La pagina dicembre 2006

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Babbo Natale precario

Il PIL e l’ansia

Fr a nces co Patr izi

Vi n c e n z o P o l i c r e t i

Da qualche anno a questa parte Babbo Natale non se la passa troppo bene. Economicamente parlando, è entrato a far parte del mondo del precariato, quello che è sceso in piazza il mese scorso per lanciare un allarme sul futuro incerto delle nuove e attuali (e prossime) generazioni. Da quello che possiamo dedurre, Babbo Natale deve avere un contratto di co.co.pro., ovvero è un collaboratore a progetto, viene assunto solo in un determinato periodo di tempo per svolgere la mansione che tutti noi conosciamo. Il suo lavoro finisce quando porta a termine il progetto, cioè

Tragedia, se il Prodotto interno lordo non dovesse aumentare! Ogni stima economica parte da questo assioma e quando la crescita è, non si dice zero, ma inferiore al 2%, tutti gli economisti vedono nero (e talvolta, vedendolo, lo producono). Io sono uno psicologo e non un economista; è pertanto del tutto naturale che non capisca perché, se un Paese sta bene, sia tanto assiomatico che debba stare ancora meglio. Non parlo qui dei Paesi poveri; ma se i cittadini di un Paese ricco hanno tutto ciò che serve, quale impellenza li deve costringere ad avere di più? Invece è pacifico che in economia debba essere così e segue a pag. 4

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PAESAGGIO: tradimento della costituzione?

Il bullismo tra allarmismo e omertà

G i a nf r anco M addoli

Maurizio Bechi Gabrielli

Chi viaggia in treno o in auto fra Terni e Perugia e oltre, e volge lo sguardo intorno a sé, non può sottrarsi in molti tratti all’impressione sgradevole che nasce dal contrasto fra l’armonia generale di un paesaggio globale e la volgare qualità di un edificato recente che per lo più ha fatto violenza a quel paesaggio da sempre offerto dalla natura e integrato da una

Gli atti di bullismo, portati alla ribalta da recenti fatti di cronaca, non sono nuovi nello scenario dei comportamenti antisociali in Italia. Il termine, nato negli anni ’70 in Scandinavia per descrivere questo particolare fenomeno, è stato importato in Italia negli anni ’90, quasi vent’anni fa! Il fatto è che prima questi eventi non sono stati presi nella

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Note a margine del delirio dell’efficacia

Viva la satira Claudia Mantilacci

N° 10 - Dicembre 2006 (40)

Ra ff aele Feder ici Gli sforzi di alcuni economisti per sostenere la neutralità etica della moneta in considerazione della sua funzionalità non sembrano ingannare gli attori sociali, sempre più in grado di percepire una vita in una società sotto assedio (Bauman), in cui chi ha drammaticamente più bisogno di denaro sembra percepire che

È di qualche giorno fa la polemica, scatenata dall’Avvenire, organo della Conferenza episcopale, tra il mondo cattolico ed alcuni personaggi televisivi che fanno della satira il loro massimo ingegno; il quotidiano, infatti, ha pesantemente condannato le battute di Luciana Littizzetto e Fabio Fazio sul Cardinale Eminence Ruini e le imitazioni del Papa

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NATALE: Santi e Coca Cola Lorella Giulivi

Il business degli inceneritori B ep p e Gr i l l o Non potevo far passare inosservata l’iniziativa degli Amici di Beppe Grillo, che hanno lanciato l’idea della Giornata Nazionale contro gli inceneritori (Sabato 2 Dicembre). Parliamo di inceneritori. Respiriamo veleni. Costruiamo fabbriche di veleni. Seppelliamo rifiuti tossici in mezza Italia. Trasformiamo le città in parcheggi e l’aria in ossido di segue a pag. 4

Le mura di Roma e il traffico di Baghdad Francesco Borzini

Natale. Dies natalis: giorno che l’antica Roma dedicava al sol invictus, tra banchetti e scambi di doni. Giorno della nascita di Gesù, per i Cristiani. Tempo di sospensione. Di pace. D’amore. Di santi proditoriamente sconsacrati e Coca Cola. Viveva un tempo, circa 1700 anni fa, in Licia, vicino alle coste dell’attuale Turchia, un

E’ vicino il giorno in cui gli eserciti dell’Islam distruggeranno le mura di Roma. Con queste roboanti parole veniva chiosato un comunicato farneticante di non so quale fantomatico movimento islamista (vero o farlocco: chi lo può dire?), che minacciava la malvagia capitale dei crociati. Ne è seguita la consueta allerta delle forze di polizia, mentre

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Chi è Gesù? Gi a m p i e r o R a s p e t t i

La Pagina... senza frontiere Alessia Melasecche

Sguardo fisso, inanime. Fa molto freddo, di mattina: Danilo riavvolge la sciarpa al collo, gesto abituale, ma non serve. Il freddo è dentro: lama di ghiaccio. Il suo uomo, l’unica persona per cui desiderava vivere, l’ha lasciato. Per chi e in chi sentire la vita, adesso?

Esprimere su un mensile giovane e aperto come La Pagina, rivolto a tutta l’Umbria e non solo, le proprie opinioni ed i propri valori di riferimento, consente di confrontarsi con un gruppo vivace ed attento ai mille fenomeni che la società di oggi esprime, pur nella diversità spesso profonda di esperienze e culture,

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C h i

G e s ù ? PAESAGGIO: tradimento della costituzione?

è

La punta del cuore è gelida, la mente piatta. Dolore e solitudine, umana sofferenza. Sguardo penetrante, pungente. Calda la stanza, fisso il pensiero: quanto male nelle terre! Il suo tenace impegno aiuterà l’uomo a redimersi! Non si può essere buoni se si va contro natura, questo è certo! La bontà che sgorga pura dal suo cuore, la sentita misericordia per la brava gente timorata di Dio, lo sosterranno nell’ardua missione: combattere il diverso, in particolare quello che ama il suo stesso sesso. Sguardo spaurito, struggente: anche stasera non riuscirà a donare calore ai suoi bambini: il tugurio è umido, freddo; da mangiare non ce n’è;

la loro terra è lontana. Sguardo fiero, indomito. La civiltà, la civiltà dei nostri padri: Dio è con noi! Dobbiamo difendere la nostra civiltà, tutti quelli che hanno tradizione comune, che sentono come inviolabili le sperimentate certezze. Ordine, ristabilire l’ordine! Sguardo sottomesso, smarrito. Chissà se mi riconoscerà? Se appena appena mi sfiora con lo sguardo lo saluto: forse riesco a scambiare due parole, chi può saperlo? Forse ha tanta voglia di parlare anche lui. Potremmo cenare insieme... ... forse... No, non lo ha visto proprio... anche stasera torna a casa solo, a parlare, come sempre, soltanto con se stesso. Sguardo innocente, luminoso. Il Suo Signore non lo ha mai abbandonato né lui abbandonerebbe mai il suo Signore. Ho solo te mio Dio, ma Tu sei il mio Tutto. Senza sguardo i derelitti, gli abbandonati, i soli, i depressi, i diversi: cuori che soffrono e non cessano mai di soffrire. Chi, tra questi è Gesù? Felice Natale. G. Raspetti

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lenta, secolare stratificazione umana. La seconda metà del Novecento, e gli ultimi decenni in particolare, hanno segnato negativamente quasi ovunque, al di qua delle Alpi, l’equilibrio dello sviluppo urbano e ambientale in genere: fattori sociali, economici, tecnologici ma anche, alla base, culturali in senso negativo - cioè di grande debolezza e insufficienza - hanno fatto irruzione nelle dinamiche dello sviluppo sovrastando o inquinando le capacità di governo di un fenomeno complesso e per molti aspetti inevitabile: fenomeno risultato particolarmente distruttivo in alcune parti d’Italia e riscontrabile, sia pur in misura più contenuta, anche in Umbria. Espansioni urbane e aree industriali non adeguatamente pianificate e controllate, valore economico - anche nella sua forma più deteriore di speculazione - posto a guida di tutto, insieme a giustificazioni demagogiche e interessi localistici, hanno lasciato troppo spesso campo aperto a cattivo gusto e assenza di qualità, là dove una maggiore attenzione preventiva avrebbe potuto evitare, senza particolare aumento dei costi, la disseminazione di tante brutture per lo più ormai irreversibili. Oggi, ad esempio, tutti ammirano Assisi e la splendida cornice paesaggistica che, entro precisi limiti, la cinge e ne fanno strumento di attrattiva per il turismo, che sempre più appare, ed è, una delle poche risorse sicure per lo sviluppo della nostra regione; ma pochi sanno o vogliono ricordare che quello sprazzo di bellezza (uso questo termine senza nostalgie o inflessioni romantiche) è dovuto a un vincolo posto a suo tempo dallo Stato in base alla legge 1497/39 a tutela di un patrimonio storico-ambientale ritenuto, giustamente, eccezionale. Ma è necessario oggi chiederci: è solo Assisi, per restare in Umbria, da ritenere patrimonio storico-ambientale di carattere eccezionale? Ed è solo il vincolo - strumento difficile e spesso discutibile da applicare - il mezzo per salvaguardare il paesaggio? Per tutto il resto del nostro territorio, che costituisce un’eredità così ricca di valore, dove cade il giusto equilibrio fra le esigenze contrapposte di trasformazione e di conservazione? Nel 2000 è stata firmata a Firenze la Convenzione Europea sul Paesaggio, che, pur non priva di contraddizioni, riconosce l’insieme del territorio come bene collettivo da tutelare: ma resta il problema dei tanti soggetti coinvolti, di chi debba e possa conciliare le tante politiche di settore che incidono sul paesaggio stesso. La consapevolezza del valore del paesaggio per fortuna cresce, sia pure ancora limitatamente a determinati ambienti e livelli; le voci a sua difesa

sono ancora rare e poco ascoltate, anche se qualificate. Eppure il clima sta cambiando, come si è visto nel recente caso del borgo medioevale di Monticchiello aggredito da un ecomostro approvato dal Comune di Pienza, contro il quale è intervenuto direttamente il Ministro per i Beni Culturali Rutelli (sia lode a lui!) anche se l’esito del gravissimo caso, rimbalzato sulla stampa nazionale (vedi ad es. La Repubblica del 27 ottobre scorso) e purtroppo non isolato, resta tuttora incerto. Ma di casi come quello di Monticchiello - basta guardarsi intorno - l’Italia è piena e anche l’Umbria non ne è esente. Quello che Alberto Asor Rosa ha definito il vampirismo della speculazione immobiliare attuale è sotto gli occhi di tutti grazie alla disattenzione (chiamiamola benevolmente così) di tanti amministratori, poveri se non altro di sensibilità culturale. L’articolo 9 della nostra Costituzione repubblicana (La

Repubblica... tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione) ha conosciuto in questi anni tanti, troppi tradimenti! L’Italia è da questo punto di vista malata, e l’Umbria, pur se non gravissima, deve stare molto attenta alla propria salute, almeno per il futuro. Purtroppo la gran parte dei danni arrecati non è più sanabile ma ancora sussistono per fortuna da noi territori, ambienti, paesaggi che conservano abbastanza intatto l’equilibrio ereditato: che i politici e chi li vota - siano consapevoli della loro responsabilità! G. Maddoli Dipartimento di Scienze Storiche Università di Perugia già Assessore Regionale ai Beni Culturali e al Turismo

Saremo molto attenti alle problematiche della difesa di ambiente, territorio e paesaggio, e saremo lieti di ospitare segnalazioni e dibattiti fra lettori.


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Il PIL e l’ansia

le voci dissenzienti (che pure esistono) non s’ascoltano. Se tuttavia da un punto di vista economico la cosa è discutibile, da quello psicologico non lo è affatto: la società del benessere rischia infatti di rivelarsi una delle peggiori catastrofi che abbiano colpito l’umanità. E per piacere smettiamola di riempirci la bocca con i soliti luoghi comuni: si faticava di più, c’era meno tempo libero, si viveva peggio. Tanto per cominciare, si lavorava di più ad ogni singolo lavoro; è vero. Ma il lavoro era uno e il lavoratore non aveva l’obbligo di farne altri due o tre per potersi permettere tutte quelle cose che costano, ma si devono comprare per far crescere il Pil; né quello di correre qua e là in cerca di divertimenti (a pagamento) sempre più deludenti. La tanta fatica fisica che s’è risparmiata è andata investita in stress, ansia, depressione e rabbia; e tale investimento ha fruttato interessi usurari in termini di malessere. Il tempo libero dal lavoro era in molti casi quasi inesistente, è vero. Ma di quel poco che c’era il soggetto era davvero padrone; esistevano le lunghe serate d’inverno in cui ci si annoiava forse, ma non si doveva correre qua e là, né affannarsi a rincorrere i mille incombenti che la società, preoccupata di farci vivere sempre meglio, ci scarica addosso facendoci vivere sempre peggio. Né ci si doveva preoccupare dei mille divieti, sovente assurdi e fatti per trasformare in suddito il cittadino. E infine: ma siamo sicuri che vivere con minori disponibilità economiche equivalga a vivere

peggio? Siamo sicuri che poter ossessivamente comprare e cambiare beni materiali sia la ricetta del benessere? Siamo sicuri che un uomo con computer, cellulare, fuoristrada, barca, seconda e terza casa (mare e monti, si sa) vestiti griffati, accessori firmati e stereo capace di rompere i bronzi a 30 km di distanza, sia per questo una persona serena, realizzata, che la sera tira un bello sbadiglio e se ne va a dormire contento di sé e del mondo? Io ho un ricordo preciso: quando ero bambino, nell’Italia povera (ma dignitosa) degli anni ‘40, operai e domestiche cantavano sul lavoro, impastando il cemento o pulendo i pavimenti. Come mai oggi si sente tanta riproduzione meccanica di musica per lo più violenta e nessuno che canta? Se la causa del degrado di Napoli è la miseria, come mai sessant’anni fa, quando di soldi ne aveva meno un benestante di allora che un povero di oggi (i veri ricchi sono sempre fuori dalle statistiche), i bambini potevano circolare da soli, gli anziani non si scippavano e a nessuno sarebbe passato per il capo di dover mandare l’esercito per tenere tranquilla una metropoli in cui clima e ambiente sembrano fatti apposta per stare d’incanto? La sappiamo la differenza tra povertà e miseria? Sarà davvero una combinazione che una delle città in cui storicamente i singoli cittadini erano più spensierati e liberi sia oggi quella con maggiori problemi? Che la violenza nasce dalla frustrazione ce lo ricordiamo o no? E poi: che fine ha fatto il nostro tempo? Quando può l’uomo stare in silenzio, a pensare o anche solamente (non tutti sono filosofi) in pace, a riposare? La ricerca del benessere rischia di essere una delle principali cause del malessere. Né finora si vede alcuna controtendenza ad un simile stato di cose. V. Policreti

BUSINESS

carbonio. Chi inquina ti toglie la vita. Quanta? Non si sa. Di certo una modica quantità. Perchè lo fa? E’ sotto controllo. Non può reagire. I media lo tengono sotto ipnosi. Nella classifica mondiale le prime industrie sono il petrolio e le auto. L’opinione pubblica è creata da queste aziende. Dalla loro ideologia: il profitto. Gli italiani vogliono il loro posto al sole per le fabbriche di veleni. All’italiana. Non paga chi inquina, ma chi viene inquinato. E’ il business degli inceneritori. Commesse pubbliche, veleni privati. L’inceneritore non è una soluzione ai rifiuti. E’ una scorciatoia che trasforma l’organismo umano in rifiuto. I nostri dipendenti politici amano gli inceneritori. Ne vogliono uno per città. Porta lavoro, lavoro, lavoro. La grande mistica del lavoro della sinistra. La grande mistica del profitto della destra. Una mistica bipartisan. Gli inceneritori ci avvelenano. La Regione Veneto e l’Istituto Oncologico Veneto con il Registro dei Tumori del Veneto, il Comune e la Provincia di Venezia hanno pubblicato uno studio: Rischio di sarcoma in rapporto all’esposizione ambientale a diossine emesse dagli inceneritori. Le conclusioni: - La Provincia di Venezia ha subìto un massiccio inquinamento atmosferico da sostanze diossino-simili rilasciate dagli inceneritori... - Nella popolazione esaminata risulta un significativo eccesso di rischio di sarcoma correlato sia alla durata che all’intensità dell’esposizione... - Gli inceneritori con più alto livello di emissioni in atmosfera sono stati quelli che bruciavano rifiuti urbani... Chi costruisce inceneritori causa tumori. Va informato sui fatti e poi accompagnato alla porta o, se proprio insiste, rigassificato. Un saluto e un augurio di Buone Feste al direttore del Mensile La Pagina, che ancora riesce a sopportare quegli sbarbatelli irrequieti degli Amici di Beppe Grillo di Terni. Buon Anno!

C aro Beppe,

ti ringrazio profondamente per la tua alta tensione ideale e morale e ti invio, oltre a sinceri auguri, un affettuoso e sentito abbraccio. Giampiero Raspetti

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Babbo Natale p r e c a r i o

la notte del 25 dicembre, e chissà se l’anno prossimo verrà riconfermato. La slitta, il sacco e il vestito rosso sono in dotazione, ma la cibaria per le renne, la discesa per i camini e gli eventuali malanni sono a suo carico. Il nostro gagliardo co.co.pro. però hai suoi bei vantaggi, ad esempio può amministrarsi il lavoro come vuole, non ha l’obbligo dell’orario in ufficio, non ha rapporti di subordinazione. Ma non ha neanche garanzie sul futuro e non ha diritto a ferie e malattia. Cosa ci porterà sotto l’albero questo povero vecchietto vestito di rosso che non vedrà mai la pensione? Porterà giocattoli ai bimbi bravi e carbone a quelli cattivi. E alla nuova generazione di precari che chiede un contratto di lavoro a tempo indeterminato, porta le promesse del governo di regolarizzare i lavoratori atipici. Ai co.co.co., ovvero i collaboratori coordinati, precari e senza futuro certo, porta un sacco di pazienza. Il co.co.co. può avere le chiavi dell’ufficio, libertà d’orario e può concordare le modalità per lo svolgimento del lavoro. Non sempre però è così, se lavori in un call center o in un grande magazzino, sei organizzato con i turni, il superiore ti controlla ogni istante e non ti puoi alzare per bere un caffè, questa famigerata collaborazione viene meno. Ma a questi co.co.co. sfortunati e vessati, Babbo Natale finalmente ha portato il coraggio di scendere in piazza.

Caro Babbo Natale, abbiamo sperimentato questi contratti di lavoro atipici, adesso però è il momento di fermarci e tirare le somme: cosa hanno portato? Nelle intenzioni, il datore di lavoro aveva tutta la libertà di mettere alla prova un giovane per poi assumerlo se era in gamba. Ma così poi non è stato, troppo spesso i contratti atipici si susseguono l’uno dietro l’altro e il giovane rischia di diventarci vecchio. C’è anche chi ci specula, come le cooperative che hanno preso in appalto alcuni servizi del Policlinico di Roma, forniscono precari all’azienda e non vogliono che si bandisca un concorso per assumerli! E poi, guardiamo alla salute mentale del precario, rischia di crescere con una mentalità distorta: ha una buona preparazione e poi si accontenta di stipendi micragnosi, non ha il coraggio di mettere su famiglia e, fino al mese scorso, neanche di coalizzarsi e protestare… suvvia, siamo un paese con un'alta percentuale di laureati e un laureato, se trova lavoro a 300 euro al mese, fa salti di gioia. Ma allora non gli conveniva smettere di studiare e andare a lavorare a sedici anni?! Scendiamo in piazza, ma questa volta per Babbo Natale: il prossimo anno vogliamo vederlo con un contratto a tempo indeterminato, mentre cammina sicuro sui tetti e si cala senza ansia del futuro per le canne fumarie. E soprattutto, dopo aver svolto il lavoro natalizio, che se ne vada tranquillo alle Maldive a godersi le ferie retribuite. F. Patrizi


Il b u l l i s m o t r a allarmismo e omertà La Pagina... senza frontiere

giusta considerazione, ma trattati con atteggiamenti sostanzialmente negativistici: dalla svalutazione (sono ragazzate...), all’omertà (no, qui da noi non succede...), addirittura all’enfasi (servono a formare il carattere). Adesso, portato alla ribalta da fatti di cronaca sempre più frequenti e gravi, per un costume tipicamente italiano, il concetto si è esteso a tutto ciò che riguarda i comportamenti antisociali giovanili, facendo, per così dire, di tutta l’erba un fascio. Il che rappresenta un elemento negativo, in quanto differenziare i fenomeni serve a capirne le condizioni di insorgenza, le caratteristiche dei protagonisti e, infine, le modalità di contrasto e, se possibile, di prevenzione. Il bullismo è un’azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare; è persistente ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittima (Sharp e Smith, 1995). Scatta senza bisogno di un comportamento altrui che lo attiva ed è caratterizzato sostanzialmente da tre elementi: [1] si tratta di un’azione perpetrata da un giovane nei confronti di un suo coetaneo, [2] i comportamenti sono dettati da una chiara intenzionalità e [3] sono ripetuti nel tempo. I comportamenti bullistici possono consistere in aggressioni fisiche dirette o ad appropriazioni o danneggiamenti di cose, di effetti personali altrui, oppure consistono in derisioni, insulti, prese in giro; in ultimo si possono avere anche forme indirette quali pettegolezzi o esclusioni. Le caratteristiche del bullo sono strutturali, almeno quelle del cosiddetto bullo dominante. Il bullo, cioè, ha una forte personalità, per niente ansiosa e

insicura, caratterizzata da un modello reattivo aggressivo, tenuto in piedi dal rinforzo positivo dato dal raggiungimento dei propri obiettivi e appreso in contesti dove tale comportamento è la regola. Più insicuro ed ansioso è semmai il cosiddetto bullo gregario, che per questo si nasconde dietro al leader dominante per trovare, in questo modo, vantaggi e popolarità nel gruppo. Quello del bullo è un ruolo prevalentemente maschile, ma le ragazze sono in rapido recupero. La vittima è il destinatario dei comportamenti del bullo. Di solito è una persona mite e sensibile, caratterizzata però anche da una notevole insicurezza e da una bassa autostima, con un modello reattivo ansioso e sottomesso, che viene rinforzato positivamente dalle conseguenze di comportamenti sopraffattori e che porta il soggetto addirittura ad accollarsi la responsabilità degli atti subiti, con un conseguente rilevante senso di colpa. Ma l’attenzione di queste righe, fatto il necessario inquadramento del fenomeno, vuole soffermarsi su chi lo mantiene in piedi: gli spettatori. Il bullismo, infatti, per rimanere attivo, si appoggia sulle reazioni del gruppo degli osservatori che incitano, ridono, si disinteressano (sì, anche loro sono presenti e quindi complici). La complicità verso le azioni bullistiche non è solo attiva, ma anche di tipo passivo. È difficile pensare ragionevolmente che la vittima, da sola, possa trovare il coraggio di denunciare l’episodio e addirittura l’autore (anche se non bisogna rinunciare a cercare di favorire questo comportamento). È più facile richiedere a chi ne sta fuori, a chi è di più (i molti che osservano e che non condividono) di fare un atto di coraggio collettivo e denunciare gli episodi. Il bullismo, infatti, diversamente da altri comportamenti antisociali, si manifesta in ambienti e situazioni dove per gli adulti è difficile intervenire direttamente, per cui il ruolo dei coetanei diventa fondamentale. La difficoltà sta nel fatto che il bullo raccoglie le proiezioni aggressive degli spettatori, che attraverso la sua azione scaricano la propria aggressività su un qualsiasi capro espiatorio. All’opposto la vittima viene psicologicamente deumanizzata, vista cioè come altro da sé e su di lei proiettate le proprie insicu-

rezze: questo rende possibile la condivisione virtuale dell’atto bullistico. L’antidoto più forte al bullismo è l’educazione alla convivenza e alla solidarietà, verso la vittima e verso il suo diritto (che è poi il diritto di tutti) ad avere rispettata la sua dignità, a non essere umiliata: va affermato con chiarezza che la regola aurea del mondo giovanile secondo la quale denunciare qualcuno è fare la spia non vale per il bullismo; non denunciare gli episodi di bullismo non vuol dire non fare la spia, vuol dire essere omertosi, come i complici della mafia. Ma le difficoltà maggiori stanno fuori dal fenomeno in esame. Il bullismo e i bulli godono sostanzialmente di quella impunità di cui molti adulti godono nella società. I modelli culturali vincenti sono rappresentati oggi da soggetti che non hanno alcuna competenza intellettuale e meno ancora di tipo emozionale; la furbizia e l’arroganza sono considerati dai giovani i mezzi migliori per farsi strada ed avere successo nella vita. Come mai tutto ciò? Chi glielo ha insegnato? Chi non gli ha dato l’esempio o non gli ha fatto capire che non è così? Chi finisce sui giornali per meriti diversi, per un gesto di solidarietà, di generosità, di altruismo? Forse questi gesti non li fa più nessuno o forse i giornali e le tv, troppo piene delle notizie di scandali che tanto fanno audience, non hanno spazio per parlare di melense storie da Libro Cuore. Forse coloro che dovrebbero dare ai giovani immagini di coetanei diversi sono i primi a dare peso alla cronaca nera e indirettamente pubblicità al bullo. Forse gli adulti sono i primi a far capire ai propri figli che solo con gesti clamorosi (meglio se aggressivi) ci si può difendere da meccanismi sociali ed economici sempre più forti. Gli adulti. E i giovani. Il bullo e la vittima non sono figli di famiglie solide e per bene, come le nostre, certo è tranquillizzante pensarlo. Ma… chi sono i genitori degli spettatori, di quelli che non compiono atti di bullismo, che si limitano (per così dire) ad incitare dall’esterno, a riderci sopra o a girarsi dall’altra parte? M. Bechi Gabrielli m.bechigabrielli@fastwebnet.it

L I M O Molti lettori si informano in merito ad un pupazzo, presente, a volte, sulle nostre pagine, ora non più. Vorrebbero sapere tutto sulle sue epiche gesta. Il pupazzo trova complicità ormai solo con gente della sua risma; con noi è assolutamente impossibile poiché il suo comportamento è stato così subdolo, vile e cinico che il disgusto derivante non ci consente di renderne conto durante le feste natalizie. Ma... tempo al tempo! I vedovi allegri della redazione

e fornisce spesso anche ritorni di estremo interesse, aprendo così un dialogo con gli interlocutori più diversi. Nella società odierna la vita convulsa di ogni giorno, gli impegni sempre più numerosi, spesso una politica praticata che non ama ingerenze in libertà, non favoriscono la discussione ed il confronto. E’ quindi meritorio e quanto mai interessante poter dialogare, anche se a distanza, con i lettori più disparati ed avere feedback e riscontri frequenti. Faccio cenno a tre casi molto diversi fra di loro, ma particolarmente significativi, nati da contatti instaurati via e-mail a seguito della pubblicazione di alcuni miei articoli. I l primo è stato quello di Saifullah, un ragazzo afgano che mi ha scritto a seguito della pubblicazione dell’articolo Libertà formale, libertà sostanziale. E’ uno studente che ha frequentato lo scorso inverno un corso di italiano presso l’Università per Stranieri di Perugia, mentre in Afganistan, dove è già rientrato, si sta per laureare presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Kabul. E’ interessato ad approfondire il tema della libertà, convinto più di noi che ovunque ci sia il rischio di regime occorra vigilare e mai abbassare la guardia. Potersi confrontare a distanza, con amici dell’Italia che sperimentano altrove esperienze molto diverse, motiva ancor più l’impegno, soprattutto quando gli interlocutori vivono in realtà fortemente combattute tra valori civili e religiosi spesso in contrasto fra di loro. Matías, laureato argentino, mi scrive invece a seguito della pubblicazione dell’articolo Vivere Israele in cui parlavo di una mia particolare esperienza professionale in quel paese in cui mi sono recata per conto della META Group, la società di Terni con cui collaboro. Matias è un borsista del Ministero degli Affari Esteri italiano che, presso l’Università per Stranieri di Perugia, stava svolgendo una ricerca sulla percezione dell’Argentina tra i leader d’opinione italiani, anche a confronto con gli altri paesi dell’America Latina e dell’area dei Caraibi, tanto dal punto di vista economico (es. attrazione degli investimenti esogeni, bilancia dei pagamenti, debito pubblico, etc), quanto da quello sociale (diritti civili, ranking degli istituti di formazione, delle strutture sanitarie, etc). Anche con questo nuovo amico il confronto è stato reciprocamente stimolante.

L’esperienza più recente, è rappresentata dallo scambio di e-mail con Ezequiel, cubano di 40 anni, oggi illegalmente in Italia (con el dolor de mi alma porque tengo en Cuba todas las cosas que quiero y amo), che mi ha scritto a seguito della pubblicazione dell’articolo Cuba Libre. Un sogno ormai logorato da una ideologia che ha fallito ovunque nel mondo, nel quale riportavo la mia esperienza cubana. Lo scambio di e-mail, non sempre immediato, a causa dell’uso di due diverse lingue (a differenza dei miei precedenti interlocutori lui scrive in spagnolo, e si scusa in continuazione per la sua ortografia, ed io gli rispondo in un italiano alquanto esemplificato), si sviluppa attorno al tema delle condizioni di vita del popolo cubano e quindi dell’attuale governo della Isla Grande. Sono state alcune sue frasi a colpirmi in modo particolare. Ezequiel, concordando con quanto da me scritto, ritiene che in Italia non si abbia l’effettiva percezione di come si senta un cubano. Prosegue emblematicamente sull’attuale situazione che este regimen que solo revive muertos y mata vivos, alludendo alla propaganda di regime e ai metodi impiegati per tacitare gli oppositori. Il suo sogno è quello di far conoscere la verdad (la verità) sul popolo (cubano) que amo y que sufre a causa di un governo que no respecta ni el mas minimo derecho de su pueblo. I commenti sono superflui. Spero sinceramente che Ezequiel, piuttosto che vivere lontano dai propri affetti qui da noi in clandestinità, possa tornare in libertà in una Cuba libera, giusta e pacificata. Tre amici, ma anche tre storie che La Pagina ha consentito di aprire… dall’Umbria verso il mondo! A. Melasecche alessia.melasecche@libero.it

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V i v a

l a

da parte di Maurizio Crozza e di Padre Georg Genswein segretario di Benedetto XVI - ad opera di Fiorello. Sembra, infatti, che in Vaticano ci siano stati dei risentimenti per le imitazioni e le parodie ai danni dei tre uomini di chiesa. Al di là di meri commenti riguardanti le caricature che, secondo il modesto parere di chi scrive, rendono più simpatici di quanto non lo siano in realtà gli obiettivi delle performances televisive, quello che lascia basiti è la totale mancanza di auto-ironia e di comprensione da parte di persone che, per il loro ruolo, dovrebbero essere le prime a mostrarsi benevole e tolleranti verso il prossimo. Non è comprensibile come si possa dimostrare un così scarso senso ironico ed auto-ironico quando ci si dichiara offesi per un’imitazione lieve e simpatica dimostrando, così, scarso senso di tolleranza. D’altronde quando si è personaggi pubblici, più o meno famosi, si può correre il rischio di essere presi di mira dal comico di turno. Fin dai tempi degli antichi romani (satira tota nostra est, diceva Quintiliano) la satira è stata considerata una forma d’arte: un’arte che faceva ridere il popolo irridendo i vizi, i falsi perbenismi, le manie e le finzioni convenzionali di politici e potenti. Tutti i nostri politici sono stati, prima o poi, vittime di satira, vignette, imitazioni, caricature e quant’altro servisse a metterli in ridicolo e far perdere loro quell’aura di intoccabilità di cui godevano grazie alla loro posizione. Non si capisce perché il Papa non possa essere fatto segno da ironiche e goliardiche imitazioni, alla stregua di Bush o Blair. Leggendo i commenti di Padre Georg riguardo la sua imitazione (che comunque è molto calzante perché un prete così bello, curato, abbronzato, atletico ed affascinante non si vedeva dai tempi di Uccelli di

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s a t i r a Rovo) balzano subitaneamente alla mente quelle pagine magistralmente scritte da Umberto Eco in cui il monaco omicida de Il nome della Rosa si scaglia contro il riso, la risata e tutto ciò che è lieve e piacevole. Il problema è che, quello di Eco, è un libro ambientato in un’epoca oscurantista e beghina come il Medio Evo. Sembra assurdo che al giorno d’oggi ci possa essere una recrudescenza di bigottismo e oscurantismo tale da non permettere un’imitazione (ribadiamo simpatica e non offensiva) di un Papa. Bisogna difendere Fiorello & C. per le loro parodie con lo stesso vigore e la stessa convinzione con le quali, mesi addietro, abbiamo difeso la Danimarca per la pubblicazione delle vignette su Maometto. Ma non perché siamo dei pericolosi anticlericali, facinorosi e blasfemi che non rispettano la religione; riteniamo, infatti, che tutte le religioni e le confessioni vadano profondamente rispettate, quello che in questa sede si vuole sottolineare è che le imitazioni, le vignette e le prese in giro non vogliono colpire le profonde convinzioni che permeano la religione bensì solo e semplicemente degli uomini che, pur essendo uomini di chiesa, sono comunque esseri umani, con le loro debolezze e piccolezze, con i loro errori e le loro leziosità (Padre Georg, ma se non vuole essere preso in giro, perché ha una cura così maniacale del suo aspetto fisico?). Il riso, l’ironia, la satira sono insiti nelle popolazioni civili e libere che non devono sottomettersi ai voleri di chi governa e non accetta di essere preso in giro. Crozza e gli altri comici non hanno insultato nessuno, il vero insulto lo compie chi tenta di mettere a tacere le voci dissidenti o non allineate con le proprie convinzioni. L’ironia - ha detto qualcuno più famoso di chi scrive - è il pepe dell’informazione. C. Mantilacci

Note a margine del delirio dell’efficacia la moneta è forse un velo, ma un velo della violenza di cui è fatto oggetto nello scambio economico. Un velo posto nelle relazioni reali, come osservato dagli economisti al seguito di JeanBaptiste Say (si pensi, ad esempio, a Keynes che fu grande lettore di Freud), un velo che sembra nascondere i paradossi e le ingiustizie che caratterizzano una società sempre più orientata alla liquidità (Bauman) delle sue forme relazionali e fiduciarie. Il mercato, d’altra parte, non è una realtà monolitica: è una faccenda umana e la bontà di una interazione economica dipende, prima di tutto, dalle motivazioni, dall’eticità e dalla giustizia dei soggetti coinvolti. Molti autori, fra cui Robert Putnam e Roland Inglehart, hanno sottolineato la generale crisi dei sistemi relazionali di tipo fiduciario: all’origine del malessere sta, forse, la forte accelerazione impressa alle trasformazioni di tipo istituzionale, mondo del lavoro, famiglia, scuola e così via, che la società ha subìto in un lasso di tempo troppo breve per metabolizzare. Malessere ed incertezza sono presenti soprattutto nei giovani e si manifestano con atteggiamenti di disaffezione verso le istituzioni, di sfiducia e di scetticismo nei confronti del proprio futuro. Ma questi sentimenti non sono estranei neppure alla generazione più anziana, quella che, per il fatto di avere un’identità già consolidata e, quindi, meno fragile, dovrebbe essere meno vulnerabile e sensibile ai cambiamenti. Un malessere che sembra alimentarsi anche dalla confusa interpretazione dell’idea dello scambio economico e della responsabilità: uno scambio che dimentica sia la centralità delle persona, sia le necessità di una interpretazione delle relazioni in cui i princìpi della sussidiarietà siano formulati sia in senso orizzontale sia in senso verticale. Karl Popper ha osservato che una delle caratteristiche della società aperta è quella di garantire la libertà di associazione. In tale prospettiva, uno dei processi che maggiormente hanno contribuito a trasformare la società, e che viene associato ai fenomeni legati all’emergere di una post-modernità sempre più indecifrabile, è il processo di individualizzazione con l’emergere di un ethos individualista come suo risultato, che renderebbe gli individui meno dipendenti dalle istituzioni tradizionali, ma anche dalla propria comunità, e più orientati all’autonomia personale, dimenticando così l’esercizio di espressione nella società civile. Ma questo percorso rischia di rendere meno connessa la società in una più generale crisi dei valori in cui il capitale sociale, l’insieme delle reti sociali e delle norme di reciprocità e fiducia che le sostengono, diventa sempre

più velato. Ma il capitale sociale conta per molte ragioni, rende, ad esempio: più intelligenti, più sani, più sicuri e più capaci di governare una democrazia giusta e stabile (Putnam). Oggi i livelli di livelli di impegno civico sembrano essere tanto bassi, in linea con una società abitata da cittadini sempre più distratti; in tale prospettiva Putnam suggerisce la necessità di una inversione della tendenza, in cui il fattore associativo diventa essenziale. L’individualismo ha prodotto una crescente erosione dei valori morali tradizionali e delle norme sociali con l’effetto di una ulteriore ricaduta su tutti i tipi di istituzioni, nei confronti delle quali si nota una crescente disaffezione per la loro inadeguatezza a soddisfare i nuovi bisogni e le nuove domande della gente; l’individualismo diviene, in tal modo, come orientamento di base di una affluente società sempre più liquida. Molti dei problemi della società postmoderna mostrano caratteristiche di grande novità e, tra di essi, non è secondario il cambiamento nella struttura della famiglia che, da patriarcale nella società contadina, si è trasformata in un piccolo nucleo, che oggi si tenta di definire una famiglia nucleare. Il matrimonio, in cui essa si fonda è inoltre spesso instabile se non disgregato. In una prospettiva così complessa, instabile, sembra resistere soltanto l’immaginario e, purtroppo, le abitudini consolidate e viziate dal benessere, quasi un diritto acquisito per gli occidentali, e dal consumo fine a se stesso, che si trasforma in opulenza, spreco e danno ambientale. Tra un individualismo esasperato, gli stress quotidiani e le complicazioni sistemiche di una società a rischio (Risikogesellschaft) un complesso sistema di domande sembra porsi: Come si scopre, come si esercita, come si impara l’arte della libera associazione? - E come si applica a esigenze comportamentali assai diverse tra di loro - nel campo del lavoro sociale, in famiglia, a scuola, nell’economia, nelle chiese, nelle organizzazioni della democrazia rappresentativa? - Come combinare, come conciliare, dal punto di vista sia teorico sia politico, libertà e sopravvivenza in presenza di crisi ecologiche e sociali di dimensioni mondiali? Probabilmente occorre ritrovare uno spazio comune in cui sia presente anche l’aspetto del dono nel senso antropologico (Mauss): non c’è comunità e scambio sociale se prima non c’è legame e relazione sociale,

ma non ci può essere relazione e legame se non si sviluppa un capitale sociale adeguato al sostegno delle relazioni fiduciarie presenti in quella società e affinché questo possa manifestarsi occorre assicurare una libertà di espressione e di associazione libera da pregiudizi e condizionamenti. Gli individui hanno bisogno di una dimensione più solidale della società. I sistemi sociali tendono ad implodere: si rompe il legame con le istituzioni e con la società. Emergono la divisione sociale, la scarsa partecipazione al voto e alla vita pubblica, il disagio sociale, il senso d’impotenza, le nuove forme di esclusione e di povertà, lo smarrimento, l’individualismo esasperato, la sterilità dei rapporti, l’isolamento, la crisi delle famiglie, la rottura inter-generazionale, la scarsa qualità della vita. Gesti irresponsabili e contraddittori (omicidio di parenti, suicidi, vandalismo, violenza di genere, sfruttamento) compaiono in tutta la loro gravità nello scenario sociale: sono segnali manifesti di tutta la turbolenza derivante da un’insufficiente ri-legatura degli individui e dall’assenza di solidarietà generalizzata. La ricchezza economica si orienta ai consumi sfrenati e diventa opulenza, spreco e rituale incontrollato. Si spinge con la pubblicità gli individui all’imitazione per accrescerne i consumi: ma la crescita infinita, questo genere di crescita, non rappresenta un rimedio. Occorre ripensare, ritornare alla riflessione sulla dimensione dell’idea di sviluppo e, probabilmente, dell’idea stessa del rapporto fra la dimensione economica e l’etica. Probabilmente, nel generale delirio della ricerca della efficacia, occorre ripensare alla vita come uno spazio relazionale verso una tolleranza che deve rappresentare la logica conseguenza della condizione umana: la capacità aggregativa delle persone diventa il fondamento della cittadinanza e l’origine della socialità, e riconosce quindi diritti e doveri a questi spazi di auto-organizzazione del sociale: in primis alla famiglia, che diventa il primo ambito di responsabilità, e di educazione, nei confronti del bene comune e non nella ricerca di un esasperato individualismo, privo di ogni spessore per la difesa della vita per la vita a prescindere dal senso della vita (Caillé). R. Federici Insegnante di Sociologia della salute e della comunicazione presso la facoltà di Farmacia dell'Università degli Studi di Perugia


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N ATA L E : S a n t i e C o c a C o l a

ricco orfano di nome Nicola. Condotto in monastero per essere istruito da prete, quando ne uscì divenne vescovo di Myra. Membro autorevole del Consiglio di Nicea nel 325, si diceva che facesse miracoli. Che, durante le tempeste, portasse in salvo le imbarcazioni. Che avesse donato tutte le sue ricchezze ai poveri e l’intera vita al prossimo. Divenuto santo, la sua fama si diffuse nel mondo slavo-bizantino fino a Roma, allora soggetta al dominio di Bisanzio. Nel 1087, mentre il meridione d’Italia era sotto la dominazione normanna, le spoglie di Sanctus Nicolaus furono trafugate e condotte a Bari, dove si eresse una basilica che divenne presto meta di pellegrinaggio per il mondo cristiano. Protettore dei bambini, dei marinai, dei panettieri, dei prigionieri, delle prostitute, di chi presta soldi e dei negozianti, patrono di Mosca, della Russia e della Grecia, a San Nicola sono legate molte leggende. Quella più famosa, ricordata nel Purgatorio di Dante, vuole che Nicola avesse gettato nottetempo sacchi di monete d’oro attraverso la finestra della casa di un nobiluomo caduto in disgrazia, disperato di non poter sposare le sue tre figlie, non avendo dote da dare loro. Trovate chiuse le finestre, una notte le monete furono calate dal camino e si infilarono nelle calze appese ad asciugare. San Nicola si celebra il 6 dicembre e per molto tempo la notte dei doni fu quella del 5, quando si diceva che il vecchio

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vescovo girasse in groppa a un asinello, per portare regali ai bambini buoni. Nel corso della riforma protestante, allorché le figure dei santi persero un po’ di fascino, prese piede la convinzione che a distribuire regali fosse Gesù Bambino, coadiuvato da un misterioso vecchietto vestito con abiti vescovili. In Olanda e Germania, si disse che ai due si unissero gnomi e folletti, vestiti di pellicce e muniti di un grosso libro nero e di una frusta. Furono proprio gli Olandesi emigranti in America e fondatori di New Amsterdam - attuale New York - a portare il nome di San Nicola in America. Sulla prua di una nave che salpava verso il nuovo mondo c’era l’immagine di Sinter Klaas: ovvero San Nicola, con una pipa olandese in bocca. La figura del santo piacque anche ai coloni inglesi. Nel 1809 Washington Irving pubblicò Una storia di New York in cui si parlava di un Sancte Claus che la notte di Natale solcava i cieli su di un cavallo bianco per portare doni ai bambini. Nel 1921 William Gilley pubblicò un poemetto nel quale un Santeclaus impellicciato guidava una slitta trainata da una renna. Nel 1923, in un componimento di Clement Clarke Moore che iniziava con: Era la notte prima di Natale, un vecchietto piccolissimo alla guida di una minuscola slitta trainata da otto renne sfrecciava nel cielo ed entrava nelle case attraverso il camino per riempire le calze di giocattoli. Ormai dotato di cittadinanza

americana grazie alla letteratura , Santa Claus/Babbo Natale veniva rappresentato ora come uno gnomo in pelliccia, ora come un vecchio di normale statura, ora magro, ora grasso, vestito di colori diversi. Uno dei primi creatori dell’immagine di Babbo Natale nella forma oggi conosciuta fu il cartoonist americano Thomas Nast che nel 1863 pubblicò sulla rivista Harper’s Weekly un portadoni con pancione e barba bianca che prendeva le distanze dalle versioni esotiche che lo avevano rappresentato fino a quel momento. A fissarne definitivamente l’iconografia fu però la Coca Cola , agli inizi degli anni Trenta. Il compito fu affidato a Haddon Sundblom, un disegnatore di origine svedese il cui colpo di genio consistette nell’individuare in Babbo Natale l’intermediario per eccellenza tra infanzia e mondo degli adulti e nel farne convivere l’aura di soprannaturalità con l’estetica dell’uomo qualunque. E fu così che l’occidente trasformò definitivamente San Nicola, colui che nella religione ortodossa russa appare spesso come terza icona sacra nelle chiese, accanto a Giuseppe e Maria, nell’immagine rubizza e ridanciana di un grasso folletto non a caso rosso e bianco. Natale. Non c’è epoca dell’anno più gentile, per il mondo dell’industria, che il Natale. L’unico pensiero dei Consigli d’amministrazione è di dare gioia al prossimo. Così scriveva Italo Calvino in Marcovaldo, nel 1963. L. Giulivi

Le mura di Roma e il traffico di Baghdad i romani, intorpiditi e pazienti, leggevano sui giornali del mattino l’ennesima minaccia alla loro città, che tra barbari e Barberini, tonache, stivali e doppiopetti ne ha viste davvero troppe per preoccuparsi di alcunché. Aggirandomi non senza qualche preoccupazione nella Città eterna, tra autobus stracolmi e metro debordanti, auto in doppia fila e scooteroni guizzanti, sentivo che qualcosa in quelle parole proprio non tornava… Non si offendano i sedicenti jihadisti, ma l’immagine dell’attacco alle mura di Roma fa subito venire alla mente un assalto d’altro di tempi, con catapulte incendiarie contro le mura turrite di una città medieovale. Chissà quale sgomento assalirebbe loro nello scoprire che, di mura di cinta, Roma ne conserva assai poche, vestigia storiche del suo passato e non certo bastioni difensivi da abbattere a suon di cannonate. Del resto sarebbero altrettanto delusi nel vedere l’immagine di una città ben lontana dalla capitale dei crociati che forse immaginano, una città aperta in cui convivono, non senza qualche inevitabile difficoltà, chiese moschee e sinagoghe, in cui visi, storie, culture viaggiano spalla a spalla ogni giorno, in quel complicato e magnifico caos miscelatore, proprio delle metropoli europee. Quanta poca conoscenza di noi, delle nostre città e della nostra cultura emerge da quella frase, che voleva essere minacciosa e finisce per diventare autoironica!

Già loro non ci conoscono: non hanno studiato come noi, non hanno i nostri mezzi di comunicazione, non hanno l’occhio magico della televisione. Eppure qualche giorno fa, giocherellando con un noto programma che consente di zoomare le immagini satellitari delle città del pianeta, sono finito a sorvolare un gigantesco agglomerato urbano nell’area mesopotamica. Era Bagdhad, in una foto precedente alla sciagurata guerra ancora in corso. Non voglio dire che immaginassi un villaggio sperduto o una città incantata da Mille e una notte, ma le dimensioni urbane gigantesche, il traffico indiavolato e caotico delle automobili, rimandavano l’idea di una metropoli assai più vicina alle nostre città di quanto mai potessi pensare. Sono rimasto fulminato: cosa sappiamo davvero di questo mondo che appare così lontano, delle città, dei modi di vivere e di pensare, di soffrire o di gioire delle donne e degli uomini che pure in qualche modo sono entrati a far parte della nostra quotidianità? Lo scontro di civiltà tanto deprecato a parole, sarà inevitabile fin quando ragioneremo (noi e loro) attraverso astrazioni oleografiche, non supportate da una reale conoscenza, immaginando un Altro che rappresenta niente di più della proiezione delle proprie paure, che abita città invisibili e immaginarie e ci sembra troppo lontano, troppo diverso e dunque, inevitabilmente, nemico. F. Borzini


U na nuova sfida pe r la sic ur e z z a Inaugurato il nuovo corso di laurea in Scienze per l’investigazione e la sicurezza

POSTI …Sono immagini passées, dovresti capirlo anche tu. Nessuno oggi crede più alla puttana che non conosce la differenza tra bene e male… passées… Lui la guardava parlare, chiedendosi per quale motivo l’avesse invitata a cena fuori. La guardava, si domandava, si arrestava infine, di fronte alla verità delle sue parole. Eppure replicò: “Mi sembra un approccio fuorviante. Tu forse - e calcò la voce su quel “tu”non credi alla puttana vittima della sua ignoranza etica, ma la maggior parte delle persone, sì: non sei un campione rappresentativo dell’umanità media”. Di fronte al suo silenzio, pensò di aver messo a segno un punto. “Non sei un campione rappresentativo dell’umanità media”, ripensò reprimendo un sorriso. Puoi dire quello che vuoi, ma sai bene che non è così. Oggi le puttane vanno in vacanza in Corsica ed hanno il conto offshore…e sanno distinguere benissimo il bene dal male: anche mia nonna lo sa. Lascia stare questo argomento, puoi fare di meglio. L’arte non deve essere solamente estetica. Deve essere anche e soprattutto etica, rigore. Nell’immagine della prostituta che tu tratteggi, c’è la sublimazione dell’estetica. Ma secondo me non c’è abbastanza tensione. Non si può erigere un’opera d’arte sulla Bellezza per sé… ti ricordi il rigore di Kandinsky? Niente, non c’era verso di scalfire la sua sicurezza. La fissò in silenzio, chiedendosi se avesse qualche punto debole o fosse veramente così inattaccabile ed algida come quella sera

VUOTI più che mai gli appariva, più che in tutti quegli ultimi mesi in cui avevano provato ad amarsi. Algida e distante, annoiata, quasi scocciata dal dovergli spiegare perché le puttane senza recriminazioni sono dannatamente passées. Passées, che parola del cazzo: avrebbe dovuto lasciarla solo perché parlava in quel modo. “Cosa dovrei fare, allora? Cancellare tutta la parte con la storia della ragazza?”, profferì invece. Fai quello che vuoi…il racconto è tuo. Io, mi sono stancata di parlare sempre di te e me ne vado a casa, concluse lei spostando indietro la sedia ed alzandosi dal tavolo. Il ragazzo pensò che sarebbe stato interessante sapere a quale casa si riferisse: quella di lui, cioè la loro? O quella di lei, dove non era mai neanche entrato? Avrebbe potuto chiederglielo, oppure domandarle perché non smetteva - almeno per un minuto- di vivisezionare l’universo, di cercare l’assoluto concetto, mascherandosi da dio. Invece non disse niente, non cercò di trattenerla. Lei uscì dal ristorante, dopo avergli fatto un cenno di saluto con la mano e si fermò di fronte all’ingresso. Si accese una sigaretta e fumò qualche secondo a gesti misurati, fatti di attesa e di forza. Lui stette a guardare per un po’ le briciole che la ragazza alzandosi aveva fatto cadere sulla sedia. “Passées”, mormorò con un mezzo sorriso, scuotendo leggermente il capo. Poi aprì la borsa appoggiata contro una gamba del tavolo, sfilò il giornale della mattina ed ordinò il caffè, macchiato caldo. feyeem@gmail.com

Giovedì 5 ottobre, nel Teatro Comunale Manini di Narni, si è tenuta l’apertura ufficiale del nuovo ed innovativo Corso di Laurea in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza, attivato dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia. La manifestazione è stata presieduta dal sindaco di Narni Stefano Bigaroni, che nel suo intervento ha elogiato il lavoro svolto dal Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Perugia Francesco Bistoni, dal sindaco di Terni e presidente del Consorzio Universitario di Terni-Narni Paolo Raffaelli, dal preside della Facoltà di Scienze della Formazione Romano Ugolini, dal coordinatore del Corso di Laurea in “Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza”, Prof. Stefania Magliani, e da tutti i loro collaboratori per essere riusciti a valorizzare la città, allestendovi un corso universitario che permetterà di formare una figura professionale di grande attualità, come testimoniato dal grande entusiasmo che esso ha suscitato tra giovani e non. Il sindaco si è inoltre preso l’importante impegno di trasformare Narni in una città universitaria, aiutando lo sviluppo di tutti quei servizi che possono renderla più adatta ad ospitare un sensibile afflusso di studenti, risolvendo innanzi tutto il serio problema degli alloggi. Nel suo intervento il Preside Ugolini ha comunicato il consistente numero di iscrizioni, circa trecento, di cui il 73% è rappresentato da studenti fuori sede, provenienti da quasi tutte le regioni di Italia, sottolineando che è intendimento degli organizzatori del corso di laurea di seguire con molta cura la formazione di ognuno. Hanno preso la parola inoltre il Magnifico Rettore Prof. Bistoni, il sindaco di Terni Raffaelli, e l’assessore provinciale Paparelli, sottolineando il grande balzo di qualità che dal 2001 ha fatto questo polo universitario, che oggi aggiunge un altro importante fiore all’occhiello. Erano presenti alla cerimonia illustri ospiti quali i Generali Dino Schiavetti, Comandante del Centro di Selezione e Reclutamento Nazionale del-

l’Esercito, Maurizio Raponi, Comandante della Guardia di Finanza dell’Umbria, Roberto Paschetto, Comandante dell’Arma dei Carabinieri dell’Umbria, i Colonnelli Rocco Amoruso, Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, Luca Patrone, Comandante provinciale della Guardia di Finanza, la dott. Maria Pellizzari, della Direzione Centrale Anticrimine, il dott. Lattanti della Polizia scientifica di Roma, il dott. Ilario Busone, responsabile della sicurezza Air One, l’Ing. Coviello, vice comandante Provinciale della Guardia Forestale, il dott. Antonio D’Acunto, Prefetto reggente di Terni, il dottor Diego Napoli, Vice Questore vicario di Terni e il Vicario di S.E. il Vescovo della Diocesi di Terni-Narni-Amelia. Momento centrale della manifestazione è stata la prolusione del Ten.Gen. (R.O.) Ing. Antonio Iaria, del Corpo Ingegneri dell’Esercito, sul tema “Terrorismo e Bioterrorismo”, che ha introdotto alcune delle sentite tematiche che verranno trattate in appositi seminari da esperti del settore durante l’anno accademico. Il Ten. Gen. Iaria ha focalizzato l’attenzione sull’aggravarsi del problema del terrorismo, riflettendo inoltre sulla spirale di violenza scatenatasi in questi ultimi anni. Si sono presi in esame, nelle loro modalità di attuazione, in particolare l’attentato al World Trade Center dell’11 settembre 2001, alla metropolitana di Madrid dell’11 marzo 2004, al sistema di trasporti pubblici londinese del 7 luglio 2005, a Sharm el Sheikh del 23 luglio 2005; ha evidenziato come

Al Qaeda, portando l’attacco al di fuori dei Paesi Arabi, sia riuscita a trasformare la paura collettiva in fattore politico. Nell’esaminare le cause determinanti questa situazione di allerta in tutto il mondo occidentale, ha posto l’accento sui mezzi utilizzati per scovare e fermare nuovi possibili focolai terroristici, sottolineando anche i progressi che il sistema di sicurezza italiano sta facendo per colmare le sue lacune; da qui, dunque, l’importanza di corsi specializzati come quello che è stato inaugurato. Nella sua relazione ha inoltre toccato l’argomento del bioterrorismo, nuovo rischio della nostra epoca, riportando alla mente pericoli che l’Italia ha già sperimentato, quali l’Antrace e la malattia che da essa deriva, il carbonchio. La giornata inaugurale si è conclusa con una visita della prestigiosa struttura che è stata scelta per ospitare il Corso di Laurea: il seicentesco palazzo della nobile famiglia dei Sacripanti che, dalle sue suggestive logge, si affaccia sulla vallata di Terni. Opportunamente ristrutturata e attrezzata con le più moderne tecnologie, la struttura è dotata del primo laboratorio italiano scena del crimine, con annesso un laboratorio informatico per le applicazioni investigative, ben due aule multimediali dotate di wireless technology, aule adibite a videoconferenze, internet point, sale di lettura e la possibilità di utilizzo di laboratori esterni in ambito medico scientifico. Questo corso servirà a formare dei laureati capaci di occuparsi dei sistemi investigativi per la difesa e la sicurezza sia nel pubblico che nel privato, ma potrà costituire anche un’ottima base culturale per accedere, tramite concorso, alla carriera delle Forze armate e delle Forze dell’ordine. Ora che sono stati spenti i riflettori, comincia il grande impegno che tutte le persone coinvolte auspicano prodigo di eccellenti risultati. D’altra parte non mancano i presupposti, vista l’alta specializzazione dei docenti e i supporti che saranno dati da esperti nazionali e internazionali dei diversi settori di competenza. Gabriele Principato Andrea Checcarelli

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Morire a norma di legge G l i A m i c i d i B e p p e G r i l l o c o n t a t t a n o i l D o t t . St e f a n o M o n t a n a r i

Tutto cominciò al Laboratorio dei Biomateriali dell’Università di Modena, centro fondato e diretto da mia moglie, la Dott.ssa Antonietta Gatti. Lì abbiamo scoperto la pericolosità delle particelle non biodegradabili né biocompatibili, responsabili di gravi malattie. Non trovando appoggi in Italia, ed incontrando anzi un ambiente ostile, cominciammo a chiedere e ad ottenere la collaborazione di centri stranieri ed infine vedemmo approvato e finanziato dalla Comunità Europea il progetto di ricerca che avevamo proposto sull’argomento. A collaborare con noi in quell’impresa entrarono l’università di Magonza e di Cambridge. Fu così che nacque una nuova branca della medicina, quella della nanopatologia, vale a dire lo studio delle malattie indotte da micro e nanoparticelle inorganiche. Una delle scoperte che facemmo in seguito è la capacità delle nanoparticelle di entrare nel nucleo delle cellule lasciando la membrana cellulare intatta, e questo portò al nuovo progetto europeo appena iniziato, sempre ideato e diretto da mia moglie, volto a studiare il meccanismo. Senza entrare in particolari,

ormai ampiamente illustrati in parecchi articoli scientifici e non, il meccanismo di base deriva dalle polveri che restano sospese in aria per tempi tanto più lunghi quanto più piccole sono le loro dimensioni e con l’aria vengono inalate. Dal polmone, le particelle passano al sangue in tempi brevissimi e dal sangue in poche decine di minuti finiscono in tutti gli organi dove innescano una reazione da corpo estraneo. Da dove vengono queste polveri così aggressive? Semplice: nella grandissima maggioranza dei casi sono le combustioni a produrle, e le combustioni sono quasi sempre opera dell’uomo. Dunque, tra gli altri, i motori a scoppio, tanti procedimenti industriali come quelli che s’impiegano in fonderie e cementifici, e il bruciare rifiuti. Non esistono dubbi sul fatto che uno dei problemi che assillano questo mondo a cavallo di due millenni sia quello dei rifiuti, prodotti in enormi quantità e di cui non si sa che fare. E’ altrettanto indubbio il fatto che, continuando con questo andazzo, entro pochi anni ci occorrerà un altro pianeta grande quanto il nostro per mettere tutta quella roba.

B i j o u x Via Petroni 24/26 - Terni 10

L’uomo è l’unico tra gli animali che abitano la Terra a non vivere in equilibrio con la natura e ad inquinare irreversibilmente. Con gli inceneritori produciamo immondizia e la facciamo scomparire bruciandola. In realtà, la cosa è vera solo in parte: scomparire, sì, ma solo dagli occhi! L’universo funziona secondo certe regole che non si possono abrogare e tra queste ci sono le leggi della termodinamica. La prima ci dice che non è possibile distruggere la massa e se bruciamo una certa quantità di rifiuti, ce la ritroveremo invariata da qualche parte sotto forma di polveri e gas. Ad aggravare la situazione, vi è che quando usiamo un inceneritore dobbiamo aggiungere materiali tossici ai rifiuti e la loro massa aumenta: per cui ciò che esce dal processo è incomparabilmente più nocivo di quanto è entrato. Lo pseudo-vantaggio è quello di non vedere più il rifiuto: un gioco di prestigio dove si fa sparire qualcosa sotto il naso dello spettatore, ma quel qualcosa sparito non è. Agendo in questo modo inquiniamo irreversibilmente l’atmosfera e di conseguenza lasciamo un’eredità non certo generosa alla generazione che verrà. Chi pulirà lo sporco così aggressivo dovuto all’incenerimento? Nessuno, poiché nessuno sarà in grado di farlo. E allora perché siamo così stolti? Perché incenerire rende denaro. Non certo alla gente comune, perché quella anzi paga cifre enormi in termini sia di denaro sia di salute, ma a chi riceve, proprio dalle tasse imposte a gente comune, sovvenzionamenti sontuosi. Tra i pochi privilegiati che fanno denaro a palate ci sono i petrolieri che ricevono denaro quando bruciano i rifiuti delle raffinerie, visto che il nostro governo ha stabilito, curiosamente, che quei rifiuti, dal punto di vista sanitario estremamente tossici, equivalgono ad un’energia come quella solare od eolica. Poi ci sono i politici che di

certo non si lasceranno sfuggire l’occasione di far finanziare i partiti grazie a tutto il denaro che pioverà con la costruzione degli impianti d’incenerimento in programma in Italia. E il finanziamento sarà perfettamente legale, perché si tratterà di donazioni eseguite alla luce del sole che chi costruirà quelle opere si sentirà in dovere di fare ai vari partiti politici. Un bellissimo affare, insomma. Peccato per i nostri soldi e la nostra salute, ma non possiamo chiedere di avere tutto. A coronare la beffa c’è la produzione d’energia elettrica e termica attraverso gl’inceneritori, battezzati per l’occasione termovalorizzatori. Dal punto di vista economico l’impresa è fallimentare, visto che si consuma ben più energia di quanta non se ne produca, ma su questo particolare interveniamo noi con le nostre tasse a coprire gl’inevitabili buchi di bilancio e ad arricchire chi si lancia nell’impresa. Su tutta questa disinvolta operazione c’è la benedizione di diversi scienziati. Come accadeva negli anni Sessanta, quando le multinazionali del tabacco prezzolavano uomini di scienza, o presunti tali, per dimostrare che fumare non faceva male o, magari, faceva addirittura bene.

Oggi si fa la stessa operazione per ciò che riguarda l’incenerimento dei rifiuti. A differenza di quanto avviene in paesi diversi dal nostro, quegli scienziati non dichiarano da chi sono pagati e, dunque, ottengono una credibilità cui non potrebbero ambire e, disponendo di cospicui mezzi finanziari messi loro a disposizione dagli azionisti e dunque dalle nostre tasse, riescono ad avere un accesso mediatico sufficiente a farci credere cose che non hanno il minimo riscontro nella scienza e nemmeno nel più elementare buon senso. Non passerà molto tempo che tutti si renderanno conto di quanto la scienza sta osservando e che è argomento di allarme, e allora ci si chiederà come abbiamo fatto ad essere così ingenui. Chiudo ringraziando sentitamente la redazione de La Pagina e il Meetup di Terni che mi hanno permesso di esporre temi così allarmanti. Buon Natale e Buon Anno al Cuore Verde d’Italia. Dott. Stefano Montanari Direttore scientifico del laboratorio Nanodiagnostics di Modena. Collabora, insieme alla Dott.ssa Gatti, con centri stranieri e con la Comunità Europea per il progetto Nanodiagnostics. Ha partecipato e collaborato in prima persona al Tour 2006 di Beppe Grillo parlando per la prima volta di nanopatologie e nanoparticelle.

T E R N I - V. d e l l a S t a z i o n e , 3 2 / 3 8 Te l . 0 7 4 4 . 4 2 0 2 9 8


Il Canada a Natale i n c o n t r o d i t r a d i z i o n i stri modi per come celebrare il Natale vengono dall’Inghilterra Vittoriana, come è descritto nel libro, A Christmas Carol di Charles Dickens: andare per le case cantando, i regali, la tavola imbandita, il mangiare e gli auguri di felicità a tutti. Oggi decoriamo un pino con vari ornamenti, compriamo o facciamo i regali da scambiare, i regali vengono incartati in carte speciali e poi messi sotto l’albero in modo da essere aperti il giorno di Natale. Il Canada è fatto per il Natale. La maggior parte del paese si copre di neve a Dicembre colorando il paesaggio grigio e monotono di inizio inverno in una bianchezza radiosa che farebbe invidia alla più bella cartolina di auguri. Quando ho cominciato a scrivere questo articolo non ero sicura di poter

descrivere qualcosa di originale perché il Natale in Canada è più o meno uguale a quello negli USA o in Inghilterra. Al contrario sono rimasta sorpresa nel trovare,

mentre ricercavo, che le festività di Natale hanno, nel mio Paese, diverse origini culturali. Le tradizioni provengono da tutto il mondo, inclusi Francesi, Inglesi, Tedeschi, Ucraini, Italiani, Prime Nazioni ovvero gli Americani Nativi, Scandinavi, Danesi ed Irlandesi. Questo insieme ci porta una grande varietà di costumi e tradizioni da celebrare a Natale. L’albero di Natale, il calendario dell’Avvento e le case di pane di zenzero vengono dalla Germania. La cartolina di Auguri e le canzoni natalizie sono state introdotte dagli Inglesi, gli Irlandesi ci hanno portato la tradizione di decorare le finestre con le luci. Santa Claus viene dagli U.S.A, mentre Father Christmas dall’Inghilterra. I Francesi introdussero il presepe. Molti dei no-

Santa Claus è la persona che porta i regali e non dobbiamo assolutamente sapere che cosa riceveremo: tale mistero fa parte del divertimento del giorno di Natale. Si dice che Santa Claus scende in casa dal camino e

depone i regali sotto l’albero, poi ritorna su per il camino e vola alla prossima casa su una slitta tirata da nove renne. E’ tutto piuttosto magico! Il Natale è una festa da trascorrere in famiglia e con gli amici più cari. Soprattutto il giorno di Natale è speciale: tutti si riuniscono per scambiare regali e mangiare il tacchino farcito al forno con tanti contorni. Il dolce è il plum pudding servito con la panna montata. Le canzoni di Natale allietano e creano l’atmosfera magica. Quando ero piccola mia madre suonava il pianoforte mentre noi cantavamo canzoni come White Christmas, Jingle Bells, We Wish you a Merry Christmas e The Twelve Days of Christmas, per nominarne solo alcune. Quanta nostalgia per quei

momenti ricchi di gioia e di emozioni! Qui in Italia, io e la mia famiglia abbiamo creato una fusione di tradizioni per festeggiare il giorno di Natale. Il tacchino farcito al forno, plum pudding, la torta di Natale e i crackers (divertentissimi giochi per imbandire la tavola), sono arricchiti da un primo di

cappelletti in brodo fatti a mano da mia suocera. In più, panettone e torroni sono offerti insieme agli altri dolci natalizi e i vini sono italiani! E’ una festa molto bella che festeggiamo insieme agli amici che vengono tutti gli anni, un giorno speciale che aspettiamo con trepidazione ogni anno. Simone Dillon

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R a c c o n t i Acquisti natalizi

Monica si affretta ad uscire dal lavoro; questo pomeriggio sarà dedicato esclusivamente agli acquisti di Natale in compagnia della sua amica Giovanna, che ha accettato nonostante lei abbia già provveduto. Quasi portate dal fiume di gente che si riversa per le strade, le due ragazze approdano finalmente alla profumeria più fornita della città. Dentro fa caldo, Monica si sente come il pollo che esce dal frigo ed entra nel forno. Era tutta infagottata e ora rimane solo con la camicetta; cappotto sciarpa guanti cappello sul braccio. Qui ci ho comprato parecchie cosette... - afferma Giovanna soddisfatta, rigirandosi tra le mani un gel anticellulite da regalarsi - per nonna un affetta-calli, per mio zio Piero lo shampoo alla mela verde contro la caduta dei capelli, una spugna grattaschiena a mio fratello, bella ruvida… Monica ignora l’orrido elenco e chiede un consiglio su cosa potrebbe regalare a Carla, la sua collega. Che dici se le compro un bagnoschiuma? - No, pare un invito alla pulizia. Un profumo? - Non so quanto vuoi spendere, ma per me è troppo caro. E poi troppo personale. Qui ci sono dei trucchi. Ombretti, rossetti… Per carità, quella ha un sacco di allergie, usa solo una linea che si trova in farmacia… Giovanna la segue sconsolata. Sa già che passeranno ore lì dentro. Per uscire, probabilmente, a mani vuote. Beh, magari penserò prima agli uomini. E’ più facile, loro sono meno esigenti.

A mio padre potrei fare un dopobarba… Però è scontato. Un rasoio? Me lo dico da sola: che tristezza! Come sei antica! Guarda, qui c’è un intero reparto dedicato a lui… per esempio, ecco una crema per il viso antirughe al ribes succoso. No - Rassodante alla purea di fico!- No! - Riposante Nutriente-Rigenerante, con gocce di rosa canina e una punta di vaniglia? - NOOO!! Non voglio trasformare mio padre in George Clooney dei poveri! Silenzio. …un paio di calzini? Monica fulmina Giovanna con lo sguardo. Ma che ho detto? Il Guarda chi c’è! di Pamela interrompe l’idillio. Pamela! Sei arrivata giusto in tempo! Aiutami, sono in crisi per i regali, anche quest’anno…Tu l’hai già fatti? - Sto andando proprio ora. Puoi venire con me, magari ti viene qualche idea. Monica e Giovanna seguono volentieri Pamela, tanto erano a un punto di non ritorno. Entrano nel supermercato. Pandori, panettoni, ma anche pasta, scatolette, pelati, pacchi di biscotti riempiono velocemente il carrello. Per qualcuno il giorno di Natale è solo l’ennesimo al quale sopravvivere. Domani porto queste cose alla Caritas, penseranno loro a distribuirle alle famiglie. Monica stabilisce finalmente come spenderà i soldi per i regali. E’ felice. M. Beatrice Ratini

Ricordi che affiorano Lo sa, professoressa, che quella volta che mi ha dato “ottimo” in geografia avevo studiato con Massimiliano solo dieci minuti a scuola, nello stanzino dei bidelli, durante la ricreazione? Che gioia essere stata imbrogliata così bene da un alunno che da questo episodio doveva aver tratto tanto incoraggiamento per mettere a frutto i suoi talenti! Sarà stato così? Per ora l’ho rivisto come operaio elettricista in una struttura pubblica, insieme ad un compagno di lavoro. Ma non era contento: rimpiangeva la scuola e voleva fare altro. Perché, Riccardo, non hai preso sul serio quell’episodio e non ti sei messo a studiare con continuità? Preparare una lezione in dieci minuti, sia pure con l’aiuto di un compagno bravo, era segno di una grande capacità di apprendimento che andava coltivata: perché non l’hai fatto? Cosa ti ha distratto dal tuo futuro? Di te conservo ancora un disegno geometrico a colori, perfetto, che mi avevi regalato a fine anno, nonostante io non avessi niente a che fare con le geometrie e con i colori. Qual era la tua strada? Mi chiedo se avrei potuto suggerirtela io, o se dovevi cercartela da solo interrogando le tue tendenze e mettendoti alla prova. Quanti ragazzi vedo, disorientati, forse anche mal consigliati a scuola o nell’ambiente familiare, ma anche poco fiduciosi nelle proprie capacità, che si sono lasciati andare, realizzando solo una piccola parte di ciò che sarebbero potuti diventare! Come vorrei aiutarli! Hai solo 24 anni, Riccardo: puoi ancora fare altro, se vuoi e se lo vuoi fortemente. Elettra Bertini

d i

Due persone in treno Il viaggio quotidiano verso Roma è iniziato da un po’e X e Y stanno discorrendo per la prima volta. X guarda quegli occhi incavati e pensa che sembrino sereni. Il sedile del treno è completamente riempito da quella figura robusta e alta. Le braccia dell’uomo si muovono mentre spiega le sue ragioni. Nell’alternarsi della luce del sole a quella dei neon in carrozza, sotto le gallerie, il colorito intensamente scuro della pelle forte gli si incupisce o illumina. X, avendo visto una pubblicità natalizia muoversi a destra e a sinistra, appesa al portabagagli gli chiede: Il Congo è in maggioranza cattolico, vi si festeggia il Natale? Y: Certo, ma non come qui. C’è la guerra. Il mio paese è lacerato da essa. X: la colpa della povertà è lo sfruttamento della popolazione da parte dell’occidente. La guerra fa molto comodo ai potenti e è incentivata proprio per rapinare ancora di più il vostro territorio. In fondo, i bambini che non hanno di che mangiare e non sanno a chi appoggiarsi, si fidano dell’occidentale che offre loro di cercare diamanti per una misera ricompensa. Y ascolta la ragazza con un sorriso delicato e poi, finito lei di parlare, interviene: io non do la colpa di questa guerra fratricida ai colonizzatori o a chi guadagna dalla nostra terra senza ricompensarla il giusto. Per me che vengo da lì, che ho là le mie radici, risulta molto più doloroso osservare che non c’è intenzione, da parte dei miei concittadini, di promuovere la pace e di aprirsi a uno sviluppo autonomo. Perché continuano a combattersi tra loro? X rimane ferma e silenziosa per un attimo e poi annuisce: ma è comunque una colpa minore la vostra… non crede? Da secoli la condizione non migliora, anzi…il problema e la confusione vengono continuamente alimentati dall’esterno. Y fa una risata certo di tono consapevole e comprensivo,

ma comunque ricca e grassa. Poi colpisce piano due volte con la mano il ginocchio di X che gli sta seduta di fronte. Continua: Quello che più mi stupisce del mondo ricco, è lo spreco e la ricerca di un tenore di vita che sia ancora al di sopra della necessità. Il doppio telefonino, la festa nell’albergo più costoso della città, venti maglioni in più del necessario. Questo rimprovero all’occidente: il fare scelte dettate dal solo guadagno personale e mai da quello di un bene collettivo o più spirituale. Di nuovo fa una risata per paura di essere stato troppo duro e diretto con la ragazza o per non caricarla di un’angoscia che non le sarebbe propria. X, con gli occhi ancora sbarrati per lo stupore, tocca i due cellulari che riempiono la tasca frontale della sua grande borsa. Pensa che discorsi tecnici e economicamente corretti, non sono più forti della nostalgia di chi vive lontano dalla terra di origine per cause tragiche: Y ama le sue origini, ama i suoi numerosissimi famigliari, ma è severo con loro. L’amore difficilmente perdona le mancanze dell’amato. Si alza e mentre si rallegra del dialogo con quell’uomo, colto e comunque affabile, gli dice: non riuscirei ad essere così clemente con degli sfruttatori…Siamo arrivati. Arrivederci e in bocca al lupo per il suo esame, di che si tratta? Y, salutando a sua volta con una forte stretta di mano la ragazza: si tratta di economia ambientale. Buona giornata. Arrivederci, a presto. Adelaide Roscini

LA PAGINA www.lapagina.info

Mensile di attualità e cultura

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i n f o @ l a p a g i n a . i n f o


C a n z o n e Lei guardava dalla finestra, fuori c ’ e r a buio, si vedeva solo la siluette degli alberi in giardino; in fondo e lontano le luci dei fari delle macchine che passavano in fretta, nella furia di arrivare alle feste che ovunque si svolgevano. Era la fine dell’anno. I ragazzi parlavano a voce alta, nervosi per finire di vestirsi. Sotto, li aspettavano le ragazze. Lei era contenta, la cena era andata bene, i suoi figli avevano chiacchierato come da tempo non facevano; ormai erano diventati uomini e lei li guardava e si sentiva orgogliosa. Baci, abbracci, sorrisi… andate, andate… attenti alla strada… non bevete molto, guardate che dovete tornare… e, per favore, non molto tardi… ciao… ciao… auguri mamma... ciao... ciao… Silenzio… non si sente più niente… Torna in soggiorno, il caminetto è acceso... manca ancora

d ’ a m o r e

alla mezzanotte, prende un calice di spumante, prepara l’uva. Siamo in Spagna e, alla fine dell’anno si mangia un chicco d’uva per ogni mese. Toglie la pelle perché non è mai riuscita a inghiottirla. Al terzo le viene il singhiozzo, ma a volte pensa che, se non le mangia tutte, le cose non le andranno molto bene… dimentica presto… superstizioni stupide. In ogni caso, quest’anno toglie tutte le bucce… è piena di speranze, inconsapevolmente. E’ presto ancora, guarda l’orologio, si alza, va nello studio ove il computer è ancora acceso, aperto su una pagina italiana, una chat... si è iscritta senza pensarci un mese fa… nostalgia dell’Italia... riceve molti messaggi, ma non risponde quasi mai, è ancora giovane… carina… ha messo una foto, anche se si è pentita subito di averlo fatto. Guarda i messaggi ricevuti…

niente di particolare… capodanno è una festa da fare in compagnia ma lei è un po’ stanca... Prima le sorelle hanno chiamato: vieni… vieni a cena da noi. Sono stanca e voglio riposare, risponde lei… poi sapete che queste feste non mi piacciono. Guarda ancora i messaggi, c’é quello ricevuto due giorni prima: Ciao… mi chiamo Marino… peccato che sei cosi lontana perché ormai non ho più la forza né la voglia per raggiungerti. Va a vedere le foto. Ce ne sono tre… Nella prima un uomo giovane, bello, forte, con gli occhi sognatori. La seconda lo stesso uomo ormai maturo, capelli brizzolati, ma gli stessi occhi dolci. La terza…. è la caricatura di un energumeno… Ieri, oggi e domani... dice lui… E’ andata diverse volte a guardare quel volto. Ha qualcosa che le piace… non sa… una tenerezza quasi femminile. Di colpo arriva un flash sullo schermo… messaggi veloci… Ciao, sono Marino, buon anno. Ciao, buon anno, risponde lei… Cosa fai di bello - le chiede è Capodanno, vai a qualche

L i l i y a

E’ il 30 ottobre 2001. Una giornata fresca d’autunno a Broshniv in Ucraina. Un vento leggero spinge le foglie roteanti e le lascia cadere lungo il viottolo di un giardino che come ogni sera una giovane donna percorre per rientrare nella sua casa di donne. Tatiana, la sua piccina, già dorme, riccioli d’oro coprono il suo visino d’angelo; Romana, la sua maggiore, sta vivendo nella sua stanza i turbamenti della vita insieme ad Anna Karenina; Alla-Ivanna, sua sorella, sta piangendo il suo amore finito; Anna, sua madre, sta riempiendo la casa del profumo intenso del cervonui borsh, la zuppa rossa.

Quanti ruoli sente sulle sue esili spalle! E’ mamma, figlia, sorella, lavoratrice senza lavoro. Dà un rapido sguardo a quelle stanze ancora piene di dignità e di qualche antico segno di nobiltà e dice basta. Non è più tempo di aspettare, è ora di partire. Passa una notte insonne, assalita da dubbi e paure. E il 31 ottobre 2001 è a Ivano-Frankovsk. E’ la prima di una lunga fila. Visto per l’Italia. Bagagli affrettati, fotografie ristampate, baci amorosi, lacrime nascoste. Il 21 novembre sale su un pulmino con destinazione Roma. Una sua collega d’università lascia una famiglia, lei la sostituirà. Conosce un po’ della storia d’Italia, ama l’arte, la letteratura e la musica italiana, come cattolica ha sempre sognato di vedere San Pietro, da credente e da turista. Dopo due giorni arriva stanca e spaesata nella famiglia destinataria, tutti sono molto gentili, la signora è americana, una straniera come lei. E’ assunta come domestica e babysitter per una bambina di due anni e mezzo, un anno maggiore della sua piccina. La strada è in salita. Non sa una sola parola d’italiano, ironia della sorte, proprio lei che di lingue ne conosce già tre. E insieme alla bambina italo-americana inizia a parlare italiano.

e

l e

Piange per notti senza fine, perde otto chili in fretta, segue poi una sorta di pellegrinaggio di famiglia in famiglia. Che triste vedersi domestica a tempo pieno, sempre chiusa in case d’altri e non poter rivedere le figlie per due eterni anni! E il passato affiora spesso consolatorio nei suoi pensieri. Si rivede bambina felice, scolara modello, ballerina versatile, studentessa brillante, universitaria gaudente a Leopoli, giovane sposa di un compagno di studi, laureata soddisfatta della lode e lavoratrice appagata nell’industria del legno. Ma una nuvola grigia e densa offusca sempre i suoi ricordi: Cernobyl. E quel viaggio spensierato a Kiev e le risate allegre con i suoi amici tra i fiori e le parade per festeggiare la festa dei lavoratori in dolce attesa. E poi le notizie ascoltate nel silenzio di una stanza chiusa, quelle parole a stento comprensibili dalla BBC. La preoccupazione annunciata, la catastrofe celata, il rientro rapido a Broshniv, il parto prematuro e poi le cure, le tante cure per la minuta e fragile Romana. E il muro di Berlino che inaspettatamente si frantuma e l’Ucraina che proclama l’indipendenza. Che bello essere libera di uscire dal paese, viaggiare, fare shopping in patria

Regalo di Natale

N a t a l e

P E R festa? No, sono sola a casa, e tu? Io odio le feste, sono vedovo e alla fine sono riuscito a scappare alle celebrazioni familiari... questa notte sarò qui solo, a guardare le fiamme del camino. C’é mio figlio che dopo uscirà. E tu? Io sono un tipo tranquillo, rispose lei, rimarrò anch’io davanti al camino acceso ad ascoltare la mia musica preferita... Anch’io amo la musica, risponde lui, cosa ne dici di farci compagnia e ricevere l’anno insieme?... saremo uniti per un filo… non potremmo

s u e con le amiche di un tempo! Ma all’improvviso arriva travolgente, impetuosa, impietosa, la tempesta: il crack. Le banche falliscono e tutti i soldi che la nobile nonna polacca ha lasciato per il suo avvenire scompaiono in poche brevissime ore e arricchiscono avide tasche di sconosciuti. Stop ai ricordi non più consolatori. Ogni ultima domenica del mese si trova nella stessa piazza con altre donne con storie simili alla sua a consegnare i soldi guadagnati con tenace lavoro ai corrieri, con destino Ucraina per le sue donne, senza avere l’opportunità di salire su quei pulmini. Torna a casa sempre melanconica, ma forte di poter offrire alle figlie una vita più che decorosa e di poter dar loro un’educazione scolastica adeguata. E lei, così madre, è preoccupata di non essere riconosciuta dalla sua adorata Tatiana. Fortunatamente il sangue è più forte della lontananza.Tatiana ha ora 6 anni, frequenta la prima elementare, Romana ha 20 anni, frequenta il primo anno di economia all’università. La mamma le ha viste lo scorso Natale e poi in estate le ha portate in vacanza sulle montagne verdi della Carpazia tra la natura incontaminata e la storia non dimenticata e al

T U T T I sentirci fisicamente, ma le nostre parole ci faranno compagnia... saremo due anime unite dalla solitudine. Volentieri, rispose lei, che intanto sente una sensazione di caldo al cuore... e parlano, parlano quasi tutta la notte e vanno a letto, stanchi, ma non più soli. Così, quasi miracolosamente, due anime, sole, ma piene di amore e di bellezza si sono trovate, unite e amate per sempre... da quella notte di capodanno di un anno qualunque. !!Felices Fiestas!! Senia Sánchez Martin

d o n n e mare in Crimea a Yalta e a Sevastopoli per ascoltare al tramonto l’eco lontano del fuoco nemico. Questo Natale non potrà andare, manderà tanti dolcetti e tanti regalini per loro, piangerà in silenzio, ripasserà tutti i sapori del profumato Natale ucraino, sentirà loro per veloci minuti al telefono, poi stringerà forte i denti, percepirà l’orgoglio di essere una madre coraggiosa e andrà avanti ancora con determinazione. Il suo nome è Liliya, ha 39 anni, un impiego a tempo indeterminato in una cooperativa di pulizie a Terni, lavora lunghe ore, quando è ancora notte la mattina e quando è già notte di sera. Ha un sogno: portare le figlie con sé. Auguri Liliya a te come donna, come madre, come figlia, come sorella, come lavoratrice. Giuliana Orsini Cervelli

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Acque e

Te r r e e m e r s e TERNI La favola I nizia

una delle tante favole da raccontare intorno o in merito alla nostra città, per eventi accaduti o per enti o fenomeni che potrebbero verificarsi.

L a nostra è una favola natalizia, nei contenuti e nei tempi. I contenuti li leggeremo insieme e insieme sapremo valutare. I tempi: dal dicembre 2006 al dicembre 2007, periodo durante il quale confidiamo in un concorso sempre crescente di estimatori, collaboratori, amici. TERNI la favola sarà scritta a più mani... da Albano, Giampiero, Giuliana, Giuseppe, Florio, Franco, Lorella, Marco, Paolo, Pietro, Simone, per citarne alcuni. Come tutte le favole sarà ricordata per il suo finale lietissimo e, come vedrete, dolcissimo. Parlerà ai concittadini, ma si rivolgerà poi al mondo intero. La prima puntata ha per titolo: Acque e terre emerse. A Gennaio 2007 sarà: La proprietà delle acque. Rivolgo ora a te, caro ed affezionato lettore, l’invito a scrutare gli orizzonti e ad indovinare (via, sei pur sempre un discepolo dell’antimago Raspus!) lo sviluppo successivo ed i titoli relativi, compreso, magari, quello finale. Ti assicuro che potresti farcela, perché gli indizi sono tutti in tuo possesso! Nel Natale del 2007 si concluderà la favola... e si passerà quindi dalla teoria alla pratica... ciclico assillo di un insegnante che non la smette mai di sentirsi tale! Giampiero Raspetti

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Circa 15 milioni di anni fa un arcipelago di isole più o meno grandi cominciò ad affacciarsi sulla superficie dell’attuale Mare Nostrum. Era il nostro Appennino che lentamente si sollevava dalle acque a formare l’italico stivale. Più di 4000 metri di sedimenti sottomarini strizzati in alto nello scontro tra il continente africano e quello europeo (scontro che tuttora continua). Questa è la genesi anzi, l’orogenesi, come definita

in geologia e geografia, del territorio appenninico. Da quei primitivi monti, nei milioni di anni successivi e fino ad ora, grazie al modellamento operato dai fenomeni erosivi (acqua, vento e gelo) si formarono le attuali montagne, colline e pianure in un alternarsi di paesaggi suggestivi quasi unici e con straordinari caratteri naturalistici. Desidero soffermarmi sull’unicità del nostro Appennino e quindi del nostro territorio perché non è noto a molti che le rocce e le terre che lo compongono costituiscono una rarità a livello del globo terrestre. Infatti soltanto il 5% di tutte le terre emerse del globo (crosta terrestre) sono costituite da rocce e terreni calcarei (carbonatici) come le nostre. Il restante 95% è invece costituito da rocce ignee provenienti dal fluido mantello subcrostale della

terra (quello che alimenta le manifestazioni vulcaniche) che ha generato il paesaggio che possiamo ammirare appena oltrepassato il Tevere, nelle terre di Orte e Viterbo. Questa nostra rarità e tipicità di rocce e terre ha originato la straordinaria biodiversità e qualità dei prodotti della terra, successivamente coltivati ed elaborati con sapienza dalla nostra gente. Anche il più straordinario elemento naturale che è l’acqua trae le sue caratteristiche da queste rocce e terre. L’Appennino in generale e la nostra zona in particolare, sono tra i territori della terra più ricchi di acque sotterranee (le rocce come grandi serbatoi) con caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche di grande qualità. Questa ricchezza di acque è all’origine della storia della nostra città, del territorio circostante e di tutte le attività umane che nel tempo si sono sviluppate. La forza idraulica prima e quella idroelettrica poi sono state alla base dello sviluppo economico della fine del secondo millennio ed accompagnano tuttora larga parte di quello del

nuovo millennio. Per capire l’importanza straordinaria delle nostre risorse idriche, idrauliche ed idroelettriche, ritengo utile esporre il seguente, pur schematico, inquadramento geografico. Se prendiamo un ipotetico cerchio di 40 Km di raggio (in linea d’aria), centrato sulla conca ternana, riusciamo a comprendere: - due grandi fiumi: il Nera e il Velino; - diversi laghi: il Lago di Piediluco, di Ventina, di Ripa Sottile, il Lago Lungo, il Lago del Salto, il Lago del Turano ed altri bacini più piccoli, comunque di interesse idroelettrico (Lago Aja, Lago di San Liberato, Lago dell’Acea); - tre grandi sorgenti: sorgente del Peschiera, nel Comune di Antrodoco, che alimenta la città di Roma con 16.000 litri al secondo; sorgente di Stifone, nel Comune di Narni, con 11.000 lt/sec; sorgente di Santa Susanna, nel Comune di Rivodutri, con 4000 lt/sec, che crea il canale omonimo, affluente del Velino. A queste acque si aggiungono quelle che alimentano parte della nostra città:

sorgente Lupa e Peschiera (nel Comune di Arrone), sorgente Pacce (nel Comune di Leonessa). La città di Terni ha un fabbisogno ottimale di 40 milioni di litri al giorno (400 litri pro capite ogni giorno), a cui vanno aggiunti i consumi industriali che possono essere stimati in non meno di settanta, ottanta milioni di litri al giorno. Tutta questa quantità di acqua viene anche da altre fonti sotterranee, chiamate falde, che risiedono nel sottosuolo di quasi tutte le nostre pianure e valli. La falda della conca ternana, ad esempio, alimenta con i suoi pozzi gran parte dell’acquedotto cittadino, di Narni ed di oltre dieci comuni dell’amerino. Occorre anche ricordare le nostre acque minerali ed oligominerali che tipicizzano, anche a livello naziona-

le, il nostro territorio: Amerino, Cottorella, Fabia, Furapane, Lecinetto, San Faustino, Sangemini. L’acqua quindi, anch’essa origine e alimento della nostra civiltà, insieme alla terra e all’ingegno umano, ha creato i prodotti più importanti della nostra tradizione sia agroalimentare che industriale, prodotti che abbiamo il dovere di difendere e di valorizzare. Dott. Geologo

Pietro Rinaldi

Direttore tecnico della Comunità Montana di Terni


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Il porto fluviale di Narnia-Ameria La Burgaria Bizantina di Narni La Provincia di Terni per la cultura

Questo articolo nasce da un dono e da un invito; il dono di un libro e l’invito a parlarne da parte del suo autore, Guerriero Bolli. Ho accolto entrambi con molto piacere per la stima che nutro per l’Autore, instancabile indagatore del passato della sua amata terra natìa, Narni. I libri di Bolli, il quale riesce a scrivere con prosa chiara ed affabile (circostanze, queste, divenute entrambe ormai rare) di storia, archeologia, architettura, arte, pittura, territorio, sono sempre estremamente interessanti e ricchi di spunti per il lettore attento e, aggiungerei, non schizzinoso. Una vera e propria recensione sarebbe impresa ardua: richiederebbe molto spazio ed una vasta competenza in vari settori, pertanto mi limiterò ad alcune osservazioni. Come chiarito dal titolo, l’opera tratta due argomenti ben distinti, ma intimamente collegati nella loro successione cronologica e geografica. Il primo è costituito dal porto di Narnia, la Narni di epoca romana: di tale struttura non abbiamo testimonianza diretta nelle fonti letterarie di epoca classica, dalle quali ricaviamo soltanto alcuni indizi. Il geografo Strabone (Geogr. V, 2, 10), sullo scorcio del I sec. a.C., si limita a ricordare la possibilità di navigazione sul Nera a mezzo di piccole barche, mentre lo storico Tacito, nel I sec. d.C., accenna (Ann. III, 9) all’imbarco sul Nera di C. Calpurnio Pisone, legato di Tiberio in Siria, avvenuto presso Narni, allo scopo di raggiungere Roma per via fluvia-

Abbazia di San Martino - Taizzano Prima del restauro

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La Provincia di Terni per la cultura

le, evitando in tal modo di percorrere la Via Flaminia. Bolli ricorda la succinta descrizione fatta nel Cinquecento da parte del colto gesuita narnese Fulvio Cardoli di alcune antiche vestigia, comprendenti un’area lastricata ed anelli ferrei infissi nella roccia, da questi interpretate come i resti di un porto fluviale, all’epoca visibili sulla riva sinistra del Nera, subito dopo l’uscita del fiume dalla stretta gola di Stifone, in una località anticamente denominata Bagno, che dovrebbe all’incirca coincidere con l’area ancora oggi indicata nelle carte topografiche come Vagno, nei pressi dello stabilimento dell’Alcantara. Cardoli spiega che il termine indicava un antico edificio termale, all’epoca ancora visibile, correlato alla presenza di una sorgente di acqua minerale di tipo ferroso. Bolli pone suggestivamente il toponimo in relazione con quel balneum decantato da Plinio il Giovane (Ep. I, 4) come annesso ad una villa posseduta nel territorio narnese dalla ricca suocera Pompea Celerina. La ricerca di questa villa, dotata di un balneum talmente particolare da essere degno di nota, è stata da sempre all’attenzione degli studiosi. Una emergenza archeologica estremamente interessante in tal senso, sempre sulla riva sinistra del Nera, ma più a monte, in località Campo d’Isola, a circa 1 km dalla stazione ferroviaria di Nera Montoro, fu completamente distrutta nel 1914 per costruire la Centrale idroelettrica del Valdarno. Nell’occasione furono rinvenuti muri di contenimento a gradoni in opera reticolata sopra ai quali, ad un’altezza di ca. 20 m sul fiume, era una capiente piscina (6x4,74 m, profonda 1,92 m) munita di scala in pietra per consentirvi l’immersione, trovata riempita di frammenti di stucchi decorativi, anfore, mosaici bianchi e intonaci dipinti: elementi che fanno pensare ad una villa affacciata sul fiume Nera in posizione scenografica, probabilmente riferibile al I-II sec. Successivi lavori di ampliamento della centrale portarono al rinvenimento di ulteriori ambienti con pavimenti a mosaico bianchi e neri, pure questi distrutti, dei quali restano solo pochi frustoli murati nell’ex abitazione del custode della centrale. Testimonianze ottocentesche, spesso non più verificabili, localizzano nel territorio narnese altre strutture dotate di significativi impianti idraulici: una villa con terme ed acquedotto sarebbe stata incorporata nella Villa Catucci di S. Ange-

lo in Massa, altri resti di edifici erano visibili nelle Loc. Lubriano e Le Mole, poco a valle di Stifone, sulla riva destra, mentre in loc. Colle Orso, più a sud-ovest, era una grande struttura munita di pareti riscaldate a mezzo di tubuli per il passaggio dell’aria calda, situata nei pressi di una sorgente. Nel 1989 una cisterna ed altre due vasche alimentate da una canaletta, pertinenti ad una villa rustica romana del I-II sec. sono state individuate in loc. Mulino del Passatore, presso S. Pudenziana. Nel 1859, scavando fra i ruderi dell’Abbazia di S. Stefano gallorum, poco a valle di Montoro, probabilmente costruita su una villa romana, i marchesi Patrizi arricchirono la loro collezione privata di antichità romane con interessanti epigrafi, frammenti di mosaici, capitelli, statue. Gli esempi sopra riportati dimostrano che il territorio narnese, come tutta l’Umbria meridionale, era ricco di insediamenti rustici: ancora oggi sono riscontrabili numerosi toponimi riconducibili a prediali di origine romana. La stessa gens Pompeia è effettivamente attestata in zona da due epigrafi, rinvenute l’una nel 1970 in loc. Le Mole e l’altra nella zona di S. Pellegrino. Un altro interessante elemento giustamente evidenziato da Bolli è la presenza nel territorio narnese in epoca romana di importanti industrie laterizie, le figlinae narnienses, la cui attività si concentrò massimamente tra I e II sec., attestate da bolli laterizi rinvenuti sia nel comprensorio umbro meridionale che nel Lazio, in particolare a Roma e a Villa Adriana: la zona di produzione doveva essere localizzata a sud di Narni, sulla sponda sinistra del Nera, dove sopravvivono ancora toponimi significativi quali Tegolaro e Testaccio. Indubbiamente il trasporto per via fluviale di questi e di altri materiali tipici della zona (tra cui carbone, olio e altri prodotti agricoli) doveva essere estremamente conveniente rispetto a quello via terra. Interessante al riguardo la menzione da parte di Cardoli di un percorso tracciato nella roccia, ancora ben visibile nel XVI sec., che si originava ad un miglio dalla Porta Romana di Narni ed univa la Flaminia con la sottostante valle del Nera. Un porto fluviale di epoca romana è noto in località Seripola-Castiglioni, alla confluenza del Tevere con il Rio Grande: esso corrisponde al Castellum Amerinum della Tabula Peutingeriana, un insediamento

sulla Via Amerina, la quale proprio a questa altezza traversava il Tevere, che doveva costituire il terminale fluviale della cittadina umbra di Amelia. Finora di tale insediamento sono state rimesse in luce parte delle banchine e alcuni isolati con strade basolate, strutture ricettive e termali che ricordano la descrizione di Cardoli del porto in loc. Bagno. Altro argomento sviluppato dall’Autore, a partire dalla denominazione medievale dell’abitato di Borgaria, posto in posizione strategica e dominante, è la probabile esistenza di una burgaria nel territorio narnese, vale a dire di una organizzazione di fortificazioni a carattere militare realizzata in epoca altomedievale dai bizantini a presidio del proprio territorio nel periodo delle guerre gotiche e della successiva resistenza all’invasione longobarda: l’ipotesi risale a Donald A. Bollough, il quale postulò l’esistenza anche in Umbria di strutture difensive analoghe a quelle riscontrate nell’Italia settentrionale. La città di Narni, la cui formidabile posizione strategica a presidio delle gole del Nera venne sfruttata già dai romani in funzione di avamposto strategico per la conquista dell’Umbria nel III sec. a.C., ne fece nel corso dell’alto medioevo uno dei capisaldi del c.d. “corridoio bizantino”, quella striscia di terra che permise ai Bizantini di mantenere i collegamenti tra Roma e Ravenna, dopo essere stati circondati dai ducati longobardi di Lucca ad ovest e di Spoleto ad est, e che fece perno dapprima sulla Via Flaminia e quindi sulla Via Amerina. Attualmente si preferisce spiegare il toponimo burgaria con riferimento alle popolazioni bulgare giunte a seguito di Goti e Longobardi, ma la presenza di un sistema fortificato altomedievale non può essere esclusa, anche se non se ne conoscono sicure attestazioni monumentali. Di sicura origine bizantina, come sottolinea l’Autore, sono però alcune abbazie che potrebbero essere state parte di questo sistema difensivo: l’accesso nord della gola del Nera era controllato da S. Cassiano, nel cui interno sopravvivono elementi architettonici di stile bizantino, mentre l’accesso sud era controllato dalla perduta abbazia di S. Giovenale, fondata da Belisario presso Orte. Altre importanti emergenze architettoniche chiesiastiche medievali nel territorio narnese, tutte già oggetto di studi da parte di Bolli, sono costituite da S. Michele Arcangelo a Schifanoia, da S. Maria di Visciano (oggi nota come S. Pu-

denziana), dall’Abbazia di S. Angelo in Massa, fondata in epoca ottoniana, e dall’Abbazia di S. Martino a Taizzano. Quest’ultima, ignominiosamente abbandonata per decenni all’avidità di saccheggiatori senza scrupoli, è stata recentemente sottoposta ad un radicale quanto improprio intervento ricostruttivo, pure questo forse senza scrupoli, inaccettabile nel 2000, che non è assolutamente possibile definire come un restauro, e pertanto giustamente condannato dall’Autore. Guerriero Bolli ha svolto per tanti anni il ruolo di funzionario della Società Terni, ma il suo essere un uomo dell’industria non gli ha impedito di vedere al di là delle superfetazioni artificiali che da oltre un secolo hanno massacrato il nostro ricchissimo patrimonio culturale e ambientale, né di sviluppare un profondo interesse e una spiccata capacità critica verso le vicende storicoartistiche del proprio territorio, che egli ha estrinsecato in numerose pubblicazioni. L’Autore onestamente rivendica sempre il suo essere un autodidatta nel settore, per cui gli si possono ampiamente perdonare eventuali lacune e fraintendimenti, mentre va ammirato senza riserve il suo impegno, ormai cinquantennale, nella elencazione, studio e valorizzazione delle emergenze storico artistiche del territorio narnese. Certamente Bolli non ha avuto bisogno di leggersi un romanzo inglese per bambini per rendersi conto che Narnia è il nome di una citta dalla storia plurimillenaria. Paolo Renzi

Abbazia di San Martino - Taizzano Dopo il restauro


LA MIA AFRICA C o n c l u s i o n i

…meraviglia, stupore, incredulità… sono solo alcune emozioni che la mia mente ha provato attraversando la splendida terra del Kenya. Il tragitto tra Mombasa e Nairobi ti fa entrare, come per magia, in un libro di Hamingway, dove la bellezza del paesaggio lascia senza fiato, dove il caldo soffocante non pesa perché non c’è spazio per sensazioni spiacevoli, dove nel paesaggio stesso, disegnato con due soli colori, il rosso della terra ed il verde degli arbusti, non c’è spazio per altri colori. Poi arriva il tramonto ed il balletto di colori trasforma tutto in uno spettacolo che è impossibile descrivere, le tonalità di rosso sono infinite, dal giallo al viola passando per infinite gradazioni di arancione… sembra poter toccare il sole con le mani, lo stesso sole che durante il giorno riscalda esageratamente l’aria e la pelle, mentre a quest’ora tende dei raggi che danno un piacevole tepore rendendo questo momento ancora più magico. Sono ormai due anni che trascorro le mie ferie (sempre troppo poche!!!) in Kenya, ed ogni volta che vi metto piede è come tornare a casa. La sensazione di essere benvoluto, di essere aspettato, ti entra dentro sin dal principio e ti fa stare a proprio agio fin dalle prime ore del soggiorno; di certo è che ciò che a loro importa in gran parte è il $ che noi occidentali portiamo, ma se si riesce a guardare la vacanza non solo spiaggia e cocktail, si scorge in mezzo a loro una umanità da noi ormai dissolta

da tempo. E’ forse questo che mi lega a questa terra e ad alcuni degli uomini che la vivono? Non so rispondere, so solo che questo inizio di inverno sta facendo crescere in me la voglia di ripartire al più presto per tornare da loro, ma ormai non manca più tanto. Nel chiudere questo mio intervento su La Pagina e nel ringraziare il mio amico Giampiero per la possibilità che mi ha offerto di far conoscere questo paese, vorrei dare qualche consiglio a chi, leggendo le mie parole, avesse accresciuta la sua voglia di partire per scoprire lo splendido Kenya. Prima di partire Le vaccinazioni (antimalarica, epatite, ecc…) sono consigliate e non obbligatorie, quindi a Voi la scelta. Il mio consiglio è di non farle... il più delle volte arrecano più male delle malattie stesse... io, mia moglie e mio figlio di 7 anni non abbiamo mai avuto problemi. Sono consigliate invece abbondanti quantità di Autan, soprattutto nei periodi umidi. Per quanto riguarda il clima, il periodo migliore va da fine ottobre a metà marzo, quando arrivano i monsoni e con essi le prime piogge; negli altri mesi si sta bene lo stesso. Magari è meglio dotarsi di qualche felpa per la sera. In Kenya accettano tutte le monete, euro o dollaro non fa differenza, lo scellino keniota va bene ma nel cambio fanno... un po’ come je pare… Per gli apparecchi elettrici il voltaggio è come il nostro solo che usano prese all’inglese quindi occorre munirsi di un adattatore per non

rimanere senza batteria (come per la mia prima vacanza). Il viaggio Il volo dura circa 8 ore se diretto, un’ora e mezza in più se si fa scalo a Zanzibar; noi abbiamo sempre viaggiato di notte così che il tempo passi più velocemente. All’arrivo a Mombasa non aspettatevi pulman tecnologici, scale mobili, ecc… bagaglio a mano e via per il check-out dove... “sorpresa!”... tassa d’ingresso di € 40,00 (da qui inizia una continua richiesta di soldi… fino ad arrivare al pulman). La costa e di conseguenza la parte turistica distano circa 150 km da Mombasa, tragitto che, a causa delle strade dissestate, dei blocchi della polizia locale, del traffico nei centri abitati e della scomodità dei vari pulman, non viene percorso in meno di 3 ore. Cosa fare durante il soggiorno Siete in Africa... anche solo guardare dal finestrino è semplicemente stupendo. I villaggi sono tutti molto ben attrezzati, almeno quelli che sono riuscito a visitare. Piscine, campi da beach volley, quad e jeep in spiaggia, escursioni marine e terrestri, visita ai villaggi, alle fabbriche di legno, o semplicemente sdraiati al sole, a cuocersi.

Le escursioni L’unica cosa che non è possibile fare in Kenya è passeggiare sulle rive del mare e questo perché, non appena si esce dai confini del villaggio, vi aspettano decine di ragazzi locali, chiamati beach boys, che vi assilleranno con le loro parole e frasi ad effetto pur di riuscire a vendervi i loro pacchetti di escursioni. Sono per lo più bravi ragazzi che cercano di lavorare, ma attenzione a chi vi affidate… non posso dare giudizi perché a volte ne ho sentito parlare bene altre meno quindi a voi la scelta, altrimenti si possono organizzare escursioni con il villaggio e qui si va sul sicuro, unica differenza il prezzo. L’uscita da non perdere assolutamente è il safari nei numerosi ed infiniti parchi, nazionali e non, che coprono tutto il territorio. Partire per una sola giornata non ha senso, si corre per tutto il giorno e si arriva a sera sfiniti. Consiglio almeno 2 giorni, così da poter passare una notte in savana. Si può soggiornare in splendidi lodge curatissimi e molto esclusivi o in campi tendati dotati di tutti i confort. Io ho optato per la seconda soluzione e vi assicuro che è qualcosa di inimmaginabile cosa si prova sostare, mangiare e dormire al centro del continente nero. C’è inoltre il cosiddetto safari blu: un’intera giornata in barca passata facendo snorkeling negli splendidi fondali a ridosso della barriera corallina, soffermandosi a mangiare aragoste su piccole isole disabitate. Si possono visitare le centinaia di villaggi dispersi nell’entroterra, fabbriche di artigianato locale,

rettilari di tutti i tipi… insomma se non ci si pianta nel villaggio è possibile scoprire bellezze che solo nei documentari ero riuscito ad osservare. Consigli Per ogni escursione è consigliato uscire sempre con una guida locale. Ci troviamo in un paese molto diverso dal nostro con religione, lingua e soprattutto usanze che spesso non rientrano nei nostri canoni di normalità. Evitare di mangiare e soprattutto bere, quando si esce dal villaggio, generi non confezionati o sigillati perché le condizioni igeniche lasciano a desiderare. Se volete donare oggetti o altro evitate generi alimentari come caramelle e dolciumi vari, la loro alimentazione è molto diversa dalla nostra; molto utili invece indumenti, penne, quaderni e colori che purtroppo non sempre sono a disposizione dei bambini. Ultimo ma non meno importante consiglio è quello di interagire con le persone del posto, di instaurare un dialogo che vi possa permettere di scoprire non solo le bellezze terrene che si trovano in Kenya ma soprattutto la bellezza interiore della gente che lo vive e questo vi assicuro, è l’aspetto più entusiasmante che vi rimarrà dentro al vostro ritorno. La mia avventura finisce qui, ma non la voglia di ripartire, e, se un giorno qualcuno decidesse di affrontare questo splendido viaggio, non esiti a contattarmi: sarò ben felice di dare qualche consiglio perché lo stesso vada nel migliore dei Simone Carletti modi. carlettisimone@tiscali.it

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Natale è arrivato e noi ci troviamo di fronte al solito dilemma: cosa facciamo? Restiamo in famiglia o ci concediamo un bel viaggio? La tradizione vorrebbe che restassimo vicino ai nostri parenti tra pandori, panettoni, cene interminabili e mazzi di carte, ma la tentazione di recarci in qualche posto esotico o comunque più caldo dell’Italia è forte. Così, conto corrente alla mano, siamo di fronte all’agenzia viaggi con

gli occhi sognanti dei bambini davanti ai doni. In media circa 11 milioni di italiani scelgono di fare i turisti a Natale, però quest’anno hanno una sorpresa scomoda ad aspettarli all’aeroporto. L’Unione Europea ha adottato (Reg. CE 1546/2006 del 4/10/2006 ) nuove regole di sicurezza relative ai liquidi che è possibile portare attraverso i punti di controllo degli aeroporti. La motivazione è ovviamente la lotta al terrori-

smo, il risultato è meno chiaro. In sostanza il turista dovrà preparare la sua valigia tenendo presente che se nulla cambia per il bagaglio da stiva, quello cioè che viene consegnato al check-in, per il bagaglio a mano, quello che viene presentato ai punti di controllo di sicurezza aeroportuale, la quantità di liquidi concessa è minima. Infatti sarà consentito trasportare solo un decimo di litro e i recipienti dovranno essere inseriti in un sacchetto di plastica trasparente e richiudibile con dimensioni di circa cm. 18 per 20. Rientrano nella categoria dei liquidi da impacchettare tutte le bevande, creme e lozioni, sprays, deodoranti, dentifricio, trucchi, bagnoschiuma e ogni altra sostanza di simile consistenza. In pratica alle donne si è detto di rinunciare definitivamente al beauty-case, e di escogitare il modo per portarsi in vacanza tutto il necessario per la cura del corpo senza farselo sbatacchiare nelle stive degli aerei. Secondo me è quasi una missione impossibile a cui mi adatterò per il bene comune e

Una cosa è certa: chi, come il sottoscritto, è attanagliato da una atavica fobia per il volo, per il distacco da terra, per il trasporto al di sopra delle nuvole e con i piedi separati dal cielo da un esile strato di ferro, deve aggiungere a tutto ciò il sottile senso di panico che, necessariamente, accompagna l’indicazione (proveniente dall’UE) degli adempimenti necessari al rispetto delle normative anti-terrorismo, recenti e nuovissime, imposte in materia di accesso agli aeroporti ed ai velivoli. Chi, d’altro canto, e giustamente, fa dell’aereo il proprio normale mezzo di trasporto, per necessità o per amore che sia, deve fare i conti con obblighi che la normativa impone in modo estremamente analitico, tramite elenchi di cosa si può e di cosa non si può portare con sé durante il viaggio. E allora, viaggiatori, pazientate, e in aeroporto preparatevi a: - presentare agli addetti alla sicurezza i liquidi trasportati ben chiusi in sacchetti di plastica

trasparenti e richiudibili. Attenzione: dal novembre 2006 il controllo delle sostanze liquide è sottoposto a regole ancor più precise, al punto da prevedere che ogni persona possa portare con sé, al massimo, un sacchetto di capacità totale non superiore al litro. Attenti agli acquisti al Duty Free: essi, naturalmente, sono sempre consentiti, ma ricordate di non estrarre, prima di arrivare a destinazione, profumi o affini dal sacchetto di plastica in cui vi verranno consegnati! Ne rischiereste il sequestro. E’ consentito portare con sé, con il bagaglio a mano, medicine o pappe per bambini, ma, nel primo caso, ricordate di portare la relativa prescrizione medica, nel secondo tenete presente la possibilità che un’ispezione comporti la necessità di far verificare che si tratti effettivamente di alimenti per bambini… - Ai controlli, togliersi giacca e soprabito, che verranno esaminati separatamente. - Estrarre dal bagaglio a mano

i computer portatili e i dispositivi elettronici di grandi dimensioni. Fra parentesi, rammento che dal 6 maggio 2007 lo stesso bagaglio a mano non potrà superare le dimensioni di cm 56x45x25, comprese maniglie, cinghie o oggetti sporgenti dal bagaglio medesimo! Ora, se pensiamo che nell’ambito delle regole dell’Unione Europea cui ho accennato ci sono anche indicazioni che ci ricordano come, fra i liquidi sottoposti a controllo, rientrino anche minestre e sciroppi, o se consideriamo che non sono ammessi la crema di cioccolata, il mascara liquido o, testualmente, il formaggio squagliato (!!!), possiamo valutare il livello di tensione raggiunto dopo l’11 settembre 2001. Verrebbe da sorridere, magari pensando che nella lista dei beni non ammessi rientrano (ma guarda un po’…) le armi da sparo, ma anche le fionde, gli accendini a forma di arma da fuoco, i pattini su ghiaccio

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per un giusto fine che è quello della lotta al terrorismo, però non vorrei che questa smania del controllo eccedesse le vere esigenze. La stessa comunità Europea ha suggerito cautela nei confronti dei controlli che gli USA fanno sui dati dei passeggeri in entrata nel loro territorio. In quest’ultimo caso stiamo parlando di un accesso illimitato alle banche dati comprese verifiche di carattere finanziario, controllo che invade la privacy del viaggiatore. Nell’altro parliamo di un eccesso di zelo che però vi invito ad assecondare. A volte mi domando se questo zelo non sia un modo per fare terrorismo mediatico ingiustificato... mi spiego, con la crisi che le compagnie aeree affrontano, c’è veramente la necessità di impaurire i viaggiatori convincendoli che si possono trasportare esplosivi anche nel nostro succo di frutta? E se sì, perché gli aerei erano considerati statisticamente i mezzi di trasporto più sicuri già prima di queste norme? Senza volermi addentrare nel merito di questo complesso problema è eviden-

te la constatazione che la nostra è una società che basa sul controllo sociale la sua stabilità. Gli osservatori più attenti dei fenomeni sociali hanno denunciato questa verità già da svariato tempo, concentrando la loro attenzione sulla perdita di libertà civili soggette a controllo. Non voglio dire che la società non deve controllare il cittadino, non sono così ingenua da pensare che le persone che compongono la società siano tutte oneste. Le Istituzioni hanno il dovere di verificare il nostro comportamento, ma da qui a farne una cultura del sospetto ce ne corre. Nessuno può togliermi dalla testa l’idea che c’è sicuramente un modo più efficace per fare antiterrorismo che quello di creare file ai varchi aeroportuali. Oggi sono i liquidi, domani saranno gli abiti che indossiamo e così ci ritroveremo tutti all’aeroporto a fare lo spogliarello sotto il metal-detector. Comunque vada auguro a tutti un felice Natale, sia che restiate in famiglia o andiate in vacanza. Serena Battisti

o, ancora, le mannaie da macellaio (ma quale macellaio se le porterebbe in viaggio???), le sciabole e i lanciafiamme… Purtroppo, però, da ridere c’è davvero poco. Tutte queste regole altro non sono che un tentativo di risposta al semplice ma ineluttabile sentimento di paura, compagna che ormai dobbiamo trascinarci dietro, magari esorcizzandola un po’, in un modo

sempre più naturale ed automatico, in occasione di più di una attività legata al vivere quotidiano, come può essere un viaggio in aereo, in treno, in metropolitana. Vedremo tempi migliori? Mah… Una canzone recita… L’uomo sogna di volare… Sinceramente, io spero che, adesso, non ci rinunci. Avv. Giuseppe Sforza

Consulente amministrativo legale


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Pensieri su cucina, cultura e capricci

EDUCAZIONE ALLO SPORT

Né car ne n é p e s c e

Questo è lo sport, questa è la vita...

Non è semplice iniziare un articolo pensando che questo possa suscitare indifferenza o, peggio, possa non colpire il bersaglio che chi scrive si è prefisso, quindi, bando agli indugi, afferriamo il toro per le corna, colleghiamo i pensieri alla penna o meglio alla tastiera... Stiamo entrando in quello che qualche anno fa era l’inverno. Ora è invece una stagione ambigua e i miei pensieri corrono all’indietro mettendo a fuoco i ricordi delle olive condite con la scorza delle arance, l’aglio, il rosmarino e l’olio nuovo di frangitura, essiccate con le bracinate sulla terrazza di casa da mia madre; ora si chiamano olive al forno e questo è tutto dire. Ricordo che con l’arrivo del freddo pungente la seconda o la terza domenica di novembre si preparava il maiale per essere ucciso dopo essere stato nutrito con amore filiale, a base di pastoni con quello che avanzava a casa, tanto il leggiadro suino mangia di tutto e tutto assimila, tutto lo fa più pingue e robusto, più bello agli occhi di chi deve infierire il colpo mortale. Forse la tecnica poteva apparire anche crudele, il

nobile animale veniva sgozzato, tenuto fermo dai contadini su un’asse di legno e, mentre si dimenava nell’ultimo inutile sforzo di sfuggire alla morte, il suo sangue veniva raccolto in un catino. Veniva poi rasato con l’acqua bollente e fumante e con i coltelli affilati, appeso e diviso in mezzene. A questo punto imbacuccate di tutto punto, le donne davano il loro determinante apporto e si preparava il pranzo. Il sanguetto con la cipolla e la bruschetta con l’olio nuovo, le strappatelle col sugo dei ritagli della ciccia e poi la padellaccia con i fagioli cotti nella pigna di coccio dentro il camino. Poi la zuppa inglese che parlava solo ed esclusivamente ternano. Ricordo i funghi, anzi i sanguinelli, le morette, i peperoni, i licinetti, le trombette dei morti, i galluzzi, i porcini, gli ovuli e tutto ciò che poteva essere edibile. Cotti o crudi rappresentavano un momento di grande libidine culinaria: la

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cicorietta da taglio che ospitava gli ovuli o i porcini tagliati e conditi a insalata; le polente con le salsicce, le spuntature e i sanguinelli; le ciriole con le morette; le tagliatelle con i tartufi dei poveri o trombette dei morti; le braciole e le costine arrosto con i peperoni e li raponzoli co l’alicetta e l’ajo bollito co l’aceto… Ricordi e capricci che ormai fanno quasi parte della cosiddetta memoria storica. Ricordo la trippa, con l’odore quasi fastidioso di quando veniva fatta bollire con gli odori, ma ciò era il preludio alla definitiva cottura con il sugo preparato con l’osso de midollo e i rosicarelli, la cipolla steccata con i chiodi di garofano, la carota e il sedano tritati. Tutti a tavola, le scodelle imbiancate dal pecorino romano grattugiato e poi la scarpetta che suggellava la fine di un breve, ma intenso rapporto di gola e di piacere. Ricordo le sere fredde, tutti a casa, il camino acceso con il ceppo di licino che… Al prossimo incontro il camino continuerà a scaldare le serate invernali, dopo l’abbuffata natalizia. Massimo Granati Chef

L’idea di sport, tanto bistrattata da essere confusa, ora con il denaro, ora con l’assenza di etica professionale, ogni tanto prova conati utili a liberarla dall’indigeribilità di certi alimenti. L’ultimo rigurgito ha le sembianze di Cassano. Il genietto della Bari vecchia, cresciuto nell’ambiente difficile della povertà dei quartieri di ogni grande città, aveva tutte le carte in regola per scrivere una favola bella; una di quelle che stimolano simpatia, compiacimento e, all’occorrenza, strappano qualche lacrimuccia di felicità. Saper dare calci ad un pallone non è cosa difficile, l’abbiamo fatto tutti, ma addomesticarlo come sa fare lui, renderlo obbediente ai piedi e alle intenzioni è facoltà riservata a pochi. Non si apprende, ci si nasce, semplicemente. E Cassano l’aveva in dote, anzi nel DNA, come può accadere ad un artista, perchè d’arte si tratta. Si può nascere con il bernoccolo della matematica, con quello della fisica o delle scienze, ma se la fortuna ti ha fatto sviluppare quello del pallone, allora il regalo è doppio, triplo, perchè basta poco tempo ad assicurare una vita sere-

na anche a un paio di tue generazioni. Spesso è la medesima fortuna a riequilibrare i doni sparsi con casualità: un incidente che interrompe la carriera, la nascita di passioni inconciliabili, come donne, alcool, gioco che declassano l’idolo a comune mortale. Ad Antonio Cassano è bastata la testa, l’ignoranza e la previsione di credersi al di sopra di tutto e di tutti. Di geni come lui, e in ogni campo, la storia dell’uomo ne ha contati a bizzeffe. Cadaveri galleggianti sul fiume infinito dell’incapacità a comprendere la grazia ricevuta. Giocare a 16 anni in B, a 17 in A e a 21 nel Real Madrid va oltre le fantasie di ogni adolescente che affronti il calcio con prospettive professionali. E’ quasi una forzatura fatta all’immaginazione più fervida, un’offesa ai sogni che, pure, si nutrono di spazi e ali senza limiti. A lui è accaduto, ma è riuscito a farsi anche cacciare come un cane dal club più blasonato del mondo, portandosi in fronte un marchio che segnerà il suo futuro professionale. Questo è lo sport, questa è la vita. Ing. Giocondo Talamonti

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M A G O

Anno 2036

Anno 2026

Dopo alcuni anni passati alla presidenza delle Nazioni Unite, un Prodi irrancidito come una mortadella lasciata tre settimane nell’angolino in fondo al frigorifero torna in Italia e lancia la sfida a Berlusconi, che ha resistito al governo per un’intera legislatura soltanto grazie al trapianto di tre organi artificiali (cuore, reni e... be’, immaginatevi una delle sue solite battute a doppio senso) ed alla promessa fatta alla Lega di un’annessione del lombardo-veneto all’Austria (Noi dofremmo infadervi? Ma siete difentati scemi? Ma su, cancelliere, è solo per fare un po’ di scena... la prenda come la proposta d’un week-end un po’ diverso dai soliti.).

Dopo un avvincente testa a testa, le elezioni si risolvono all’ultimo voto (con le solite polemiche sulla necessità d’abbandonare scheda e matita copiativa in favore dello scrutinio elettronico) con la vittoria di Prodi. Berlusconi, esacerbato, brontolando di brogli si ritira nella sua villa sull’isola d’Elba. Il nuovo governo Prodi, però, ha vita breve: nel momento in cui il presidente Julian Bush chiede all’Italia di seguire gli USA nell’invasione della Nuova Zelanda, dove hanno preso il potere i fondamentalisti islamici (con conseguente crollo delle esportazioni di lana: i teologi locali ritengono che tosare le pecore equivalga a spogliarle), Rifondazione si sfila dalla maggioranza e nasce un nuovo governo a guida diessina e con l’appoggio esterno dell’UDC.

Dopo alcuni anni passati alla presidenza dell’Amministrazione delle Colonie Terrestri su Marte, un Prodi imbalsamato come una mummia della Locride (dove la conservazion veniva prolungata infilando tra le garze semi di peperoncino) torna in Italia e lancia la sfida a Berlusconi, che ha resistito

al governo per un’intera legislatura soltanto grazie all’impianto nel sistema nervoso di un microchip contenente la registrazione di sette frasi-chiave buone per i comizi e della puntata del TG4 del 26 febbraio 2018 (quella della resurrezione in diretta di Emilio Fede, per imposizione delle mani da parte del Cavaliere) ed alla promessa fatta alla Lega della secessione materiale del lombardo-veneto dall’Italia (Ditemi solo a che altezza volete che ve lo rimonti.

Circolo polare artico? O ci spingiamo un altro poco più a Nord?). Dopo un avvincente testa a testa, le elezioni si risolvono all’ultimo voto (con le solite polemiche sulla necessità di cambiare quel sistema elettorale semiproporzionale con soglia di sbarramento a senso alternato, premio di minoranza e preferenza nullipla) con la vittoria di Prodi. Berlusconi, ostentando indifferenza (in memoria non gli era stato inserito un programma di comportamento da attivare in caso di sconfitta: l’ipotesi non era stata preventivata), si ritira nella sua villa sull’isola di Sant’Elena. Il nuovo governo Prodi, però, ha vita breve: nel momento in cui il presidente Godfrey Bush chiede all’Italia di seguire gli USA nell’invasione della Groenlandia, accusata di nascondere armi di

distruzione di massa (Ma no, non siamo noi, è l’Islanda che sta lavorando all‘atomica! - Ah! Noi però... dove cavolo mi sono appuntato la spiegazione di riserva? ... ecco, siamo venuti a portarvi la democrazia!), i Comunisti Italiani si sfilano dalla maggioranza e nasce un nuovo governo a guida margheritina e con l’appoggio esterno del Movimento per le Autonomie.

N A N D O Anno 2046

Dopo alcuni anni passati alla presidenza dell’Azienda Municipalizzata del Gas di Dubrovnik, un Prodi tenuto insieme con lo spago torna in Italia e lancia la sfida a Berlusconi, che ha resistito al governo per un’intera legislatura soltanto grazie all’ibernazione (in sua vece ha concretamente governato

il figlio Pier Silvio) ed alla promessa fatta alla Lega di ripristinare lo stato centralista (Sennò non ci vota più nessuno! In Padania dicono che ormai siamo utili quanto una vite spanata). Dopo un avvincente testa a testa, le elezioni si risolvono all’ultimo voto (con le solite polemiche sulla scarsa veridicità di sondaggi ed exit-poll, che in principio avevano dato in testa il Nuovo PSI di De Michelis) con la vittoria di Prodi.

Berlusconi, prontamente ricongelato dai coordinatori nazionali di Forza Italia (additati dai più quali principali responsabili della sconfitta), viene ritirato nel freezer a cinque stelle della casa al mare di Sandro Bondi, che diventerà presto meta di pellegrinaggio dei fedeli (previsti sconti per comitive sul costo del biglietto). Il nuovo governo Prodi, però, ha vita breve: nel momento in cui il presidente Cornelius Bush chiede all’Italia di seguire gli USA nell’invasione di New York, staccatasi dal resto del paese in un disperato tentativo di riavere un’amministrazione liberal (ma alle elezioni presidenziali, a sorpresa, avevano vinto anche lì i repubblicani), il correntone diessino si sfila dalla maggioranza e nasce un nuovo governo a guida udeurrina e con l’appoggio esterno di Alleanza Nazionale.

Anno 2056

Dopo alcuni anni passati su una panchina dei giardinetti pubblici di Sasso Marconi, un Prodi che non si ricorda più chi è (Tu sei il nostro leader! Noi ti stimiamo e ti siamo fedeli... - Piantala Massimo, che tu mi prendi per il sedere non me lo sono ancora scordato) torna in Italia e lancia la sfida a Berlusconi, che a sua volta non rammenta più i motivi della sua discesa in politica, ma proprio scemo non è diventato (Non capisco perché le reti Mediaset mi trattino così bene... comunque, voglio ricambiare la loro gentilezza con una legge che le favorisca). Dopo un avvincente testa a testa, le elezioni si risolvono all’ultimo voto... Ferdinando Maria Bilotti

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L ’ A N G O L O L a

Questa volta presentiamo in retroprima assoluta il film che tra non molto partorirà il genio informe di Gianni Amelio con l’aiuto, aiuto!, di Giuseppe Tornatore: La cassetta delle lettere, dal sottotitolo La cassetta della posta. Riporto per completezza che in origine il titolo era La cassetta delle chiavi col relativo sottotitolo La cassetta. Questa è la triste storia di un ingegnere al quale per errore il computer della società per cui lavora toglie la laurea. Siccome che è raccoman-

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D E L

c a s s e t t a

dato, è l’unico sopravvissuto all’ondata di licenziamenti che colpiscono la società dopo la morte per suicidio colposo del direttore generale (l’ultima frase mentre dipartiva fu: Ma non era la pistola del pupo?). E’ così che la società viene acquistata da una televisione colombiana famosa in tutto il Sud-America per il programma Striscia alla notizia. I nuovi proprietari, gente meticolosa, smontano l’intera sede della società e la trasferiscono nel loro paese. Fantasimo, questo è il nome del protagonista sempre con la testa tra le nuvole a causa dei continui calcoli al cervello, non si accorge del cambiamento, ma un uomo che corre sui muri lo riporta alla dura realtà. Dove mi trovo perbaccolina? si domanda al rallentatore Fantasimo, in una scena definita da Stokhausen Musica, musica, musica! Sempre correndo sui muri l’improvviso avventore, che, grazie alle insistenze di Tornatore indossa una maschera, risponde al protagonista: Siamo in Colombia lumacun!, e così dicendo schizza via. Lo spaesato protagonista realizza che deve parlare al nuovo direttore e si avvia verso una porta con scritto direciones, bussa più volte,

G R A N D A N G O L O d e l l e

ma nessuno risponde. Allora con risolutezza la apre, ma la vista di quello che vede lo lascia di stucco, ma non ve lo posso dire per non rovinarvi il film. Un roboante vocione proveniente dalle sue spalle lo fa trasalire: Entri pure nel mio ufficio, signor? - Fantasimo, direttore, sono un ingegnere della sua società. - Aspetti che controlliamo. Il direttore chiama il suo cane e parlotta per alcuni

secondi con lui e, rivolgendosi nuovamente al malcapitato, Signor Fantasimo a noi risulta che lei è un pulisci stracci. - Ma che dice! Io sono un eminente scienziato, ci deve essere un errore! - Mi dispiace, può anche darsi, ma siccome gliel’ho comunicato io, e io non sbaglio mai, allora è lei che si sbaglia. Comunque può inoltrare un reclamo su carta bollata da cento euro. - Ma io non ho un

l e t t e r e soldo con me in questo momento. - Allora vada a pulire gli stracci e quando avrà la cento euro inoltri la domanda. Comunque dato che mi sei molto simpatico voglio aiutarti, ti regalo questa cassetta delle lettere. Fantasimo, confortato dal gesto saluta il direttore mentre si allontana. A questo punto non rimane che pulire un pò di stracci, però… come mai in Colombia parlano tutti l’italiano? L’attimo in cui Fantasimo ha questo pensiero viene super-rallentato parossisticamente al moviolone, e questo causerà il collasso cardiocircolatorio del protagonista. Viene svegliato nella corsia di un ospedale da una bellissima infermiera cinese: Cos’è questa cosa che stlingi folte folte? - E’ una cassetta delle lettere, non ne hai mai vista una? - No pultloppo noi in Cina non avele. Fantasimo viene scosso da un tumulto di pensieri: Se riesco a portarla in Cina la brevetto e sono ricco! Scatta giù dal letto e parte immediatamente per la Cina. Appena è uscito due infermieri con scritto sul berretto manicomio catturano la falsa infermiera e la riportano al reparto da cui è fuggita. Intanto il nostro eroe sul treno ColombiaCina, travestito da controllore, ammira tanti bei paesaggi dal finestrino.

Durante un lungo piano sequenza sottolineata da una lunga sequenza di piano che dura quaranta minuti, si domanda a pensieri alti: Arrivato in Cina devo trovare l’amica Liù. Non so dove abita, ma so che imita benissimo il verso del gatto. Con questi pensieri si addormenta stringendo al petto la sua cassetta delle lettere. Riuscirà il nostro eroe a trovare Liù ed a brevettare il diabolico marchingegno? Lo sapremo, compreso me, la prossima puntata. Fine della prima parte

Orlando Orlandella


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