPS in attività di vigilanza presso i parchi della circoscrizione stessa. Loro compito sarà quello di segnalare casi di illegalità e di disturbo per coloro che usufruiscono delle magnifiche aree di relax che si trovano nel nostro territorio. Come emerge da queste brevi note i campi di impegno dell’associazione sono vari e tutti di notevole importanza. Noi non possiamo far altro che ringraziare tutti i poliziotti in congedo ed augurare loro un buon lavoro.

Puntuale torna ogni anno ad allietare le case e le piazze in festa: è lui, l’Albero di Natale. Salve, Albero, eccoci di nuovo qui. No, io sono un altro, quello dell’anno scorso s’è seccato! Ah… come si presenterà quest’anno? Me riempiranno de palle....

..e de lucette che s’accennono e se spegneno…

…intermittenti, si dice intermittenti… E poi me butteranno da che parte…vuole proprio rovinarci la festa! …ma che se porta un albero dentro un appartamento!

Mi sembra di notare una vena polemica. Certo che poi me secco… e comprateve un pino de plastica. Ma lei è… un ecologista! Sai quanto campano i pini? Io ve seppellisco a tutti… Si calmi, le stanno cadendo tutte le palle! Tanto se so’ già Jena Plinsky rotte…

Albano Scalise

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E ducazione Il cibo che fa la festa

Sta entrando la stagione delle feste, delle celebrazioni tradizionali, non solo nei paesi di cultura cristiana, ma in tutto il mondo. Le usanze tipiche, i riti e le tradizioni che caratterizzano ognuna di queste feste da secoli e secoli si intrecciano tra loro e si influenzano a vicenda in tutti i loro aspetti, pagani e religiosi. Ecco allora che lo Yule dei paesi scandinavi, antica celebrazione del solstizio d’inverno, è oggi sovrapposta al Natale. Ecco che il paganissimo Santa Claus, in origine, non è altri che San Nicholas, prodigo monaco turco del 200, tuttora celebrato dalla chiesa ortodossa, bandito da quella protestante - che però lo riabilitò in seguito, vestito di rosso su slitta trainata da renne. Grande certezza in questa fusione e commistione di usanze, è il cibo, onnipresente leit motiv di tutte le feste invernali. Lo Hanouka ebraico, ad esempio, è una festività che coincide temporalmente col nostro Natale, pur avendo origine diversa e più antica, e prevede festeggiamenti con banchetti a base di agnello, pane, fritti e dolci di ogni tipo. Comunità africane in tutto il mondo celebrano a dicembre il Kwanzaa, la festa della famiglia unita, all’insegna della convivialità, intorno a tavole imbandite di ogni sorta di manicaretti. E poi il Natale, che vede

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succulenti carni e pesci farla da padroni: dal tacchino alla renna, dal maiale al salmone. Cibo dall’alto valore simbolico e rituale, in tutte le culture, abbondante e ricco. Persino nel lontano Giappone questo è periodo di festa: i tradizionali festeggiamenti per il Capodanno qui si sono integrati, dopo la Seconda Guerra Mondiale, con alcune usanze europee e americane. Il risultato sembra essere, per noi, spiazzante: i ragazzi si scambiano cartoline decorate con immagini di angeli, per le strade cori intonano Adeste Fideles o Stille Nacht e i bambini aspettano Santa Claus, in un paese di religione scintoista. E anche qui il cibo è un imperativo categorico per festeggiamenti riusciti: su tutti la Christmas Cake, torta decoratissima e coloratissima, vero affare per l’industria pasticcera, perché nessuno la cucina in casa, ma la si può solo acquistare nei negozi. Questo dolce, nonostante il nome inglese, è ormai entrato nelle tradizioni giapponesi tanto da aver originato un detto secondo cui, come la torta di Natale, la donna è gradita fino al 25, ma già al 26... è passata di moda - e di età! E se tutto ciò ci sembra strano, proviamo a pensare al Natale australiano: barbecue a base di gamberetti e per dessert gelati e sorbetti, in costume in riva al mare, sotto il sole Silvia Cicioni estivo.

al

C ibo

Il farro ovvero l’antico che veste i panni della modernità I nostri antenati Etruschi e Romani lo chiamavano speltim, e conoscevano talmente bene le sue virtù nutrizionali da metterlo sotto la protezione di Cerere, dea delle messi. Ritenuto il chicco della potenza fisica, non mancava mai nella bisaccia del legionario romano, pronto ad utilizzarlo sottoforma di focaccia azzima o di polenta con i climi più svariati e alle latitudini più estreme. Conosciuto allo stato selvatico fin dal Paleolitico, fu il cereale di base sia in Mesopotamia che in Egitto, successivamente diventati granai dell’Impero. Nella cultura greca e romana il pane è veramente un cibo simbolo, uno statuto ideologico prima che un alimento reale. Invece di pane dovremmo limitarci a dire, nella maggioranza dei casi, cereali. La maza d’orzo e la puls di farro, ambedue polente, rappresentano infatti la civiltà alimentare, il cibo nazionale dei greci e dei romani, gli uni mangiatori d’orzo, gli altri di polenta. In epoca più avanzata divenne la base per allestimenti gastronomici più nobili, quale la confarreatio. Nel diritto romano era così chiamata la cerimonia nuziale che consacrava il passaggio della donna nella famiglia del marito: era un rito solenne riservato alla gente patrizia e consisteva nell’offrire una focaccia di farro agli sposi. La coltivazione di questa specie cadde in disuso intorno al V secolo a.C. quando comparve nell’area del Mediterraneo una specie ibrida, il grano tenero e

duro che ha una resa maggiore. Tuttavia la sua coltivazione si protrasse fino al Medioevo fornendo alle classi popolari l’ingrediente base per la panificazione. Bisognava, a questo scopo, mescolare la sua farina a quella di frumento in quanto da sola, a causa del basso valore in glutine, lievita con difficoltà. Fortunatamente, dall’epoca romana, il farro è sopravvissuto nella cucina umbra. Oggi è coltivato nella zona di Monteleone di Spoleto. Tra le tante, la specie coltivata nei nostri altopiani è il triticum durum dicoccum dotato di spiga affusolata e compatta. Dopo la trebbiatura si presenta con il chicco ricoperto dalla pula. Necessita quindi, per il consumo alimentare, di un’operazione supplementare detta brillatura che si effettua con mola di pietra ad acqua. E’ l’unica qualità di farro che non produce farina bianca. La pianta, notevolmente rustica, viene coltivata fino ai 1200 metri di altitudine. Data la sua particolare resistenza alle inclemenze atmosferiche ed alle infestazioni parassitarie, non necessita di trattamenti

con fitofarmaci o diserbanti. Attualmente, in seguito all’accresciuto interesse per i prodotti biologici, la ricerca di alimenti sani e naturali ha portato alla riscoperta del farro nell’alimentazione, trattandosi di un alimento integrale nel vero senso della parola. Equilibrato in tutte le sue componenti nutrizionali, è altamente energetico, ricco di oligoelementi quali ferro, calcio, zinco, fosforo, magnesio e di vitamine del gruppo B. La carenza di amminoacidi essenziali, quali la lisina, ne consiglia l’uso in abbinamento con legumi e ortaggi. Dopo averlo tenuto a bagno dalle 12 alle 48 ore si cuoce in acqua per 20 minuti, si lascia riposare a fuoco spento per un po’ di tempo per dar modo ai chicchi di gonfiarsi. Potrete utilizzarlo per confezionare primi, secondi, contorni, piatti freddi, piatti unici e dolci. Volendo proprio provare, unite a freddo dadini di mozzarella, pomodorini, sale, un pizzico di origano e irrorate con olio di mola della Valnerina. Quando l’ingrediente antico si sposa con l’idea moderna di genuinità e leggerezza, il matrimonio è garantito. Albano Scalise


E ducazione S i

c e r c h i n o

L’Inno di Mameli, il nostro inno nazionale, ha sempre avuto sostenitori e detrattori. Non è tanto la musica, quanto le parole a infoltire la schiera di chi storce il naso. Eccetto la prima strofa e - aggiungo con qualche azzardo - la seconda, le restanti sono ostiche, ermetiche, ostili al punto da mettere alla prova la memoria di Pico della Mirandola per ricordarle correttamente. In particolari occasioni, campionati mondiali di calcio e olimpiadi, quando l’orgoglio della bandiera si fonde con le

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note dell’Inno, l’ignoranza degli atleti chiamati a cantarlo salta fuori con la devastazione di uno tsunami ed i media si sbizzarriscono in statistiche strampalate su quanti italiani siano in grado di conoscere il testo per intero. I connazionali più responsabili in quei periodi si danno da fare per ficcarselo in testa, a costo di masochismi celebrali inauditi, pur sapendo che l’autoflaggellazione mnemonica durerà lo spazio effimero di un giorno. La notizia secondo cui Blatter, Presidente della FIFA,

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Se la mamma degli imbecilli è sempre incinta, quella dei razzisti fa parti solo plurigemellari. La recente vicenda, che ha visto protagonista, anzi vittima, il difensore del Messina, Zoro, è sintomatica di un atteggiamento insulso meritevole della condanna dell’opinione pubblica, oltre che sportiva. L’offesa gratuita, la denigrazione e la discriminazione di un uomo, motivate dal colore della pelle, ci dicono che il cammino da percorrere verso il rispetto e l’equità fra gli uomini è ancora lungo. Non sono stati sufficienti gli esempi d’intolleranza che la storia ci ha proposto, e seguita a proporci, per radicare nelle coscienze e nelle teste il concetto di uguaglianza fra gli esseri della Terra. Il detto lupus homini lupus sottolinea l’ancestrale lotta alla sopravvivenza fra individui terrorizzati dalla diversità e dall’e-

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s t r a d e intende abolire gli inni nazionali per combattere il malcostume di subissarli di fischi da parte delle opposte tifoserie, potrebbe essere per noi italiani una specie di liberazione, vista la conflittualità fra obbligo e piacere che nasce ogni volta che ci accingiamo alla prova. Così, potrebbero pensarla anche gli spagnoli, che stanno messi peggio di noi, terrorizzati da un testo incomprensibile, astruso, irripetibile. Ma non è la soluzione. Per quanto ci riguarda, noi italiani siamo i più strenui difensori dei nostri difetti, Inno incluso, e li giustifichiamo fino a perderci nelle contorsioni di una logica che non c’è mai; eppure, riusciamo a coprirli di dignità, facendoli assurgere a simboli, a valori, Inno compreso. La proposta di Blatter è blasfema, oltre che svizzera. Il Presidente della FIFA cerchi altre strade per risolvere il problema dei fischi, altrimenti, per reazione, gli atleti italiani e spagnoli impareranno a GT cantare tutte le strofe.

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straneità al proprio gruppo di appartenenza. Atteggiamenti involuti che ostacolano, ancor oggi, il pur lento processo di crescita dell’umanità. E’ giusto che la società civile reagisca manifestando contrarietà al sistema barbaro di concepire i rapporti fra gli uomini secondo schemi di differenziazione, di cui il colore della pelle è, però, solo uno, perché più evidente. L’ostilità ideologica non ha limiti e spazia dalla religione alla politica, dagli interessi economici ai livelli di cultura, dall’appartenenza geografica al ruolo storico; tutti utili a distinguere, differenziare, difendere un’identità su scala territoriale o mondiale, messa a rischio dalla presenza degli altri. La decisione di ritardare l’inizio delle partite di calcio, come segno di protesta e di solidarietà nei confronti dei giocatori di

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colore presi a bersaglio, è apprezzabile e condivisibile, ma è solo un panno caldo nei confronti di un malessere diffuso e pericoloso. La soluzione sta nell’educare giovani ed adulti al rispetto della diversità, intesa nel senso più ampio; a comprendere che fratellanza è concetto diverso da tolleranza; a credere che la strada del progresso dell’Uomo deve essere percorsa insieme da tutti, perché a tutti appartiene il diritto ed il dovere di essere partecipi dell’evoluzione etica della specie. Educare al rispetto degli altri è compito della società, della scuola, della famiglia. La palestra per praticare gli insegnamenti è il contesto in cui si vive e l’esercizio sportivo è occasione per mettere alla prova la correttezza mentale di ciascuno di noi. Giocondo Talamonti

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Era buio, fa freddo, nessuno s’è accorto di niente... Forse qualcuno si è accorto di qualcosa, ma... forse... non pensava a fatti così gravi... - così si sente dire in riferimento alla donna violentata a Bologna, una delle tante, ormai. In uno stadio di calcio, però, tutti si accorgono di tutto... L’eventuale freddo non confonde certo l’udito, in particolare quello degli imbraghettati che sanno ben distinguere il fischietto dell’arbitro e sentono, molto bene, i cori e le urla della tifoseria. Allora, dov’erano quegli omuncoli quando alcuni dementi insultavano, dagli spalti, un loro compagno? Dov’erano i tanto focosi giocatori (oh, quanta virile ira se qualcuno li intacca leggermente, anche solo a un polpastrello) quando l’oltraggio alla vita stessa risuonava tra le pietre tombali dello stadio? E quelli che hanno convinto Zoro a rientrare, dov’erano, prima? Perché far nascere il sospetto che il loro intervento mirasse a non perdere la partita a tavolino? Perché non se ne sono andati via tutti, rifiutandosi di giocare finché quegli idioti non fossero scacciati, in un posto più consono alla loro incarnata lordura? Dov’erano i pii che diffondono urbi et orbi il segno della croce, all’inizio e alla fine della partita, per ringraziare un dio, che per loro è il dio dei soldi, delle palle, delle ginocchia, delle tibie?

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Ma dov’era il pubblico, dov’erano i giornalisti.... Questo rigurgito mefitico dura ormai da tempo e i predatori dello sport perduto non riescono a profferir altro, con facce da consumati ipocriti (ipocrita significa colui che giudica da sotto la maschera... teatrante... vile), che si tratta di cacche... o di iniziare le partite 5 minuti dopo! E’ una vita che non sanno né dire né fare altro! A loro interessa solo guadagnarci sopra, giocherellando come tifosi opposti. Siamo ormai a livello d’oroscopo: sei gemellino o pesciolino, cancretto o verginello? Tifi Inter o Juve, Milan o Lazio? E’ una sorta di status simbol, che ti fa andare in televisione a dire sciocchezze, a prender soldi, a intrattenere un pubblico sfibrato, a vendere, a prendere, a dar man forte all’inciviltà ormai dominante. Ma che gente siamo noi? Politici che al più hanno giocato, fino ad una giovinezza molto attardata, con le bambole, diventano esperti di calcio e tifosissimi di una squadra. Io ho giocato una vita al calcio, insieme a persone di tutte le versatilità umane, sociali, politiche.... se qualcuno, nel corso delle nostre partite, avesse offeso un giocatore, compagno od avversario, per il colore della pelle, avremmo seguitato a dar calci, ma su un altro oggetto... e per certo ci saremmo vergognati di essere dei white colored. Giampiero Raspetti

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C omunicazione Melissa P dal libro dello scandalo allo scandalo del film E’ un film banale e scontato, a volte direi quasi offensivo. È imbarazzante vedere come i produttori e i creativi abbiano una visione così bassa degli adolescenti: un popolo di consumatori, ricoperti di griffe dalla testa ai piedi, tutti muniti di cellulari da cui è impossibile staccarsi, inconsapevoli delle loro azioni, senza personalità. Parole di Melissa Panarello, in arte Melissa P, che com-

Tutto questo a scapito della personalità, dei pensieri della stessa Melissa, che si trova nel paradosso di ritrovarsi protagonista di un film a lei intitolato che non parla di lei. Fatto sta che Melissa sta anche pensando di ricorrere a vie legali contro la Sony. Se volete raccontare la vita di Melissa a modo vostro, fate pure. Ma che sia la vita di Melissa e non quella di Melissa P, cioè la mia.

Il primo articolo della costituzione non lascia scampo ad interpretazioni: la sovranità appartiene al popolo. Eppure le vecchie democrazie hanno sempre tradito un piccolo difetto: la mancanza di un mezzo di comunicazione capace di dar voce ad ogni singola unità del popolo. La sopracitata sovranità di tutti è stata perciò da sempre ridotta al diritto di votare qualcuno che puntualmente promette di rappresentare il volere della gente ma che quasi mai riesce nel proprio intento, troppo indaffarato ad arraffare privilegi personali. La storia insegna: questo esperimento è fallito. Non ci si può fidare di chi promette di dar voce agli altri a discapito della propria. Per poter perciò affermare il proprio diritto di sovranità, il popolo ha bisogno di una enorme piazza in cui tutti i cittadini possano ritrovarsi e dire la propria su ciò che ora sembra solo appannaggio del Berlusconi di turno. Fantascienza? Non più, il popolo ne prenda atto. Questa piazza esiste, ed è internet. Ecco un esempio concreto: Il World Urban Forum, il forum mondiale delle città che si terrà a Vancouver in giugno, ha invitato tutti i cittadini ad andare sul sito www.habitatjam.com per fornire importanti spunti, idee, proposte e soluzioni per risolvere problematiche legate alla vita nelle periferie degradate, al problema dell’accesso alle risorse idriche, alla sostenibilità dell’ambiente, alla sicurezza ed alla finanza. Ed ora che il mezzo tecnico esiste, provate ad immaginare l’apposita sezione del sito www.governo.it in cui potete far valere il vostro diritto di sovranità dicendo al Presidente del Consiglio cosa ne pensate dell’importantissima legge Cirielli o della devolution leghista. Il duca bianco diceva: non s’è mai visto sovrano che non decida direttamente riguardo alle proprie cose.

Massimo Colonna

Francesco Bassanelli

nonna confidente e non sono una ragazzina impacciata che vive come un alieno nel mondo. La risposta della casa di produzione è appeal cinematografico. Ma il libro di Melissa che fine ha fatto? Il film è stato di nuovo impacchettato ad arte, presentato sulla scia di un altro prodotto di grande successo, e che grazie proprio alla popolarità del romanzo ha raggiunto il successo commerciale desiderato. menta quasi con sdegno il recente film di Luca Guadagnino (Melissa P) tratto dal suo best-seller Cento colpi di puzzola prima di andare a dormire. Parole chiare, incisive, che lasciano un po’ l’amaro in bocca visto che a pronunciarle è proprio la diretta interessata. La denuncia dell’autrice è precisa e diretta. Il film - a sentire le parole di Melissa ha ben poco del suo libro, ed è stato rivisitato per dargli un appeal cinematografico maggiore. So che hanno cambiato il titolo – spiega la giovane autrice – ma ci tengo a sottolineare che è stato stravolto anche il personaggio e che con questo film non ho niente a che fare, anche se tutti lo associano a me. Posso fornire molti esempi delle incongruenze e di come è stato travisato il mio testo nella sceneggiatura. Mio padre è un venditore ambulante, mentre nel film diventa un ingegnere. Mia madre non vende abiti da sposa, io non ho nessuna

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La voce del popolo

Il dottor Panettone ovvero come mandar giù il TG delle feste

Vi siete mai chiesti come mai, sotto le festività, i telegiornali si popolano di esperti di diete che mettono in guardia dal colesterolo e dall’uvetta? Tempo fa, un giornalista aveva rivelato la ragione occulta di tali servizi. Comparire in un TG all’ora di punta, per uno specialista dietologo esperto di ingozzate natalizie e di rigurgiti postprandiali, è una grande pubblicità. Occulta, ovviamente, perché sotto il nome del dottore non compare la scritta, obbligatoria per legge, che avverte: messaggio promozionale, né spazio a pagamento, che sarebbe la più veritiera dal momento che i suddetti specialisti, per farsi intervistare quei 20 secondi, pagano fior di quattrini. Il fatto è che un TG non può vendere, al suo interno, uno spazio pubblicitario, non può pubblicizzare un prodotto, un servizio o una persona. Ma, fatta la legge trovato l’inganno, i TG si sono inventati il collegamento con l’esperto, il locale alla moda in cui girare immagini di repertorio da mandare in onda quando si parla di notte&divertimento, il ristorante chic mostrato quando si parla di alimentazione, il film in uscita nelle

sale… ed ecco confezionato un abile pacchetto di informazione e marchette. E pensare che solo cinque anni fa l’Ordine dei giornalisti multò Cristina Parodi perché aveva girato uno spot abusando della credibilità del suo ruolo: nello spot si vedeva lei, nello studio del TG5, mentre dava da giornalista la notizia che quel detersivo lava che è una meraviglia. E no, dissero tutti in coro, questo è uso scorretto dell’immagine del TG, lede la credibilità dell’informazione stessa. La Parodi fece subito retro marcia e i vari TG cominciarono a pensare come rimediare… non all’immagine lesa, ma alla vendita di spazi pubblicitari (per forza di cose occulti). Comunque, ricordatevi cosa dice il dottore del panettone: si può mangiare anche a colazione, non fa mica male. Nel suo studio medico non direbbe mai una cosa simile, ma nel TG cosa deve dire, a seguire c’è la marchetta ai panettoni profumatamente pagata! Scovare la vera informazione all’interno del frullato telegiornalistico è un po’ come mangiare il panettone scansando l’uvetta e i canditi. Francesco Patrizi


I regali di Natale

ANTIMAGO RASPUS

L’OROSCOPO DEL MESE 10 10 10 10 10 10 10 10 10 10

Il mese è sotto il segno del 10 L’oroscopo ha quindi valore decade per decade PRIMA DECADE Simbolo esoterico della scuola pitagorica è la SACRA TETRAKTYS origine e radice della natura ! eterna.

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La decade è somma di 1 + 2 + 3 + 4 ed assume il significato di simbolo cosmico (cosmos, ordine, cosmetica) in quanto somma e sintesi dei 4 ordinamenti: unità, linea, piano, solido. La Decade, dice Filolao, è grande, essa compie e realizza ogni cosa: principio e guida della vita, divina e celeste ed umana insieme…; senza di essa, tutto è indeterminato, misterioso, oscuro. Anche i corpi celesti mobili, che i Pitagorici distinguono dalle stelle fisse, dovranno essere dieci; e perciò Filolao aggiunge ai pianeti conosciuti, alla Terra, al Sole e alla Luna, un'ipotetica antiterra, che probabilmente doveva anche spiegare le eclissi, dando per centro a tutto il sistema, non la Terra, ma un supposto fuoco centrale, la divina Hestia. Se sei della decade sei una vera hestia! SECONDA DECADE Quella pitagorica dei contrari: limite illimitato dispari pari uno molteplice destro sinistro maschio femmina in quiete in moto dritto curvo luce tenebra bene male quadrato rettangolo. O sei l’uno o sei l’altro. TERZA DECADE

Quella del tuo ANTIMAGO libero servo moderato estremista solidale cazzisuista colto ignorante onesto mafioso militante complice meritocrate parassita integro corruttore creativo ripetitore lavoratore sfruttatore. Se sei l’altro non sei l’uno.... Se sei cultore di privilegi o vivi per difendere solo i tuoi interessi, o se, può accadere, la tua veemenza politica è del tutto viscerale, allora rimarrai sempre solo l’altro. COPPA TETA

Amici cari giubilate insieme a me, perché l’incipiente Natale regalerà a noi tutti le seguenti felici e salvifiche considerazioni: Berlusconi ha detto di essere tutto, operaio, imprenditore, contadino etc., ma non Babbo Natale. Ora, a parte il fatto che l’avevamo capito da soli, resta pur sempre da considerare che quello vero non verrà sostituito nel compito, per cui la possibilità di ricevere almeno un regalo piccolo piccolo (la casa ci verrà consegnata dal Cavaliere soltanto il prossimo anno e solo in caso di sua vittoria elettorale) è salva! Nel logo delle nostre coalizioni politiche, c’è stato il somaro, ma non il bue: la stalla di Betlemme è dunque salva! Prodi ha deciso di utilizzare tutti i mezzi di trasporto, autobus, bicicletta, treno e quant’altro, ma non la slitta: le renne tirano un respiro di sollievo, e anche noi... sono salve! Bossi è un po’ che non dice di averlo duro: visti i suoi movimentati interventi a 360 gradi, le fragili palle dell’albero di Natale ringraziano per lo scampato pericolo, e a ben vedere pure le nostre, sono tutte salve! Mastella continua a sgusciare come un’anguilla, ma solo nelle acque di Montecitorio: il capitone della Vigilia, il quale preferisce di gran lunga il pentolone alle fauci del peri-patetico camaleonte ceppalonico, è salvo! I Magi tornano anche quest’anno dalla Persia, per portare oro, argento, mirra e niente altro: almeno nel Presepe, lo stato di Israele è salvo! La coalizione di Centro-sinistra pensa di abbandonare il simbolo dell’Ulivo, ma non intende sostituirlo con una conifera: l’abete, lasciato indipendente, è salvo! Una nota politica, più bella che intelligente, ha detto di non voler fare regali al centrodestra: scampato ogni pericolo di concorrenza sleale per la Befana.. che è salva! Il senatore Dell’Utri si è dedicato alla riscoperta del libro usato: per cui a Natale possiamo ben regalare quelli nuovi, senza pericolo di ricevere informazioni di garanzia per concorso esterno, siamo salvi! Nei regali natalizi di Bertinotti, non ci sarà più il solito maglioncino di cachemire: gli ovini ringraziano belanti, sono salvi! Sandro Tomassini

L’ANGOLO

Ho letto da qualche parte che il cinema comico Hollywoodiano è in crisi. Ma stiamo scherzando?? Vi posso garantire che niente fu mai scritto di più falso! Siamo semplicemente di fronte alla più grande congiura pluto-massonicagiudaico-comunista ordita dalla mafia in collaborazione con l’Opus Dei per screditare gli americani, e farli passare ai nostri occhi come maniaci cocainomani affetti da megalomania pantagruelica. Chiameremo questa organizzazione di sovversivi Cucusettete. Il primo stadio di questo diabolico piano è terminato con la sottomissione di tutti i distributori cinematografici del nostro paese. Successivamente, a quest’ultimi, è stato ordinato di tagliare, ritoccare al computer e rimontare tutti i suddetti film comici in maniera da trasformarli in film drammatici che, contemporaneamente, rappresentassero un dramma per tutti gli spettatori. L’ultima fase è stata la sostituzione del titolo. Ed ecco per incanto che Totò e la Foster vanno in aereo a Viggiù diventa Piano di volo. Cercherò di vincere i conati di vergogna e proverò a raccontarvi parte della trama di questa mistificazione cinematografica. Maledetta sia la Cucusettete! Mentre cerca di catturare fulmini col naso di pinocchio della figlioletta, il marito della Foster cade dal tetto della sua abitazione.

del

GRANDANGOLO

Dato che la nostra eroina si trova a Berlino per motivi di lavoro (è una progettista di motori d’aereo), ritornando in America si ritrova un bagaglio in più: la bara con dentro il marito. Il momento dell’addio della bambina alla bara del padre crepa il cuore dello spettatore. Ella infatti sa che non rivedrà più il naso del suo pinocchio preferito rimasto intrappolato per sbaglio all’interno della funebre cassa. Al momento dell’imbarco l’interno dell’aereo è avvolto da una densa coltre di nebbia per cui nessuno del personale e dei passeggeri nota la bambina. L’aereo decolla, mamma e figlia si prendono la classica pasticchetta e si addormentano. Quando Jodi si risveglia la bambina non è più accanto a lei. Immediatamente si preoccupa. Noleggia un taxi, la cerca per tutto l’aereo, ma non la trova. Disperata si rivolge al personale, ma anche questi non cavano un ragno dal buco, e, dato che nessuno l’aveva notata, iniziano a mettere in dubbio la sua esistenza. Neanche le avessero detto cotica, Jodi si imbestialisce. Nota un freno d’emergenza e lo aziona, ma l’unica cosa che ottiene è l’inutile pulizia di un water. Ormai tutti la credono matta. L’intervento del detective dell’aereo: Adesso capisco perché suo marito si è suicidato è la goccia che fa traboccare il naso; è l’Armaggeddon. Rambo marcherebbe visita. Ogni anfratto, presa d’aria,

scarico del cesso, ripostiglio, tinello, interruttore, filo, molecola, atomo dell’aereo è il suo dominio. D’altronde tutti sanno che chi progetta i motori di un aereo deve conoscere a menadito con chi giocava a pipella il nonno del copilota quando era militare a Abilene. La situazione prende una brutta piega, quando dopo una brusca virata, Jodi viene catturata e condotta al cospetto del comandante che le comunica che nell’elenco delle prenotazioni non esiste nessuno che corrisponde al nome della figlia. E’ un incubo senza fine. Come finirà? Qualcuno spera in un missile sparato per sbaglio durante un’esercitazione militare. Ma non voglio togliervi il piacere di disgustarvi la pirotecnica fine. Pregevole la colonna sonora di Giuseppe Verdi “Sto in pensiero”. In ogni caso siate pronti a liberare il vaffanciullo di pascoliana memoria che è nascosto in tutti voi. Orlando Orlandella

LA PAGINA Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002 presso il Tribunale di Terni; Direzione e Redazione: Terni Via Carbonario 5, tel e fax 0744.59838; Tipografia: Umbriagraf - Terni A cura dell’Associazione Culturale Free Words

Direttore responsabile Direttori Vicedirettori Antiquitas Arti visive Comunicazione Diritto Disegni Educazione al cibo Educazione allo sport Grafica Salus Solidarietà Storia dell’Arte Vignette Marketing e Pubblicità Società Editrice

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S’intitola Ciò che ritorna quando s’affaccia l’alba (poesie dell’evidenza) l’ultima raccolta di poesie di Francesco Pullia pubblicata dalle edizioni del Rhegium Julii, premio letterario molto ambito assegnato al nostro stimato concittadino. Il premio è stato attribuito, tra l’altro, ad alcuni tra i maggiori poeti del nostro tempo, come Mario Luzi, Odisseo Elitis, Ghiannis Ritsos, Yves Bonnefoy. Si tratta di una sessantina di

La parola pasta deriva probabilmente da un termine greco che significa farina mista a liquido ed è un’impresa difficile attribuire a qualcuno la paternità di avere per primo mescolato grano polverizzato ad acqua, così da ottenerne un impasto per uso alimentare. Già Cicerone e Orazio, alcuni decenni prima di Cristo, sono ghiotti di làgana, una schiacciata di farina, senza lievito, cotta in acqua. Al plurale, il termine indicava strisce di pasta sottile fatte in farina ed acqua, alimento da cui derivano le nostre lasagne. Dal 200 dC, fino almeno all’anno mille, non abbiamo più notizie documentate. Si pensa che la pasta, intesa non già come composto generico, ma proprio come maccheroni, sia originaria della Sicilia: nella località di Trabìa, presso Palermo, si fabbricava un particolare cibo di farina in forma di fili, chiamato con il vocabolo arabo itriyah. Ed ancor oggi a Palermo si conoscono i vermicelli di Tria. Che siano anche gli spaghetti un’invenzione araba? Il fatto che in arabo

liriche, scritte negli ultimi due anni, profondamente segnate da vicende che hanno lasciato indelebile traccia nell’animo dell’autore. Chi già conosce il percorso letterario e filosofico di Pullia vi troverà temi in lui ricorrenti e in particolare la dilacerante tensione tra presenza e assenza che si manifesta all’interno di una onnicomprensiva e corale religiosità. C’è sì, dolore, ma nello stesso tempo si ravvisa un legame compassionevole che accomuna tutti gli esseri senzienti, non solo quindi gli uomini ma anche gli animali, e che si estende alle cose, alle pietre, ai paesaggi. I momenti di ripiegamento interiore, soprattutto quelli in cui ritorna l’immagine del padre scomparso o in cui alta si leva un’accorata preghiera, si accompagnano all’amore costante per Paola, compagna di vita, alla tenerezza per la madre, ormai anziana, e per gli adorati gatti, ad una

esistesse il termine per designare questo cibo in forma di fili ce lo lascia supporre, ma nessun documento ce lo conferma. Il termine maccheroni non ha un’etimologia precisa. Spesso usato inizialmente per designare paste variamente ripiene, sul modello dei nostri ravioli, troviamo poi il vocabolo macaronis impiegato per indicare piccoli gnocchetti di semola (1279), del tipo malloreddus sardi. Fino al Settecento esiste comunque una gran confusione; i tipi diversi di pasta vengono etichettati normalmente come maccheroni finché, i napoletani, divenuti mangia maccheroni, si appropriano del termine e lo usano quasi esclusivamente per identificare paste lunghe trafilate: ormai i maccheroni rientrano nell’alimentazione pressoché quotidiana del popolo, intesi come cibo semplice, povero, ma soprattutto nutriente e veloce. Intorno agli inizi dell’Ottocento le prime fotografie mostrano i maccheronari agli angoli delle strade intenti a cuocere in enormi pentoloni la vivanda e a servirla, appena cosparsa di formaggio grattugiato ed insaporita di pepe, ai viandanti che mangiano davanti al banco senz’altro ausilio

riflessione sulla caducità. La poesia, come scrive nella prefazione Stefano Mangione, è qui “recupero dell’innocenza, dell’infanzia, della mente e dell’anima libere da ombre e contaminazioni, ove l’alba si contraddistingue per la luce, per l’incessante flusso rigenerativo e anche per l’attenzione di una divinità che - se non sempre dispensa gioie e tace sulla storia, ove è presente lo stigma del dolore - talvolta risponde e (sempre) scandisce il ritmo della stessa vita, ed è presenza e ritorno, non eludibile necessità: Spogliato d’una fede no, non sarà mai/ il verso cui l’infanzia curva e scruta/ un dio che pago d’alba, ti risponde/ e tace sulla storia che non elude il pianto/ ed è cadenza, se vuoi, necessità/ e ritorno”. E’ questo il quindicesimo libro (e l’ottavo di liriche) di Francesco Pullia che ama alternare la propria produzione tra poesia, narrativa e saggistica filosofica ed è fermamente convinto della necessità, da parte di uno scrittore, di non sottrarsi ad un preciso impegno politico, civile. GR

che le mani. Da questo momento in poi i maccheroni intesi come pasta lunga, tonda e piena, cominceranno ad essere chiamati spaghetti e ad identificare non più soltanto i napoletani, ma tutto il popolo italiano. La messa a punto di tecniche che hanno consentito di creare condizioni artificiali ottimali per l’essiccamento, permette oggi lo sviluppo dell’industria pastificia praticamente in tutto il mondo. Il ciclo di lavorazione industriale delle paste alimentari è in genere costituito da 5 fasi: l’impastamento, che avviene mescolando la semola (75%) con acqua tiepida (25%); la gramolatura, fase in cui la pasta viene impastata fino ad acquistare la giusta consistenza e plasticità; la trafilatura, operazione durante la quale l’impasto omogeneo viene forzato a passare in trafile (dischi opportunamente forati) che determinano le varie forme e l’aspetto del prodotto. All’uscita della trafila si muove una lama che, ad intervalli regolari, taglia la pasta nella misura stabilita; l’essiccamento, che avviene a temperature ed in tempi variabili, in relazione al formato della pasta.

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E’ un’operazione fondamentale per la qualità del prodotto, che consiste nell’alternanza tra periodi di ventilazione con aria calda e periodi di riposo, allo scopo di far affiorare anche l’umidità interna. Si conclude con l’essiccamento finale, in cui la pasta rimane in ambienti ventilati con aria calda affinché il suo contenuto di umidità raggiunga il 12,5%, come

previsto dalla legge vigente; infine il confezionamento, operazione attraverso la quale la pasta viene confezionata in pacchi ed immessa nella distribuzione. Le paste alimentari contengono in prevalenza glucidi, rappresentati soprattutto dall’amido, e quindi sono un alimento essenzialmente energetico (100 grammi di pasta forniscono circa 350 calorie).

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