La tv è la politica
Scavare
Raffaela Trequattrini
Giampiero Raspetti Il medium è il messaggio. Per Marshall Mc Luahan, autore della notissima affermazione, il medium è ogni estensione di noi stessi. La clava ad esempio è l’estensione della forza del braccio, il canocchiale delle capacità visive. Anche la stampa di Gutenberg è un medium ed ha addirittura restituito all’uomo la categoria spazio: non ho più bisogno, per leggere quel libro, di recarmi presso gli amanuensi, ma lo trovo in libreria, a due passi da casa. E’ un po’ quello che fa la televisione: non devi recarti sull’Etna per vederne l’eruzione, né a Baghdad per vederne la distruzione. La tecnologia elettronica, che ogni giorno presenta nuovi incantamenti, restituisce all’uomo non solo la categoria spazio ma anche la categoria tempo: conosco o comunico all’istante, dalla mia scrivania.
Eh cari amici…, forse non ci avete pensato, ma questo mese costituisce l’ultimo periodo di relativa quiete, prima di una devastante tempesta: la campagna elettorale! In teoria non sarebbe affatto spiacevole accendere la televisione la sera ed assistere a qualche sano dibattito, perché la politica detta legge su moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana, quindi, i pareri di chi governa o di chi aspira a governare, non sono affatto irrilevanti per tutti noi. Il problema è che ormai i dibattiti politici, come d’altra parte i dibattiti su ogni altro tema importante, ben difficilmente esprimono qualcosa di significativo e tanto meno di nuovo. Quello che manca fondamentalmente è la capacità di sviscerare gli argomenti, di analizzarli in profondità, di metterne in luce
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N° 10 - Dicembre 2005 (30)
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Caro fratello detenuto
I missili ignoti sul cielo di Napoli
Don Augusto Fontana
Francesco Patrizi
Scusami se ti chiamo detenuto. Lo sei, ma sei ben di più: sei tutta la tua storia che ti ha portato qui accompagnato dal rancore di chi hai danneggiato o, se innocente, dalla tua impotente rabbia; sei tutto quello che avresti potuto o voluto essere; sei tutto quello che noi attendiamo che tu sia; sei tutto quello che mi hai fatto dignitosamente scorgere nei tuoi occhi umidi e nel tuo sguardo di sfida; sei come Dio o Allah ti hanno creato e ti sognano. Oltre tutto questo, sei anche detenuto. Praticamente un desaparecido dal video dei nostri talk show quotidiani, un senza storia. Ti chiamo fratello, ma mi accorgo che sto esagerando. Fratello è una parola abusata per acquietare i morsi della coscienza o superare gli abissi tra le nostre storie. Eppure oso chiamarti fratello, innanzitutto nella debolezza. Ascoltando la tua storia e le sue
Sta per chiudersi un’inchiesta. Un’inchiesta che ci riguarda tutti, ma di cui non abbiamo saputo nulla. È trapelata appena in qualche giornale due settimane fa e la tv non ne ha parlato. Nel cielo di Napoli, nel 2003, sono volati due missili; hanno sfiorato un aereo di linea ed un elicottero della Guardia di
Due recenti avvenimenti di cronaca, mi hanno spinto ad elaborare altrettante riflessioni che mi piace condividere con i lettori de La Pagina. La prima nasce dall’episodio delle sommosse parigine, ma è stata in special modo indotta dai commenti del Maitre à penser di turno (per una volta sovrapponibili a quelli di molti uomini della
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Violenza e potere Sandro Tomassini
Caro Gesù Bambino Non ho mai chiesto né chiederei mai niente per me e nemmeno per mia madre. Ti disturbo solo per il bene dei tuoi fratelli: fa’ che la più alta dignità statale sia quella umana; fa’ che gli impegni dei politici siano rivolti verso i malati, i poveri, i vecchi, i bambini, la scuola, la scienza, la cultura... poi... a gran distanza, il resto. Fa’ che quelli che parlano in Tuo Nome non si contaminino con pratiche temporali, sconvolgendo così il Tuo Verbo e recando ferita gravissima al Cristianesimo. Fa’ che la coscienza dei politici sia pulita non perché mai usata. Fa’ che interessi e faccende personali non corrompano il Parlamento, punto di riferimento dei tanti cittadini tuoi fratelli, diversi od uguali, smarriti o sulla giusta via, ai quali tu mai scagliasti anatemi, ma che amasti indistintamente. Grazie Gesù Bambino. GR
Noi, gli schiavi
Un racconto di Natale
Vincenzo Policreti
Michele Di Lando
Il linguaggio verbale ha alcune caratteristiche che impegnano il cervello in modo preciso: dato che la parola, anche scritta, è simbolica e lineare, essa impegna la mente in una continua analisi e decodificazione dei suoni o delle lettere che si succedono in un ordine determinato, che trasforma in parole prima, in concetti poi,
Per i bambini, Babbo Natale, è l’anziano barbuto signore che vestito di rosso distribuisce doni la notte magica. Da grandi, invece, è il pretesto con cui si esprimono i propri desideri con l’adulta consapevolezza che dovrà essere qualcun altro ad esaudirli. E allora… Caro Babbo Natale, la mia città ha bisogno di te!
Siedi! Spostò appena la sedia e lei ci si ripose, ancora tremante, lo sguardo chino. Ivan prese il panettone comprato in offerta al discount e una bottiglia da un euro, dolciastra e troppo frizzante. Schiumante. Lo conosci? Roba da signori. Lei alzò appena gli occhi come per sbirciare: occhi bianchissimi, isole lattiginose che galleggiano nel nero del suo viso senza luce. Lo schiumante: e chi lo aveva visto mai? Le mani callose di lui armeggiavano sul collo della bottiglia. La stagnola se ne andò con un fruscio, la retìna di metallo contorto fece poca resistenza. Le sue mani da muratore cottimista strinsero il tappo con troppa brutalità. Pum! Uno sbuffo di schiuma biancastra colò sul tavolino. Silenzio: poi Ivan scoppiò in una fragorosa risata, che spalancò i suoi denti marci e il suo molare d’argento. Anche lei rise appena: non avrebbe dovuto, forse non avrebbe voluto, ma lo fece. Era ancora capace di un sorriso, dopo tutto,
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Caro Babbo Natale... Alessia Melasecche