La pagina febbraio 2008

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Ordinario Paradiso

Giampiero Raspetti

N° 2 - Febbraio 2008 (52°)

Di caste, discendenze, bambocci, figli di papà, mafia diffusa, amichetti di congrega, leinonsachisonoio et similia, in Aitalia, la meravigliosa nazione dell’Antiterra, non c’è più minima traccia. Da quando tale Talete, dopo aver misurato per il faraone Tolomeo III l’altezza della piramide di Cheope, dando così prova di notevolissimo ingegno, richiesto dallo stesso come maestro dei suoi figli, rispose laconicamente, ma argutamente: Non ci sono vie regie per la matematica! Disse cioè che si può essere stupidi anche se figli di faraone. Ed anche se figli di gallinacci, di uccelli del paradiso, di gazzeladre. In Aitalia non si verificano più neanche le morti bianche! Aitalia ha conosciuto invero periodi burrascosi in cui chiunque fosse al potere era lì proprio perché parte apicale più corrotta di quel potere stesso. Scopi: quelli esclusivamente personali. Per molto tempo solo ciarlatani e venditori ambulanti di bassa lega conquistavano il potere, ma un giorno il popolo prese coscienza che non ci sarebbe stato alcun futuro proseguendo nell’ecatombe delle intelligenze e dei sani princìpi. Un grande profeta immortalò: Il problema non è solo morale: è anche culturale! Largo igitur alla meritocrazia ed alla aristocrazia intellettiva. Cercarono di farlo passare per pazzo, miscredente, attentatore dei veri valori della famiglia e della società. I detrattori, sudboli ed ipocriti, si presentavano infatti come paladini dei valori tradizionali o come servi del tempio (ma ne facevano solo scempio). Fu Rivoluzione! Il popolo infatti non digeriva più che ogni mascalzone ricco accusasse i giudici; non uno che non fosse, a parole, innocente, mentre ogni mascalzoncello povero era sbattuto, senza indugio, in galera. Tutto cambiò! C’erano, in Aitalia, regioni senza il rispetto di regola alcuna: nemmeno il sospetto che si dovessero usare cinture di sicurezza nell’auto, né di indossare il casco alla guida della moto o nel compiere lavori pericolosi. Lo scandalo esplose quando si ebbero prove lampanti che, in quelle regioni, nessuna autorità sentisse, minimamente, il dovere di far rispettare le leggi. Allora, concorrendo anche altri mefitici episodi, ci si accorse che il paese era paralizzato da spirito mafioso dominante e fievoli apparivano le speranze per un futuro civile! Si capì che andava semplicemente cambiato tutto. Sparirono i ferrivecchi... molti si dedicarono al giardinaggio, alcuni ai lavori forzati, altri cominciarono a sfogliare il sussidiario. Da allora si vietarono i mezzi di comunicazione di massa agli imbonitori, alla propaganda becera, alle assoluzioni mediatiche, alle concezioni private e dogmatiche. Dei cialtroni astrologi si perdettero le tracce. La legge è ora uguale per tutti; la scuola è selettiva: i suoi caratteri sono scientifici. I figli scemi dei gradassi non dirigono aziende. Al più si adoprano come portinai o fattorini. Oh, Aitalia, ordinario incantamento!

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Il mestiere di lettore , P Fabbri M’illumino di meno , M Lando Una mobilità sostenibile , J D ’ A n d ri a Diritti Umani , M R i cci Dare un futuro alle idee del futuro, A Melasecche Le cavie bambino di Kano, F P a t ri zi I l p i a c e r e , C C a rd i n a l i Terni:la luce che cura , F Raggi N o r m a i n a r t e M a r i l y n , B Ratini Novecento , P. S er i 7 Elementare, S Raspetti, MT Bellucci 8-9 L i c e i 10 De schola, A Mustafaj, GR, M Caldo Galizia , A S ca l i se FELICE FATATI , E Ruffinelli, A Ceccoli, Chi ha incastrato le emozioni?, E S t en t el l a L’ o v v i o e l e s u e o m b r e , A R o s c i n i O s c a r P i s t o r i u s , G Ta l a m o n t i L a r i c e r c a d e l l a f e l i c i t à , C Ma n t i l a cci Antimago RASPUS Il bassotto raccomandato , F P D a l l a C a l l a C , FM Bilotti

Tra di noi Ma cosa aspettiamo a prenderci per mano... ... a mandare al diavolo l’odio viscerale e le ipocrite barriere a noi imposte? Cosa aspettiamo a perseguire giustizia, gentilezza, virtute e conoscenza? Che Dignità ci vieti di strisciare di fronte ad uomini di potere ed a smargiassi imperi temporali e ci spinga a voler far bella figura solo agli occhi dei poveri disgraziati.


Il mestiere di lettore

Dentro un giornale, un qualsiasi giornale, ci sono distillati molti mestieri. C’è la fatica del direttore, l’investimento dell’editore, il sudore del redattore, il viaggio dell’inviato. E, a ben vedere, queste sono solo le presenze più appariscenti, perché ci sono anche stampatori, inchiostratori, fotocompositori, distributori, in una catena davvero lunga e complessa di professioni convocate e riunite, solo per produrre l’oggetto che poi il lettore finalmente potrà tenere in mano - il giornale, appunto - e consumare leggendo. Quello che però non ci si aspetterebbe proprio è che sia richiesta ancora una importante ed essenziale figura professionale, depositaria di un mestiere che non si ritiene normalmente essere tale: quello di lettore. Perchè è davvero sempre più difficile estrarre dai media le informazioni, isolare i fatti, metterli in fila bene ordinati e ben separati dalle opinioni; ripuliti dalle urla, candeggiati dallo sporco delle strumentalizzazioni, sterilizzati dagli schieramenti. Esistono notizie così appesantite dalle urla di guerra che, una volta tolto il rumore, si riducono quasi a niente. Altre invece rimbalzano, crescono, diventano valanga, slavina, anche se inizialmente erano solo

Dove trovare

ciottoli insignificanti dimenticati ai bordi della strada dell’informazione. E altre ancora che, semplicemente, diventano cosa diversa da quello che erano in origine, proprio perché si vuole che cambino pelle e natura. All’Università di Roma si sono visti schieramenti cupi e decisi: studenti che rivendicavano la laicità dell’istituto universitario, altri che si imbavagliavano per protestare contro l’intolleranza di 67 docenti che non volevano far parlare il Papa desideroso di intervenire in aula magna. Ed è subito guerra; quasi una lotta antica, una rinnovellata lotta per le investiture, con accuse di intolleranza verso gli uni, accuse di illecita invasione di campo verso gli altri. E il lettore che fa, che può fare? Si schiera, prima ancora di capire: dalla parte dei docenti, dalla parte del Papa. E con lui si schiera la classe politica, stando attenta a mettersi bene in mostra dalla parte che - per sondaggio o evidente vox populi - è certo la parte giusta. E volano dichiarazioni urlate e promesse di guerra, e chi urla e fa sentire il rumore delle sciabole non può sentire altro che i rumori della battaglia. Così, pochi lettori avranno avuto la pazienza di giungere a vedere che i docenti di Fisica non protestavano

La Pagina

ACQUASPARTA SUPERCONTI - Viale Marconi AMELIA SUPERCONTI - V. Nocicchia MASSA MARTANA SUPERCONTI - V. Roma NARNI SUPERCONTI - V. Flaminia Ternana ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima PERUGIA SUPERCONTI CENTRO BELLOCCHIO - V. Settevalli RIETI SUPERCONTI LA GALLERIA - V. Micioccoli TERNI ACI AUTOMOBILE CLUB TERNI - V.le Battisti CARIT - Corso Tacito C O. SE. BAR - Bar ed edicola interni - Ospedale S. Maria INPS - V.le della Stazione LIBRERIA ALTEROCCA - C. Tacito SUPERCONTI CENTRO - V. Faustini SUPERCONTI CENTROCESURE - V. Rossini SUPERCONTI C. COMM. LE FONTANE - V. della Stadera SUPERCONTI CORSO DEL POPOLO - C. del Popolo SUPERCONTI DALMAZIA - P.zza Dalmazia SUPERCONTI FERRARIS - V. Ferraris SUPERCONTI TURATI - V. G. Di Vittorio SUPERCONTI STAZIONE - P.zza della Riv. Francese VITERBO SUPERCONTI - Via Belluno

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contro il Papa e contro il suo diritto a parlare, ma contro il rettore che aveva invitato il pontefice a tenere la lectio magistralis durante la cerimonia d’apertura dell’anno accademico, momento rituale della vita universitaria; protesta che si può condividere o meno, ma che quantomeno era diretta ad un superiore gerarchico, e non aveva la cifra dell’imbavagliamento. Ancora meno lettori, affrettati dallo schieramento di guerra che si è subito formato, avranno avuto la pazienza di andare a vedere che la lettera dei docenti datava non 10 Gennaio, quando il caso è esploso, ma 10 Novembre, e che a quel tempo non aveva causato esplosione alcuna. E infine quasi nessuno avrà avuto cuore e voglia di andare a leggere quel verbale del Senato della Repubblica in cui si scopre che tutto il can can trae origine da un’interpellanza di un senatore che dichiarava inopportuna la nomina di un professore a presidente del CNR, motivando la cosa proprio con la firma del designato apposta sotto la lettera dei 67. Perché se si fosse partiti da qui, da questa nascosta e tutt’altro che evidente origine, forse non si sarebbe arrivati a chiamare in causa il fisico Galileo Galilei, i filosofi Paul Feyerabend e Ernst Bloch, e probabilmente neppure il teologo Joseph Ratzinger; si sarebbe invece visto subito che c’era solo un parte politica che non voleva lasciare una importante poltrona nelle mani dell’altra parte politica. E quella che due mesi prima era apparsa solo come una trascurabile querelle interna ad una università della capitale non sarebbe forse assurta a crisi politica e internazionale. Difficile, davvero tanto difficile, imparare a leggere i giornali. Piero Fabbri

M’illumino di meno Per il 4° anno consecutivo il 15 febbraio 2008 sarà una grande giornata di mobilitazione internazionale in nome del risparmio energetico. La campagna M’illumino di meno 2008 dà voce alle idee più interessanti e innovative, in Italia e all’estero, per razionalizzare i consumi d’energia e di risorse, dai piccoli gesti quotidiani agli accorgimenti tecnici che ognuno può declinare a proprio modo per tagliare gli sprechi. Il MPI con una circolare nazionale, ha invitato i Presidi ad aderire all’iniziativa per una sensibilizzazione degli insegnanti, degli studenti e del personale tutto. In alcune scuole hanno eletto tra i ragazzi gli energy manager addetti al contenimento e repressione degli sprechi energetici negli edifici scolastici. Quello che ci si propone è di trovare un modo affinché il 15 febbraio si riesca a convincere più gente possibile ad iniziare a risparmiare energia. La più economica ed ecologica risorsa per il soddisfacimento del fabbisogno energico: il contenimento dei consumi. E’ una centrale che non inquina, non costa denaro, anzi fa risparmiare. Non ha capitali da investire, e non porta malattie nuove. Non ha problemi di smaltimento né di fumi velenosi. E’ un valore da valorizzare. Non è vittima di pubblicità ingannevole. Un modo di stare con i piedi per terra. Non si schiererebbe nella infruttuosa e viziosa discussione tra pannelli solari ed energia eolica. Sarebbe una storia realmente diversa da quelle quotidiane.

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Auspicabile la sensibilità dei cittadini, anche di quelli che gettano carte e cartacce dai finestrini, di quelli che scambiano aiuole per discariche o sabbiere. Altri però, con la schiena piegata come gli asini di una volta, gravata da un consistente basto quotidiano, percepito sempre più in continuo aumento su tutti i fronti (economico, ecologico, organizzativo, rappresentativo, sociale), chiedono, spesso inascoltati, più luci nelle strade. Ovviamente non temono di cadere, loro, preoccupandosi delle zone cittadine del centro ove i sampietrini rappresentano mare mosso forza 4 e il lucido dei marmi delle nuove ridenti piazze, nei giorni umidi e piovosi, invece, una bella prova di equilibrio. Si riferiscono invece a quelle zone meno frequentate. Quelle dove dopo le sette di sera non trovi più un cane. A guinzaglio tanti, ma un ternano neanche a pagarlo. Quelle strade che impensieriscono anche le ultime commesse che rientrano frettolosamente. Quelle strade e piazze ove non si sente più una parola nostrana. Forse, con tono esageratamente allarmato, è lecito domandarsi se nello stato in cui versa la nostra città sia veramente consigliabile promuovere nelle vie e piazze lo spegnimento di luci per la manifestazione di risparmio energetico, senza evitare che la schiena di qualcuno realmente ceda. Mario Lando

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, V. Carbonario 5 Tipografia: Umbriagraf - Terni In collaborazione con l’Associazione Culturale Free Words

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore Giampiero Raspetti R E D A Z I O N E Elettra Bertini, Angelo Ceccoli, Pia Giani, Alessia Melasecche, Francesco Patrizi, Alberto Ratini, Beatrice Ratini, Adelaide Roscini, Emanuela Ruffinelli, Albano Scalise, Eleonora Stentella.

Editrice

Projecta s.a.s. di Martino Raspetti e C.

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Una mobilità sostenibile

E’ giunto il momento di cominciare ad approfondire le direttrici di ricerca seguite dai principali costruttori automobilistici per arrivare all’obiettivo finale: il veicolo ad emissioni zero. Dove il calcolo dell’impatto ambientale del veicolo tenga conto dell’intero ciclo di vita (Life Cicle Assessment), dall’estrazione delle materie prime alla produzione, dalla distribuzione alla vendita, dall’utilizzo al fine vita con il conseguente smaltimento. La ricerca ha intrapreso da tempo strade diverse, con impegno e risultati ovviamente dipendenti da molteplici fattori: l’entità degli investimenti dei costruttori e degli incentivi pubblici, l’andamento del prezzo del petrolio, la sensibilità ambientale dei consumatori nei vari mercati. L’innovazione tecnologica ha riguardato innanzitutto i propulsori tradizionali, alimentati con benzina e gasolio (soprattutto sul mercato europeo, visto che nel Nord America e in Giappone l’autotrazione diesel è rimasta confinata ai veicoli commerciali). Con l’introduzione delle prime normative sul controllo delle emissioni inquinanti degli autoveicoli, a partire dallo Stato della California alla fine degli anni ’60, i motori a combustione interna hanno iniziato a subire un inarrestabile processo di rinnovamento. E’ bene ricordare che le normative anti-inquinamento, meglio note in Italia come Euro 0, Euro 1… fino alla vigente Euro 4, furono scritte dal legislatore (statunitense, giapponese, europeo) con l’intento di indurre un’evoluzione dei carburanti, dei propulsori, dei sistemi elettronici di controllo delle emissioni a bordo degli autoveicoli. L’obiettivo era chiaramente di ridurre l’impatto ambientale dell’autotrazione, viste le condizioni sempre più critiche dei grandi centri urbani in termini di qualità dell’aria. L’inizio anche in Italia, alla fine degli anni ’80, della cosiddetta era delle vetture catalitiche, dotate di un catalizzatore sulla linea di scarico in grado di abbattere in maniera sensibile il livello di emissione degli inquinanti più conosciuti (monossido di carbonio, idrocarburi incombusti, ossidi di azoto) ha avuto come effetto inevitabile l’introduzione di complessi sistemi di controllo elettronici a bordo di tutti i nuovi veicoli. La gestione della combustione, prima affidata a dispositivi meccanici (carburatore per veicoli a benzina, pompa di iniezione per veicoli diesel), è stata affidata a software sempre più complessi, per raggiungere livelli di efficienza tali da limitare le emissioni di gas nocivi. I computer di gestione del motore sono stati provvisti di sistemi di diagnosi di bordo OBD (On Board Diagnosis) così come i veicoli di connettori di diagnosi per la rilevazione di segnali sensibili per determinare il livello di efficienza del propulsore. L’iniezione del carburante dei motori a benzina è stata affidata ad elettroiniettori, mentre nei motori diesel, con l’introduzione dei sistemi common-rail, la gestione del volume e dell’anticipo di iniezione del gasolio (prima prerogativa della pompa di iniezione meccanica) è diventata elettronica e ha richiesto l’utilizzo di sofisticati elettroiniettori in grado di lavorare con pressioni del carburante superiori a 1000 atmosfere. Le automobili degli ultimi due decenni hanno mantenuto per la stragrande maggioranza le tradizionali alimentazioni a benzina e a gasolio, ma hanno compiuto rilevanti passi in avanti in termini di efficienza dei propulsori, con una rilevante riduzione dei consumi specifici e un drastico abbattimento del livello delle emissioni. Questo principalmente grazie al controllo elettronico della quantità di carburante iniettato e dell’anticipo ad ogni ciclo di combustione, oltre che all’introduzione di nuovi dispositivi come il ricircolo dei gas di scarico (EGR), per la riduzione delle temperature di picco in camera di combustione e quindi delle emissioni di ossidi di azoto. Fondamentale ovviamente lo sviluppo di sempre più sofisticati dispositivi di contenimento e di abbattimento dei gas inquinanti allo scarico, come i catalizzatori a tre vie e ad ossidazione, i filtri antiparticolato, i catalizzatori per la riduzione degli ossidi di azoto. Ing. Jacopo D’Andria

Dopo aver precisato quali sono i diritti umani e avere analizzato i problemi che essi comportano riguardo la loro universalità, cominciamo a percorrere il loro cammino nella storia dell'Occidente. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti, così recita l'articolo primo della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: tutti gli uomini sono uguali per natura dunque debbono esserlo anche davanti alla legge. A questa convinzione l'umanità è arrivata dopo un lungo cammino, il cui punto di partenza è stato esattamente l'opposto, ovvero: gli esseri umani nascono diseguali per natura e dunque lo sono anche di fronte alla legge. Analizziamo rifacendoci alle radici della cultura occidentale. Cominciamo con il mondo greco. Qual è il concetto che ha dell'uomo la cultura greca? L'uomo greco è maschio e razionale cioè intelligente. Tutto ciò che non rientra in questa definizione è considerato inferiore, più ci si allontana dalla razionalità, più cresce l'inferiorità, cosicchè la donna, essendo considerata meno razionale, è inferiore al maschio. Segue in questa gerarchia il barbaro, cioè colui che è inferiore perché non parla il greco e appartiene ad una cultura diversa, lo schiavo poi non è considerato completamente umano. Questa diseguaglianza è per natura. Dunque godono della uguaglianza di fronte alla legge soltanto i greci maschi, liberi cittadini, tutti gli altri sono diseguali. Tuttavia è proprio nel mondo greco che iniziano a nascere posizioni diverse rispetto alla uguaglianza. La cultura razionalistica che esprimono Socrate e i sofisti comincia a contestare la visione tradizionale arrivando ad affermare con Antifonte che per natura siamo tutti assolutamente uguali, barbari ed elleni... respiriamo tutti con la bocca e il naso. Alcuni sofisti partono dalla comune costituzione biologica per affermare la

DIRITTI UMANI 5°

naturale uguaglianza degli esseri umani. La natura, a loro avviso, ha fatto gli uomini tutti uguali; chi li ha resi diseguali è la legge, che ammette la schiavitù. Possiamo allora affermare che è nel mondo greco che comincia a manifestarsi con chiarezza l'uguaglianza per natura come un diritto di tutti gli esseri umani. Questo diritto però non è il solo ad essere stato prodotto dalla cultura greca. Accanto ad esso troviamo la prima manifestazione di un altro dei diritti fondamentali della cultura occidentale, il diritto alla libertà di coscienza dell'individuo nei confronti dello Stato. Di questo diritto abbiamo due esempi, uno tratto dalla letteratura, l'altro dalla storia, entrambi illuminanti per farci capire che cosa sia la libertà di coscienza. Sofocle, uno dei tre grandi tragici greci, affronta nella sua tragedia Antigone un problema che si riproporrà continuamente nella storia occidentale, quello del rapporto tra la libertà dell'individuo e la legge dello Stato. Il contrasto si sviluppa tra il re di Tebe Creonte (lo Stato) e Antigone (l'individuo). Il primo ha ordinato che nessuno seppellisca il figlio Polinice, che, traditore della patria, giace insepolto fuori dalle mura alla mercè degli avvoltoi. Antigone disobbedisce al re e dà sepoltura a Polinice in nome della sua coscienza religiosa che le impedisce di

commettere quello che lei ritiene un delitto e paga il suo gesto di libertà finendo sepolta viva. E' il primo grande gesto di disobbedienza civile, ma è comunque letteratura, la quale è però espressione di un problema e di una sensibilità che ormai avevano fatto breccia nella cultura greca. Chi incarnerà nella realtà storica il primo gesto di disobbedienza civile in nome della propria libertà contro la legge ingiusta dello Stato è Socrate, il quale viene accusato dal potere di non credere negli dèi e di corrompere i giovani. Processato e condannato, piuttosto che scappare preferisce affrontare la morte per dare testimonianza della ineliminabile libertà di pensiero e di espressione. Anche uno degli ultimi atti della filosofia greca sarà quello di riconoscere con gli Stoici che nessun uomo è per natura schiavo, non esiste nobiltà di sangue né superiorità di razza, l'uomo è cittadino del mondo. Essi, riprendendo i sofisti, riconoscono per mezzo della ragione la presenza di una legge naturale universale, valida per tutti, per la quale tutti gli uomini sono uguali. Siamo di fronte alla ammissione della esistenza di un diritto di natura, cioè a quella che sarà la dottrina moderna del giusnaturalismo. Marcello Ricci

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Dare un futuro alle idee del futuro Le cavie bambino di Kano

alessia.melasecche@libero.it

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Quando vide la quantità di liquido cefalorachidiano estratto dalla testa del bambino, Idris chiese al medico: Secondo lei, quanto liquido ha il piccolo? Ne ha ancora un bel po’... Dopo mezz’ora il bambino morì. Idris è un professore di medicina ed è uno dei test chiave nel processo intentato in Nigeria dall’avvocato Irukera contro la casa farmaceutica Pfizer. Nel 1996 si diffonde un’epidemia di meningite, la Pfizer si precipita a Kano, nel nord del paese, per portare aiuti umanitari. Si piazza in ospedale, nella corsia accanto a Medici senza Frontiere, e comincia a somministrare un farmaco ai bambini.La paziente 0069, di cinque anni, lo rigetta. La Pfizer continua forzatamente la cura per tre giorni e la bambina muore. Il farmaco in questione è il Trovan e l’epidemia è l’occasione per testarlo. Medici senza Frontiere chiede l’allontanamento immediato dall’ospedale della troupe della Pfizer. La potente casa farmaceutica si sposta poco lontano e continua a curare centinaia di bambini. Le famiglie nigeriane credono che si tratti sempre di Medici senza Frontiere. Nessun genitore firma nulla né viene informato delle sperimentazioni. Fare un simile lavoro in un paese africano durante Corso Vecchio, 48/50 - Terni Tel. 0744 402229

Secondo il Global Innovation Scoreboard pubblicato dall’Unione Europea l’Italia non è più da tempo considerata come una nazione leader nell’Innovazione. Dei paesi del G-8, l’Italia figura semplicemente, e drammaticamente, come paese spettatore. Varie sono le ragioni per cui i dati statistici sono così sconfortanti. Innanzitutto il 58% delle aziende italiane sono gestite a livello familiare. Inoltre vi è un gran numero di società private la cui dirigenza è giunta al limite di un cambio generazionale, situazione questa che genera di frequente una rilevante attività economica, ma non possiede né accesso diretto al capitale né l’esperienza necessaria per aiutare le aziende stesse a

crescere nel sistema economico globale o per garantire la loro sopravvivenza attraverso cambiamenti sostanziali. Quello che manca è il propellente, ovvero un ecosistema culturale, imprenditoriale e finanziario che sia tollerante del rischio e disposto ad investire su imprenditori ed aziende di piccole dimensioni. Un dato curioso è che molti grandi imprenditori americani, se non la maggior parte, hanno ripetutamente fallito prima di riuscire a dar vita alla loro gazelle, in gergo economico, le imprese innovative ad alto potenziale di crescita. Per di più negli Stati Uniti vi è una pletora di angel investor o business angel, venture capitalist e società di private equity, ovvero investitori privati informali, che hanno in pratica finanziato migliaia di imprese come ad esempio Google. Senza i contributi finan-

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In Italia ed in Umbria estremo il bisogno di cambiare marcia

ziari e manageriali strategici degli investitori, molte brillanti idee, nate all’interno delle università, non avrebbero mai raggiunto la loro piena realizzazione. In Europa, si rileva una grande disponibilità potenziale di risorse finanziarie sul mercato del capitale di rischio informale, in grado di colmare l’equity gap (ovvero la scarsità di investimenti a titolo di capitale di rischio nelle fasi iniziali di vita dell’impresa) che ostacola l’emergere ed il consolidarsi di imprese innovative ad elevata potenzialitàdi crescita. Gli investimenti di venture capital in Italia, in percentuale al PIL, sono inferiori rispetto a tutti gli altri paesi europei occidentali ad eccezione del Portogallo che si colloca dopo di noi. Negli Stati Uniti sono pari a 40 volte la percentuale dell’Italia, sempre in relazione al PIL. Inoltre la situazione italiana è caratterizzata da scarsa consapevolezza del fenomeno inerente il capitale di rischio informale: difficoltà di circolazione delle informazioni con conseguenti elevati costi di ricerca delle controparti, regimi fiscali di tassazione penalizzanti, qualità mediamente non elevata delle opportunità di investimento. Ed è proprio per innestare un cambio di marcia sostanziale che META Group (il primo seed capitalist italiano), unitamente ad AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) e IBAN (Associazione dei Business Angels Italiani) stanno organizzando il primo EASY Investment Forum (www.earlystageinvestors.org), a Milano, il 25 e 26 febbraio 2008, un importante momento d’incontro per investitori di tutta Europa ed imprenditori con l’obiettivo dichiarato, appunto, di dare un futuro alle idee del futuro. L’Umbria, e Terni in particolare, sembrano ancora immerse nelle nebbie mentre il mondo, fuori, corre molto ma molto più velocemente.

un’epidemia presenta dei vantaggi: se il bambino muore, la causa può essere attribuita alla malattia virale. La Pfizer ha dichiarato che all’epoca dei fatti, il 1996, non si conoscevano gli effetti collaterali del Trovan (paralisi, danni al cervello, decesso). L’accusa sostiene invece che gli effetti del gruppo di farmaci cui appartiene il Trovan sono noti dal 1992. Quantificare le morti causate da queste sperimentazioni è arduo, il processo è iniziato con 11 anni di ritardo e molti dei testimoni non sono più in vita. I dati alla mano dicono solo che la Pfizer ha curato solo bambini robusti e ben nutriti e che ha terminato il suo intervento nel momento in cui l’epidemia stava raggiungendo il suo apice. Una missione assai poco umanitaria… Ora la caccia ai piccoli superstiti è una lotta contro il tempo (e non solo). Irukera ha incontrato il paziente 0001. Si chiama Anas, oggi ha sedici anni. Non può camminare. Il padre era convinto che lo avessero in cura Medici senza Frontiere. Anas si alza a stento, entra nella capanna e mostra a Irukera una siringa con una rotellina che fa le scintille. L’unico giocattolo che gli regalarono quei dottori. L’unico rimborso per aver fatto da cavia. Francesco Patrizi

Luxuria moda


I l

p i a c e r e

Quando parliamo del piacere di vivere dobbiamo sapere che stiamo facendo riferimento alla sessualità. S. Freud (1909) scoprì che il bambino ha i suoi istinti e le sue attività sessuali fin dall’inizio e che, attraverso uno sviluppo significativo, emergerà la sessualità normale dell’adulto. Egli sosteneva inoltre che non è difficile osservarne le manifestazioni; mentre occorre una certa arte per tralasciarla o per misconoscerla. Imparare ad usare tutti i sensi, dalla vista all’olfatto, al tatto, all’udito, all’odorato, al gusto, significa imparare ad entrare in rapporto con se stessi e con gli altri. Il bambino riceve le prime sensazioni di piacere già nel grembo materno; ma una volta al mondo egli imparerà ad amare se stesso e gli altri da come e quanto gli altri, prima, lo hanno abbracciato, accarezzato, coccolato: a gesti (comportamento non verbale) e a parole (comportamento verbale). Il bimbo che riceverà o avrà ricevuto poco di tutto ciò svilupperà una maggiore aggressività. Federico II di Svevia - la cronaca risale a 7 secoli fa aveva lasciato che alcune nutrici si prendessero cura di un gruppo di neonati alla condizione che non dovevano né coccolarli né parlargli. Purtroppo tutti i piccoli deprivati di ciò morirono prima ancora di poter pronunciare una sola parola della presunta lingua innata che avrebbe dovuto essere lo scopo e la scoperta dell’esperimento. La ricerca del piacere è

legata ad una sessualità che non riguarda soltanto gli organi riproduttivi. E’ un’energia vitale e multiforme che accompagna l’essere umano per tutta la vita; nasce nell’istinto ma non si riduce ad esso, interessando il mondo delle emozioni, delle sensazioni corporee, dei sentimenti e delle fantasie. Il dispiacere più grosso per il neonato è la fame, che lo porta ad avventarsi su quello che gli capita, che sia il seno materno o il biberon. E succhia, appassionatamente. Sessualità orale la chiamano gli esperti. Esistono alcuni elementi comuni tra la poppata e il rapporto sessuale. La tensione del prima, la beatitudine del mentre, l’appagamento e il felice abbandono che ne consegue. Il bambino che succhia al seno e che non incontra mai (o quasi) lo sguardo accogliente della madre comincerà a ciucciare con minore intensità, chiuderà gli occhi, apparirà disinteressato e potrebbe anche interrompere l’allattamento. In ogni caso, il suo piacere sarà diminuito. Un po’ come succede tra due persone che fanno sesso oppure l’amore… Il momento dell’allattamento è un momento d’amore, in cui l’uno soddisfa un bisogno fondamentale dell’altro, ricevendone naturalmente in cambio soddisfazione e piacere. Nell’allattamento, il vero atto d’amore è nella mamma che si dà al figlio che ha bisogno di lei, senza aspettarsi nulla da lui in cambio. E che invece ne sarà ricompensata dal piacere, dalla gioia e serenità del figlio, il quale la riconoscerà sempre più come la figura più importante, di cui potersi fidare e da (ri) amare. Ciò è possibile poiché entrambi, per natura, accettano la reciproca condizione di dipendenza. E nell’amore da adulto/i,… che succede?!? Dott.ssa Claudia Cardinali Psicologa Psicoterapeuta Esperta in Sessuologia Clinica

LA SICUREZZA DEI TUOI INVESTIMENTI

TERNI: la luce che cura … parermi che nella natura si ritrovi una sustanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale diffondendosi per l’Universo penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le persone viventi, e di questo spirito par che il senso stesso ci dimostri il corpo del Sole esserne ricetto principalissimo.

Così scriveva il padre della scienza moderna, G. Galilei, nel 1614. Nelle sue parole un’intuizione: una realtà eterea, volatile, invisibile, ma potente, sottende e dà forma a tutto ciò che esiste. La stessa intuizione è stata condivisa da numerosi altri autori appartenenti al mondo della scienza, della filosofia, o dell’arte. Basti ricordare Eraclito di Efeso, il filosofo del tutto scorre, che considerò il fuoco (interpretabile come luce) il principio unico ed immutabile della realtà, in quanto sempre vivo ed in continuo movimento, in ogni momento diverso dal precedente, ma allo stesso tempo sempre uguale a se stesso (come la luce); o i pittori impressionisti, che rappresentarono la realtà come qualcosa di soggettivo, la cui essenza può essere percepita con la vista. E’ luce e colore, sostanze di cui tutti gli oggetti, anche gli esseri umani, sono costituiti. Einstein, con la nota teoria della relatività, configurò un universo in cui spazio e tempo (dunque: la realtà) sono relativi, cioè variabili in base alla posizione dell’osservatore, e l’unica entità assoluta diviene, appunto, la velocità della luce. E a questa legge non si sottraggono neppure la Biologia e la Medicina. Numerosi esperimenti scientifici, infatti, hanno dimostrato che alcune molecole biologiche, quando sono raggiunte da un opportuno stimolo luminoso, prendono immediatamente parte alle reazioni chimiche in cui sono normalmente coinvolte, con un miglioramento dell’efficacia e della velocità delle reazioni stesse. Questa proprietà è detta fotosensibilità e la scienza che studia questi fenomeni prende il nome di fotobiologia. Sembra incredibile, ma molte molecole presenti nelle nostre cellule sono regolate dalla luce. L’emoglobina, ad esempio, la principale proteina contenuta nei globuli rossi e responsabile del trasporto dell’ossigeno, viene attivata da precise lunghezze d’onda, con conseguente miglioramento del trasporto dell’ossigeno. E non ci sorprende, allora, che l’emoglobina contenga una struttura chimica praticamente identica a quella della clorofilla, la molecola contenuta nelle piante verdi, mediante la quale l’energia luminosa viene trasformata in energia chimica utilizzabile

dagli organismi per la propria sussistenza. Si è visto, ancora, che la luce, tra i vari effetti, è in grado di favorire la crescita di alcune cellule e la formazione di nuovi vasi arteriosi e venosi, di migliorare la respirazione cellulare o l’attività dei globuli bianchi, di aumentare la deformabilità dei globuli rossi, rendendo più fluido il sangue. Molte delle conoscenze acquisite dal progresso scientifico ottenuto negli ultimi 30 anni in questo settore, sono state trasferite nella pratica clinica, grazie alla progettazione ed alla produzione di idonei strumenti terapeutici e dispositivi medici, generalmente basati sull’impiego della luce laser. Si è così sviluppata la Terapia Laser a Bassa Potenza (Low Level Laser Therapy - LLLT), che trova indicazione come valido supporto terapeutico in numerose branche mediche. Una interessantissima applicazione della LLLT consiste nella Laser Terapia Endovenosa: gli effetti positivi riscontrati sui globuli rossi, sui globuli bianchi, sull’emoglobina, etc, hanno generato l’idea di irradiare il sangue con opportune frequenze luminose, con lo scopo di ottenere effetti sistemici. Si è così giunti, attraverso anni di studi e sperimentazioni, alla realizzazione del primo dispositivo medico che consente di applicare un laser a bassa potenza direttamente nel flusso sanguigno, attraverso una speciale fibra ottica monouso.

Possiamo immaginare di effettuare una vera e propria infusione endovenosa di fotoni, che dovrà essere eseguita considerando la qualità della infusione (lunghezza d’onda) e la quantità (intensità della energia). La procedura tecnica di utilizzo è semplice: un’agocannula è inserita in una vena del braccio; una speciale fibra ottica sterile e monouso viene direttamente collegata al laser e poi inserita nell’agocannula. Sono disponibili laser con varie lunghezze d’onda e quindi con diverse proprietà terapeutiche. Il trattamento dura circa 30 minuti. La possibilità di agire a livello sistemico, andando a regolarizzare numerose funzioni dell’organismo, rende tale terapia applicabile come trattamento di supporto in tutti i settori della medicina. Nella mia quotidiana attività clinica, ho potuto osservare notevoli miglioramenti in pazienti affetti da malattie osteoarticolari acute e croniche, diabete mellito, insufficienza renale, bronchite cronica, asma, malattie allergiche, malattie autoimmunitarie… Insomma, potrei dire, con Galileo, che davvero questa spiritosissima sustanza si sta mostrando ai miei occhi in grado di riscaldare e vivificare tutte le persone viventi. Dr. Francesco Raggi Specialista in Igiene e Medicina Preventiva raggimail@virgilio.it

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Normadi Oreste Crisostomi 17 febbraio ore 17.30 Palazzo Mazzancolli

La Provincia di Terni per la cultura

messa in moto la macchina: le leggi del mercato proibiscono di ritirare il prodotto più venduto. Questo spettacolo restituisce a Norma quell’identità autentica che le è stata rubata, ne mostra frammenti di vita pulsante tra le ossessioni, le paure, i desideri simili a quelli di tutte le donne. Sfortunata anche se al vertice del successo, circondata da uomini ma senza un vero amore, autrice di versi tragici ma condannata a fare la scema. Emerge davvero la sensazione di uno spaventoso vuoto di affetti, anche perché le quattro attrici che incarnano la protagonista recitano monologhi: Norma non ha nessuno con cui condividere. Le parole come schegge taglienti sembrano rimbalzare indietro, senza via d’uscita anche nelle conversazioni telefoniche; l’idea della telefonata con un invisibile interlocutore, così come l’essenziale scenografia ridotta a un letto, è ispirata a La voce umana di Jean Cocteau del 1930. Al telefono non ci si può vedere e si può interrompere la comunicazione semplicemente abbassando la cornetta, in modo da non lasciare possibilità di replica all’altro. Norma però è davvero se stessa nelle telefonate con il suo amante e con lo psicanalista, protetta dall’invisibilità e finalmente voce di se stessa. Beatrice Ratini

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Norma in arte MARILYN

Norma è uno spettacolo teatrale su Norma Jeane Baker, più nota come Marilyn Monroe. Il titolo anticipa già che non si intende rappresentare la vita del mito del cinema hollywoodiano, magari il succulento giallo della sua morte, ma il tormento interiore della donna imprigionata in quel corpo. Quell’involucro tanto attraente quanto invadente al punto da sostituirsi a lei. Infatti in pochi, finché era in vita, hanno mostrato l’interesse ad andare oltre: l’umanità di Norma è ignorata se non calpestata. In piedi rimane solo la bambola bionda: fantoccio impagliato, cadavere ambulante svuotato dall’interno. Lo star system che ha intrappolato Norma ha creato l’immagine di Marilyn sfruttandola fino alla fine in vista di un solo obiettivo/ parametro: il guadagno. Poco importa se il prezzo che ella ha dovuto pagare è stato una totale anestesia della volontà. Scoperto l’inganno è già troppo tardi, ormai si è

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La Provincia di Terni per la cultura

Il Moderno si basa sul tecnocentrismo, sul razionalismo, sulla fede nella scienza e nel progresso, su verità assolute, su ideologie totali e totalizzanti e sulla pianificazione di ordini sociali considerati perfetti e perfettibili. Secondo lo studioso francese J.F. Lyotard (La condizione post-moderna,1979), la modernità, iniziata con il Rinascimento, ha avuto il suo punto di forza in due ideologie, quella illuministica e quella idealistica (la prima in chiave razionalistica, la seconda in chiave spiritualistica) le quali hanno letto e narrato la storia prendendo le mosse da una visione dell’uomo inserito in una posizione di predominio sulle forze della natura; a queste due narrazioni sarebbero riconducibili tutti i vari indirizzi filosofici che hanno fatto la loro comparsa nella scena culturale europea dal Settecento fino alla metà del Novecento. La prima rivoluzione industriale, ma soprattutto la seconda, accompagnate da un vertiginoso sviluppo che ha sconvolto ed alterato completamente l’assetto economico-sociale di intere nazioni, sembravano aver realizzato questa aspirazione. Una buona metà del secolo XX è dominata dalla società industriale, una società panlavorista ba-

sata su tecnologie sempre più sofisticate il cui scopo è la produzione organizzata a ciclo continuo e la logica del profitto. Il Fordismo e la catena di montaggio ne sono un chiaro esempio. E’ anche l’epoca degli imperialismi, dell’espansione coloniale, dei nazionalismi che hanno interessato vari paesi europei, ma è soprattutto l’epoca condizionata da ideologie totalitarie quali il Nazifascismo ed il Comunismo che propongono, sia pure da angolature diverse, modelli di società in cui il singolo trova il suo riconoscimento e la sua dignità solo all’interno di un sistema politico, unico e totale garante di libertà, giustizia, uguaglianza, con le drammatiche conseguenze di due guerre mondiali, di un numero imprecisato di conflitti regionali, senza contare rivolte, golpes, pronunciamenti… La guerra fredda e la contrapposizione EstOvest dopo la II guerra mondiale hanno ulteriormente aggravato un quadro già di per sé complesso. Il Moderno in arte trova la sua manifestazione più tipica nel fenomeno delle Avanguardie letterarie che sono balzate prepotentemente alla ribalta tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, attraversando

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l’intero secolo fino agli anni Settanta quali i Parnassiani, i Decadenti, il Simbolismo, il Cubismo, il Futurismo, il Crepuscolarismo, il Surrealismo, il movimento esistenzialista, il gruppo ’63. Tutti movimenti di breve durata, costituiti da giovanissimi che pur nella loro diversità ed eterogeneità di formazione culturale, si ponevano il fine ambizioso, anche se spesso con scarsa chiarezza di obiettivi, di rinnovare integralmente la cultura, cancellando la tradizione passata. Il Modernismo, il Futurismo, il Progresso contro il Passatismo; la velocità dell’automobile contro la lentezza della bicicletta; la dinamicità dell’industria, dei cantieri, contro l’inerzia pensosa degli accademici, dei musei ospedali di gambe rotte e nasi tagliati; questi erano gli slogans più ricorrenti, per usare le parole del futurista F. T. Marinetti. Nell’ambito del Modernismo, l’intellettuale, l’artista doveva essere engagé, impegnato, cioè doveva lottare per cambiare non solo l’arte, la cultura e l’intera società, facendo della propria opera il principale veicolo di questo cambiamento. Anche l’architettura recepisce queste idee di rinnovamento radicale: Gropius, Le Corbusier, avevano creato un codice fondato su un’architettura iperrazionale, iperfunzionale. L’angolo retto, il cubo, il parallelepipedo, il vetro-cemento, l’abolizione dell’ornamento e la cancellazione del passato, erano le parole Pierluigi Seri d’ordine.

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...la parola, come insieme di suoni assemblati che magicamente si trasformano in sinuose linee o aspre rette. Cambiare la posizione delle lettere è come cambiare la posizione delle cifre: infiniti i numeri... infinite le parole e... cambiano valore e significato. Può la parola essere impregnata di significati variegati; può una frase aprire spazi sconfinati di conoscenza. Andare oltre, al di là dell’apparire, oltre l’ovvietà, in ogni possibile accezione che, recepita, stravolge perfino il senso dell’intera lettura. Si possono costruire filoni di pensiero che tessono tele di relazioni concettuali tali da realizzare affascinanti

ventagli di conoscenza. E’ come scoprire nuove vie lattee e penetrare nei segreti dell’universo: esso è, ma che cosa nasconde nella sua struttura, nel moto che lo mantiene eterno? Bisogna andare aldilà del visibile. De Saussure scrive:... il nostro pensiero non è che una massa amorfa e indistinta... è come una nebulosa... non vi sono idee prestabilite prima dell’apparizione della lingua... ma già nel primo anno di vita, il bambino comunica impregnando di significato ogni fonema emesso, ogni parola/frase; il pensiero si definisce in funzione del contesto e dei suoi bisogni contestualizzati. In seguito la comuni-

cazione, consapevolmente o no, tenderà a influenzare i sentimenti, le emozioni, le percezioni altrui, a orientare pensieri e azioni. Inoltrarsi nel mondo dei significati per capirli e dominarli, vuol dire prepararsi ad affrontare la relazione umana, lo scontro/ incontro dialettico per costruire scenari nuovi di convivenza sociale. La scuola, nel suo percorso didattico, non si sofferma a rilevare sottilezze semantiche cioè ad individuare ed estrapolare dal contesto significati nascosti; non si avventura nel mondo della semiologia mediante il quale si può affrontare l’universo sconfinato dei segni. A scuola è in uso ancora la lettura di brani letterari, di testi scientifici

Cara Laura,

tica diversa, è anche il mio, ossia quello di una tua insegnante delle scuole elementari che ha saputo conoscerti ed apprezzarti per le qualità che ti hanno caratterizzata. Sei ancora nella mia mente: alla bambina buona e gentile dei primi tempi si sono via via aggiunte ed evidenziate tante altre peculiarità, come l’amore, l’impegno e l’interesse per lo studio, la puntuale preparazione di ogni lavoro, l’attenzione per tutto ciò che si diceva e faceva in classe. Sempre disponibile e collaborativa, tollerante di fronte ad eventuali piccole controversie, determinata nel superare ostacoli e difficoltà, sapevi sempre adeguare il tuo comportamento ai valori individuati.

Poi, strada facendo, hai mantenuto queste tue qualità, sia nella scuola media ed accrescendole ancor più nei cinque anni di Liceo Classico, fino ad arrivare alla maturità con 110/110. Ho sempre percepito che avevi un sogno, quello di diventare medico e non solo perché in casa si respirava questa atmosfera in quanto figlia di un papà dottore e di mamma impegnata in campo sanitario, ma, come dici nello scritto di cui sopra, ti sentivi portata per fare del bene agli altri e per questo hai citato con ammirazione Madre Teresa, Maria Bonino, il poeta Borges, Giulio Moscati il quale fa capire come dovrebbe essere la medicina e chi la professa: Vai e guarisci, se non puoi

Andare oltre...

su La Pagina del dicembre 2007, insieme alla tua foto ai piedi di un monumento classico, ho letto un tuo scritto dal titolo Autentico amore riguardante un momento particolare della tua vita che ti ha procurato un immenso dolore. E questo dolore, sebbene sotto un’ot-

con la sola finalità di ripetere quello che si è capito: parole e frasi si considerano nel loro significato letterario ed univoco e l’insegnante è il solo garante che ne stabilisce la corretta comprensione. Non appare, in tale conduzione, il senso critico dell’alunno che organizza il proprio pensiero, lo sostiene e lo giustifica di fronte al compagno che lo vuole confutare. Non appaiono le possibili interpretazioni prospettate dai ragazzi in un serio e costruttivo dibattito. Il testo scientifico è pressochè incomprensibile per contenuto e lessico, ma può diventare un’avventura della mente quando, dopo una esperienza di laboratorio o di analisi di un territorio, si guarire cura, se non puoi curare conforta. Però questo sogno sembra essersi infranto dopo i risultati del test per l’ingresso alla facoltà di Medicina e Chirurgia nel settembre 2006. Eppure avevi studiato tutta l’estate senza concederti svaghi di sorta e così piangesti tutte le tue lacrime. Le stesse lacrime, ma ancora più amare le versasti dopo i risultati conseguiti al test del 3 settembre 2007 presso il Campus Biomedico di Roma, dove, come tu dici, la medicina si vive veramente e si conosce il significato dei verbi amare, aiutare, confortare, salvare, nonostante avessi sostenuto otto esami del corso di laurea in Biotecnologie, riportando una buona media.

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definiscono concetti, si costruiscono pensieri deduttivi. Sollecitare la lettura e farla diventare un’abitudine di vita dovrebbe diventare l’obiettivo primario e, se non raggiunto, perché non domandarsi quali i motivi e come si possa rivisitare l’intero percorso didattico? Forse qualche ragazzo in più, durante una passeggiata, potrebbe entrare in libreria. Sandra Raspetti sanras@tele2.it

E così dopo questa grande delusione, come un grido di dolore per il criterio incomprensibile con cui si viene ammessi agli orali, piangesti fino al mattino successivo compromettendo, sebbene di poco, anche il test presso l’Università Statale. Delusa, ma non sconfitta perché credi ancora nei valori e in quello che si fa con scienza e coscienza, hai promesso a te stessa che tra due anni, dopo terminato il corso di studi in Biotecnologie, ritenterai ancora, fino, e questo lo aggiungo io, ad arrivare al Giuramento di Ippocrate. I sogni e le speranze non devono mai venir meno. Tante cose care e ancora auguri per il nuovo anno da poco iniziato. Maria Teresa Bellucci

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L I C E O

S C I E N T I F I C NARNI O

C’è un posto, molto lontano dalla nostra visuale, assai distante dalla nostra quotidianità e materialità; c’è un muro oltre il quale i nostri occhi non possono guardare, né sbirciare. Chi siamo? Da dove veniamo? Perché la vita?

Ma soprattutto: perché non ci è possibile conoscere tutto? Perché ancora tante domande devono rimanere tali senza una fievole speranza di risposta? Da secoli, tanti, troppi interrogativi attanagliano studiosi, scienziati e grandi pensatori. Perciò dibattiti, discussioni e quant’altro: credere nella laicità della scienza e continuare a studiare, a porsi un perché cercando risposte oggettive o credere in una presenza grande, ma allo stesso tempo invisibile, che chiamiamo Dio? Parole, libri, discussioni, forum.

Una grande divisione: scienziati laici o credenti, scettici o gnostici. Di una cosa sono sicura: l’uomo nel suo essere tale, e perciò limitato, può progredire nella scienza e nel sapere, può perseguire i suoi scopi, ma non potrà mai arrivare a capire e

sue contraddizioni: invenzione di macchinari ospedalieri e, nello stesso tempo, di armi di distruzione di massa. Questo è il limite della scienza e questo è il limite dell’uomo che non si cura di distruggere paradisi terrestri o di provocare la morte di intere popolazioni per rincorrere brandelli di vana gloria.

la vita, la seconda verso una ricerca sempre più profonda delle leggi che regolano la vita e dalla cui più precisa comprensione dipende il miglioramento della stessa. E’, infatti, innegabile riconoscere come la scienza abbia permesso di salvare molte vite: le conquiste nella lotta contro il cancro sono visibili a tutti. In conclusione, sarebbe opportuno che ognuno di noi sia cosciente della propria etica, scelga indipendentemente quale strada seguire e quindi come servirsi della scienza.

La scienza da sempre si contrappone alla fede e quindi alla religione e da sempre questo contrasto si traduce nella lotta ideologica dogmatismo-antidogmatismo. Forse però è arrivato il momento di fare il punto della situazione: la scienza è infatti entrata nella vita di

tutti i giorni mediante lo sviluppo tecnologico e l’opinione pubblica, per i benefici che ne ricava, tende a considerarla come una dea che può aiutarci a vivere meglio o a vivere di più. Per questo motivo la scienza tende ad acquisire carattere di indiscutibilità

per la maggior parte delle persone, che quindi stanno perdendo la concezione di essa come categoria in eterna evoluzione: si è creato un vero e proprio

S C I E N T I F I C O

Ma come tutti sanno l’abuso, anche di strumenti eccellenti, non porta mai a nulla di positivo: le applicazioni delle scoperte scientifiche, senza alcun limite morale, possono generare anche aberrazioni. Pensiamo ad esempio all’aborto, a quante ragazze o donne ricorrono ormai a questa soluzione, come se

fosse naturale, direi quasi scontato gettare via un valore tanto grande quale la vita. Affermando ciò non vorrei essere fraintesa: la mia non è un’accusa contro la scienza tout court, ma contro chi ne abusa. E rivolgendomi a chi crede che il progresso faccia regredire la nostra morale, voglio dire che, a mio

parere, è proprio mal posto il problema: non bisogna pensare a tale rapporto in termini di sfida, perchè non vi è infatti una supremazia di una sull’altra, se si pensa che entrambe sono parti complementari di un’unica realtà: l’ uomo. Da sempre l’ uomo è dotato di morale e di intelligenza: la prima ci guida nell’amare

L I C E O

D O N AT E L L I

Mi guardo intorno e mi accorgo come la scienza e quindi il progresso, facciano ormai parte della nostra quotidianità. Dobbiamo moltissimo, quindi, alla scienza, che io chiamerei, risolutrice di ogni nostro piccolo o grande problema. Nel mondo di oggi, è necessario che non si arrivi ad un procedere incontrollato della scienza. Deve essere cioè fissata una strada, entro la quale la scienza cammini o corra, sempre però senza uscirne. Ma qual è questa strada e da cosa deve essere determinata? Che l’etica sia fondamentale per indirizzare la scienza è palese, ma

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obbligato a scegliere, come davanti ad un bivio: credere o no. Pensare di far parte di un immenso disegno divino oppure il semplice frutto di una reazione chimica o di un’evoluzione biologica. Cellule staminali, aborto, eutanasia: medici-scienziati contro i più illustri ministri della Chiesa. Come già detto, credo chenon esista una risposta univoca, ma tante quanti siamo noi: dobbiamo innanzi tutto cercare dentro noi stessi per poi spingerci al di là di quel muro che ci separa dal mistero.

dogmatismo scientifico che tuttavia continua ad escludere quello religioso. Questo da un lato può essere un aspetto positivo in quanto sancisce la libertà della scienza da una censura ecclesiastica, ma nello stesso tempo è anche un aspetto negativo perché la scienza è libera dai vincoli etico-morali e quindi in grado di manifestare tutte le

IL LIMITE DELLA SCIENZA

L i c e i

scoprire quel qualcosa di infinita grandezza. Le conquiste umane sono state tante, il nostro intelletto si è spinto assai lontano: forse un po’ troppo?! Siamo arrivati sulla luna, conosciamo le stelle, il nostro pianeta, il sistema solare, siamo in grado di vivere per settimane nello spazio eppure sono ancora tanti gli interrogativi da soddisfare: malattie anomale e incurabili, medicine, vaccini e tanto altro ancora. Non esiste una regola universale che possa unire tutti i pensatori o perlomeno indirizzarli verso un unico pensiero: ogni uomo è

Giulia Venanzi VD

Andrea Scoccione VA

Giulia Bianchini 4B

un’etica, intesa in senso generale, è un termine che si presta a troppe interpretazioni e che troppo spesso viene svuotato del significato che in realtà essa

possiede. L’etica che deve delineare la strada della scienza, invece, è un’etica ben precisa e cioè quella civile e sociale, intesa come insieme

dei valori realmente comuni a tutto il popolo, non solo di una parte di esso, quindi non di etica religiosa o che esprima uno stile di vita, o una filosofia o delle

E T I C A

idee politiche, qualunque esse siano. Deve essere espressione vera della moralità contemporanea, diremmo collettiva in senso pieno, cioè che rappresenti tutte le componenti della società. E’ quindi l’etica che deve essere direttrice della scienza, perché la scienza sia promotrice di un futuro migliore di tutta l’umanità. Luca Leonardi VD

E


LA LEGGE 194, UNA BATTAGLIA ANCORA APERTA La legge 194, del 22 maggio 1978, che consente alle donne di interrompere volontariamente la gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento, è tornata di grande attualità. Da una parte la Chiesa ripropone i suoi valori tradizionali: Non posso che deplorare ancora una volta gli attacchi continui perpetrati, in tutti i continenti, contro la vita umana (…) e l’integrità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ha sostenuto Benedetto XVI. Dall’altra, tuttavia, sempre più decisa si fa la richiesta di libertà personale, anche da parte di coloro che, pur dichiarandosi cattolici, vivono in una società ormai secolarizzata. Nella legge

il diritto alla nascita da parte dell’embrione e il diritto della madre di scegliere se continuare o meno la gravidanza sembrano in conflitto ed è proprio il diritto della madre, in quanto soggetto compiuto e attuale, ad apparire, nel nostro Paese, come in tutto l’Occidente, nettamente prevalente. La legge prevede infatti che ogni donna possa decidere di interrompere la gravidanza nei casi in cui sia causa di un serio pericolo per la propria salute fisica o psichica, oppure quando sussistano disagiate condizioni socioeconomiche, o, ancora, nei casi di particolari circostanze del concepimento o di possibili

anomalie o malformazioni del concepito, configurandosi così come una estensione e allargamento dei diritti civili (M. Mafai). Il fatto che dal 1982 ad oggi il numero degli aborti si sia ridotto del 45% e si sia posto fine all’aborto clandestino e all’altissima mortalità materna può essere un motivo ulteriore di difesa della legge. Nonostante ciò, per il Cardinale Ruini, è comunque inammissibile procedere all’aborto ad un’età del feto nella quale

TERNI TRA RIFIUTI E FUTURO Se le discariche non bastano e inquinano, la soluzione è quella del riciclo. Un filosofo del Novecento, Hans Jonas, ha formulato il nuovo imperativo categorico dell’era tecnologica: Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla Terra. E allora? Il surriscaldamento globale? La desertificazione progressiva? L’inquinamento massiccio? Il problema è troppo grande per affrontarlo in poche righe.

Ci limitiamo perciò a un fatto di cronaca locale per riflettere e, perché no, per azzardare soluzioni. Qualche giorno fa sono arrivati 9 avvisi di garanzia al sindaco e ai responsabili dell’ASM di Terni. Il motivo? La situazione non è chiara. Sembra (alzi la mano chi ha capito qualcosa) che l’inceneritore non abbia svolto correttamente la propria attività, bruciando i rifiuti a temperature inferiori a quelle legali (850° C) e, per giunta, trattando

anche materiali radioattivi. E così innumerevoli sostanze tossiche si sono depositate nei nostri polmoni e metalli pesanti velenosi hanno coperto i nostri campi. La situazione è ancora in bilico. Il magistrato E. Massini ha affermato infatti che gli accertamenti tecnici hanno fornito dati piuttosto allarmanti, che però non chiari-

potrebbe anche vivere da solo. Gli esperti, infatti, hanno dimostrato che, a 23 settimane, il feto ha il 30 % di possibilità di sopravvivenza. Il Presidente della Società Italiana di Neonatologia, C. Fabris, ha sottolineato che, oggi, considerati i notevoli progressi della medicina, le possibilità di sopravvivenza per feti anche molto piccoli sono aumentate considerevolmente. Il giornalista G. Ferrara è arrivato a sostenere, qualche giorno fa, che l’aborto è un omicidio perfetto. Tra la bioetica cattolica, fondata sull’idea della sacralità della vita umana, di cui soltanto Dio può disporre e la bioetica laica, che ragiona etsi Deus non daretur (come se Dio non ci fosse), il scono i danni sanitari e ambientali. Mentre impazza il dibattito, i primi ad essere sottoposti a controlli medici sono i lavoratori dell’ASM. Nell’attesa, la totalità dei rifiuti prodotti nella provincia di Terni è indirizzata alla discarica Le Cretedi Orvieto, destinata comunque ad esaurirsi entro 9 anni. In ogni caso, fa molto riflettere il fatto che, in una città di centotrentamila abitanti con ben 3 termovalorizzatori (di cui uno finalizzato alla combustione di biomasse, ovvero scarti di processi agricoli), basti il sequestro

LICEO CLASSICO

G . C . TA C I T O conflitto è dunque inevitabile? Non necessariamente. Il tema, complesso e insieme drammatico, chiede infatti di essere affrontato senza la presunzione di possedere la verità, fuori di ogni spirito di crociata... Gatto Francesca

di uno solo a mandare in tilt l’intero sistema. In una situazione come questa, l’estremismo ambientalista non aiuta, anzi, rischia di risolversi nel solito chiacchiericcio inconcludente. La vera sfida sta piuttosto nel riuscire a conciliare l’utilizzo dei termovalorizzatori con un’adeguata raccolta differenziata, che si traduca, poi, in un effettivo aumento della percentuale di materiali riciclati. E forse anche nel produrre meno rifiuti… Manuel Amici, Chiara Colasanti, Silvia Pierini, Maria Laura Romani

SCIENZA E MORALE: LA STESSA FACCIA DELLA NATURA UMANA Da sempre, nella storia umana, scienza e coscienza si sono affrontate e scontrate ma, in un’epoca come questa, sembra davvero che siano arrivate ad un punto di divergenza inevitabile. E’ indispensabile un’inversione di tendenza. Difficilmente, trattando tale tema, protrattosi dalla nascita delle religioni alla presente era delle macchine, si può dire più di ciò che è stato già detto, nel corso dei secoli, da illustri pensatori e uomini di cultura. La scienza, così come la religione e la morale, è un aspetto fonda-

mentale e fondante la natura umana. Non esiste epoca in cui una delle due sia mancata e, purtroppo, in cui non si siano scontrate. Ma sono davvero così inconciliabili? Rappresentano esclusivamente due antipodi o possono trovare punti in comune? Oggi, come non mai, si avverte quanto l’ovvia risposta negativa non sia del tutto scontata anche perché mai scienza e morale sono riuscite a costituire un accordo duraturo. E se considerassimo anche la possibilità di impossibilità ovvero l’even-

Oggi più che mai, in un mondo in cui il progresso è stimolato il più delle volte da mere motivazioni economiche, l’uomo sembra aver perso di vista il reale fine della scienza, che do-

vrebbe coincidere con una crescita che non si fermi al livello conoscitivo ma che riguardi l’uomo nella sua interezza. Nonostante in passato la scienza abbia registrato gravi insuccessi, dovuti al suo progressivo allontanamento dall’etica, nonostante le gravi critiche mosse all’unanimità dai governi mondiali, la scienza ha proseguito la sua strada verso il perfezionamento senza

S C I E N In un’epoca in cui lo sviluppo scientifico ha raglivelli inaspettati Z giunto sorge spontaneo chiedersi quanto questo sviluppo realmente risolvere le A possa necessità umane.

tualità che tali strade si dividano inesorabilmente? Ma questo non deve spingere ad un lassismo rassegnato, anzi, deve servire da stimolo affinché non si spezzi, con conseguenze terribili, l’animo e la natura umana. La scienza non può esistere avulsa dalla morale: a Hiroshima e Nagasaki non c’era scienza, ma

mai accompagnarsi allo sviluppo etico. Sfuggito il controllo etico del progresso scientifico e tecnico, l’umanità, è passata ad una posizione di sottomissione e impotenza nei confronti di prevalenti e

solo odio-morte e la morale non può e non deve ostacolare quello che è il progresso umano: quel desiderio che spinse Ulisse a varcare le colonne d’Ercole. Si potrà arrivare verso un compromesso necessario e vitale? Per raggiungere tale traguardo occorre però una umiltà e una capacità di autocritica che ancora manca a tanti uomini di scienza e di fede, attaccati morbosamente alle proprie convinzioni ed incapaci di raggiungere compromessi che non costituiscano un tradimento delle proprie idee o dei proprevaricanti poteri economici e politici. Basti pensare che scoperte rivoluzionarie come la clonazione, la manipolazione genetica, sfruttate a sproposito, sembrano avere cancellato con un colpo di spugna basilari valori morali per cui in passato si è anche lottato. Ovviamente non stiamo ponendo sotto accusa lo sviluppo scientifico, che anzi ha portato

L i c e i

pri colleghi, ma, semplicemente, un’apertura mentale ed una tolleranza che possano andare aldilà di un’ottica meramente personale. Per assurdo sembra proprio che in quest’era di diffusione di dati, idee e conoscenze, nell’era di internet e della globalizzazione si sia perso il reale significato della parola apertura. Matteo Crasti VE l’uomo a livelli conoscitivi insperati, ma vogliamo esprimere il nostro giudizio negativo nei confronti di un uso sconsiderato delle nuove scoperte, che, se non accompagnate da un corretto percorso etico dell’umanità, rischiano di ritorcersi sul genere umano riportandolo a livelli primitivi di civiltà. Maria Laura Coricelli Giulia Minacci VD

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Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

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Un rischio che voglio correre

L’uomo è nato per vivere, non per prepararsi alla vita.

Boris Pasternak Laddove è cecità a perscrutare il confine, laddove è sordità e la musica è percepita come violenta frustata alle carni dell’equilibrio, là è il limite della conoscenza, nell’aberrante desiderio di assopirsi tra cuscini di opaca moralità e catene di ignavo buonsenso. Non si può conoscere, e se anche si credesse di esserne capaci, non se ne potrebbe aver prova segregati come si è, celati ermeticamente nel contenitore onni( )ente, nell’Ipotesi Assoluta a cui si affida la certificazione di ogni incertezza. Si è uomini perché capaci di illudersi di poter toccare e sentire ogni lineamento d’infinità o perché assetati di vedere ustionare ogni goccia di quella pioggia che alimenterebbe l’oceano dell’esistenza e della sua comprensione..? Qual è tra queste due la caratteristica che distingue l’uomo dagli altri viventi..? Nessuna delle due quanto la scelta di rinchiudersi in cripte dipinte di lutto, pentimento e commiserazione per ciò che ancora non ha compiuto, per i cadaveri della vita che ancora non ha riesumato; cadaveri ancora in vita. E in ciò si ritrova duplice assassino: soppressore di verità e suicidio. Tutto ciò che non racchiude in sé respiro e battito è capace di porre fine all’esistenza, ma solo ciò che in

sé la racchiude è in grado di generarla a sua volta. E nell’insieme di tutto ciò che compone quest’Universo, ciò che custodisce il seme dell’essere, dell’esser coscienti e del desiderare conoscere è unico e perciò inestimabile espressione d’Infinità. Non si potrà mai conoscere tutto o avere certezza anche solo di poco e per poco. Questa la maledizione di chi possiede solo il fuoco per scrutare un mondo di abbagli che tramuta fiamme in penombra...? L’utilità della ragione in un’esistenza di tutto è possibilità, nulla è certezza non è di facile sondaggio, soprattutto quando a subentrare o sostituire sono la fede, la credenza e la superstizione, ma diventa lampante quando è grazie ad essa che tutto diventa possibilità di certezza. Ma, forse, ecco il grande abbaglio. In fondo non è la conoscenza il fine ultimo dell’esistenza. Non è questo ciò a cui l’uomo veramente aspira. Almeno non quanto il voler toccare la Felicità, l’esser felici. Questo il vero desiderio, la meta..? Sì. Ma a questo punto si corre il rischio di essere disposti a tralasciare la ragione, le verità assolute e la conoscenza ultima. Un rischio che, in quanto uomo, voglio correre. Aldo Mustafaj

Ethos, mos Etica deriva dal greco ethos che significa abitudine, uso, consuetudine, costume, carattere. E’ l’insieme delle norme di condotta pubblica e privata, seguite da una persona o da un gruppo di persone, inerente le relazioni bene/male. Già Dante Alighieri: quel che concerne le forme e i modi della vita pubblica e privata, in relazione alla categoria del bene e del male. La parola Morale, coniata da Cicerone, deriva dalla parola latina mos, costume, modo di operare.

...quia pertinet ad mores, quod hqoj illi vocant, nos eam partem philosophiae de moribus appellare solemus, sed decet augentem linguam Latinam nominare moralem... poiché riguarda i costumi, che i Greci chiamano ethos, noi quella parte della filosofia siamo soliti chiamare dei costumi, ma, per ampliare la lingua Latina, sarebbe meglio chiamarla morale... [De fato, Proemio, BUR 1994, pagg. 38/39].

Etica (morale) costituisce dunque l’insieme delle norme del comportamento tra uomini (tutti), al fine della migliore convivenza possibile. Risente ovviamente del fluire dei tempi ed è regolata dalla immanenza. Molto di ciò che era morale ieri non lo è più oggi, né, forse, lo sarà in futuro. Non è dunque un apriori assoluto, ma relativo ed in continuo divenire. Scienza è studio delle leggi che regolano la natura. E’ in continuo sviluppo, non ha princìpi dogmatici né risultati finali commissionati. E’ solo volontà e capacità di interpretare la natura delle cose. Un uso delle scoperte scientifiche contrario alla migliore convivenza possibile è eticamente valutabile dal consesso mondiale. Una visione di parte ne farebbe ineluttabilmente un uso strumentale. GR

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Le regole sono stabilite in alto

Chi di voi non vuole migliorarsi batta un colpo! Le cellule staminali (emocitoblasti) sono cellule indifferenziate che ciascuno di noi possiede e che possono migliorare la vita a tutti, sostituendo le cellule degenerate, senza indurre il rigetto, tipico degli allotrapianti (trapianti da un donatore della stessa specie). Con esse si potrebbe ricostituire persino il tessuto nervoso! Alcuni moralisti, però, spesso hanno posto dei limiti alla scienza sostenendo princìpi, nel migliore dei casi, anacronistici. In nome di cosa? Di regole condivise o di un disegno arbitrario? Quando, infatti, la scienza apporta nuove conoscenze sono le regole a dover essere riesaminate e non il contrario, come è accaduto con Galilei, che, nel 1633, fu costretto a rivedere le proprie scoperte eliocentriche, poi rivelatesi giuste, per non contraddire la versione ecclesiastica. Ora bisognerebbe appurare se coloro che dettano queste regole, indipendenti dalle conoscenze scientifiche, o addirittura in contrasto con esse, lo fanno per il bene dell’umanità. E’ chiaro che se un deputato gode dell’immunità parlamentare o se alcuni killers restano impuniti, ciò non sia approvato dal consorzio umano, ma accade, quindi è legittimo pensare che c’è qualche gruppo che impone la propria autorità

senza tener conto del benessere dell’intero genere umano. Esso può macchiarsi delle azioni più terribili come far esplodere una devastante bomba atomica o condizionare la coscienza di migliaia di individui. L’esito del disaccordo attuale su alcuni temi scottanti, come la clonazione, è guidato, a mio avviso, da queste menti occulte. Alcuni scienziati, come detto sopra, hanno illustrato l’enorme positività, delle cellule staminali; la Chiesa, invece, una delle più potenti comunità moraliste, influenzata forse da questo misterioso gruppo, è contraria all’utilizzo delle cellule staminali embrionali (perché significherebbe uccidere embrioni). A Terni è nata nel 2003 una fondazione di tali cellule, ma, mentre da un lato ufficialmente non si condanna tale atto, dall’altro con un inadeguato finanziamento (come riferito al convegno del 3-2-2007 a palazzo Gazzoli) si impedisce che il progetto si concretizzi (non si può sospettare che tale atteggiamento sia determinato dall’alto?). È scontato che ai pochi che contano non interessa il bene dei tanti che non contano, se non è un business. Ahi, ahi. I potenti hanno colpito ancora e le marionette continuano a ballare con la musica che essi hanno scelto! Prof. Marco Caldo

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G a l i z i a Cronache dal Cammino per Santiago - luglio 2007

La meta principale la intravediamo dalla collina di Gozo, tra una moltitudine di pellegrini più o meno già incontrati durante i circa 200 km di sentieri percorsi. Abbracci e saluti in una babele di lingue, foto ricordo sull’indiscreto monumento a ricordo della visita papale, discesa frettolosa verso la anonima periferia di Santiago dove ci aspettano Rosa e Carla che inutilmente cercano di trattenerci per un caffè, una bibita ristoratrice, magari un piss stop. Tutto inutile! A passo di carica, travolgendo una sempre più debole ma ostinata resistenza delle nostre amiche, ci avviamo a conquistare la città guidati, nell’ultimo tratto, da un nipote di italiani trapiantati in Sudamerica smanioso di rendersi utile e inossidabile ad ogni nostro tentativo di saluto liquidatorio. Entriamo, novelli mori, dalla porta de los peregrinos: sotto l’indifferente, meravigliato e, oserei dire, quasi infastidito sguardo dei santiaghesi, ci inoltriamo per le antiche viuzze che ci raccontano di un glorioso e tribolato medioevo quando la storia dell’ultimo avamposto occidentale della cristianità si mescola alla leggenda di Iago il matamoro, quel Giacomoche, semmai, aveva cercato di convertirli all’amore e alla pietà cristiana.

Ogni pietra, ogni muro parlano di lui, sì, di Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo, le cui ossa, secondo l’antica leggenda, furono ritrovate in quel campo della stella dove sorge l’imponente cattedrale.

Finalmente la vediamo, è a portata di mano e noi, con foga liberatoria, la conquistiamo insieme alla statua del santo dietro l’altar maggiore che bisogna cingere con le braccia, al portico della gloria dalla squisita fattura e dal chiaro contenuto simbolico uscito dalle sapienti mani di Maestro Mateo, alla tomba con le improbabili reliquie del santo pellegrino, al botafumeiro che, instancabilmente da secoli, continua a spargere profumo di incenso sulle nefandezze del mondo.

Storia, leggenda, fede, ragione, speranze, gioie, dolori, emozioni private e pubbliche esternazioni. C’è spazio per tutto e tutto convive in perfetto equili-

brio alimentato da una folla crescente in continuo movimento dove ognuno cerca qualcosa, cosa è difficile dirlo. Il gruppo, da sempre alla continua ricerca di compattezza, ancora una volta si divide in tanti rivoli, si riaggrega, si ritrova magari con un churro in una mano e la agognata compostela nell’altra e, finalmente alla solita ora tarda, con i piedi sotto il tavolino è pronto ad ingaggiare la quotidiana lotta con il sempre meno gentile e frastornato cameriere costretto a parare i ripetuti ripensamenti, i cambi improvvisi, le combinazioni stravaganti.

No, non c’è alcun pericolo, noi lupacchiotti figli di cotanta madre capitolina non porteremo mai, che dico il cervello, ma neanche la bocca all’ammasso e questo ci costringe, scelto il metodo tanto caro ai crapuloni di romana origine, a un elaborato conteggio individuale al momento di saldare il conto.

Siamo alla vigilia della festa del santo. Dal ritmo con cui si vanno riempiendo le strade, dalla crescente e contagiosa eccitazione, dal flusso ininterrotto verso Plaza dell’Obradoiro, intuiamo che lì ci sarà l’evento ed è lì che, con piè fermo e cuore indomito, difenderemo il nostro spazio vitale da una umanità altrettanto determinata a conquistarlo. Tra continue schermaglie, leggeri arretramenti, tecniche dilatorie messe in atto da Biancarosa letteral-

mente sdraiata ai piedi di una irriducibile coppia gallega in costante atteggiamento offensivo, resistiamo per ben tre ore fino a che un urlo liberatorio di gioia e di meraviglia non segna l’inizio di uno spettacolo di luci, colori, suoni, musiche, fuochi d’artificio indescrivibile ed emozionante.

mondo sembrano contagiati dalla stessa allegria. Con Peppino faccio colazione al bar Casino, elegante locale in puro stile liberty dove ci vengono impeccabilmente serviti zumo de naranca, croissant al burro e marmellata con cappuccino all’italiana. Rinfrancati da cotanta gen-

Il pensiero corre alle mille battaglie, agli assedi, alle carneficine tra poveri cristi sullo sfondo della facciata di una cattedrale nata lì come baluardo della chiesa cristiana militante che, con i suoi pinnacoli, statue di vergini e santi con la spada in pugno, di per sé era strumento di provocazione nei confronti di un avversario che aveva fatto del rifiuto dell’immagine umana e religiosa un punto d’onore della propria ideologia. Posizione altrettanto provocatoria e irriducibile che i mille anni di eventi successivi non hanno minimamente scalfito. Scontro titanico tra ideologie, tra fondamentalismi, il più pericoloso per chi ha la sfortuna di cascarci dentro. Con queste immagini negli occhi e queste idee nella testa, allo scoccare del nuovo giorno abbandoniamo la piazza e, non ancora sazi di baldoria, canti, scoccare di nacchere, melodie flamenche, costumi colorati, odori sempre più sui generis, sapori di frittelle e bocadillos, gioventù in crescente stato confusionale con in mano bottiglioni di coca cola dallo strano colore rossiccio, ci immergiamo nel fiume di popolo lasciandoci trascinare per le strade e le piazze stracolme di Santiago fino alle ore piccole. Per il giorno di San Jago tutta la gente di Galizia, molte persone degli altri popoli spagnoli, folte rappresentanze di tutto il

tilezza dei camerieri e da altrettanta squisitezza degli ingredienti ci avviamo per assistere al rito in cattedrale. E qui riscopriamo l’impenetrabilità del muro di folla, l’ottusità del servizio d’ordine, l’irascibilità dei poliziotti, la passerella di politici e religiosi, la pazienza della gente. Fortuna vuole che, a mezzogiorno in punto, io riesca a vedere, attraverso il vano della porta, il botafumeiro in azione. Soddisfatto da tale insperata visione, imbocco lo stretto corridoio per uscire dalla calca e chi ti vedo all’improvviso? Volti familiari che mi guardano increduli a cui rispondo con altrettanta incredulità, volti di Serrastretta, paesino catanzarese dove sono nato. Baci, abbracci, saluti e arrivederci sotto lo sguardo severo del poliziotto infastidito da cotanta esuberanza in mezzo alla calca spazientita dalla snervante attesa. Quando si dice: vai lontano che tanto nessuno ti conosce. Parte terza Albano Scalise

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Auguri

Felice 23.02.1908 - 21.12.1977

COMPLEANNO Scaduti i cinquant’anni accingersi a rivivere, io dico, questa seconda metà. Ma è uno scherzo che lascia la bocca amara. Dolce scherzo in grembo alla famiglia non questa mia dispersa famiglia. Io qua, tu là Viviana chissà dove nella grande città. E questo senza menomamente io essere una benché infima trinità. (1958)

Auguri Felice! Il 23 febbraio 2008 avresti compiuto 100 anni! Impossibile dimenticarti. Un medico la cui forte umanità trovò espressione non solo nel rapporto con la collettività nella quale operò, ma anche in una serie di attività artistiche e letterarie che lo resero famoso.

Medico dei bambini, pediatra dalle intuizioni eccezionali infallibili, fu un punto di riferimento per i suoi piccoli pazienti. Anche le visite che faceva nelle case erano inconsuete, non le classiche visite del dottore, come si usa dire dalle nostre parti, per indicarne la brevità, ma lunghe, non dedicate esclusivamente al piccolo malato, ma finivano per diventare uno scambio di opinioni sugli argomenti più vari.

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Oltre a formulare le sue diagnosi e a scrivere ricette, molto spesso lasciava anche i disegni con i ritratti dei suoi piccoli pazienti. Era considerato quasi un componente del nucleo familiare. Maria Bronzini ci racconta: da bambina, quando entravo nel suo studio, lui mi sorrideva e, con pochi tratti di penna mi faceva il ritratto, poi procedeva alla visita ed alla prescrizione dei farmaci, sempre molto limitati; mi ha seguito fino a 20 anni. Ero molto legata a lui, quando si ricoverò in ospedale, poco prima di morire, andavo spesso a fargli visita e gli leggevo poesie. Fu anche uno dei nostri più grandi artisti contemporanei; il suo insegnamento è ancora vivo nella nostra comunità. Fatati sentì profondamente il fascino della sua terra, una terra in cui ogni pietra, ogni angolo di riposta campagna fa avvertire la presenza di un messaggio diffuso, secolo dopo secolo, dai grandi predicatori cristiani medievali. Un messaggio che dura nei secoli, le cui testimonianze si ritrovano negli affreschi umili o superbi sia nelle piccole chiese sperdute

nelle silenziose campagne umbre sia nelle grandi cattedrali di cui è ricco questo nostro piccolo lembo di terra. Fatati penetrò la sensibilità religiosa dell’Umbria e della sua gente, lasciando una produzione artistica di grande valenza e degna di un colto europeo, come lo ha definito Bruno Toscano. Sul catalogo della mostra Colore dell’Umbria Felice così scriveva: Questa pagina sempre aperta e leggibile del Vangelo che è l’Umbria, provincia dello spirito quindi universale, in effetti ha due volti: quello della disarmante santità (San Benedetto, San Francesco, Santa Chiara, Santa Rita) e quello della determinazione disarmante (Gattamelata, Braccio Fortebraccio, Bartolomeo d’Alviano, Niccolò Piccinino, Biordo Michelotti, Sbardellato, Baglioni, Leoncilli)… Dei disegni ad inchiostro (la cosiddetta pittura in bianco e nero), di cui fu autorevole espressione, va ricordata la cartella a te uomo a te vita sul cantico delle creature di San Francesco. Fatati dedicò l’opera alla moglie Maddalena, morta il 31 gennaio del 1959.

Nella prima pagina scriveva: Nella memoria di te che più non sei mia compagna per quella dolce terra che ti tiene. Con quest’opera fece rivivere una pagina di profonda arte cristiana. Così, tutte le immagini francescane trovano una loro configurazione, figure espresse con accenti di poesia ed intima convinzione. Fu sicuramente un grande personaggio, sia in campo artistico che letterario che in campo medico. In quest’ultimo fu considerato un Maestro, poiché riuscì a coniugare alcune qualità indispensabili per i medici, quali scienza, coscienza ed empatia. Egli scriveva di sé: Che Fatati sia plurale Può anche darsi anzi si dà Ma Felice è singolare: singolare rimarrà. La perdita della figlia Viviana, l’adorata Kytta, il 4 settembre 1977, sarà un colpo durissimo per Fatati, non si risolleverà più. Fu Musichella, l’ultima dei 23 gattini siamesi che ebbe dal 1960 in poi, ad asciugare il suo pianto sommesso con tante leccatine. La sua casa, come egli scriveva, era stracolma di affetti e di ricordi, tanto che non c’era più spazio per morire.

Nel novembre 1977, prima di lasciare la sua abitazione, per recarsi a casa del fratello, Felice Fatati preparò questo ultimo messaggio.

L’ultima testimonianza di Felice Fatati fu su un foglio dell’ospedale di Terni in data 17 dicembre 1977, poche parole.

Emanuela Ruffinelli Angelo Ceccoli


Ch i h a incas t rat o le e mozioni?

Esiste un mondo, quello patinato e machiavellico dello show business popolato da sedicenti bamboline in gonnella ed eccentrici maghi della truffa. Quello o bianco o nero del libero mercato nel quale l’apprezzamento collettivo si indirizza verso coloro che danno le carte e fanno i numeri. Quello del Big Brother, profetizzato da George Orwell nel suo indimenticabile romanzo “1984”, dove la massa è soggetta alle intemperanze di chi la governa. Poi, ve ne sarebbe un altro troppo spesso celato o quantomeno lasciato nel dimenticatoio:il mondo delle emozioni. Un mondo antico ed in costante divenire di cui l’eredità genetica ci ha fatto dono mediante una serie di talenti emozionali che, se opportunamente gestiti, possono guidare il nostro pensiero, i nostri valori e, infine, la nostra stessa sopravvivenza. Eppure, nonostante nelle roccaforti della cultura vi sia un gran vociferare sul potenziale benefico delle emozioni, nonostante la ricerca sia giunta ad affermare l’esistenza di una mente emozionale capace di condurre l’uomo verso l’auspicato stato di laetitia di cui parlava Spinosa, i conti tardano a tornare. Le emozioni, che da sempre hanno rappresentato una risorsa indispensabile per la specie umana, l’attitudine fondamentale della vita sociale tramite la quale preservare le nostre relazioni più preziose, sembrano essersi trasformate in vere e proprie sostanze tossiche in grado di mettere a rischio la nostra salute fisica nonché il nostro equilibrio mentale. In breve, oggi è impossibile non fare i conti con le emozioni distruttive ed i loro

effetti nocivi sulla collettività: sempre più spesso, infatti, si sente parlare di disturbi del comportamento alimentare, di impulsi aggressivi che sfociano in tragedie, di giovani disadattati che affogano la loro solitudine nell’alcol e nelle droghe e di tanti altri fenomeni analoghi. Le statistiche lo confermano inequivocabilmente: l’attuale generazione di adulti al di sopra dei 18 anni di età è maggiormente afflitta da disturbi emozionali rispetto a quella precedente e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) prevede che entro il 2020 la depressione diventerà la causa di malattia più frequente nei Paesi industrializzati.

Perché? Perché le emozioni sono divenute nocive? Chi sono i responsabili di questa metamorfosi kafkiana? Probabilmente, se si potesse intervistare una delle menti più brillanti del secolo scorso, lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry, autore del romanzo Le Petite Prince, egli risponderebbe: Toutes les grandes personnes ont d’abord été des enfants. Mais peu d’entre elles s’en souviennent. (Tutti gli adulti innanzitutto sono stati bambini. Ma pochi tra di loro se ne ricordano). I responsabili di questa metamorfosi siamo noi: siamo noi che nel divenire adulti cessiamo di dominare le nostre inclinazioni emozionali. Siamo noi ad aver soffocato le nostre stesse emozioni fino a farle impazzire. Siamo noi, dunque, i responsabili di questo fenomeno, e lo siamo nella misura in cui, cedendo ai condizionamenti di un Sistema che inneggia al potere, al sesso sfrenato e al guadagno facile, abbiamo trascurato il fatto che una società minata nelle sue espressioni essenziali, quali la compassione e la premura per l’altro, gli atteggiamenti collaborativi e l’istinto alla condivisione, non può far altro che esporre noi stessi e le generazioni future a tutta una serie di rischi inevitabili. Eleonora Stentella eleonora.stentella@gmail.com

L’ovvio e le sue ombre Alcune cose dovrebbero essere ovvie e scontate perché consolidate da milioni di anni. E invece, anche quando tutto sembra seguire leggi di natura e ritmi biologici, c’è comunque ampio spazio per questioni ed ombre. Ciò avviene senza dubbio nel meccanismo che induce una donna a voler essere madre. Sono in una sala d’attesa. Ho in mano due Espresso, uno del 19 ottobre 2006 e uno del 31 marzo 2005. E’ una coincidenza? Nella pagina di cultura di entrambi si affrontano argomenti molto simili. Due recensioni: nel primo giornale, del libro di Concita de Gregorio, giornalista della Repubblica: Una madre lo sa; nel secondo, del saggio Mi vedo riflessa nel suo specchio della studiosa lacaniana Luisella Brusa. Concita de Gregorio scrive a partire dalla propria esperienza e dal proprio interesse verso il mondo femminile e in particolare della conciliazione tra affermazione lavorativa e maternità. Ma anche dalla propria esperienza di madre collegabile a quella di altre donne celebri. Non nasconde affatto la difficoltà interiore di ognuna, ne è prova il sottotitolo del suo libro: tutte le ombre dell’amore perfetto. Eppure lascia un alone di ottimismo col suo esempio: bella donna, affermata giornalista e madre abbastanza serena. Luisella Brusa affronta il tema psicanalitico del rapporto madre-figlia. Ritiene che la formazione della femminilità sia sog-

getta a un gioco di specchi. C’è come un orizzonte di attesa tra madre e figlia: l’una si aspetta dall’altra un annuncio di femminilità. La giovane scopre però che ciò che rende donna la madre non le viene trasmesso, come la madre si accorge che la figlia le annuncia solo di averla resa madre e non donna. In entrambe le recensioni c’è un rimando esplicito alle fiabe e alla loro antica tradizione che non presenta madri alquanto benevole… Ma c’è di bello che tutte e due le autrici dei libri, fanno appello a una soluzione direi comune: la C. de Gregorio, portando come esempio le donne di Plaza de Mayo unitesi per ottenere la restituzione dei corpi dei loro figli, madri naturalmente unite da un’esperienza. La Brusa, da parte sua, nel mettere in uso la sapienza che madri e figlie troveranno nella loro propria storia di donna. Esperienza e comune sentire sembrano dunque gli antidoti alle ombre che spesso si insinuano nella vita di una donna che diviene madre. Adelaide Roscini

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Oscar Pistorius

Oscar Pistorius non potrà partecipare… perché? 44 secondi e 9 centesimi è il tempo minimo richiesto ai quattrocentisti per maturare il diritto di partecipare ai giochi olimpici di Pechino. La miglior prestazione di Oscar Pistorius, l’atleta privo delle gambe, è di 45 secondi e 9 centesimi, ottenuta grazie a protesi in carbonio con le quali si misura negli stadi di tutto il mondo. Gli addetti ai lavori sanno che annullare quel secondo di differenza è impresa ardua, quasi impossibile, specie quando sono state utilizzate tutte le strategie per ridurre il gap e affinati i metodi di allenamento. Pistorius ha avanzato la richiesta alla federazione mondiale di atletica di poter accedere con le sue protesi ai giochi, nell’ipotesi di raggiungere il limite di tempo fissato. La risposta è arrivata: Oscar non potrà schierarsi in pista perché le sue gambe lo favorirebbero rispetto ad altri concorrenti privi del vantaggio di cui lui dispone. Le protesi del richiedente, a detta degli esperti e degli studiosi di biomeccanica, assicurano una risposta al caricamento dei passi superiore del 25% rispetto a quella di un normodotato; quindi, Pistorius sarebbe favorito e le sue abilità non comparabili con i colleghi. Ammessa la veridicità delle risultanze tecniche, che si manifesterebbero nella parte finale del percorso, più

esattamente negli ultimi cento metri, l’analisi non ha preso in considerazione che nella parte iniziale della corsa, egli sarebbe fortemente svantaggiato, proprio per lo stesso motivo, impossibilitato a caricare le lame come vorrebbe. Insomma, Pistorius sarebbe troppo forte per gareggiare con i disabili e troppo favorito per farlo con i normodotati; sicché l’umana aspirazione a confrontarsi gli è ottusamente preclusa. La sentenza dei capoccioni della federazione suona come un’eccellente opportunità perduta. Negando l’autorizzazione a Oscar e a tutti quelli che come lui sono portatori di limitazioni fisiche, hanno troncato le speranze a giovani più sfortunati di trovare nello sport uno strumento di socializzazione o di dialogo, confinando i normali in un isolamento supponente. La decisione della federazione mondiale non boccia solo Pistorius, ma l’umano desiderio di riscatto della schiera infinita di persone che condivide con lui gli stessi problemi; boccia lo sforzo della ricerca, punisce l’impegno tecnologico, stronca lo slancio naturale a volersi confrontare su piani di parità presunti o reali. Brutta storia questa bocciatura. Il timore che il risultato di Pistorius sia stato considerato solo nella prospettiva olimpica e omologativa, sottrae all’atleta il doveroso riconoscimento della sperimentazione e penalizza la speranza dei suoi simili di poter confidare nei progressi della scienza. Anche le luci che stanno per accendersi sui prossimi giochi di Pechino avrebbero acquistato più senso; non avrebbero discriminato e avrebbe dato voce a quanti si adoperano per cancellare ogni differenza fra gli esseri umani, contribuendo al progetto di uguaglianza con ogni mezzo, compresa una protesi. Ing. Giocondo Talamonti

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La ricerca della felicità Già nel 1776, nella Dichiarazione d’Indipendenza delle colonie nordamericane, si parla di diritto inalienabile dell’uomo alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità. Per quanto riguarda la vita e la libertà non ci sono dubbi. L’altro diritto che ha fatto riflettere intere generazioni di liberi pensatori è quello che si riferisce alla ricerca della felicità (che ha anche ispirato un bellissimo e struggente film, di cui dovremmo essere particolarmente fieri perchè diretto, nella patria di Holly wood, da un nostro bravissimo connazionale, Gabriele Muccino). Visto che un Governo non può garantire la felicità ai cittadini, i geniali discendenti dei padri pellegrini, sbarcati dalla Mayflower alla ricerca appunto - della felicità, si sono serviti di quest’artificio retorico per chiarire i loro intenti di fondare una Nazione migliore della madre patria, una Nazione in cui ad ogni cittadino venisse offerta l’opportunità di perseguire i suoi desideri e di anelare ad una vita felice. Con tutti i difetti che si possono imputare all’odierna società statunitense, è innegabile che questo riferimento al diritto alla ricerca della felicità renda la Dichiarazione d’Indipendenza un documento che dovrebbe costituire il principio fondante di ogni Stato moderno. Oggi, invece, sembra che i governanti si preoccupino più di quello che ritengono il loro diritto alla felicità piuttosto

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che del diritto dei governati alla ricerca di quest’ultima. Ovviamente non possiamo effettuare una disamina particolareggiata su cosa ogni individuo intenda per Felicità, però è inconfutabile che essa si possa concepire come mancanza di sofferenza. Al di là delle sofferenze provocate da cause prive di controllo come lutti, malattie o eventi calamitosi, uno Stato dovrebbe poter garantire ai propri cittadini, se non proprio la felicità, almeno l’assenza di sofferenza. Per una persona con delle sane aspirazioni, l’assenza di sofferenza potrebbe essere: un amore, un lavoro, una casa. Per altri non basterebbe un deposito di denaro da far invidia a quello di Paperon de Paperoni, ma noi stiamo parlando di persone che anelano a condurre una vita dignitosa e non faraonica. Ma come si fa a ricercare la felicità quando chi ha un lavoro viene classificato come un privilegiato e chi si può permettere l’acquisto di un mini-appartamento viene invidiato come un tempo si invidiavano coloro che possedevano una villa di tre piani? Di conseguenza, quello che abbiamo ipotizzato essere il terzo tassello della mancanza di sofferenza, ovvero l’amore, diventa quasi un sogno: perché è impossibile vivere appieno un sentimento nobile come l’amore quando ci si agita in condizioni di perenne precarietà e necessità. Da ciò emerge che l’ipotesi di un Governo al servizio dei cittadini, impegnato nella ricerca della loro felicità, sia rimasta solo utopia di Thomas Jefferson, Benjamin

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Franklin e colleghi, perché in questo momento ci troviamo alle prese con un Governo che si arrovella per trovare soluzioni temporanee a problemi che invece sono sostanziali, trascurando lo stato emotivo dei propri cittadini. Ci si aspetterebbe che un Governo, intento a fornire ai propri cittadini elementi concreti per rendere praticabile un’autonoma ricerca della felicità, invece di pensare ad una moratoria per abolire la legge n. 194/78, si preoccupasse di capire perché le donne abbiano paura di mettere al mondo dei bambini, perché gli adolescenti siano talmente sconsiderati e ineducati da praticare sesso non protetto, perché una donna, al giorno d’oggi, non si possa permettere economicamente di mantenere un figlio ad una età che, anni fa, sarebbe stata considerata tardiva per diventare madri e - soprattutto perché diventare genitori sia divenuto un atto di coraggio. L’attuale mancanza di ottimismo e di fiducia nel futuro e la certezza della impossibilità di ricercare la propria felicità, fanno sì che lo Stato descritto nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti rimanga solo una bella favola. Claudia Mantilacci

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Antimago

RASPUS Ai primi vagiti di ogni anno imperversano le ridicolaggini dei chiaroveggenti seguite dalle idiozie degli oscuroscriventi, coloro cioè che dettagliano come nessun mago, nell’anno precedente, ne abbia azzeccata almeno una. NOI Antimago Raspus facciamo notare che i secondi sono più deleteri dei primi. Non solo infatti espongono banalità scontate, ma il loro dire si fa subdolo perché lasciano intendere, ai molti indifesi mentali che la scuola italiana ha dolosamente generato, che un qualsiasi desso potrebbe davvero avere di tali capacità! Di cose che non esistono

non si dovrebbe nemmeno accennare! Assioma (vuoto): se qualcuno avesse di tal poteri, non lo direbbe a nessuno, ma si farebbe, nascostamente,gli affari suoi! Chi poi dice di sapere che Giove (sic!), verso i primi di marzo, si interesserà dei bruciori di stomaco o dei pruriti di altre sacche di Pallino Rossi o di Palletta Giovanni... ha colpe inferiori a quelle di chi lo stipendia (con i nostri soldi!) e che dovrebbe invece rivolgere le sue cure, al più, al punto a tombolo! QUI NOI, Antimago RASPUS, faremo la nostra verace, assoluta PREVISIONE: De elezione politica prossima ventura. Le prossime elezioni politiche saranno le più semplici e tranquille mai avute in Italia. COME VOTARE: - Escludere rigorosamente i partiti che presentano,

nel territorio nazionale, anche un solo candidato con sentenze passate in giudicato (o conclusesi con patteggiamento o non punibili per decorrenza dei termini); - Controllare bene le liste rimaste, indi: 1 - Se nessuna è rimasta: questione risolta; 2 - Se ne dovesse rimanere una allora ogni candidato vale l’altro quindi, per apporre la vostra crocetta, procedete al sorteggio o chiedete la consulenza di un cromniomante (divinatore mediante cipolle), o di un tasseomante (che interpreta il futuro mediante le foglie di the), o di un molidobmante (che interpreta lo sgocciolare del piombo in acqua fredda), al più di un cleidomante (che interpreta il futuro mediate chiave sospesa). 3 - Tertium non datur. ANTIMAGO RASPUS COPPA TETA

Il bassotto raccomandato Brutto, grassoccio e mordace, il bassotto non poteva ambire alla sfilata canina per concause estetico-naturali. Eppure passò le severe selezioni e surclassò gli aitanti golden retriever e i cotonati pastori afgani. Non visibile beltà lo cinse di allori, ma le orecchie flosce e la pancia strusciante furono sorretti da una poderosa raccomandazione. Il bassotto in causa era il pupillo della padrona della barca che ospitava il nostro amato Mastella (sempre lui!). Il quale, generoso di natura, mise una parolina, tirò qualche coda e trasformò, con un tocco di bacchetta politica, il triste bassotto in alano alsaziano. Dato che il dizionario italiano-mastellese alla voce raccomandazione specifica io mando avanti solo i migliori, e nel dizionario Si-

nonimi e Fetusi ed. Ceppaloni c’è un rimando tra ci penzo io/meritocrazia, ci domandiamo quanto la vicenda del bassotto sia emblematica della fallibilità umana. La favola del cane di razza Udeur, in un incrocio tra Cechov e Hanna&Barbera, si consuma durante un’estate cafona ed arrogante in Sardegna. L’odiato aristocane a forma di salsiccia scende dallo yacht, spisciacchia i tappetini dei privè di Porto Cervo, morde il polpaccio di un cameriere di bassa estrazione sociale e si infila in un concorso di bellezza. Ovviamente il Re è Nudo, la natura ha già dato l’inappellabile verdetto condannando il canide a zampettare calpestandosi le orecchie. Ma tutto finisce a tarallucci e Vermentino, e il

cenerentolo rasoterra la spunta sui rivali. La rivincita del brutto sul bello, del salsicciotto sul levriero? Ad essere buoni, potremmo leggerla così, scorgendo in questo innocuo aneddoto un segno della prodigalità del Perrault da Ceppaloni. Ma di questi tempi, in cui la politica si prende la briga di occuparsi dei reparti di ginecologia e si tasta con mano a cosa servono i partiti, specie quelli ad personam, passerà ai posteri la parabola dell’Italietta in cui anche i cani erano raccomandati. Francesco Patrizi

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Ferdinando Maria Bilotti

Castità Coito Garantirsi la tranquillità Termine di cui ci si dello spirito al prezzo della serve per indicare l’atto mortificazione della carne. sessuale, quando non si è coinvolti nello stesso. Coito interrotto: l’unico C i n i co Un moralista arresosi metodo anticoncezionale all’amoralità della vita. approvato dalla Chiesa cattolica (in virtù, è da ritenersi, della sua C i n q u a n t en n e Una persona che riconosciuta inefficacia). piuttosto che apparire vecchia preferisce Consumismo sembrare ridicola. Cercare in ciò che si ha riparo da ciò che si è. Citazione Un plagio affettuoso. Convivenza Un matrimonio con meno responsabilità e più sesso. C i vet t a Predatrice che usa se C o r re t t o stessa come esca. Di regola, è tutt’altro C i vi l e che giusto. Detto d’un uomo o d’una Politicamente corretto: nazione, indica che non offende l’appartenenza alla razza alcunché, all’infuori bianca ed il del buon senso. conseguimento d’un Coscienza elevato tenore di vita. Detto d’un Lo specchio dell’anima, comportamento, indica il vale a dire la sua ricorso nel suo immagine rovesciata. compimento ai più C re d e n z a raffinati strumenti che la crescita del sapere e della Vecchio mobile tarlato nel quale teniamo esposti ricchezza ha messo a piattini finemente disposizione di chi la smaltati, ninnoli compie. In sintesi, una battaglia a d’argento ed altri valori di cui non facciamo colpi di machete combattuta fra tribù del uso alcuno, ma dei quali Borneo non costituisce una v’è radicata convinzione che si debba ostentare dimostrazione di il possesso. civiltà; un conflitto nucleare tra superpotenze occidentali C r i m i n i d i g u e r r a Un’esclusività invece sì. degli eserciti sconfitti. C o cci u t o Un uomo che ha il C u o re La casa natale delle coraggio di difendere nostre emozioni, le proprie idee. dalla quale esse fuggono Sbagliate. non appena possono, C o eren z a per farsi adottare dalla L’unica dote intellettuale mente ed usurpare di cui può gloriarsi il nome di lo sciocco. ragionamenti.

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