Requiem in blu
Francesco Borzini
N° 10 - Dicembre 2009 (70°)
Quando muore un operaio è come se non fosse morto niente e la vita riprende come prima, senza sussulti e senza cambiamenti. Quando muore un operaio la tv si indigna, ma per finta. Subito si annoia di una banalità scontata. Trent'anni, o giù di lì. Padre di famiglia. E si schiude uno sbadiglio in dissolvenza. Quando muore un operaio c'è qualcuno che domanda: Ma che ci sono ancora gli operai? Non si sono estinti per via di un cataclisma o trasformati in stormi per volare lontano, in Cina, in India o in Romania? Quando muore un operaio scopri il suono di parole nuove, sodio solfidrato e acido cloridrico. Ma come cazzo si fa a lavorare tra quella roba lì? E finisci per baciare con trasporto la scrivania. Quando muore un operaio c'è sempre qualcuno che ti dice “E’ stata una triste fatalità!”. E così i padroni si autoassolvono al pensiero di non essere padroni del destino. Quando muore un operaio i politici sono solidali, vestono la faccia di sgomento e dicono: “Mai più! Prenderemo misure efficaci, valuteremo l'opportunità di attenzionare...”. Quando muore un operaio mica è morto un militare che tutti si mettono all'impiedi per salutare i “nostri ragazzi” caduti difendendo l'onore della Patria. Si rimane seduti, quando muore un operaio. Quando muore un operaio ti accorgi che ha la tua stessa età e la tua stessa faccia le stesse scarpe da calcetto sporche di erba e di terriccio. Quando muore un operaio tutti ti diranno che è morto un giovane, un padre, un figlio o un italiano. Non un operaio. Perché quella parola è morta prima di lui. Quando muore un operaio, infatti, è come se non fosse morto niente e la vita riprende come prima: occhi bassi e rabbia muta in corpo.
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La poiana non ha nulla da rimproverarsi. Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera. I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni. Il serpente a sonagli si accetta senza riserve. Uno sciacallo autocritico non esiste. La locusta, l’alligatore, la trichina e il tafano vivono come vivono e ne sono contenti. Il cuore dell’orca pesa cento chili ma sotto un altro aspetto è leggero. Non c’è nulla di più animale della coscienza pulita sul terzo pianeta del sole. Wisława Szymborska Lode della cattiva considerazione di sé ADELPHI EDIZIONI